Seduta n. 456 del 16/12/1998

Back Index Forward

Pag. 32


...
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 3194-B)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ricordo, affinché i colleghi possano regolarsi, che alcuni gruppi hanno a disposizione tempi ridottissimi; quindi credo che in 20-25 minuti questa fase dovrebbe essere conclusa.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Targetti. Ne ha facoltà.

FERDINANDO TARGETTI. Signor Presidente, ci accingiamo a votare la legge sulle fondazioni bancarie in terza lettura. Il Senato ha apportato alcune modifiche sulle quali vi è pieno accordo, come la previsione dell'incompatibilità fra le cariche di consigliere di amministrazione dell'ente conferente e di consigliere di amministrazione della società conferita. Altre modifiche non hanno, a nostro giudizio, migliorato il testo licenziato dalla Camera del disegno di legge delega.
Per chiarezza espositiva inserirò il giudizio sulle modifiche apportate dal Senato in un discorso organico sul provvedimento. Lo spirito originario della riforma sulle fondazioni (cosiddetta Ciampi-Pinza) consisteva nel raggiungimento di tre obiettivi.
Il primo ci è stato ricordato recentemente dal ministro Ciampi in Commissione finanze: trasformare le casse di risparmio, che erano banche ed istituzioni pubbliche, in banche-imprese ed ottenere attraverso dismissioni e concentrazioni bancarie maggiore efficienza in un settore che soffre di bassa competitività nei confronti dei concorrenti europei.
Il secondo obiettivo è stato meno enfatizzato, ma è di estrema importanza per l'assetto futuro del capitalismo italiano. Quest'ultimo sarà più robusto e più legittimato socialmente se chi investirà in un'iniziativa impiegherà denari propri e correrà il rischio di perderli; lo sarà meno se continuerà la nostra tradizione che vede capitalisti che governano le imprese - soprattutto le maggiori - con esiguo capitale proprio, ma protetti in qualche modo dalla concorrenza sul governo societario.
L'ultimo obiettivo è lo sviluppo del terzo settore, con la volontà di creare e sviluppare anche in Italia l'istituzione fondazione. Il paese si trova di fronte sia all'impegno - che gli deriva dal patto di stabilità - di mantenere costante la spesa sociale statale rispetto al PIL sia alla necessità di dare risposta concreta alle crescenti domande di intervento e di sostegno alle fasce più deboli della società. Come ci ha ricordato una volta di più il ministro Ciampi l'anno scorso in un'audizione davanti alla Commissione finanze, il conflitto tra questi obiettivi può essere risolto solo da un intervento crescente del terzo settore nel nostro sistema economico e sociale. Di questo le fondazioni dovrebbero diventare parte integrante e finanziariamente consistente.


Pag. 33


Circa il primo obiettivo, il ministro Ciampi nella sua recente audizione in Commissione finanze ha messo in evidenza alcuni fatti importanti, dei quali non possiamo che compiacerci. Innanzitutto, le maggiori fondazioni hanno spontaneamente alienato gran parte delle loro partecipazioni bancarie. In secondo luogo, il panorama del sistema bancario italiano in questi anni si è fortemente modificato e sono stati compiuti molti passi in avanti rispetto alla situazione precedente al Governo Amato (che per primo aveva affrontato il problema).
Tuttavia nel testo che tornava alla Camera in terza lettura rimanevano aperte alcune questioni. Se il processo di dismissioni ha fatto passi da gigante per qualche importante istituzione, per circa 80 fondazioni quasi nulla è mutato. In questo stato di cose il concetto di controllo basato sull'articolo 2359 del codice civile risultava restrittivo rispetto a quello che il Governo avrebbe potuto applicare con il decreto delegato; infatti alla Camera il concetto di controllo non è stato deliberatamente limitato all'articolo 2359 del codice, proprio per mantenere aperta la possibilità di adottare principi più stringenti e moderni, come per esempio quelli previsti dal testo unico bancario.
Veniamo, quindi, al secondo obiettivo. Che cosa succede se una fondazione aliena la sua banca ed entra nel nocciolo duro di una società?
Se da un lato è ovvio che le joint ventures tra imprese e banche miste dentro i noccioli duri di nuove grandi imprese private siano avvenimenti naturali, è altrettanto evidente che questa collaborazione debba riguardare la banca e non la fondazione ex bancaria.
Si noti che il rischio che può correre il capitalismo italiano non è quello che le privatizzazioni, in presenza di fondazioni senza partecipazioni di controllo, agevolino i soliti noti, ma esattamente il contrario e cioè che le privatizzazioni vengano fatte dai soliti noti, che mettono poco capitale e stringono alleanze con le fondazioni per evitare scalate.
Veniamo al terzo obiettivo della riforma: lo sviluppo del terzo settore, al quale il paese guarda con grande attenzione.
Un chiarimento iniziale si imponeva sul significato della modifica dell'articolo 2, comma 1, laddove il Senato ha inserito la promozione dello sviluppo economico tra gli scopi delle fondazioni.
Innanzitutto, andava escluso che si trattasse di finalità perseguite con l'investimento del patrimonio delle fondazioni. Il fine dell'investimento del patrimonio deve essere la massimizzazione del reddito sotto il vincolo dell'integrità patrimoniale e nessun altro criterio.
Se la finalità di promozione dello sviluppo viene, invece, perseguita non con il patrimonio ma con il reddito, si davano due casi, che non erano chiariti dal testo del Senato: il primo consiste nell'investimento della quota, la cui destinazione non è vincolata alle destinazioni statutarie e, in tal caso, l'inserimento compiuto dal Senato è superfluo; il secondo riguarda l'investimento del reddito relativamente alla quota a destinazione vincolata.
Poiché il testo non era preciso, c'è spazio per chiarire nei decreti delegati che il 50 per cento del reddito da destinare alle finalità istituzionali è quello lordo: questo è quanto il Governo, ora, si è impegnato a fare escludendo, inoltre, che la fondazione possa investire il proprio reddito direttamente nelle imprese, ma soltanto in imprese che offrano attività di promozione economica.
Questa chiarificazione è stato il frutto, molto positivo, del nostro impegno in terza lettura.
L'ultima modifica apportata dal Senato riguarda l'articolo 2, comma 2, laddove si riduce il reddito - da destinare obbligatoriamente alle finalità statutarie - al 50 per cento del reddito al netto delle spese di funzionamento, degli oneri fiscali e degli accantonamenti a riserve obbligatorie.
Questa modifica avrebbe potuto ridurre di molto il reddito disponibile per finalità statutaria delle fondazioni; fondata era, quindi, la preoccupazione circa


