Allegato A
Seduta n. 464 del 15/1/1999


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MOZIONI ARMANI N. 1-00297 E GRIMALDI N. 1-00337 IN MATERIA DI POLITICA DELLE PRIVATIZZAZIONI

(Sezione 1 - Mozioni)

La Camera,
premesso che:
la politica delle privatizzazioni costituisce una condizione essenziale per l'effettiva efficienza e l'ammodernamento del sistema economico nazionale;
l'azione del Governo in questo settore è apparsa sin dal suo insediamento scarsamente efficace, ambigua e inconcludente, tanto che il processo di privatizzazione delle principali società controllate dallo Stato appare di fatto incagliato da lungo tempo;
a tal riguardo si fa notare che: a) per la Società Autostrade era stata promessa la privatizzazione entro l'estate e ancora non se ne sa nulla; b) la trattativa della Finmeccanica con la Daewoo, interessata all'acquisto della Ansaldo, sembra andare a rilento senza apparente motivo; c) l'integrale collocamento sul mercato della società Aeroporti di Roma è stato rimandato a ottobre; d) per quanto riguarda l'Enel non si è ancora neanche presentato il piano di riassetto del mercato elettrico, che deve precedere la privatizzazione; e) la privatizzazione della BNL ha subito di recente una battuta d'arresto nonostante le promesse di una sua rapida esecuzione;
la privatizzazione delle partecipazioni azionarie detenute dallo Stato attraverso il ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, rappresenta una delle principali fonti di risorse per alimentare il fondo ammortamento dei titoli di Stato e, quindi, per poter conseguire una significativa riduzione del debito pubblico, riduzione indispensabile per poter raggiungere l'obiettivo del terzo parametro europeo (rapporto debito pubblico/PIL uguale al 60 per cento), non ancora raggiunto dall'Italia;
la linea stabilita dall'Unione europea è quella di uno Stato che interpreti il ruolo di garante del mercato e della concorrenza nell'ambito del sistema economico e, quindi, intervenga solo in misura marginale nel governo dell'economia, con l'esclusivo fine di proteggere le fasce più deboli della popolazione e di evitare distorsioni ed abusi; l'Unione sollecita, pertanto, l'Italia a realizzare il progressivo passaggio dal sistema dello Stato-imprenditore a quello dello Stato-regolatore dell'economia;
un impulso positivo al processo di privatizzazione potrebbe venire dal rapido avvio dei fondi pensione aperti, che il Governo boicotta a favore di quelli chiusi egemonizzati dalla triplice sindacale, meno appetibili per i lavoratori ed incapaci di rivolgersi alla grande schiera dei lavoratori autonomi;
il mancato sviluppo di tali fondi pensione ostacola la comparsa di investitori istituzionali anche nazionali, professionalmente e tecnicamente adeguati e certamente più graditi nel quadro della privatizzazione dei servizi di pubblica utilità;
il complesso delle società quotate in borsa è ancora limitato: infatti, l'Italia detiene uno dei peggiori rapporti percentuali tra capitalizzazione di borsa e PIL dell'Unione europea;


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il ruolo della borsa di Milano non sembra godere della necessaria attenzione da parte del Governo, mentre sono in atto iniziative di altre piazze europee destinate a delineare un asse preferenziale tra Londra e Francoforte;
caso emblematico di privatizzazione incagliata, d'altra parte, appare quello della BNL, la cui dismissione era annunciata da mesi e sembrava ormai cosa fatta quando improvvisamente è saltato tutto;
si prospetta, in particolare, per la BNL la tendenza a ricorrere al «nocciolino duro», soluzione già attuata in Telecom con risultati non certo esaltanti, favorendo quindi la ragnatela di partecipazioni che caratterizza oggi il nostro sistema finanziario: il tutto perché non si vuole che sia il mercato (quanto meno entro ragionevoli regole predefinite) a decidere chi controllerà la banca, né al tempo stesso si ha il coraggio di cedere direttamente il controllo ad un soggetto ben definito, accettando così le successive decisioni di questo;
dal conto generale del patrimonio dello Stato presentato per la prima volta al Parlamento, nell'ambito della discussione sul rendiconto 1997, si evince che il valore totale delle partecipazioni detenute dallo Stato ammontava, al 1o gennaio 1997, a lire 114.037.183.323.279, mentre al 31 dicembre dello stesso anno il medesimo totale era uguale a lire 115.414.302.926.729, dimostrando così che l'ammontare complessivo delle partecipazioni nel corso del 1997 non solo non è stato ridotto, come promesso dal Governo, ma addirittura ha subito un leggero incremento (+1,2 per cento);
d'altro canto nell'ambito delle comunicazioni del Presidente del Consiglio rese alla Camera venerdì 17 luglio 1998, il termine delle privatizzazioni è stato trattato in termini che fanno emergere con chiarezza la mancanza di accordo tra le varie forze della maggioranza, condizionata fortemente da Rifondazione comunista da sempre contraria a qualsiasi forma di privatizzazione;
la mancanza di determinazione nell'effettuare le privatizzazioni è dovuta anche al fatto che il Governo non intende perdere la prerogativa di nominare persone ad esso vicine nei vari consigli di amministrazione e di dare ad esse concreti poteri di gestione nelle società privatizzate ove resta ancora una qualche partecipazione del Tesoro, anche ridotta;

