Seduta n. 450 del 4/12/1998

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(Discussione sulle linee generali - A.C. 4504)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare di forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, onorevole Ricci.

MICHELE RICCI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di legge in esame introduce, per le associazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva e per le loro articolazioni organizzative, un obbligo di redazione e pubblicazione del rendiconto annuale di esercizio.
La normativa vigente, infatti, non prevede per i sindacati alcun obbligo generalizzato di redazione del rendiconto annuale di esercizio, ma solo obblighi in relazione alle attività di natura commerciale eventualmente svolte, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
Inoltre, il decreto legislativo n. 460 del 1997 impone alcuni oneri contabili per la fruizione dei particolari benefici fiscali in favore degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
L'articolo 1 della proposta di legge n. 504 introduce, per i sindacati (sia dei lavoratori che dei datori di lavoro) ammessi alle contrattazioni collettive e per le loro articolazioni organizzative, l'obbligo di redazione del rendiconto annuale di esercizio e della sua pubblicazione.
L'articolo 2 disciplina le modalità di redazione del rendiconto annuale e di tenuta delle scritture contabili, prevedendo una serie di obblighi a carico del rappresentante legale o del tesoriere cui per statuto è affidata la gestione delle attività patrimoniali del sindacato. Sono previste poi sia la pubblicazione annuale del rendiconto, della relazione sulla gestione e della nota integrativa su almeno tre quotidiani - di cui uno a diffusione nazionale -, sia la trasmissione al Ministero del lavoro e della previdenza sociale degli stessi documenti, nonché delle copie dei giornali ove è avvenuta la pubblicazione. Viene inoltre stabilito che le disposizioni del medesimo articolo si applichino a decorrere dal 1 gennaio 1998, termine che evidentemente risente della data di presentazione della proposta di legge.
L'articolo 3 contiene norme sulle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni in precedenza illustrate. Esse vengono irrogate dal pretore con decreto, su ricorso di un cittadino iscritto nelle liste elettorali di un comune, e consistono nel pagamento di una somma da lire 50 milioni a lire 100 milioni. Con lo stesso


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decreto è disposta, inoltre, la redazione e pubblicazione del rendiconto annuale secondo le modalità di cui agli articoli 1 e 2, con spese a carico del sindacato inadempiente ed a cura del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, nonché la sospensione della contribuzione a favore dell'associazione inadempiente sino all'ottemperanza degli obblighi di cui ai medesimi articoli. L'articolo 4, infine, stabilisce che contro il decreto in materia di sanzioni sia ammesso il solo ricorso per cassazione per violazione di legge.
La proposta di legge contiene quindi disposizioni che ricalcano, nella sostanza, i corrispondenti obblighi sanciti a carico dei responsabili dei partiti politici dall'articolo 8 della legge n. 2 del 1997, pur essendo, in tale ultimo caso, previsti dei finanziamenti pubblici. Quanto al rapporto con la normativa vigente, non si presentano problemi di coordinamento per i motivi già esposti. Nel corso dell'esame in sede referente è stata abbinata la proposta di legge n. 5200, che ha contenuto identico a quello della proposta di legge n. 4504, tranne che per l'articolo 5, recante norme in materia di trattenute sindacali.
Sulla proposta di legge in esame sono stati espressi i pareri di competenza della I e della VI Commissione. La VI Commissione ha ritenuto che nulla osti all'ulteriore corso della proposta. La I Commissione, viceversa, ha espresso parere contrario, considerando che le organizzazioni sindacali che ricevono contributi dallo Stato o da enti pubblici, ovvero che svolgono attività commerciali, hanno già l'obbligo di redazione dei bilanci. La I Commissione ha rilevato che la proposta di legge introduce un obbligo generalizzato di redazione o pubblicazione dei bilanci per tutti i sindacati ammessi alla contrattazione collettiva ed ha pertanto ritenuto che il contenuto della proposta di legge sia incompatibile con il disposto dell'articolo 39, secondo comma, della Costituzione, ai sensi del quale ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
La necessità dell'intervento con legge discende dal fatto che si impone un nuovo obbligo a carico delle organizzazioni sindacali non previsto dalla legislazione vigente; inoltre, vengono comminate consistenti sanzioni amministrative alle quali risulta applicabile il principio di legalità.
La disciplina proposta, tuttavia, appare in contrasto con il dettato dell'articolo 39 della Costituzione che, dopo aver affermato il principio della libertà dell'organizzazione sindacale, consente tuttavia una deroga allo stesso limitatamente alla possibile introduzione di obblighi di registrazione dei sindacati. Condizione per la registrazione dei sindacati, a sua volta richiesta per l'attribuzione di personalità giuridica e per la stipulazione di contratti collettivi di lavoro con efficacia erga omnes, è soltanto quella che gli statuti degli stessi sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
La proposta di legge in esame, quindi, sancendo l'obbligo di redazione del rendiconto annuale e quello della sua pubblicazione, introduce forme penetranti di controllo sull'attività dei sindacati, contrastanti, come tali, con il principio della libertà dell'organizzazione sindacale e non rientranti nella deroga di cui al citato articolo 39 della Costituzione.
Gli obiettivi dell'intervento, non individuati direttamente dalla norma, ma desumibili dalla relazione di accompagnamento alla proposta, sono quelli di assicurare una piena trasparenza alle attività dei sindacati e delle loro associazioni. Nel complesso, la proposta di legge comporta oneri organizzativi e finanziari aggiuntivi per le organizzazioni interessate.
Non sembra vi sia nulla da rilevare in merito all'inequivocità ed alla chiarezza del significato delle definizioni e delle disposizioni, nonché alla congrua sistemazione della materia in articoli e commi; del resto, si riproducono nella sostanza i contenuti dei corrispondenti obblighi sanciti a carico dei responsabili dei partiti politici dalla legge n. 2 del 1997.


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Onorevoli colleghi, credo sia evidente, da quanto sopra esposto, che la proposta di legge contrasta con il dettato dell'articolo 39 della Costituzione, che consente solo deroghe limitate e tassative al principio della libertà dell'organizzazione sindacale, nelle quali non possono sicuramente farsi rientrare le forme penetranti di controllo sull'attività dei sindacati contemplate dalla proposta stessa.
Inoltre, l'intenzione di assimilare la disciplina giuridica dei sindacati a quella già applicabile ai partiti politici non tiene conto della circostanza che questi ultimi godono di finanziamenti pubblici, a differenza dei primi, e che tale aspetto giustifica i controlli più penetranti cui essi sono assoggettati.
Non si comprende, poi, quali siano i reali obiettivi del provvedimento, poiché la trasparenza viene già assicurata consentendo agli iscritti al sindacato di accedere ai bilanci, mentre gli statuti ed i regolamenti interni dello stesso assicurano che sia seguito un metodo democratico nella loro formazione. Dal punto di vista fiscale, poi, i sindacati sono assoggettati alla normativa generale, senza alcuna forma di esenzione o privilegio.
In conclusione, può senz'altro ritenersi che la proposta di legge sia inutile e non costruttiva. Ne auspico pertanto la reiezione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Taradash.

