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PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
GIUSEPPE GIULIETTI, Relatore. Signor Presidente, il testo che noi stiamo discutendo è il frutto (e questo mi sembra l'aspetto più importante, qualunque sarà poi il voto finale) di un confronto che ha visto la partecipazione non solo di tutte le forze sociali del settore dell'editoria, ma anche di tutte le forze politiche, in particolare di quelle dell'opposizione. È lo stesso percorso - provo a ricordarlo - che abbiamo seguito per approvare un'altra legge nel settore della comunicazione, la n. 249, che riguardava il riordino del sistema televisivo, la modernizzazione del sistema della comunicazione. Mi rivolgo qui al sottosegretario Minniti per segnalare che questo percorso di concertazione con le parti sociali e con le parti politiche credo debba contrassegnare anche il provvedimento che dovrà completare quello in esame, il quale affronterà la riforma generale del settore dell'editoria, che oggi non discutiamo, perché parliamo di un piccolo tassello, ma sarà indispensabile per la riforma della legge n. 416, che è ferma dal 1981.
cioè di avere a disposizione, nelle edicole e nella rete di distribuzione, un'ampia gamma di quotidiani e di periodici. Da qui la scelta compiuta dal Governo e dalla nostra Commissione - e che io ritengo, per così dire, non mediabile - di mantenere il principio della parità di trattamento. Mi riferisco al fatto che all'interno di ciascun punto vendita debba essere garantito nel modo più ampio possibile il panorama dei quotidiani e dei periodici - anche dei piccoli e medi - che sono prodotti in questo paese, perché questa è una garanzia di libera scelta e di libertà. Ecco perché è necessario sottolineare il percorso che ho indicato.
sappia leggere la televisione e i giornali, che abbia il gusto per una pluralità di strumenti culturali. So bene che la materia editoriale, il libro, viene ormai considerata residuale; non a caso, anche in quest'aula il più tenue dibattito sulla televisione richiama passioni sconfinate, talvolta fino al limite dello scontro fisico, mentre la discussione sul libro, sul giornale, sulla carta stampata, sulla multimedialità, che sono parte della costruzione dello spirito pubblico e delle modalità di formazione culturale di un paese, spesso ricevono scarsissima attenzione.
Governo per sottolineare come vi sia stato un lavoro continuo e positivo, pur nella differenza di posizioni di ciascuna forza politica.
in questo momento esso sta recuperando, invece, una forte capacità di attrarre pubblicità. Si tratta, quindi, di un fenomeno molto contraddittorio nelle sue cifre e non dimentichiamo che, nel contempo, vi sono alcuni grandi editori che stanno stringendo alleanze in sede europea per cominciare a ragionare sulla multimedialità europea. Si tratta, cioè, di un settore nel quale o agiamo preventivamente, intervenendo in anticipo, oppure rischiamo di aspettare soltanto gli elementi di una crisi che potrebbe diventare devastante se l'intervento dovesse tardare.
sociali più elementi di interdizione che aiuti per portare avanti l'esame di un testo. Ma, almeno per quanto riguarda questo provvedimento, il rapporto con il Governo, con i funzionari del dipartimento per l'editoria, con quelli della Camera (ovviamente) e con i parlamentari di tutti i gruppi non è stato all'insegna dell'interdizione, ma di uno scambio che ha prodotto un risultato. Credo che questo metodo debba essere confermato almeno per tutta la materia. Di ciò ringrazio i colleghi di tutti i gruppi ed il Governo.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
MARCO MINNITI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Rinuncio a parlare e mi riservo di intervenire in sede di replica, signor Presidente.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Novelli. Ne ha facoltà.
DIEGO NOVELLI. Signor Presidente, colleghi, mi limiterò ad alcune brevi considerazioni a margine della relazione del collega Giulietti, che ho apprezzato. Condivido il lavoro compiuto dal relatore, al di là di qualsiasi riconoscimento di circostanza, per l'intelligente opera che è stata prestata da lui e da tutti i componenti della Commissione. Poiché non faccio parte della Commissione, proprio questa circostanza mi ha dato l'opportunità di conoscerne anche personalmente il presidente ed i diversi membri, riscontrando uno spirito, una capacità di analisi ed anche una comunanza di idee alla ricerca delle soluzioni più proficue in una materia così delicata, complessa e controversa. Si tratta, come ho già detto, di un provvedimento importante, che ha avuto un lunghissimo e travagliato iter.
attuata una norma di totale liberalizzazione del mercato, si sarebbero come minimo triplicati, per poi avere un assestamento successivo. Nel giro di poche settimane si sarebbe verificata una corsa per cui, pensando di rinforzare i bilanci delle piccole attività commerciali con la vendita dei giornali, si sarebbero invece superate le 100 mila unità di punti vendita, il che avrebbe significato che soltanto quattro grandi editori sarebbero stati in grado di fornire i loro prodotti su tutto il territorio nazionale.
del Governo che, non sapendo come richiamare meglio l'attenzione sulla sua attività, afferma che bisognerebbe fare un'altra authority. Se non sbaglio siamo già alla dodicesima authority! Se continuiamo di questo passo non so dove andremo a finire.
anni. Ecco la differenza! Entriamo in Europa, ma con quali differenze a parte la moneta unica?
diversa dalla curiosità, dal voler sapere e conoscere, dal volersi confrontare ed approfondire.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Malgieri. Ne ha facoltà.
GENNARO MALGIERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, è stata sottolineata con forza, tanto dal relatore Giulietti quanto dal collega Novelli, la necessità di ridefinire al più presto la complessa e problematica normativa sull'editoria, mettendo mano in modo sostanziale alla riscrittura della legge n. 416. È un'esigenza di ordine culturale e di ordine economico-sociale, un'esigenza che inerisce la crescita complessiva del nostro paese sotto diversi convergenti profili. Il provvedimento oggi al nostro esame sembra un buon inizio, un buon viatico per porre davvero fine a molti equivoci poiché è volto a dare una sistemazione normativa più organica e più attuale ad un settore del complesso comparto dell'editoria. Erano molti anni che in quest'aula non si parlava più di tale argomento ed oggi se ne discute proprio grazie a questo provvedimento che intende adempiere due scopi sostanziali. Il primo è quello di allargare il numero dei punti vendita cercando di aumentare, per quanto possibile, l'offerta ai lettori; il secondo è quello di concedere alle aziende editoriali un po' di respiro, posto che non godono di ottima salute rispetto a qualche anno fa.
infatti, su tale norma potrebbero gravare addirittura dubbi di costituzionalità. Ma è stato, lo ripeto, un atto di coraggio del Parlamento mettere fine a quello che poteva essere considerato un piccolo sconcio. La normativa del 1992 è stata riformata. Le norme approvate l'estate scorsa hanno fotografato la situazione come era, senza penalizzare nessuno, perché chi ha messo in piedi aziende editoriali sulla base della legge del 1992 aveva ed ha tutto il diritto di non essere penalizzato.
tratta quindi di una sperimentazione effettuata non alla cieca, ma con parametri stabiliti, secondo criteri di valutazione oggettivi e con un controllo al quale avranno titolo a partecipare tutte le parti che abbiano avuto in qualche modo un ruolo nella elaborazione di questa legge. Abbiamo sostanzialmente mediato - e lo ha sottolineato il relatore - tra le esigenze delle parti, con la volontà di trovare comunque un'intesa, nella ricerca della quale, signor sottosegretario, debbo sottolineare che abbiamo rilevato come unico neo l'eccessiva interferenza dell'autorità di garanzia della concorrenza e del mercato. Anche prescindendo da questo provvedimento, mi chiedo se noi, come Parlamento, non abbiamo creato con le autorità degli autentici mostri, dei piccoli leviatani, fuori da ogni controllo, che minano la sovranità del Parlamento, in quanto basta un niente per eccitarne il protagonismo e portarli ad intervenire in materie che non si sa in che modo ineriscano alle loro funzioni. Questa riflessione sulle autorità (altrimenti dette authority, ma siamo ormai alla denazionalizzazione totale, ed il linguaggio ne è la prima vittima, come è la prima vittima del pensiero unico) di garanzia deve essere compiuta. Lo dico molto francamente: a malincuore ho accettato l'imposizione, motivata anche con una direttiva europea, volta ad abolire il metraggio (su cui in Commissione avevamo trovato un accordo con tutte le parti interessate) per creare nuovi punti vendita. Ci è stato detto, appunto, che l'autorità di garanzia sarebbe intervenuta pesantemente, basandosi anche su una direttiva europea, per cui ci siamo in qualche modo adeguati.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Michelini. Ne ha facoltà.
