Seduta n. 412 del 25/9/1998

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(Discussione sulle linee generali - A.C. 411)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che i presidenti dei gruppi parlamentari di forza Italia e di alleanza nazionale ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Il relatore, onorevole Carotti, ha facoltà di svolgere la relazione.

PIETRO CAROTTI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'istituzione del giudice unico di primo grado, che entrerà nella sua fase operativa il 2 giugno 1999, ha reso indispensabile un intervento legislativo che disegnasse la possibilità di introdurre un rito sostitutivo di quello pretorile che veniva assorbito dalla riforma complessiva. Nei due snodi previsti all'interno della legge che istituisce il giudice unico vi è la possibilità di giudizio in composizione collegiale e la possibilità di giudizio in composizione monocratica.
Ovviamente, per un criterio elementare di gradualità e di diffusione dell'espletamento della giurisdizione all'interno delle figure di reato che vengono chiamate per essere giudicate da parte dell'organo, la nostra legislazione si è orientata nel senso di una progressiva complicazione (lo dico in senso positivo) della procedura che assiste il rito che sarà riservato al giudice di pace, non appena questo avrà competenza penale, al rito monocratico all'interno del giudice unico di primo grado e alla composizione collegiale.
Originariamente il progetto di legge di iniziativa del Governo aveva contenuti estremamente limitati dal punto di vista quantitativo perché disciplinava e rendeva razionale il passaggio dal rito pretorile a quello monocratico all'interno del giudice unico di primo grado.
Nel corso della discussione la Commissione ha ritenuto di unificare ben venti tra proposte e disegni di legge che hanno determinato una «escursione» a tutto campo sulla «prateria» di alcune norme della procedura penale, che risultano sostanzialmente modificate e che portano ad un complesso di testo unificato che, ad avviso del relatore, ha una propria organicità e che comprende pure delle materie eterogenee che riguardano il diritto civile e la modifica molto limitata di due norme del


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codice sostanziale. Esse vengono offerte oggi alla valutazione dell'Assemblea con una proposta che ha il pregio di essere comunque rivisitata in tutte quante le sue parti ed ha sicuramente il difetto di aver avuto dei coordinamenti estremamente complessi - anche dopo un lungo dibattito che ha preceduto l'esame di questa serie di proposte di legge - da parte della magistratura, dell'avvocatura e del mondo accademico che, nel corso dell'esame degli emendamenti in Commissione, segnalavano alcune esigenze che sono state accolte attraverso l'approvazione di alcune proposte di modifica, che in qualche modo hanno interferito e influito sull'organicità e sulla coerenza logica e conseguenziale del testo normativo in esame.
Naturalmente, il relatore ed il Comitato dei nove non si sottrarranno ad una rivisitazione della legge per far sì che si affermi una visione complessivamente unitaria dell'intero testo. Mi auguro che il buon andamento di questo lavoro - che probabilmente richiederà qualche tempo - possa essere favorito anche dalla consapevolezza della necessità di un intervento non più dilazionabile.
In questa mia relazione vorrei «rendere ragione» soltanto delle linee guida fondamentali del provvedimento, perché ci troviamo in presenza di un testo composto da ben novantatre articoli e che - come accennavo in precedenza - affronta la materia dei riti alternativi, della nuova disciplina che riguarda il giudizio, dell'indispensabile rivisitazione complessiva dei riti del giudizio direttissimo ed altro, che sono una conseguenza logica e ineludibile di quella che è stata la riforma fondamentale che ha unificato il giudice unico in primo grado.
Per onestà intellettuale, vorrei dire che l'esame dell'intero pacchetto normativo mi aveva portato a fare una prima riflessione che ritenevo avesse una certa dignità scientifica perché, a fronte della possibilità di conservare o meno quella distinzione di rito - che in qualche modo segnava un sacrificio del rito accusatorio e che era presente già nel 1989 con il rito pretorile - ho immaginato che, venendo introdotta la figura di un giudice monocratico che oltre tutto estendeva la sua competenza a reati di gran lunga più gravi e più complessi sotto il profilo dell'accertamento della responsabilità, l'unificazione complessiva del rito potesse comportare qualche costo di ordine processuale in termini di impegno di risorse personali da parte della magistratura e di professionalità da parte dei soggetti del diritto. Ho ritenuto che questo fosse un passo in avanti che in qualche modo potesse dare una risposta a dieci anni di distanza ad alcune obiezioni che vennero pure segnalate alla Corte costituzionale sulla tenuta, rispetto al rito accusatorio, della parte pretorile, laddove si registrava una commistione impropria - una specie di inquinamento concettuale - tra l'imputazione e l'accusa. L'obiezione fondamentale che fu mossa - la quale venne poi segnalata nella legge delega - consisteva nel fatto che la speditezza e la necessità di semplificazione e di accelerazione, tipiche del processo pretorile, in qualche modo doveva essere segnalata da una velocizzazione della fase processuale e quindi da una semplificazione di tutti quegli strumenti che hanno abbassato il livello di garanzia nel rito pretorile; fatto che ho cercato in qualche modo - mi auguro con un parziale successo - di ostacolare nella riforma che proponiamo oggi all'Assemblea. Tutto ciò, ferma restando la già dichiarata disponibilità ad intervenire attraverso il comitato dei nove recependo tutte le proposte emendative che favorissero una migliore definizione delle linee fondamentali del provvedimento, sulle quali ovviamente il relatore non intende avere minimamente dei ripensamenti.
Sono state valutate tutte le obiezioni mosse da molti deputati componenti la Commissione - sia dello schieramento di maggioranza che di quello dell'opposizione - i quali hanno segnalato che si ponevano anche problemi di lacerazione di alcuni principi. Si è evidenziato che comunque era indispensabile potenziare una fascia di garanzie e che era altrettanto indispensabile entrare nella valutazione


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di una prassi, che purtroppo, almeno secondo il mio punto di vista, è assolutamente indiscutibile ed è dispiegata nel nostro territorio un po' a macchia di leopardo, quella cioè di un non eccellente funzionamento dell'udienza preliminare in quanto tale. Questa, in qualche modo, consisteva in uno snodo che voleva essere centrale nella riforma del 1989, quale filtro giurisdizionale del fondamento dell'accusa, momento di conoscenza dello spessore probatorio; quindi si poteva arrivare a saggiare quale era la tenuta dell'imputazione, quali erano le possibilità di sviluppo dibattimentale e tutto il materiale che ormai forma oggetto di una nutrita biblioteca, che invece in alcune realtà - questo certamente non per responsabilità dei soggetti che erano chiamati ad intervenire nell'udienza preliminare - avevano reso l'udienza una specie di smistamento, vorrei dire di tipo cancellieristico, con una valutazione sul merito, pur limitata all'aspetto processuale della procedibilità ad un giudizio che in qualche modo confermasse o meno l'ipotesi accusatoria, tanto da mettere addirittura in dubbio l'utilità complessiva dell'udienza preliminare sotto il profilo della sua prassi applicativa.
In un primo momento, dicevo, mi sono mosso nella direzione opposta, ritenendo che forse l'udienza preliminare, alla quale doveva essere restituita la centralità conferita dai padri creatori del codice accusatorio, dovesse essere estesa a tutti i reati. Una serie di obiezioni di indiscutibile fondamento hanno invece condotto alla redazione di un testo che vede nuovamente la divisione in due tipi di accesso processuale alla fase dibattimentale. Ho cercato in qualche modo di tener conto anche del fatto che non sempre la scarsa gravità di un reato conduce alla facilità di accertamento della responsabilità ed anche delle risultanze di una giurisprudenza che si è consolidata e stratificata su alcuni punti. Pertanto, transitando attraverso quella che definivo a me stesso come una specie di riduzione del danno, ho circoscritto i reati che invece vengono disciplinati con un esercizio dell'azione penale diretto attraverso la citazione che viene sostanzialmente posta in capo al pubblico ministero, con questo nuovo cumulo di funzione di imputazione e di accusa. Invece, per i reati che hanno maggiore gravità, che determinano maggiore allarme sociale e che portano ad un accertamento più complesso, che ha degli effetti di indiscutibile valore gerarchico sotto il profilo delle maggiori conseguenze che produce, abbiamo conservato un'udienza che non cambia soltanto nome nel testo unificato, ma cambia proprio obiettivo strategico, cambia fisionomia e cerca in qualche modo di essere più a ridosso della fase terza del dibattimento anziché della fase investigativa, che era uno dei difetti lamentati, anche se con qualche autorevole dissenso, da parte dell'avvocatura, di studiosi ed anche di una notevole fetta del mondo accademico.
Il testo, quindi, si muove in una direzione precisata nei suoi contorni e mi appare anche sufficientemente organico, salvo i difetti che ho segnalato, che cercheremo in qualche modo di eliminare nel corso della discussione degli articoli. Aver riservato quei reati per così dire minimali, intermedi rispetto a quelli che meritano una magistratura di tipo onorario, al giudice di pace, il quale avrà competenza soltanto in fasi residuali che sono al limite della necessità di intervento penale oppure di altro tipo di sanzione, ed aver riservato invece altri reati alla più costosa delle fasi, che è quella del dibattimento, ha consentito di creare un'altra fascia per la quale, appunto, è previsto un trattamento diverso, di cui parlerò tra breve.
Segnalo altresì, come linea strategica fondamentale del testo, che si è preso atto dell'ingorgo che si è verificato, dell'inceppamento anche temporale della giustizia a seguito del cattivo funzionamento di alcuni riti alternativi, che costituiscono anch'essi un sacrificio rispetto allo schema fondamentale accusatorio e che invece nella previsione della fine degli anni ottanta e dei primi anni novanta dovevano essere una specie di raccoglitore che consentiva a circa l'80-85 per cento dei


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procedimenti di essere definiti attraverso, appunto, la scelta dell'alternativa inquisitoria, cosa che invece storicamente non è avvenuta. Siamo in una situazione - che è inutile ricordare all'Assemblea - con tempi molto simili a quelli delle maledizioni bibliche. Quindi, l'indispensabilità di potenziare la richiesta di rito alternativo, pur rappresentando un sacrificio sotto il profilo teorico e sistematico, è stata in qualche modo alleviata dal riconoscimento di una possibilità suppletiva anche di attività probatoria, posta a favore della difesa. Ciò creando un bilanciamento che, secondo la mia valutazione, è certamente positivo, fino al punto da farci sperare che il rito abbreviato, così come lo descriviamo nella seconda parte del testo unificato, possa intercettare il maggior numero di procedimenti.
Ci troviamo infatti in una situazione nella quale abbiamo eliminato il condizionamento, che era pesante, anche storicamente, costituito anche dalla necessità del parere - sotto il profilo del suo assenso - da parte dell'organo della pubblica accusa. Ci siamo mossi nella direzione di consentire anche la possibilità di utilizzazione - questo de iure condendo, ma nel tessuto normativo si percepisce - di quelli che saranno i risultati delle investigazioni difensive. Si è così in qualche modo censurata normativamente anche la possibile inerzia negligente da parte dell'organo dell'accusa, che rendesse non definibile il procedimento allo stato degli atti, quindi non spendibile questo tipo di soluzione processuale, che poi si conclude con una sentenza che può avere la natura più varia (di assoluzione o di condanna), ma che comunque rimetteva in larga misura la scelta nella mani dell'organo di accusa. Infatti, nel momento in cui le indagini fossero state incomplete, anche colposamente, non vi era la possibilità da parte della difesa di una integrazione probatoria, o addirittura di arrivare d'ufficio, da parte del giudice dell'udienza predibattimentale, a colmare queste lacune, che non possono essere poste a carico dell'imputato, precludendo una delle scelte fondamentali che noi cerchiamo di fare.
L'udienza predibattimentale che è forse uno dei nodi più significativi dell'intera impalcatura del testo, sostanzialmente, vorrebbe anticipare un segmento di fase dibattimentale, segnatamente in relazione all'ammissione delle prove, aspetto che ha suscitato non poche perplessità e sul quale, ovviamente, tutte le riflessioni sono aperte. A me sembra, però, che la maggior parte delle censure che sono venute, in realtà, fanno torto alla purezza del rito accusatorio di cui noi, in qualche modo, siamo i seguaci, anche a partire dalla prima riforma, che non era tanto timida, ma lo è diventata attraverso gli interventi della Corte costituzionale ed alcune interpretazioni della Corte di cassazione, che hanno reso il nostro un rito accusatorio paradossale, una sorta di sovrapposizione di fasi inquisitorie con fasi accusatorie, senza che si capisca bene quali sono i limiti di permeabilità e di osmosi nell'udienza preliminare tra l'attività svolta dal pubblico ministero ed i confini di giudicabilità da parte del giudice dell'udienza preliminare.
È stata poi ancora più snaturata tutta la fase del giudizio attraverso la concessione di principi interpretativi che facevano - e purtroppo fanno ancora - acquisire al fascicolo dibattimentale una serie di atti spuri, contraddicendo quello che a mio avviso è il principio più significativo del rito accusatorio, cioè la formazione della prova nella fase del dibattimento e quindi del contraddittorio quando si passa, in concreto, dal procedimento al processo, molto di più di quanto non avvenga oggi con l'udienza preliminare.
Sulla scorta di queste considerazioni, l'udienza predibattimentale è caratterizzata da una fase che definirei precognitiva, all'interno della quale c'è una valutazione dell'ammissibilità delle prove, il che, secondo la nostra valutazione, non farà altro che accelerare e semplificare la successiva fase processuale. Infatti quando si afferma dal punto di vista teorico -


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naturalmente con fondamento - che, in realtà, è piuttosto forzato sottrarre al giudice del dibattimento, che è poi colui il quale dovrà decidere sul fondamento dell'imputazione, la valutazione dell'ammissione delle prove, si afferma un principio che, però, dovrebbe essere coordinato con quanto non soltanto avviene nella prassi, ma è codificato, ossia il fatto che oggi il giudice del dibattimento ammette le prove senza conoscere gli atti del procedimento. Fa, quindi, una scommessa in bianco, semplicemente sulla scorta delle prospettazioni accusatorie o difensive. Questa specie di fictio iuris, che a noi è sembrata paradossale (il giudizio di pertinenza penso potesse essere ancorato, semmai, al numero delle testimonianze che venivano prospettate da parte della difesa), ci ha orientato nel ritenere che la fase predibattimentale - che, ripeto, si accosta anche dal punto di vista formale al dibattimento vero - e proprio fosse la sede propria, la vera patria giuridica di un intervento all'interno del quale il giudice...

