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PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
ALBERTO ACIERNO. Lo sostituisco io, signor Presidente.
PRESIDENTE. Il collega Acierno lo sostituisce degnamente.
ALBERTO ACIERNO. Grazie per il «degnamente», signor Presidente: spero di riuscirvi.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Li Calzi, che ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto: si intende che vi abbia rinunziato.
CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, voterò a favore della mozione che ho sottoscritto, anche se mi sembra di capire che non avrà molta fortuna in quest'aula.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rizzi. Ne ha facoltà.
CESARE RIZZI. Noi della lega nord non possiamo non condividere la mozione in questione, perché al momento in cui fu
PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Marino e Carotti, che hanno chiesto di parlare per dichiarazione di voto: s'intende che vi abbiano rinunziato.
TIZIANA MAIOLO. Signor Presidente, il mio intervento durerà due minuti, il tempo necessario, di fronte al palese totale disinteresse di questo Parlamento (e non alludo solo alla sua maggioranza) nei confronti delle decisioni che siamo chiamati a prendere questa mattina, per dire soltanto due parole, anche perché ne ho già dette tante in discussione generale ed in altre occasioni. Siamo di fronte a gruppi di fuoco di quella che considero la nuova mafia, composta da pentiti assassini e da sedicenti collaboranti dell'antimafia: questi soggetti hanno ucciso, hanno finto di pentirsi, noi li paghiamo e loro sono tornati ad uccidere.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sgarbi. Ne ha facoltà.
VITTORIO SGARBI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, dispiace vedere che per un dibattito che è fuori tempo rispetto ai calendari della cronaca, ma è avanti nel tempo rispetto alla storia, ci sia un'attenzione consapevole della maggioranza e ci sia una distrazione colpevole della opposizione, in seno alla quale l'onorevole Maiolo ha inteso rappresentare una condizione di contraddizione profonda, che non è nella sua mente, ma è nelle cose.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mancuso. Ne ha facoltà.
FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, signori deputati, non riesco a prescindere dal rapporto personale, neanche quando il tema sia politico, e perciò mi dispiace di trovarmi di fronte la degna persona del professor Mirone nel momento in cui mi accingo a censurare il comportamento del Ministero della giustizia o quel che rimane di questo concetto nella sua attuale azione, proprio con riferimento alla materia di questa mozione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto a titolo personale l'onorevole Parenti, alla quale ricordo che ha cinque minuti di tempo. Ne ha facoltà.
TIZIANA PARENTI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, dopo l'entusiasmo suscitato dalle parole dell'onorevole Mancuso, vorrei parafrasare una frase più celebre che faceva riferimento alla religione. Oggi, facendo riferimento all'antimafia, che è diventata una religione, si potrebbe dire: antimafia quanti crimini possono essere commessi in tuo nome!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, per cinque minuti, l'onorevole Taradash, che inviterei a rispettare i tempi. Capisco che l'argomento e la sopravvenuta attenzione che lo stesso sta ricevendo siano tali da suggerire dei margini di tolleranza, però reputo opportuno rispettare i tempi.
MARCO TARADASH. Signor Presidente, in un paese in cui per lunga tradizione autoritaria, di regime o di partitocrazia, la giustizia si serve di questure, di polizia giudiziaria, di servizi segreti abituati a fabbricare prove e testimonianze false, l'avvento dei pentiti nella lotta tradizionale alla mafia ha dato la possibilità di utilizzare uno strumento - che prima richiedeva una certa alacrità, una certa strategia e comportava anche qualche rischio penale - senza impegni o rischi.
PRESIDENTE. Onorevole Taradash, la prego di concludere.
MARCO TARADASH. Concludo, Presidente. Dicevo che solo attraverso l'opera di ciascuno la mafia potrà essere combattuta e vinta. Nell'attuale situazione quest'Italia, questo Parlamento, queste istituzioni non sono in grado di compiere evidentemente neppure l'atto minimale di approvare una mozione in cui si chiede di impedire ai pentiti di continuare ad uccidere (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)!
PRESIDENTE. Colleghi, l'argomento in discussione, come potete immaginare, è molto importante anche a mio avviso, ma non mettetemi in condizione di fare parzialità costringendomi o ad astenermi dall'intervenire o ad intervenire spiacevolmente per poi magari rimanere inascoltato.
ANGELA NAPOLI. Signor Presidente, signor sottosegretario Mirone, onorevoli colleghi, ho chiesto di intervenire a nome del gruppo di alleanza nazionale su questa mozione non solo e non tanto perché a suo tempo l'ho sottoscritta, non solo e non tanto per il contenuto della stessa, quanto piuttosto per rivolgere a tutta l'Assemblea e al rappresentante del dicastero di grazia e giustizia un appello che nasce da una componente della Commissione antimafia ma anche da una persona che crede realmente nella lotta alla mafia.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Guidi, al quale ricordo che ha a disposizione cinque minuti. Ne ha facoltà.
ANTONIO GUIDI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, è difficile mantenere il tono pacato e non addirittura emozionato quando si parla di mafia, questo mostro terribile che attanaglia purtroppo non solo il sud ma tutta l'Italia, fuori dell'Italia e anche le nostre coscienze. Un'organizzazione che ha messo le mani su tutto, dallo Stato ai bambini, come ho più volte denunciato, spesso deriso; dallo Stato, l'organismo più alto del nostro paese, ai più piccoli, i nostri figli e quelli che non vedremo mai.
ANTONIO GUIDI. Colleghi, credo ed ho sempre creduto che, al di là dello schieramento politico - la mia non è faciloneria o sentimentalismo - esistono le nostre coscienze. Non so se questi personaggi incoscienti, su cui pesano decine e centinaia di morti, di sofferenze e di ricatti possono essere attendibili dal punto di vista umano, civile, ma anche psichiatrico.
PRESIDENTE. Onorevole Guidi, deve concludere.
ANTONIO GUIDI. ... ma di tutta l'Assemblea.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Matacena. Ne ha facoltà.
AMEDEO MATACENA. Signor Presidente, credo che ci troviamo veramente in una fase di allucinazione, se non si vuole votare a favore di questa mozione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, mi consenta di osservare in primo luogo che stiamo dibattendo la mozione Maiolo sulla complessa e delicata tematica del pentitismo in un momento in cui la Commissione parlamentare antimafia è in missione, per cui è assente la totalità dei deputati che sono maggiormente interessati a queste vicende e che avrebbero potuto dare i contributi più importanti nella discussione della mozione in esame.
GIACOMO GARRA. È essenziale il ruolo della magistratura, non quello dei pentiti!
FRANCESCO BONITO. Presidente, ho ascoltato insulti e strilli ma non ho interrotto; vorrei poter dire quello che penso!
PRESIDENTE. Prosegua pure, onorevole Bonito.
TIZIANA MAIOLO. Ma l'hai letta la mozione? Leggila!
FRANCESCO BONITO. Collega Maiolo, ho letto la mozione ma ho anche ascoltato il significato profondo che ad essa danno i tuoi colleghi. Ebbene, votando la tua mozione io avallerei quello che è stato detto da tutti i tuoi colleghi.
TIZIANA MAIOLO. Ma devi sempre fare le dietrologie!
FRANCESCO BONITO. Dicevo che siamo qui in una sede parlamentare e non possiamo evocare episodi singoli per poi dedurre dall'episodio singolo una critica serrata, feroce, totale a ciò che stiamo valutando (Commenti del deputato Matacena). Rispetto a questo caso singolo, io voglio ricordare che nella lotta alla mafia sono stati raggiunti risultati straordinari in questi ultimi anni e questo è stato reso possibile dalla gestione che è stata fatta dei pentiti, tra mille errori, tra mille contraddizioni, quello che si vuole. Ma se Di Maggio ha assassinato qualcuno - e per questo deve pagare e pesantemente - l'azione delle procure siciliane e di quella palermitana in particolare ha fatto sì che tanti e tanti innocenti oggi possano ancora vivere (Applausi dei deputati dei gruppi dei democratici di sinistra-l'Ulivo e dei popolari e democratici-l'Ulivo) e che non siano stati assassinati!
VITTORIO SGARBI. No, io non l'ho detto! Non l'ho detto! Mai! Vile! Sei un vile! Non l'ho detto! Vile!
FRANCESCO BONITO. ...nelle trasmissioni televisive - e lo fa a pagamento - e lo fa anche in quest'aula.
VITTORIO SGARBI. Non l'ho detto! Bugiardo, bugiardo! Non l'ho detto, non l'ho detto! Non l'ho detto!
PRESIDENTE. Onorevole Sgarbi!
FRANCESCO BONITO. E noi interveniamo per dire invece che il giudice Caselli, per me - è la mia opinione - è un grande magistrato...
VITTORIO SGARBI. Non è un grande magistrato, ma non l'ho detto! Bugiardo! Bugiardo!
FRANCESCO BONITO. È un grande magistrato che ha servito il paese e lo sta facendo da anni (Applausi dei deputati del gruppo dei democratici di sinistra-l'Ulivo)!
VITTORIO SGARBI. Vile! Vile!
PRESIDENTE. Onorevole Sgarbi!
FRANCESCO BONITO. E lo sta facendo rischiando quotidianamente la vita.
VITTORIO SGARBI. Bugiardo, bugiardo! Chiedo il giurì d'onore! Sei vile!
FRANCESCO BONITO. Io non sono vile, mentre vile è chi si trincera dietro l'articolo 68 per insultare quotidianamente e farla franca. Lì c'è la viltà, lì c'è la vigliaccheria (Applausi dei deputati del gruppo dei democratici di sinistra-l'Ulivo)!
TIZIANA MAIOLO. Voi difendete gli assassini!
VITTORIO SGARBI. Vile! Vile!
PRESIDENTE. Onorevole Sgarbi, la prego, faccia silenzio!
FRANCESCO BONITO. Io sono stato un giudice, Presidente, così come giudice è stato, per esempio, il presidente Mancuso, con cui ho avuto il piacere e l'onore di lavorare, giacché il presidente Mancuso è stato un grande magistrato e da lui come giudice ho imparato molto.
ALBERTO DI LUCA. Non confondere il sacro con il profano!
SABATINO ARACU. Corrotto!
TIZIANA MAIOLO. È per questo che lo avete cecchinato, lo avete assassinato!
FRANCESCO BONITO. Devo dire che sto imparando assai meno nella funzione parlamentare. Ma quando il giudice Bonito e il giudice Mancuso facevano i giudici, erano magistrati che lavoravano nel proprio studio, nella ricerca, scrivendo sentenze.
SABATINO ARACU. Prendeva le mazzette!
EUGENIO DUCA. Le mazzette le prendi tu! Ladro! Ha dato del corrotto a un collega!
PRESIDENTE. Onorevole Duca, per favore!
FRANCESCO BONITO. Eravamo magistrati che avevano un lavoro comodo, per te i giudici sono ...
PAOLO BECCHETTI. Buffone!
FRANCESCO BONITO. ... fanno un lavoro comodo ...
PRESIDENTE. Onorevole Di Stasi, onorevole Duca, vi prego! Ho chiesto all'onorevole Sgarbi di tacere e lo chiedo anche a voi. L'unico che ha diritto di parlare è l'onorevole Bonito. Prosegua, onorevole Bonito.
FRANCESCO BONITO. Ebbene, quando il giudice Bonito e il giudice Mancuso comodamente sedevano alle loro scrivanie facendo ottimamente il loro lavoro, c'erano invece magistrati che rischiavano la pelle. Quei magistrati che rischiavano la pelle oggi vengono accusati, censurati, criticati - e questo può anche essere legittimo - ma spesso vengono anche insultati e questo non è né legittimo né corretto.