ALBERTO MICHELINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, come emerge dagli interventi di tutti i colleghi che mi hanno preceduto, la questione in esame è solo apparentemente semplice; evidentemente non si tratta soltanto dell'allargamento dei punti vendita. La riforma del settore nel suo complesso è solo apparentemente di facile soluzione. Esistono problemi di fondo che sono stati e che dovranno essere affrontati alla luce della sperimentazione prevista e che la commissione paritetica dovrà valutare fino in fondo nella prospettiva, del resto, della riforma generale dell'informazione e dell'editoria, alla quale il Governo si prepara a lavorare.
vendite, effettivamente bisogna capire cosa si vende. Dai dati che abbiamo a disposizione, si evince che il 70 per cento del fatturato reale riguarda la vendita dei grandi quotidiani e delle riviste più famose, mentre il 30 per cento riguarda l'editoria diffusa, che costituisce un patrimonio molto importante da salvaguardare. Va poi affrontato seriamente il problema rilevante, già richiamato dai colleghi, degli abbonamenti postali: in altri paesi, il 93 per cento delle vendite avviene per abbonamento postale; non mi soffermo su quanto hanno osservato gli altri colleghi, con riferimento ai limiti che registriamo, visto che può accadere di ricevere i quotidiani con tre giorni di ritardo (analoghe difficoltà, peraltro, si presentano anche per i settimanali in abbonamento: lo dico per esperienza).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Avverto che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Giulietti, ha facoltà di svolgere la relazione.
Sottolineo questi dati non per amore di unanimismo o di consociazione (mai parola, peraltro, è stata abusata quanto questa negli ultimi periodi), ma perché, anche occupandoci di organizzazione della rete di vendita, trattiamo una materia che riguarda l'organizzazione materiale del sistema informativo, che è parte della realizzazione delle libertà. Trattiamo una materia che dà sostanza all'articolo 21 della Costituzione, Presidente, non solo sul versante della libertà di espressione, che è un diritto individuale, ma anche sul versante del diritto del cittadino di essere ampiamente e correttamente informato,
Il provvedimento in esame è un piccolo tassello del processo più generale di riforma del sistema dell'editoria e riguarda non la liberalizzazione integrale, come è stato detto, ma come non è mai stato nelle intenzioni del Governo, né nell'elaborazione del sottosegretario Parisi e nel dibattito che il sottosegretario Minniti ha svolto - a mio giudizio ed a giudizio, credo, dell'intera Commissione, in modo positivo - con tutte le parti sociali, bensì riguarda la sperimentazione di un possibile allargamento della rete di vendita su tutto il territorio nazionale, attraverso un confronto ampio, positivo e non distruttivo, con le parti sociali. Badate, non si tratta di disintegrare l'attuale rete di vendita: sarebbe una stupidaggine. Parliamo di un settore che ha dimensioni molto ampie: sono 38 mila le edicole, con circa 100 mila addetti. C'è tutto il settore della piccola e della grande distribuzione - che spesso viene ignorata, come il Governo sa -, c'è il settore della piccola e media editoria e c'è poi il grande settore della produzione di quotidiani e settimanali di questo paese. Stiamo parlando, allora, di un comparto industriale e in considerazione di ciò la questione va affrontata con grande intelligenza, ma, ovviamente, sapendo che solo con il concorso di tutte le parti potremo arricchire il settore e l'offerta per la società italiana.
È evidente che il provvedimento in esame non affronta alla radice i problemi della crisi dell'editoria italiana: se siamo tornati sotto il muro dei 6 milioni di copie e corriamo il rischio di scendere sotto i 5 milioni, è evidente che i problemi non possono essere legati soltanto all'aspetto della distribuzione. È evidente che tale crisi - mi permetto di far presente al Governo che all'interno della nostra Commissione vi è stato un dibattito molto ricco con l'intervento dei parlamentari di tutte le forze politiche - non riguarda unicamente la rete di vendita ma, per esempio, anche il grande tema della monocultura televisiva. Ricordo al Governo che al Senato è fermo l'iter di un provvedimento (A.S. 1138) per il riordino del sistema televisivo che affronterà il tema della ridistribuzione dei flussi pubblicitari. Possiamo decidere di mantenere e rafforzare il duopolio oppure di modulare gli indici di affollamento pubblicitario per ricreare un mercato che poggi su più soggetti all'interno della multimedialità; credo che anche le forze politiche siano interessate ad una pluralità di voci.
Se vi è un problema di vendita, evidentemente ne esistono anche altri che riguardano, ad esempio, la qualità del prodotto ed il nostro sistema postale, in particolare la difficoltà delle spedizioni in abbonamento. Continuiamo a ripetere che negli altri paesi, a differenza del nostro, il 95 per cento del prodotto viene venduto in abbonamento e solo il rimanente 5 per cento in edicola. Ciò, però, non è imputabile alla distribuzione, alla rete di vendita italiana e agli editori; si tratta di correlarsi strettamente con la riforma della Società poste italiane e quindi discutere seriamente la questione delle tariffe postali e delle modalità della distribuzione in abbonamento.
Esiste poi il problema dell'assenza di una politica di promozione del libro e di costruzione del cittadino-lettore. Penso alla necessità di un raccordo con il Ministero della pubblica istruzione, alla costruzione del cittadino-lettore all'interno della scuola; se non ricordo male, in questa direzione è stata presentata una proposta di legge dall'onorevole Novelli. Vi è, lo ripeto, il problema di formare il cittadino-lettore, un cittadino, cioè, che
Credo che tale atteggiamento debba essere corretto e, del resto, in occasione dell'audizione del sottosegretario Minniti, l'impianto, con l'apprezzamento dell'intera Commissione, è stato fortemente corretto in tale direzione. Per questo motivo numerosi parlamentari - gli onorevoli Malgieri, Follini, Michelini, Novelli e Colombo, per citarne solo alcuni - hanno insistito affinché questo primo provvedimento sia seguito da una legge-quadro, da un testo unico in materia di editoria che dia sistematica risposta alle questioni sollevate non solo dalla comunità nazionale ma anche dalle parti sociali; al riguardo, un apposito ordine del giorno approvato in Commissione sarà ripresentato in Assemblea. Penso alla federazione degli editori, all'unione della stampa periodica, ai sindacati dei giornalisti dei poligrafici, ai distributori, agli edicolanti, alle associazioni dei librai.
