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(5098); Berlusconi ed altri: Disposizioni urgenti per l'elevamento dell'obbligo di istruzione scolastica o professionale (5099); Casini ed altri: Norme per l'innalzamento dell'obbligo di istruzione e di formazione (5107) (ore 9,07).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni urgenti per l'elevamento dell'obbligo di istruzione e delle abbinate proposte di legge: Napoli ed altri: Disposizioni per l'elevamento dell'obbligo di istruzione; Berlusconi ed altri: Disposizioni urgenti per l'elevamento dell'obbligo di istruzione scolastica o professionale; Casini ed altri: Norme per l'innalzamento dell'obbligo di istruzione e di formazione.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Aprea, benché abbia esaurito il tempo a sua disposizione.
VALENTINA APREA, Relatore di minoranza. La ringrazio, Presidente.
questo tema cruciale (biennio unico, sistema duale od orientativo), una delega al buio all'esecutivo: questo è quello che la maggioranza - e ne abbiamo avuto conferma in questo dibattito - si accinge a fare.
PRESIDENTE. Onorevole Sbarbati, la relatrice di minoranza si sta rivolgendo a lei.
VALENTINA APREA, Relatore di minoranza. Onorevole Sbarbati, lei ha detto ieri, nel corso del dibattito, che noi abbiamo proposto a questo Parlamento un modello che non esiste in Europa. Ebbene, voglio ricordarle che i paesi dell'area OCSE, che sono quelli europei, stanno da tempo qualificando la propria strategia formativa in questo senso.
LUCIANA SBARBATI. Alzando l'obbligo di istruzione!
VALENTINA APREA, Relatore di minoranza. Vi è cioè la consapevolezza che, per competere sui mercati internazionali, occorrerà far valere la qualità dei prodotti e dei servizi che, come è noto, dipende in larga misura dalla professionalità delle maestranze. Sarebbe insomma difficile impegnarsi in una competizione sulla qualità a partire da una manodopera poco scolarizzata e professionalizzata. Non resterebbe in tal caso che la competizione sui costi, che ci collocherebbe però più vicino ai paesi emergenti che ai grandi paesi industrializzati.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, onorevole Soave.
SERGIO SOAVE, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, colleghi, sarò brevissimo, perché considero idoneo a riassumere le ragioni del relatore l'intervento conclusivo di ieri della collega Sbarbati, della quale non ripeterò quindi le argomentazioni, che mi hanno pienamente convinto. Ho anche l'ingenuità di ritenere che questo possa costituire un piccolo esempio di metodo, dal momento che, insieme ad altri colleghi, che parlano poco per rispetto dell'Assemblea e di se stessi, seguo spesso con fastidio impotente l'infinita reiterazione tematica ed i discorsi inutilmente prolissi che si tengono in quest'aula (Applausi dei deputati dei gruppi dei democratici di sinistra-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo e della componente verdi-l'Ulivo del gruppo misto).
VALENTINA APREA. Le forze democratiche sono diventate un fastidio!
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il ministro della pubblica istruzione, università e ricerca scientifica e tecnologica, onorevole Berlinguer.
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione, università e ricerca scientifica e tecnologica. Signor Presidente, onorevoli deputati, sono stato tentato anch'io dalla suggestione delle riflessioni espresse dall'onorevole Soave, tuttavia ho poi ritenuto che fosse invece necessario, da parte del Governo, formulare alcune valutazioni anche nel merito, a chiusura della discussione generale di questo provvedimento, per il notevole rilievo della questione, sottolineato dalla passione con cui l'opposizione ha impostato la discussione.
nel vocabolo «integrazione» e non nella contrapposizione radicale tra una posizione di pura ed esclusiva scolarizzazione ed una posizione di secco ed assoluto doppio canale.
CARLO GIOVANARDI. In sede extraparlamentare e poi calato in Parlamento!
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione, università e ricerca scientifica e tecnologica. No, non in sede extraparlamentare, perché la maggioranza ha le sue sedi nelle quali si riunisce e riesce a discutere, che rappresentano fatti democratici, perché i gruppi parlamentari costituiscono uno dei momenti dell'esistenza di un'istituzione politica, formalmente riconosciuti dall'ordinamento.
passato. Non solo le decine di migliaia di ragazzi che escono dal sistema formativo, ma il fatto che questo avviene in particolare per coloro che si iscrivono agli istituti professionali e tecnici, e quindi si sottolinea un elemento di discriminazione sociale insita in questo tipo di risultato.