MARCO TARADASH, Relatore di minoranza. Signor Presidente, colleghi deputati, le organizzazioni sindacali svolgono un ruolo di grande rilievo nella vita pubblica sociale ed economica del paese (in particolare quelle confederali, che hanno un rapporto con le controparti, il potere politico e le istituzioni) del tutto sproporzionato rispetto alla loro configurazione giuridica. È per tale ragione - lo dico anche al relatore per la maggioranza - che, a differenza di quanto egli ha affermato, pensiamo che la proposta sia, invece, molto utile e costruttiva.
Per quanto la Costituzione, all'articolo 39, prefigurasse un percorso disciplinare che legava i criteri per la definizione dei requisiti della rappresentanza e della rappresentatività alle procedure idonee a dare vita a contratti di lavoro validi erga omnes, la mancata applicazione della norma rende assolutamente precario lo stato giuridico delle organizzazioni sindacali. Ciò è tanto più vero dopo che un referendum abrogativo dell'articolo 19 della legge n. 300 del 1970, cioè lo statuto dei lavoratori, ha ferito a morte l'ordinamento sostitutivo che si era determinato - nel vuoto legislativo rispetto al precetto costituzionale -, fondato sul principio della maggiore rappresentatività e sul reciproco riconoscimento tra le parti sociali. Ne derivava una singolare tautologia: erano maggiormente rappresentative le organizzazioni firmatarie dei contratti ed erano ammesse alla firma quelle che le parti sociali ammettevano al club delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Non vi era, quindi, nessuna regola generale, ma un accordo di fatto.
Come è noto, questo impianto è stato rimesso in causa dal referendum del 1995, che - in seguito alla manipolazione della norma - ha collegato la rappresentatività a criteri aziendali (cioè alla stipula del contratto applicato in azienda). Il problema della rappresentatività sindacale secondo criteri oggettivi e misurabili è ora all'esame della Commissione lavoro della Camera dei deputati. Si tratta di un imponente impegno di riordino (al di là dei giudizi di merito) che si propone di rimettere insieme le rappresentanze sindacali con il dato della rappresentatività a livello nazionale e con la stipula dei contratti collettivi validi erga omnes.
È giustificato, sul piano politico e giuridico, che a fronte di un processo legislativo così ampio non si affronti anche il problema di una più solida configurazione giuridica del soggetto sindacato? È accettabile che la sua natura giuridica sia oggi affidata a quanto previsto dal codice civile (articoli 36 e seguenti),


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come se si trattasse di un'associazione di cultori della filatelia o di amici del canto medievale?
Il progetto di legge in esame si propone di avviare la definizione di una soggettività giuridica più trasparente, mediante l'obbligo di presentare un rendiconto annuale di esercizio. Occorre infatti tener conto della mole di risorse che sono amministrate dalle organizzazioni sindacali, senza alcun obbligo legale di rendicontazione nemmeno ai propri iscritti (a meno che non sia previsto dagli statuti interni). Anche solo considerando le organizzazioni confederali, i cui dati hanno maggiore affidabilità, si può calcolare (attribuendo una quota associativa media di 150 mila lire annue ai 5,5 milioni di lavoratori attivi e di 80 mila lire a 5,2 milioni di pensionati) che i soli contributi degli iscritti ammontino annualmente ad 825 miliardi per gli attivi ed a 416 miliardi per i pensionati
È noto tuttavia che le contribuzioni degli iscritti non rappresentano - tranne per le associazioni minori - né l'unica né la principale fonte economica. Le organizzazioni sindacali sono di fatto proprietarie di un vasto patrimonio immobiliare. La parte più pregiata (sul piano economico ed urbanistico) è stata loro donata dallo Stato con una legge del 1977, nella quale si attuò la liquidazione dei beni delle vecchie corporazioni fasciste. Per fare un esempio, la CGIL ebbe gratuitamente, tra le altre cose, la sede in cui attualmente è sistemata a Roma in corso d'Italia e quella della camera del lavoro di Milano, a un tiro di schioppo dal palazzo di giustizia, mentre la CISL ebbe un palazzo in via Boncompagni di fronte all'ambasciata statunitense. Chiunque può azzardare una stima approssimativa del patrimonio immobiliare delle confederazioni sindacali presenti in ciascuna delle 103 province italiane.
Le organizzazioni sindacali ricevono, inoltre, un contributo pubblico di circa 380 miliardi annui per i 23 patronati di cui detengono parzialmente la gestione e ricevono altri finanziamenti per le attività diverse da quelle obbligatorie, spesso in convenzione con enti locali, aziende sanitarie e così via. Prossimo è inoltre il varo definitivo della legge sui fondi pensione, che attribuirà alle organizzazioni dei datori e dei lavoratori la gestione paritetica dei contributi pensionistici e di una parte del trattamento di fine rapporto. Spetterà a questi fondi la gestione di alcune decine di migliaia di miliardi (si stimano circa 50 mila miliardi nel giro di pochi anni) ed essi avranno amministratori eletti dalle categorie o addirittura, secondo gli statuti di alcuni fondi, la designazione diretta degli amministratori da parte delle organizzazioni sindacali. Fra l'altro la legge ha previsto, fra i requisiti richiesti ai candidati amministratori, anche la semplice «appartenenza ad attività di direzione sindacale». L'elenco potrebbe continuare: si pensi ad esempio all'utilizzo dei fondi europei per la formazione.
I sindacati hanno inoltre proprie rappresentanze al CNEL, nei comitati di indirizzo e vigilanza dei maggiori enti previdenziali, nelle Camere di commercio. Spesso capita che vengano associati - magari per un tempo limitato - ai consigli di amministrazione delle grandi aziende, come si è verificato recentemente per l'Alitalia.
Lo statuto dei lavoratori a sua volta prevede: 8 ore di permesso retribuito al mese per i componenti del direttivi sindacali (senza limitazioni di numero e di livello); 8 ore di permesso retribuito al mese per i componenti delle rappresentanze sindacali unitarie (a cui si aggiungono altre ore nei contratti collettivi di gruppo); la contribuzione figurativa ai fini pensionistici; che nel pubblico impiego i distacchi e i permessi siano affidati alla contrattazione collettiva e siano ragguagliati al numero degli iscritti. Sappiamo bene che vi sono sindacalisti che non hanno mai lavorato in vita loro, se non appunto come sindacalisti: un lavoro assolutamente rispettabile, ma che finisce per essere finanziato pubblicamente.
Il valore economico inerente a questa serie di benefici è di difficile quantificazione, ma è innegabile che il contributo


