Seduta n. 406 del 17/9/1998

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La seduta, sospesa alle 12,15, è ripresa alle 12,25.


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(Avviso di garanzia al cardinale Giordano)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Cardinale n. 2-01361 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
L'onorevole Miraglia Del Giudice cofirmatario dell'interpellanza, ha facoltà di illustrarla.

NICOLA MIRAGLIA DEL GIUDICE. Signor Presidente, signor ministro, con molta pacatezza ci ritroviamo qui ancora una volta, ad intervalli sempre più ravvicinati, per rivolgere interpellanze al ministro di grazia e giustizia poiché le vicende della magistratura italiana richiedono l'impegno dei parlamentari e risposte adeguate da parte del dicastero interessato.
Quella che illustro è un'interpellanza riguardante una vicenda nella quale è coinvolto il cardinale di Napoli Giordano. Come dicevo, c'è molta pacatezza da parte nostra sia perché all'interno del nostro gruppo parlamentare vi sono posizioni dialetticamente diverse rispetto all'amministrazione della giustizia sia perché la vicenda riguarda non il merito del processo ma determinate azioni poste in essere dalla magistratura per arrivare ad una legittima indagine nei confronti di un cittadino, che in questo caso è il cardinale di Napoli.
Occorre distinguere le ipotesi per evitare che l'interpellanza possa essere diversamente strumentalizzata. Quotidianamente ormai non è solo il contenuto delle indagini che preoccupa il mondo politico e i cittadini in particolare ma è probabilmente l'acquisizione del materiale probatorio inerente un'indagine in sé legittima. Forse tra qualche giorno ci ritroveremo qui a parlare della vicenda di cui si occupano oggi tutti i giornali e fra qualche mese ci occuperemo di qualche altra vicenda non dal punto di vista delle indagini ma da quello delle modalità delle acquisizioni probatorie.
Fatta questa indispensabile premessa, passo al contenuto dell'interpellanza. Nel corso di un'indagine inerente a reati di usura, portata avanti dai magistrati della procura di Lagonegro, si è sentita la necessità di acquisire materiale probatorio, dopo aver iscritto sul registro degli indagati il nome del cardinale di Napoli Giordano, e per tale motivo - conosco i fatti solo attraverso quello che scrivono i giornali - la procura inquirente ha disposto una perquisizione della curia di Napoli per acquisire determinati atti. A tal fine veniva delegata la Guardia di finanza che si recava in forze all'interno della curia di Napoli. Secondo i giornali, erano sei o sette le macchine che anticipavano l'arrivo del magistrato inquirente. Un tale dispiego di forze lascia perplessi, a meno che non ci fosse il pericolo di una fuga, di una distruzione di atti, che però avrebbe dovuto essere completamente motivato.
Avvalersi di quello spiegamento di forze, far sì che molte persone si recassero presso quegli uffici, lo ripeto, suscita grande perplessità perché all'interno della magistratura inquirente vige una prassi che normalmente viene rispettata: quando occorre effettuare indagini nei confronti di pubbliche amministrazioni o di persone che notoriamente non sono delinquenti e rivestono una carica pubblica, all'ordine di perquisizione normalmente è fatto precedere quello di esibizione della documentazione. In pratica la documentazione viene richiesta per fini di indagine e solo dopo che l'ordine di esibizione non è andato a buon fine o quando ci sono concreti motivi per ritenere che esso non vada a buon fine, è giusto procedere ad una perquisizione nel rispetto delle norme del codice di procedura penale.
Tanto è vero che quello che sto dicendo ha una parvenza di verità che lo stesso procuratore della Repubblica di Lagonegro, recatosi all'interno della curia, su richiesta del cardinale Giordano - spero che sia così, e non perché il clamore dell'atto lo aveva forse indotto a cambiare idea -, aveva revocato il decreto di perquisizione, consentendo all'indagato (che poi rivestiva la qualità di cardinale) di consegnare la documentazione ritenuta