PRESIDENTE. Mi scusi tanto, onorevole Carotti, dato che siamo ancora alla «fase predibattimentale», ho il dovere di ricordarle che lei ha ancora a disposizione due minuti: evidentemente non saremo fiscali, l'argomento è talmente interessante, tuttavia sono tenuto a ricordare il regolamento. Faremo finta che l'orologio si fermi per un po', però...

PIETRO CAROTTI, Relatore. Le garantisco, Presidente, che non utilizzerò più di tre minuti oltre il tempo che mi è concesso.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, ieri, peraltro, in Conferenza dei capigruppo si è stabilito un raddoppio dei tempi concessi...

PRESIDENTE. No, mi scusi, onorevole Benedetti Valentini, lei è sempre molto bravo, ma questa volta lo è un po' meno: i tempi per il relatore sono stabiliti dal regolamento, su di essi non può intervenire la Conferenza dei presidenti di gruppo.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Sì, ma...

PRESIDENTE. No, mi scusi, onorevole Benedetti Valentini, ha torto.
Onorevole Carotti, stavo dicendo che faremo come si usa nei comuni inglesi, in cui si ferma l'orologio.

PIETRO CAROTTI, Relatore. Per la verità, Presidente, anche perché confortato della straordinaria attenzione che l'Assemblea mostra verso il provvedimento, con una presenza veramente incombente, speravo che si potesse utilizzare questo meccanismo anglosassone dei tempi considerati un po' relativi, con gli orologi che vengono fermati a seconda delle circostanze. Comunque, mi atterrò ai cinque minuti successivi.

PRESIDENTE. Non si preoccupi, le ho detto che non guarderemo l'orologio, desideravo solamente ricordarle il trascorrere del tempo, perché nella sua relazione ci si trovava ancora alla fase predibattimentale.

PIETRO CAROTTI, Relatore. La ringrazio per la sua consueta cortesia, Presidente.
Dicevo, quindi, che la fase dibattimentale è caratterizzata dal suo accostamento al dibattimento con possibilità anche di ampliamento della fase di decisione, là dove si consente la valutazione delle attenuanti con giudizio di comparazione, si consente un'integrazione e la nomina di un perito, evitando che ciò si ripercuota sul dibattimento, dal momento che rappresenta una delle cause principali di inceppamento dei tempi dello stesso. Quindi, quella dell'udienza predibattimentale è una scelta strategica, la quale, secondo l'opinione dei presentatori e del relatore, forse poteva essere coraggiosamente estesa anche ad altre fasce di reato, ma che comunque risponde ad una visione molto organica e che quindi mi auguro venga condivisa ed approvata, con i doverosi aggiustamenti, da parte dell'Assemblea.


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Per quanto riguarda, invece, la fase più propriamente simile alla ex pretoria, abbiamo ridotto il numero dei reati che vi sono compresi, abbiamo in qualche modo reso in termini legislativi ciò che avviene nella prassi, cioè l'introduzione di una prima udienza di comparizione che somiglia molto, come esecuzione, all'udienza predibattimentale, salvo il fatto che viene esercitata dallo stesso magistrato che poi è chiamato ad esprimere il giudizio di colpevolezza, nel caso in cui non vengano scelti i riti alternativi.
Un altro punto a mio avviso qualificante va identificato nell'indispensabilità, che è stata segnalata da più parti, della creazione di un filtro, di uno sbarramento per la scelta dei riti alternativi, cosa che oggi viene sistematicamente rimandata, per quanto riguarda il cosiddetto patteggiamento, alla fase dibattimentale, se non altro per motivi di comprensibile pigrizia. Ci troviamo invece in una situazione nella quale abbiamo la certezza che alla fase dibattimentale giungeranno quei processi che non possono trovare soluzione diversa.
Tralascio completamente la parte relativa alla procedura civile, perché in proposito il testo ha raccolto sostanzialmente l'unanimità da parte della Commissione, quindi credo che su di esso non si creeranno lacerazioni in Assemblea.
Per quanto riguarda i riti alternativi, abbiamo ampliato le possibilità di produzione e valutazione della prova ed abbiamo reso questo elemento centrale, secondo la proposta di legge presentata da alcuni deputati, anche dell'opposizione, che in qualche modo intendevano far sì che si verificasse un rovesciamento della prassi e che il rito abbreviato fosse quello ordinario e non speciale, mentre il rito dibattimentale fosse riservato agli episodi criminali che veramente lo meritano.
Successivamente, abbiamo proceduto all'esame di una serie di proposte emendative e abbiamo tenuto conto, oltre che naturalmente di quelle approvate, anche delle esigenze prospettate in quelle non approvate: siamo così giunti ad una soluzione che è certamente di equilibrio, anche se può generare delle perplessità di tipo tecnico. Aggiungo che la necessità di ristrutturare completamente il rito direttissimo nasce come conseguenza inevitabile della modifica complessiva che abbiamo apportato. Ci siamo attenuti anche, per doverosa completezza, alla necessità di risolvere il problema che i praticanti avvocati avevano sollevato, non sapendo che fine dovesse fare (anche se vi era un provvedimento che in qualche modo li riguardava) la loro possibilità di esercizio dell'attività professionale con un rito monocratico che certamente, per la sua delicatezza ed anche per la possibilità quantitativa di irrogazione sanzionatoria, può creare qualche perplessità. Al riguardo, abbiamo riprodotto più o meno la stessa disciplina antecedente alla modifica che mi auguro venga approvata.
Vorrei concludere, ringraziando il Presidente per la sua cattiva visione delle lancette dell'orologio, facendo osservare che vi è un altro provvedimento al quale annetto particolare significato (oltre a tutti gli altri, sui quali ora non intervengo, ma che formeranno oggetto di ampio dibattito in sede di esame degli emendamenti): abbiamo affrontato, sulla base di alcuni emendamenti (presentati, se ben ricordo, dallo stesso presidente Pisapia) un problema che potrà essere più organicamente risolto in una fase successiva, quando ci dovremo occupare di una nuova frontiera della sanzione penale, cercando di sprigionare la nostra fantasia per fare in modo che non vi sia più una brutalità di risposta esclusivamente in termini di detenzione, ma che vi sia maggiore elasticità.
Abbiamo cercato di tradurre questa tendenza, in qualche modo, attraverso la possibilità, nel rito patteggiato, di arrivare a trovare un consenso nella fase di cognizione, non soltanto sul quantum della pena, ma anche sulla sua eventuale conversione ai sensi dell'ordinamento penitenziario oggi in vigore. Questo, secondo la nostra valutazione, ci fa risparmiare almeno il quarto grado di giudizio, perché sistematicamente viene investito il tribunale di sorveglianza con i meccanismi oggi


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vigenti della legge Simeone; il suo arretramento, offrendo sempre ad un giudice terzo, che ha cognizione piena di tutto il fatto e della personalità, la valutazione delle condizioni per l'assegnazione al servizio sociale, o ad altro, ci sembra un passo in avanti qualificante, che dovrebbe «tinteggiare» l'intero tessuto normativo non meno di quanto fa l'udienza predibattimentale e la ricerca di un nuovo strumento di procedimenti speciali (segnatamente il rito abbreviato).
Do infine notizia alla Camera che abbiamo deciso di disabbinare alcuni provvedimenti che sono di non scarso momento, proprio perché meritano forse una migliore riflessione ed una proposta più complessiva e contestualizzata all'interno di una rivisitazione che può riguardare anche altri settori: mi riferisco specificamente alla pena concordata e alla irrilevanza penale del fatto. Tuttavia, così come si presenta il testo, a mio avviso, merita l'approvazione della Camera: la possibilità di aggiustamenti, anche non insignificanti, è certamente nella disponibilità dell'Assemblea ed al riguardo dichiaro anche la disponibilità del relatore. Ringrazio per l'attenzione e chiedo scusa se ho superato i tempi regolamentari, riservandomi di intervenire successivamente in sede di esame degli articoli e degli emendamenti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro di grazia e giustizia.

GIOVANNI MARIA FLICK, Ministro di grazia e giustizia. Signor Presidente, chiedo scusa del breve ritardo con cui sono arrivato e del fatto che, appena terminato l'intervento, dovrò tornare al Consiglio dei ministri dove è in discussione il progetto di legge finanziaria.
Signor Presidente, onorevoli deputati, l'attuazione del giudice unico, sul piano normativo come su quello amministrativo e organizzativo, costituisce un impegno e un dovere per il Governo dopo l'approvazione, avvenuta a larghissima maggioranza nel 1997, della legge delega e poi del decreto legislativo che ha ottenuto il parere ampiamente favorevole delle Commissioni giustizia di Camera e Senato. Costituisce tuttavia una novità oggettiva assoluta per le esigenze di giustizia di questo paese e costituisce, sul piano politico, una priorità per la maggioranza riaffermata, nei giorni scorsi, da un documento sulla giustizia nel quale il Governo si riconosce pienamente. Quel documento pone al primo punto della priorità del giudice unico la riforma del rito davanti al giudice monocratico e la preventiva realizzazione di condizioni organizzative, sottolineando la necessità (credo da tutti condivisa e ribadita oggi dall'onorevole Carotti che ringrazio per la sua relazione che apprezzo profondamente in quanto esprime il dibattito e lo sforzo compiuto nell'ambito della Commissione a cui va la mia gratitudine) di una rapida approvazione della riforma al nostro esame e condivido nel complesso il testo proposto dalla Commissione giustizia in sede referente.
La riforma è stata utilmente allargata alla disciplina dei cosiddetti riti alternativi che rivestono un ruolo (è inutile che lo ripeta in questa sede) certamente decisivo per la funzionalità del processo, anche accogliendo (e di ciò ne sono grato) alcune linee di fondo di una precedente proposta governativa dedicata in modo specifico ai riti alternativi. Il progetto di riforma oggi all'esame della Camera muove da una premessa senz'altro condivisibile da tutti, comune anche all'originario disegno di legge del Governo, più limitato, premessa secondo la quale l'attuale procedimento pretorile non sarebbe adeguato a contenere e a disciplinare le nuove attribuzioni derivanti dalla riforma del giudice unico. D'altra parte lo scivolamento dell'udienza preliminare nella sede predibattimentale per tutte le ipotesi di reato (come da qualcuno auspicato) avrebbe comportato molteplici problemi di carattere organizzativo, maggiore impegno di personale di assistenza all'udienza, maggiore impegno dei magistrati (sia giudici che pubblici ministeri) e si sarebbero in tal modo ridotti i vantaggi, in termini di recupero di magistrati e di razionalizzazione delle


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risorse, che rappresenta uno dei fondamentali obiettivi dell'introduzione del giudice unico.
Le esigenze di carattere organizzativo, con l'avvicinarsi dell'entrata in funzione del giudice unico, si fanno preminenti anche per assicurare unitarietà e stabilità al complesso delle riforme: quella oggi in discussione in aula (che ha per oggetto le garanzie), quella del giudice unico (che ha per oggetto l'efficienza negli uffici). Riforme che, per intrinseca razionalità e per espressa volontà politica e condivisione generale, dovranno entrare in vigore contemporaneamente e senza ritardi alla data del 2 giugno 1999. Ciò pone al Governo, che per dettato costituzionale è responsabile dell'organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, l'onere di trovare la soluzione a problemi organizzativi dei quali, ne sono certo, in Parlamento saprà tenere conto. Occorre inoltre che gli uffici giudiziari siano messi in grado di predisporre, con ragionevole anticipo, tutti gli strumenti organizzativi di loro diretta competenza perché la riforma abbia un'avvio il più funzionale possibile. La prospettata abolizione delle sezioni GIP, la cui formulazione normativa richiede comunque un chiarimento, impone uno sforzo di organizzazione degli uffici di straordinaria portata ed implica qualche ripensamento anche in relazione al meccanismo delle incompatibilità che era stato configurato in sede di attuazione del giudice unico, ma riferito ad un diverso assetto dell'ufficio del GIP. È pertanto dovere del Governo rappresentare al Parlamento l'assoluta rilevanza strategica degli aspetti organizzativi perché il Parlamento stesso possa deliberare nella piena consapevolezza di tutte le implicazioni di questa importantissima riforma.
I tempi tecnici per l'operatività dei tribunali metropolitani (provvedimento di delega all'esame dell'altro ramo del Parlamento attualmente in Commissione giustizia) introdurranno ulteriori vischiosità delle quali occorre tener conto. Vorrei qui ricordare, tra le numerose indicazioni emerse nel corso delle audizioni in Commissione di tutte le componenti rappresentative ed associative di operatori della giustizia, la posizione dell'associazione magistrati, che nell'ovvio rispetto delle prerogative parlamentari ha rappresentato la necessità di modifiche organiche, tempestive e soprattutto in grado di funzionare. Ma ricordo anche tutti gli altri contributi. Sono consapevole che quando si introducono innovazioni di questa portata occorre molta determinazione anche per superare la naturale resistenza alla loro accettazione.
Nel corso di questo dibattito parlamentare (lo ha già detto il relatore ed io mi associo alla sua indicazione) ed in vista delle modifiche che appariranno utili o necessarie, sarà opportuno tener conto anche della discussione che si è sviluppata in tutte le sedi (penso all'avvocatura) sui temi in esame, che è in grado di offrire suggerimenti importanti ed occasioni di dialogo.
Nell'assoluto rispetto delle scelte di fondo, alcuni aspetti di carattere processuale a mio avviso hanno bisogno di aggiustamenti sotto il profilo tecnico. Ne segnalo fin d'ora alcuni di maggior rilievo.
Nella fase transitoria il meccanismo di passaggio dei procedimenti dal pretore al giudice di pace, pur non mettendo in discussione né la quantità né la qualità delle vertenze trasferite, richiede una messa a punto. Non è infatti mutuabile senza modifiche la soluzione a suo tempo adottata per il passaggio delle competenze dal pretore al conciliatore, poiché l'ambito territoriale (la competenza del giudice di pace e dell'attuale pretore) non è coincidente come lo era quella del conciliatore e del pretore. Il superamento degli sconfinamenti che oggi derivano dalla diversità di competenza per materia tra procura circondariale e procura presso il tribunale rende più agevole una disciplina della competenza territoriale del pubblico ministero.
È un tema sul quale siamo tutti d'accordo; anch'esso è stato oggetto di numerose iniziative legislative in sede parlamentare e governativa. La disciplina, pur affermando il principio della necessaria


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corrispondenza tra ambito territoriale del giudice ed iniziativa del pubblico ministero, non dovrebbe divenire l'occasione per un eccessivo appesantimento della fase delle indagini. Dunque è possibile semplificare il meccanismo previsto nel testo oggi in aula, disegnato su una realtà che vedeva una differenziazione - anche nella competenza per materia - fra procura pretorile e procura di tribunale ed ulteriormente ampliato nel corso dei lavori in Commissione.
Il Governo porrà la massima attenzione al dibattito parlamentare per cogliere gli ulteriori apporti costruttivi e per partecipare all'elaborazione in modo costruttivo ed in adesione agli indirizzi che emergeranno.
Il Governo si augura che questa sia veramente la svolta della giustizia insieme con tutte le altre iniziative per le quali, se consentite, vorrei esprimere la mia gratitudine alla Commissione giustizia. Si tratta di iniziative che consentiranno di voltare effettivamente pagina nella realizzazione del servizio giustizia in questo paese.

PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Pecorella. Ne ha facoltà.

GAETANO PECORELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, la prima ragione di critica che può essere espressa nei confronti del provvedimento riguarda proprio le regole a cui ci si deve attenere per fare buone leggi. Lo ha già ricordato il relatore, senza tuttavia portare la sua osservazione alle estreme conseguenze. Potremmo definire questo come un «provvedimento arlecchino», perché contiene aspetti relativi all'intero ordinamento giuridico: dal processo civile alla procedura penale, all'ordine giudiziario, al diritto penitenziario. L'insieme di questi aspetti sarebbe condivisibile se i diversi interventi scaturissero da un'unica necessità, cioè dall'esigenza di coordinare la nuova figura del giudice unico di primo grado all'ordinamento vigente. Così non è ed è sufficiente richiamare per questo la complessità, la molteplicità dei temi: dalla sospensione condizionale della pena, al controllo sulla competenza del pubblico ministero, all'oblazione, all'udienza predibattimentale, ai procedimenti speciali, alla soppressione del ruolo del GIP, alla composizione delle sezioni di polizia giudiziaria, al giudice onorario aggregato e, infine, ai lavori di pubblica utilità.
Credo che questo sia un esempio emblematico di come ci si diano delle regole che poi non si rispettano, perché la nota circolare del 19 gennaio 1997 indica come elemento fondamentale per fare buone leggi che il testo sia quanto più possibile omogeneo.
Chi è abituato professionalmente a doversi orientare nelle foreste di queste molteplici indicazioni tra loro scoordinate sa quanto diventi difficile l'utilizzo delle innovazioni normative che non hanno al loro interno una logica.
Credo che anche un'altra critica possa essere rivolta a questa proposta di legge e riguarda l'oscurità di non poche disposizioni normative. Ne voglio ricordare una sola ed è quella che concerne l'innovazione relativa alla sospensione condizionale della pena, che sembra prevedere in due commi la stessa identica situazione con una disciplina che a me pare, francamente, nonostante tutti gli sforzi, poco comprensibile.
Penso che soprattutto sui principi ai quali si ispira questa riforma si debba esprimere un dissenso netto, radicale e, io credo, assolutamente irrevocabile.
L'introduzione dell'udienza predibattimentale comporta l'abbattimento di un pilastro su cui si regge il processo accusatorio e cioè la netta cesura tra la fase delle indagini e quella del dibattimento. Chi sa dei meccanismi storici della procedura penale è ben consapevole che la continuità tra le indagini ed il dibattimento, tra il giudice delle indagini ed il giudice della decisione è il carattere tipico del processo inquisitorio; mentre una netta separatezza tra chi fa le indagini e chi, poi, deciderà è invece la caratteristica essenziale del processo accusatorio.
Allora, quando il relatore dice che ci si è voluti ispirare al processo accusatorio


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nel quale egli crede, apprezzo - come faccio da tempo - la sua onestà intellettuale, ma gli voglio ricordare che l'udienza predibattimentale, così come è configurata, è proprio la chiave di volta del processo inquisitorio.
Anche le conseguenze pratiche di questa udienza predibattimentale, che nel nome stesso ricorda che siamo già nella fase del dibattimento, non sono di poco momento. Intanto il giudice, sia delle indagini sia dell'udienza predibattimentale, è il giudice del tribunale ordinario che provvisoriamente esercita questa funzione. Ciò significa che i giudici saranno delegati - nel senso che entreranno dal tribunale ordinario - ad esercitare le funzioni del giudice delle indagini in molte occasioni: sulle misure relative alla libertà, su alcuni provvedimenti istruttori e, infine, sull'udienza predibattimentale.
C'è da domandarsi come sarà possibile evitare le incompatibilità tra il giudice del dibattimento ed il complesso di giudici che si saranno già occupati di quel processo in fase di indagini, tanto più che l'attuale normativa sul giudice unico prevede la distinzione tra il giudice delle indagini ed il giudice dell'udienza preliminare ed anche questa normativa la indica come una finalità tendenziale. Allora, soprattutto nei piccoli tribunali, sarà ben difficile trovare un numero sufficiente di giudici che possano occuparsi prima delle indagini, poi dell'udienza predibattimentale ed infine del dibattimento, a meno che - ma credo che questo supererebbe qualunque limite logico e di principio - non si ritenga che nell'udienza predibattimentale possa operare lo stesso che poi opererà all'interno del dibattimento.
Un altro aspetto va sottolineato, che non tocca principi teorici ma riguarda sia la funzionalità che principi di natura civile e culturale. Mi riferisco al fatto che, secondo questa proposta, spetterebbe al giudice dell'udienza predibattimentale l'ammissione dei testimoni e delle prove. Credo che questo sia veramente il cuore del provvedimento in esame e al riguardo si dovrà essere molto attenti. Perché? Prima di tutto, in questo modo viene meno l'unitarietà del giudizio. Se altro giudice decide al posto del giudice del dibattimento, del giudice che emetterà la sentenza, sull'ammissione delle prove, avremo questa singolare figura: che una parte che è rilevante ai fini della decisione viene valutata, decisa da un giudice e altre parti rilevanti sempre ai fini della decisione vengono decise da altri giudici.
Un secondo profilo attiene proprio alla separatezza tra il momento della decisione e il momento delle indagini. Mi sembra infatti evidente che il giudice dell'udienza predibattimentale non sceglierebbe le prove ammissibili fondandosi sulla rilevanza che esse hanno in base al capo di imputazione. Questo è - badate - il punto fondamentale: la scelta della prova, la rilevanza della prova, non deve essere decisa in funzione delle indagini già effettuate, ma deve essere decisa in funzione del rapporto tra la prova e il capo di imputazione, tra la prova e il fatto che va accertato. Ebbene, in questo modo, poiché il giudice che ammette le prove avrà conoscenza piena del fascicolo del pubblico ministero, è inevitabile che le considererà rilevanti o irrilevanti in funzione delle indagini fatte dal pubblico ministero, non in funzione del fatto che va accertato preso in sé, in modo distaccato dalle indagini precedenti.
Il secondo effetto negativo di questa funzione che viene affidata al giudice del predibattimento è che il giudice del dibattimento non potrà non essere influenzato dalle ordinanze di ammissione della prova. Posto che il giudice del predibattimento dovrà spiegare perché una prova è o meno rilevante (a meno che si astenga dal dare alcuna motivazione, il che non mi pare né logico né rispettoso del contraddittorio e della conoscenza delle parti), ebbene, quel giudice, dicendo perché una certa prova è rilevante, trasferirà inevitabilmente parte del contenuto delle indagini del pubblico ministero all'interno del dibattimento proprio attraverso la motivazione della rilevanza.
Non credo poi che questo sistema avrebbe il vantaggio di allontanare il


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giudice dell'udienza predibattimentale, cioè il giudice delle indagini, dal pubblico ministero, dando a lui maggiore autonomia, maggiore capacità di giudizio libero. Piuttosto, temo il contrario: che questa immissione dei giudici del dibattimento all'interno del momento delle indagini crei nel giudice del dibattimento sempre di più la cultura del giudice indagatore e non quella del giudice terzo. Il giudice del dibattimento deve essere un giudice che si disinteressa (cercate di capire cosa intendo dire) delle indagini. Il giudice del dibattimento è semplicemente il regolatore del conflitto. Ed invece, il giudice che viene trasferito a valutare le indagini, a valutare le prove raccolte dal pubblico ministero, a decidere sulla libertà in quel momento, finirà per muoversi inevitabilmente in un'ottica che sarà sempre più vicina a quella del giudice istruttore e sempre meno vicina a quella del giudice del tutto distaccato da quello che capita davanti a lui e supremo regolatore dei contrasti tra le parti.
Tocco un ultimo punto tra i molti che si potrebbero ricordare. Esso riguarda proprio il nuovo rito abbreviato, che non è una conquista, come potrebbe sembrare, per una maggiore efficienza e una maggiore rapidità dei processi. In realtà è la sostituzione del dibattimento con il rito camerale. È pur vero che gli imputati, tutti concordemente, possono chiedere il giudizio pubblico, senonché, come viene concepito, questo rito abbreviato è sostanzialmente il processo del 1930. Si ha cioè la piena utilizzazione delle indagini fatte nel corso dell'attività del pubblico ministero integrate con le prove richieste dalle parti e con quelle eventuali raccolte dall'ufficio. È esattamente lo schema del codice del 1930! E siccome il rito abbreviato è appetibile perché comporta una possibilità di sconto della pena, tenderà a diventare il rito ordinario al posto del rito dibattimentale.
Ebbene, non appartiene soltanto all'imputato né appartiene soltanto al pubblico ministero la conoscenza del processo, la pubblicità, il contraddittorio davanti al pubblico, ma appartiene a tutto il paese, a tutti i cittadini. La scelta, che diventa quasi privatistica, del processo che paga di più dal punto di vista della pena, ma che non paga dal punto di vista della civiltà giuridica perché esclude la pubblicità, perché esclude l'oralità ed anche la collegialità per i reati più gravi, mi sembra una scelta in controtendenza, un ritorno pieno ai codici che abbiamo messo da parte solo pochi anni fa perché li ritenevamo non rispondenti ai tempi e alla nostra civiltà.
Di tutto il testo al nostro esame vi è una parte che mi sembra assolutamente condivisibile e che, a mio avviso e ad avviso dei colleghi della forza politica cui appartengo, non merita particolari modifiche ed anzi potrebbe essere approvata così com'è, ed è proprio la parte relativa alla disciplina del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica. Questa parte è ben scritta, è chiara ed è completa. Quindi, potrebbe essere approvata in tempi assai brevi.
Mi pare allora di poter fare opera utile, anche in considerazione di quanto è stato detto dal ministro rispetto alla urgenza di far entrare in funzione il giudice monocratico, suggerendo di separare questa parte del provvedimento e di approvarla in un arco di tempo brevissimo per rimandare invece a scadenze più lontane la discussione di principi che richiedono una maggiore maturazione al nostro interno, nel paese e da parte dei tecnici del diritto (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Serafini. Ne ha facoltà.

ANNA MARIA SERAFINI. Signor Presidente, questo provvedimento è stato esaminato in modo approfondito in Commissione, dove sono stati apportati svariati contributi. Le considerazioni appena svolte dal collega Pecorella sono legittime perché la materia è complessa e delicata. Pertanto, non è fuori di luogo procedere ad ulteriori approfondimenti. D'altronde disponiamo ancora di un mese e mezzo per lavorare ulteriormente al testo in esame. Ritengo, quindi, un'ipotesi praticabile


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che il Comitato dei nove continui a lavorare intensamente sui punti più controversi.
La questione che abbiamo di fronte, come lei sa, onorevole Benedetti Valentini, è rilevante perché vi è la scadenza del giugno 1999. Dobbiamo quindi decidere, prima che entri in funzione la riforma del giudice unico, se apportare alcune innovazioni di fondo o se ci dobbiamo limitare a razionalizzare il possibile.
Il collega Pecorella ha parlato nel suo intervento di «riforma arlecchino» in quanto questo provvedimento non si inserirebbe in modo organico nella legislazione vigente e quindi, in qualche modo, non sarebbe perfettamente inquadrabile nell'ordinamento vigente. Tuttavia, lei sa meglio di me che, quando si tratta di riforme di questo rilievo, queste sollecitano sempre un mutamento dell'ordinamento. Altra questione è, ed è un aspetto da valutare con attenzione, considerare il provvedimento stesso alla luce di altri criteri, in particolare alla luce di quello della innovazione entro un sistema che deve presentare i requisiti della globalità e della coerenza. Questo è un problema serio. Non è un «provvedimento arlecchino» in quanto non si inserisce in modo organico nell'ordinamento vigente; lo risulterebbe se non avesse di mira una riforma complessiva del sistema o la avesse di mira ma in modo scoordinato e non convincente.
Il relatore sosteneva che sarebbe stato meglio estendere l'udienza preliminare all'insieme dei reati; il ministro ha risposto dicendo che ciò non è possibile per motivi organizzativi. È una risposta che non entra nel merito del principio ma è di ordine pratico; è una risposta seria. Se questo provvedimento fosse solo un mezzo per porre una toppa alla bell'e meglio alla situazione che si è verificata in seguito all'abolizione dell'ufficio pretorile e quindi alla necessità di ridisegnare il giudizio di fronte al giudice unico monocratico, rappresenterebbe solo un modo per rispondere alla bell'e meglio, ripeto, a problemi di ben altra rilevanza.
Il dibattito che si è svolto in Commissione e anche l'illustrazione del relatore dimostrano invece che altro è compiere una riflessione complessiva sul dibattimento e quindi sull'intero processo. La riforma in esame, se pensata come imprescindibilmente collegata con l'istituzione del giudice unico di primo grado, può rappresentare allora non una semplice razionalizzazione, con un basso profilo - la cui discussione appaia defilata rispetto ai nodi rappresentati dalla garanzia dei cittadini e del processo giusto - e va coniugata ad una riforma complessiva.
Quest'ultima non deve prevedere piccoli aggiustamenti rispetto alla riforma del giudice unico di primo grado; all'opposto, sarà una grande riforma (per questo dobbiamo porre un'estrema attenzione al dibattito e a quanto avverrà in questo mese e mezzo) se gli altri provvedimenti ad essa collegati risponderanno tutti, ciascuno per la sua parte, ai criteri di innovazione, globalità e coerenza. Sono quindi necessari strumenti adeguati, un'articolazione inscritta in gerarchie precise ed una flessibilità di percorso, che devono ispirarsi a quei tre criteri.
È vero che l'istituzione del giudice unico di primo grado ha come finalità principale quella di semplificare e deflazionare, di introdurre criteri di rapidità e di snellezza nel processo. È però necessaria una coerenza di fondo.
Faccio un esempio. Colleghi della Commissione, non faccio parte del vostro...