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pubblico indiretto alle attività sindacali tocca la cifra di svariate decine di miliardi.
È del tutto evidente che, di fronte a questa mole di rapporti economico-finanziari, l'attuale configurazione giuridica delle associazioni di fatto non è in grado di tutelare l'affidamento dei terzi e, quindi, di quanti entrano in rapporti economici con le organizzazioni sindacali.
La norma, infatti, prevede unicamente una responsabilità solidale dei rappresentanti legali pro tempore dell'associazione. È noto poi che, nel tempo, le organizzazioni sindacali si sono date per le loro risorse una vera e propria architettura finanziaria costituita da tante società di comodo a cui sono intestate le principali attività patrimoniali.
Per quanto non applicata, la Costituzione prevedeva precisi adempimenti riguardanti il soggetto-sindacato ai fini del riconoscimento della personalità giuridica, come la registrazione e l'obbligo di darsi uno statuto a base democratica.
Inoltre, poiché la rappresentatività era legata al numero delle iscrizioni, la migliore dottrina riteneva che anche questo aspetto dovesse essere documentato e trasparente.
Può allora una persona giuridica non avere una contabilità trasparente? Può un'associazione democratica non rendere noti i propri rapporti finanziari e non pubblicare un bilancio consolidato? Si ricordi che l'obbligo della rendicontazione (sia pure ai fini del contributo statale) esiste per i partiti politici, anch'essi garantiti dalla Costituzione, ai quali si applicano i medesimi articoli del codice civile validi per le organizzazioni sindacali.
Si può, per concludere, ricordare che, con il referendum sulla trattenuta sindacale del 1995 - i cui effetti, come purtroppo spesso accade in questo paese, sono stati aggirati, come è noto, in sede di applicazione dei contratti collettivi di lavoro, a svantaggio e con discriminazione dei sindacati che non firmano gli stessi accordi - l'elettorato ha inteso pretendere, sia pure indirettamente, un segnale di trasparenza anche dalle organizzazioni sindacali.
Se l'opinione pubblica manifesta tanta sensibilità e giusta insofferenza rispetto alle manovre che fanno i partiti per avere 100 miliardi o poco più di finanziamento pubblico all'anno, è certo che, se ne fosse informata, esprimerebbe un giudizio assai più severo davanti alle migliaia di miliardi dei sindacati che continuano a rimanere confinati in un impenetrabile ambito interno alle organizzazioni stesse (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUIGI VIVIANI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Signor Presidente, onorevoli deputati, il Governo in linea generale condivide i rilievi mossi a questo provvedimento da parte della I Commissione in quanto, nella sua struttura e nella sua strumentazione, sembra essere un provvedimento che lede il primo comma dell'articolo 39 della Costituzione, che afferma come principio generale la piena libertà dell'associazionismo sindacale.
Il Governo ritiene questo un principio di fondamentale valore, che ha consentito al movimento sindacale italiano - ed anche alle organizzazioni sindacali degli imprenditori - di raggiungere quel livello di rappresentatività, di responsabilità sociale, nonché di protagonismo nella vita del paese che è stato rilevato anche negli interventi precedenti.
La Costituzione prevede - e prevedeva - solamente una limitazione a questo principio generale di libertà: l'istituto della registrazione, subordinato all'esistenza di un regolamento interno aderente ai principi di un ordinamento democratico.
Questa limitazione era strettamente subordinata allo svolgimento di una funzione pubblica quale è quella della stipula di contratti aventi validità erga omnes. Al di fuori di ciò (vi è un inciso esplicito nel testo della Costituzione) nessun altro obbligo è consentito.


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In questi decenni le organizzazioni sindacali si sono sviluppate e per la verità hanno acquistato una notevole consistenza organizzativa e anche una notevole disponibilità di mezzi, nella stragrande maggioranza dei casi provenienti da contributi volontari dei lavoratori liberamente associati.
Nella situazione giuridica attuale le organizzazioni sindacali sono regolate, come figura giuridica di associazioni non riconosciute, dagli articoli 35 e 37 del codice civile e come tali hanno un ordinamento le cui caratteristiche fondamentali vengono definite attraverso la libera volontà degli associati.
Ritengo che tale configurazione sia rispondente ai principi generali di libertà della nostra Carta costituzionale. Nel periodo recente, per far fronte ad alcune esigenze di rappresentatività più generale delle organizzazioni sindacali è previsto, ed è in discussione proprio presso questo ramo del Parlamento, un provvedimento che definisce, attraverso precise norme, i criteri generali e gli strumenti di valutazione e di controllo del grado di rappresentanza e di rappresentatività di queste organizzazioni.
In tal modo esse saranno in grado di stipulare contratti aventi validità erga omnes secondo le «intenzioni» anche dell'articolo 39 della Costituzione.
Ci pare che l'insieme di queste norme giuridiche consenta, da un lato, alle organizzazioni sindacali di esplicare in pieno la propria libertà di iniziativa, come diritto costituzionalmente garantito, e, dall'altro, consenta allo Stato, all'ordinamento giuridico, di operare i necessari controlli in caso di finanziamento pubblico e di svolgimento di funzioni aventi carattere più generale.
A tale riguardo va sottolineato, come ha fatto lo stesso relatore nel suo intervento, che recenti norme giuridiche (quale, ad esempio, il decreto legislativo n. 460 del 1997) prevedono precise norme di rendicontazione; del resto analoghe norme sono previste per tutti i finanziamenti pubblici erogati a favore, direttamente o indirettamente, di attività delle organizzazioni sindacali, come la formazione professionale e quant'altro, in termini di finanziamento pubblico.
Ci pare quindi che da questo punto di vista ci sia un'ampia garanzia che le risorse pubbliche utilizzate dalle organizzazioni sindacali siano soggette ad un adeguato controllo.
Voglio anche aggiungere che gli statuti interni di tutte le organizzazioni sindacali, siano esse dei lavoratori che dei datori di lavoro, prevedono precise norme tendenti ad approvare, spesso anche con maggioranze qualificate, il bilancio delle stesse organizzazioni. Sono previste anche norme e strutture di verifica e di controllo, ovviamente lasciate sempre alla libera determinazione degli associati.
Alla luce di questi orientamenti il Governo ritiene che la normativa in vigore garantisca ampiamente quell'esigenza di controllo dell'uso delle risorse pubbliche e che nello stesso tempo garantisca gli spazi di libertà, costituzionalmente tutelati, nell'esercizio della funzione, utilizzando le risorse rivenienti dalla libera contribuzione degli associati.
In tal senso, il Governo esprime un parere contrario su questo provvedimento.

PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Dalla Rosa, primo iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Giuliano. Ne ha facoltà.

PASQUALE GIULIANO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la proposta di legge di cui sono primo firmatario tende ad introdurre l'obbligo da parte dei sindacati e delle loro associazioni di redigere e di pubblicizzare il rendiconto annuale. Attualmente, infatti, non esiste un siffatto obbligo a carico di quelle che tuttora devono essere considerate associazioni non riconosciute, posto che nessun sindacato ha mai chiesto il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato.
Per la verità, determinati obblighi di bilancio sussistono nei confronti dei sindacati solo nel caso in cui essi svolgano