VALENTINA APREA, Relatore di minoranza. Anche lei ha presentato...
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione, università e ricerca scientifica e tecnologica. Io la ascolto con grande attenzione, rispetto e persino considerazione, persino considerazione, onorevole Aprea. Le voglio pertanto chiedere un minimo di reciprocità. Capisco che dentro di lei ci sia un fuoco di ricostituzione complessiva della politica scolastica da parte dell'opposizione, dal seggio dell'opposizione, però ascolti anche il Governo.
poi attendere l'elevamento dell'obbligo. Sono state posizioni che l'esperienza legislativa di questo Parlamento ha dimostrato impotenti, mentre la linea che noi stiamo seguendo, apparentemente più empirica, salva il disegno organico e contemporaneamente ci fa giungere a traguardi normativi certi.
essere sottovalutata o gettata alle ortiche: è una finalizzazione che ha tutto il suo rilievo.
VALENTINA APREA, Relatore di minoranza. L'abbiamo chiesto noi dell'opposizione questo!
LUCIANA SBARBATI. L'abbiamo chiesto tutti.
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione, università e ricerca scientifica e tecnologica. L'ultima norma che voglio ricordare di questo provvedimento riguarda il fatto che, a conclusione dell'obbligo, viene rilasciata all'alunno una certificazione sull'adempimento che ha valore di credito formativo. Ecco un altro concetto: la mobilità, l'elasticità, la flessibilità, la possibilità di riprendersi, di ricominciare anche dopo un periodo di assenza dalla scuola è nei crediti formativi e nel fatto di avere acquisito delle posizioni che non si buttano alle ortiche, ma costituiscono una continua possibilità di recupero e di ripresa.
che finiscono poi per produrre materiale depositato negli archivi della Camera e del Senato.
VALENTINA APREA, Relatore di minoranza. È finta autonomia!
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione, università e ricerca scientifica e tecnologica. Non si guarda indietro perché altrimenti in materia di obbligo continueremo a fallire come è accaduto nelle legislature precedenti. La norma dell'autonomia non a caso viene richiamata nell'ultimo comma perché in realtà non c'è bisogno di farlo quando essa è presente nell'ordinamento; il richiamo, voluto dall'intera maggioranza, è funzionale al fatto che i provvedimenti del Governo, puramente attuativi, come è scritto nella Costituzione, creano le condizioni affinché la flessibilità introdotta dal disegno di legge possa produrre un risultato concreto. È un obbligo del Governo adottare provvedimenti di decretazione attuativa, non c'è nessuna delega; anche seguendo il primo anno di giurisprudenza si sa che una delega al Governo produce atti legislativi, mentre in questo caso si tratta di atti amministrativi, per cui l'uso improprio in questo Parlamento del termine indica qualche imprecisione anche sul piano tecnico, nel linguaggio normativo. Non c'è alcuna delega, soltanto l'attribuzione al Parlamento della funzione legislativa e al Governo del compito della decretazione amministrativa, secondo quello che è un suo preciso dovere.
VALENTINA APREA, Relatore di minoranza. Meno male! È l'unica cosa giusta che ha detto finora.
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione, università e ricerca scientifica e tecnologica. Lascia la bocca amara nell'opposizione, che però in questo modo può superare l'amarezza attraverso un eloquio così facondo per mezzo del quale si superano le condizioni dell'amarezza, ma lascia la bocca amara anche nel Governo. Lo voglio riconoscere. Lascia la bocca amara in tutto il corpo della maggioranza...
VALENTINA APREA, Relatore di minoranza. Bravo!
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione, università e ricerca scientifica e tecnologica. ...che aveva sognato che fossimo alle soglie dell'obbligo dei dieci anni.
VALENTINA APREA, Relatore di minoranza. Non ama più l'Ulivo!
PRESIDENTE. Onorevole Aprea, è irrefrenabile su questo tema. Come facciamo?
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione, università, ricerca scientifica e tecnologica. Ma non si può negare che questo sia un passo avanti.
FRANCESCO STORACE. Non pretendiamo tanto!
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione, università, ricerca scientifica e tecnologica. È un passo avanti importante. Noi abbiamo voluto fare questi passi con testardaggine che probabilmente ha una minore efficacia comunicativa ma sta lasciando e lascerà una traccia nel profondo di questa scuola, e la sua efficacia la si vedrà ogni giorno di più perché dentro la scuola c'è già una dinamica che soltanto una politica di grandi affreschi non avrebbe determinato.