GIOVANNI FILOCAMO. Lesa maestà!
FRANCESCO BONITO. In prima fila tra i magistrati insultati quotidianamente ci sono quelli della procura di Palermo, ai quali qui rinnoviamo la nostra stima, la nostra considerazione e la nostra fiducia.
VITTORIO SGARBI. Viva Musotto! Vittima vostra!
PRESIDENTE. Onorevole Sgarbi, lei non ha diritto di parlare!
FRANCESCO BONITO. Noi siamo lieti che l'avvocato Musotto sia stato assolto, perché questa è la prova che le regole della giurisdizione funzionano (Applausi dei deputati dei gruppi dei democratici di sinistra-l'Ulivo e dei popolari e democratici-l'Ulivo)!
VITTORIO SGARBI. Ma non per Caselli, che l'ha tenuto in carcere!
FRANCESCO BONITO. C'è chi accusa e c'è chi giudica. Peccato però che quando chi giudica condanna, in questo caso, in questa circostanza, non sia più un buon giudice. Il giudice buono è solo quello che assolve, non quello che condanna.
TIZIANA MAIOLO. È stato in galera Musotto!
FRANCESCO BONITO. Né mi stupisco di questo, posto che ormai l'attacco a chi giudica è un attacco cosmico, va dal Manzanarre al Reno, dalle Alpi alle Piramidi, da Madrid alla Svizzera! Ormai tutti i giudici sono corrotti, tutti i giudici fanno male il proprio lavoro.
TIZIANA MAIOLO. Andateci un po' voi in galera!
FRANCESCO BONITO. Mi rendo conto che sono uscito fuori tema, ma l'ho fatto anche perché discutendo di questa mozione voi siete usciti fuori tema: qui abbiamo dovuto ascoltare l'onorevole Matacena che ha parlato dei suoi processi, l'onorevole Giovanardi che ha parlato di un processo in corso: un caso esemplare di correttezza istituzionale... (Commenti del deputato Giovanardi). L'istanza politica riporta in quest'aula i processi in corso e li celebra, ovviamente al di là di ogni contraddittorio, secondo le regole giurisdizionali care evidentemente ad una certa parte; non è presente l'accusato, ma c'è l'accusatore e c'è il giudice!
AMEDEO MATACENA. Hanno minacciato un deputato!
FRANCESCO BONITO. Noi abbiamo rispetto della giurisdizione e delle regole del processo.
GIOVANNI FILOCAMO. E si vede come ti occupi bene!
FRANCESCO BONITO. Se ne occupano e l'hanno fatto anche ad un costo personale.
TIZIANA MAIOLO. Divide et impera!
FRANCESCO BONITO. Il collega della lega ha messo in evidenza questioni reali, vere, sulle quali concordiamo totalmente. Rispetto ad esse daremo il nostro contributo all'esame parlamentare già in atto al Senato, sulla nuova legislazione antimafia.
MARCO TARADASH. È solo settarismo!
PRESIDENTE. Onorevole Taradash!
FRANCESCO BONITO. Osserviamo, peraltro...
MARCO TARADASH. Siete settari!
PRESIDENTE. Onorevole Taradash, deve tacere!
TIZIANA MAIOLO. State con gli assassini, state con loro, siete uguali!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi! Onorevole Maiolo!
FRANCESCO BONITO. Con gli insulti e gli strilli si cerca di impedire pesantemente di parlare. Viene pesantemente impedito dai soliti volti noti (Applausi dei deputati del gruppo dei democratici di sinistra-l'Ulivo).
TIZIANA MAIOLO. Assassini!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Furio Colombo. Ne ha facoltà. Ha a disposizione cinque minuti, onorevole Colombo.
FURIO COLOMBO. Signor Presidente, prima dell'intervento dell'onorevole Bonito - con il quale mi sembra si possa convenire - ho sentito in quest'aula tre affermazioni condivisibili.
GIOVANNI FILOCAMO. Peggio!
FURIO COLOMBO. Una frase come questa va respinta dalla nostra parte con tutte le forze. Noi siamo sicuri di respingerla dal punto di vista di tutti i cittadini, certo di coloro che ci hanno eletti.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armando Veneto, che ha a sua disposizione dieci minuti. Ne ha facoltà.
ARMANDO VENETO. Signor Presidente, onorevoli deputati, non ho titolo per esprimere giudizi su quanto è accaduto stamane in aula, ma certamente credo di averne per interpretare gli avvenimenti e per dirigere le mie determinazioni anche in funzione degli avvenimenti che si sono verificati, questo essendo un problema che investe temi non solo politici ma di cultura complessiva del nostro paese e quindi temi che riguardano le persone, prima ancora che gli schieramenti politici.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.
MARIO TASSONE. Signor Presidente, stamane ritenevo che ci potesse essere da parte del Governo un ruolo più attivo e che si evitasse questo confronto, molte volte anomalo, che abbiamo dovuto registrare in quest'aula. Credo che l'argomento meriti l'attenzione del Parlamento e del Governo. Non ritengo che le vittime oggi siano i giudici od altri; le vittime sono intere popolazioni, interi territori del nostro paese.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, desidero ragguagliarvi brevemente sulla situazione.
ALFREDO BIONDI. Signor Presidente, intervengo a titolo personale perché questo deve essere il senso di una partecipazione responsabile e serena - quale ritengo di poter dire sarà la mia - a questa discussione su una mozione che è quel che è, che dice quel che dice, che esprime esigenze che sono state raccolte indipendentemente dalle posizioni politiche che ciascuno di noi ha.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Piscitello, che prego di contenere in tre minuti il suo intervento. Ne ha facoltà.
RINO PISCITELLO. Senz'altro, Presidente.
TIZIANA MAIOLO. Tu sei della prima Repubblica! La prima Repubblica te la tieni per te!
RINO PISCITELLO. Anche perché - lasciatemelo dire, colleghi - quando si discute una mozione, si portano le proprie truppe in aula per votarla; quando invece si vuole fare confusione, il voto diventa marginale, se è vero quello che ricavo dalle presenze in quest'aula.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Fei, la quale dispone di tre minuti. Ne ha facoltà.
SANDRA FEI. Non avevo nessuna intenzione di intervenire in questo dibattito, ma mi sento veramente indignata per il tono e per gli argomenti che si sono svolti in questo ramo del Parlamento a proposito della mozione Maiolo. Trovo che siamo arrivati a svolgere una discussione ad un livello davvero molto becero. Devo dire che questo dibattito mi ha fatto ricordare mio zio, che molti di voi ricorderanno: il senatore, nonché professore, Luigi Carraro, che è stato colui il quale per primo in Parlamento si è battuto per la Commissione antimafia e che in prima linea molte volte, in tempi ancora ben lontani, si era battuto per far capire a tutti il problema della mafia e l'importanza della lotta antimafia. Ricordando lui, le sue battaglie, le cose che sosteneva e che ha divulgato nel nostro paese per far sentire a tutti con forza questa battaglia, ritengo che siano inaccettabili le affermazioni che abbiamo sentito in questo ramo del Parlamento da parte del Governo e della maggioranza. Sono state inoltre inaccettabili le affermazioni del collega Bonito, che ha usato parole demagogiche e non certo di coscienza, il quale ha sostenuto che secondo l'opposizione un giudice buono sarebbe soltanto un giudice che assolve.
ERNESTO STAJANO. Non dire fesserie che io Di Maggio lo conoscevo!
SANDRA FEI. Penso che negando il voto a favore di questa mozione, la maggioranza ed il suo Governo segnerebbero oggi un capitolo triste nella storia del nostro paese. Non è certo questo il finale di un'autentica lotta alla mafia a cui mio zio aveva pensato e non sono questo un
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Matteoli. Ne ha facoltà.
ALTERO MATTEOLI. Signor Presidente, la ringrazio per avermi dato la parola.
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto. Passiamo ai voti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carmelo Carrara. Ne ha facoltà.
La mozione Maiolo, che noi abbiamo condiviso in quasi tutte le sue parti, vuole senz'altro essere uno stimolo all'attività legislativa di questa XIII legislatura della seconda Repubblica.
Noi ben sappiamo che la lotta alla mafia ed alla criminalità organizzata deve restare uno dei punti fondamentali della politica del paese. Tuttavia, in questi anni, a fronte dei grandi successi che sono stati ottenuti nella lotta alla criminalità organizzata, abbiamo assistito purtroppo troppo spesso a dei fallimenti, in quanto è completamente mancata quella parte che è propria dell'indagine e del riscontro oggettivo del reato; ed abbiamo visto troppe persone finite in carcere con l'accusa infamante di appartenere all'organizzazione Cosa nostra per poi, dopo sei mesi, un anno o due, essere rilasciati perché non avevano commesso alcun reato.
Voglio ricordare in questa sede un caso sicuramente eclatante come quello del presidente della provincia di Palermo, avvocato Francesco Musotto, che fu prelevato da presidente della provincia in carica perché un pentito affermava che egli era colluso e connivente con la mafia. Il presidente Musotto è stato in carcere; è stato processato ed è stato assolto perché non aveva commesso quel reato! Questo fatto deve farci riflettere perché nessuno di noi è contro l'utilizzazione del pentito; anzi, ricordo quando Giovanni Falcone convinse Buscetta a pentirsi e da quel momento sicuramente la lotta alla mafia cominciò a produrre dei risultati importantissimi, non tanto sulla qualità degli arresti quanto nella scoperta del vero meccanismo della mafia e del suo operare sul territorio nazionale ed extranazionale. Stiamo però vivendo oggi una stagione preoccupante, perché troppo spesso vediamo assurgere alle cronache dei mezzi di informazione ignoti procuratori per le dichiarazioni di due delinquenti. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il pentito non è mai una persona perbene, ma è sempre un delinquente posto davanti ad una scelta: vivere il resto dei suoi giorni da delinquente, pagando quindi le sue colpe nel carcere, oppure pentendosi, spesso e volentieri, tornare ad essere uomo libero.
Quello che noi ci auguriamo e auspichiamo per il paese è che si possa, in tempi brevi, rivedere la legislazione sul pentitismo, ma soprattutto che si ritorni alle indagini e all'oggettività del reato per far sì che vadano in galera soltanto colpevoli e non innocenti (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDR e di alleanza nazionale).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.
Vorrei richiamare un argomento al quale ho fatto riferimento altre volte. Purtroppo al momento di grande tensione e di grande unità tra le forze politiche che si era registrato in quest'aula nel 1992-1993, negli anni dell'attacco mafioso con gli omicidi di Falcone e Borsellino, quando vi erano stati anche uno scatto d'orgoglio della classe politica e la capacità di mettere in moto strumenti organizzativi e normativi per combattere la mafia, si è arrivati oggi ad una situazione del tutto diversa. Non solo, infatti, è venuta meno la tensione, ma è venuta meno anche l'unità di intenti nel combattere la mafia.
Mi spiace che ciò avvenga evidentemente per responsabilità della maggioranza, che in qualche modo sembra ritenere che la lotta alla criminalità organizzata sia questione che riguarda solo una parte del Parlamento e che davanti alle oggettive distorsioni del fenomeno dei
pentiti, della loro gestione e dei danni che rischiano di provocare alla lotta alla criminalità organizzata nel nostro paese, invece di accettare il dialogo si arrocca in posizioni pregiudiziali. Eppure, ai colleghi che sono interessati alla lotta contro la mafia credo non sfuggano i danni che una determinata gestione di contrasto al fenomeno sta provocando.