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necessaria ai fini probatori. Signor ministro, se questo è successo, vuol dire che non era indispensabile l'ordine di perquisizione, perché se il procuratore della Repubblica riteneva che il cardinale Giordano non avrebbe consegnato la documentazione legittima, non avrebbe dovuto revocare l'ordine di perquisizione. Se lo ha fatto, vuol dire che riteneva sufficiente la documentazione a lui presentata dal cardinale (ripeto: spero che non lo abbia fatto per il clamore che ormai stava crescendo sempre di più sulla vicenda all'interno della curia). Se questo è vero - ed è vero perché il procuratore stesso l'ha resa pubblica configurandola con un principio di autotutela: ha annullato il proprio decreto di perquisizione - vuol dire che non vi era la necessità né del decreto di perquisizione né di distogliere dai compiti di istituto tanti uomini della Guardia di finanza con i relativi mezzi.
Su questo argomento, signor ministro, attendiamo una sua risposta seria, trattandosi di un precedente pericoloso; se, infatti, noi oggi accettiamo l'idea della perquisizione senza l'esibizione, da domani in poi tutti i pubblici ministeri potranno recarsi in tutti i comuni o nelle regioni d'Italia a perquisire gli studi di presidenti e sindaci senza pensarci sopra due volte. E lo farebbero - lo ripeto - violando una prassi giurisprudenziale delle procure d'Italia che fanno procedere la perquisizione all'ordine di esibizione, per garantire anche persone che, elette dal popolo, amministrano non la giustizia ma la cosa pubblica. Ribadisco che questo è un precedente sul quale il ministro deve fornire una risposta.
Signor ministro, nella nostra interpellanza viene avanzata un'ulteriore richiesta relativa alla violazione delle norme concordatarie.
Signor ministro, pur avendo una mia opinione in materia (che ho espresso pubblicamente; e quindi non me la posso rimangiare svolgendo una interpellanza parlamentare), le chiedo se nel caso di specie vi sia stata una violazione delle norme concordatarie. Tuttavia, vorrei sapere da lei perché, essendo l'obbligo di informazione un atto dovuto, il Governo ha sentito immediatamente la necessità di intervenire per dire subito che non vi era stata violazione delle norme concordatarie, quasi che fosse rimasto infastidito per alcune dichiarazioni provenienti dagli organi di stampa che parlavano di tale argomento. Vi è un dibattito aperto in materia; vi è una larghissima giurisprudenza. Ribadisco che io ho già espresso la mia opinione al riguardo, avendo affrontato anni addietro la questione con riferimento ad un altro caso; ma la mia opinione può essere sicuramente contrastata da altri legittimi punti di vista. Al riguardo vi è una discussione aperta; e affermare immediatamente che nel caso di specie non vi sarebbe stata violazione di norme concordatarie, avrebbe dovuto presupporre forse un momento di riflessione.
Vorrei ora sottolineare un'altra questione che merita una sua risposta, signor ministro: quella della spettacolarizzazione di quanto è avvenuto! Signor ministro, vorrei sapere da lei se i cameramen e i giornalisti presenti fuori della sede della curia siano stati chiamati dal cardinale, o se fossero già presenti sul posto; se erano già presenti in massa sul posto alla vigilia di ferragosto, come facevano a sapere che si sarebbe svolto quell'atto di perquisizione in quel momento? Almeno questo, signor ministro, non deve accadere!
Ripeto: l'acquisizione probatoria può essere giustificata o meno; la spettacolarizzazione di un'indagine o dell'informazione di garanzia no. Quest'ultima è ormai diventata una sentenza di condanna anticipata, senza possibilità di appello. Probabilmente, dopo il cardinale Giordano avrà modo di difendersi per la natura della sua funzione; mentre tanti cittadini comuni, colpiti da un'informazione di garanzia, forse questa possibilità non l'avranno più.
Evitare questa spettacolarizzazione vuol dire allora anche avere un intervento forte da parte del ministro di grazia e giustizia!
Signor ministro, lei è titolare di un dicastero molto delicato e molto importante