BEPPE PISANU. Non si sa chi è Pirro?
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione, università e ricerca scientifica e tecnologica. No, qui si sa benissimo chi sia Pirro.
PRESIDENTE. È dei... Pirri.
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione, università e ricerca scientifica e tecnologica. Si sa chi è Pirro, perché noi abbiamo avuto altri esempi in cui gli effetti di una vittoria momentanea, voluta per poter dire che ce la si era fatta, sono stati poi ampiamente sanati, come dimostra il fatto che quei provvedimenti sono scritti nella Gazzetta Ufficiale e sono diventati definita acquisizione di questo Parlamento e di questo Governo. La società italiana vive oggi di una messe di provvedimenti scolastici e universitari che si sono soltanto rinviati. Sappiamo che il cammino è qualche volta un calvario, lo sappiamo benissimo. Si rinvia l'esame del provvedimento, non c'è niente di male! Ma siamo sicuri che giungeremo a questo risultato e sarà la prima volta nella storia della Repubblica (Applausi dei deputati dei gruppi dei democratici di sinistra-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti, di rinnovamento italiano e misto-rete-l'Ulivo).
PRESIDENTE. La ringrazio molto, onorevole Berlinguer.
Ricordo che nella seduta di ieri si è svolta la discussione sulle linee generali.
Colleghi, membri del Governo, il dibattito sul provvedimento che si è svolto ieri sera ci ha confermato che questa vicenda dell'elevamento dell'obbligo scolastico mette in luce come il gioco politico intorno alla scuola abbia portato non ad esaltare, ma a sacrificare le ragioni e la logica proprio della scuola, a partire dall'inizio. Questa, infatti, è un'esigenza non della scuola, ma proprio del gioco politico.
Messo sotto pressione dall'impossibilità di superare i contrasti nella maggioranza, che sono emersi chiaramente anche ieri sera, criticato perché la riforma generale annunciata restava una prospettiva lontana, il Governo aveva bisogno di un colpo d'effetto e d'immagine. Che cosa, se non l'innalzamento dell'obbligo subito e l'adeguamento subito, anche questa volta, all'Europa? Peccato che ciò contrasti proprio con quello che lei, ministro Berlinguer, ha sempre sostenuto, cioè che introdurre questa misura isolatamente in un sistema scolastico la cui architettura la esclude avrebbe provocato scompensi inaccettabili. Peccato ancor più che sia un modo per eludere quasi beffardamente il problema vero e non di facciata. Chi conosce la scuola italiana sa che solo una piccola minoranza, intorno al 10 per cento, non tenta neppure la scuola superiore dopo la terza media. Il dramma maggiore, lo ripetiamo e non ci stancheremo mai di dirlo finché questo provvedimento sarà all'esame di quest'aula, e che una percentuale molto alta, troppo alta di quelli che tentano, soprattutto negli istituti professionali e tecnici, la scuola superiore, non c'è la fa e fallisce proprio nel primo o nel secondo anno. Rispetto a questi ragazzi la questione, evidentemente, non è quella di un obbligo giuridico - perché di questo stiamo parlando, di un obbligo giuridico di frequenza -, bensì quella da un lato di una preparazione migliore nella scuola media per affrontare le superiori e, dall'altro, di incontrare una proposta formativa meglio in grado di rispondere alle loro esigenze e vocazioni. Lo stesso vale per quei ragazzi che neppure tentano di frequentare le superiori e che, presumibilmente, si troverebbero nella stessa situazione. Molti di loro lasciano sì la scuola, ma si rivolgono alla formazione professionale.
Demagogia, dunque, ma non innocua, bensì pericolosissima, perché di fronte al problema dell'impossibilità di alzare l'obbligo senza toccare l'impianto del sistema scolastico e volendo evitare nella sede parlamentare il nodo delle scelte politiche di fondo, il disegno di legge governativo attribuisce al ministro il potere pieno e incondizionato di adottare le misure che crede per attuare l'elevamento, dunque per modificare i decisivi anni di avvio delle superiori. Ecco quello che questa maggioranza si accinge a fare.