L'ho detto e lo ripeto: mi viene in mente Giulio Andreotti. Ma è mai possibile - lo diranno i libri di storia - che un personaggio sia ospite d'onore in Vaticano, interlocutore privilegiato di tutti i potenti della terra, consulente di tutti i Governi del mondo, sia oggi rispettato, parli al Senato e tutti religiosamente lo ascoltino, e contemporaneamente lo stesso personaggio sia dipinto dai pentiti come uno dei capi della mafia sostanzialmente da quattro anni sotto processo? La gente cosa deve pensare? O che la mafia è rispettabile, perché se Andreotti è mafioso viene rispettato, oppure che, come io penso, ci sono delle deviazioni, delle distorsioni, si è deragliato dalla volontà di lottare contro questo fenomeno.
Se poi i danni provocati dai mafiosi pentiti si moltiplicano perché va in galera il presidente della provincia, perché nelle ultime settimane improvvisamente anche Berlusconi, che fino a ieri era stato un grande imprenditore, diventa un altro terminale della mafia, l'opinione pubblica evidentemente è sconcertata. Il risultato finale che si sta provocando con questa politica e con l'appoggio ad essa è il venir meno alla radice della credibilità della lotta contro la criminalità organizzata. La gente, giustamente, non ha l'impressione ma addirittura la certezza, come comincio ad avere io, che parte delle energie vengono utilizzate non per combattere la mafia, per mettere in carcere i boss mafiosi, per contrastare l'illegalità, ma semplicemente per fare lotta politica.
Questo è il problema politico che vi sottopongo. Tutte le volte in cui si solleva questa questione, però, contrariamente al 1992, quando si cercava insieme di trovare rimedi alle patologie, si incontra sordità, non vi è alcuna disponibilità al dialogo, come se questi fenomeni non ci fossero, mentre esistono e, purtroppo, sono virulenti. Qualcuno mi dovrebbe spiegare allora, ad esempio, come in un paese civile, nel 1998, si sia ancora ad uno scontro parlamentare sul principio che se una bugia è una bugia, tre bugie messe insieme fanno una verità. Siamo ancora all'interno della logica che se un pentito dice una cosa assolutamente fuori della realtà, ma questa cosa stravagante viene ripetuta da altri due pentiti, le altre due bugie fanno da riscontro e fanno diventare verità la prima bugia.
Si dirà che ciò è aberrante e certo lo è, ma non si trova una maggioranza parlamentare che voglia rimuovere questa anomalia. Torno allora a ripetere la domanda politica: i colleghi dell'Ulivo, della sinistra, di rifondazione sono interessati a combattere la mafia, o ad utilizzare la lotta alla mafia come strumento di lotta politica?
Tutto quanto scritto nella mozione in esame è ragionevole; anzi, la prima parte di essa fotografa la realtà di fatti che, purtroppo, sono accaduti. La prima parte non andava bene? Si poteva rimaneggiarla, limarla, ma l'obiettivo della mozione è quello di rendere credibile ed incisiva la lotta alla criminalità organizzata. Ed allora, voterò con convinzione quella mozione, come ho sempre votato con convinzione, dal 1992 in poi, tutti i provvedimenti assunti in quest'aula che rendessero più incisiva la lotta contro la criminalità organizzata. Auspico anche che su questa posizione non ci siano solo i cristiano-democratici, il Polo e qualche altro collega che ha fatto con noi questa battaglia, ma che su questo discorso si ritrovi quell'unità del Parlamento che è la condizione per rendere efficace la lotta contro la criminalità organizzata.
varata la legislazione sui collaboratori di giustizia in Italia i pentiti erano pochissimi: questo giustifica in parte l'attuale inadeguatezza, che deriva dall'esigenza iniziale di favorire il fenomeno.
La discussione sulla mozione Maiolo, la quale trae origine da un episodio inquietante riguardante la vicenda Di Maggio, La Barbera e Di Matteo, fornisce l'occasione per riportare l'attenzione sulla tanto discussa legislazione in tema di collaboratori di giustizia e per far emergere alcuni rilievi critici.
Il fatto è che nel bel paese il pentitismo, da importante strumento giuridico di contrasto e di smantellamento delle strutture criminali mafiose è ben presto degenerato. Nel laboratorio politico-giuridico dell'Italia del 2000 la voce «pentito» indica ormai comunemente un soggetto mantenuto dallo Stato, totalmente irresponsabile, con familiari amici ed affini sempre a carico dello Stato e che spesso con la protezione di polizia e carabinieri continua ad esercitare in tutta tranquillità l'onorata attività di narco-trafficante, magari dopo aver demolito con le sue confessioni le cosche rivali.
Secondo stime recentemente apparse sulle pagine di alcuni quotidiani, risulta che il numero complessivo dei collaboratori ammonta a circa 1.200 unità, di cui circa mille sono pentiti, mentre circa una sessantina sono testimoni non provenienti da aree criminali. Risulta inoltre che lo stipendio medio per collaboratore si aggira su una cifra compresa tra i 2 e i 7 milioni, con un costo complessivo per lo Stato di cento miliardi all'anno. Non dimentichiamo, inoltre, che la protezione riguarda anche 5 mila familiari circa: dunque nel complesso sono oltre 6 mila le unità sotto protezione. Un vero e proprio esercito!
Riteniamo che sarebbe necessario, allo stato attuale dei fatti, fare una selezione in base al valore effettivo della collaborazione di ciascun pentito ed ammettere al programma di protezione un numero notevolmente minore di collaboratori. Infatti, la crescita del fenomeno dei collaboratori di giustizia determina solo notevoli difficoltà di gestione, in quanto, crescendo il numero dei pentiti, è difficile sia selezionare le persone che intendono collaborare con la giustizia sia gestire i programmi di protezione.
Inoltre, una delle principale storture della legge riguarda il fatto che non sono previsti limiti temporali alla possibilità di pentimento: sarebbe invece necessario prevedere che il pentito dica tutto e subito, in quanto lo Stato non può essere sottoposto continuamente ai ricatti dei «pentimenti rate».
Ancora, sarebbe necessario separare la sicurezza dai benefici processuali. Una cosa, infatti, sono gli sconti di pena e le attenuanti che vengono valutati dal giudice sulla base della collaborazione e della attendibilità del pentito, altra cosa sono i benefici dell'ordinamento penitenziario che consentono al collaboratori di scontare la pena in un regime di semilibertà. È questa seconda parte che dipende dal programma di protezione e che una nuova normativa dovrebbe eliminare o separare: mentre oggi la semplice ammissione al programma di protezione, affidato alla discrezione delle forze di polizia, implica automaticamente anche l'accesso agli sconti di pena. È senz'altro giusto ridurre la pena, ma la parte residua dovrà necessariamente essere scontata all'interno delle carceri, eventualmente all'interno di sezioni speciali degli istituti stessi.
Anche i collaboratori dovrebbero subire, inoltre, la confisca obbligatoria dei beni (ferma la possibilità di sequestro preventivo), analogamente a quanto prevede la legislazione antimafia per beni di origine mafiosa di cui il soggetto non sia in grado di giustificare la provenienza o che paiono essere non confacenti al suo stato e sproporzionati al suo reddito.
Circa una questione specifica, ovvero la facoltà di non rispondere di cui il collaborante può avvalersi, non è assolutamente giusto che ad essa non consegua alcuna revoca dei benefici, mentre sarebbe necessario che il collaboratori che si sottrae al contraddittorio non beneficiasse degli sconti di pena.
Inoltre, l'attuale legislazione permette di acquisire al dibattimento anche le dichiarazioni di chi si avvale della facoltà di non rispondere: ciò impedisce non solo al difensore di difendere il proprio assistito, ma soprattutto non permette al giudice di verificare se il collaboratori ha riferito con esattezza le varie circostanze, quindi di esprimere un giudizio sereno. Sarebbe necessario, pertanto, subordinare la concessione dei benefici ai collaboranti solo a seguito del giudizio di primo grado ed in relazione alla condotta processuale tenuta, ovviamente senza intaccare il diritto alla protezione, che rappresenta un interesse anche per il pubblico ministero. In secondo, luogo sarebbe necessario prevedere che le dichiarazioni dei collaboratori non siano mai utilizzabili nel dibattimento qualora essi si avvalgano della facoltà di non rispondere.
Non si deve dimenticare, poi, che la legge attuale prevede l'ammissione alla protezione per un'ampia serie di reati (previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, ovvero furto, rapina, delitti concernenti sostanze stupefacenti ed ogni delitto punito con reclusione superiore nel minimo ad anni 5 e nel massimo a 20 anni), mentre potrebbe essere limitata ai due reati che minacciano le istituzioni, ovvero mafia e terrorismo.
Inoltre, mentre le norme in vigore consentono un solo tipo di protezione - il cosiddetto programma speciale - la nuova legge dovrebbe rendere il meccanismo più flessibile tra vari tipi di programma, in modo tale da non dover ricorrere sempre e comunque al programma speciale, potendo scegliere tra una serie di misure di protezione ordinarie, predisposte relativamente alla situazione di pericolo e attinenti esclusivamente alla sfera amministrativa, di competenza del Ministero dell'interno.
Oltre a questo, deve essere garantita la possibilità di turnover, ovvero un affrancamento dall'assistenzialismo statale attraverso una lecita occupazione lavorativa, come avviene negli Stati Uniti.
Per concludere, elenco i punti ritenuti fondamentali dalla lega per modificare la legislazione attuale sui pentiti. Dovrebbe essere fortemente limitato il proliferare indiscriminato dei pentiti: servono solo collaboratori di giustizia qualificati, che forniscano un apporto concreto tale da giustificare il venire meno della pretesa punitiva dello Stato. Dovrebbero essere impedite le «confessione a rate», attraverso la fissazione di un termine massimo (eventualmente di un anno) entro il quale il pentito deve dire tutto quello di cui è a conoscenza. Dovrebbero essere impedite le confessioni concordate tra vari pentiti, ed evitare così che un pentito possa costituire artatamente un riscontro per altri pentiti. Il pentito non dovrebbe poter scegliere di fronte a quale magistrato intenda rendere le sue confessioni, come non dovrebbe rifiutarsi di rispondere in udienza alle domande delle parti; in tal caso, infatti, dovrebbero perdere tutti i benefici. Sarebbe importantissimo prevedere il risarcimento danni per le vittime del reato; la pena non dovrebbe mai essere abolita, ma solo ridotta; dovrebbe essere mantenuta la confisca dei beni del pentito, in quanto il fatto criminoso denota una pericolosità che non viene meno con il pentimento; il domicilio ed il telefono del pentito devono essere costantemente sotto controllo.
Dovrebbe essere fissato un tetto massimo di spese di mantenimento, senza alcun tipo di discrezionalità; il budget complessivo di spesa deve essere informato a criteri di chiarezza e trasparenza; la verifica dell'attendibilità delle dichiarazioni del pentito dovrebbe essere svolta da un giudice diverso da quello che utilizza il pentito; dovrebbe essere posto un freno al rilascio in bianco di carte di identità con imposizione ai comuni di rilasciare la residenza. Dovrebbero essere creati circuiti carcerari differenziati per collaboratori di giustizia, in quanto la regola deve essere la detenzione in carcere, non un regime di libertà; dovrebbero essere separati i benefici processuali (sconti di pena, attenuanti) dai programmi di protezione, evitando l'odierna incongruenza per cui la semplice ammissione al programma
di protezione fa scattare anche sconti pena. Inoltre l'eventuale decisione sui benefici dovrebbe essere affidata al magistrato giudicante ed infine, il programma di protezione dovrebbe essere fissato non prima che il collaboratore abbia firmato una dichiarazione su quanto intende dichiarare, altrimenti i programmi, una volta concessi, rischiano di non essere più modificabili.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maiolo. Ne ha facoltà.