GIULIANO PISAPIA. Ormai sei dei nostri!

ANNA MARIA SERAFINI. Anche il diritto penale minimo - volevo dire - si può concepire come una mera depenalizzazione entro un sistema di valori dato oppure in modo opposto: quali valori riteniamo oggi essenziali? Questo è un punto importantissimo e credo che nei prossimi mesi, ma anche nell'ambito della riflessione su questo provvedimento, la cultura complessiva che ci deve unire è quella di riflettere su quali debbano essere i valori essenziali su cui trovare una


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concordanza di fondo e per individuare gli strumenti processuali adatti per attuarli. Se, come osservava il relatore, il dibattimento, che vede coinvolte energie umane e risorse economiche, è concepito in stretta relazione con il diritto penale minimo, è chiaro che esso sarà riservato solo a quei reati veramente lesivi della collettività e della sicurezza.
Una riflessione su questo aspetto può essere appassionante, ove si colleghino i due momenti, e cioè diritto penale minimo e riforma del processo. Ecco quindi che la riforma del giudice unico di primo grado dispiegherà un proprio profilo riformatore se i provvedimenti, quali la competenza penale del giudice di pace, la depenalizzazione, la irrilevanza penale del fatto, il maggior rilievo della perseguibilità a querela e i provvedimenti sulle indagini difensive troveranno una loro sistematicità e connessione organica. È evidente che anche l'udienza preliminare nasce dalla necessità di rispondere ad una tensione oggettiva, nel senso che il giudice unico e il tribunale in composizione monocratica hanno competenza a giudicare un numero di reati maggiore rispetto a quelli di competenza del pretore; contemporaneamente però, prima che il testo venisse modificato in Commissione, si prevedevano disposizioni per il rito pretorile per valutare tali reati, si inserivano a forza le stesse disposizioni proprie del rito pretorile per reati completamente diversi.
Sicuramente c'era un vuoto che andava colmato, cioè il profilo minimale che ha la funzione di risposta pratica, ma ci sono anche problemi più grandi da risolvere, come quelli relativi alle garanzie processuali e alla struttura del processo.
Tenendo sempre presente la connessione tra riforma complessiva e gli altri provvedimenti, diritto penale minimo e fase dibattimentale, si corre il rischio di rafforzare la pubblica accusa, di identificare l'imputazione con l'accusa. Riflettere sull'udienza preliminare e concepire la riforma del giudice unico come snodo significa non soltanto assegnare a quest'ultimo la funzione di filtro e garanzia e non già di mero rinvio a giudizio, come osservavano alcuni colleghi. Il problema è quello di rafforzare le connotazioni della terzietà del giudice, perché, se questo avviene, significa vedere in modo più organico i riti alternativi, la funzione della pena nel nuovo sistema sanzionatorio, significa guardare in modo nuovo alle pene alternative, alla rilevanza del fatto, ai meccanismi distintivi del processo correlati a forme risarcitorie del danno in favore della parte lesa.
La questione che abbiamo di fronte non è solo quella della deflazione dell'attività dei tribunali ordinari per recuperare l'efficienza (che già sarebbe una cosa enorme), ma anche quelle della civilizzazione del diritto inteso come valore di libertà, quelle di superare ogni residuo inquisitorio del processo penale, quelle di affermare il carattere terzo del giudice e di concepire la custodia cautelare solo come eccezione.
La questione che veniva posta dal relatore nella sua introduzione è la seguente: se la fase predibattimentale è scelta strategica (ma lo è in quanto riafferma la purezza del rito accusatorio e quindi la formazione della prova nella fase del contraddittorio), il giudice è posto nelle migliori condizioni di esercitare la sua terzietà, affinché anche nel dibattimento (si tratterebbe di una funzione diversa) un altro giudice possa svolgere ulteriormente questa funzione? La questione che abbiamo di fronte consiste (noi dobbiamo ragionare valutando le sollecitazioni che provengono dai colleghi dell'opposizione, partecipando al dibattito e ascoltando con molta attenzione l'intervento dell'onorevole Pecorella) nel fatto di vedere se vi sia una sistematicità in questa riforma che vada nella direzione della civilizzazione del diritto e in quella di ridurre effettivamente la pena ad un qualcosa appunto di residuale.
Penso che si possa procedere nel modo in cui ha indicato il relatore - ho fiducia nel lavoro della Commissione - avendo la possibilità ancora per un mese e mezzo di affinare gli strumenti e di continuare il dialogo (Applausi).


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marotta. Ne ha facoltà.

RAFFAELE MAROTTA. Signor Presidente, egregi colleghi, signor rappresentante del Governo, all'inizio del mio intervento vorrei fare riferimento a quanto ha testé affermato la vicepresidente della Commissione, onorevole Serafini.
Vorrei precisare che oggi non è in discussione la legge che ha istituito il giudice unico (per l'amor di Dio!); anzi, una parte di questo provvedimento serve proprio a far divenire efficaci quelle disposizioni che riguardano l'istituzione del giudice unico.
Preciso che il termine del 2 giugno 1999 rappresenta la ragione per la quale noi avevamo chiesto che venisse stralciata dal testo la parte relativa alla riforma del rito dei procedimenti da celebrarsi davanti al giudice unico in composizione monocratica, cioè il vecchio pretore. Questa è la verità! Noi rischiamo di superare quel termine temporale senza avere approvato questa parte del provvedimento, che è funzionale all'entrata in vigore delle norme. Le altre parti non lo sono assolutamente; anzi, potrei dire che non sono addirittura in linea con la filosofia che è alla base dell'istituzione del giudice unico. Poiché noi la condividiamo - come ha detto l'onorevole professor Pecorella - potremmo approvare anche oggi, se ciò fosse possibile, la parte del provvedimento che regola il procedimento davanti al giudice unico in composizione monocratica. Siamo d'accordo e riteniamo che sia stato giusto non estenderla a tutti i reati ed espungere alcune ipotesi di cui all'articolo 7 del codice di procedura penale.
Quali sono le ipotesi espunte dal relatore? Mi pare che si tratti dell'omicidio colposo, del favoreggiamento reale, della violazione di domicilio aggravata e del delitto di truffa aggravata. Siamo perfettamente d'accordo: sono reati punibili con una pena non superiore a quattro anni e reati espressamente indicati - alcuni - nell'articolo 6. Sono d'accordo, anzi, lo ripeto, potremmo approvare quelle norme. Si sarebbe così rimosso un ostacolo non all'entrata in vigore, perché è già vigente la legge che istituisce il giudice unico, ma, per così dire, alla messa in efficacia, all'attuazione della legge stessa. La data è stata differita al 2 giugno e allora noi potremmo approvare - non so se il professor Pecorella, che appartiene al mio gruppo, è d'accordo - anche la parte civilistica, anch'essa degna di essere approvata. Si prevede infatti che i procedimenti che oggi pendono davanti al pretore devono essere da quest'ultimo rimessi al giudice di pace, tranne alcuni, quelli per i quali si sia riservata la decisione, quelli di competenza del pretore per materia, come i procedimenti possessori, le azioni di nunciazione, quelli di comodato, di locazione e di affitto di aziende. Siamo d'accordo, questi procedimenti vanno rimessi alle sezioni istruttorie. Il giudice unico, delegato dal presidente del tribunale, provvederà a smistare i processi rimessi dal pretore al giudice unico e ad attribuirli alle sezioni stralcio, che debbono purtroppo ancora entrare in funzione, anche se le abbiamo già istituite. Su questo non c'è dubbio, anzi vi è proprio l'esigenza di non arrivare al 2 giugno senza aver approvato queste due parti, sulle quali, ripeto, concordiamo.
Potremmo anche approvare - mi corregga, professor Pecorella - anche la parte che riguarda il controllo della competenza del pubblico ministero nella fase delle indagini. Potremmo farlo, ma, ripeto, si tratta di una parte che non è funzionale rispetto all'attuazione della legge. Questa è la verità, e per questo avevamo proposto lo stralcio. Purtroppo questo provvedimento - mi pare sia d'accordo anche il relatore - che si estende alla riforma, che entra nel cuore del processo penale, rivede i riti speciali, crea l'udienza predibattimentale al posto di quella preliminare, è molto complesso. Questa, peraltro, è la terza edizione, ci sono quindi sovrapposizioni di norme. Per la verità in alcuni punti non ho compreso quasi nulla e non saprei come coordinare quelle norme con quelle del codice; è necessario infatti un coordinamento, che non è meramente formale. L'onorevole Carotti diceva che


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abbiamo un paio di mesi di tempo per risolvere questi problemi in sede di Comitato dei nove. No, si doveva separare questa parte, che è fondamentale, che costituisce il cuore del provvedimento. Vi era un disegno di legge del ministro, una proposta del presidente Pisapia ed una dell'onorevole Giuliano che si limitavano a queste parti. La materia è stata ampliata e non sappiamo perché; si poteva anche farlo, ma secondo me quella parte del provvedimento doveva seguire una via autonoma. Ora siamo in queste condizioni e sono certo che il 2 giugno non sarà approvato alcunché.
Peraltro dobbiamo considerare che al Senato giacciono da un anno e mezzo, senza che nessuno se ne preoccupi, altri due progetti di legge, funzionali all'attuazione della legge che ho ricordato; si tratta del provvedimento sulla depenalizzazione dei reati minori e di quello sulla competenza penale del giudice di pace. Quindi, per rispondere all'onorevole Serafini, ribadisco che siamo perfettamente d'accordo, ma la depenalizzazione andava anche in questa direzione.
Non si sa perché il provvedimento sia fermo da un anno e mezzo, specialmente se consideriamo che la sinistra, che lo proponeva, era maggioranza assoluta. Non si capisce dunque, come dicevo, perché l'iter non vada avanti. Non si capisce: questa è la verità e dobbiamo dirla.
Adesso, invece, ci si affretta; la discussione del provvedimento è stata addirittura calendarizzata nella giornata del venerdì. Meno male che, secondo quanto mi si dice, dovremo presentare gli emendamenti tra un paio di mesi, altrimenti come avremmo fatto?
Dobbiamo discutere, perché la nostra proposta non è stata recepita dall'illustre relatore. Noi condividiamo la parte civilistica della normativa ed anche quella che rivede le regole del rito davanti al giudice monocratico, mentre non siamo d'accordo su quella che poi è la parte essenziale del provvedimento, vale a dire la creazione dell'udienza predibattimentale.
Scusate, colleghi: noi le cose, anziché semplificarle, le complichiamo. Il problema vero della giustizia è che occorre che passino decenni per vedere risolte delle vicende. Si osserva che il provvedimento in esame si muove nella linea della semplificazione, ma io dico che non è così, perché il giudice dell'udienza predibattimentale controlla la legalità delle indagini preliminari e decide anche nel merito. Questo è il punto: quel giudice ammette le prove e quando decide di non emettere la sentenza di non luogo a procedere deve assumere i provvedimenti in ordine alle prove, ammetterle o non ammetterle; prove che poi debbono essere escusse e valutate dal giudice del dibattimento. Allora, sorgono due obiezioni di fondo; a questo proposito, mi unisco alla critica eccellente mossa dall'onorevole Pecorella, ma voglio aggiungere anch'io alcune considerazioni.
Parliamoci chiaro; i momenti debbono coincidere, non possono essere sdoppiati: il diritto alla prova richiede che il controllo sull'esercizio di questo diritto, sancito dall'articolo 190 del codice, avvenga nell'ambito dei poteri che ha il giudice che deve ammettere la prova, deve escuterla e giudicare in base ad essa. Questi momenti, come dicevo, sono inscindibili. Non si può dire che ad escutere la prova sarà il giudice del dibattimento, perché, sotto il profilo logico, è assurdo. Infatti, si viola il principio secondo il quale la prova si forma nel dibattimento, che è alla base del processo accusatorio, in quanto i momenti non si possono distinguere. Ciò non è possibile, se mi consentite, sotto un altro profilo. Il giudice del predibattimento conosce gli atti delle indagini preliminari ed allora, come giustamente osservava Pecorella, è condizionato nell'emettere i provvedimenti in ordine a quelle prove.
Colleghi, noi siamo presenti a noi stessi una sola volta e non possiamo mai chiederci: «Che cosa avrei fatto se?», principio questo che è alla base della filosofia di Kant, noumeno e fenomeno, egregi signori. Questa è la verità: noi siamo presenti a noi stessi una sola volta. Che