Dopo decenni di battaglie politiche intorno ad opzioni culturali opposte su
Non meno sconcertanti sono state le valutazioni degli esponenti della maggioranza sulla formazione professionale. Beninteso - mi fa piacere che siano arrivati gli onorevoli Dalla Chiesa e Sbarbati - noi non vogliamo mantenere la formazione professionale così com'è, ma chiediamo a piena voce una riforma della formazione professionale. Questo, però, è ciò che questo Parlamento non vuole fare e che questo Governo non vuole affrontare. Il pacchetto Treu, infatti, riformerà parte della formazione professionale, ma non riguarderà gli alunni che sono nell'età dell'obbligo e che, invece, potrebbero, con grande beneficio, accedere alla formazione professionale riformata.
Noi affermiamo, dunque, che certamente la formazione professionale va riformata, ed all'onorevole Sbarbati, la quale ieri ci ha accusato di aver proposto un sistema che non esiste in Europa, voglio ricordare... Onorevole Sbarbati, posso chiedere la sua attenzione?
D'altra parte, non possiamo continuare ad ignorare che il rapporto tra disoccupazione giovanile e disoccupazione degli adulti denuncia valori inferiori nei paesi che dispongono di validi sistemi di apprendistato (Danimarca, Germania, Austria) e nei quali i programmi di formazione professionale, erogati presso le imprese, costituiscono la parte più importante dell'istruzione secondaria superiore, come accade nei Paesi Bassi.
Al contrario, sempre secondo le stime dell'OCSE, i programmi di istruzione professionale erogati nelle scuole come vorrebbe questo Governo e come intende fare questa maggioranza, non migliorano necessariamente la media delle prospettive di impiego, a meno che tali programmi non siano strettamente collegati con le imprese e non godano del sostegno dei datori di lavoro. Insomma, la stessa estensione dell'obbligo non avrebbe senso se non fosse realizzata attraverso la formazione in alternanza. Si andrebbe infatti a prolungare artificialmente una condizione giovanile che allontanerebbe il tempo delle responsabilità e delle competenze.
Oggi concludiamo il nostro esame e sappiamo che questa battuta di arresto è determinata da fatti e da problemi oggettivi di tempo. Ci auguriamo però che questa battuta di arresto possa servire a lei, ministro, ed alla maggioranza per un ripensamento, perché noi anche a settembre, alla ripresa dei nostri lavori, continueremo ad opporci e voteremo a testa alta contro questo provvedimento, inaccettabile nelle modalità e, soprattutto, nel merito (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e misto-CCD).
Non credo che si possa considerare soltanto desiderio di un effetto di immagine voler giungere ad un risultato, quando dopo ventisei anni di navigazione parlamentare le navicelle che volevano raggiungere il porto sono naufragate inesorabilmente. Non credo si possa considerare soltanto desiderio di un effetto di immagine riflettere sul fatto che sono circa 35 mila i ragazzi che ogni anno escono dal sistema formativo dopo la scuola dell'obbligo ed altri 89 mila quelli che vengono bocciati dopo il primo anno successivo e non si reiscrivono, raggiungendo in totale la cifra di 120 mila ragazzi all'anno che si perdono rispetto ad una politica della formazione e dell'istruzione del nostro paese.
La spinta non viene, allora, da una volontà di immagine, ma soltanto da una riflessione che in quest'aula non è risuonata abbastanza: non ci si è domandati abbastanza perché l'Italia giunge ultima a questo traguardo. Ci si è lungamente crogiolati nel ricordare questo fatto e nel criticarlo, ma non nell'analizzarne lucidamente le cause: senza una riflessione su queste ultime, abbiamo corso il rischio che anche questa legislatura si chiudesse senza l'elevamento dell'obbligo. Le cause sono profonde, il conflitto che si è determinato a questo proposito su un tema sul quale, a parole, si è tutti d'accordo, sul quale esiste in teoria un consenso generalizzato, è segno di una radice profonda della difficoltà che esiste in questo paese, nella sua storia, nella sua ideologia, nei suoi contrasti teorici e culturali, ma anche in una ridda di microinteressi che sono sottesi a questi stessi contrasti teorici. Tali fattori hanno dato all'Italia questo risultato. Forse non è giusto dire (nell'intervento di un collega dell'opposizione ieri è stato ribadito, ed io concordo) che sia colpa della democrazia cristiana, perché c'è anche una corresponsabilità dell'intero Parlamento su questo argomento. La novità della discussione su questo argomento, a seguito dell'esistenza e del successo dell'Ulivo, registra proprio la capacità di rimuovere l'imputazione ad una sola forza politica dei motivi per i quali continuiamo a rappresentare il fanalino di coda dell'Europa, in materia di obbligo scolastico. Ecco perché oggi abbiamo voluto introdurre una novità culturale, teorica, propria di una diversa pedagogia, proprio sul tema dell'obbligo, che si riassume
Negli anni, nei decenni che ci precedono, è stata questa contrapposizione tra il doppio canale radicalmente inteso e la scolarizzazione con il biennio, unico allora, tout court, che ha impedito di raggiungere un risultato. Nei nostri progetti di legge, sia in quello sul riordino dei cicli scolastici, sia nel primo del Governo (di alcune settimane fa) per l'anticipo dell'obbligo, sia nella versione ultima che è all'esame di questa Camera, quella contrapposizione non c'è più, ed è questa la luce della speranza che alimenta il fatto che il rinvio di una settimana virtuale (anche se essa significa un mese e mezzo, o qualcosa del genere, per il voto finale) possa effettivamente non impedire che questa Camera licenzi dopo decenni un provvedimento di questo rilievo.
