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PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui i deputati, i membri del Governo e i giornalisti presenti nella tribuna stampa) Colleghi, una settimana fa, nella notte di martedì 27 ottobre, è scomparso Vittorio Orefice. Ci sembra giusto ricordarlo oggi nel corso dei nostri lavori che egli ha contribuito a spiegare e a far conoscere a milioni di italiani.
Per consentire l'ulteriore decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta, che riprenderà alle 16,25 con immediate votazioni.
Negli ultimi tempi - ormai fiaccato dalla malattia che lo aveva colpito e dal dolore per il suicidio, avvenuto esattamente tre anni fa, della nipote Alessandra, vittima a soli 23 anni di una grave forma di depressione - amava definirsi un «mattone» di Montecitorio. Di sicuro ne è stato, con i suoi 54 anni di attività, i suoi papillon e il sorriso disincantato, uno dei simboli più familiari al pubblico televisivo.
Orefice era nato a Livorno il 15 giugno 1924. Ancora ragazzo combattè contro i nazisti, sulle montagne di Norcia, dal dicembre del 1943 fino alla Liberazione. Poi, a vent'anni, nel 1944, cominciò la sua carriera di cronista politico, che lo portò a diventare corrispondente da Montecitorio per radio e telegiornali RAI. Fu anche capo del servizio politico dell'agenzia Italia, ma il suo prodotto più noto in questo palazzo, tra giornalisti e parlamentari, fu sicuramente la «velina», la celebre nota politica quotidiana piena di informazioni ufficiali ed ufficiose sulle istituzioni e sui partiti.
Inizialmente, quelle pagine dattiloscritte che tutte le sere venivano inviate a quotidiani e istituzioni pubbliche Vittorio Orefice preferiva chiamarle «servizio», ben cogliendo il sottinteso malizioso del termine «velina», lui che negli anni del fascismo fu vittima delle persecuzioni razziali. Ma alla fine fece talmente l'abitudine al termine coniato dai suoi detrattori che decise di usarlo anche come titolo di un fortunato libro.
Diversi suoi colleghi in questi giorni hanno ricordato, assieme alla grande capacità professionale di spiegare la politica e le istituzioni, anche la sua «vicinanza con il potere». Indubbiamente, Orefice fu uomo di profonde e non nascoste convinzioni politiche. Antifascista e al tempo stesso anticomunista, si sentiva in sintonia con i settori più moderati della democrazia cristiana e non ne fece mai mistero. Lo fu lealmente e senza infingimenti anche quando declinarono le fortune di quell'area politica.
Le sue convinzioni radicate seppero sempre convivere con un profondissimo senso delle istituzioni e con un misurato velo di ironia: armi formidabili che gli hanno permesso di guardare alle vicende politiche sempre con spirito di libertà. Ai giovani, come è stato recentemente ricordato, diceva: «Cercate di conoscere i fatti perché la loro conoscenza viene prima di qualsiasi pur motivata interpretazione. Nulla più della nuda cronaca può smontare una teoria costruita a tavolino». È una lezione ancora valida e che, assieme ai suoi colleghi che lavorano a Montecitorio, vorremmo ricordare con una giornata di studio sul giornalismo politico e parlamentare intitolata alla sua memoria. Un piccolo omaggio anche da parte di noi, donne e uomini del Parlamento, che tanta parte siamo stati della sua esistenza. Ma anche un modo per avviare, alla luce della sua esperienza, un confronto libero, civile, tra giornalisti e politici, come nel costume della persona che ricordiamo.
Un saluto ai familiari presenti in tribuna (Generali applausi dell'Assemblea, cui si associano i membri del Governo e i giornalisti presenti nella tribuna stampa).