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perché, da un lato, risponde al Parlamento e, dall'altro lato, deve tutelare l'indipendenza e l'autonomia della magistratura e anche e soprattutto dei pubblici ministeri, i quali sono più esposti anche nei confronti dell'opinione pubblica (oltre che nei confronti della criminalità). Deve necessariamente contemperare le varie esigenze (su questo siamo d'accordo), ma deve anche garantire che questo contemperamento poi non consenta ad alcuni, pochi pubblici ministeri di andare al di là del proprio dovere e della propria funzione, che è delicatissima e che merita rispetto da parte di tutti. Ciò deve però avvenire nel rispetto pieno delle norme del codice di procedura penale!
Se il ministro difende tutta la magistratura, evita di colpire coloro che spettacolarizzano la giustizia o magari danno notizia ad alcuni organi di stampa e ad altri no. Posso aggiungere che la notizia della perquisizione, e soprattutto quella dell'avviso di garanzia al cardinale Giordano, era stata anticipata da un solo quotidiano il giorno prima. Come è possibile che un solo quotidiano avesse determinate notizie ed altri non le avessero? Si può mai pensare che stazionasse in pianta stabile un giornalista sotto la procura? Oppure è immaginabile che magari ci fosse un canale preferenziale, dovuto anche a rapporti di amicizia, di riconoscenza, di fiducia, poi mal ripagata? Spesso, infatti, può anche succedere che ci si lascia scappare la notizia, chiedendo al giornalista di non pubblicarla subito, e magari questo rapporto di fiducia è mal riposto. Fatto sta che un solo quotidiano ha pubblicato la notizia, mentre altri non lo hanno fatto. Questo mi fa pensare che si sia trattato di un'azione condotta con spettacolarizzazione, che non siano state osservate determinate norme non sono solo del codice di procedura penale, ma dell'ordinamento giudiziario, che sono norme anche di deontologia professionale.
Se la magistratura deve garantire la sua indipendenza, se il ministro deve contemperare le esigenze del suo Ministero con quella di garantire l'indipendenza della magistratura, è anche giusto che i magistrati facciano sì che questa indipendenza venga garantita attraverso il loro comportamento. Altrimenti il cittadino non può pretendere l'indipendenza piena del pubblico ministero, cioè l'assenza di controllo da parte del ministro di grazia e giustizia e del Parlamento, quando i pubblici ministeri sono i primi - almeno alcuni, direi pochissimi - a violare non tanto e non solo le norme del codice penale e di procedura penale (in quel caso si attiverebbero le procure competenti per territorio) ma, cosa più grave, le norme di deontologia professionale, le norme sull'ordinamento giudiziario.
Ecco perché è importante, signor ministro - e lo dico con grande pacatezza perché non compete a me dire al Governo se sbaglia o meno, ma è una questione che comunque riguarda i parlamentari, i cittadini, le persone che hanno a che fare con la giustizia anche per motivi professionali, ed è giusto che il ministro, nel garantire l'indipendenza della magistratura, riferisca al Parlamento e ponga in essere tutti i provvedimenti che ritenga necessari per garantire proprio questa indipendenza. Nel caso in questione le chiediamo se non ritenga che ci sia stata una spettacolarizzazione dell'attività della procura della Repubblica di Lagonegro, se non ritenga che siano state violate le norme concordatarie, e se in tutto questo ci possa essere stata un'azione intimidatoria da parte dei magistrati. È questa una domanda che ormai sta diventando una costante, ma quel che è grave, signor ministro - magari tornerò sull'argomento in sede di replica -, e ciò di cui il cittadino comincia ad avere paura è la giustizia amministrata in maniera intimidatoria.
Ieri leggevo un articolo del pubblico ministero Nordio, impegnato in delicate indagini, che si chiedeva perché ci scandalizziamo dal momento che tutto questo rappresenta la regola. Signor ministro, se questo rappresenta la regola siamo al di fuori del codice di procedura penale ed allora lei ha il dovere di accertare quante