Dunque, siamo di fronte ad una maggioranza - lo ha detto con passione l'onorevole Sbarbati - che vede rappresentati al suo interno questi due filoni culturali (e qualche altra cosa ancora) che sono stati alla radice di una difficoltà di risultato nel passato; la maggioranza rappresenta questa naturale dialettica e questo, anch'esso naturale, continuo tentativo di composizione di un conflitto antico, che noi registriamo umilmente ma razionalmente, realisticamente, perché questa è la maggioranza che regge questo Governo, e non possiamo non tenerne conto. Non possiamo rimuovere questo problema, né considerarlo un peccato originale, perché questo è il dato realistico della nostra espressione del sistema politico. Ebbene, cosa c'è di male se questa maggioranza si cimenta nel tentativo di una sintesi per trovare una soluzione a problemi che le divisioni del passato non hanno consentito di risolvere? E se questo ha determinato un mutamento in itinere del testo, anche qui, cosa c'è di male? Dove sta la confusione nello sforzo di elaborazione che in sede parlamentare, dopo l'iniziativa del Governo, si è tentato per raggiungere una composizione di queste culture, prima ancora che composizioni politiche diverse?
È la prima volta che un testo presentato dal Governo è stato rivisto profondamente in Parlamento...
Ebbene, cosa c'è di male, quindi, nel fatto che il nostro Parlamento emenda costantemente e praticamente non licenzia mai un testo presentato dal Governo nella sua integrità originaria? Ed abbiamo visto - lasciatemi citare soltanto il caso dei concorsi universitari - come questa azione di modifica abbia prodotto risultati migliori della stessa iniziativa legislativa del Governo. Quindi, perché voler sostenere contemporaneamente il rischio di una permanente delega al Governo e poi la denigrazione del fatto che in quest'aula si lavora per modificare e per comporre testi presentati inizialmente dal Governo?
Perché ricordare le difficoltà, l'urgenza, la trattativa interna? Si tratta di una materia difficile, che ha dietro di sé soltanto insuccessi parlamentari, e noi avevamo l'obbligo, incombeva su noi la necessità, di percorrere tutte le vie, di esperire tutti i tentativi, perché questo provvedimento giungesse in porto. Anche la discussione di ieri e la decisione che adotteremo oggi sono figlie di questa volontà di trovare un percorso parlamentare che non comporti il muro contro muro, che non cerchi di tendere la corda più di tanto, che non voglia imporre il volere della maggioranza nei confronti dell'opposizione. È vero, è stata detta una serie di cose che però riguardano solo il
Ebbene, a questo proposito, invece, noi abbiamo sentito da parte di alcune componenti del Parlamento, soprattutto dell'opposizione e di un'eccezione nella maggioranza, un ragionamento che guarda soltanto alla situazione statica della scuola, al passato, che non registra le novità normative e dinamiche che sono state introdotte nell'ordinamento scolastico italiano. Per esempio, si è continuato a parlare di biennio unico o di biennio diviso a metà fra materie fondamentali e materie opzionali. Ma tutto questo è ormai superato dalla nuova cultura della scuola dell'autonomia, da ciò che noi abbiamo introdotto in questi due anni nel dibattito scientifico, culturale, teorico, in materia scolastica, in materia pedagogica, anche nelle decisioni sull'ordinamento.