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attività commerciali (e qui il rilievo e il riferimento è a quanto ha affermato il relatore a proposito dell'obbligo che su di essi incomberebbe). Ma questa è un'ipotesi che qui sicuramente non rileva, in quanto si tratta di un'eccezione che non muta né altera i termini del problema che con questa proposta di legge si intende affrontare. Sono due cose distinte e separate.
È certamente superfluo sottolineare ancora una volta il particolare rilievo che ai sindacati e alle loro associazione viene unanimemente riconosciuto. Non va trascurato, a parte ogni altra considerazione, come, seppure con riferimento ai sindacati che abbiano ottenuto la registrazione, si sia addirittura parlato da parte di un'autorevolissima dottrina di una loro natura pubblica in quanto attuano mediante la loro azione un fine pubblico, e cioè l'eliminazione degli ostacoli che pregiudicano l'instaurazione di equi rapporti sociali.
Inutile poi sottolineare la loro grande incidenza nella vita del paese che progredisce continuamente e che in questi ultimi anni, sotto il nome della concertazione, ha portato pressoché a istituzionalizzare un rapporto con il Governo e con tutte le altre rappresentanze della società. Per la verità, il nostro stesso costituente riconobbe un ruolo primario ai sindacati laddove, all'articolo 39 della nostra Carta fondamentale, costruì un modello giuridico istituzionale di significativa valenza, modello peraltro che, come noto, è in gran parte rimasto inattuato. L'articolo 39, infatti, dopo l'affermazione del principio di libertà sindacale, che è di immediata precettività (e su questo vi è unanime consenso), prevede al secondo, terzo e quarto comma la registrazione dei sindacati, l'attribuzione agli stessi della personalità giuridica e un particolare procedimento per stipulare contratti collettivi che abbiano efficacia erga omnes. Tali disposizioni, però, sono rimaste formali, mere declamazioni, non essendo stata emanata, a tutt'oggi, alcuna legge di attuazione.
Le ragioni vicine e lontane, apparenti e reali di siffatta situazione sono molteplici e complesse, a volte anche di non agevole lettura. Una cosa però è certa: la mancata attuazione del disposto costituzionale è dovuta in massima parte alla forte avversione dei sindacati ad introdurre meccanismi o sistemi tali da ostacolare il condizionante potere che di fatto essi esercitano sul sistema produttivo, sociale ed economico.
Su tale conclusione vi è un sostanziale consenso, così come sul fatto che in tal modo anche il sindacato ha portato il suo pesante mattone alla costruzione di quella diga pericolosamente destabilizzante che esiste tra la costituzione formale e la costituzione sostanziale.
La presente proposta di legge rappresenta pertanto una prima significativa occasione per porre regole dettagliate e precise in un settore che non può restare attestato su radicate ma non più condivise posizioni di rendita che cancellano ogni legittima aspettativa di trasparenza e di legalità, intesa, quest'ultima, anche come attuazione di principi costituzionali.
A tale proposito va rimarcato come la proposta in esame, contrariamente a quanto si afferma nel parere espresso dal Comitato della I Commissione, ma conformemente a quanto motivatamente ritenuto dalla II Commissione, non presenta alcun profilo di incostituzionalità. Semmai, le disposizioni che contiene rappresenterebbero, se essa venisse approvata, un primo importante passo, insieme alla legge sulla rappresentanza e sulla rappresentatività sindacale in gestazione presso la competente Commissione, per attuare il complesso disegno del nostro costituente.
L'obbligo di redigere e pubblicizzare i bilanci dei sindacati non incide minimamente sulla libertà di organizzazione sindacale, la quale è il vero fulcro dell'articolo 39 della Costituzione. C'è forse qualcuno che può seriamente dubitare che tale obbligo, ove imposto, possa in qualche modo influire e condizionare la libertà di adesione, di costituzione, di elezione di rappresentanti, di comunicazione, di svolgimento dell'attività e di organizzazione in


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genere del sindacato? Questa è la vera essenza dell'articolo 39. Né riesco a comprendere l'affermazione del rappresentante del Governo laddove sostiene che il primo comma sarebbe stato - ed in effetti è stato - lo stimolo per far crescere il sindacato e per fargli assumere una posizione di particolare rilievo.
Questo è vero. Ma allora cosa si vuol dire? Forse, se prevedessimo una norma siffatta (quella sul bilancio), essa costituirebbe un ostacolo allo sviluppo e al riconoscimento del rilievo del sindacato? Mi pare una tesi quanto mai originale.
Quale implicazione può avere la redazione e la pubblicazione di un bilancio sul vero contenuto della libertà sindacale? Nessuna, meno che niente. Appare poi veramente strumentale far riferimento alla lettera dell'articolo 39, comma secondo, per sostenere l'impossibilità di configurare, oltre a quello della registrazione (che però correttamente va definito un onere) l'ulteriore obbligo del bilancio, pena l'incostituzionalità della norma. È fin troppo evidente la pretestuosità del rilievo ed è fin troppo facile osservare che l'unico obbligo ad onere della registrazione cui si fa riferimento nel secondo comma dell'articolo 39 attiene alla fase del complesso procedimento dell'acquisizione della personalità giuridica e della conseguente possibilità di stipulare contratti con efficacia erga omnes. È un obbligo o un onere strumentale a quei fini ed esclusivamente a quei fini, e pertanto qualsiasi norma relativa all'introduzione di un siffatto obbligo per i sindacati non intaccherebbe minimamente né la libertà sindacale né tanto meno questo complesso procedimento pensato dal nostro legislatore costituzionale.
Ipotizzare che solo un obbligo come quello del bilancio, che non attiene a tale procedimento e che soprattutto non incide in alcun modo sulla libertà sindacale, possa rappresentare un vulnus della nostra Carta fondamentale significa porsi al di fuori di una ragionevole e corretta logica ermeneutica ed avalla i sospetti di chi ha pronosticato l'assoluta necessità, da parte di certe forze politiche, di soffocare nella culla una proposta di legge come quella in esame, finalizzata a registrare analiticamente tutti i flussi patrimoniali del sindacato.
Cosa significa sostenerne l'incostituzionalità se non, ancora una volta, voler riaffermare l'insofferenza e l'intolleranza di ben individuate forze sindacali e politiche, alle prime fortemente collegate, a legittimi ed efficaci controlli, analoghi a quelli che lo Stato esercita su tutte le persone giuridiche?
Ma allora si deve forse concludere che vi è un sacro terrore a portare legalità e trasparenza laddove ciascuno, associato o non, proprio per il ruolo e la funzione svolti dai sindacati, ha il diritto-dovere di ottenere conto e ragione di spese, entrate, patrimonio e quant'altro? Da qualcuno è stato avventatamente affermato che in effetti quest'obbligo non avrebbe senso, sarebbe superfluo, perché già oggi i sindacati abitualmente redigono e presentano il loro bilancio.
A questa considerazione non può che rispondersi in due modi, uno dei quali è sicuramente provocatorio. Non ha senso allora opporsi in maniera così surrettizia a questa proposta, se veramente il sindacato avverte da tempo una propria esigenza di redigere e pubblicare il bilancio. Questa legge non fa altro che fissare canoni precisi ed ufficializzare le tecniche di bilancio già in vigore sia in Europa sia in Italia attraverso la normativa del codice civile (Applausi del deputato Armani).
L'altra risposta, che si trasforma però in un interrogativo retorico, è la seguente: ma chi lo ha visto mai un rendiconto annuale di un sindacato redatto con i crismi della tecnica di bilancio, in modo da rappresentare il quadro reale ed effettivo della situazione contabile e patrimoniale? Forse qualcuno, oppure è veramente una rara avis.
Ed a questo può aggiungersi un altro interrogativo, ma senza ironia e senza sussiego: cosa mai ha da paventare il sindacato, se afferma - e sarà sicuramente una cosa vera - che non ha nulla da temere dalla redazione e dalla pubblicazione di un bilancio? Questa proposta