Questa mozione chiede semplicemente che il Governo si impegni a dare trasparenza su quello che è accaduto, per evitare che si ripetano fatti come quelli cui la mozione in discussione si riferisce e che i collaboratori di giustizia siano utilizzati dalla mafia per fare battaglie politiche. Bisogna allora stigmatizzare il disinteresse che oggi mostra il Parlamento: vedete, votare contro è un fatto di democrazia, mostrare disinteresse è un fatto di arroganza ed è il contrario della democrazia.
Il disinteresse che mostra oggi il Parlamento su questi fenomeni ne fa, nella sua interezza, un complice di questi assassini (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Questa mozione nasce - a distanza di qualche tempo è bene ricordarlo - dalle vicende relative a un illustrissimo pentito, autista di Totò Riina, Balduccio Di Maggio, di San Giuseppe Jato, tenuto per tanto credibile collaborante da essere il fondante teste dell'inchiesta relativa al senatore a vita Giulio Andreotti. Non è chi non veda oggi, a distanza di più di quattro anni dall'inizio di quell'inchiesta, che ciò che si è detto e le prove portate per inchiodare quell'antico democristiano alle sue responsabilità mafiose è in realtà un'impresa fallita, con grave nocumento della dignità della procura di Palermo e del suo capo, che, con tutta la buona volontà e le buone intenzioni, in realtà ha fino ad oggi fallito la sua storica impresa di criminalizzare la democrazia cristiana, nel suo più alto rappresentante, riscrivendo - nonostante che egli dica che si tratta di un processo legato al solo senatore Andreotti - la storia d'Italia. Lo comprova l'esistenza di un libro, in cui sono pubblicati parte degli atti relativi alla vicenda Andreotti, il cui titolo è La vera storia d'Italia. Ebbene, quella storia non è come l'ha voluta ricostruire il dottor Caselli.
Resta il fatto che uno dei fondamenti più risibili di quell'inchiesta strettamente legata alle sue responsabilità penali - al di là delle politiche responsabilità, che dovranno essere comunque indicate come difetto di perspicuità politica di Andreotti - è relativo a un famoso bacio che egli
avrebbe dato, inavvertitamente rispetto a una scorta che sempre lo ha accompagnato (come sanno i pentiti, i collaboranti, i testi, i politici e i magistrati accompagnati da scorta) e che viceversa non avrebbe visto un atto tanto importante come quello di essere andato - Andreotti - a casa di un uomo agli arresti domiciliari, tale Ignazio Salvo, per incontrare il latitante Riina e baciarlo. Questa ricostruzione dei fatti si basa sulla dichiarazione di Balduccio Di Maggio, smentita non soltanto dall'assenza di fondamenti sostanziali di riscontro, ma dal comportamento stesso, indegno, privo di ogni decoro, di un pentito, che con i vantaggi dello Stato, i denari dello Stato, i privilegi dello Stato, le case dello Stato, dopo aver detto cose del tutto infondate sul senatore Andreotti, è andato di nuovo a uccidere. Allora, di quegli omicidi chi è responsabile se non chi ha ritenuto di fidarsi a tal punto di un inaffidabile pentito da lasciarlo in libertà? È chiaro che c'è una grave assunzione di responsabilità del procuratore Caselli, che non voglio qua additare con alcune epiteto per timore di querele, ma che certamente, lasciando in libertà e con mano libera Balduccio Di Maggio, ha legittimato comportamenti gravemente criminali, che sono quelli della mafia che uccide. Costui ha ucciso da pentito (Applausi di deputati del gruppo di forza Italia)! Può essere credibile chi uccide con i soldi dello Stato quando dice che Andreotti ha baciato Riina?
È chiaro che voi voterete contro, ma questi sono i fatti della storia criminale d'Italia, attraverso la quale dobbiamo guardare anche ad alcune attività inquisitorie delle procure, che hanno distratto la loro attenzione dai criminali veri criminalizzando persone con gravi responsabilità politiche, le quali però non hanno responsabilità per la vita delle persone. Non possiamo certo ritenere che mandante di omicidi sia il senatore Andreotti; oggi è il capo della mafia. Non abbiamo le prove. Abbiamo le prove, invece, che chi lo inchioda a responsabilità mafiose è un assassino; chi lo inchioda a responsabilità criminali ha ucciso con i soldi dello Stato.
La mozione Maiolo, quindi, ha una potente forza morale: non possiamo accettare che venga minata la credibilità dello Stato da persone senza dignità, senza decoro e volte al crimine con il vantaggio delle armi dello Stato.
Vi sono poi numerose contraddizioni. Testimoni come la baronessa Cordopatri, calabrese, per esempio: non è collaborante ma teste. L'ho incontrata ieri. È tenuta prigioniera delle scorte di Stato affinché non faccia ciò che si teme possa fare relativamente alle procure, che attendono che ella faccia le sue dichiarazioni. Abbiamo quindi i collaboranti privilegiati e pagati 500 milioni dallo Stato (come Balduccio Di Maggio), mentre poi la teste Cordopatri è pagata 1.200.000 lire per poter sopravvivere ed è circondata da scorte che le impediscono di vivere liberamente: quindi il teste è reso prigioniero, mentre i pentiti che hanno ucciso dopo essere stati liberati da questo Stato - con la volontà di quelle procure - sono resi liberi di uccidere, con licenza di uccidere.
La responsabilità di questa mozione coinvolge la maggioranza, oggi consapevole e responsabile rispetto ad un'opposizione che non si rende conto di come la mozione sia determinante, non per muovere l'intelligenza della maggioranza, ma per chiamare davanti alle responsabilità storiche un'opposizione che con mille ragioni - anche discutibili - ha per prima indicato le contraddizioni gravi del sistema del pentitismo, oggi accolte in maniera molto lodevole anche dal collega Rizzi della lega. Contraddizioni gravissime: non puoi lasciare in libertà chi uccide soltanto perché ti dice che Andreotti è un mafioso (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale). È questa la storia d'Italia senza fondamento, senza certezza, senza dignità. Quella che serve oggi ad incriminare anche il dottor Dell'Utri ed il dottor Berlusconi, diventati mafiosi alla soglia dei sessant'anni. Ma non lo erano anche dieci anni fa? Dieci anni fa, fuori della politica, nessuno è andato a dire che la Fininvest, Dell'Utri, Berlusconi riciclavano i soldi della mafia: accusa intollerabile,
basata sulle parole di pentiti criminali, di cui abbiamo la prova vivente in chi vi parla oggi e nell'onorevole Maiolo.
Alcuni di loro non erano qui, ma l'onorevole Maiolo ed io siamo stati inchiodati per otto mesi dalle accuse del pentito Pino, che oggi accusa Berlusconi di riciclare il denaro della mafia: lo stesso pentito, che è stato dimostrato non credibile, senza che abbiano pagato una lira quei magistrati che hanno mandato noi davanti agli occhi di tutto il mondo, non con la diffamazione della parola ma con un atto giudiziario. Io ero a Spalato, davanti al sindaco di Spalato, e venivo chiamato mafioso sulla prima pagina dei giornali da un atto giudiziario. Molto più che diffamazione: un abuso, per il quale nessuno è stato punito! La collega Maiolo non si è più presentata in Calabria anche per paura: non della mafia, ma di essere chiamata mafiosa dall'antimafia.
Nonostante questa indegnità i pentiti godono sempre del programma di protezione. Il pentito Pino, criminale assoluto, che ha determinato la nostra responsabilità senza fondamento, è ancora lì a parlare ed a sputtanare persone oneste. Questo è il punto cruciale. Balduccio Di Maggio, Pino: gente senza civiltà, senza dignità, criminali, che vengono chiamati ed usati come se fossero l'oro che cola, per poter dimostrare che la Maiolo è mafiosa, che Sgarbi è mafioso, che Berlusconi è mafioso. Tutti mafiosi, salvo loro che lo sono veramente e la cui parola è pagata miliardi (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)! Questo è il punto cruciale!
La maggioranza non potrà dignitosamente votare contro questa mozione: avete di fronte una vittima, la quale, Maiolo, non ha scritto per questo una mozione, ma ha subito un insulto ed una diffamazione gravissime da parte di un pentito che, non solo non paga, ma è pagato! E i magistrati che lo hanno sostenuto e lo hanno usato non sono mai, mai, stati chiamati davanti al CSM per rispondere del loro atto criminale!
Ho spiegato questo quadro del passato per dirvi: è una mozione che viene dall'opposizione, ma il problema è reale e davanti a voi c'è il sangue dei morti uccisi da quei pentiti (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e misto-CCD - Commenti dei deputati del gruppo dei democratici di sinistra-l'Ulivo)!
È un documento utile e ovvio nel suo contenuto di promozione di un'idea, di un'attività. Se non erro, il Ministero della giustizia, degnamente rappresentato dal suo ministro qui assente - e mi dispiace - ma non appropriatamente rappresentato dal professor Mirone ha espresso parere contrario su tutti gli emendamenti, persino sui più - ripeto il termine - ovvi nella loro ispirazione e finalità.
Il ministro non viene, il parere del ministero è contrario, il disinteresse e persino, purtroppo, la beffa, che alle addolorate osservazioni di Sgarbi sono stati riservati, anche nei temi più delicati della mozione, mi pongono il dubbio se questo problema etico-politico del pentitismo sia o non sia veramente condiviso dalla etica politica di una parte della maggioranza (perché di tutti non dubito) e sia veramente all'ordine del giorno, ancora una volta, come fatto personale delle singole coscienze. Questo è difatti un problema di coscienza anche individuale: poi si traduce in norma, poi si traduce in politica, poi si traduce in sensibilità collettiva, ma prima è un problema personale.
Torno a ripetere che non è necessario che l'esperienza di noi singoli sia toccata
da problemi quali quelli sollevati da questo fenomeno perché esso sia avvertito: l'uomo sensibile e maturo deve capire l'importanza delle cose anche al di fuori della propria percezione diretta di esse.
Ebbene, il Governo è indifferente perché per sua natura, nelle persone che rappresentano la giustizia, è indifferente. Non basta la poetica evocazione dell'indifferenza dell'antico romanzo moraviano, che nell'indifferenza identificava la matrice della dissoluzione della società e delle famiglie. Noi abbiamo qui un Governo indifferente, quando non complice (attraverso la contrarietà), rispetto ad un problema che commuove, che solleva questioni le quali, come ho detto, cominciano con la sensibilità individuale ed attengono allo Stato! Ieri abbiamo avuto la prova diciamo visibile di questa indifferenza quando in seno al Comitato dei nove abbiamo discusso della nota proposta di istituire la Commissione d'indagine sulla cosiddetta Tangentopoli.
Ebbene, nella sensibilità e ragionevolezza di una parte della maggioranza abbiamo avuto la prova che questo è anch'esso un problema reale: anch'esso movente dalla sensibilità individuale. Ed abbiamo iniziato una discussione che mi auguro possa concludersi quanto prima.
Ebbene, questo ministro, questo Flick, il quale oggi è assente, che manda i suoi messi a dare parere contrario su una materia, ripeto, ovvia, ieri - più servile dei servi - esprimeva un parere contrario relativamente ad una materia che la sua maggioranza approvava, nella supposizione che quella contraria fosse ancora l'idea della maggioranza (Applausi di deputati del gruppo di alleanza nazionale), cauto persino nella previsione. Segno evidente che questo paese non manca di un ministero ma manca di un uomo al Ministero!
Naturalmente poi viene il professor Mirone, al quale non riesco a negare la mia stima come cultore anch'io di studi giuridici. Professore, amico, lasci in compagnia degli Ayala persone come Flick (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)!