Si rimprovera il Governo della mancanza di un disegno organico. Voglio ancora una volta ribadire in quest'aula che qualunque ambizione organicistica che riguarda l'organicità dello strumento normativo e non l'organicità del disegno politico è stata una delle cause in base alle quali, nei 25-30 anni passati, questi disegni organici consegnati alle proposte di legge hanno arricchito l'archivio della Camera o del Senato, ma non la Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Hanno continuato ad essere voluminosi documenti, che hanno iniziato...
Continuo a ripetere che una visione organicistica che crede di risolvere in sede parlamentare una tecnica da testo unico ha finito per arricchire gli archivi della Camera e del Senato e non la collezione della Gazzetta Ufficiale; non ha portato a risultati.
Se noi oggi possiamo dire che sono sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica la norma sull'autonomia e i successivi regolamenti, uno dopo l'altro, che tappa per tappa stanno inesorabilmente arricchendo ormai il nostro disegno ordinamentale; se c'è una nuova legge sull'esame di Stato, che per 29 anni si è perseguita come obiettivo senza risultati; se ci sono nuove norme che riguardano la formazione universitaria degli insegnanti; se ci sono oggi norme che riguardano la statuizione dei diritti e dei doveri degli studenti; se ci sono norme che riguarderanno la professione docente affidate alla contrattazione in atto per il rinnovo del contratto di lavoro, questo significa che dentro quel mosaico il disegno c'è, emerge giorno dopo giorno. Ma noi abbiamo voluto seguire, in un Parlamento moderno e in una società moderna, itinerari e sedi normative differenziate, perché tutte possano giungere a un risultato, apparentemente parziale, ma inquadrabile nel disegno organico. Anche perché abbiamo «traguardato» il decollo a regime di questo nuovo sistema con il 2000 e quindi con una contemporaneità di effetti, pur anticipata da forme di sperimentazione all'interno dello stesso Governo.
Quindi, consentitemi ancora una volta di reagire negativamente all'idea che prima di fare la legge sulla maturità bisognava cominciare dalle fondamenta e rinviare quindi quella legge a cinque, sei, sette anni in là, senza averla e senza potere in questo modo registrare forme più serie di traguardo finale. Oppure che, prima ancora di elevare l'obbligo scolastico, bisognava riformare complessivamente l'universo del mondo scolastico e
Anche il rapporto fra elevamento dell'obbligo e riforma dei cicli è da noi inteso come elemento di stimolazione da parte del primo nei confronti del secondo. Se riusciamo a raggiungere un primo risultato, «sfilando» dalla tematica di discussione dei cicli scolastici un problema che è stato per trent'anni una delle cause determinanti dell'insuccesso della riforma della scuola secondaria superiore, se siamo sicuri che la discussione sui cicli sarà depurata da questa difficoltà - insormontabile nel passato -, ne consentiremo un iter più rapido, così come è stato invocato da tutte le parti politiche, in tutti gli interventi nella discussione sulle linee generali. Voglio interpretarlo come un auspicio che il Parlamento, e la Camera in primis, sapranno trarre tutte le conseguenze in coerenza con questa affermazione di urgenza politica: mi auguro che il prossimo autunno sia per la Camera l'occasione per licenziare anche quel disegno di legge. D'altra parte ciò è stato rivendicato da tutti. Non vorrei che la rivendicazione della pura esigenza, a fronte di profonde divisioni nella strumentazione del provvedimento, diventasse ragione di ulteriore impotenza.
Ma se si afferma l'urgenza di un provvedimento e la validità del suo impianto generale, occorrerà che ogni gruppo abbandoni una parte della propria verità e consegni a questo momento di lavoro collegiale ed all'ambizione del risultato una disponibilità più umile, perché queste affermazioni di principio siano seguite dalla capacità di produrre norme, di pubblicarle sulla Gazzetta Ufficiale, senza continuare soltanto a consegnarle agli archivi del Parlamento.
Il provvedimento non è inutile o di facciata. Queste norme - nella loro essenzialità - non costituiscono una legge-manifesto o una proclamazione di principio, ma hanno esse stesse (volute nella forma della legge, portatrici di una intrinsecità di valore giuridico) una grande carica innovativa, anche se non è stata toccata l'architettura dei cicli scolastici, rinviata ad altro provvedimento. Lo stesso intreccio tra un inizio novennale e la successiva applicazione decennale rientra nella cultura della progressività e della gradualità. Non mi sembra possa essere considerato - come è stato presentato pubblicamente - soltanto come un fatto di compromesso.