Il provvedimento oggi al nostro esame sarà efficace, tuttavia, soltanto se sarà accompagnato da una grande iniziativa culturale e politica tesa a ridare centralità e dignità all'intero comparto, inteso non solo come grande risorsa culturale ma anche come occasione di lavoro. Penso soltanto al tema della multimedialità, a come alcune agenzie di stampa, attraverso il sistema delle convenzioni, possono essere incentivate alla multimedialità, a fornire un prodotto di qualità alle nostre comunità nazionali all'estero; tali convenzioni possono essere un elemento di forte innovazione anche dal punto di vista imprenditoriale per la presentazione del prodotto italiano oppure semplicemente misure di assistenza. Credo che dobbiamo spingere verso l'innovazione, come si è fatto ultimamente. Penso alle cooperative che potrebbero nascere ed alla stessa potenzialità di trasformazione dell'azienda-edicola, che può non solo essere il luogo dove si vende il giornale o il periodico, ma anche diventare un'azienda della multimedialità, con un altro tipo di dimensione e di sviluppo.
Credo che abbiamo davanti a noi un settore prezioso non solo culturalmente ma anche dal punto di vista dell'impresa e della capacità di creare immagine per le altre imprese del paese. In questo contesto, dunque più ampio, si colloca e ha un senso il provvedimento odierno, che tende a rendere possibile l'allargamento della rete di vendita attraverso una sperimentazione che consenta di vendere quotidiani e periodici, per diciotto mesi, non solo nelle edicole tradizionali ma anche in altri punti vendita (supermercati, bar, tabaccherie e una serie di luoghi indicati all'interno del provvedimento).
A questo proposito, attraverso un ampio lavoro di confronto con il Governo, con il sottosegretario Minniti e con il dipartimento per l'editoria, mi fa piacere ricordare il nome del responsabile dottor Masi, punto di riferimento molto importante, abbiamo predisposto alcuni emendamenti. Si tratta di emendamenti condivisi dal Governo, ma anche - mi permetto di osservare - da gran parte delle forze politiche della Commissione: il relatore, dunque, presenta tali emendamenti come frutto della discussione collettiva con il Governo e tra le forze politiche. Occorre non solo tenere presente il positivo lavoro svolto dalle Commissioni parlamentari (ben cinque Commissioni si sono pronunciate all'unanimità sul testo), ma anche conciliare questo lavoro con il parere che per ben due volte è stato espresso dall'autorità antitrust, la quale ha sottolineato il rischio che il testo formulato dalle Camere sia troppo restrittivo o tale da non consentire una sperimentazione congrua su tutto il territorio nazionale, con un numero apprezzabile di esercizi.
Non nascondo che la Commissione ha rivendicato, anche con forza, il ruolo del lavoro politico rispetto al parere espresso dall'autorità antitrust, che pure rispettiamo: riteniamo però che il lavoro del Parlamento debba essere difeso, perché si è trattato di una libera discussione con un libero concorso delle forze politiche della maggioranza e dell'opposizione, nonché del Governo. Tuttavia, siccome vogliamo ispirare questo lavoro al massimo rispetto delle autorità di garanzia (il Parlamento ha chiaramente indicato questo come il modo per regolamentare la sua attività) e nel contempo intendiamo tenere fermo il lavoro di concertazione con le parti politiche e sociali, l'obiettivo che ci siamo posti è stato tenere conto insieme del lavoro svolto dalla Commissione, del parere espresso dall'autorità antitrust, della positiva e continua discussione che vi è stata tra le parti sociali, il Governo e le forze politiche nei mesi successivi all'approvazione del testo in Commissione.
Riteniamo che il punto di conciliazione si possa trovare attraverso tre emendamenti, due dei quali sono volti ad adeguare il testo definito dalla Commissione in sede referente agli sviluppi della normativa in tema di esercizi commerciali ed all'ulteriore pronuncia dell'autorità garante della concorrenza e del mercato. In particolare, il primo emendamento, riferito all'articolo 1, comma 1, punto 3, qualifica più chiaramente i nuovi punti vendita che potranno partecipare alla sperimentazione; l'emendamento a riferito all'articolo 1, comma 2, indica invece le modalità di accesso alla sperimentazione stessa. Questo, al di fuori del linguaggio tecnico, significa assicurare la certezza che potrà accedere alla sperimentazione un numero congruo di nuovi punti vendita, distribuiti equamente sul territorio nazionale, affinché dopo diciotto mesi si possa verificare se l'esperimento darà un risultato positivo, cioè un incremento delle copie vendute, in che modo, in che misura, o non avrà dato alcun risultato positivo. Credo, infatti, che gli esperimenti si debbano effettuare con spirito libero, senza predeterminarne i risultati.
Questo spirito non ideologico ha dunque caratterizzato l'attività del Governo e delle parti politiche nel confronto con le parti sociali e per la verità devo dare atto alle parti sociali tutte di aver manifestato un forte interesse agli elementi di innovazione e di riforma del settore. Mi sembra che alla preoccupazione emersa risponda, in qualche modo, il terzo emendamento che è stato predisposto. L'obiezione, infatti, potrebbe essere: si accrescono i punti vendita, si crea una maggiore facilità di accesso alla sperimentazione ma questo, come ha osservato qualche collega, potrebbe essere forse un modo surrettizio di polverizzare la rete di vendita, di eliminare i parametri (sentiremo poi questi argomenti nel corso della discussione). Ha però convinto la Commissione della bontà dell'impostazione il fatto che i primi due emendamenti siano accompagnati da un terzo emendamento, anch'esso condiviso largamente dalle parti sociali, con il quale, sostanzialmente, si propone di formare una commissione cui parteciperanno le parti sociali ed in cui verrà esaltato il ruolo delle regioni e degli enti locali. La commissione, peraltro, non sarà il luogo del blocco, dell'interdizione, il che sarebbe sciocco perché il Parlamento ed il Governo chiedono innovazione in un settore per il quale si vuole avviare un esperimento, ed è fondamentale che esso riesca bene, per poter poi affrontare con slancio la riforma della legge n. 416.
Lo spirito di innovazione, quindi, è irrinunciabile e credo che il fatto che sia prevista una commissione rappresenti un elemento di garanzia per tutti; lo stesso Governo, infatti, ritiene particolarmente importante l'articolata presenza, che viene prevista nell'emendamento, delle regioni nella commissione: è una presenza che sottolinea il ruolo cruciale gli enti locali potranno giocare, per favorire un efficace ma al tempo stesso equilibrato svolgimento della sperimentazione nel suo complesso. Il Governo, tra l'altro, ha agito d'intesa con le Commissioni che condividono questa impostazione: mi riferisco, quindi, a Commissioni parlamentari e
Riteniamo che sia molto importante, in questo quadro - e ciò è presente nell'emendamento -, una forte sinergia tra l'attività della commissione paritetica, che prevede la presenza delle parti sociali, che sono, quindi, garantite in questo confronto, e quella della Conferenza unificata Stato-regioni-città. A noi pare che questo sia il modo più serio di condurre tale esperimento, anche attraverso un forte coinvolgimento degli enti locali: ciò mancava nell'impostazione originaria e mi sembra importante che sia stato recuperato; credo sia un elemento di garanzia, non solo per le forze politiche, ma anche per le parti sociali.
Spesso vengono mosse critiche alla concertazione, alle trattative con le parti sociali e tra le forze politiche; ritengo, invece, che si sia forse perso qualche mese di più, ma che il confronto sia stato utile, perché non va dimenticato che abbiamo alle spalle otto o nove anni di discussioni su questo tema. È vero che si tratta di un piccolo provvedimento dal punto di vista dei risultati che produrrà, ma esiste anche una psicologia dei settori industriali e la rottura di un lungo silenzio può determinare un effetto positivo, anche perché ciò è stato fatto senza forzature, senza estremismi inutili.