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di legge non va assolutamente letta come un provvedimento punitivo o come un intervento «contro», ma piuttosto va intesa come un intervento «per»: per la chiarezza, per la legalità, per i corretti e visibili rapporti tra sindacato, istituzioni, partiti e società.
Prendiamo esempio dall'Inghilterra, cui spesso - specie in materia di libertà sindacali - amiamo richiamarci e che viene a ragione considerato il paese dove è nato il diritto del lavoro e quello sindacale. Ebbene, nella civile Inghilterra la legge impone ai sindacati di tenere i registri contabili di tutte le transazioni economiche e del complesso delle loro attività e passività, prevedendo al tempo stesso un valido sistema di controllo di tali registri, della situazione di cassa e di tutte le ricevute e rimesse di pagamento.
Sempre in Inghilterra, ogni iscritto ha il diritto di accesso ai registri contabili ed è stato istituito un ufficio - su questo punto vorrei richiamare l'attenzione del Presidente, del sottosegretario e degli onorevoli colleghi -, quello del certification officer che, dopo aver ricevuto il rendiconto annuale, può in ogni momento chiedere ad un sindacato o ad un suo ufficio la produzione di documenti ritenuti rilevanti.
Questo meccanismo non è stato certo individuato come un modo di limitare la libertà sindacale: tutt'altro. È un modo di dare trasparenza e legalità ad un sistema e ad una società che lo rivendica in maniera decisa.
Questo ufficio inglese può nominare propri consulenti per verificare la documentazione dei movimenti contabili dei sindacati. Per le infrazioni, in casi particolari, sono addirittura previste pene detentive oltre alle sanzioni pecuniarie.
Ciò accade ormai da tempo in Inghilterra e vorremmo che, in parte, accadesse in Italia. Aspiriamo ad un sindacato dei datori di lavoro e dei lavoratori che sostituisca le sue fortificazioni con cristalli puliti e tersi per far sì che la sua abitazione diventi veramente, così come si continua solamente ad affermare, una casa di vetro.
Abbiamo iniziato a farlo con i partiti e i movimenti politici, lo chiediamo ad altri enti ed associazioni, non potremmo esimerci dal chiederlo ai sindacati.
Un rifiuto preconcetto o frutto di chissà quali paure potrebbe rappresentare un segnale assai negativo per un paese assetato di legalità che tenta inutilmente di riportare luce laddove si vuole conservare il buio o il crepuscolo.
È inutile ricordare a questo riguardo l'escamotage cui si è ricorso dopo il referendum del 1995.
Non dimentichiamo quello che lo stesso leader della CGIL ha affermato a proposito del diritto di sciopero, altra norma costituzionale che è rimasta inattuata quanto alle modalità di esercizio.
Sergio Cofferati, in una recente intervista al quotidiano La Repubblica, ha ricordato: «Il sindacato ha le sue colpe, ha commesso i suoi errori, ha le sue degenerazioni, ma da tempo è maturo per una svolta, anzi la sollecita. Se un sindacalista non tiene conto del sentire comune di tante e tante persone che stanno anche al di là dei confini della propria rappresentanza, è solo uno sciocco».
Se è questo il pensiero del sindacato maggiormente rappresentativo, presumibilmente condiviso anche dalle altre associazioni, il Parlamento non si chiuda in maniera pregiudiziale e spesso irrazionale ad una non richiesta tutela di quegli interessi che in tal modo rischiano di essere individuati come poco edificanti. Si apra invece, il Parlamento, alle attese della stragrande maggioranza dei cittadini ed assecondi le aspirazioni di un sindacato maturo e cosciente che vuole crescere sempre più, imponendo, innanzitutto a se stesso, regole precise e condivise, legittimandosi, quindi, a pretenderle nei confronti delle istituzioni, dei partiti e del mondo produttivo. Questo è il senso ed il significato reale di una proposta che opportunamente meditata, può indubbiamente trovare punti di convergenza tra tutte le forze che si richiamano a valori che, seppure enunciati dal nostro costituente, non hanno ancora trovato una giusta ed efficace tutela.


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Mi esimo dall'illustrare la legge perché già lo ha fatto egregiamente il relatore e mi richiamo, per il resto, a quanto già affermato dall'onorevole Taradash.
Rivolgo solo un appello a tutti i colleghi che hanno sottoscritto questa proposta e che sono circa 150.
Mi auguro che vogliano rimanere coerenti a quanto hanno espresso firmando questa proposta e a quanto oggi o la prossima settimana sosterranno in aula.
Mi auguro, inoltre, che questa proposta possa diventare un'occasione per intavolare un discorso serio su tutte le forze sindacali.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.

PIETRO ARMANI. Il gruppo di alleanza nazionale è favorevole a questa proposta di legge che del resto è stata sottoscritta anche da moltissimi suoi appartenenti. Mi rammarico di non essere tra loro ma, in questo momento, dichiaro la mia piena adesione. Siamo convinti sostenitori di questo disegno di legge che introduce un elemento il quale non ha alcuna possibilità di inficiare il comma 1 dell'articolo 39 della Costituzione: l'organizzazione sindacale è libera. Se la redazione di un bilancio - non sono un giurista, ma un economista, tuttavia ragiono secondo il buonsenso che, tutto sommato, è ancora una merce, ahimè, scarsa, ma con una sua valenza - condiziona la libertà di colui che lo redige, allora non sono libere le società quotate in borsa. Esse, infatti, sono obbligate non solo a redigere un bilancio specificamente organizzato e alla pubblicità dello stesso presso gli azionisti e, addirittura, presso il pubblico (tant'è vero che in Inghilterra le società quotate in borsa si chiamano public companies). Quindi non sono liberi nemmeno tutti coloro che hanno l'obbligo di redigere, sia pure per i propri associati, documenti di bilancio, conto patrimoniale e conto economico.
Ritengo, pertanto, poco convincente l'argomento secondo il quale una legge che introduce regole precise sulla rendicontazione delle organizzazioni sindacali - sia patrimoniale, sia economica - non solo dei lavoratori, ma anche dei datori di lavoro (argomento sul quale mi intratterrò più a lungo in seguito) intende combattere i sindacati. I firmatari e i sostenitori di tale proposta di legge non vogliamo farlo, ma ritengono necessaria la chiarezza anche nel campo delle organizzazioni dei datori di lavoro oltre che in quelle delle organizzazioni dei lavoratori.
Se il provvedimento, dicevo, introducesse un vincolo, un vulnus al primo comma dell'articolo 39 della Costituzione, evidentemente non avrebbe senso nemmeno il principio della «concertazione» che, ormai, è diventato - anche a giudizio del Presidente del Consiglio e dell'attuale ministro del tesoro - uno strumento essenziale per lo sviluppo e la stabilità del paese. Il Presidente del Consiglio, infatti, si è sentito obbligato ad invitare, addirittura prima delle tradizionali e più importanti organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, al tavolo della Presidenza del Consiglio quelli che erano considerati i parenti poveri del meccanismo della «concertazione» fino ad ora vigente e cioè le organizzazioni degli artigiani, dei commercianti e delle altre categorie produttive, sia datoriali, sia sindacali. Esse non partecipando, o partecipando solo in seconda istanza, alla firma dei contratti collettivi sono state considerate fino ad oggi alla stregua di soci di serie b della «concertazione»; prima, infatti, si accordavano la triplice e la confindustria, poi si apriva il tavolo anche alle altre organizzazioni.
Ebbene, desidero smontare il primo argomento perché la proposta di introdurre norme per la redazione dei rendiconti e dei bilanci non ha alcun riflesso sulla libertà del sindacato. D'altra parte, nel dossier che accompagna l'attuale proposta di legge (redatto in modo equilibrato e puntuale e ad onore degli uffici della Camera) alla pagina 11 è scritto: «Al di là delle applicazioni del principio di libertà sindacale, di per sé immediatamente precettivo, la realizzazione del disegno delineato all'articolo 39 della Costituzione,