Pag. 34

il vincolo di bilancio e la minimizzazione dei costi, dai quali sarebbero stati sottratti gli organi amministrativi delle fondazioni, se fossero stati tenuti ad investire solo il 50 per cento del reddito che residua, dopo aver compiuto le spese da loro attribuite alla gestione.
Il combinato disposto di questa modifica e di quella relativa all'inserimento dello sviluppo economico nelle finalità delle fondazioni, qualora fosse stato inteso nel senso relativo all'impiego della quota di reddito vincolato, avrebbe avuto l'effetto di ridurre considerevolmente la possibilità che questa riforma consegua l'obiettivo dello sviluppo del terzo settore e delle fondazioni come importante sua parte costituente.
Il risultato non è di poco conto: grande è infatti l'attesa di una consistente parte delle forze politiche - e, sicuramente, dei democratici di sinistra alla Camera -, dei movimenti che operano nel terzo settore e nel volontariato, dei sindacati, del mondo della cultura e della scienza che le legittime domande, che provengono da questi settori, siano soddisfatte dall'attività delle fondazioni riformate dalla legge.
Di fronte a noi erano presenti due strade: una era quella di dare un voto che avesse l'obiettivo di rinviare al Senato il provvedimento, con la soppressione delle modifiche relative alle spese di gestione e allo sviluppo economico e con il ripristino del concetto ampio di controllo; l'altra è stata quella di chiarire alcuni punti oscuri - che, come ho cercato di mostrare, originavano dal testo uscito dal Senato - e di chiedere al Governo un ordine del giorno, che per le modalità in cui è stato proposto e accettato ha un notevole valore politico.
Il ministro del tesoro si è impegnato, infatti, nella sua audizione presso la Commissione finanze e attraverso l'accettazione dell'ordine del giorno avente come primo firmatario l'onorevole Agostini, a tradurre, nei decreti delegati, lo spirito originale della riforma e cioè, innanzitutto, ad ampliare il concetto di controllo alle ipotesi di partecipazioni maggioritarie anche unitamente ad altre fondazioni, ai patti di sindacato, in sostanza ai casi previsti dal testo unico bancario.
Ciò, in relazione sia al controllo delle fondazioni sulle banche, sia a quello che esse potranno esercitare in qualsiasi impresa che non sia del tipo previsto dai fini istituzionali.
Va considerato, poi, che viene esplicitato che la spesa per lo sviluppo economico è dedotta dal reddito residuo e limitata alla finalità dello sviluppo economico e alla prestazione di servizi strumentali, escludendo la finalità del finanziamento alle imprese.
Il sottosegretario Pinza ha affermato, l'altro ieri, in sede di discussione sulle linee generali quanto segue: «Nessuno ritenga di potervi ravvisare l'esercizio diretto di impresa di tipo economico (...)».
Infine, tenuto conto che la delega prevederà tra i principi sul rispetto dell'economicità della gestione, criteri obiettivi e corretti di determinazione delle spese, in modo che le risorse che le fondazioni devono destinare alle finalità istituzionali non vengano dissipate da comportamenti scorretti, tenuto conto di tutto questo, dicevo, il gruppo dei DS esprimerà un voto favorevole su questo provvedimento di legge (Applausi dei deputati del gruppo dei democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ballaman. Ne ha facoltà.

EDOUARD BALLAMAN. Presidente, anzitutto vorrei ringraziare tutti i colleghi perché i due anni trascorsi a lavorare sul testo di legge al nostro esame vogliono dire che è un testo su cui si è meditato a lungo, anche se a nostro avviso la soluzione migliore sarebbe stata quella di bocciare l'intero provvedimento.
Ringrazio ancora i colleghi e soprattutto lei, Presidente, specialmente oggi per le continue interruzioni (le assicuro, necessarie), che ho dovuto fare nel corso del dibattito.
Sicuramente quello delle fondazioni è un tema molto importante. Vorrei anzi