Quando nel primo comma dell'articolo 1 si parla dell'obbligo di istruzione e di formazione fino al diciottesimo anno di età, si afferma una novità culturale ed istituzionale della scuola che non era mai stata prospettata neanche nei provvedimenti presentati nel passato.
Si prevede che alla fine del percorso i giovani possano acquisire un diploma di scuola secondaria o una qualifica professionale: è chiaro che dopo il quindicesimo o sedicesimo anno di età (a seconda di quando decorre la decennalità dell'obbligo, che pure in questo provvedimento resta impregiudicata) abbiamo qui l'affermazione del doppio canale, che invece è considerata da tutti qualcosa di acquisito. Una questione importante, perché in una lontana stagione la riforma della secondaria si era arenata nelle secche dell'idea dell'unicità dell'intera secondaria fino al diciottesimo anno di età. Forse ci siamo dimenticati che questo era il punto di partenza per taluni. Oggi questa nuova acquisizione appartiene alla cultura non solo della maggioranza, ma credo ormai dell'intero Parlamento. Non possiamo e non dobbiamo sottovalutarla, perché rappresenta un progresso in tema scientifico, culturale e teorico - oltre che di concreta politica scolastica - nei vari settori del Parlamento: idee nuove che sono il frutto di una convergenza che forse non era possibile nelle passate stagioni (della radicale contrapposizione di maggioranza ed opposizione in tema culturale). Non può
Nello stesso provvedimento, come è stato detto, il richiamo alle legge n. 112 ed alla legge n. 196, la programmazione dell'offerta formativa, il diritto alla frequenza di iniziative formative ed al conseguimento di una qualifica professionale dopo l'obbligo costituiscono ulteriori novità.
L'Italia è il paese che fino a ieri ha fatto dei nostri ragazzi che non conseguono un titolo di studio dei giovani disarmati nei confronti della domanda di lavoro, perché non dotati di quella certificazione che costituisce in altri paesi un elemento di arricchimento e di tutela dell'avventura lavorativa delle giovani generazioni.
Oggi prevediamo che da subito, appena approvata la legge, in tema di formazione professionale scatti un meccanismo di arricchimento che imponga alle regioni e quindi al sistema della formazione professionale l'obbligo di dotare i ragazzi che hanno superato l'obbligo previsto da questo disegno di legge di quel tipo di preparazione e di certificazioni oggi assente. È un'altra forma di collegamento tra scuola e formazione, è un altro elemento della politica dell'integrazione.
Avete sottovalutato - non l'ho sentito ricordare se non nel corso di qualche intervento della maggioranza - il fatto che in questo disegno di legge si parla nuovamente di «iniziative di orientamento al fine di combattere la dispersione, di garantire il diritto all'istruzione e alla formazione, di consentire agli alunni le scelte più confacenti alla propria professionalità e al proprio progetto di vita». Affermiamo nuovamente, per la prima volta nel nostro ordinamento, un processo di individualizzazione dell'insegnamento, ma anche la scelta da parte degli studenti di percorsi che sono parzialmente individuali. È questa veramente la leva più grande della flessibilità dell'impianto culturale ed educativo, che costituisce un elemento di novità in una scuola rigida, eterodiretta, in cui sono fissati tutti i percorsi da parte del superiore ministero, dei programmi ministeriali, i quali oggi, dopo la legge n. 59 del 1997, appartengono al passato, non costituiscono più l'ordinamento vigente.
Ricordo un'altra norma, il passaggio dell'alunno dall'uno all'altro degli specifici indirizzi della scuola secondaria superiore: questo principio è una rivoluzione! Oggi il passaggio dall'istituto tecnico al liceo, o viceversa, non è possibile; chi vuole compiere tale passaggio deve ricominciare daccapo. È la barriera più elevata alla mobilità studentesca, è la forma ordinamentale della selezione sociale più dura di questo paese (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo)! Abbiamo affermato un principio entrando nel merito della riorganizzazione dei programmi...
Tutto questo è possibile, onorevoli colleghi, perché questo Parlamento procede secondo la linea del mosaico, attraverso l'acquisizione di un pezzo dopo un altro, il raggiungimento di una tappa dopo l'altra da parte di chi camminando compie un passo dopo l'altro, non salti acrobatici
Con questo tipo di linea abbiamo dato alla scuola la norma sull'autonomia; nei discorsi dell'opposizione questo concetto è assente; o è rimosso o non è considerato in tutta la sua pregnanza.