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volte si verificano queste situazioni. Sappiamo benissimo che se un teste interrogato dal pubblico ministero non risponde può essere sottoposto ad arresto immediato per reticenza, per false dichiarazioni. È una persona psicologicamente debole ed il pubblico ministero deve garantire proprio in quel momento di debolezza del teste la massima indipendenza e la massima professionalità. Se non è in grado di garantirlo dovrebbe abbandonare le sue funzioni e se non lo fa dovrebbe intervenire il titolare del dicastero della giustizia, che dovrebbe seguire anche il procedimento davanti al Consiglio superiore della magistratura, dove spesso invece abortiscono molti processi di carattere disciplinare.
Chiediamo quindi al ministro di grazia e giustizia se intenda proporre azioni disciplinari, quali accertamenti abbia posto in essere per stabilire se tutto quello che è stato detto fino a questo momento corrisponde a verità. In sostanza, signor ministro - ripeto, lo dico con grande pacatezza - non ci interessa il merito dell'accusa al cardinale Giordano, non siamo noi i titolari di questo giudizio di merito, ma ci interessa stabilire una cosa più importante, cioè se vi sia stato il rispetto delle norme del codice, delle disposizioni di attuazione dell'ordinamento giudiziario e di deontologia professionale. Questo sì, perché in ogni caso l'azione della procura di Lagonegro ha creato, indipendentemente dal giudizio di merito, una situazione particolare nella diocesi di Napoli nei confronti di un cardinale che parlava spesso ai disoccupati e condannava determinate situazioni. Vogliamo sapere allora perché, essendo ancora nella fase delle indagini preliminari, neanche nella richiesta di rinvio a giudizio, in una fase cioè che dovrebbe essere coperta dal massimo segreto, tutto questo non c'è stato ma, anzi, si è avuta la più ampia divulgazione di notizie.
Vogliamo sapere anche se tutto questo risponda ai canoni di un regolare processo penale, delle disposizioni di attuazioni e della deontologia professionale, oppure se ci sia stata una violazione. Le chiediamo ciò, signor ministro, a tutela in questo momento della magistratura più che dei cittadini, perché altri magistrati contrastano e condannano: basta leggere le dichiarazioni, su tutti i giornali, del segretario dell'Unicost, Marconi, il quale ha denunciato il comportamento dei magistrati di Lagonegro per l'eccessiva spettacolarizzazione. Vogliamo sapere allora, proprio a tutela della stragrande maggioranza della magistratura, se dietro a questi comportamenti vi sia stata una violazione e, in questo caso, quali atti vorrà porre in essere il ministro di grazia e giustizia.

PRESIDENTE. Il ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GIOVANNI MARIA FLICK, Ministro di grazia e giustizia. L'interpellanza propone diversi profili delle modalità di svolgimento delle indagini preliminari da parte della procura della Repubblica e del tribunale di Lagonegro nei confronti del cardinale di Napoli. Da un lato si chiede una valutazione, oggi ulteriormente argomentata, sul rispetto delle norme pattizie che regolano i rapporti tra gli Stati sovrani della Repubblica italiana e del Vaticano; dall'altro si censura l'eccessiva spettacolarizzazione dell'atto istruttorio effettuato e la pubblicazione della notizia sui giornali.
Relativamente al primo aspetto, quello della legittimità degli atti di indagine, debbo premettere che le norme concordatarie riconoscono particolari prerogative personali in tema di immunità penale solamente a coloro che svolgono attività di governo della Chiesa universale, in primo luogo al sommo Pontefice, persona sacra ed inviolabile, come recita l'articolo 8 del Concordato, sotto questo profilo equiparato al Capo dello Stato, e agli enti centrali della Chiesa cattolica (articolo 11).
Per quanto riguarda la posizione giuridica dei cardinali, in base all'articolo 31 dei Patti lateranensi, si prevede che ad essi spettino gli onori dovuti alle più alte cariche civili e militari dello Stato, testualmente