impegna il Governo:

a presentare entro sessanta giorni un piano effettivo e operativo di smobilizzo delle principali partecipazioni azionarie detenute, prevedendo l'utilizzo degli introiti esclusivamente per la riduzione del debito pubblico;
ad agevolare il più possibile il rapido avvio dei fondi pensione aperti;
a presentare entro trenta giorni il piano per il riassetto del mercato elettrico;
a prevedere incentivi fiscali come strumento per indirizzare il risparmio delle famiglie (e non solo quello delle imprese) verso il capitale di rischio;
a prevedere nella impostazione del prossimo disegno di legge collegato alla finanziaria una serie di provvedimenti che mirino ad accelerare la privatizzazione di tutte le partecipazioni detenute dallo Stato;
a ritirare i rappresentanti dello Stato nei consigli di amministrazione delle società privatizzate, lasciando ad essi solamente il compito di azionisti in assemblea;
ad avviare sollecitamente la revisione delle norme che disciplinano la cosiddetta golden share, oggetto di rilievi da parte dei competenti organismi dell'Unione europea.
(1-00297)
«Armani, Marzano, Giovanardi, Gasparri, Vito, Peretti, Contento, Possa, Selva, Armaroli».
(28 luglio 1998).


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La Camera,
considerato che:
nel sistema economico italiano hanno esercitato storicamente un ruolo di fondamentale importanza gli assetti societari fondati sulla proprietà familiare e sulla proprietà pubblica;
la disgregazione delle partecipazioni statali, concomitante con la ristrutturazione e talvolta la scomparsa di interi settori privati, ha prodotto delle importanti variazioni sia negli assetti proprietari e di controllo, sia negli assetti produttivi, con conseguenze di straordinaria importanza;
il «sistema Italia» sta paurosamente declinando nel complessivo contesto economico europeo, in molti settori produttivi e commerciali; ed infatti, dalla chimica alla meccanica, dalla farmaceutica alla alimentazione, dal turismo al tessile, la proprietà di un numero crescente di imprese italiane non appartiene più al nostro Paese; questo significa che sono stati trasferiti all'estero i centri decisionali e soprattutto i servizi di ricerca di comparti importanti dell'economia nazionale;
i fenomeni sopra descritti sono stati accentuati dalla politica economica adottata e applicata negli ultimi anni, che ha avuto al suo centro la privatizzazione del sistema industriale e finanziario italiano, di proprietà diretta e indiretta dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni;
la politica delle privatizzazioni è stata accompagnata da una denigrazione sistematica e generalizzata delle imprese a partecipazione statale, descritte come un insieme di gestioni fallimentari, di croniche inefficienze, di corruzione, di infeudamento clientelare. In realtà, la storia delle imprese a partecipazione statale compone una lunga e fitta rappresentazione nella quale si intrecciano ed alternano aziende decotte e aziende prospere, ritardi tecnologici e innovazioni tecnico-organizzative che hanno talora anticipato di un decennio l'impresa privata, politiche del personale spesso clientelari ed assistenziali, ma altrettanto spesso più aperte e lungimiranti di quelle praticate nelle imprese private;
la politica delle privatizzazioni ha avuto un certo successo sul piano della tesoreria, perché ha consentito l'introito da parte dello Stato di ingenti mezzi;
per altro questa politica ha rappresentato un completo insuccesso sul piano strutturale, perché non è stata supportata da alcuna seria idea generale di politica economica ma, al contrario, è stata caratterizzata da una evidente subalternità verso l'ondata di ritorno liberista;
questa politica ha avuto come conseguenza che sono stati ignorati o trascurati i cambiamenti di potere che essa necessariamente comportava nel sistema economico nazionale e, conseguentemente, nella scelta del modello capitalistico di riferimento, dando così alibi e spazio alla tendenza, già largamente presente nel Paese, alla ricerca del profitto immediato, allo sfruttamento delle rendite di posizione, all'accollo alla collettività nazionale degli oneri delle ristrutturazioni aziendali;
questa politica ha avuto come conseguenza più grave il continuo accentuarsi del processo di colonizzazione del Paese;

impegna il Governo

a presentare al Parlamento un disegno generale di politica economica nazionale che riguardi la struttura futura del «sistema Paese», con particolare riguardo al sistema agricolo, al sistema industriale e al sistema finanziario;
a subordinare e a posporre ogni ulteriore decisione in ordine alle privatizzazioni alle deliberazioni che verranno prese a riguardo in Parlamento.
(1-00337)«Grimaldi, Nesi».
(14 gennaio 1999).