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PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Parenti n. 3-02659 (vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 8).
TIZIANA PARENTI. Signor Presidente, onorevole Veltroni, pochissimi giorni fa si è riaperta una pagina che si era chiusa, sembrava definitivamente, senza colpevoli ma anche senza alcuna risposta. Quella pagina si è riaperta proprio per l'intervento, sicuramente autorevole e legittimo, del Presidente della Repubblica, quale Presidente del Consiglio superiore della magistratura, il quale ha sottolineato, censurando anche in modo piuttosto duro non solo la costante divulgazione del segreto d'ufficio da parte delle procure, ma soprattutto l'episodio che vide notificato un avviso a comparire all'ex Presidente del Consiglio, onorevole Berlusconi, sottolineandone non solo la sconvenienza, ma la gravità del fatto, oltre alla sua assoluta intempestività.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Parenti.
VALTER VELTRONI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri e ministro per i beni culturali e ambientali. Onorevole Parenti, lei rievoca l'episodio dell'invito a presentarsi da parte della procura della Repubblica di Milano inviato all'onorevole Silvio Berlusconi mentre, quale presidente del Consiglio dei ministri, era impegnato a Napoli nella Conferenza internazionale sul crimine organizzato.
Berlusconi, sia pure informalmente, del contenuto dell'atto. Sin qui gli addebiti contestati dal ministro Mancuso.
PRESIDENTE. L'onorevole Parenti ha facoltà di replicare.
TIZIANA PARENTI. Onorevole Veltroni, credo che la sua sia una delle più insoddisfacenti - per limitarmi a questo aggettivo - risposte che potesse dare. Si può anche pensare di chiudere certe pagine senza colpevoli e senza risposte, ma quelle pagine si riaprono costantemente con un acuirsi di conflitti istituzionali, dei quali risentono soprattutto i cittadini.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata all'ordine del giorno.
L'onorevole Parenti ha facoltà di illustrarla.
È apparso a tutti, e soprattutto all'opinione pubblica, l'attacco virulento che è stato rivolto dal senatore Di Pietro, che probabilmente parlava per bocca dello stesso procuratore della Repubblica, che si è trincerato a mio avviso dietro un colpevole silenzio, avendo a disposizione tutte le reti televisive per aggredire il Presidente della Repubblica.
Il Vicepresidente del Consiglio dei ministri ha facoltà di rispondere.
Come è noto, l'invito fu comunicato all'onorevole Berlusconi a Napoli nella serata del 21 novembre e formalmente notificato allo stesso il 22 novembre 1994, alle ore 14, a Roma, negli uffici della Presidenza del Consiglio, dopo che la notizia era stata già diffusa dal Corriere della Sera di quello stesso giorno.
L'episodio è stato oggetto di inchiesta disposta dall'onorevole Filippo Mancuso, allora ministro di grazia e giustizia, nel corso della quale furono sentiti sia il procuratore della Repubblica Borrelli, sia gli ufficiali dei carabinieri incaricati della notifica dell'atto. Il medesimo ministro il 17 ottobre 1995 promosse l'azione disciplinare nei confronti del dottor Francesco Saverio Borrelli. A quest'ultimo vennero contestati dal ministro Mancuso i seguenti addebiti. Primo: la violazione delle norme processuali che impongono l'obbligo del segreto per aver rivelato al generale dei carabinieri Bozzo, nella mattina del 21 novembre 1994, che era stato emesso invito a presentarsi, contestualmente consegnato, nei confronti dell'onorevole Silvio Berlusconi, nonostante il militare non rivestisse la qualità di ufficiale di polizia giudiziaria ed inoltre per aver rivelato la notizia dell'emissione dell'invito e della conseguente iscrizione nel registro degli indagati anche al Capo dello Stato; secondo: per non aver trasmesso tempestivamente alla procura della Repubblica di Brescia il procedimento penale instaurato per l'individuazione dei responsabili della fuga di notizie relative all'iscrizione nel registro degli indagati all'onorevole Berlusconi, nonostante le indagini potessero riguardare anche magistrati milanesi; terzo: per la violazione del dovere di leale collaborazione nel corso dell'inchiesta amministrativa, per aver affermato, contrariamente al vero, che prima della telefonata con il Capo dello Stato i carabinieri incaricati della notifica gli avevano comunicato di aver reso edotto l'onorevole
La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, su conforme richiesta del procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione, con sentenza del 19 luglio 1996, ha deliberato il non luogo a procedere nei confronti del dottor Borrelli, escludendo la sussistenza degli addebiti contestatigli e prima ricordati.
Dell'intera vicenda si è occupata anche l'autorità giudiziaria, che ha disposto l'archiviazione del relativo procedimento penale, con provvedimento del giudice per le indagini preliminari di Brescia del 15 maggio 1996. Sia nella sentenza disciplinare che nel decreto del GIP è ricordato che il dottor Borrelli non violò le norme sul segreto investigativo, né quando informò il generale dei carabinieri, né quando informò telefonicamente il Presidente della Repubblica, informazione quest'ultima intervenuta, secondo le dichiarazioni ripetutamente rese dallo stesso dottor Borrelli e fatte proprie dalle successive decisioni, nella serata del 21 novembre 1994, cioè ben dopo che l'atto era stato consegnato ai carabinieri per la notifica e, sempre stando alle dichiarazioni del dottor Borrelli, dopo che l'onorevole Berlusconi era stato informato telefonicamente dagli ufficiali dei carabinieri addetti alla notifica in ordine al contenuto dell'atto.
Il Governo rileva quindi che tutti i profili della vicenda evocata dall'interrogazione sono stati già affrontati nelle sedi competenti, né da episodi recenti sono emersi elementi di novità tali da giustificare ulteriori attività, neppure con riferimento alla posizione del dottor Borrelli, già esaminata con carattere di definitività in sede penale e disciplinare.
Lei ci ha recitato una filastrocca secondo cui tutto era normale: era normale avvisare persone estranee e, a quello che è dato capire, era normale avvisare anche il giornalista. Questo è il vero problema. Che sia stato avvisato il Capo dello Stato lui stesso non lo smentisce; certamente non sappiamo quando, perché, né in che termini, mentre credo che sarebbe stato necessario saperlo, così come sarebbe stato necessario ed anzi obbligatorio sapere chi ha dato la notizia alla stampa e come mai viene resa ad un Presidente del Consiglio comunicazione telefonica dei capi di imputazione. Credo che ciò non sia mai accaduto e se è avvenuto è perché ormai la notizia era stata data.
Se non arriviamo neanche alla constatazione dei più elementari dati di fatto, che sono sotto gli occhi di tutti e che traspaiono anche dalle sue stesse parole, continueremo ad avere questi scoppi improvvisi, da una parte e dall'altra, questo lancio di accuse - queste sì ricattatorie - e tutto poi viene inghiottito dal silenzio. Si tratta però di un silenzio che fa talmente rumore che sempre si apre ed apre a nuovi temporali.
È vero che talvolta è necessario mentire, ma farlo sempre, onorevole Veltroni, mentire da parte del suo Governo ed anche del ministro di grazia e giustizia credo sia veramente eccessivo. Non possiamo dimenticare che l'onorevole Mancuso, allora ministro di grazia e giustizia, fu defenestrato da voi stessi per aver cercato di avere anche questa risposta ed essa sarà un altro giallo - nero nella sostanza - della storia della nostra Repubblica (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Sospendo brevemente la seduta.