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ai principi del sangue, come recitava l'articolo 31.
Lo Stato italiano si è inoltre assunto l'impegno di provvedere in modo speciale a che durante la vacanza della sede pontificia non sia ostacolato il libero transito e l'accesso dei cardinali al Vaticano attraverso il territorio italiano e che non si ponga impedimento o limitazione alla libertà personale dei medesimi. Tale disposizione sembra avere come effetto l'impossibilità, limitatamente al periodo del conclave, di adottare o comunque eseguire provvedimenti restrittivi delle libertà personali dei cardinali.
Al di là di tali previsioni, l'ordinamento non riconosce ai cardinali una particolare posizione dal punto di vista dell'immunità penale, né agli uffici della curia sembra poter essere riconosciuta una condizione di extraterritorialità. Gli articoli 13, 14 e 15 del Concordato del 1929 e gli allegati I e II indicano in maniera analitica, allegando anche le piante degli immobili, quali sono i luoghi che, benché facenti parte del territorio italiano, godono delle immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici esteri. Il privilegio dell'extraterritorialità è così riconosciuto dall'articolo 15 oltre che alla città del Vaticano, alle basiliche patriarcali di san Giovanni in Laterano, di santa Maria Maggiore e di san Paolo e ad altri edifici nominativamente indicati, nonché ad ogni chiesa limitatamente al tempo in cui vengano in essa celebrate sacre funzioni con l'intervento del Sommo Pontefice.
Altro prospettabile rilievo è quello che riguarda l'interferenza dell'attività di acquisizione processuale (scopo del provvedimento di perquisizione in genere) con la sfera delle competenze strettamente religiose e pastorali, per le quali, in base all'articolo 11 del Trattato del 1929, è prevista l'esenzione di ogni ingerenza da parte dello Stato italiano, di modo che non sembra di conseguenza possibile l'acquisizione di materiale documentale connesso all'operato degli enti centrali della Chiesa cattolica. Nel caso in questione, però, il provvedimento limitava il proprio obiettivo ad una verifica di natura finanziaria ed escludeva espressamente documentazioni aventi natura segnatamente diplomatica o strettamente religiosa, prevedibilmente contenute negli uffici curiali. Risulta, inoltre, che il provvedimento di perquisizione non è stato - come ella ricordava - in ogni caso eseguito ed anzi è stato espressamente revocato a seguito di consegna spontanea della documentazione e delle scritture contabili richieste. È peraltro noto come tale atto sia stato preceduto da un invito alla esibizione spontanea rivolto alcuni mesi prima, al quale i destinatari non avevano ritenuto di aderire.
Per quanto poi riguarda la tematica delle intercettazioni telefoniche, possono essere svolte in via generale alcune brevissime considerazioni. Non esistendo un espresso divieto normativo, sembra necessario verificare in concreto se il contenuto delle conversazioni intercettate riguardi ambiti garantiti dal principio di non ingerenza, nel qual caso le intercettazioni dovrebbero essere stralciate e distrutte, secondo le procedure previste dal codice di procedura penale.
Le considerazioni fin qui esposte sono state da me doverosamente e prontamente riferite al Presidente del Consiglio, che in proposito ha escluso violazioni di norme pattizie, ritenendo dunque legittima sotto il profilo formale l'attività disposta e svolta negli uffici della curia. La segreteria di stato della Santa Sede, nella nota verbale del 27 agosto 1998 (ovviamente, io escludo qui qualunque valutazione di merito, che non è di pertinenza del Governo, sul contenuto, come ella stessa ha ricordato), trasmessa in via diplomatica, in relazione alla vicenda ha poi lamentato l'omessa comunicazione ai sensi dell'articolo 2, lettera b), del protocollo addizionale dell'accordo citato dagli interpellanti, il quale prevede che la Repubblica italiana darà comunicazione all'autorità ecclesiastica competente per territorio dei procedimenti penali a carico di ecclesiastici. In realtà la disposizione, come è espressamente chiarito nella relazione al testo definitivo delle disposizioni di attuazione