È stato chiesto in un intervento: sarà una scuola primaria o una scuola secondaria? È l'inizio della secondaria! Anche qui c'è la novità. Noi abbiamo abbandonato l'idea di creare una soluzione appendicolare nella scuola media dell'elevamento dell'obbligo, che è stata una caratteristica del dibattito del passato ed abbiamo conservato una pluralità di indirizzi nella secondaria, persino una sua unitarietà. È qui la nostra novità: una unitarietà della secondaria! L'obbligo dunque non è un fatto poliziesco, o dei carabinieri - nessuno di noi ha mai pensato questo - ma è la creazione all'interno di quel percorso delle possibilità per ciascun ragazzo di ritrovare se stesso, e di provocare una nuova motivazione scolastica anche in coloro che avrebbero avuto la tendenza ad uscire definitivamente dal sistema per seguire la formazione professionale.
Quindi non un anno di parcheggio, ma un anno utile! Sono d'accordo con l'onorevole Dalla Chiesa: affrontiamo in modo più sistematico il problema della dispersione. Ma quest'ultimo problema ha una caratterizzazione sociale elevata nella materia dell'obbligo attuale, ha invece una caratterizzazione culturale e sociale ancora più profonda nel biennio. Anche a seguito di questo provvedimento potremo essere nelle condizioni, in sede di Commissione parlamentare e anche in sede di commissione di studio e di lavoro ministeriale, di andare avanti.
Come si fa a dire che la formazione professionale esce umiliata, come è stato sostenuto in quest'aula? Questa è una posizione che non guarda la realtà perché per la prima volta noi oggi stiamo dicendo, anche dall'osservatorio scolastico e non soltanto da quello del Ministero del lavoro, che la formazione professionale grazie a provvedimenti di questo tipo e al resto delle iniziative del Governo e delle regioni può oggi essere presa di petto come una delle gravi carenze. L'obbligo formativo a diciotto anni e la politica dell'integrazione rappresentano certamente la strada che noi vogliamo percorrere.
Onorevoli colleghi, sono consapevole che, quando si tratta di comporre difficoltà all'interno di una maggioranza o di uno schieramento politico, le soluzioni hanno anche un elemento di compromesso. Ci si era già attestati nella speranza che i dieci anni di obbligo fossero acquisiti. Illusione, immemori di quello che è accaduto in passato!
Lascia poi un po' la bocca amara il fatto che all'inizio questi dieci anni diventino nove.
Il provvedimento ha una grande valenza innovativa ma piace poco e ne sono consapevole. Piace poco all'opinione pubblica, perché si presenta come una delle difficoltà di questa maggioranza e l'opinione pubblica non ama queste difficoltà; avrebbe desiderato che questa maggioranza fosse in grado di dare pennellate infinitamente più fascinose.
Io sono a disposizione; sono qui soltanto per servizio.
La discussione può essere rinviata anche a settembre: è il destino di coloro che si occupano di scuola. In questo rinvio si può forse anche rischiare di perdere un anno, tuttavia se la logica parlamentare, la creazione di un clima più disteso, il superamento del muro contro muro possono agevolare, anche questa vittoria di Pirro potrà essere una delle condizioni che il Governo non ha alcuna volontà di ostacolare.
Non vogliamo il rischio di una discussione strozzata. In questo c'è un rammarico, ma noi, a settembre, mi auguro nella prima settimana di settembre, alla ripresa dei lavori parlamentari, potremo tranquillamente acquisire questo risultato che circa una trentina di anni di lavoro parlamentare non aveva acquisito. Pertanto non ci opponiamo, come Governo, a che la programmazione dei lavori della Camera tenga conto anche di questa esigenza di approfondire la discussione in questa sede. Si tratta del rinvio virtuale di una sola settimana, se si considera il mese di vacanza come qualcosa che non sta nel calendario dei lavori.
Onorevoli colleghi, sulla base delle dichiarazioni del ministro, ritengo di sospendere l'esame del provvedimento e di passare al punto all'ordine del giorno. Sarà la Conferenza dei presidenti di gruppo a stabilire quando dovrà essere iscritto nell'ordine del giorno dell'Assemblea il prosieguo dell'esame di questo provvedimento.
Pertanto, il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.