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richiede evidentemente una legge di attuazione (del resto espressamente prevista dal comma 2, laddove si parla della registrazione). Tale legge, come è noto, non è mai stata approvata per motivi che la dottrina concordemente riconduce, in ultima analisi, all'opposizione dei sindacati».
Da un lato, quindi, si dà valenza precettiva al primo comma dell'articolo 39 della Costituzione; dall'altro, il secondo comma resta appeso per aria. Infatti, non essendo d'accordo le organizzazioni sindacali, non è stata predisposta una legge che disciplini il meccanismo della registrazione presso gli uffici locali e centrali, secondo le norme di legge.
Capite allora che non si può sostenere che l'articolo 39 della Costituzione si ferma al primo comma, perché va evidentemente attuato anche il secondo. Deve dunque trovare applicazione la registrazione, cui finalmente comincia a dare qualche attuazione l'atto Camera n. 136 ed abbinati sulla rappresentanza e sulla rappresentatività sindacale, rappresentatività che, evidentemente, presupporrà una certificazione che poi dà luogo alla registrazione. Peraltro, le organizzazioni sindacali hanno finora rifiutato di registrarsi, tant'è vero che sempre nel dossier si legge: «Per quanto riguarda invece la natura giuridica delle organizzazioni sindacali, in mancanza della legge di attuazione dell'articolo 39 della Costituzione e considerato altresì che nessun sindacato risulta aver richiesto il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato, ai sensi dell'articolo 12 del codice civile, dette organizzazioni rappresentano associazioni non riconosciute».
Di fatto, quindi, si attuano gli articoli della Costituzione per quanto fa comodo - «L'organizzazione sindacale è libera» - e poi non si fa nulla, o addirittura si introducono meccanismi che bloccano referendum come quello del 1995, che avrebbe dovuto avviare il completamento dell'attuazione dell'articolo 39, impedendo la completa applicazione di quell'articolo. Ciò a dimostrazione, colleghi, del fatto che quando si è bloccata la Commissione bicamerale per la riforma della seconda parte della Costituzione si è fatto un bene, perché un assemblea costituente dovrebbe modificare ormai l'intera Costituzione. L'articolo 39, ad esempio, non prevede il principio della concertazione, principio che certamente è diventato un elemento di valenza essenziale nell'attuale realtà dei rapporti tra i datori di lavoro ed i lavoratori.
Vorrei però richiamare altri aspetti. Si sostiene che il problema della rendicontazione è già stato affrontato dalla legge n. 460 del 1997, ma quella normativa ha un riflesso puramente tributario. Essa in pratica stabilisce il trattamento tributario delle ONLUS, alle quali non appartengono le organizzazioni sindacali, e degli enti non commerciali, a cui invece i sindacati sono assimilati.
Se allora la norma della legge n. 460 del 1997 ha una valenza puramente tributaria e comunque esiste a questi fini, non si vede per quale ragione non debba essere approvata una norma più generale che, tra l'altro, renda pubblici i rendiconti. Infatti, in un comma dell'articolo 2 si impone la pubblicità dei bilanci su tre quotidiani, uno dei quali a diffusione nazionale, e negli allegati si riporta il modello della rendicontazione per quanto riguarda lo stato patrimoniale ed il conto economico.
Si sostiene però che i sindacati non possono essere assimilati ai partiti, perché questi ultimi ricevono contributi diretti dello Stato, mentre i sindacati no. Il collega Taradash, nella sua bella relazione di minoranza, ha ricordato come i sindacati dei lavoratori abbiano un patrimonio immobiliare consistente, derivante dall'attribuzione ad essi dei beni delle ex organizzazioni corporative dei lavoratori del vecchio regime fascista. Tant'è vero che lo stesso Taradash ricorda come a Roma, in corso d'Italia, la CGIL possieda un edificio che apparteneva alle vecchie organizzazioni corporative del partito fascista; la camera del lavoro di Milano ha anch'essa una sede che era tra le vecchie proprietà dei sindacati fascisti. Non è vero, pertanto,