Pag. 35

tutto sottolineare l'aspetto del localismo e di queste proprietà che sono state acquisite nel corso di decenni, talvolta nel corso dei secoli, e che sono, anzi che erano, proprietà delle comunità. Queste ultime hanno deciso di fare l'attività bancaria proprio per contrapporsi a quelle attività private che molto spesso si trasformavano in un vero e proprio strozzinaggio. Ebbene, tale connotazione localistica è stata via via snaturata prima con le stesse fondazioni e adesso dicendo a queste ultime praticamente di dismettere l'attività bancaria.
Guarda caso, proprio lo Stato che per decenni ha dato con la sua attività esempio di insipienza nella gestione del settore bancario (ne sappiamo qualcosa avendo visto come sono state gestite le banche pubbliche), si permette di andare ad indicare a gente che è sul mercato da secoli come e cosa deve fare. Questo aspetto è veramente tragico. Da tale punto di vista comunque riconosco un interesse ben più specifico e che sicuramente va contro quello dei cittadini.
Ebbene, con quest'operazione (stiamo parlando di fondazioni il cui valore si aggira sui 70 mila miliardi) si darà una grossa opportunità a facoltosi gruppi economici di prendere con qualche manciata di miliardi percentuali sufficienti per poter comandare in queste banche.
Vedo in quest'operazione quasi una «tangente» e questo perché, guarda caso, i grossi gruppi economici sono quelli che controllano almeno alcuni dei media e che sull'argomento hanno messo molto spesso la sordina.
Vedo poi un'altra di quelle «tangenti» che sono state portate avanti; mi sto riferendo all'IRAP che, fatti i conti, va a penalizzare i piccoli produttori e favorisce la grande impresa con uno sgravio intorno ai 20 mila miliardi.
In questo caso a beneficiarne saranno soltanto i grossi, i grossissimi gruppi che potranno assicurarsi piccole percentuali che tuttavia consentiranno loro di controllare anche il settore del credito a danno di coloro che hanno costruito queste realtà nel corso del tempo.
Da parte del Governo, anzi della maggioranza, vi è sicuramente una volontà ben definita. Ricordo un articolo del capogruppo dei DS Salvi (pubblicato su Il Sole 24 Ore), che vedeva in quest'opportunità di vendere, la possibilità di intascare soldi da destinare ancora, guarda caso, alle infrastrutture del sud, e sappiamo per quanti decenni siano stati spesi soldi in maniera completamente infruttifera! Da un lato si vuole togliere alle comunità locali e dall'altro ci si vuole ingraziare i grandi potentati economici che controllano i media ed avere disponibilità per il solito assistenzialismo verso il sud. Proprio per questi motivi noi non possiamo che essere contrari, senza dover far riferimento al centralismo imperante, già fatto in precedenti discussioni, che ancora mira a controllare questi soggetti in tutto e per tutto. A questo punto, però, pongo alla Presidenza un problema di natura procedurale.
Signor Presidente, lei ha fatto una premessa, ribadendo giustamente che la legge-delega deve comunque rispettare tutto il dispositivo legislativo. Ritengo che si debbano tenere in considerazione anche quegli aspetti che non hanno prodotto un ordine del giorno o il testo legislativo stesso, ma che rappresentano elementi di indirizzo. Mi riferisco agli emendamenti bocciati dall'Assemblea che devono essere intesi come atti di indirizzo. Dunque, ritengo che anche la bocciatura di questi emendamenti, decretata dall'Assemblea, debba essere tenuta nel dovuto rispetto al pari del dispositivo legislativo. D'altra parte mi pare scontato che abbia molto più valore un emendamento respinto piuttosto che un ordine del giorno, e ancora di più nel caso dell'ordine del giorno Agostini n. 9/3194-B/14, che non risulta neanche votato dall'Assemblea.
Naturalmente, per le motivazioni anzidette, annuncio il voto contrario del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania sul provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).


Pag. 36

PRESIDENTE. Onorevole Ballaman, sono d'accordo con lei quando afferma che un voto che respinge un emendamento è anche un voto di indirizzo al Governo a non riprodurre, nell'esecuzione della delega, l'emendamento bocciato. In quel caso, infatti, noi supereremmo un elemento formale del nostro regolamento quello che stabilisce che non possono essere posti in votazione ordini del giorno che riproducano il contenuto di emendamenti respinti. Sono pertanto del tutto d'accordo con lei: anche la bocciatura di un emendamento è un elemento di indirizzo per il Governo.

EDOUARD BALLAMAN. Chiedevo se fosse possibile riportarlo in quel testo di cui lei aveva parlato in premessa.

PRESIDENTE. Il tempo ha purtroppo un suo fluire. Non si può tornare indietro, ma devo dirle che non è neanche necessario ribadirlo più volte. Lo diremo nuovamente nelle prossime comunicazioni, poiché è senz'altro utile sottolinearlo.
Ribadisco che un emendamento bocciato è anch'esso un indirizzo perché impedisce al Governo di riprodurne il contenuto. E se esso fosse riprodotto in un ordine del giorno, esso non sarebbe ammissibile in quella parte.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carlo Pace. Ne ha facoltà.

CARLO PACE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in Parlamento le cortine fumogene non giovano né all'assunzione di decisioni responsabili né alla comprensione da parte dei cittadini delle decisioni parlamentari e quindi, in ultima analisi, al loro attaccamento alle istituzioni.
Nel caso del disegno di legge sulle fondazioni bancarie che è giunto in dirittura di arrivo, per motivi non ben chiari, ma forse non del tutto disinteressati, l'informazione sui lavori parlamentari e sugli argomenti addotti a sostegno delle varie posizioni è stato davvero carente e unilaterale. Con ciò non intendo riferirmi soltanto al sistematico silenzio che gli organi di informazione riservano di solito all'attività dell'opposizione, quanto e soprattutto al silenzio che ha avvolto anche le argomentazioni e le osservazioni critiche che provenivano da spiriti liberi nello schieramento governativo.
Si giunge al punto che l'opinione di Francesco Forte che, quanto meno dal punto di vista accademico non può essere considerato l'ultimo venuto, ha trovato ospitalità sul Giornale soltanto a pagina 15.
La quantità di fumogeni che è stata sparsa rischia di confondere e condizionare negativamente anche le decisioni dei parlamentari. È evidente, quindi, l'opportunità di cercare di contribuire alla chiarezza, sia pure richiamando l'attenzione su aspetti che ritengo siano ben noti ai più.
Il primo punto che va sottolineato riguarda l'origine delle fondazioni e dei loro patrimoni. Le fondazioni, salvo eccezioni minori, appartengono a due tipi. Uno è quello delle fondazioni costituite per libera scelta di individui che si sono associati ed hanno conferito il loro denaro per formarne il fondo di dotazione. Così è appunto nata la maggior parte delle casse di risparmio dell'Italia centro-meridionale. Poi, ovviamente, se gestite in maniera non disastrosa, il loro patrimonio si è incrementato grazie all'accumulazione di parte degli utili, oltre che grazie a non infrequenti lasciti di benefattori, di persone che pensano al bene collettivo. Poiché il patrimonio è sopravvissuto ai fondatori, la continuità degli associati è stata assicurata dal meccanismo della cooptazione.
Il secondo tipo di fondazioni bancarie comprende quelle che sono state costituite da enti locali che hanno provveduto a costituirne il fondo di dotazione a loro carico: questa è la modalità adottata largamente nell'Italia settentrionale. Anche in questo caso il patrimonio si è andato accrescendo grazie all'accumulazione di parte degli utili, ma anche con l'apporto di contribuzioni di privati. Ed è naturale che gli amministratori venissero designati dagli enti fondanti; non vi è