Sicuramente si poteva fare anche di più e meglio, ma su questo le interpretazioni divergono: vi sono colleghi, impegnati nella Commissione attività produttive, che ritengono questo provvedimento ancora eccessivamente restrittivo; altri, invece, sono preoccupati per ragioni opposte. A me pare che una convergenza unitaria sia importante, perché garantisce tutti: ciascuno di noi, ogni parte politica vede mancare qualcosa in questo provvedimento, ma penso che sarebbe un errore emendare ulteriormente il testo. Credo che esso, come definito sulla base degli emendamenti presentati, possa giungere già nella giornata di domani ad una rapida approvazione, anche perché voglio ricordare che la stessa legge Bersani prevede che, se entro il 30 aprile non sarà concluso l'iter di approvazione, la materia potrebbe rientrare nel capitolo generale delle liberalizzazioni, mentre lo stesso legislatore l'aveva sottratta da tale ambito, evidentemente riconoscendone la particolarità, affidandola ad un provvedimento specifico. Non si tratta, infatti, di una merce come le altre, dal momento che ha più attinenza con la questione delle libertà. Ecco perché sarebbe errata una qualsiasi dilazione temporale.
Gli emendamenti presentati, quindi, a mio giudizio, rappresentano un punto di equilibrio importante ed essenziale. Il provvedimento eventualmente potrà essere affinato anche dal Senato, migliorato tramite decreti di attuazione, ma credo sia giunto il momento di licenziarlo. Per tali ragioni sollecito un voto positivo da parte di tutti noi, per motivi non solo di metodo, perché la motivazione della concertazione sarebbe insufficiente, ma anche di contenuto e di sostanza.
Penso che una conclusione positiva con il voto che mi auguro esprimeremo domani - e con ciò concludo, perché questo è il vero problema che abbiamo oggi di fronte - possa aprire decisamente la strada alla presentazione della proposta di riforma della legge n. 416. Chiedo al Governo di darci un'indicazione di tempi già in quest'aula; mi pare, infatti, che l'ordine del giorno parlasse di tre mesi, anche se in questo momento non ricordo nel dettaglio. Chiedo che, chiusa questa prima tappa, esso liberi la sua proposta e la discuta con le parti sociali e nella sede parlamentare con tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione. Si tratterebbe di un segnale molto importante, perché si concluderebbe l'iter di un provvedimento e si aprirebbe un percorso.
Credo che il 1999 possa e debba essere l'anno in cui licenziare definitivamente un progetto organico di riforma della legge sull'editoria, anche per prevenire gli elementi di crisi. Si tratta, infatti, di un settore con molte contraddizioni: da una parte, vi è una riduzione delle vendite, differenziata nei diversi comparti; dall'altra,
Ecco perché mi auguro che si possa arrivare ad un proposta che affronti - lo dico al Governo - alcuni nodi: in primo luogo, quello del credito agevolato in questo settore; in secondo luogo, quello della distribuzione locale e nazionale e, soprattutto, il passaggio graduale da una fase puramente assistenziale - che nessuna impresa, piccola o grande, vuole più - ad una volta a promuovere nuovo lavoro all'interno di questo settore, cioè a premiare anche l'ideazione, i soggetti, la capacità di proporre nuovi modi di essere all'interno della multimedialità e dell'editoria, che è sempre più di tipo anche elettronico. Si tratta, cioè, di guardare al lavoro da creare, ovviamente trovando una mediazione rispetto alla situazione attuale, che è molto complicata (da essa si potrà uscire con lentezza e senza estremizzazioni).
La proposta, mi si consenta di dirlo, dovrebbe avere la stessa ambizione di quelle del 1981. La prima legge sull'editoria fu la n. 416 del 1981, parzialmente rivista nel 1987. Il testo del 1981 non scaturì solo da incontri fra addetti ai lavori, ma creò grandissima attenzione nel paese e coinvolse imprenditori, organizzazioni sindacali, gli stessi autori, il mondo della cultura. Fu una grande questione: si ragionò sul fatto che la riforma avrebbe dovuto accompagnare la trasformazione tecnologica dei giornali italiani. Non occorreva solo saldare i debiti, ma era necessario anche creare nuove imprese attraverso la ricapitalizzazione e partendo dalle imprese esistenti (senza capacità di accumulazione nessuna impresa può investire ed acquisire nuovo lavoro).
Oggi abbiamo un problema simile: serve una legge che abbia quelle ambizioni culturali, quella forza e consenta la ricapitalizzazione del settore per reinvestire nel lavoro. Ecco il campo sul quale potremo misurare la nostra sfida. Non sarà facile, ma, proprio perché il settore parte dalla formazione dello spirito pubblico e della stessa identità nazionale nel contesto europeo, il problema non può essere affrontato senza ambizioni e senza la voglia di riprendere in mano questo processo di riforma, affrontandolo per riorganizzare il sistema editoriale del paese. Penso vi siano tutte le condizioni per farlo.
La fatica della scrittura e la fatica della lettura rappresentano un modo di essere della cultura che richiede promozione e valorizzazione. Conosco bene la situazione del settore televisivo e del mercato in quel comparto, ma non vorrei vivere in un paese che abbia una monocultura televisiva, nel quale la formazione e la crescita delle persone siano affidati all'agenzia televisiva come unico elemento di confronto: significherebbe avere un solo linguaggio, un solo alfabeto e rischiare in sostanza di essere semianalfabeti rispetto alla pluralità dei linguaggi esistenti. Ecco perché il rapporto con la scuola è fondamentale.
Il problema riguarda quindi una parte del vocabolario e dell'alfabeto, la capacità di conoscere le parole. La vicenda non può dunque svilupparsi soltanto in termini di accordo fra le corporazioni, il che sarebbe francamente poco appassionante. Il grande tema in discussione è invece il prodotto da offrire al cittadino e alla cittadina che leggono. Trovare un accordo di concertazione fra le categorie, cosa pure importante, non esaurirebbe questo tema, ben più ampio. Il percorso dovrà dunque essere segnato anche questa volta dal più ampio coinvolgimento di tutte le forze politiche e sociali.
Spesso, quando si riveste il ruolo di relatore, si riceve dalle forze politiche e
Ricordo che, appena entrato in questo palazzo - parlo di dodici anni fa -, una delle prime discussioni che dovetti affrontare, addirittura all'interno del mio gruppo parlamentare, con il collega Quercioli che si occupava di questo settore, riguardava proprio tale problematica; si trattava di discussioni animate e molto sentite.
Non dobbiamo dimenticarci che eravamo partiti da una idea nata in sede di federazione degli editori - la storia e la memoria hanno sempre un valore, purché non vengano usate strumentalmente -, quella di richiedere una norma che consentisse la liberalizzazione totale cioè, come si suol dire, la liberalizzazione selvaggia di tutti i prodotti editoriali: quotidiani, settimanali, periodici e libri.
Questa assurda richiesta veniva motivata - certamente in buona fede - dalla necessità di incrementare le vendite, perché già allora si parlava di crisi e di caduta delle vendite dei quotidiani; si volevano offrire ai virtuali, potenziali lettori, maggiori occasioni di acquisto al di fuori delle tradizionali edicole.