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che non ci sia stato un contributo, sia pure erogato a suo tempo, da parte dello Stato.
Vorrei spostare, altresì, l'attenzione verso i datori di lavoro. La Confindustria è una organizzazione che riceve indirettamente contributi dallo Stato perché, aderenti alla Confindustria, sono società per azioni ancora di proprietà del Tesoro: ENI, IRI - con le aziende sottostanti - ed ENEL: tutti enti, questi, parzialmente o interamente di proprietà del Tesoro. Il Tesoro è un azionista dell'ENI, anche se non ha più la maggioranza assoluta. Non solo, ma siccome il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, ieri avete approvato - voi della maggioranza - la cosiddetta società sviluppo Italia, che sarà sicuramente impallinata dalla Comunità europea - e noi faremo di tutto affinché ciò avvenga - in quanto è una società che canalizza aiuti di Stato verso società di proprietà pubblica. Infatti, essa ha lo scopo di assorbire tutta una serie di società di tipo assistenziale e che in parte fanno capo - ENISUD e SPI - a due enti, ora società per azioni, che sono ancora di proprietà del Tesoro; ricordo, infatti, che il 50 per cento dell'ENISUD è in mano all'ENI. Pertanto, nel momento in cui il Tesoro impone per legge lo scioglimento dell'ENISUD nello sviluppo Italia, oltre ad acquisire il capitale, si fa carico delle loro perdite e dei loro debiti: vedete pertanto che l'ENI, contribuente della Confindustria, riceve un beneficio a cascata attraverso la Sviluppo Italia Spa.
Onorevole Innocenti, gli slalom vengono fatti anche dalle organizzazioni sindacali, grazie alla non conoscenza del loro patrimonio non solo a livello centrale ma anche a livello periferico (Applausi del deputato Giuliano). Da vecchio sciatore so bene come si fanno gli slalom sulla neve, ma purtroppo essi si fanno anche nel diritto sostanziale di questo paese, sia dal punto di vista privato che da quello pubblico. Questo che ho citato a mio parere è uno slalom che l'Unione europea condannerà: aspettate e vedrete. Io mi siederò sulla riva del fiume, perché naturalmente qualcuno a Bruxelles dirà che esiste questo elemento negativo nella Sviluppo Italia Spa.
Non voglio però parlare della Sviluppo Italia. Voglio solo ricordare che la spettabile Confindustria redige un bilancio che non ha alcuna pubblicità o rendicontazione stabilita per legge, che invece dovrebbe avere come le organizzazioni sindacali dei lavoratori. Non sono, come vedete, contro la triplice, direi quasi che sono maggiormente contro la Confindustria, da un certo punto di vista, perché effettivamente ormai i suoi grandi contribuenti sono strutture pubbliche, quindi le piccole e medie imprese sono la carne da cannone, la base che serve per fare le grandi adunate del presidente Fossa, ma all'atto pratico sono manovrate secondo gli interessi dei grandi gruppi, compresi quelli a prevalente capitale pubblico. Anche questi ultimi, infatti, contribuiscono alla Confindustria, ma ricevono benefici: i contratti d'area, i contributi per la formazione professionale, i patti territoriali ed anche questa operazione della Sviluppo Italia, che per certi aspetti e almeno in parte è una forma di contributo pubblico surrettizio. Quindi, come esiste il problema della pubblicità dei bilanci per le società quotate in borsa, non vedo per quale ragione non debba esistere anche per le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori. Dobbiamo essere trasparenti in tutti i settori, dobbiamo entrare nel meccanismo europeo non soltanto per quello che ci fa comodo, ma anche per quello che non ci piace.
Giustamente il collega Giuliano ha citato le norme del diritto inglese: ma il certification officer non è tanto una figura di presidente del collegio sindacale o di controllore interno, è proprio un certificatore esterno e pubblico di bilancio, il quale riceve dai sindacati inglesi tutte le notizie e tutti i dati relativi alla gestione ed alla rendicontazione dei bilanci dei loro sindacati. Non solo, ma si preoccupa anche di far sì che, entro otto settimane dalla consegna del rendiconto al suo ufficio, venga fornita ai membri del sindacato una dichiarazione, statement, che


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contenga i seguenti dati: il totale delle entrate, la parte di esse costituita dalle quote associative, il totale delle entrate e delle uscite relative al fondo politico dell'organizzazione, gli stipendi pagati, e così via.
Qui noi abbiamo dei sindacalisti, sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori, che fanno parte del CNEL, dei consigli di amministrazione e dei consigli di vigilanza degli enti previdenziali pubblici; avremo in prospettiva - e di fatto già li abbiamo, per alcuni fondi - la presenza di sindacalisti nei consigli di vigilanza dei fondi pensione chiusi. Nel sistema inglese invece, ripeto, vengono riportati anche gli stipendi pagati e gli altri benefit concessi ad ogni membro della direzione, al presidente e al segretario generale di ogni sindacato. Questa è l'Inghilterra, che per ora non è nell'Unione monetaria europea, ma, vivaddio, è nell'Unione europea ed è la patria del Parlamento, della democrazia, del sindacato e del diritto sindacale, come giustamente ha ricordato il collega Giuliano!
Ebbene, se tutto questo viene fatto in Inghilterra, non si capisce per quale ragione non debba essere fatto in Italia (Applausi del deputato Giuliano). Ci si nasconde dietro un «tartufesco» - devo dirlo al sottosegretario - cavillo giuridico, richiamandosi al solo comma 1 dell'articolo 39. Ma chi lo mette in discussione! Le aziende e le società quotate in Borsa che sono obbligate a redigere i bilanci in un certo modo sono forse vincolate nella loro autonomia, nell'impiego degli utili e delle poste di bilancio? Non sono affatto vincolate, quindi non c'è restrizione della loro libertà. L'articolo 41 della Costituzione recita peraltro: «L'iniziativa economica privata è libera». Mi domando: l'iniziativa economica privata è vincolata per il fatto che le società quotate in borsa devono redigere i bilanci, in base alla legge n. 216 del 1974 e successive modificazioni? Utilizzano gli utili come vogliono, secondo le indicazioni dei consigli di amministrazione e degli azionisti.
Non vedo, pertanto, per quale ragione sia vulnerata la libertà sindacale, come sostiene la I Commissione paludandosi dietro ad un cavillo; non so se i miei colleghi di AN nella I Commissione abbiano fatto rilievi su tale aspetto, mi auguro di sì.
Ci si nasconde dietro detto cavillo per affermare che la libertà sindacale è vincolata dal fatto che deve essere pubblicato il bilancio. Ritengo si tratti veramente di un'argomentazione che non sta in piedi e che non ha alcun fondamento giuridico. È soltanto il classico cavillo di un paese che si dice sia la patria del diritto ma che, da tanti punti di vista, non lo è più. Giustamente, molto spesso il collega Taradash si è battuto e si batte su questioni per le quali il diritto viene conculcato. Siamo la patria del diritto, quindi, soltanto per nasconderci dietro i cavilli e non per realizzare veramente la pubblicità e la trasparenza delle norme e delle organizzazioni che ad esse devono richiamarsi.
Amici e colleghi, non nascondiamoci dietro i fogli di carta! Spero che il problema della rappresentatività sindacale venga risolto con l'approvazione, mi auguro al più presto, del progetto di legge A.C. 136 e abbinati. Si tratta di un'esigenza importante che riguarda anche le organizzazioni dei datori di lavoro. Non possiamo accettare, infatti, che soltanto le organizzazioni dei lavoratori siano messe sotto tiro o sotto i riflettori. Dobbiamo affrontare tale problema, come ho già detto, anche per i datori di lavoro specialmente dopo il passaggio di grandi gruppi ex pubblici o para-pubblici ovvero ancora pubblici nell'area della Confindustria, dopo l'eliminazione della distinzione - devo dire assurda - del 1956, quando venne istituito l'infausto Ministero delle cosiddette partecipazioni statali e vi fu il famoso distacco delle aziende dalla Confindustria. Tale distacco è stato oggi recuperato e la struttura riunificata.
Nella Confindustria sono presenti enti ancora di natura pubblica, che ricevono direttamente o indirettamente benefìci dal bilancio pubblico, certamente anche con forme di slalom. In Italia prevalgono più gli slalom che le discese dirette, mentre io sono a favore delle discese dirette, perché


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riguardo alla pubblicità dei bilanci bisogna procedere in modo chiaro e trasparente. Non si può dire che sia un fatto eversivo la pubblicazione di un bilancio, tra l'altro secondo lo schema normale - basta leggere l'allegato A e gli altri allegati per vedere che non vi è nulla di nuovo sotto il sole, semplice contabilità, presidente Innocenti...

PASQUALE GIULIANO. È il codice!