Questa purtroppo è una storia antica del nostro Stato. Se partiamo dal bandito Giuliano sappiamo che lo Stato ha sempre usato i collaboranti o ha sempre usato, comunque, persone di mafia per attivarle contro la mafia stessa, cioè per fare le guerre di clan. Questo è avvenuto allora, è avvenuto con Contorno, è avvenuto con Di Maggio e con molti altri. Una volta non si trattava di pentiti, ma di un diverso sistema di gestione molto spregiudicato; oggi c'è lo stesso sistema di gestione molto spregiudicato, e si tratta comunque delle stesse cose.
Pochi, ad esempio, hanno analizzato cosa sia avvenuto dopo il caso Contorno e quanti morti ci siano stati non solo all'epoca in cui Contorno era in Sicilia.
Nessuno ha esaminato chi era consapevole di questo ed anzi ha tollerato, ha sentito e ha «mandato», pensando che la guerra di mafia in fondo è una cosa «loro» e quindi è bene che venga gestita da loro.
Questi sarebbero i collaboranti attivi, cioè quelli che possono sparare, quelli che possono combinare al loro interno i vincenti e i perdenti. In realtà, lo Stato italiano, nonostante la vendita delle indulgenze, i collaboranti attivi che stabiliscono con il sangue i perdenti e i vincenti, ha perso, perché la mafia impera oggi più che mai (anche se, essendo al Governo la sinistra, non se ne parla).
Da anni non si verificavano omicidi così numerosi; omicidi che insanguinano la Campania, la Calabria, la Sicilia, ma
tutto viene considerato come una cosa assolutamente ovvia e insignificante.
Vi è di più: quello che i collaboranti hanno fatto e continuato a fare nell'ambito della nostra giustizia. Il sistema giudiziario è paralizzato al sud dal fatto che i pentiti nominano centinaia e centinaia di persone (che a noi siano note o meno note ha poco interesse); vi sono processi con numerosissimi imputati, processi che hanno tempi biblici e che comportano una spesa ed una concentrazione di magistrati per cui si lascia da parte la vera criminalità che imperversa più che mai sul territorio.
Quello che costa la paralisi giudiziaria al sud è inimmaginabile. E questo ancor più perché il sud, in virtù del disegno - che è stato voluto - di farne un fenomeno antropologico criminale, è sempre più povero, è sempre più desolato ed è sempre più abbandonato dallo Stato, è sempre più in preda di soggetti che deviano la giustizia, è sempre più una terra in cui nessuno vorrà più andare ad investire né vorrà più andare ad esercitare una professione, perché il pericolo è elevatissimo.
Al sud colui che è costretto ad effettuare un pagamento nei confronti della criminalità immediatamente, in virtù di un collaborante, diventa addirittura complice della criminalità. Ci sono state persone che, proprio per questo, hanno dovuto chiudere imprese e che si sono trovate sul lastrico, anche se successivamente, magari, sono state assolte. E noi potremo anche andare in Europa, ma non potremo mai più, in virtù di ciò, andare al sud.
Se parliamo di unità d'Italia, dobbiamo parlare di una condivisione dei principi su cui si basa l'unità di una nazione. E la condivisione dei principi deve riguardare il fatto che questa vendita di indulgenze, questa antimafia che viene usata contro nemici personali, contro nemici politici, contro nemici nel settore economico, non può più essere approvata e non può più andare avanti in questo modo, perché questo non è un problema da sollevare a titolo personale, ma è un problema che riguarda tutti, anche questa maggioranza sorda. Infatti, noi ormai stiamo abbandonando metà del territorio italiano e lo stiamo lasciando in mano all'antimafia ed alla mafia che adoperano gli stessi metodi illegali: l'uno sparerà con il mitra, l'altro spara con i processi.
Io credo che noi non ci possiamo più permettere questo e se non abbiamo la coscienza civile di porvi rimedio - e siamo già largamente in ritardo rispetto a ciò - credo che questo paese non solo cadrà in una inciviltà giuridica, ma anche in una povertà ed in un degrado culturale e morale sempre più profondo.
Ci si chiede allora come mai il ministro di grazia e giustizia sia contrario ad affrontare questi problemi, che pure si era proposto di affrontare. Invece non se ne è parlato più. Anche la sinistra fa la stessa fine dei partiti di Governo della così tanto famigerata prima Repubblica. Quando si è al Governo, la mafia non deve più esistere, perché forse è il Governo che al tempo stesso impersona anche la mafia.
Guardiamoci da ciò, perché questo è un grave pericolo. Non bisogna credersi intangibili e non bisogna credere, quando ci si candida, che, se si è di sinistra, la mafia non ci vota, mentre, se si è di un altro partito, ci ha votato solo la mafia. Questo è un giochino che a lungo andare sarà devastante per tutti, sia che si appartenga alla sinistra sia che si faccia parte di altro schieramento. Oggi individuiamo certi nemici; domani, poiché la storia gira sempre, ne individueremo altri. Ma in questo modo noi devastiamo una grande civiltà giuridica, che ormai non ci appartiene più, e soprattutto devastiamo un territorio, quello del sud, che sembra, allo stato, non avere più alcuna speranza.
Condividiamo almeno lo sforzo di trovare un comune intento di una legislazione trasparente, di una azione penale trasparente. Smettiamola di dire che, se sono io a sostenere che bisogna assegnare le priorità e che l'azione penale non può essere obbligatoria, questo è un misfatto, mentre se lo afferma il Presidente della Camera, è una cosa su cui riflettere. Non ci si può più schierare nei casi in cui i dati di fatto sono sotto gli occhi di tutti.
Non si può più andare avanti sostenendo che, se una certa affermazione viene fatta da un soggetto è sbagliata, mentre se viene fatta da un altro è giusta.
Cominciamo allora a condividere i principi! Cominciamo a compiere uno sforzo comune per ritrovarci almeno su quello che sarà il futuro del nostro paese; un futuro fatto di civiltà giuridica e soprattutto di una risorsa, di una possibilità per il sud di riconoscere che lo Stato può davvero combattere il crimine attraverso la legalità. Ma se questo riconoscerà che lo Stato è diventato criminale, poiché vi sono molti criminali sul territorio, non ci sarà più alcuna speranza per il sud né da un punto di vista culturale né da un punto di vista giuridico (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Onorevole Taradash, ha facoltà di parlare.
In un paese in cui nelle aule dei processi non si è mai garantiti, soprattutto se si è innocenti (anzi, l'innocenza è quasi sinonimo di condanna, perché l'innocente difficilmente si procura un alibi e crea le condizioni che possano portare alla sua assoluzione), dove cioè l'innocente deve diffidare, credo che una mozione come quella dell'onorevole Maiolo - che semplicemente richiede allo Stato, vale a dire al Governo, al Ministero di grazia e giustizia, di operare in modo tale da avere trasparenza nella gestione dei pentiti, da evitare che un pentito, oltre a dire il falso, che è la cosa che a lui viene richiesta generalmente, almeno eviti di uccidere, di continuare la sua attività di boss mafioso - dovrebbe essere accolta dall'unanimità del Parlamento.
Invece non solo ciò non avviene ma c'è anche una grande indifferenza da una parte e dall'altra, come è stato giustamente segnalato dalla stessa collega Maiolo. È un problema in generale, per la maggioranza e anche per l'opposizione, che evidentemente non riesce ad essere consapevole fino in fondo delle sue buone ragioni e quindi usa queste ultime come arma difensiva rispetto alle aggressioni verso se stessa, ma non comprendendole fino in fondo non riesce ad utilizzarle come chiave e leva per una alternativa alla gestione di un potere che va oltre le distinzioni tra maggioranza ed opposizione.
Dico questo dopo aver partecipato ad una conferenza stampa qualche giorno fa a Reggio Calabria. Sono intervenuto a sostegno di due eroi civili, di due panettieri che hanno deciso ad un certo momento di sottrarsi all'ovvia e scontata pressione ed intimidazione mafiosa; hanno denunciato una cosca locale portando all'arresto di alcune decine di persone. In questo modo si sono messi nelle mani del cosiddetto Stato.
Queste persone non hanno ricevuto alcun soccorso rispetto alla loro vita quotidiana. Desideravano continuare ad operare ma gli è stato detto che sarebbero stati trattati come pentiti, che sarebbe stata loro cambiata identità e che sarebbero stati spostati da un'altra parte. Loro hanno detto: non abbiamo ucciso nessuno, perché dobbiamo andarcene dalla nostra città? Non hanno avuto niente di ciò che chiedevano. Anzi, quando è stato loro offerto da un sindaco civile di un paese confinante, Altamura, di trasferire la loro attività, la prefettura di Reggio Calabria li
ha informati che avrebbero dovuto rinunciare alla scorta e a qualsiasi genere di protezione.
Quindi hanno rinunciato a questo trasferimento e hanno continuato la loro attività. Oltre alle ovvie difficoltà che possono verificarsi per chi si comporta in questo modo, cioè alla diminuzione della clientela e ai problemi economici, sono stati raggiunti da sfratto esecutivo, che è in corso.
Questa è una vicenda. Ci sono in Italia 1.300 pentiti e 59 testimoni, cioè parti lese che hanno sfidato l'omertà. Gran parte di questi 59 sono testimoni occasionali; una minima parte sono coloro che non obbediscono all'ordine di omertà mafiosa che proviene anche dallo Stato e cercano in qualche misura di cambiare la società attraverso le opere, non attraverso la guerra tra mafia e antimafia che lascia macerie, per quanto sia fatta efficacemente, ed anzi le lascia quanto più sia condotta in modo efficace da una parte e dall'altra.
Qui c'è invece un tentativo di costruire una diversa sensibilità civile, diverse relazioni sociali, una diversa economia. È gente che vuole lavorare, che vuole continuare a vivere dove vive. Quello che ho citato, dei fratelli Verbaro, è solo uno dei tanti casi. Davanti alla Commissione antimafia ne abbiamo esaminati altri: persone che per aver denunciato omicidi mafiosi hanno dovuto rinunciare, oltre che all'identità, anche all'assistenza sanitaria! Vi sono famiglie intere che non hanno più avuto l'assistenza sanitaria perché la ASL non riconosce più l'identità precedente. Queste persone si sono dovute pagare di tasca propria le medicine. Vi è stato il caso di un signore che davanti alla Commissione antimafia si è tolto la giacca e la camicia per mostrare le piaghe dovute alle sue malattie non curate! Vi sono persone a cui è stato addirittura sottratto quel minimo di protezione (non le decine e le centinaia di milioni spese in funzione degli omicidi compiuti e delle falsità testimoniate) disposto in loro favore, a cui è stato sottratto anche il diritto a un rimborso minimo. Ad una persona che, di fronte alla propria disperazione e a quella della famiglia, ha tentato il suicidio è stata tolta la protezione! Queste sono le cose che succedono in Italia.
Quest'Italia non riesce a rinunciare alla guerra mafia-antimafia e a disporre invece gli strumenti perché efficacemente, attraverso l'opera di ciascuno la mafia possa essere combattuta e vinta.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Napoli. Le ricordo che ha a disposizione dieci minuti. Vi prego di non mettermi in imbarazzo. Ha facoltà di parlare, onorevole Napoli.
Vedete, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, quando ho sottoscritto questa mozione, nel lontano 30 ottobre 1997 (lontano rispetto ai fatti che in essa sono esposti), l'ho fatto con convincimento, in particolare relativamente all'ultima parte della mozione, laddove si desidererebbe impegnare il Governo ad «avviare con urgenza ogni iniziativa sul piano legislativo affinché vengano radicalmente mutati gli indirizzi legislativi sul tema della protezione». Era ed è una necessità di fronte alla quale né il Governo né l'attuale maggioranza politica dovrebbero sottrarsi. È una necessità che in fondo è stata evidenziata dallo stesso ministro Napolitano dinanzi alla Commissione antimafia, quando ha svolto la relazione annuale sulla applicazione della legge sui pentiti. Lo stesso ministro Napolitano ebbe a dire, in quell'occasione, che della legge sui pentiti si è fatto un abuso rispetto a quelle che erano le volontà originarie del legislatore; ed i fatti lo hanno evidenziato!