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cosa avrei fatto io, giudice del predibattimento, se non avessi conosciuto gli atti dell'indagine del pubblico ministero? Invece li conosco e posso essere inconsapevolmente influenzato. Diceva, mi pare l'onorevole Saraceni, che l'ideale del processo accusatorio sarebbe che io dovessi solo giudicare in base a prove che altri mi hanno fornito, non, però, altri che abbiano potuto subire, inconsapevolmente, dei condizionamenti. Come dicevo, noi siamo presenti a noi stessi una sola volta (che cosa avrei fatto se...?).
Per la verità, dall'associazione magistrati era stato suggerito un rimedio: il giudice del dibattimento avrà il potere di controllare queste ordinanze. Questo, però, è un rimedio per modo di dire per la stessa ragione per la quale ritengo che il giudice del predibattimento non debba poter ammettere le prove. Il controllo si esercita sulle ordinanze di ammissione, le quali però sono motivate, o almeno dovrebbero esserlo (il diritto alla prova è disciplinato dall'articolo 190 del codice, secondo il quale solo le prove vietate dalla legge, superflue, inutili, possono essere escluse). Quindi, il giudice deve fornire una motivazione se rigetta o ammette parzialmente una prova o ne esclude un'altra, ed io giudice del dibattimento che devo esercitare il controllo, secondo il rimedio che proponeva l'associazione magistrati, sono condizionato da questa ordinanza, che è motivata da un collega il quale, magari, può essere anche più importante di me, sotto l'aspetto della professionalità e sotto altri aspetti. Questo è il principio - parliamoci chiaro - per il quale ritengo che l'udienza predibattimentale non vada assolutamente ammessa.
Si è detto, però, che essa presenta anche aspetti positivi: certo, si consente al giudice del predibattimento (ma io dico, in questo caso, al giudice delle indagini preliminari) di emettere una sentenza di non luogo a procedere anche nel caso in cui la prova sia incerta o contraddittoria ed il giudice ritenga che tale incertezza o tale contraddittorietà non possano essere superate nel dibattimento. Questo è un aspetto da condividere, ma lo stesso provvedimento può essere assunto dal giudice delle indagini preliminari. Ciò che caratterizza l'essenza dell'udienza predibattimentale è il famoso potere-dovere di disporre in ordine alle prove presentate dalle parti: ciò è assurdo, per le ragioni che ha esposto molto meglio di me l'onorevole Pecorella e che io ho ribadito. Questa è la verità: c'è un condizionamento. Dice bene la collega Serafini quando ricorda che il giudice deve essere terzo. Questo è il punto: il giudice non deve avere nulla a che vedere con la fase precedente il giudizio.
Ciò vale, cara collega, anche per il giudizio penale e sarebbe ora che ci convincessimo della necessità della separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudice, perché è una cosa logica. Io sono magistrato da quarantadue anni, non da un giorno, e per la verità non sono mai stato pubblico ministero, ho fatto sempre il giudice, ma riconosco l'assoluta necessità che le due carriere siano separate, le funzioni nettamente distinte e che non si possa passare da un ramo all'altro della magistratura senza - diciamo la verità - un esame. Ci vogliono attitudini diverse per fare il pubblico ministero, io non lo avrei saputo fare, per esempio: quelle poche volte che ho dovuto sostituire il giudice istruttore perché era in ferie o per altri motivi - e il giudice istruttore non era il pubblico ministero, ma, appunto, un giudice - ho sempre incontrato difficoltà perché, non c'è niente da fare, è diversa la mentalità dell'indagatore da quella del giudice. Quando, allora, si parla di giudice terzo, se ne deve parlare anche a proposito della separazione delle carriere ed a proposito della cosiddetta udienza predibattimentale. Il rilievo che a mio avviso è decisivo per escludere la possibilità del giudice del predibattimento è questo: il diritto alla prova va controllato dal giudice che la ammette e poi la escute e giudica su di essa. Questo giudice deve essere libero da qualsiasi condizionamento e tale non è certamente il giudice del predibattimento, che si vuole introdurre, il quale conosce a menadito il fascicolo del pubblico ministero.


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Ma poi, ditemi voi, che cosa si guadagnerebbe? Comunque dovrà poi svolgersi il dibattimento. Non so se tutte le preclusioni e le decadenze previste dall'originario testo siano state eliminate, onorevole relatore...

PIETRO CAROTTI, Relatore. Sì.

RAFFAELE MAROTTA. Su questo allora sono d'accordo, però l'aspetto che ho indicato non è stato eliminato e, per quanto io abbia esaminato gli interventi suggeriti dall'associazione, non mi sembra che sia stato recepito il rimedio relativo al controllo, mentre mi sembra che il relativo emendamento fosse stato accolto. Comunque, ripeto, il rimedio non è tale, perché il giudice potrebbe essere condizionato e noi dobbiamo fugare tutti i sospetti. Negli Stati Uniti, quando si nomina un membro della giuria popolare, lo si interroga lungamente per evitare che possa esservi un qualsiasi collegamento, sia pure sotto l'aspetto psicologico, con l'imputato. Quando avremo tolto questa facoltà al giudice del predibattimento, questi non sarà più tale, ma sarà un giudice delle indagini preliminari, anche con l'accresciuta potestà di emettere una sentenza di non luogo a procedere, quando la prova sia incerta e contraddittoria in modo irresolubile. Questa è la verità: il cuore dell'udienza predibattimentale, per quanto ho capito, è questo; il suo tratto essenziale, la sua essenza sono questi. Se togliamo questa facoltà, abbiamo un'udienza preliminare, sia pure con un accresciuto potere, che io condivido.
I principi sono noti, in particolare quello del giudice terzo: dovremmo andare al 6 giugno con questi rimedi che consentiranno la messa in efficacia della legge istitutiva del giudice unico, ma questo lo diciamo anche noi, anzi, proprio per questo, volevamo che si separassero le due o tre parti del provvedimento. Vi è pure la modifica del codice penale: ricordo che sull'oblazione abbiamo già licenziato una proposta di legge, alla quale, per la verità, ero contrario; per l'articolo 13-bis, però, non mi sono preoccupato, perché mai potevo pensare che in un provvedimento del genere fosse inserito un articolo che riguarda l'oblazione dei delitti punibili con pena alternativa. Mai pensavo una cosa del genere! Presentai gli emendamenti con ritardo e non sono stati discussi, ma dovranno esserlo adesso: pensate che si propone l'oblazione del delitto di diffamazione a mezzo stampa, punibile a querela! Allora, devo andare dall'avvocato e spendere 10 milioni per una querela (ho chiesto ad un avvocato qual era la parcella)...

PRESIDENTE. Vede, onorevole Marotta, quale cattiva opinione avete voialtri giudici di noialtri avvocati!

MICHELE SAPONARA. Se vieni da me, ti difendo per molto meno!

NICANDRO MARINACCI. E il popolo paga!

PRESIDENTE. Ho l'impressione che, se lei consulterà le tariffe forensi, si renderà conto di quanto ha sbagliato!

RAFFAELE MAROTTA. Praticamente, il giorno dopo, l'imputato chiede l'oblazione del delitto di diffamazione a mezzo stampa, che - lo ricordo a me stesso - è punibile fino a tre anni o con la multa, se ben ricordo, fino a 3 milioni. Sicché, pagando la metà di questa somma, praticamente, avrei buggerato due volte il mio diffamatore; e questo con i soldi, quindi, Presidente, favorendo un certo strato sociale. Questa è la verità!
Quindi, sarò ferocissimo, anche se, purtroppo, quasi solo, a meno che la promessa del relatore non sia mantenuta: mi riferisco alla promessa di rivedere la sua posizione ...

PIETRO CAROTTI, Relatore. Ho promesso di riesaminare.

RAFFAELE MAROTTA. Signor Presidente, concludendo queste mie brevi note, devo dire che non possiamo assolutamente


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condividere l'introduzione, la creazione di questa udienza predibattimentale, che è caratterizzata, ripeto, dalla facoltà, anzi dal potere-dovere, del giudice del predibattimento di ammettere le prove. Per carità, non si possono scindere i due momenti: il diritto alla prova, di cui all'articolo 190, va controllato dal giudice, che deve provvedere, ma non, diciamo, con la sentenza definitiva; deve invece provvedere all'ammissione o meno della prova. Queste sono considerazioni ovvie: i due momenti, ripeto, non si possono scindere. Il giudice del predibattimento non può diventare anche un giudice del merito, ed invece è un giudice del merito colui che ammette o non ammette le prove. Ma poi, ad quid, che si guadagna? Comunque, il giudice che deve ammettere la prova deve essere libero da qualsiasi possibile condizionamento: non dico che il giudice debba essere condizionato, ma potrebbe esserlo. Solo questo sospetto, o dubbio, esclude che io possa conferire questa facoltà al giudice del predibattimento. Ed allora rimane il giudice dell'udienza preliminare, anche se, sono d'accordo, rimane un problema quando la prova è incerta, contraddittoria. Per carità, vi possono essere modifiche, ma il cuore di questo istituto non possiamo condividerlo.
Parliamoci chiaro, Presidente e colleghi, oggi il dibattimento si celebra e non si celebra. Allora, dobbiamo potenziare i riti alternativi, ma non si potenzia il rito alternativo quando si parifica o si vuole parificare la sentenza di condanna a pena concordata alla sentenza di condanna bella e buona. Ricordo che la Commissione anticorruzione introdusse questa parificazione ed io mi limitai a fare questa osservazione al collega che aveva presentato quell'emendamento: ma come si può dire che la sentenza di condanna a pena concordata fa stato, è efficace quanto all'accertamento del fatto e alla qualificazione giuridica di esso? Di che cosa si dovrebbe poi discutere nel giudizio civile o in quello amministrativo o in quello disciplinare? Se quel fatto, accertato incontestabilmente, lo ha commesso un francese, un olandese o l'imputato! Come possiamo avere la botte piena e la moglie ubriaca: è logico che io imputato voglio farmi condannare, voglio andare in appello e poi vorrò andare in Cassazione. Mi pare ovvio. Si dice che si debbono incentivare i riti alternativi e poi si legifera in questo modo. Non mi pare la via giusta. Ci dobbiamo decidere. La sentenza di condanna a pena concordata deve funzionare così: chi è stato è stato, avevo il dolo o avevo la colpa, ma mi contento di un anno e mezzo con la condizionale, punto e basta. La pronuncia è questa, non può essere parificata a una sentenza di condanna. È una cosa logica, altrimenti non faccio ricorso al rito alternativo del patteggiamento. Mi pare logico. A voi pare logico o no? Non possiamo volere la botte piena e la moglie ubriaca. Su questo non c'è alcun dubbio.

PIETRO CAROTTI, Relatore. Su questo siamo tutti d'accordo.

RAFFAELE MAROTTA. No, non siete d'accordo e ve lo dice un magistrato che non appartiene alla categoria dei magistrati di avanguardia o cosiddetti d'assalto. No, tutt'altro, io sono sempre stato un magistrato moderato e conservatore. Su questo non c'è dubbio. Però, di fronte a questa esigenza del diritto penale minimo, dell'incentivazione dei riti alternativi, di far sì che i processi si celebrino, allora, anche da magistrato moderato e per niente oltranzista, dico che dovete scegliere tra la botte e la moglie ubriaca.

PIETRO CAROTTI, Relatore. Scelta difficile.

RAFFAELE MAROTTA. No, non è difficile, è che non siete in grado di adottare delle decisioni. Prendete il caso della separazione delle carriere. Ho parlato con molti di voi, i quali condividono la mia opinione, che poi è un'opinione banale, io dico ovvia. Allora, perché non si adotta questo provvedimento? Lo dico tra parentesi. Ve lo devo dire perché è così: in tutti i paesi civili il giudice non ha nulla


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a che vedere con il PM, in tutti i paesi civili. In tutti i paesi civili, il giudice è chiamato vostro onore non solo dal difensore, ma anche dal PM. In Italia, no, in Italia magari il PM è superiore al GIP, perché è più anziano, forse perché è più preparato professionalmente; escono dallo stesso concorso, devono prendere il posto l'uno dell'altro. Sono cose ovvie. Di che si discute? Non ne parliamo proprio.
Concludendo, noi siamo perfettamente d'accordo ad approvare le parti del provvedimento che consentiranno la piena efficacia di questa legge entro il 2 giugno. Questo era alla base dei provvedimenti che erano stati presentati nella nostra Commissione, le proposte di legge Pisapia e Giuliano e il disegno di legge del Governo. Al ministro dissi: «Come mai acconsenti a questo ampliamento? Ma facciamone un provvedimento separato, seguiamo un'altra via, che richiede ponderazione, studio, riflessione». Ripeto: siamo disponibili. Non posso approvare, quindi, una proposta che preveda l'udienza predibattimentale con quelle connotazioni. Questa è la verità, la sacrosanta verità. Oltre tutto sarebbe inutile. Per quale motivo ci dovete mettere addirittura sotto pressione, allora, quando potremmo approvare le parti che condividiamo anche domani mattina, da subito?
Ci si dice che sono necessari due mesi. Ma in una settimana possiamo approvare queste parti, perché sembra che non ci sia dissenso. Non so se l'onorevole Benedetti Valentini sia d'accordo.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Vedremo...

RAFFAELE MAROTTA. Va bene. Comunque è una mia opinione. Il nostro gruppo è di questo avviso; non conosco l'opinione degli altri.
Ripeto comunque che noi non possiamo accettare l'udienza predibattimentale, per le ragioni di principio che ho esposto.
Tutto ciò a prescindere dalle implicazioni di carattere pratico alle quali alludevo. Addirittura si moltiplicherebbero le ipotesi di incompatibilità.

PRESIDENTE. Il tempo, onorevole Marotta.

MICHELE SAPONARA. Gli cedo un po' del mio, Presidente, se necessario...

RAFFAELE MAROTTA. No, mi avvio alla conclusione.

PRESIDENTE. Quarantasette secondi, onorevole Marotta...

RAFFAELE MAROTTA. Benissimo, Presidente. Dicevo che si moltiplicherebbero i casi di incompatibilità, perché se non c'è il giudice del predibattimento, c'è il magistrato che svolge le funzioni di giudice per le indagini preliminari: ma questo non potrà più essere né giudice del predibattimento né giudice del dibattimento. Parliamoci chiaro.
Tutto ciò, inoltre, a prescindere dalla nebulosità del testo. Per la verità questo connotato non è addebitabile a nessuno: si tratta infatti della terza edizione.

PIETRO CAROTTI, Relatore. Tutti i libri di successo hanno almeno tre edizioni!

RAFFAELE MAROTTA. Qui si parla della terza edizione del medesimo progetto.
Ribadisco, in conclusione, il mio invito: teniamo separate le parti (che poi sono le più pregnanti del provvedimento) che bisogna risolvere entro il 2 giugno 1999; le altre siano accantonate. Altrimenti arriveremo al 2 giugno senza aver nemmeno approvato le parti su cui sembrerebbe vi sia un'ampia maggioranza di consensi. Questa la mia proposta, che rivolgo con una preghiera accorata al relatore ed al presidente della nostra Commissione. Altrimenti il termine del 2 giugno 1999 passerà invano (Applausi).
La ringrazio, Presidente, e le chiedo scusa se ho superato i limiti di tempo.