Pag. 37

quindi nulla di scandaloso se i soci si perpetuano per cooptazione nel primo tipo di fondazioni, in conformità con il codice civile, e se nel secondo le designazioni sono di competenza degli enti locali.
È stato semmai scandaloso il fatto che per porre fine all'imposizione di un presidente di nomina governativa si sia dovuto attendere l'esito di un referendum popolare. Va chiarito una volta per tutte che la legge Amato non ha inventato le fondazioni; ne ha invece soltanto separata l'attività bancaria.
Le modalità secondo cui i patrimoni delle fondazioni si sono formati ed accresciuti e gli scopi di contrasto all'usura e di protezione del risparmio delle classi deboli dimostrano inoltre che, se la legge in corso di approvazione opera una forzatura, questa non consiste certo nel consentire alle fondazioni - come, grazie alle modifiche apportate dal Senato, potrà avvenire - di continuare ad essere promotrici dello sviluppo economico locale, quanto piuttosto nello stabilire per legge quali siano i settori delle attività consentite.
Le altre principali correzioni che opportunamente il Senato ha apportato al testo del disegno di legge riguardano la definizione del reddito che le fondazioni debbono devolvere ai fini istituzionali ed il divieto di detenere partecipazioni di controllo nelle banche. In entrambi i casi la ragione per la quale il Senato è dovuto intervenire sta nel fatto che la Camera aveva licenziato un testo ambiguo che non precisava il concetto di reddito né quello di controllo. Non si è trattato certamente di una disattenzione, poiché l'opposizione aveva proposto di modificare il testo proprio per precisarlo meglio.
Si deve considerare che si comprometterebbe la conservazione nel tempo dei patrimoni se le fondazioni dovessero distribuire una quota del reddito maggiore di quella risultante dopo il pagamento delle imposte e gli accantonamenti resi obbligatori. Se si fosse accettata la nostra proposta di far riferimento al reddito netto disponibile, non si sarebbe resa necessaria alcuna ulteriore modifica.
Oggi qualcuno grida allo scandalo agitando lo spettro di amministratori che pensano solo ai loro emolumenti, che utilizzando le modifiche recate dal Senato potrebbero farli lievitare a loro vantaggio, facendo lievitare anche le spese di funzionamento. Credo che il pericolo in realtà non sussista ma in ogni caso in materia potrebbe intervenire l'autorità vigilante. Se non avessi temuto di intralciare l'iter di un provvedimento atteso da fin troppo tempo per dare impulso alla necessaria ristrutturazione del nostro sistema bancario, avrei proposto che per gli emolumenti venisse fissato un tetto pari alla metà degli emolumenti dei componenti delle varie authority dell'energia, delle telecomunicazioni, della concorrenza e dei mercati, della Borsa; o, per essere più parsimonioso, avrei proposto di stabilire che gli emolumenti degli amministratori delle fondazioni non possano superare la metà del trattamento pensionistico che si sono assicurati i membri delle authority.
Anche nel caso della definizione del controllo, la Camera è rimasta nel vago. La definizione adottata dal Senato non è altro che quella che avevamo proposto alla Camera: essa comprende tutte le partecipazioni di controllo anche se operate in via indiretta, poiché l'articolo 2359 del codice civile prevede anche quest'ultimo tipo di controllo.
Problema diverso è se si debba pretendere che le fondazioni deleghino terzi a gestire il loro patrimonio o se possano provvedervi direttamente. Confondendo le acque si afferma, da parte di qualcuno, che il Senato abbia introdotto una possibilità esclusa dal testo varato in prima lettura dalla Camera. Ciò non risponde al vero perché, a parte le partecipazioni delle banche, il testo della Camera nulla aveva detto per limitare la capacità di agire delle fondazioni nella gestione del loro patrimonio.
Se si pensa, però, che i titolari dei patrimoni non debbano gestirli e debbano invece affidarli in gestione ad altri, verrebbe di chiedere quale ragione giustifichi il fatto di dettare una regola soltanto per