Quanto è stato detto dai colleghi che mi hanno preceduta rispetto all'aumento della criminalità organizzata in tutto il Mezzogiorno corrisponde al vero e questo Governo, e la sua maggioranza politica dell'Ulivo, non possono più, di fronte ai fatti criminali che giorno dopo giorno investono in particolare il sud del paese, fare finta di dire: apparteniamo all'Ulivo e quindi siamo antimafiosi (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale), perché non è così! La mafia la si combatte con la volontà e con i fatti! E non è possibile più usufruire di una legge in nome della quale l'Ulivo ha la garanzia della lotta alla mafia attraverso l'uso dei falsi pentiti, perché falsi continuano ad essere - essendo tra l'altro ben retribuiti dallo Stato - quando continuano non solo a sprigionare morte giorno dopo giorno, ma anche a dare ordini di morte giorno dopo giorno!
Caro sottosegretario, sono scontenta - come le ha dimostrato di esserlo l'onorevole Mancuso - che il ministro di grazia e giustizia mandi lei, che è una persona per bene, a rappresentare il dicastero per esprimere una volontà contraria rispetto ad una mozione che pure, se necessitava forse di qualche aggiustamento, aveva altresì la necessità di essere accolta proprio dal ministro di grazia e giustizia che dovrebbe essere il garante della lotta alla mafia.
Caro sottosegretario e cara maggioranza politica di questa Assemblea, allora hanno ragione il procuratore della DDA di Reggio Calabria Boemi ed il pubblico ministero Pennisi che hanno abbandonato le loro cariche dicendo che questo Governo di sinistra non ha fatto nulla e che, anzi, ha incrementato il potere della criminalità organizzata!
Se non si ha il coraggio di assumere l'impegno di andare a rivedere - niente di eccezionale: nemmeno questo impegno viene assunto di fronte ad un paese intero! - la legislazione sui pentiti, è inutile, onorevole sottosegretario, onorevole maggioranza di colleghi, che esistano più le Commissioni antimafia, è inutile che l'Ulivo continui a rivestirsi del simbolo dell'antimafia.
Ho sempre detto che la lotta alla mafia dovrebbe coinvolgere tutti, indipendentemente dall'appartenenza politica. E allora, abbiate il coraggio di valutare questa mozione non perché è stata presentata dall'opposizione - io non l'ho sottoscritta perché è stata presentata dall'opposizione - ma per il suo contenuto morale. Abbiamo questo dovere, cari colleghi e cari rappresentanti del Governo, di fronte ad un popolo che non ce la fa più, che non ne può più. Venga il ministro di grazia e giustizia nel Mezzogiorno, abbia il coraggio di stare dalla parte di quei giudici che lottano realmente la mafia! Abbia il coraggio di intervenire sugli organici della magistratura, laddove è dimostrata la necessità. Abbia il coraggio di stare realmente da quella parte, dalla parte di coloro che lottano, giorno dopo giorno, contro il racket! Questo significa la presenza dello Stato.
Abbiate il coraggio, onorevole sottosegretario e voi, onorevoli colleghi, di prendere atto del contenuto di questa mozione e fatelo in nome delle numerose vittime della mafia e delle loro famiglie. Non
basta più, anno dopo anno, andare a ricordare gli anniversari delle morti di Falcone e Borsellino. Non basta più alle famiglie dei morti per mafia, signor sottosegretario, la solidarietà che ogni volta viene espressa; la solidarietà dovremmo avere il coraggio di dimostrarla tutti oggi in quest'aula, ad iniziare dai rappresentanti del Governo, approvando questa mozione. Questo significherebbe lotta alla mafia, e non altro (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).
Cercherò in questi pochissimi minuti di raccontarvi quello che penso. Il peggiore danno che potremmo recare a chi verrà e il miglior piacere che possiamo fare oggi alla mafia è quello di vedere un Parlamento diviso su un'opzione giusta, quella di voler maggiore trasparenza per chi, denunciando, si difende, per chi, denunciando, copre nefandezze personali e familiari incredibili. Su questo bisogna riflettere.
Chi parla nel suo piccolo quotidiano da trent'anni lavora con la giustizia, soprattutto minorile, messa oggi in secondo piano. Tanti giudici minorili rischiano la vita, ma forse non fanno moda e non se ne parla. Non ce l'ho con i giudici; anzi, lavoro con loro, anche se lavoro soprattutto con la giustizia. Non posso negare, però, che certi protagonismi, certi deliri di onnipotenza non mi fanno piacere, così come a me non piace l'attuale conduzione dell'antimafia perché in uno scontro non si sa bene chi vince o chi perde, né chi sta contro chi.
Mi preoccupa tantissimo che un ex Presidente del Consiglio che si chiama Giulio Andreotti - con i suoi pregi e difetti - venga messo in scacco, dopo che ha governato in qualche modo con tutti, da un personaggio di fama nefanda.
La mia preoccupazione, però, come dicevo, non è questa. Il mio timore è di due tipi. Mi chiedo perché attivare uno scontro ideologico su un problema che riguarda tutti, in quanto credo che la preoccupazione intima di ogni parlamentare sia più importante della sua appartenenza. Mi interrogo allora con molta tranquillità, nel rispetto più assoluto dei morti, sperando che ce ne siano sempre di meno, sui ricatti che colpiscono soprattutto la povera gente.
Quando alcuni magistrati, inseguendo grandi teoremi, paralizzano interi palazzi di giustizia, a discapito della giustizia per la gente che non ha la possibilità di difendersi, credo si tratti non di un problema di schieramento, ma dello stare o meno con la povera gente. Ciò in tribunali che seguitano a perseguire, peraltro giustamente, qualche potente, ma solo quello, che può essere una volta della maggioranza, un'altra dell'opposizione. Ed allora, stiamo attenti, perché non si può gridare «evviva» oggi e «abbasso» domani, a seconda che una giustizia, non sempre giusta, colpisca l'uno o l'altro. Detto questo, credo che una giustizia che pensi di più alla gente comune sia più giusta ed invito a riflettere su un dato, che è quello del pentitismo.
Colleghi, stiamo attenti. Nel mio piccolo faccio lo psichiatra dal 1970 e vi invito ad interrogarci anche sulla morbosità, sulla potenziale incapacità di intendere e di volere, sulla schizofrenia e sull'accanimento che possono avere una psiche distorta quale quella di un pluriomicida che ha sulla coscienza decine e decine di morti, dirette ed indirette. È
sicuro che può essere attendibile sempre, in ogni cosa ed in ogni modo la voce di chi ha ucciso con le proprie mani bambini ed ha fatto uccidere anche con crudeltà inarrivabile?
Con questo non voglio dire che sia sempre così, ci mancherebbe: la giustizia, quando non è strumentale, e le Commissioni, quando non si trasformano in un favore per la mafia, devono avere tutte le possibilità di deterrenza; ma quando a decidere, a diventare indispensabile è un paranoico, un pazzo, un criminale incallito, a me questa giustizia comincia a creare tante difficoltà, tanti problemi, enormi preoccupazioni, che vorrei fossero proprie non di una parte...
Sono molti e già citati i casi di comportamenti di pentiti che ci inducono a votare a favore di questa mozione, ma io voglio citarne un altro, che in quest'aula non è stato ricordato. Due pentiti, i fratelli Barreca di Reggio Calabria, dopo aver ricevuto somme dell'ordine di qualche centinaio di milioni per il loro pentimento - cifre che un parlamentare riesce a guadagnare quasi in due legislature - sembra abbiano riciclato questa stessa cifra: di fatto, hanno ripreso il traffico internazionale di stupefacenti. Lo hanno ripreso proprio utilizzando - come è emerso da un'indagine della Guardia di finanza - l'appartamento concesso dallo Stato per la protezione ed utilizzando i telefonini pagati dallo Stato che erano stati dati loro in qualità di pentiti. Nello stesso appartamento hanno ospitato per diverso tempo la moglie del più importante narcotrafficante colombiano.
Questo è un altro degli esempi, ma ne voglio citare ancora uno, che mi vede protagonista ed è particolare, perché evidenzia come la legislazione sui pentiti abbia creato non soltanto una classe della magistratura, quella inquirente, che può colpire chi le sta antipatico in qualsiasi momento e con qualsiasi mezzo, ma anche una classe che ha la licenza di uccidere: ne sono già stati citati degli esempi, ma ne esistono anche altri. Vede, Presidente, io mi sono trovato, tra gli altri, accusato da due pentiti, due cugini di primo grado, Antonino Gullì e Domenico Festa. Si è pentito prima il Gullì e successivamente il Festa; dopo poco tempo dal pentimento del primo, lo zio in primo grado si recò da un mio referente politico a Reggio Calabria e gli chiese 200 milioni perché quel pentito non accusasse me e lui. La presi come una boutade, perché era un vecchio dirigente del partito in cui militavo. Lasciammo cadere la cosa nel vuoto. Ebbene, un paio di mesi fa lo stesso zio dei due pentiti tornò da quel mio referente politico e chiese questa volta mezzo miliardo perché i due pentiti si ritirassero nei miei e nei suoi confronti. Poiché tali richieste erano state fatte in tre occasioni separate e di fronte a tre testimoni diversi, abbiamo presentato le opportune denunce e sembra che l'autorità giudiziaria e i carabinieri stiano indagando. La storia, però, non è finita qui: presentate le denunce (una dai miei
referenti politici, che furono destinatari delle richieste in mia assenza, ed una presentata da me, con il testimone che era presente quando quella persona mi chiese il mezzo miliardo), andai dal procuratore capo e chiesi che tali denunce non finissero in mano alla DDA, perché sapevo perfettamente che ne sarebbero immediatamente venuti a conoscenza gli interessati, cioè i due pentiti, il che avrebbe messo a rischio la mia vita. Bene, queste denunce furono affidate all'Arma, non alla DDA, alla procura ordinaria, ma i pentiti sono venuti a saperlo lo stesso.
È di pochi giorni fa la ripresentazione, sempre allo stesso mio referente, dello zio dei due pentiti, il quale ha affermato che il Festa, nel momento in cui sarebbe potuto sfuggire per un attimo alla protezione, sarebbe venuto a sparare in testa a me ed al mio referente. Sono andato dal prefetto ed ho chiesto che fosse riunito il comitato di sicurezza per avere protezione: il prefetto ha riunito il comitato e mi ha riferito che questo non aveva ritenuto opportuno istituire una protezione nei confronti miei e del mio referente politico (che fra l'altro è stato anche vicepresidente della provincia di Reggio Calabria).
Ecco, si proteggono i pentiti e non si protegge un parlamentare della Repubblica! Si è creata questa situazione e, dopo anni di indagini a Catanzaro (vi aveva accennato l'onorevole Sgarbi), sulla gestione del pentito Pino si è aperta un'indagine sul sostituto Tocci. E però il danno è fatto, molta gente ha passato i guai, qualcuno si è visto accusare di mafia e si è ritrovato estorto. Queste sono situazioni che purtroppo emergeranno nel tempo: per tali ragioni invito a votare a favore della mozione, visto che non possiamo permettere che si crei una classe di pentiti con licenza di uccidere, come i vecchi agenti segreti.
Le ricordo che ha dieci minuti a disposizione.