Ebbene, ho sempre ritenuto irrisorio - ed i risultati dei lavori della nostra Commissione ne sono una conferma - pensare di poter arginare la grave crisi dell'editoria in Italia semplicemente attraverso un indiscriminato allargamento del mercato, cioè dell'offerta; al contrario, anche per la mia personale esperienza (sono praticamente cresciuto in mezzo alla carta stampata; a 19 anni ho avuto la fortuna - qualcuno direbbe la disgrazia - di entrare in un giornale e di occuparmi per tutta la vita di quotidiani, settimanali e libri), ho sempre ritenuto che la crisi si potesse e si dovesse affrontare forzando di più sull'altro versante: non tanto su quello dell'offerta, bensì su quello della domanda.
Oggi una operazione del genere sarebbe completamente sbagliata, perché non incentiverebbe le vendite, se non in una misura estremamente esigua; anzi, distruggerebbe nel giro di pochi mesi la piccola e media editoria, che non è in grado di reggere le alte tirature che si renderebbero necessarie per coprire la nuova rete di vendita.
Come ha ricordato il collega Giulietti, le edicole in Italia sono oggi 38 mila e si prevedeva che i punti vendita, se si fosse
Grazie al lavoro svolto dall'onorevole Giulietti e dalla Commissione in sintonia con il Governo - cui occorre dare atto della collaborazione, non perché sono un deputato della maggioranza, ma perché si tratta di un dato oggettivo - è stato possibile trovare un punto di equilibrio che ha incontrato, sia pure con qualche resistenza e qualche incomprensione, il consenso delle categorie interessate, cioè gli editori e gli edicolanti.
La cosa importante di questo provvedimento è che esso ha un carattere sperimentale: nulla è dato per scontato e definitivo. Il giorno in cui esso sarà legge dello Stato, ci saluteremo e ci diremo reciprocamente: ci ritroviamo tra 18 mesi! Nel frattempo seguiremo la fase della sperimentazione di questa normativa.
Nel provvedimento si prevede inoltre la costituzione di una commissione paritetica, il che è un dato importante. Poc'anzi, in Commissione il sottosegretario ha precisato il carattere di questa commissione che non potrà operare centralmente e intervenire nelle singole realtà della periferia del nostro paese; essa dovrà vagliare, attraverso le commissioni a livello regionale (e successivamente a livello comunale), le singole richieste per le vendite al di fuori delle edicole al fine di evitare sovrapposizione dei punti che danneggerebbero non soltanto gli edicolanti (ciò è quanto gli editori non sempre hanno ben compreso) ma anche gli stessi editori.
Ci troviamo dunque dinanzi ad un provvedimento che definirei di grande buon senso, di grande intelligenza; un provvedimento che non poteva essere ulteriormente rinviato; se infatti - questo lo devono sapere tutti - esso non sarà approvato anche dal Senato in tempo utile, ossia entro la fine di aprile, entrerà in vigore la norma sulla liberalizzazione del commercio fisso, prevista dal cosiddetto decreto Bersani: il che sarebbe una vera sciagura non soltanto per gli edicolanti ma per l'intero settore editoriale.
Sono stati presentati, d'intesa con il Governo, degli emendamenti sui quali in linea di massima concordo anche se avrei preferito - lo dico perché rimanga agli atti - che fossero indicate le distanze minime, come noi avevamo in un primo tempo elaborato.
Voglio dire francamente in quest'aula, senza assumere atteggiamenti arroganti perché ciò non fa parte della mia cultura politica, che ormai viviamo in uno Stato dove, al di fuori dei luoghi deputati in cui dovrebbero essere assunte delle decisioni e maturate delle scelte, vi sono le cosiddette authority. Ora, già il fatto che esse vengano chiamate authority mi dà fastidio: perché non le chiamiamo autorità di garanzia?
Colgo l'occasione, sottosegretario, per aprire una piccola parentesi su una questione che desidero lei faccia presente al Presidente del Consiglio. Io abito in un vecchio quartiere di Torino, Borgo San Paolo. Un mio anziano coinquilino mi ha fermato durante le festività di Natale e mi ha detto: «Mi scusi, signor Novelli, mi può spiegare perché io, che da quarant'anni non uso più la stufa a carbone, debbo pagare la carbon tax?». Ero tentato di presentare una proposta di legge, ma poi vi era il rischio di essere accusati di sciovinismo. Perché il fiscal drag? A mio avviso, questo è anche un fatto di arroganza politica. Non tutti i cittadini, infatti, sono nelle condizioni di capire. Io non sono un fanatico, ma un difensore della lingua italiana. Abbiate pazienza, ma che possiamo dire di questa autorità di garanzia che decide cosa il Parlamento deve fare? Ciò mi sembra un'assurdità.
Ogni giorno, diciamo ogni settimana, signor sottosegretario, c'è qualche membro
Con tutto il rispetto che ho per questa authority (l'ho detto poc'anzi in Commissione e lo ripeto in quest'aula), vorrei rilevare che in seno alla Commissione attività produttive vi è stato un dibattito sul prezzo fisso dei libri; malauguratemente quel provvedimento è stato assegnato a quella Commissione anziché alla Commissione cultura. I libri non sono una merce! Vogliamo metterci in testa una volta per tutte che il libro non è mortadella?
Ricordo che con il cosiddetto provvedimento Bersani abbiamo «stralciato» le farmacie perché abbiamo riconosciuto al prodotto farmaceutico una precisa specificità. Non capisco perché non si debba fare lo stesso per il libro. Certo il libro, a differenza delle pasticche, delle supposte e delle gocce, non cura il mal di pancia, però «cura» la mente. Credo sia altrettanto importante valutarlo con la dovuta attenzione.
Sulla questione del prezzo fisso - argomento da riprendere, signor Sottosegretario - ci siamo trovati di fronte ad una - diciamo così - ottusa posizione della autorithy che ha affermato che il libro è una merce come un'altra e che quindi non vi può essere una legge che stabilisce il prezzo fisso. Su questo credo vada fatta una riflessione da parte di tutte le forze politiche. Esso non riguarda solo la maggioranza o l'attuale opposizione, anche perché, viste le attuali vicende politiche alle quali si sta assistendo in questi mesi e in queste settimane, vi è anche la possibilità di cambiamenti rapidi e repentini (cosa che io non mi auguro a scanso di equivoci).
Ciò detto, sarebbe mistificante - come ricordato dall'onorevole Giulietti - far credere che con questo provvedimento noi possiamo risolvere la crisi dei giornali in Italia. Infatti, ricordo all'onorevole Giulietti che notizia non ufficiale è quella che nel 1998 abbiamo toccato il punto più basso nel consumo dei quotidiani.
Signor Presidente e onorevoli colleghi, siamo arrivati alla cifra di 4 milioni e 800 mila copie vendute al giorno! Un solo quotidiano di Tokio vende quasi il doppio dei giornali venduti in tutta Italia. È questo un dato che ci deve far riflettere.
Non voglio fare richiami che potrebbero apparire di cattivo gusto in questi giorni in cui il nostro paese è scosso da vicende piuttosto drammatiche relative alla grande, media e piccola criminalità. Anche sotto questo profilo vi sono motivi di riflessione.
L'altro ieri è stato ucciso un ragazzo da alcuni suoi coetanei che gli volevano rubare il cellulare. Questi non erano dei criminali nati o patentati o ormai incalliti, ma erano dei semplici ragazzi, senza con questo volerli giustificare. Domandiamoci ora quanto costa allo Stato un ragazzo che finisce in un istituto penitenziario o in una casa come la Ferrante Aporti di Torino: mezzo milione al giorno!