Pag. 38

un tipo di titolare, le fondazioni bancarie, e non anche per ogni titolare di pacchetti azionari che non gestisca direttamente un'impresa.
Faccio questo rilievo non perché desidero privare i titolari dei patrimoni del loro diritto di disporne in conformità con il loro giudizio ma, più semplicemente, per sottolineare quanto poco fondata sia la pretesa di considerare le fondazioni come soggetti incapaci di gestirsi. Tuttavia, il rilievo che ha fatto maggior scalpore, per la fonte che se ne è fatta portavoce indiretta, è quello relativo alla distorsione della concorrenza che le fondazioni potrebbero attuare disponendo di un trattamento fiscale agevolato, ove decidessero di impiegare il loro patrimonio in partecipazioni di rilievo e trasferissero vantaggi fiscali alle società partecipate, potenziandone il capitale.
Si deve essere preoccupati della superficialità con cui detta sentenze un soggetto che, prima di essere autoritario, dovrebbe cercare di mantenere l'autorevolezza conquistata nei tempi in cui fu presieduto da persone del calibro del compianto presidente Saia e del professor Amato. Ciò per almeno due motivi: in primo luogo, perché i prezzi corrisposti per le sottoscrizioni e gli aumenti di capitale non potranno superare quelli di mercato e ciò impedisce il trasferimento di vantaggi fiscali; in secondo luogo, perché il meccanismo della concorrenza funziona male se vi sono soggetti (come purtroppo ve ne sono tanti in Italia) che, con un limitato capitale proprio, controllano e gestiscono imprese di notevoli dimensioni senza minimamente avvertire il pericolo di essere soppiantati.
La maggior parte delle nostre società per azioni non sono oggetto di contesa per il concorso di due fattori: la limitata dimensione del flottante e l'inesistenza di soggetti dotati di risorse sufficienti per costituire potenziali scalatori.
Mi rendo conto che è vano pretendere che queste cose siano comprese da chi non ha interesse a farlo o da chi, essendosi convertito troppo di recente alle economie di mercato, non si rende conto che la concorrenza non si favorisce spezzettando i grandi in minuscole parti, bensì favorendo la formazione di poteri contrapposti e bilanciati.
Respingiamo perciò al mittente ogni accusa di statalismo - non importa se mossa da motivi strumentali o da mera ingenuità - consapevoli come siamo di avere operato con qualche successo, proprio per evitare che la nuova disciplina delle fondazioni bancarie fosse squilibrata in senso eccessivamente dirigista e per favorire, invece, l'evoluzione in senso liberista del nostro sistema economico e finanziario.
Nel concludere, desidero ringraziare i colleghi e, in particolare, la collega Armosino, il collega Ballaman e anche - se non si dispiace - il collega Teresio Delfino, per l'apporto che hanno dato alla comune battaglia che abbiamo condotto in Parlamento nel corso della prima lettura. Desidero anche rivolgere un ringraziamenti ai senatori Grillo del gruppo di forza Italia e Pedrizzi del gruppo di alleanza nazionale che al Senato hanno continuato con successo la battaglia...

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Carlo Pace. È andato molto oltre il tempo.

CARLO PACE. Signor Presidente, sono anche relatore!

PRESIDENTE. Sì, ma il tempo per le dichiarazioni di voto è di dieci minuti, lei è già a dodici, pertanto la prego di concludere il suo intervento.

CARLO PACE. Concludo sottolineando che l'atteggiamento assurdo tenuto dal Governo nei confronti degli ordini del giorno, non solo del nostro ma anche di quelli di altri gruppi, anche se giustamente temperato dalle considerazioni e dai chiarimenti che lei ha fornito, signor Presidente, non ci consente di andare oltre un voto di astensione, consapevoli come siamo che un voto contrario bloccherebbe un processo che il paese, il sistema creditizio e quello finanziario,


Pag. 39

attendono invece da tempo (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Repetto. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO REPETTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i deputati popolari guardano con soddisfazione alla conclusione dell'iter legislativo del disegno di legge delega sugli enti conferenti. Tralascio un commento più generale, già espresso in termini di valutazioni complessive in occasione della prima lettura del provvedimento, per soffermarmi su alcuni aspetti oggetto di un vasto dibattito negli ultimi tempi.
In particolare vorrei sottolineare che le modifiche apportate dal Senato non tradiscono lo spirito della legge ma in taluni casi lo rafforzano. L'ampliamento degli scopi all'attività di promozione dello sviluppo economico va incontro a sollecitazioni, peraltro pervenute nel corso della prima lettura del provvedimento. Allora non fu possibile raggiungere un punto di convergenza nell'equilibrio tra maggioranza ed opposizione. Vorrei sottolineare, però, che in maniera trasversale vi fu già in quella occasione una sollecitazione in tal senso.
Da più parti sono state avanzate critiche riferite ad ipotesi e ad intenzioni piuttosto che ad una concreta operatività delle fondazioni. Si è taciuto il ruolo virtuoso che molte di esse hanno avuto nel contesto dell'economia italiana, in particolare negli ultimi anni. Relativamente ad uno dei punti più controversi, cioè la funzione di controllo, ritengo che la formulazione adottata dal Senato, che fa riferimento agli articoli 23 e 59 del codice civile, sia ampiamente sufficiente a garantire un patto chiaro di governabilità e di trasparenza.
Il riferimento ad altre forme di controllo può, limitando fortemente l'operatività delle fondazioni bancarie, portare nella sostanza ad obiettivi non voluti, quale ad esempio una maggiore facilità di destabilizzare il sistema bancario italiano, che potrebbe essere facilmente acquistato, a prezzi di saldo, da investitori esteri e dai soliti noti del capitalismo italiano. Ciò avverrebbe con estrema soddisfazione di Mediobanca: basti vedere in questi giorni la campagna di stampa del Corriere della Sera e de Il Sole 24 Ore. Per tale motivo i deputati popolari non hanno sottoscritto l'ordine del giorno Agostini n. 9/3194-B/14: anche le migliori intenzioni possono provocare effetti non desiderati.
In conclusione, ritengo che questo disegno di legge delega sia un buon provvedimento e possa ulteriormente sollecitare le grandi trasformazioni di cui il sistema bancario necessita. Per i motivi sopra esposti, a nome dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo, annuncio il voto favorevole al provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo, dei democratici di sinistra-l'Ulivo, comunista e misto-rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Taradash. Ne ha facoltà.