PIETRO ARMANI. Giustamente il collega Giuliani afferma che si tratta della semplice applicazione del codice civile. Ci troviamo di fronte, infatti, ad enti che posseggono patrimoni immobiliari ingenti e che condizionano i fondi pensione chiusi - e li hanno stretti in modo rigido! Il FONCHIM e il fondo dei metalmeccanici, ad esempio, sono strettamente controllati dalla triplice sindacale, della quale fanno parte molti pensionati; infatti, il 54 per cento degli iscritti della CGIL pare sia rappresentato da pensionati, ex cassaintegrati che dalle zero ore sono passati al pre-pensionamento e quindi sono rimasti iscritti al sindacato. Si dovrebbe discutere, pertanto, anche della rappresentatività di un sindacato che firma i contratti collettivi di lavoro, ma il 54 per cento dei cui iscritti è costituito da ex lavoratori.
Sostanzialmente, quindi, vi sono molti problemi, colleghi, che vanno affrontati ed approfonditi. Non vi è peraltro alcun elemento di vulnus alla libertà sindacale, né dal lato dei lavoratori, né dal lato dei datori di lavoro, se introduciamo norme chiare e semplici di redazione e pubblicità dei bilanci. Finalmente, cominceremo a vederci chiaro: d'altronde, dobbiamo vedere chiaro ancora in tante parti della società italiana, una società dove molti telefoni sono controllati, dove avvengono molte intercettazioni e così via. Dobbiamo aprire le finestre in questo paese: cominciamo allora ad aprirle in questo settore, che giustamente ha un rilievo costituzionale importante e che lo acquisisce sempre di più con la «concertazione».
L'avete voluta la «concertazione»? Adesso, non si può prendere soltanto quello che fa comodo e buttare via il resto! La «concertazione» significa che Governo, imprenditori e sindacati si mettono intorno ad un tavolo e, come in Germania, discutono su tutti i problemi del paese, dalla scuola ai contratti di lavoro. In sede di «concertazione», infatti, si discute non soltanto dei contratti collettivi ma di tutti i problemi del paese, fra l'altro talvolta molto prima che il Parlamento ne abbia conoscenza. È quindi evidente, se la «concertazione» è questa, che i soggetti che vi prendono parte devono essere trasparenti. Il Governo redige un bilancio pubblico, che in effetti non è del tutto chiaro, come abbiamo constatato nel corso dell'esame dell'ultima finanziaria: vi sono infatti saldi dai quali vengono esclusi alcuni elementi (basterebbe ricordare le partite contabili e debitorie che sono escluse dai saldi). Comunque, il bilancio statale è pubblico e viene anche esaminato dall'Unione europea, che lo mette sotto esame, considerati i debiti che abbiamo.
Se il Governo ha un bilancio pubblico, gli altri due soggetti coinvolti devono anch'essi assicurare trasparenza quanto alle loro attività, per poter essere credibili dal punto di vista della concertazione. Mi sembra un fatto elementare, di buon senso, come ho detto all'inizio del mio intervento: credo, quindi, che questo progetto di legge debba essere sostenuto ed approvato e non capisco perché il Governo ed il relatore per la maggioranza assumano una posizione diversa (rispetto peraltro le posizioni diverse, perché è positivo che vi sia dialettica in Parlamento). Mi auguro pertanto che la posizione del Governo e del relatore per la maggioranza si modifichino, in quanto credo che questo sia veramente un contributo per cominciare a costruire una vera democrazia «normale» in questo paese, una democrazia che deve essere non soltanto formale ma anche sostanziale! (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dalla Rosa, che avevo in precedenza


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dichiarato decaduto per la sua assenza, ma date le circostanze possiamo fare eccezione alla regola. Ne ha facoltà.

FIORENZO DALLA ROSA. Signor Presidente, le proposte di legge in esame pongono a carico delle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, sia pubbliche sia private l'obbligo della redazione e pubblicazione del rendiconto annuale di esercizio. La normativa vigente, infatti, non prevede altro obbligo in capo ai sindacati, se non quello della loro registrazione presso uffici locali o centrali (articolo 39, secondo comma, della Costituzione) e, relativamente alle attività commerciali eventualmente esercitate, quello della redazione dell'inventario e del bilancio con il conto profitti e perdite (articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600).
In una fase storica in cui si invoca da più parti a gran voce la trasparenza sulle attività di interesse collettivo, tant'è vero che anche ai partiti politici è imposto l'obbligo di dare pubblicità ai documenti concernenti la loro situazione economica e patrimoniale, non si comprende perché le associazioni sindacali debbano essere svincolate da tale prescrizione. È noto che i sindacati, oltre agli introiti derivanti da tesseramenti, attività di servizio e contributi vari, incassano dallo Stato 350 miliardi di lire per i patronati e si servono di un ente pubblico, l'Istituto nazionale della previdenza sociale, per la riscossione della quota associativa dovuta dai propri iscritti.
Dai dati contenuti nella relazione del direttore generale dell'INPS, documento n. 2218/A del luglio 1996, emerge che l'istituto incassa per conto delle associazioni la somma di circa 630 miliardi (per la precisione, 629.329.760.891 lire), alla quale vanno a sommarsi 313 miliardi di trattenute sulle pensioni per CGIL, CISL UIL, 45,5 miliardi di trattenute sulle indennità di disoccupazione per i sindacati agricoli e 132 miliardi per l'assistenza contrattuale alle quattordici maggiori associazioni nazionali: si tratta di cifre da capogiro, di somme della cui enormità ci si può rendere conto solo se obbligatoriamente rese pubbliche. In fin dei conti, si tratta di soldi sottratti alle tasche dei cittadini italiani e, dunque, è giusto che ciascuno sappia dove vanno a finire e in che modo vengono gestiti.
La nostra proposta di legge, rispetto a quella presentata dai colleghi Giuliano, Abbate ed altri, va oltre l'obbligo della redazione e pubblicazione del rendiconto annuale di esercizio: essa prevede, altresì, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, il divieto assoluto di qualsiasi forma di trattenuta sindacale, anche se derivante da contratto di lavoro, consentendo il pagamento delle quote associative ai sindacati solo attraverso il diretto versamento volontario. Ciò è necessario perché, nonostante l'esito positivo del referendum abrogativo della norma che autorizzava le associazioni sindacali dei lavoratori a percepire, tramite ritenuta sul salario, i contributi sindacali dei lavoratori (articolo 26 della legge 20 maggio 1970, n. 300), di fatto, il prelievo continua ad aver luogo, in quanto inserito come clausola nei contratti collettivi nazionali.
Infine, chiediamo l'abrogazione della legge 4 giugno 1973 n. 311, che consente all'INPS e all'INAIL di riscuotere, per conto delle associazioni sindacali e di categoria, sulla base di convenzioni con esse stipulate, i contributi associativi dei lavoratori autonomi iscritti alle predette associazioni. Nel caso degli artigiani, ad esempio, i contributi sono pagati mediante emissione di ruolo esattoriale: tale meccanismo comporta confusione tra quanto deve essere versato per libera volontà di appartenere ad un'associazione, riconosciuta come rappresentativa dei propri interessi, ed il versamento dei contributi sociali, che la legge impone ai cittadini in quanto datori di lavoro, il che ha determinato nel tempo abusi ed eccessi. Per la lega nord per l'indipendenza della Padania, invece, è fondamentale e sacrosanto il principio della libertà di associazione e, quindi, il diritto di pagare i contributi sociali volontariamente ed individualmente.


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PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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