Occorre dunque una riflessione su queste questioni. Infatti, uno dei problemi più drammatici che sta vivendo l'Italia è il lavoro, ma intimamente legato al problema del lavoro (e che potrebbe rendere possibile la sua soluzione) è il problema dell'istruzione, della formazione e dell'educazione.
Vero è che io sono un sostenitore del non intervento dello Stato nelle scelte culturali del cittadino ma, almeno al livello di base della formazione, senza offesa per nessuno, il nostro è un paese di semi-analfabeti. Vi è un analfabetismo di ritorno spaventoso. Vi è oltre il 50 per cento degli italiani che non ha conseguito la licenza della scuola dell'obbligo! Non mi stancherò mai di ripeterlo.
Nella mia città, a Torino, alla FIAT, a Mirafiori, il 72 per cento degli operai di Mirafiori non ha conseguito la licenza della scuola dell'obbligo che è a 14 anni, mentre alla Volkswagen l'84 per cento degli operai ha conseguito la licenza della scuola dell'obbligo che in Germania è a 17
Questi sono i problemi che dovrebbero assillare non solo le forze di Governo ma tutti coloro che siedono in quest'aula.
Qualche anno fa gli editori - li cito perché ho sostenuto una polemica tempo fa con il direttore del mio vecchio giornale dove ho lavorato per quarant'anni - speravamo nei gadget. A questi seguì un momento di euforia che ha comportato anche un certo quantitativo di vendite di copie in più ma non di lettori.
Riporto sempre l'esempio di casa mia, dell'edicola di Borgo San Paolo nei pressi dello stabilimento della Lancia.
Gli impiegati naturalmente il sabato non andavano a lavorare e c'era la pila dei gadget e di cassette: il giornalaio mi diceva che erano per gli impiegati della Lancia che li avevano prenotati e che l'avrebbero ritirati il lunedì. Quindi, quel giornale non era letto da nessuno: si è trattato di una forma drogata di vendita del quotidiano che si è andata esaurendo in uno spazio di tempo relativamente breve.
Dobbiamo allora tornare ad un discorso sul giornale come prodotto, come merce, come strumento d'informazione e di vita democratica, indipendentemente dalla testata. Nella mia proposta di legge sostengo l'introduzione della lettura del quotidiano come materia obbligatoria nelle scuole per un'ora al giorno. Non m'interessa la testata: può trattarsi de Il Secolo d'Italia come di Liberazione, per citare gli estremi. Un insegnante intelligente, con un giornale, può riuscire a fare una lezione di educazione civica, dove si trova di tutto, dall'economia alla storia, dalla geografia alle arti, fino alla vita quotidiana.
Ecco perché insisto su questo provvedimento organico. Il sottosegretario Minniti oggi in Commissione ci ha detto che si accontenta di tre mesi: dalle mie parti, in buon piemontese, si dice «esageruma nen»; io sono per l'understatement e, per non usare parole inglesi, riporto quelle piemontesi, appunto «esageruma nen». Non esageriamo: mi accontento dei tre mesi. Però in tre mesi dobbiamo presentare ed elaborare un provvedimento sul modello Bassanini, che contempli tutta la materia relativa all'editoria, anche il campo della finanza.
Questo è un altro problema che dovrete affrontare, Minniti: evviva la legge sui contributi ai giornali, ma vi rendete conto che buona parte dei contributi che lo Stato eroga alle varie testate se la «beccano» le banche perché devono anticipare i soldi che lo Stato versa con un anno o due di ritardo? Ma è possibile tutto questo? Con tutta la simpatia che ho per il presidente della Banca di Roma, dottor Geronzi, non riesco a capire perché il piccolo giornale al quale collaboro debba versare alcune centinaia di milioni l'anno per ingrassare la Banca di Roma: non ha nessun senso. Eppure non siamo riusciti a modificare i termini della questione. Ciò incide nei costi, per non parlare delle tariffe postali e telefoniche, dei servizi, della distribuzione: ormai siamo strozzati dal sistema distributivo per come è organizzato in Italia. Non parliamo neanche dei libri, perché si entrerebbe in un altro campo in cui solo qualche grande editore (sempre i soliti quattro) riesce a fare il bello e il cattivo tempo.
Per uscire da questo spaventoso vicolo cieco in cui si trova l'editoria italiana è necessaria ed urgente una legge quadro che affronti il problema nella sua globalità, partendo - Minnitti - dalla scuola, dall'educazione alla lettura, partendo addirittura dal preobbligo. Come ci insegnano gli studiosi dell'educazione, il carattere di un cittadino, di una persona, si forma tra i 3 e i 6 anni: e allora è necessaria l'educazione musicale, l'educazione artistica, la seconda lingua. Dobbiamo inculcare nei nostri cittadini - a differenza di quanto fa un certo modello televisivo cui si riferiva il collega Giulietti - la curiosità e non il pettegolezzo. Noi stiamo inculcando nel carattere e nel temperamento degli italiani il vezzo del pettegolezzo, che è cosa profondamente
Prima di tutto viene quindi l'educazione alla lettura, per finire con i problemi di carattere finanziario ed industriale. Concludo dando atto al sottosegretario Minnitti, che ha la delega per l'editoria, di aver dimostrato, anche nella relazione svolta davanti alla Commissione, di essere consapevole di questa necessità. Si tratta ora di vedere quali provvedimenti concreti il Governo adotterà nella sua collegialità ministeriale. Come diceva giustamente Giulietti, infatti, questo è un tema che interessa il Ministero del lavoro, quello della pubblica istruzione, quello dell'interno, quello di grazia e giustizia, quello del commercio. Deve essere un problema, quello dell'educazione, dell'istruzione, dell'informazione, che il Governo deve affrontare e risolvere. Vedremo quali provvedimenti assumerà, anche perché, a mio parere, non c'è molto tempo da perdere.
Non credo, come è già stato sottolineato dall'onorevole Novelli, che questo provvedimento possa risolvere tutti i mali che abbiamo ben presenti e che riguardano innanzitutto il limitato interesse per la lettura che si registra nel nostro paese, oltre alle difficoltà di espansione che le industrie editoriali incontrano in Italia. Tuttavia si tratta di un primo passo, non nel senso di una liberalizzazione totale, come è stato osservato, ma nel senso di una sperimentazione dell'ampliamento dei punti di vendita al solo scopo di far sì che gli italiani leggano un po' di più.
Sembra molto banale ma è estremamente complicato arrivare a questo risultato. L'attuale struttura editoriale è piuttosto antiquata; la legge n. 416 è del 1981 e in poco meno di vent'anni sono cambiate radicalmente le modalità di costruzione, se così mi posso esprimere, di un giornale, di un'opera editoriale. Oggi le aziende editoriali marciano verso la multimedialità richiamata dall'onorevole Giulietti, ma noi non abbiamo una predisposizione normativa in grado di regolare questo mercato in ebollizione e piuttosto effervescente sotto il profilo dell'innovazione. Peraltro è stato sottolineato che in Italia si legge poco, meno di cinque milioni di copie, secondo recenti dati ufficiosi, mentre i dati ufficiali forniti dalla Presidenza del Consiglio indicano sei milioni di lettori per il 1997. È una cifra assolutamente incredibile, se si considera il livello di alfabetizzazione del nostro paese e soprattutto se ci si riferisce al numero di copie di giornali che si vendevano alla vigilia della guerra di Libia nel 1911 - 5 milioni 400 mila copie di quotidiani - tenendo presente che la popolazione era la metà di quella attuale e in Italia vi era un tasso di analfabetismo che sfiorava il 70 per cento.