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PRESIDENTE. Nell'ambito di quel ricordo del libro di Calamandrei dei buoni rapporti tra giudici e avvocati, onorevole Marotta, per sua tranquillità le devo dire che mi sono informato: per la presentazione di una querela le tariffe forensi vanno da un minimo di 300 mila ad un massimo di 950 mila lire, compresi i diritti.

RAFFAELE MAROTTA. Ma, quale che sia la somma che uno è costretto a pagare, rimane il fatto che il giorno dopo sono «buggerato». Dopo che lo Stato mi ha detto «se vuoi procedere fai querela», il giorno dopo il mio diffamatore estinguerà l'azione penale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, qualche considerazione di carattere politico in premessa, con una certa franchezza (che del resto mi è consueta) anche se non con la stessa garbata e gradevolissima ironia del collega Marotta. Egli si è chiesto perché mai, da parte della maggioranza governativa, non si sia stati disponibili - anche in Commissione - ad uno stralcio delle parti che più rapidamente ed asciuttamente avrebbero potuto essere approvate (sia pure con talune modifiche), così da venire incontro alle esigenze poste dalla non lontana data di entrata in funzione dei meccanismi introdotti dal Parlamento con riferimento in particolare al giudice unico di primo grado.
Questo si chiedeva il collega Marotta. Naturalmente non è lecito dare risposte per altri, perché ciascuno giustifica le proprie posizioni; tuttavia credo di poter dire che la realtà è che questa maggioranza, questa parte ora al Governo, reduce da numerosi insuccessi, da numerosi svarioni, da numerosi e pesanti errori, nonché da gravissimi contrasti interni sulla materia della giustizia, è tale da presentarsi al giudizio dell'opinione pubblica, dei cittadini e degli operatori della giustizia in condizione per un verso assolutamente indecifrabile e per l'altro censurabilissima, sicché è lecito dire, esprimendo un giudizio politico che certamente viene formulato dalla parte politica che si oppone al Governo ma che ha dedicato grande attenzione, sforzi, onestà intellettuale ed impegno a questi temi, che il Governo si qualifica negativamente soprattutto in questa materia.
Perché la maggioranza vuole approvare un provvedimento che ha essa stessa definito un'arlecchinata o, comunque, un coacervo di norme contraddittorie e prive di sistematicità? Perché, come accade anche in altri settori, il Governo e la maggioranza vogliono portare sul banco della propaganda un qualche risultato per presentarlo come importante o significativa riforma. Ciò non è!
Per questa ragione, che esula dal merito - secondo la nostra analisi -, per una ragione dunque che è di carattere tattico o propagandistico, per una pregiudiziale di volontà politica (non positiva, tutt'altro: negativa!) intendono approvare un provvedimento che poi spacceranno per riforma: termine tanto fascinoso quanto bisognevole di spiegazione, di specificazioni e di distinguo.
La maggioranza vuole far credere alla gente di aver varato una importante e significativa riforma. Così non è. Se si preoccupasse, invece, delle necessità che emergono da quelle pur discutibili che sono state approvate, e quindi almeno dell'esigenza di farle funzionare, effettivamente, come altri colleghi hanno sottolineato, si potrebbe limitare ad approvare in questa fase alcune norme di razionalizzazione e di collegamento con l'ordinamento vigente.
Sulla base di questa premessa, credo di poter giustificare la ragione per la quale vi è stata una accelerazione abnorme della procedura e si è calendarizzato il provvedimento ad ogni costo, incardinandolo nonostante siamo tutti perfettamente consapevoli che non sarà possibile andare avanti. Infatti l'ordine dei lavori prevede solo la discussione sulle linee generali, che


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peraltro si è ritenuto di dover ampliare fino a dodici ore, nella consapevolezza che si tratta di un provvedimento che non è ancora maturo, coerente ed accettabile, non in qualche suo aspetto particolare ma nelle linee fondamentali.
È questa la ragione per la quale una persona che è solitamente di buon senso ed intellettualmente onesta, come il relatore, onorevole Carotti, è costretta a respingere - non so se volentieri o meno - le nostre costruttive proposte di membri dell'opposizione che suggeriscono di stralciare le parti che potrebbero essere approvate e di rinviare in Commissione il resto del provvedimento. Rimandare in Commissione: una proposta di attualità, signor Presidente. Si è discusso perfino, nei giorni scorsi, se l'Assemblea abbia il potere di rimandare in Commissione un provvedimento. Io non sono tra gli oltranzisti che sostengono che l'Assemblea non abbia questo potere. Altro è il tema di cui ci siamo occupati in relazione alla Commissione su Tangentopoli e cioè della legittimità che questo potere si arresti laddove andrebbe a violare l'aspettativa e il diritto stabilito dal nuovo statuto delle opposizioni di far sì che nell'ambito del calendario almeno un quinto degli argomenti sia ad essi riservato e portato a trattazione fino al voto. Lì vi è stata un'autolimitazione regolamentare della sovranità procedimentale della Camera, e quello è altro argomento. Ma in via generale io non sono tra coloro - ci mancherebbe altro! - che escludono in via di principio che l'Assemblea, avvedendosi che occorrono approfondimenti, accorgendosi di stare per commettere qualche errore, potrebbe rinviare un provvedimento in Commissione: ci mancherebbe altro! Anzi, sono un convinto fautore di questa possibilità. Ho visto troppe volte passare non buone o pessime leggi in quest'aula proprio per l'«incartamento» in cui la Camera ha ritenuto di doversi avvitare e cioè per il fatto di non poter rinviare nella fase istruttoria in Commissione un provvedimento, magari per evitare il ping pong parlamentare con l'altro ramo del Parlamento o con altre motivazioni, che prescindono dal merito. Se c'è un caso in cui un provvedimento nel suo insieme (a meno che non si stralcino quelle parti di cui ormai più volte abbiamo parlato) non è licenziabile e sicuramente comporterebbe, consiglierebbe, imporrebbe un ritorno in Commissione per il debito approfondimento è sicuramente questo. Di tal che vorrei dire che l'Assemblea ha ancora tutto sovrano il suo potere (e vediamo di non precludercelo), al limite anche di esercitare questa facoltà, di adottare questa determinazione. Ciò nell'interesse della giustizia, del buon funzionamento delle istituzioni e degli istituti, non certo di una battaglia vinta o meno sul piano dello schieramento politico.
Ho fatto queste considerazioni con riferimento appunto al parere espresso dall'onorevole Carotti, il quale tutto sommato in Commissione e anche in questa sede ha riconosciuto che bisognerà occuparsi dell'articolato in maniera incisiva. Del resto, egli è più che giustificato: ha dovuto mettere insieme molte esigenze, far confluire numerose proposte. Al riguardo mi permetterò di dire (ammesso che ce ne fosse bisogno) ad ulteriore documentazione dello spirito costruttivo che anima l'opposizione di alleanza nazionale, che sono ben cinque le proposte di legge su temi particolari che portano la firma di colleghi del gruppo parlamentare di alleanza nazionale e che sono confluite dentro il testo al nostro esame. Il relatore, quindi, ha dovuto mettere insieme tante esigenze, me ne rendo conto, però egli ci esorta a non rimandare in Commissione il provvedimento assicurando che vi sarà tutta la disponibilità (e io lo ringrazio, ma ci mancherebbe che non vi fosse la disponibilità su argomenti come questi e di fronte a obiezioni di questo carico) in seno al Comitato dei nove per valutare gli emendamenti e agire tramite essi. È una via di mezzo, è un compromesso procedurale per salvare politicamente la faccia alla maggioranza, ma non è questo l'obiettivo che qui più ci spinge ad agire. Il problema è varare istituti che possano funzionare, che abbiano una sistematicità,


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che la gente in generale e gli operatori del diritto siano in condizione di comprendere, padroneggiare, utilizzare al meglio, anche orientandosi; perché dobbiamo fare delle leggi che consentano a noi stessi, agli operatori di giustizia e alla gente di orientarsi! Vi è infatti, colleghi della maggioranza, un bisogno diffuso di semplificazione nei nostri ordinamenti, non di complicazioni. Sia gli addetti ai lavori che soprattutto il cittadino, che è la persona che privilegiatamente dobbiamo avere come potenziale interlocutore, vogliono semplificazioni, vogliono uniformità di trattamento, vogliono capire più rapidamente come la giustizia li tratta e come essi debbono confrontarsi con i meccanismi della giustizia. E non è quello che stiamo facendo! E ve lo dimostrerò, anche se colleghi illustri lo hanno già fatto con degli excursus molto significativi. La definizione di arlecchinata che la collega Serafini respingeva, non è dovuta soltanto alla eterogeneità delle materie trattate (anch'esso malvezzo legislativo che non qualifica certo un testo). È la diversità di filosofie, di logiche, è la non saldabilità dei meccanismi che giustifica questa espressione poco parlamentare ma che tuttavia rende l'idea all'uomo della strada.
Venendo alle singole parti del provvedimento, si è distinta una prima parte, quella che va dall'articolo 1 all'articolo 8, dalla parte centrale che riguarda la famosa o famigerata, che dir si voglia, udienza predibattimentale. Vi è poi l'articolo 47, terza parte, che reca il nuovo testo degli articoli da 549 a 560 del codice di procedura penale.
Per quanto riguarda la prima parte, dico subito che il sottoscritto ed il gruppo di alleanza nazionale non sono d'accordo, ad esempio, sulla norma concernente l'attribuzione della definizione dei giudizi pendenti anche in sede civile al giudice di pace come risulta dall'articolo 1, perché di fatto si eleverebbe in via generale la competenza per valore del giudice di pace stesso a 50 milioni, cosa sulla quale noi non siamo d'accordo. Ci troviamo ancora in una fase non breve di sperimentazione, con luci ed ombre, dell'istituto del giudice di pace. Di conseguenza, concordiamo sulla necessità di varare una norma che ci accompagni dalla situazione attuale alla fase della ripartizione della competenza tra il giudice di tribunale, che ormai è giudice unico, unificato di pretura e tribunale, e il giudice di pace. Su questo ci possiamo confrontare costruttivamente, perché si tratta di una scelta tecnica e non filosofica, ma non siamo d'accordo sul fatto di rimettere al momento attuale una competenza di 50 milioni al giudice di pace. Presenterò pertanto degli emendamenti al fine di confrontarci sul punto. Ribadisco, ad ogni modo, la nostra contrarietà al riguardo.
Non sono d'accordo nemmeno sulla retribuzione a cottimo del giudice, prevista dall'articolo 5 del provvedimento. Anche a tale proposito sarà necessario inventare un meccanismo diverso ma l'istituto del giudice a cottimo non è concepibile e non è neppure accettabile dal cittadino. Vi dirò di più, sono fortemente convinto che il cittadino medio non sappia che le prestazioni del giudice di pace vengono retribuite in questo modo e credo che, se lo sapesse, inorridirebbe. Dobbiamo quindi trovare un altro meccanismo. Il giudice a cottimo, la cui retribuzione viene misurata sulla base del numero dei provvedimenti esaminati, è inaccettabile, è una cosa ridicola e indegna.
Vi è poi la seconda parte del provvedimento, che è quella centrale, come i colleghi, in particolare l'onorevole Pecorella e l'onorevole Marotta hanno molto ben sottolineato. È la parte concernente l'udienza predibattimentale.
Onorevole Serafini, lei ha fatto un comprensibile sforzo per ricondurre a principi di valore ed a principi politici la scelta al fine di nobilitare la presa di posizione, non so quanto sostenibile e convinta, della maggioranza. Sono un attento ascoltatore dell'onorevole Carotti, sempre onesto intellettualmente e preciso, nonché mediatore delle varie esigenze. Ebbene, egli ha parlato di un'apertura volta ad apportare aggiustamenti al testo in esame attraverso l'approvazione di taluni emendamenti, ma non si è detto in


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alcun modo intenzionato - e mi pare che abbia parlato a nome della maggioranza - a ripensare e a tornare sui suoi passi sulla scelta fondamentale. Allora la disponibilità per piccole modifiche tecniche non cambia alcunché.
Cari colleghi della maggioranza, ci troviamo in questa grottesca situazione, quella di orientarci verso due riti penali opposti e contraddittori. Vediamo che nell'ultima parte del provvedimento - il meccanismo della citazione diretta - prevediamo addirittura due dibattimenti: troppa grazia. Alcuni colleghi della maggioranza, di fronte alla robustezza della nostra opposizione ed alla insostenibilità di questo monstrum dell'udienza predibattimentale replicavano con un mezzo sorriso. «Se abbiamo sbagliato in precedenza» - dicevano - «che possiamo farci? Se l'udienza preliminare è diventata una forma, vuol dire che abbiamo sbagliato impianto: dovremo pur cambiarlo».
Signori, è troppo comodo fare questo discorso in sede politica; quando in politica si sbaglia, se ne debbono trarre conseguenze forti. Su questa riforma procedurale da sinistra avete fatto grande propaganda presentandola come grande riforma di civiltà, qualificante; una riforma per cui una confessione di fallimento - se c'è - deve essere pubblica, forte, politicamente risaltante, da cui trarre conseguenze. E non certo per varare un fallimento da un altro fallimento annunciato: questo infatti sarebbe l'udienza predibattimentale.
Prevediamo due dibattimenti: ve lo hanno dimostrato i colleghi intervenuti. Si tratta di due dibattimenti (sintetizzo usando questa espressione un po' colorita): questa è la verità, che vi dimostrerò con qualche esempio concreto. Prima di tutto bisognerebbe valutare la cosa anche sul piano organizzativo. Il ministro Flick - altro grande sconfitto di questo passaggio: forse un altro ministro si sarebbe anche dimesso perché è venuto fuori un provvedimento tutto diverso, delegittimante il ministro stesso, rispetto a quello che aveva portato avanti - ci ha letto questa mattina una noticina in cui ci ha spiegato che le ragioni organizzative di cui, bontà sua, deve farsi carico il ministero impongono un certo atteggiamento.
Forse le ragioni organizzative sono quelle da cui deriva che invece di due figure di giudice ne debbano essere inventate tre? Questa è la realtà: abbiamo il giudice dell'udienza predibattimentale, il giudice che giudica ed il residuo del giudice per le indagini preliminari. Infatti non abbiamo cancellato quest'ultima figura.
Quindi non solo la vostra legge è irrazionale, caotica, priva di punti di riferimento e di capacità di scelta, ma, per le esigenze organizzative del ministero, concepiremo addirittura tre tipi di giudice anziché due. Inoltre - come giustamente sottolineava il collega Pecorella - scatterebbero tutte le incompatibilità che a questo punto ci stiamo inventando per forza, anche dove non esisterebbero. Infatti prefiguriamo tanti di quei meccanismi che le incompatibilità valgono non solo in un piccolo tribunale, come qualcuno accennava, ma anche in uno medio o grande e finiscono per costellare il percorso di ogni procedimento.
Il cittadino dovrebbe chiedersi: lo fanno apposta? Non ci dormono la notte per inventarsi incompatibilità, meccanismi che inceppano l'organizzazione della giustizia, labialmente degnato di attenzione da parte del ministro Flick?
Ci sono gravi contraddizioni, e lo sapete benissimo: gli articoli 19 e 20, ad esempio, relativi al giudizio abbreviato. Non condivido quanto detto da alcuni colleghi. Quando il monitoraggio non è esatto si rischia di adottare misure non opportune.
Quando si dice, per esempio, che il meccanismo della pena a richiesta o patteggiamento, come comunemente si dice, non ha funzionato, è un'affermazione che contrasta con l'esperienza giudiziaria mia e di molti altri colleghi che frequentano le aule giudiziarie. Il meccanismo del patteggiamento o pena a richiesta viene utilizzato largamente, mentre il giudizio abbreviato è altra cosa ma voi,