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del codice di procedura penale vigente, trova specifica attuazione nell'articolo 129 di quelle disposizioni, che ella certamente conosce, sotto forma di obbligo per il pubblico ministero di informare l'autorità ecclesiastica competente per territorio in caso di limitazione o di esercizio dell'azione penale nei confronti di ecclesiastici: presupposti, questi, entrambi non verificatisi nel caso di specie, in cui si è proceduto a soli atti istruttori di accertamento.
Più complessa appare la risposta rispetto agli altri profili fatti presenti dalla Santa Sede e riguardanti, in particolare, il fatto che la notizia dell'emissione dell'avviso di garanzia rivolto al cardinale di Napoli sia apparsa su un quotidiano prima che l'interessato ne ricevesse comunicazione formale e il fatto che la spettacolarizzazione delle operazioni sia stata tale da turbare il libero esercizio del ministero pastorale, oltre che non confacente alla dignità riconosciuta dal Governo italiano ai cardinali della Chiesa cattolica. Quanto al primo profilo, il Governo si è unito alla Santa Sede nel deplorare fermamente l'accaduto e ciò è stato immediatamente oggetto di richiesta di informazioni da parte mia all'autorità giudiziaria di Lagonegro. La procura della Repubblica di Lagonegro ha comunicato di avere già aperto in merito un procedimento penale per accertare eventuali responsabilità in relazione all'ipotizzabile violazione del segreto d'ufficio ed il procedimento si trova in fase di indagini preliminari. Questo per quanto concerne la pubblicazione della notizia sul giornale. Per quanto riguarda la spettacolarizzazione dell'episodio, essa al momento ed alla luce degli elementi di cui dispongo non mi appare ascrivibile al comportamento della magistratura inquirente. Sul posto, al momento dell'arrivo delle auto della polizia giudiziaria delegata, erano già presenti numerosi giornalisti - come ella stessa ha ricordato - i quali sono stati invitati dal difensore dell'arcivescovo, per esplicito desiderio dell'eminenza, ad assistere alle operazioni, che poi - come ho detto - non si sono svolte per l'intervenuta consegna spontanea della documentazione.
Tutto questo non induce ad attenuare il giudizio di riprovevolezza su quanto è avvenuto, non solo per il particolare riguardo che deve nutrirsi per i ministri del culto ma anche in considerazione del diritto di ogni cittadino di non essere sottoposto al giudizio dell'opinione pubblica per fatti ancora oggetto d'indagine da parte dell'autorità giudiziaria. Il Ministero degli affari esteri si è espresso proprio in questi termini il 2 settembre, nella sua nota di risposta alla Santa Sede sempre inoltrata per via diplomatica, esprimendo la massima attenzione e sensibilità del Governo italiano per la vicenda che vede coinvolto l'arcivescovo di Napoli, nel quadro della sua costante sollecitudine per assicurare come Governo la piena libertà ed autonomia del ministero spirituale della Chiesa.
Debbo peraltro rilevare che lo stesso Ministero degli affari esteri informa che la segreteria di Stato, ricevendo la nostra nota verbale di risposta, si è rammaricata per il fatto che la stampa abbia erroneamente parlato di «violazioni» del concordato fatte valere dalla Santa Sede e ha ringraziato per la sollecitudine della risposta, manifestando interesse per l'eventuale costituzione di una commissione paritetica. Il Governo, infatti, si è dichiarato disponibile ad effettuare i passi opportuni per addivenire alla nomina di una commissione paritetica, allo scopo di verificare la correttezza dell'attuazione data nella normativa nazionale ai principi sanciti dall'accordo e dal protocollo addizionale e di proporne l'eventuale modifica ed integrazione, anche con riferimento alla mancata previsione (che è stata lamentata, ma non è in effetti pertinente alla vicenda in questione) nel codice di procedura penale vigente di una specifica norma che renda applicabile alla disciplina delle deposizioni testimoniali dei cardinali quella prevista per il Presidente del Consiglio, per il Presidente della Corte costituzionale e in primo luogo per i Presidenti delle Camere.