MARCO TARADASH. Signor Presidente, mi permetta innanzitutto di ringraziare il gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania per la generosità dell'offerta e il gruppo di forza Italia che mi ha consentito, altrettanto generosamente, di usufruire di tempi di cui altrimenti non avrei potuto avvalermi in questo tentativo di sottoporre all'Assemblea una serie di dubbi sul provvedimento in esame. Forse ha ragione il collega Carlo Pace, che stimo molto e del quale mi onoro di essere amico, quando mi rimprovera di ingenuità. Forse è vero, perché non capisco come mai il collega Agostini, che ha espresso le riserve più forti al testo in esame (e di cui è anche relatore), voti a favore, mentre il collega Carlo Pace, che ha fatto una dichiarazione di entusiastica adesione alle modifiche introdotte dal Senato, si astenga. Non lo capisco. Non capisco neppure, colleghi e amici, come si


Pag. 40

possa ritenere che le fondazioni oggi siano le stesse che erano nelle intenzioni di chi creò le casse di risparmio, dei benefattori, di coloro che fecero elargizioni o lasciti.
Oggi, infatti, la realtà dello strumento che il Parlamento inventa è diversa; oggi lo strumento inventato è una cassaforte gestita da amministratori i quali, per una percentuale che oscilla fra il 60 ed il 70 per cento, sono emanazione indiretta di partiti politici (perché si passa attraverso la provincia, la regione o la Camera di commercio), ma ne sono poi emanazione diretta, come si legge sulle cronache, nel momento in cui si va alla designazione: io do un assessore ad un certo gruppo e in cambio passo ad un gruppo diverso un consiglio di amministrazione nella fondazione bancaria. Questo, cari colleghi, è lo strumento che andiamo ad inventare e, dato che questo è lo strumento, è chiaro che il Senato ha dovuto introdurre delle modifiche. Forse che il sistema dei partiti prende in mano una cassaforte con 70 mila miliardi e poi fa beneficenza e basta? Certo, anche la beneficenza ha i suoi ritorni. In un paese, in una città, versare qualche decina di miliardi in beneficenza può significare un bel riscontro anche di carattere elettorale e clientelare. Su questo non c'è dubbio e per tale motivo una parte del paese ha detto «no» all'istituto delle fondazioni bancarie. Se si trattava di soldi delle comunità, venissero restituiti integralmente, tutti in una volta, alle comunità stesse, in modo che non resti poi un meccanismo che distorce tutto quanto.
In realtà non si sono voluti restituire soldi alle comunità od ai privati che avevano fondato queste strutture; si è voluto tenere in piedi la cassaforte e, dato che la beneficenza non soddisfa che l'anima, si è voluto cominciare a soddisfare anche il corpo. Quindi, promozione dello sviluppo e partecipazione alla vita economica del territorio: un ben altro genere di ritorni politici per questa cassaforte.
Amici, questa è la realtà dei fatti e tra qualche tempo o tra qualche anno ci misureremo con essa. Succede e spesso succede al Polo - devo dirlo - di votare in Parlamento secondo un dato orientamento e poi di promuovere o di invitare alla promozione di referendum contro leggi che sono state votate in un certo modo. Credo che il Polo se ne renderà conto, perché mentre una parte della sinistra ritiene di dover smantellare questa struttura, nonostante ne riceva dei vantaggi (lo ritiene in modo del tutto velleitario, tant'è che ha prodotto questo provvedimento), il centro-destra - che difficilmente in queste occasioni riesco a chiamare Polo delle libertà, sicuramente, in questo caso, non Polo delle libertà economiche - si accorgerà che la gestione dei 70 mila miliardi non è nelle mani sue, ma in quelle dei suoi avversari in Lombardia, nel Veneto e spesso anche nel meridione (ma i soldi stanno in Lombardia e nel Veneto). Il Polo si renderà conto di aver fatto un bellissimo regalo ai propri avversari e di aver dato in mano ai propri avversari (sicuramente beneficiando ogni tanto anche di qualche ristretto vantaggio politico, perché le fondazioni fanno beneficenza) la gestione della cassaforte.
A me, però, interessa meno chi gestisce la cassaforte. La questione è che, secondo me, le casseforti pubbliche debbono scomparire dalla vita economica e dal mercato di questo paese. Non si può contrapporre ad una distorsione di mercato, che nasce da regole che hanno sempre favorito quelli che vengono chiamati poteri forti semplicemente perché sono blindati (ma poi non reggono nessuna concorrenza internazionale), ad una distorsione di tipo economico, che rende velleitario il mercato di questo paese, una distorsione politica che dovrebbe correggere la distorsione economica, per cui ai poteri blindati dell'economia si aggiungono poteri blindati dai partiti, che tanto poi fanno compromessi. Abbiamo visto, colleghi, dove sono intervenute le fondazioni: nella Telecom ed oggi hanno comprato le obbligazioni della Pirelli. Sapete a quanto hanno acquistato queste obbligazioni? Qualcuno ci ha detto come sono stati spesi questi soldi, quale sarà il ritorno per la collettività? Qualcuno ci dice perché la