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che vibrate colpi alla cieca, dopo aver parlato a lungo dei riti alternativi avendo soprattutto puntato sul patteggiamento, vi innamorate dei riti abbreviati, al punto tale che avete assunto decisioni che, come altri colleghi prima di me hanno dimostrato, farebbero del rito abbreviato quello normalmente utilizzato. Se così è, dovremmo mettere mano in maniera diversa anche a questo rito perché non è assolutamente condivisibile che quella della camera di consiglio sia la regola per il giudizio abbreviato (mi sembra che già un altro collega l'abbia accennato).
A differenza di altri colleghi, nutro perplessità anche relativamente all'istituto del patteggiamento nell'udienza predibattimentale, data la natura dibattimentale di tale udienza. Non è un gioco di parole: poiché l'udienza predibattimentale è un altro dibattimento, nutro perplessità sull'opportunità della norma di cui al punto b) del comma 1 dell'articolo 29. Come giustamente è stato osservato, il cuore del problema è questo stare a gambe larghe sopra un filo spinato fra il rito accusatorio e il rito inquisitorio. Abbiamo innestato una specie di marcia indietro perché si pone il problema della formazione della prova che presuppone il principio non solo di buona tecnica legislativa e di buona procedura, ma anche quello del libero convincimento e del convincimento del giudice, nel senso che quest'ultimo, chiamato ad emettere la decisione finale, deve avere la piena sovranità di riesaminare tutti i provvedimenti sull'ammissibilità delle prove e di disporre l'acquisizione di ogni ulteriore elemento o prova testimoniale o d'altro genere, in virtù del principio, moralmente insopprimibile, del convincimento del giudice.
Quando una prova è utile o rilevante, è doverosa; se la prova può conferire al giudizio, deve essere ammessa. Se io fossi un giudice al quale viene portato l'insieme del materiale probatorio da un altro dibattimento - come io lo chiamo - in cui un altro giudice, avendo tutti i risultati delle indagini, ha motivatamente deciso in merito alla pertinenza e alla rilevanza, io, avendo la responsabilità finale e somma - per chi ne avverta la sacralità - di emettere la decisione, se mi accorgessi dell'incertezza di un dato, se mi accorgessi della presenza di una prova utile, dovrei essere libero e sovrano di poterla acquisire. Il giudice - lo ripeto - deve avere il potere ed il dovere di ammettere e valutare la prova.
Questa udienza è allora una risposta assolutamente devastante e controproducente: è indubbiamente una soluzione che non può passare perché, anche in termini di interlocuzione democratica, non mi pare che sia stata approvata da nessuno. Non è stata approvata da gran parte della magistratura e dalla maggior parte dei rappresentanti dell'avvocatura! Noi dovremmo dunque licenziare una legge per partito preso di maggioranza anche se è rigettata dalla grande maggioranza di coloro i quali saranno poi chiamati ad applicarla? No!
Dovremmo licenziare norme come quella - che si risolverebbe in una fictio pura e semplice - contenuta nell'articolo 46 relativo alla lettura degli atti acquisiti (immaginatevi se nel dibattimento si desse lettura degli atti acquisiti? Mi pare già di sentire il giudice mentre dice: «sì, diamoli per letti!». Oppure ci si dovrà intrattenere nella lettura di voluminosissimi atti? Assolutamente non è così!) oppure norme - questo è un aspetto denunziato anche da altri - come quella della oblazione (un meccanismo maneggiato in maniera assolutamente maldestra, avventata e foriera anche di gravi iniquità)? Si tratta di punti qualificanti e assai importanti, sui quali qualcosa di più che una riflessione dovrà essere fatta in collegamento con gli altri istituti e con altre tematiche come quella della depenalizzazione o quella della competenza penale del giudice di pace. È giusto «dare un occhio» a quest'ultima, ma anche in questo caso occorrerà fissare un appuntamento per una seria ed ulteriore riflessione. Dico questo perché non mi pare che si debba parlare di un giudice di pace competente per reati esclusivamente minimali: così non è! Se andiamo, infatti, a rileggere le materie rimesse o che dovranno essere rimesse alla competenza


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penale del giudice di pace, ci accorgeremo che sono buona parte della vicenda del mondo giudiziario o delle vicende di vita che vengono portate alla cognizione del magistrato.
Per quanto ci riguarda, sul piano del rapporto politico, della procedura e dei rapporti istituzionali, il nostro gruppo - che è sempre estremamente attento e sensibile a questi temi - è sicuramente disponibile ad aderire ad un eventuale percorso accelerato per la terza parte del provvedimento, ovvero quella del rito (questa metterà il giudice monocratico nella condizione di partire effettivamente). Il nostro gruppo è inoltre disponibile per la prima parte del provvedimento, con la sola - peraltro non lieve - eccezione della competenza per valore, in pratica, del giudice di pace. Siamo invece assolutamente indisponibili al progredire della parte seconda e centrale del provvedimento stesso.
Auspichiamo che la maggioranza, non arroccandosi su una pregiudiziale politica che finirebbe in questo momento per assegnarle una vittoria di Pirro ma una successiva condanna degli operatori di giustizia e dei cittadini, ripensi incisivamente alla propria posizione accedendo ad una soluzione che contemperi esigenze pratiche, dignità politica e volontà di fare riforme e non «sfasci», dei quali non abbiamo ulteriore bisogno (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Saponara. Ne ha facoltà.

MICHELE SAPONARA. Signor Presidente, signor sottosegretario, cari colleghi, devo dire che condivido pienamente i rilievi, gli argomenti e le proposte formulati dagli amici e colleghi Marotta e Pecorella; e quindi non avrò il cattivo gusto di ripeterli, sperando pertanto di non usare l'intero tempo a mia disposizione.
Vorrei ora svolgere alcune considerazioni di carattere generale.
Nessuno è entusiasta della vicenda legislativa al nostro esame: né gli avvocati, i quali temono che venga vanificato completamente il rito accusatorio, che è stato una conquista dopo tanti anni di dibattiti e due leggi delega; né i magistrati, i quali per pigrizia, per spirito di conservazione o per esigenze effettive, temono di non poter adempiere, con queste strutture, quanto loro richiesto dalla nuova disciplina, e non è entusiasta neppure la maggioranza. È a tutti noto, infatti, che il ministro di grazia e giustizia non era entusiasta del progetto, che passa per provvedimento Carotti, che si è sovrapposto ad altri tre provvedimenti - due proposte di legge, una a firma Pisapia, l'altra Giuliano, e un disegno di legge dello stesso Governo -, che prevedevano una disciplina più contenuta, riferentesi soltanto alle garanzie per il rito monocratico, che ovviamente si dovevano estendere anche ai reati già di competenza del pretore.
Vorrei svolgere ancora alcune considerazioni di carattere generale. Certo, il giudice unico è una realtà che noi non contestiamo, però desidero ancora una volta ribadire - l'ho detto in altre circostanze - che affidare la decisione di cause importanti ad un solo giudice, se consente di recuperare altri giudici (ma questo è tutto da vedere e da dimostrare), costituisce un grosso rischio. Questo è un dibattito ormai lontano: ricordo che il grande Alfredo De Marsico era contrario in tutti i congressi perché temeva - ed io con lui - che il giudice unico non desse sufficienti garanzie. Un grosso rischio, dicevo, per il protagonismo ricorrente specialmente in questi ultimi tempi; vi è il giudice affetto da delirio di onnipotenza - mai come in questi tempi assistiamo a questo fenomeno -, vi è il giudice che ovviamente può anche non essere fornito dell'equilibrio necessario, indispensabile, per l'assolvimento di un mandato dagli effetti così importanti.
Veniamo ai rimedi; è questo il contributo al dibattito che intendo dare con il mio sintetico e modesto intervento. Abbiamo bisogno di un giudice equilibrato, di un giudice che dia garanzie e sia indipendente. Certo, non basteranno le pagelle, non basteranno gli accertamenti


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psicoattitudinali, che velatamente o apertamente potranno esservi; penso che il giudice unico ponga, in termini di grande urgenza, il problema della separazione delle carriere, così come ha accennato l'amico Marotta nel suo intervento.
Lamentiamo oggi la contiguità, l'appiattimento, la subordinazione del giudice GIP o anche del tribunale, al pubblico ministero. Ricordiamo l'episodio del bastone e della carota verificatosi a Milano; ricordiamo il GIP Ghitti, il quale scriveva a Di Pietro i bigliettini in cui si decideva la sorte di un imputato, se dovesse essere arrestato o meno, in base a considerazioni di carattere personale, comunque non previste dalla legge. Il Consiglio superiore della magistratura si è interessato di questi fatti, ha ammonito il giudice Crivelli - il quale poi è stato anche promosso - e, nello stesso tempo, ha aperto un procedimento disciplinare contro un giudice della corte d'appello il quale si era permesso di criticare il comportamento dello stesso giudice Crivelli.
Il problema della separazione delle carriere ormai è sotto gli occhi di tutti. Il Presidente della Repubblica, in un convegno a Taormina, disse che fino a quando fosse rimasto al Quirinale mai avrebbe promulgato una legge che prevedesse la separazione delle carriere, ma i tempi sono cambiati e mi sembra che il discorso si sia fatto più duttile. Non dimentichiamo, peraltro, che lo stesso Falcone auspicava la separazione delle carriere. Parlo di Falcone perché è la figura che, all'occorrenza, serve ai magistrati d'assalto di oggi come simbolo di indipendenza, di servitore dello Stato. Ciò quando sappiamo che egli è stato avversato, non è stato eletto al Consiglio superiore della magistratura e nemmeno alla carica di procuratore antimafia, tanto che la dottoressa Boccassini, nel commemorarlo a Milano, ebbe parole durissime nei confronti di magistrati i quali osavano partecipare a quella commemorazione, dicendo apertamente «vergogna!».
A maggior ragione, a mio avviso, c'è da temere che un giudice unico, quindi non tutelato dal collegio, dalla presenza anche fisica di altri colleghi, possa essere condizionato, appiattito sul pubblico ministero: pubblici ministeri aggressivi, onnipotenti, i quali interpretano la legge come ci dimostra il caso Alletto.
Si dirà: «Voi volete un superpoliziotto e quindi perdete di vista l'aspetto giurisdizionale; il pubblico ministero è un magistrato il quale, ai sensi dell'articolo 358, dovrebbe ricercare anche le prove a favore».
Cari colleghi, nel caso Alletto, recentissimo ed emblematico, la prova a favore degli imputati è data da quella videocassetta. Voi pensate che i pubblici ministeri abbiano prodotto quella videocassetta, che poteva appunto essere invocata come prova a discarico degli imputati? Nemmeno per sogno. È stata la diligenza e anche la fortuna professionale di un giovane avvocato, il quale, leggendo le tante carte di cui si compone il processo, ha riscontrato che vi era stata un'intercettazione, un qualcosa che poteva interessare ed è venuto fuori quanto sappiamo. Abbiamo, quindi, dei pubblici ministeri che sono parte, che fanno il loro mestiere da parti e, quindi, vanno trattati come tali.
Ecco allora il discorso della separazione delle carriere, che è di grande attualità e che porto nella discussione odierna come contributo al dibattito.
Il pubblico ministero indipendente, il giudice indipendente, il giudice onnipotente, il giudice irresponsabile: in uno Stato di diritto, ad ogni potere deve contrapporsi un contropotere; ogni potere, di vita e di morte, sul cittadino deve essere controllato e deve essere responsabile. Affermiamo che in questo momento vi è la più assoluta irresponsabilità dei magistrati, sotto tutti gli aspetti: disciplinare, civile e politico.
Formulo allora una domanda: perché ci si è opposti così ferocemente alla Commissione su Tangentopoli richiesta dal movimento di cui faccio parte? Ma veramente si pensa che, poiché il clima non è sereno, essa avrebbe creato tante sciagure per il popolo italiano, per l'ordinato vivere civile? La risposta, in realtà,


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a mio avviso è semplice: non la si è voluta perché si temeva e si teme che, sia pure indirettamente, si possa giudicate l'operato della magistratura, la quale non deve rispondere a nessuno.
Allora, perché la nuova disciplina sul giudice unico possa essere garanzia di giustizia e di imparzialità è necessario che si riprenda il discorso sulla responsabilità civile, oltre che su quella disciplinare, di cui il ministro ha parlato e di cui sembra che, almeno in certi casi, voglia far uso (non sempre, ma almeno in alcuni casi e solo in certe regioni e non in altre: si limita soltanto al centro, escludendo il nord ed il sud, almeno allo stato). Tutti ricorderanno l'iter della legge sulla responsabilità civile dei magistrati: l'articolo 55 del codice di procedura civile, che prevedeva la responsabilità solo in caso di dolo, frode o concussione, fu abrogato dal referendum e, con la nuova legge, si parlò di colpa grave, che poi è diventata «inescusabile», per cui fino ad ora non abbiamo avuto una sola sentenza di condanna di magistrati, che pure avevano commesso fatti gravissimi nell'adempimento del loro mandato.
Allora, cari colleghi, se si vuole arrivare ad un vero Stato di diritto democratico, quale tutti noi auspichiamo, ad uno Stato «normale» quale quello che la sinistra auspica e pensava di riuscire a realizzare in breve tempo, dobbiamo dare una disciplina sistematica ai vari poteri, legislativo, esecutivo, giudiziario.
Un'altra osservazione: come alibi per non prendere in considerazione determinate richieste formulate dall'opposizione, si dice: l'opposizione non collabora, fa muro contro muro. Ebbene, spero mi daranno atto i colleghi della Commissione giustizia che tale affermazione, almeno per quanto riguarda noi membri di quella Commissione, non risponde al vero (tra l'altro, essa non proviene dai colleghi commissari, quindi non è a loro che mi rivolgo), in quanto anche in occasione di questo dibattito, come ricordavano gli onorevoli Marotta e Pecorella, abbiamo avanzato proposte costruttive. Siamo presenti, comunque, in tutti i dibattiti e spesso siamo gli unici (il collega Marotta, poi, vi è sempre). Abbiamo partecipato al dibattito sulle videoconferenze, a quello sul tema dello sfruttamento dei minori, e così via. La collega Serafini mi darà atto del fatto che abbiamo anche aderito alla richiesta di assegnazione in sede legislativa del provvedimento antiracket. Insomma, abbiamo partecipato attivamente e portando un contributo fattivo alla formazione di leggi che abbiamo ritenuto importanti per il nostro paese. Partecipiamo quindi anche a questa discussione con spirito costruttivo, pronti sempre ad individuare ed appoggiare tutte le proposte che possano soddisfare le esigenze dell'avvocatura, che tutela i diritti dei cittadini, ma anche della magistratura: ho infatti avuto modo di parlare con giudici, con presidenti di tribunale che hanno responsabilità nell'organizzazione giudiziaria ed ho constatato che sono preoccupatissimi. Ecco perché il Governo deve dare prova di responsabilità e di serietà nell'apprestare tutte le strutture necessarie, perché è assurdo ritenere che questa sia una riforma «a costo zero». (Applausi).