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Al di là dei punti specifici, in una fase di pieno chiarimento dei rapporti con la Santa Sede, vorrei sottolineare come sul piano dei rapporti politici le relazione tra i due Stati continuano ad essere improntate al pieno rispetto reciproco ed alla più fattiva collaborazione; ciò anche alla luce dell'imponente comune attività preparatoria del Giubileo. Per quanto concerne i profili di ordine disciplinare da ella ricordati, che sono conseguenti alla eventuale esclusione o accertamento di responsabilità penali, assicuro che continuerò a dare corso al comportamento che ho finora sempre tenuto in questi casi, sia che essi riguardassero persone note, sia che essi riguardassero comuni cittadini.

PRESIDENTE. L'onorevole Miraglia De Giudice, cofirmatario dell'interpellanza ha facoltà di replicare.

NICOLA MIRAGLIA DEL GIUDICE. Signor ministro, la sua è una risposta sicuramente diplomatica, da titolare del dicastero, che però mi lascia insoddisfatto in alcuni suoi passaggi. Innanzitutto, vede, dovrebbe forse esservi un chiarimento in sede di interpretazione delle norme, visto che le disposizioni concordatarie risalgono al 1929, quando era in vigore il vecchio codice di procedura penale che sicuramente ha trovato applicazione con il codice Rocco, quando l'azione penale cominciava non già con la richiesta di rinvio a giudizio ma con determinati atti compiuti dal pubblico ministero, come per esempio il vecchio avviso di reato e la comunicazione giudiziaria.
Sarebbe quindi forse il caso di intervenire per garantire in questo momento, in cui la fase delle indagini preliminari dovrebbe essere coperta da segreto ma in effetti non lo è, la tutela di determinati organi, anche con riferimento all'articolo 129 del codice di procedura penale.
Per quanto riguarda un altro aspetto della sua risposta, quello della divulgazione delle notizie su un quotidiano, la risposta della procura di Lagonegro, di aver cominciato un'indagine preliminare diretta a stabilire eventuali responsabilità, signor ministro, fa un po' sorridere, perché il risultato è scontato: non si troveranno colpevoli e dopo qualche mese si chiederà l'archiviazione della notitia criminis.
Ma bisogna stabilire - su questo forse sarebbe indispensabile un accertamento del ministro - se le notizie riportate su un quotidiano possano essere, per il loro contenuto tecnico, fornite da persone diverse dai magistrati o se, per la specificità di quanto riportato, possano essere date soltanto da chi è titolare di quell'azione. È inutile dire che la responsabilità può essere di un cancelliere, di un segretario o di un poliziotto. Solo in questi casi, infatti, viene legittimato il ricorso all'indagine preliminare da parte della procura di Lagonegro, perché se ci fosse la possibilità di una fuga di notizie riguardante magistrati, per rispetto delle norme del codice di procedura penale, l'indagine dovrebbe essere affidata ad una vicina corte d'appello (quella di Bari, se Lagonegro fa parte del distretto della corte d'appello di Potenza). Tutto questo invece non è avvenuto, dicendo che la fuga di notizie non è stata posta in essere dai magistrati, ma da persone non identificate, che possono essere collaboratori, poliziotti, terze persone, per cui si comincia un'indagine preliminare il cui contenuto risulta abbastanza scontato. La risposta del ministro sotto questo profilo - anche comprendendo la difficoltà o l'impossibilità di accertamento del ministro - lascia sicuramente insoddisfatti, perché sia lei, signor ministro, sia io sappiamo quale sarà il prosieguo dell'indagine preliminare, a che cosa porterà.
Sulla spettacolarizzazione delle indagini, la sua risposta avrebbe dovuto essere un po' più esauriente. Le avevo chiesto infatti se la presenza di cineoperatori e giornalisti sotto la sede della curia - è vero che dopo il cardinale, tramite il suo avvocato difensore, li ha fatti salire sopra - era stata già richiesta dagli organi ecclesiastici oppure no. Su questo non c'è stata una risposta esauriente, forse perché non si sa nemmeno come si siano trovati presenti sul posto.