Secondo uno studio americano, nel 1995 sono state vendute 108 copie di giornali per mille abitanti, mentre nel 1996 la cifra è diventata addirittura inferiore, 105 quotidiani per mille abitanti. Se consideriamo, poi, che il 93 per cento delle vendite dei giornali in Italia avviene in edicola (mentre in altri paesi addirittura le cifre sono stravolte o, non esistendo le edicole, la vendita dei giornali avviene, ad esempio, esclusivamente tramite abbonamento postale), ci rendiamo conto dello stato di inciviltà - se così mi posso esprimere - della acquisizione dell'informazione nel nostro paese. Le cause sono molte ed è appena il caso di ricordarle.
Le tariffe postali strangolano la piccola editoria, il disservizio postale non induce i lettori ad abbonarsi se è vero, come è vero, che un quotidiano al 90 per cento - signor sottosegretario - viene recapitato dopo tre giorni dalla sua uscita. A pagarne le spese sono soprattutto i piccoli quotidiani che, naturalmente, puntano molto proprio sull'abbonamento, poiché non hanno la possibilità di essere contemporaneamente presenti nei 37 mila punti vendita del nostro incredibile paese. Uso l'aggettivo incredibile riferendomi a quanto sia impervio raggiungere i più piccoli centri. Dicevo che viene penalizzata soprattutto la piccola editoria, che non ha la possibilità di essere presente su tutto il territorio nazionale. Il non poter far conto, colleghi, sul servizio postale rappresenta una grave discriminazione per chi non ha altri modi per raggiungere i lettori.
Per quanto riguarda l'allargamento dei punti vendita, occorre considerare una serie di problemi inerenti la stessa materia; la questione va affrontata in un quadro generale, in maniera organica e integrale. Pur limitandoci al provvedimento al nostro esame, nella VII Commissione abbiamo cercato di seguire tale strada nel corso di quest'anno, da quando cioè abbiamo cominciato a discuterne. L'allargamento dei punti vendita non può essere quindi isolato da un contesto generale che prevede, ad esempio, una riflessione sulla cosiddetta vendita porta a porta, che mi pare oggi faccia i primi passi nel nostro paese, anche se in maniera approssimativa. Esso, inoltre, non può essere separato dalla diffusione del giornale nelle scuole, come è stato richiamato dall'onorevole Novelli, né da una riflessione complessiva - signor sottosegretario - su un certo neo-qualunquismo affiorante, soprattutto in alcuni grandi giornali che tendono a marginalizzare l'importanza della piccola editoria, sia essa di partito, sia di tendenza. Al riguardo, ho letto con sconcerto proprio ieri un editoriale di Eugenio Scalfari su la Repubblica che, a mio avviso, è il massimo della illiberalità culturale con la quale sono entrato in contatto negli ultimi tempi. Non si possono definire sprechi gli aiuti dello Stato alla piccola editoria, dimenticando che la grande editoria non di tendenza, non di idee, ma di puro e, peraltro, giustissimo scopo di lucro ha ottenuto, dalla fine degli anni settanta in poi, agevolazioni copiosissime dallo Stato, decine e decine di miliardi. Tutto ciò è insopportabile in un paese civile perché le idee devono avere la possibilità di circolare; se lo Stato non si fa promotore della diffusione della cultura e delle idee, anche senza invocare l'articolo 21 della Costituzione, credo che non adempia fino in fondo ad una delle sue funzioni fondamentali.
Questa discussione ci introduce a riflessioni che non potranno che portarci, onorevole Giulietti, ad inserire nella nuova legge alcune norme che colmino senza equivoci il gap che ogni tanto siamo costretti a denunciare.
Mi è molto dispiaciuto leggere ieri l'editoriale di Scalfari perché vi ho ravvisato una voluta ignoranza della materia. Infatti, l'ex direttore de la Repubblica avrebbe dovuto ricordare che, non più tardi della scorsa estate, la VII Commissione della Camera dei deputati riformò la legge del 1992, grazie alla quale i famosi due parlamentari potevano costituire, in qualche modo, il presupposto per la creazione di una azienda editoriale. Questo è stato un atto di coraggio del Parlamento:
Forse, allora, c'è dell'altro. C'è una sorta di rivendicazione di un certo monopolismo culturale ed informativo nel nostro paese a cui l'allargamento dei punti vendita vuole, in qualche maniera, rispondere; lo vuol fare però con giudizio, con moderazione, fissando alcune regole e dei paletti: ciò è stato quanto ha fatto sostanzialmente in questi mesi la VII Commissione.
Per quanto riguarda il calo del numero dei lettori, non credo, comunque, che tale problema possa essere arginato solo ed esclusivamente con un provvedimento di questo genere. Purtroppo, al di là dei punti vendita, sono altri i motivi che hanno generato una disaffezione dei lettori dei giornali, ma questa non mi sembra la sede adatta per un'analisi di questo tipo. Certo, esiste una monocultura televisiva a cui ha fatto riferimento l'onorevole Giulietti; ed esiste, altresì, una scarsa qualità del prodotto di cui fruiamo. Signor sottosegretario, non ho alcuna difficoltà a dire che talvolta molti giornali di informazione sembrano dei supplementi di patinati mensili pornografici: questo è un fatto che non testimonia certamente a favore del livello qualitativo di una certa editoria nel nostro paese.
Che esista anche un mercato dell'informazione per così dire drogato dai gadget è un altro dato di fatto su cui il mercato editoriale dovrebbe riflettere.
Farei torto ad altri colleghi, facendo di mestiere il giornalista, se entrassi nei particolari della questione della qualità del prodotto giornalistico. Tuttavia, mi sembra inoppugnabile quanto ha detto l'onorevole Novelli in merito ai giornali dediti molto più al pettegolezzo ed alle rivelazioni o al racconto del cosiddetto retroscena che a dare informazioni o a suggerire modelli culturali e sociali che possano essere recepiti anche dalle nuove generazioni. Ciò non vuol dire che i giornalisti debbano essere dei pedagoghi, per carità. Esistono comunque, dei parametri, che a mio modo di vedere sono stati completamente abbattuti, nel modo di immaginare il prodotto giornalistico negli ultimi tempi.
Se questo è il quadro generale, credo che l'ampliamento dei punti vendita dei giornali possa sicuramente facilitare una maggiore diffusione, ma gli editori, i distributori, i giornalisti, gli operatori a tutti i livelli devono avere ben presente il fatto che si tratta di uno strumento per veicolare merce delicata, che non è un salamino né una saponetta, come diceva l'onorevole Novelli. È per questo che, a mio modo di vedere, deve essere sottratta al regime complessivo della legge Bersani sulla liberalizzazione totale del commercio ed è per questo che la VII Commissione ha dimostrato (lavorando di concerto con le parti sociali, con gli interessati, insieme con il Governo) di non arroccarsi su alcuna pregiudiziale di ordine ideologico, tanto che quello al nostro esame non può più essere considerato un provvedimento del Governo, né un testo che ha recepito soltanto le proposte di legge abbinate: è invece un provvedimento della Commissione, quindi del Parlamento, al cui interno mi sembra ben diffusa la consapevolezza che la questione dei giornali, dell'editoria, della cultura dell'informazione è uno dei nodi sui quali bisogna riflettere con molta ponderazione.