Pag. 41

Cariplo investe quasi esclusivamente fuori dal nostro paese, con advisor, con investitori istituzionali di altri paesi? Qualcuno ce lo spiega? In realtà, i redditi derivanti da soldi spesi altrove torneranno e saranno investiti in Italia in funzione degli interessi politici del sistema dei partiti.
Cari colleghi, questo è il quadro della situazione. È per questo motivo che confermo, nonostante abbia avuto finalmente, anche se tardivamente, la possibilità di cominciare un primo confronto anche all'interno delle forze di opposizione su questo tema, le ragioni del voto negativo (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bonato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BONATO. Onorevoli colleghi, siamo arrivati all'ultimo atto del provvedimento sulle fondazioni bancarie, dopo circa due anni dai suoi primi passi. Il nostro è un giudizio fortemente e pesantemente negativo per il merito dell'articolato e per la filosofia di un provvedimento che, non potendo essere separato da tutti gli altri di carattere economico (passati, presenti e futuri) e dalla chiara scelta di campo compiuta da questo Governo che, con una ulteriore accelerazione del processo di privatizzazione, delinea uno Stato profondamente diverso, anzi stravolto, rispetto a quello alla cui costruzione - basata su forti elementi di solidarietà sociale - hanno lavorato e dedicato il loro impegno e le loro lotte, intere generazioni e che ha conosciuto momenti di lotta politica e sociale di massa di grande spessore culturale e civile. Intendiamoci: nessuna nostalgia per gli aspetti non sempre accettabili, per i marcati tratti di incongruenza e di contraddizione, se non addirittura di vera e propria ingiustizia, presenti nell'attuale articolazione dello Stato. Queste incongruenze chiedevano un loro superamento mediante l'allargamento e l'espansione delle risorse messe a disposizione della collettività e, in particolare, di quella più esposta, di quella più debole.
In questo senso, il patrimonio delle fondazioni e la redditività dello stesso potevano costituire un ottimo volano che, se inserito in un quadro organico di nuova articolazione del welfare, di integrazione complementare, non competitiva con lo Stato, avrebbe potuto consentire un processo di trasformazione assai diverso da quello che ci viene ora prospettato. Così non è stato nella precedente discussione alla Camera, anche se, va sottolineato per onestà, si era raggiunto in quel testo un equilibrio che, pur non essendo per noi soddisfacente, era per lo meno sopportabile. Ora, di fronte al testo trasmessoci dal Senato dobbiamo essere paradossalmente contenti che finisca qui, perché ad ogni passaggio questo provvedimento viene peggiorato rispetto al precedente. Infatti, il testo approvato dal Senato è, se possibile, notevolmente peggiore di quello licenziato in precedenza da questa Camera.
Come si è visto, la discussione di oggi è stata poco più che una mera e farsesca ritualità in quanto, pur essendoci stati pareri fortemente contrari all'interno della stessa maggioranza, la decisione era già stata presa, gli ordini erano già stati impartiti.
Il provvedimento deve essere approvato così come è, per cui, bando ad ogni prurito riformatore. Al massimo il Governo poteva accogliere un ordine del giorno volto a mitigare le modifiche devastanti introdotte dal Senato.
Non sappiamo se ulteriori passaggi istituzionali sarebbero stati in grado di peggiorare ancora di più il provvedimento. Ci pare umanamente ed intellettualmente difficile, ma non c'è mai limite al peggio!
Quali siano i tratti caratteristici e, per noi, assolutamente negativi del provvedimento, è noto. L'operazione tende, attraverso la privatizzazione e l'uscita delle fondazioni dalle banche - cosa che, in astratto, non è del tutto sbagliata o inaccettabile -, a far sì che questi soggetti economici, equiparati ad enti di diritto privato, possano detenere partecipazioni


Pag. 42

di controllo in enti o società nei settori della ricerca scientifica, dell'istruzione, dell'arte, della conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, della sanità e dell'assistenza alle categorie sociali deboli. Si tratta, come si può ampiamente vedere, di quasi tutti gli aspetti del welfare. Non occorre un grande sforzo per capire che, diventando tali soggetti economici non partner, bensì fornitori alternativi allo Stato di servizi fondamentali per la persona in quanto tale, si dia una ulteriore forte spallata alla politica complessiva dello Stato sociale nella direzione pericolosa, oltre che inaccettabile per un paese con la nostra storia, della privatizzazione più o meno completa dello stesso.
Conseguente a tale logica sono, naturalmente, i privilegi fiscali, gli sconti, i condoni e quant'altro sia garantito a tali soggetti economici: sconti e regali ai quali questo Governo ci ha ormai abituato essendo diventati prassi ordinaria e continua naturalmente ad esclusivo vantaggio degli imprenditori e ad altro esclusivo discapito, diretto e indiretto, dei lavoratori dipendenti e di coloro che vivono esclusivamente - ahinoi! - e sempre peggio, del proprio lavoro.
Parimenti motivate sono sempre state le nostre critiche e preoccupazioni relative ad una politica di controllo nonché quelle concernenti i soggetti attuatori di tale controllo.
A tali aspetti sostanziali assolutamente negativi se ne sono aggiunti altri, maturati nel passaggio del provvedimento al Senato. Questa maggioranza e questo Governo hanno accolto le proposte della destra e le pressioni lobbistiche ad esse sottese, che fino a qualche mese fa erano state respinte, pur in presenza di tentativi forti e continui, forse grazie soltanto - questo dicono i fatti - alla presenza nella precedente maggioranza del partito della rifondazione comunista. Così oggi, nell'attuale stesura del testo, alle fondazioni è concessa la possibilità di perseguire scopi di promozione dello sviluppo economico. È un'aggiunta di una gravità estrema, in quanto permetterà alle fondazioni, singole o associate, di rilevare il controllo di imprese industriali e bancarie, di partecipare attivamente a patti di sindacato e di blocco in settori diversi da quelli istituzionali, di promuovere scalate in Borsa e di farsi strumento anche di interessi economici esterni e non sempre limpidi.
Che dire, poi, della nuova definizione di «reddito netto», depurato da oneri di legge, tasse e costi di funzionamento, sulla base del quale fissare il coefficiente minimo da devolvere ai fini istituzionali? A tal proposito, basti pensare che negli anni 1995 e 1996 il margine lordo della gestione degli enti risultava pari a poco meno di 744 miliardi, mentre quello netto era pari a poco più di 402 miliardi, con uno scarto, quindi, del 40-45 per cento.
Perché, poi (soprattutto nel momento in cui è all'ordine del giorno la costituzionalizzazione della Banca d'Italia), si introduce nella legge la facoltà per gli enti - con relativi sconti di ordine fiscale - di entrare nel capitale della Banca d'Italia?
Infine, rispetto al «controllo» previsto dall'articolo 4, comma 1, lettera c), c'è da chiedersi perché la sua disciplina venga affidata alle norme del codice civile, assai meno stringenti - per ragioni ovvie -, rispetto a quelle previste dalla legge bancaria. Ci pare veramente troppo e sappiamo che lo è anche per vasti settori della maggioranza. Come abbiamo visto, a questi colleghi è stato offerto come garanzia niente meno che un ordine del giorno, che interviene su quelle materie e quegli argomenti che abbiamo richiamato. Siamo seri! Come può un ordine del giorno, anche se accolto dal Governo, comprimere la volontà esplicita manifestata con il voto dall'altro ramo del Parlamento? Nessuno di noi vuole mettere in discussione la parola di una persona d'onore come il ministro Ciampi, ma non può la parola di una persona per bene, anche se autorevole come il ministro Ciampi, vanificare le norme scritte - e neanche quelle non scritte - stabilite dalla legislazione vigente e dalla prassi più che consolidata. Su tali questioni noi avevamo presentato emendamenti precisi,