Mi vedo pertanto costretto a prendere la parola in luogo di chi assai più degnamente di me avrebbe potuto prenderla, anche perché francamente sono rimasto sconcertato ed in alcuni frangenti ho provato un senso di sgradevolezza per le cose che sono state dette e per i concetti che sono stati espressi. Voteremo contro la mozione Maiolo e, se avevamo buone ragioni all'inizio del dibattito per farlo, ora ne abbiamo mille di più.
La mozione ci è stata spiegata assai bene, e forse il collega che meglio degli altri ce l'ha illustrata è stato l'onorevole Taradash, allorché ci ha detto che essa è necessaria perché i pentiti servono a dire il falso, per ottenere poi la licenza di uccidere. Allora, se il significato sostanziale della mozione Maiolo è questa, noi votiamo decisamente e convintamente contro: pensiamo infatti che la funzione dei pentiti sia stata fondamentale ed essenziale nella lotta alla mafia; altri non pensano questo.
Possiamo allora evocare la classica metafora del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno: per la verità, molti dei colleghi del Polo e dell'opposizione vedono il bicchiere totalmente vuoto, mentre noi lo vediamo mezzo pieno e mezzo vuoto. Certo, ci facciamo carico dei gravi problemi posti dalla gestione dei pentiti nei processi e nella storia del nostro paese, ma dall'altra parte non possiamo non riconoscere la funzione fondamentale ed essenziale dei pentiti nella lotta alla mafia (Commenti del deputato Matacena). Matacena, arriverò a parlare anche delle questioni che hai sollevato...
Allora, dico che Caselli non è un assassino, come reiteratamente e insistentemente afferma strillando il collega Matacena... il collega Sgarbi. Lo fa quotidianamente...
Voglio ricordare all'onorevole Matacena che nessuno può fare il giudice nella causa propria: il giudice faccia il giudice. Se sei o se diventi imputato, devi rispettare il tuo ruolo e ti devi difendere. Niente di più.
Signor Presidente, noi non possiamo votare a favore di questa mozione. Siamo fortemente impegnati sul piano politico, e non da oggi: chi le parla e tanti altri si occupano di questi temi e delle garanzie del processo da anni.
Noi vogliamo una nuova legislazione sul pentitismo, sui collaboranti di giustizia, sui collaboratori. Certamente. Siamo sulla stessa lunghezza d'onda del collega della lega che ha parlato in precedenza.
Oggi il nostro voto ha un significato politico: voteremo contro la mozione Maiolo.
L'onorevole Napoli ha detto che la lotta alla mafia dovrebbe riguardare tutti. È una frase giusta e felice: la lotta alla mafia riguarda tutti.
L'onorevole Mancuso ha detto che il ministro Flick avrebbe fatto bene ad essere presente. È vero: avrebbe fatto bene ad essere presente, perché avrebbe dovuto rendersi conto che in quest'aula si tentava di celebrare un processo ai giudici, un processo alla lotta alla mafia che non doveva essere considerato come un piccolo scherzo. Andava preso sul serio ed affrontato frontalmente, con tutte le responsabilità che la Repubblica ci chiede e che i cittadini ci hanno assegnato con il voto.
L'onorevole Mancuso ha detto anche un'altra cosa che mi sembra ragionevole e che voglio raccogliere: prima ancora che in veste politica ed in veste di parlamentare, in casi come questi ciascuno reagisce e partecipa dal punto di vista personale. Ebbene, come persona e come cittadino, prima ancora che come parlamentare, sono grato all'onorevole Bonito, che mi ha riportato nel Parlamento italiano dopo aver passato una mattina in un Parlamento sud-americano. Sarebbe stato considerato eccessivo perfino in un film (Applausi dei deputati dei gruppi dei democratici di sinistra-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti e di rinnovamento italiano).
Se questa fosse stata la sceneggiatura di un film, colleghi, sono certo che il produttore avrebbe chiesto di smorzare certi toni, che apparivano davvero grotteschi, ed avrebbe riveduto certe battute che apparivano davvero fuori luogo; avrebbe chiesto ad alcuni, che hanno parlato anche dal punto di vista dell'interesse personale, di farlo con più cautela, con più eleganza e smussando un po' di più i toni.
È impossibile immaginare che in questo Parlamento della Repubblica si possa inscenare un processo nel quale si dice - come ha detto la collega Parenti - che mafia ed antimafia sono la stessa cosa.
Questa mattina abbiamo capito perché magistrati come il giudice Caselli dicono di sentirsi soli. Lo abbiamo capito e conosciamo la storia della mafia che punta con particolare interesse i magistrati che si sentono soli. Noi vogliamo dire al giudice Caselli, qui, adesso, questa mattina, almeno dal punto di vista del nostro impegno e dell'impegno di tutti coloro che ci hanno eletti che essi non sono soli (Applausi dei deputati dei gruppi dei democratici di sinistra-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti, di rinnovamento italiano, misto-verdi-l'Ulivo e misto-la rete-l'Ulivo)!
Non c'è dubbio che in aula, alla fine, si è dovuto prendere atto che l'occasione offerta dall'onorevole Maiolo e dai firmatari della mozione è stata utilizzata per demonizzare questa o quella iniziativa giudiziaria, per discutere su singoli soggetti e su specifici processi e casi giudiziari, per lanciare accuse più o meno velate in direzione di abusi perpetrati attraverso i pentiti.
È la solita storia di una vicenda, quella del pentitismo all'italiana, che non riesce a decollare verso i lidi della soluzione attesa dalla nostra comunità nazionale, proprio perché ogni volta che essa viene all'attenzione si carica di significati specifici e di significati di parte.
Credo che oggi il Parlamento abbia dato, ancora una volta, ragione a coloro i quali affermano - credo fondatamente - che non si può e non si deve discutere di una vicenda importante, notevole, rilevante nella storia del nostro paese, caricandola di questi significati.
Hanno ragione, allora, tutti coloro che affermano che non si può condividere la mozione, se essa ha questa funzione dirompente, se non ha invece la funzione declamata della speranza, della prospettiva che tutto il Parlamento si faccia carico di un problema importante e cerchi di affrontarlo e di risolverlo.
È la generalizzazione che non piace, è l'insinuazione contenuta nei toni ed anche nei passaggi specifici di questa mozione, che peraltro sembra essere forzatamente una mozione. L'avrei capita meglio come interrogazione, allo scopo di comprendere cosa si voglia fare per Di Maggio; ma una mozione che abbia questi toni e in cui sia scritto che i pentiti vengono usati contro questo o quel magistrato, o da questo o quel magistrato, credo non possa essere condivisa.
Ciò detto, però, devo riconoscere che una cosa sensata è stata affermata poc'anzi qui in aula, allorché si è precisato che essa ha un merito, quello di aver posto all'attenzione del Parlamento un problema che non è più eludibile, in ordine al quale, peraltro, aggiungo che la facoltatività dell'azione penale si esalta, se è vero che le calunnie distribuite a piene mani dal pentitismo all'italiana negli ultimi anni non sono state mai - dico mai - né punite, né hanno avuto l'onore dell'inizio dell'azione penale (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Queste cose hanno un significato nella storia del nostro paese perché non è possibile, evidentemente, mettere da parte, trascurare una vicenda che riguarda direttamente non solo le nostre persone ma direi l'intera vicenda della nostra civiltà.
La lotta alla mafia non riguarda soltanto magistrati e forze di polizia che peraltro «recuperano» le prime pagine dei giornali allorché legittimamente svolgono la loro attività; non riguarda quelli che sono chiamati i professionisti dell'antimafia (se ne esistono) ma riguarda tutti e tutte le forze politiche. Riguarda anzitutto il corpo sociale; proprio l'altro giorno abbiamo appreso, avendo trovato nelle nostre caselle uno studio di gradimento al riguardo, che nel corpo sociale si è abbassato notevolmente il coefficiente di gradimento verso la magistratura e verso le forze di polizia. C'è dunque un malessere! Deve essere riacquistata la fiducia nelle istituzioni, nelle forze dell'ordine e nella magistratura, proprio ponendo mano, come diceva l'onorevole Bonito, a tutto quel vasto progetto che prevede necessariamente e in tempi brevi (e questo deve essere un impegno di tutto il Parlamento) una rivisitazione dell'intera legislazione perché finiscano percorsi ambigui, percorsi che sono misteriosamente nascosti, percorsi che non vengono portati a conoscenza di tutte le parti del processo penale, attraverso i quali si crede di poter amministrare la giustizia.
Signor Presidente, ho letto una cosa terribile nel testo dell'articolo 117 licenziato dalla Commissione bicamerale; ho letto che i cittadini hanno diritto ad avere un processo giusto. Quando un Parlamento è costretto ad affermare che il processo deve essere giusto e chiede che la giustizia del processo rifluisca nella Costituzione, è segno che c'è un grande malessere. Il processo, infatti, è giusto per definizione, non è necessario che ciò sia scritto! E se è stato scritto è segno che c'è questa malattia profonda del corpo sociale, rispetto alla quale bisogna porre attenzione e risoluzione.
Se questa mozione è da respingere per la strumentalizzazione che ne viene fatta e per i modi attraverso i quali viene esposto il concetto, tuttavia è da apprezzare per il significato più profondo che intende porre all'attenzione di tutti noi.
Credo che noi, come Parlamento italiano, dobbiamo porci il problema di una giustizia che non deve essere esercitata con le intercettazioni e con gli infiltrati che non sono pentiti e che non si pentono perché tornato al delitto. Un paese che faccia questo, o che faccia quasi esclusivamente questo, è un paese che finirà per non avere storia.
Noi popolari invece ci batteremo perché il nostro popolo abbia una storia di giustizia, di coerenza rispetto ai grandi temi della convivenza civile in ordine ai quali - concludo - ritengo che la grande sofferenza del Mezzogiorno abbia anche riferimento ad una vicenda che lo vede escluso dal momento della gestione corretta, serena, equilibrata e saggia proprio dei pentiti, del cui uso non si può fare a meno. Ma tutte le volte che si immagina che il pentito possa essere strumentalizzato e si ritiene che possa modificare, a seconda delle sue convenienze, le proprie deposizioni, ebbene tutte quelle volte si compie un attentato rispetto al nostro paese, ma - se mi è consentito dirlo - si compie anche un attentato rispetto a un Mezzogiorno che non merita una giustizia del doppio binario e che pretende di vedere giudicati tutti coloro che commettono gravi delitti o modesti delitti, alla stessa maniera a Venezia e Reggio Calabria (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo e dell'UDR).
Questa non deve essere l'occasione per fare una propaganda di parte. Se volessimo utilizzare questi argomenti per svolgere una propaganda, per fare della retorica o per mettere in piedi un rituale, sbaglieremmo.
Avremmo, quindi, preferito che il Governo avesse esposto la sua posizione in modo chiaro, anche perché, signor Presidente, signor sottosegretario, quando in quest'aula venne approvata la legge sui pentiti e vennero approvate le leggi eccezionali per la lotta alla criminalità, riscontrammo le insufficienze di alcuni percorsi e sostenemmo immediatamente la necessità di sottoporre tale legislazione ad una verifica. Ebbene, è giunto il momento di sottoporre tutta questa legislazione ad una verifica. Infatti, essa deve essere modificata ed ammodernata tenendo conto delle esigenze di civiltà e della necessità di portare avanti una reale lotta alle organizzazioni criminose esistenti nel nostro paese.
Vi è un confine molto labile tra le verità e le non verità, tra i pentiti ed i non pentiti, tra le azioni dei giudici ed i tentativi di manipolazione delle verità e delle indicazioni che vengono rese. È questo il dato sul quale richiamiamo l'attenzione del Governo e del paese.