L'accentuata liberalizzazione - è stato già detto - avrebbe da un lato distrutto la piccola e media impresa editoriale e dall'altro segnato la fine della rete esistente di punti vendita dei giornali: da qui la preoccupazione di procedere ad una liberalizzazione oculata, attraverso una sperimentazione preventiva, che durerà 18 mesi, dopo di che ci ritroveremo a confrontarci con i risultati ottenuti (se ci saranno stati, come tutti speriamo). Si
Non è questo, naturalmente, che nel bene e nel male qualifica il provvedimento di cui stiamo discutendo, ma è certamente singolare il fatto che un libero Parlamento debba avere tali lacci e lacciuoli derivanti da autorità, se così ci si deve esprimere, extraparlamentari completamente fuori controllo.
Sperimentazione dunque e non liberalizzazione. Trascorsi diciotto mesi dall'approvazione del provvedimento verificheremo che cosa di positivo esso abbia prodotto. Non si può certamente non convenire sul fatto che la garanzia della parità di trattamento per tutte le pubblicazioni - ciò non era previsto nel disegno di legge originario del Governo -, il coinvolgimento nel controllo degli enti locali, oltre naturalmente alle parti e al Governo, nella persona del sottosegretario con la delega per l'editoria, il regime sanzionatorio che, desidero ricordarlo, nel disegno di legge originario era molto più limitato - dopo le modifiche apportate dalla Commissione se non ci si adegua ai parametri stabiliti si viene cancellati dalla sperimentazione -, e la valutazione prevista dal terzo comma dell'articolo 2, che è molto chiaro e che non si presta ad interpretazioni di comodo o ad equivoci, qualifichino in maniera estremamente positiva il provvedimento in esame.
Esso, anche a mio modesto avviso, deve essere approvato entro il 30 aprile perché la prospettiva di farne confluire il contenuto nel provvedimento Bersani e di far considerare davvero i giornali, i prodotti dell'informazione e della cultura alla stregua di un salamino, di una mortadella, di una saponetta, francamente non è molto esaltante non soltanto per gli operatori del settore, ma per la dignità stessa della cultura e dell'informazione.
Concludo ricordando che il provvedimento in esame, così come presentato in Assemblea, non sarebbe stato possibile senza la fattiva collaborazione non soltanto degli uffici della Camera dei deputati ma anche di quelli della Presidenza del Consiglio e soprattutto del dottor Masi, che costantemente è stato vicino ai parlamentari di maggioranza e di opposizione nell'elaborazione di una normativa che fin dall'inizio appariva abbastanza difficoltosa e che, soltanto grazie alla buona volontà di tutti, credo venga condotta in porto con la soddisfazione delle parti sociali, dei parlamentari di opposizione e di maggioranza.
L'impegno che è stato profuso da tutti pone basi positive per il lavoro futuro; l'impegno del Parlamento è significativo anche per le sinergie tra maggioranza e opposizione, per la concertazione con le parti sociali e con tutti coloro che sono stati coinvolti. Esiste la volontà politica di arrivare ad una soluzione rapida; del resto, bisogna dare atto al sottosegretario Minniti, che è subentrato in corsa nella discussione di tale questione, di aver dimostrato l'impegno del Governo nell'affrontare una problematica di cultura e di democrazia, come sottolineato all'inizio dal relatore Giulietti e poi da altri colleghi.
Più informazione significa più partecipazione, e più partecipazione significa maggiore garanzia democratica per il paese. Le nuove norme per i punti vendita sono soltanto un piccolo tassello della futura riforma generale dell'informazione e dell'editoria, ma rappresentano un tassello vitale, fondamentale: la diffusione della parola scritta è importantissimo in un mondo che è monopolizzato dalla televisione.
Ha ragione l'onorevole Giulietti quando parla di monocultura televisiva: sono tra quelli, come lui del resto, nati e cresciuti nella televisione e ritengo che essa sia uno strumento straordinario di progresso, fino a quando non si ritorce contro l'uomo (evidentemente, allora, non è più progresso). Questo strumento non può, né deve, imporre una monocultura: sono semmai necessari una sinergia, un coordinamento tra diversi ambiti, l'uno necessario all'altro (televisione, informazione, scuola).
La televisione può fare molto per educare i giovani alla lettura e la scuola può fare la sua parte nell'usare immagine ed informazione per aiutare i giovani a capire non solo l'importanza della lettura, ma anche le modalità della lettura, l'uso, la prospettiva, le potenzialità della multimedialità. Tralascio il discorso dei contenuti, perché non possiamo affrontarlo in questa sede (si accennava prima, purtroppo, al pettegolezzo con riferimento ai contenuti dell'informazione); si tratta di suscitare nei giovani non soltanto la curiosità, il desiderio di informarsi come condizione per la partecipazione, ma anche la «studiositas», che è la condizione necessaria per la cultura. È allora il caso che, mentre si attende l'esito dell'anno e mezzo di sperimentazione, si provveda immediatamente a stipulare accordi da una parte con la Radiotelevisione italiana, dall'altra con Mediaset, per capire nel frattempo come possa incidere l'uso della televisione (evidentemente adeguato, non banale e tutto da studiare) anche sulla vendita dei giornali.
Altrimenti quanto ci si appresta a fare è assolutamente inutile, perché sono state già assunte delle iniziative: per esempio, ricordo che in una riunione con i professori e le famiglie nella scuola frequentata da mio figlio, un liceo importante di Roma, il Visconti, quando era in primo liceo, una professoressa ci sollecitò ad abituare i giovani alla lettura dei giornali; i ragazzi, per esempio, avrebbero dovuto preparare una sorta di resoconto stampa e comunque avrebbero dovuto leggere di più i giornali. In realtà, però, si è cominciata questa attività una volta e basta, mentre nei tre anni successivi non è più stato fatto nulla in questa direzione. Quindi, scuola, televisione, informazione insieme.
Tornando al provvedimento, aggiungo alcune brevissime considerazioni: dato per scontato l'assunto per cui un maggior numero di punti vendita equivale a più
È quindi necessaria una sperimentazione, una fase che faccia gradualmente capire come arrivare ad una maggiore liberalizzazione ed è importante che la liberalizzazione avvenga in un tempo prestabilito, tenendo conto delle diverse aree geografiche e dell'apporto rilevante degli enti locali. Questi ultimi, infatti, possono offrire un contributo notevole al fine di rendere più armonico il meccanismo di distribuzione: successivamente, il Governo ed il Parlamento trarranno dalla sperimentazione un'informativa e delle conclusioni più organiche.
L'altra questione rilevante riguarda la parità di trattamento: i punti vendita, infatti, dovranno trattare i prodotti allo stesso modo. Al riguardo, vanno presi in esame i problemi che possono sorgere nel momento in cui la sperimentazione avvenga dove non esiste la cultura del prodotto editoriale: temo, infatti, che esso possa essere marginalizzato. Ritengo essenziale, in conclusione, focalizzare l'attenzione su alcune questioni: la distribuzione; la necessità di avviare per ora una fase di sperimentazione e, successivamente, verificarne i contenuti, come del resto è stato detto oggi pomeriggio; l'opportunità di una regolamentazione complessiva del sistema, in relazione, in particolare, alla diversità dei prodotti venduti dalle edicole.
Il mio gruppo, come ho detto all'inizio, è favorevole ad un iter celere per il provvedimento in esame, considerando che una legge per regolamentare il settore è attesa da tantissimo tempo. Bisogna, però, ricordare che dobbiamo lavorare bene, ma, soprattutto, senza danneggiare chi da anni lavora con professionalità.
Onorevoli colleghi, per improrogabili impegni del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, le repliche del relatore e del Governo sono rinviate ad altra seduta.