Pag. 43

puntuali e chiari, oltre che condivisibili (e, sappiamo, condivisi). Non c'era alcuna urgenza che imponesse l'approvazione della legge, non cascava il mondo se si arrivava ad una quarta lettura.
Vi chiedevamo, onorevoli colleghi, un atto di coraggio, di onestà politica e, soprattutto, di coerenza con la vostra coscienza, con voi stessi. Noi un simile atto di coerenza intendiamo compierlo ed è per questo che voteremo contro questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo misto-rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gardiol. Ne ha facoltà.

GIORGIO GARDIOL. Signor Presidente, colleghi, i verdi manifestano notevoli perplessità rispetto a questo provvedimento, che disattende sostanzialmente l'accordo che era stato raggiunto alla Camera quando il testo era stato approvato in prima lettura. Le modifiche introdotte dal Senato a nostro avviso peggiorano sensibilmente la qualità del provvedimento, che era atteso soprattutto per ciò che chiamiamo il benessere sociale, la coesione sociale e gli investimenti necessari per aumentarli.
Le ONLUS (che, lo ricordo, sono quelle associazioni che si occupano di assistenza sociale, beneficenza, istruzione, formazione, sport, tutela e promozione dei beni di interesse artistico e storico, tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente, promozione della cultura e dell'arte, tutela dei diritti civili e ricerca scientifica) vedono dimezzate le loro capacità di finanziamento da parte delle fondazioni, in quanto sono stati introdotti meccanismi che obbligano le fondazioni stesse a regolarsi in maniera diversa nel disporre del 50 per cento degli utili. Bisogna infatti sottrarre gli ammortamenti, le riserve obbligatorie e le spese di funzionamento. Ciò vuol dire che le caratteristiche che avrebbero consentito alle associazioni senza scopo di lucro di far compiere un salto di qualità alle nostre città, alla mutualità sociale, alla reale tutela dell'ambiente, vengono drasticamente ridotte. A favore di che cosa? Del fatto che le imprese vengano finanziate anche dalle fondazioni bancarie e che nei consigli di amministrazione delle imprese stesse, più o meno surrettiziamente, vi siano persone che hanno come scopo lo sviluppo dell'impresa e non semplicemente quelli della qualità del vivere insieme, della qualità della cultura, della qualità dell'ambiente.
Mi sembra che tali questioni siano fondamentali e che non ci possano rendere contenti, anche se il contenuto di alcuni emendamenti da noi proposti è stato accolto con appositi ordini del giorno.
Ritengo che il passo indietro sia notevole e pertanto ci riserviamo di decidere il nostro voto (Applausi dei deputati del gruppo misto-verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armosino. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA ARMOSINO. Signor Presidente, colleghi, l'informazione e la comunicazione di questi giorni omettono di ricordare da dove parta il provvedimento, approvato dal Senato, oggi all'esame della Camera. Corre quindi l'obbligo di ricordare quale sia stata la posizione di forza Italia all'inizio della discussione proprio in questo ramo del Parlamento.
In particolare, desidero sottolineare che abbiamo cercato in ogni modo di escludere dal provvedimento le fondazioni aventi base associativa privata; tale rilievo mi sembra opportuno e necessario per comprendere le evoluzioni e le posizioni odierne. Non è possibile parlare oggi di destinazione o di interventi senza tener conto della natura originaria e costitutiva degli enti sui quali stiamo intervenendo legislativamente, ma questa battaglia non siamo riusciti a vincerla. Abbiamo chiesto di mantenere alle fondazioni aventi base associativa privata, quindi costituite o dai privati o dagli enti locali mediante desti


Pag. 44

nazioni di proprie risorse, le loro previsioni statutarie; relativamente a tale richiesta, non accolta alla Camera, qualcosa si è invece ottenuto nelle finalità al Senato. Mi riferisco, in particolare, alla possibilità di ampliamento della sfera di operatività delle fondazioni con l'introduzione del concetto di promozione dello sviluppo economico e sociale. Tale aspetto, che ha sollevato critiche da parte di taluno, è comprensibile se si ricorda qual è la natura vera ed originaria delle fondazioni.
Altre battaglie che abbiamo condotto alla Camera non hanno avuto successo neppure al Senato. Penso al caso dell'authority. L'altra ragione della nostra opposizione al provvedimento in esame è, infatti, l'istituzione di una ennesima authority; si prosegue nell'ottica di ritenere che la redditività possa essere raggiunta con un organismo di controllo e non invece con le regole di mercato.
L'insieme delle modifiche che sono state apportate al Senato non rappresenta ciò che il gruppo di forza Italia avrebbe voluto e fatto se, governando, avesse provveduto al riordino delle fondazioni bancarie; costituisce tuttavia un accoglimento sia pure parziale di alcune nostre proposte; mi riferisco, ad esempio, alla finalità di promozione dello sviluppo economico, uno dei punti che avevamo posto a fondamento delle nostre richieste. Il complesso delle norme induce quindi il gruppo di forza Italia ad astenersi nella votazione finale del provvedimento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.

GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, preannuncio il voto favorevole dei deputati del gruppo comunista e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Pistone, la Presidenza lo consente.
Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

Back Index Forward