Non vi è dubbio che vi è stato un momento importante nella lotta alla criminalità, ma oggi la mafia è realmente sradicata all'interno del nostro paese? Non vi è ancora una presenza molto forte ed inquietante di tale fenomeno? Perché non rispondere alle accuse che gli stessi magistrati stanno rivolgendo al Governo? Questa avrebbe dovuto essere l'occasione per farlo. Boemi si è dimesso da coordinatore dell'antimafia a Reggio Calabria dicendo chiaramente che a Rosarno ci sono 300 sorvegliati speciali che nessuno controlla, che nessuno condiziona. Ebbene, reputo questa una accusa da valutare perché riguarda fatti inquietanti.
Non c'è dubbio che tutta la storia del pentitismo presenti passaggi significativi, ma dovremmo fare delle valutazioni con estremo coraggio.
Non è sotto accusa Caselli e non è sotto accusa alcun magistrato. Sono sotto accusa quei magistrati, signor Presidente,
signor sottosegretario, che, su una pura indicazione proveniente dai pentiti, hanno inviato comunicazioni giudiziarie e hanno adottato misure restrittive personali. Dove è in gioco la libertà delle persone, è in gioco lo Stato di diritto ed è in gioco la civiltà del nostro paese.
Sono molteplici le situazioni che si sono determinate nel nostro paese. Forse per il grande slancio che animava qualche magistrato, si è presa per buona qualche accusa e si è andati avanti anche contro la verità e contro l'evidenza. Ebbene, in questi casi ci troviamo in presenza di violazioni di quel diritto al quale i magistrati sono sottoposti e che sono tenuti a rispettare. Questo non è un problema della maggioranza o della minoranza e l'errore che si sta facendo in questo particolare momento, in cui intere popolazioni sono soggiogate dalle organizzazioni criminose, è quello di ritenere che questa partita si possa giocare tra forze di Governo e forze di opposizione. Questo non è esatto, quindi il Governo avrebbe dovuto venire in aula per esporci quale sia la situazione del pentitismo nel nostro paese e per rendere note quali siano le conquiste conseguite per quanto attiene allo sradicamento delle organizzazioni criminali.
Signor Presidente, signor sottosegretario, credo siamo molto lontani dal conseguire qualche risultato, perché anche i pentiti molte volte hanno sfruttato la situazione per combattersi a vicenda e per scardinare le organizzazioni avversarie. Sono aspetti da valutare.
Mi auguro quindi che, dopo questo dibattito, che non può rappresentare un alibi del quale ci si serve per non prendere alcuna decisione, il Governo fornisca una risposta anche rivedendo le proprie posizioni sia sulla mozione Maiolo sia sulle risoluzioni presentate.
Con l'intervento che svolgerà ora l'onorevole Biondi si esaurirà il tempo previsto per gli interventi a titolo personale. Hanno chiesto inoltre di parlare gli onorevoli Piscitello, Fei e Matteoli; la Presidenza ritiene di poter senz'altro ampliare il tempo previsto per dare ancora tre o quattro minuti a questi colleghi che hanno chiesto di parlare, ma a questo punto dobbiamo considerare sicuramente esaurito il tempo a disposizione per gli interventi a titolo personale e quindi anche la possibilità di ulteriori richieste di intervento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Biondi. Ne ha facoltà.
Credo di essere titolato a dire qualcosa sulla mafia, essendo stato forse l'unico segretario di partito che si è messo la toga sulle spalle per andare a difendere i diritti di cittadini come il generale Dalla Chiesa e la sua consorte, uccisi dalla mafia, e che ha combattuto in tutti i gradi del giudizio affinché la responsabilità potesse essere affermata. Perciò, prendere lezioni da qualcuno che della mafia ha fatto lettura sui giornali, o appena appena nei saggi che talvolta qualche amanuense ha redatto, mi pare sia qualcosa che non corrisponde, almeno dal mio punto di vista, ad una completezza di partecipazione a questo tema.
Certo, senza i pentiti, anche il maxiprocesso non si sarebbe potuto svolgere, ma grandi magistrati che hanno pagato con la vita una scelta particolare, più intima, nella scoperta delle ragioni e delle radici della mafia, hanno diritto anche di essere difesi da qualche sopravvenuto il quale crede che su quella base sia possibile avere un'impostazione che, come ha detto Veneto, divida l'Italia, crei una sorta di diritto coloniale, abbassi il livello di garanzia dei cittadini.
Credo sia giusto riformare la legge sui pentiti. Se il Governo ha proposto qualcosa è bene che il Parlamento se ne faccia carico e sarebbe stato bene che il ministro di grazia e giustizia - qui degnamente rappresentato ma contumace in questo dibattito - avesse avuto la sensibilità di parteciparvi.
Ero lì dove ora si trova lei, signor Presidente, ed ho ascoltato il decollo, il planare e poi anche il precipitare della discussione. C'è stato un momento in cui l'interesse dei parlamentari si è acuito e molti hanno chiesto di parlare: perché? Perché ciascuno ha sentito il proprio coinvolgimento, come l'ho sentito io da lì. Credo si debba dire che su questo tema non dovrebbero esserci differenze e contrapposizioni. Dovrebbero essere assunte con animo completamente scevro da posizioni di parte decisioni conformi a quelle che Veneto ha riconosciuto essere le profonde e qualche volta inaccessibili realtà degli abissi con i quali talvolta ci si è misurati, senza poter conoscere veramente come siano avvenute le cose, come si siano pianificati gli interventi nelle camere oscure delle determinazioni dei pentiti e di quelli che si sono pentiti di essersi pentiti per essere tornati a delinquere.
Questo è il problema che c'era e che c'è, che riguarda la giustizia nel nostro paese, e che non cambia a seconda dei Governi: può migliorare o peggiorare, ma non cambia nella profondità delle sue esigenze di correzione e di cambiamento. Stamani il ministro Napolitano, persona seria, ha detto che la mafia continua a colpire. Allora la domanda è: come colpisce? Si avvale ancora di soggetti inquinanti ed inseriti, che fanno della delazione strumentale pagata un altro mezzo di affermazione di una mafia deviata, che si annida nella giustizia per trovare nell'ingiustizia una nuova via di affermazione criminosa e criminogena?
Ecco il problema dei pentiti, ecco il problema della mozione Maiolo, ecco il problema per cui il Governo, che ha detto «no» a tutti gli emendamenti, si è reso latitante rispetto alle responsabilità di un serio esame della questione.
Il collega Bonito ha affermato di essere un magistrato: ebbene, questa volta si è comportato da avvocato, ha rovesciato la causa, ha confuso l'effetto con la causa, ha determinato - mi sia consentito dirlo, anche se mi dispiace - un abbassamento del livello della discussione creando, di fronte a quella che è stata individuata come un'esigenza, una contrapposizione manichea ed ha utilizzato lo strumento retorico di ergere persone come i magistrati che lottano e che noi stimiamo, specie quando giudicano più che quando lottano; infatti, chi lotta spesso non è in grado di giudicare, chi lotta combatte e non può essere giudice. Quindi, il collega Bonito, ha levato uno scudo dietro il quale ha nascosto la ragione di una contrapposizione che ha definito politica, mentre invece purtroppo essa è partitica, partitica dalla parte sbagliata, di quelli che non vogliono vedere, che non vogliono sentire né capire (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Ieri Borrelli, oggi Caselli: due giorni di pieno tentativo di rivincita contro i magistrati di Tangentopoli e dell'antimafia, due giorni fatti anche - persino, direi - di imputati e condannati che esprimono il loro sdegno e la loro ira contro magistratura inquirente e giudicante. Non discutiamo di una mozione, come ieri non discutevamo di una Commissione: temo sia invece in atto un tentativo vero e proprio di riabilitazione di quella prima Repubblica delle tangenti e delle collusioni mafia-politica.
Ho sentito oggi la collega Maiolo dire che vi è una nuova mafia, quella dei pentiti e dei collaboranti assassini: sono indignato per questa affermazione come italiano, ma soprattutto come siciliano. La mafia che uccise Dalla Chiesa e La Torre, la mafia di Provenzano e Riina, la mafia degli omicidi e delle estorsioni, dei ricatti e delle collusioni non esiste più; secondo la collega Maiolo, il rischio vero è costituito dai pentiti gestiti dai giudici. È incredibile utilizzare i pochi abusi, che vanno puniti, per screditare ed isolare (e sappiamo, colleghi, cosa voglia dire) magistrati che rischiano la propria vita al servizio dello Stato e per cancellare l'utilità della legislazione sul pentitismo, che ha fortemente indebolito la presenza mafiosa.
Poc'anzi un collega è arrivato a gridare che l'antimafia è peggio della mafia: vergogna! Il messaggio che arriva ai servitori dello Stato, ai magistrati, alle forze di polizia è devastante! Consentitemi, allora, di utilizzare il mio intervento per ringraziare questi servitori dello Stato per il loro rischiosissimo impegno antimafia.
Il tono degli interventi di oggi, colleghi, dimostra - e lo dico soprattutto alla mia maggioranza - che non basta votare contro la mozione, occorre una svolta forte nell'impegno antimafia che dia certezze al paese e a chi è impegnato il prima linea in questi giorni e che rischia l'isolamento e la delegittimazione (Applausi dei deputati del gruppo misto-rete-l'Ulivo).
In questa occasione vorrei ricordare anche il giudice Francesco Di Maggio, che ho conosciuto e che era un amico e che, quando è morto Falcone, era al posto di quest'ultimo in missione in Sud America proprio per la lotta alla mafia ed al narcotraffico. Il giudice Di Maggio, proprio per aver sostenuto le istanze che oggi sono comprese nella mozione della collega Maiolo, è stato troppe volte minacciato di morte! Credo che anche lui oggi, se vedesse a che punto è ridotta la battaglia per la lotta alla mafia, non sarebbe certo felice di quanto stiamo facendo.
Governo e questa una maggioranza degni di fiducia da parte dei cittadini. Mi auguro che se ne accorgano (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).
Non avrei chiesto di parlare perché condividevo completamente i contenuti dell'intervento della collega Napoli. Ho chiesto la parola dopo aver ascoltato l'intervento del collega Bonito, il quale ha affermato che il ruolo dei pentiti è sempre essenziale.
Avendo fatto parte a lungo della Commissione antimafia ed avendo pure redatto una relazione di minoranza, ritengo che il problema della mafia in Italia non sia mai stato risolto perché lo si è ritenuto esclusivamente un problema di ordine giudiziario. In effetti, esso è un problema di ordine politico, e fino a quando ciò non entrerà nella mentalità di coloro i quali si occupano della questione, non si potranno trovare tutti i deterrenti e le possibilità di affrontare completamente la questione.
L'onorevole Bonito (spero di farlo con più garbo di come lo ha fatto lui polemizzando) si è soffermato sul ruolo dei pentiti. Bisogna dirci in maniera definitiva che i pentiti sono e restano dei mafiosi anche da pentiti. I pentiti, quando sono mafiosi in servizio permanente effettivo, chiedono protezione allo Stato per poter aggiustare un processo o per poter vincere una gara d'appalto; quando si pentono restano lo stesso dei mafiosi e chiedono protezione allo Stato per poter non finire in galera, così come meriterebbero. La magistratura deve allora tener conto di questi personaggi che sono i pentiti. Non nego che in alcuni casi il ruolo dei pentiti abbia portato all'arresto o alla condanna di alcuni mafiosi; ma credo che bisogna considerarlo in questo contesto più generale!
Tutto ciò mi porta a dire al collega Bonito che alle prossime elezioni politiche io tiferò per lui con la speranza che possa essere rieletto in Parlamento, perché mi preoccupa che torni a fare il magistrato (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia) un uomo che considera il ruolo dei pentiti sempre essenziale.