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Il Governo viola anche la legge: figurati che contributo!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, mi preme innanzitutto ringraziare il relatore, onorevole Carotti, per il difficile, intelligente e faticoso lavoro che ha portato al testo al nostro esame e contemporaneamente ringraziare tutti i colleghi della Commissione, in particolare quelli che sono intervenuti oggi con passione, con osservazioni, con critiche, riconoscendo fin d'ora che, nei lavori su questo testo, come su tanti altri testi che sono stati esaminati in Commissione giustizia, vi è stato un apporto costruttivo dell'opposizione e soprattutto una dialettica estremamente importante, che ha visto sempre come fine di tutti l'interesse della giustizia.


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Mi rivolgo ai colleghi che oggi non fanno parte della maggioranza, e l'oggi è chiaramente ironico, nel senso che in questi giorni tutto può accadere...

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Conteneva un augurio per le prossime elezioni!

GIULIANO PISAPIA. Volevo in sostanza ricordare che sono state numerose le proposte emendative dei diversi gruppi dell'opposizione che hanno trovato il consenso del relatore e che sono state approvate in Commissione.
Credo che bisogna restituire a questo dibattito il senso di quello che è avvenuto nel nostro confronto quotidiano dei mesi scorsi e penso si debba riconoscere da parte di tutti, al di là delle riserve su punti qualificanti, su cui evidentemente vi è la massima apertura e disponibilità ad un confronto costruttivo, che su gran parte di questo provvedimento vi è stata in Commissione l'unanimità e si sono fatti notevoli passi avanti rispetto a proposte che venivano soprattutto dai gruppi dell'opposizione. È evidente: il punto qualificante di questo progetto è l'estensione ai reati di competenza pretorile, che in futuro saranno di competenza del giudice monocratico, delle garanzie previste oggi nell'udienza preliminare (domani, se sarà approvato il testo, nell'udienza predibattimentale). Quindi, al di là delle differenti valutazioni rispetto al percorso in Commissione, credo che onestà intellettuale debba far riconoscere che la volontà comune è quella di un intervento legislativo finalizzato ad un ampliamento delle garanzie, e non ad una loro limitazione.
Le scelte, poi, possono essere non condivise, ma credo si debba riconoscere al relatore e ai presentatori delle diverse proposte di legge che l'obiettivo comune era quello. Anche rispetto all'altra riserva formulata oggi in aula, cioè il rafforzamento del rito abbreviato, da un lato non si è riconosciuto che in tal senso andavano anche alcune proposte dell'opposizione e dall'altro lato, che punto qualificante della scelta del rito abbreviato è l'interesse, la volontà dell'imputato. Con questo provvedimento si elimina la possibilità di incidenza su quella scelta, come oggi troppo spesso avviene, da parte dei pubblici ministeri. E che dire: altro significativo aspetto sul quale vi è stato un ampio consenso è quello del controllo di competenza, per evitare le invasioni di campo vergognose che si sono verificate in questi anni. La limitazione o addirittura l'assoluta eliminazione della possibilità da parte del pubblico ministero di incidere, attraverso un consenso o un dissenso, sulla scelta di rito alternativo e in particolare di rito abbreviato da parte dell'imputato, si è eliminato uno strumento di pressione e quindi di potere del pubblico ministero all'interno del processo. E sappiamo tutti che quando il pubblico ministero è forte all'interno del processo, purtroppo, è forte anche nel paese, mentre il nostro compito è quello di rafforzare il ruolo del giudice. È stato riconosciuto da tutti - e ringrazio l'onorevole Serafini per le sue parole piene di passione rispetto a questo punto - che l'obiettivo qualificante a cui dobbiamo pervenire è quello di rafforzare il ruolo del giudice.
Così come credo - e non è una replica, ma un tentativo di capirci per andare avanti - che anche le riserve sul giudice di pace sarebbero vere se non si tenesse conto che un provvedimento da tempo approvato dalla Camera ha reso questa figura più preparata e professionalmente più adeguata ai nuovi compiti che credo tutti intendiamo dargli. Non è un caso che anche nel recente congresso dell'unione camere penali, anche da parte di chi aveva una posizione non aprioristicamente ma razionalmente contraria al giudice di pace, oggi si riconosca come sia possibile dare un ruolo, sia pur limitato ma rilevante, a questa figura anche in campo penale; un ruolo necessario nella prospettiva del diritto penale minimo, del diritto penale mite. Non è un caso che il giudice di pace non avrebbe mai possibilità di irrogare pene che possano incidere nella libertà personale dei cittadini.


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Mi voglio soffermare ancora su altre questioni che sono state sollevate. È stato detto che vi è una notevole disomogeneità in questo provvedimento, che questo è un modo sbagliato di fare le leggi. Ebbene, ci sono sicuramente punti qualificanti che toccano momenti diversi dell'amministrazione della giustizia, ma è altrettanto vero che tutti riconosciamo che si tratta di interventi complessivi assolutamente necessari affinché la riforma del giudice unico - che, ripetiamolo, non è il giudice monocratico - possa arrivare a buon fine, nel senso di coniugare maggiore efficienza e maggiori garanzie. Questi interventi erano urgenti e necessari.
È stato detto che vi sono oscurità nelle norme. Ebbene, se condividiamo la ratio, lavoriamo insieme affinché queste oscurità possano invece diventare luce, per noi, per gli interpreti, per gli utenti della giustizia e quindi per l'amministrazione della giustizia.
C'è poi evidentemente la grande divergenza sull'udienza predibattimentale. Ci confronteremo, ma anche qui eliminiamo un equivoco che ha permeato in parte il dibattito in Commissione e anche quello in aula. Non è vero che si creerebbe un giudice che avrebbe ancora maggiore incompatibilità rispetto al momento dell'indagine in relazione a quello del dibattimento, anzi si creerebbe una nuova figura che finalmente potrebbe decidere rispetto alla citazione a giudizio di un cittadino in una posizione di maggiore equidistanza culturale dai pubblici ministeri e dai quei giudici che decidono sulle indagini, sulle intercettazioni telefoniche, sulle proroghe. Vedremo poi insieme come separare il giudice che decide se rinviare o meno a giudizio un imputato dal giudice a cui il pubblico ministero si rivolge per le ordinanze di custodia cautelare o per le indagini: ma credo sia un importante passo in avanti per far tornare il giudice ad essere imparziale, equidistante, terzo. Ragioniamoci, ma questo è l'obiettivo.
Positive e in parte condivisibili sono le critiche (che più che altro potrei definire osservazioni e rilievi) sul problema dell'ammissione delle prove. Evidentemente su questo aspetto bisogna trovare un punto di incontro e di equilibrio tra due idee diverse. In proposito voglio, non lanciare una provocazione, ma fare una proposta: ragioniamo insieme se la soluzione non possa trovarsi nella modifica dell'articolo 493 del codice di procedura penale, eliminando quella norma subdola (non perché scorretta, ma perché è stata utilizzata strumentalmente) che oggi prevede che il pubblico ministero: «Espone concisamente i fatti oggetto dell'imputazione e indica le prove di cui chiede l'ammissione». Sappiamo perfettamente che questa esposizione concisa si è trasformata in una vera e propria requisitoria, con l'utilizzo degli atti di indagine preliminare. Allora, se al momento dell'esposizione introduttiva e della richiesta delle prove creiamo un punto di parità totale tra accusa, difesa e parte civile, credo che forse potremo trovare una soluzione equa e garantista anche su questo problema fondamentale (sollevato negli interventi che mi hanno preceduto, dei quali ho apprezzato l'intelligenza e la cultura giuridica).
Su questi aspetti ci siamo divisi. Ma credo sia giusto sottolineare anche i punti che ci hanno unito (e mi avvio velocemente alla conclusione, perché il mio voleva essere specialmente un ringraziamento a tutti).
Mi riferisco ad una serie di aspetti che elencherò brevemente. La maggiore preparazione professionale - e quindi la maggiore adeguatezza - dei giudici di pace. La modifica della norma sulla sospensione condizionale della pena, che offrirà al giudice la possibilità di un rapporto più umano e di soluzioni più eque rispetto a chi sbaglia per la prima volta; oggi, per una norma che equipara la pena pecuniaria alla detenzione (rispetto all'articolo 163), si possono creare enormi guasti rispetto alla possibilità di reinserimento del condannato. Il controllo di competenza del pubblico ministero. L'archiviazione dei procedimenti su ignoti, che porterà una notevole accelerazione nell'amministrazione della giustizia e nel lavoro dei giudici togati. L'aumento delle


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possibilità di oblazione. In proposito occorre ragionare insieme rispetto ai reati perseguibili a querela e della possibilità di rendere oblabili anche tali reati. Con il rafforzamento dei riti alternativi e la contemporanea eliminazione del consenso del PM per potervi accedere, si evitano le forche caudine costituite spesso dalle condizioni poste dalla pubblica accusa, che sappiamo come ancora una volta siano in contrasto con le linee direttive del codice e sono diventate uno strumento di pressione rispetto alle decisioni dell'imputato. L'aumento del risarcimento per ingiusta detenzione. Pochi lo hanno ricordato, non perché vi sia stato dissenso, ma forse sottovalutando il segnale forte che la Commissione giustizia e tutto il Parlamento vogliono dare sulla necessità di un'amministrazione della giustizia più accorta, con una maggiore doverosa attenzione per la libertà dei cittadini.
È stata invece già ricordata l'attenzione che abbiamo posto ai lavori socialmente utili, al problema dell'attività professionale dei praticanti avvocati. Credo allora che sia positivo che la Commissione giustizia si occupi anche, evidentemente non solo, di chi opera all'interno della giustizia: questo è un segnale di attenzione ai problemi dell'occupazione e alle esigenze di chi opera quotidianamente nelle aule dei tribunali verso quella svolta di cui tanto si parla in questi giorni e di cui tanto si è parlato.
Voglio ricordare un ultimo punto che è stato toccato da questo provvedimento: è quello del segreto di indagine e della pubblicazione arbitraria degli atti coperti da segreto. Si tratta di un tema delicato, sul quale vi è stata molta polemica nel passato, ma sul quale, al di là della polemica stessa, pochi hanno proposto soluzioni concrete e sensate.
Anche qua credo che la proposta della Commissione riesca finalmente a contemperare due esigenze troppo spesso contrapposte: il diritto del giudice e delle parti di conoscere prima della pubblica opinione e della stampa gli atti di indagine; la tutela delle indagini, troppo spesso messe a repentaglio da fughe di notizie più o meno pilotate e la tutela, necessaria per chi crede nello Stato di diritto, della reputazione e della dignità, nonché della riservatezza di chi, talvolta giustamente ma talvolta anche ingiustamente, viene implicato in indagini preliminari.
La soluzione adottata è quella della massima riduzione del periodo in cui vige il segreto di indagine e del divieto di pubblicazione di atti di indagine. Oggi troppi dimenticano che gli atti di indagine preliminare non sono pubblicabili quando si svolge il dibattimento, fino alla sentenza d'appello, mentre di fatto vengono addirittura pubblicati prima della richiesta di rinvio a giudizio. Si è introdotta una limitazione del periodo di divieti e, contemporaneamente, si è introdotto un significativo aumento delle pene pecuniarie, in modo che quella norma, l'articolo 684 del codice penale - per la quale pare non esista l'obbligatorietà dell'azione penale - cominci ad avere un'effettiva efficacia deterrente.
Quelli richiamati sono solo alcuni dei punti di un impianto complessivo che, se come spero sarà fatto proprio dall'Assemblea, evidentemente con l'apporto di chi oggi non condivide alcuni punti di questa normativa, potrà trasformarsi in una riforma importante capace di rendere più celere ed efficiente l'amministrazione della giustizia, senza per questo indebolire - ma io credo, anzi, rafforzando - le garanzie per i cittadini tutti, siano essi indagati o vittime dei reati.
Ringrazio ancora tutti e spero che il nostro lavoro continuerà in maniera se possibile ancora più costruttiva; sempre da parte di tutti i componenti la Commissione che ho l'onore di presiedere vi è stata massima attenzione alle richieste, alle esigenze e alle proposte dei colleghi. Credo che se questo metodo continuerà - e mi sembra che il dibattito di oggi non può non confermarlo - riusciremo a fare un buon lavoro nell'interesse di tutti (Applausi).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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