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Anche sul decreto di perquisizione, il ministro ha risposto che vi era stato un ordine di esibizione precedente non ottemperato da parte del cardinale. Spero che questo ordine di esibizione risulti da atti scritti o si è trattato soltanto di un invito rivolto in maniera orale? Perché altrimenti sarebbe difficile poter affermare se sia stato o meno sufficiente. In ogni caso, come ho già detto in sede di illustrazione dell'interpellanza, ritengo che quando riguarda organi della pubblica amministrazione o la Santa Sede sarebbe opportuno far precedere sempre il provvedimento di perquisizione da un ordine di esibizione e magari reiterarlo qualche volta in più, facendo capire che in prosieguo potrebbe intervenire una perquisizione se non fosse immediatamente ottemperato.
Per quanto riguarda il contenuto intimidatorio dell'attività di indagine compiuta dai magistrati del pubblico ministero, su cui non c'è stata risposta da parte del ministro, per cui ritengo che il ministro non veda l'azione intimidatoria dei magistrati nei confronti del cardinale Giordano, invito però il ministro - non nel caso specifico, ma in casi similari - ad esercitare la massima attenzione.
Il ministro ha concluso il suo discorso soffermandosi sui rapporti fra lo Stato e la Santa Sede; io lo invito a guardare bene i rapporti tra Stato e cittadini, che forse sono ancora più importanti o meglio sullo stesso piano di quelli con la Santa Sede. In questo momento, i cittadini cominciano ad avere una sfiducia molto forte nella giustizia, più che nell'attività giudicante, forse nell'attività inquirente della magistratura. Quello che si sta verificando e che è sotto gli occhi dell'opinione pubblica lascia perplesso e impaurito il cittadino; quasi quasi non so cosa debba augurarsi il cittadino tra una malattia e il trovarsi di fronte a un pubblico ministero! Fa paura la giustizia amministrata in questo modo. Fa paura la voglia di trovare a tutti i costi un colpevole, anche intimidendo determinate persone.

Ecco, signor ministro, chiedo che vengano rispettati i rapporti tra Stato e Santa Sede e che vengano rispettati maggiormente i rapporti tra Stato e cittadini, affinché in futuro essi non debbano più assistere alle scene che hanno visto negli ultimi giorni. Dovranno andare davanti alla magistratura, anche inquirente, con la fiducia di trovarsi di fronte un giudice, che fa parte dell'ordine giudiziario, un organo terzo, imparziale. Noi difendiamo l'imparzialità e l'indipendenza della magistratura, ma esse devono essere garantite al cittadino. Oggi, quando va davanti al pubblico ministero, il cittadino - dopo avere assistito a determinate scene ed aver visto in che modo viene amministrata una parte della giustizia inquirente italiana - ha paura. Il ministro deve garantire principalmente i cittadini e deve far si che, quando determinati comportamenti violino queste norme di carattere processuale e anche deontologico, vengano immediatamente colpiti. Ciò servirà a dare fiducia ai cittadini.

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