Seduta n. 385 del 6/7/1998

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(Discussione sulle linee generali - A.C. 4676)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che i presidenti dei gruppi parlamentari di alleanza nazionale e di forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, onorevole Soda.

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione che ho predisposto per l'Assemblea dà - almeno penso - esaurientemente conto delle ragioni che hanno portato questo relatore ed i colleghi che si riconoscono nella posizione da me rappresentata ad esprimere parere contrario su queste proposte di legge e, in particolare, sulla proposta Pisanu ed altri n. 4676, che può essere assunta come testo per la discussione.
Ho letto le relazioni di minoranza, che confermano le ragioni dei proponenti, con una dialettica rispetto alle posizioni da noi espresse, però non ho trovato motivi validi per mutare parere ed orientamento.
In particolare, le ragioni che ho indicato sono sei e sono di natura eminentemente politica, anche con qualche aspetto di valutazione della costituzionalità di alcuni profili. Mi riferisco, segnatamente, a quello che riguarda l'accertamento degli arricchimenti personali, che porta indubitabilmente a verifiche, indagini ed accertamenti su private responsabilità che invaderebbero senz'altro la sfera della giurisdizione.
Al di là di questo aspetto, a me sembra che le ragioni riproposte dalle minoranze (almeno in Commissione affari costituzionali), ovvero la necessità che accanto alla cosiddetta verità giudiziaria si acquisiscano una verità ed un giudizio storico-politico - è questa la ragione illustrata come prima motivazione per l'istituzione della Commissione di indagine da parte dell'onorevole Frattini - non siano convincenti.
È vero che l'articolo 82 della Costituzione dispone che sia possibile una Commissione di indagine, e quindi una Commissione di natura politica, su tutte le materie che abbiano rilevanza di pubblico interesse, come è certamente quella di indagine sul fenomeno della corruzione e sull'intreccio tra affari e politica, ma è altrettanto vero che l'onnicomprensività delle materie di cui all'articolo 82 della Costituzione per la prima volta si presenterebbe con il carattere peculiare di un soggetto, il mondo politico, che pretende di indagare su se stesso con gli strumenti propri dell'autorità giudiziaria. È questo l'aspetto sul quale credo che i colleghi Frattini, Cola e Giovanardi non abbiano riflettuto a sufficienza!
Un giudizio storico-politico richiede strumenti di indagine propri della storia, o della storiografia, e propri della politica: sono le analisi della società con gli strumenti di indagine dei ricercatori, con la freddezza degli storici, con la capacità di distacco che si richiede agli storici, con la lontananza nel tempo del fenomeno che si intende ricostruire ed indagare; ed è certo che il soggetto che opera ricerche di questo tipo deve essere, come si richiede ad ogni ricercatore, libero dalle passioni - anche in senso nobile -, libero dai pregiudizi, libero dalle tesi precostituite.
Orbene, nelle relazioni di minoranza (ancor di più nel dibattito che vi è stato in seno alla Commissione affari costituzionali, e in quello che vi è stato nel paese) e nelle considerazioni che i leader, o il leader del Polo, hanno riproposto come ragione forte per cui si rende necessaria questa Commissione d'indagine, c'è una motivazione assolutamente lontana e contraria a quella ragione che deve ispirare la ricerca di un giudizio storico-politico.
Così scrive Frattini nella sua relazione: «Siamo (...) di fronte ad un debito di verità perché la sola risposta giudiziaria non solo risulta inevitabilmente incompleta, ma anche istituzionalmente diversa e distante dalla comprensione del feno


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meno e dal giudizio storico-politico che tutti insieme dobbiamo concorrere a dare».
Ebbene è proprio questo ciò che io ritengo non sia possibile attraverso una Commissione d'indagine parlamentare, e non tanto perché ritengo la classe politica, le rappresentanze democratiche incapaci di elaborare valutazioni politiche ed anche valutazioni storiche, quanto perché mancano per questa valutazione tutte le condizioni - queste sì - politiche e storiche perché si possa arrivare effettivamente ad un risultato.
Quando si sostiene che una delle ragioni per istituire la Commissione è quella di ripercorrere le modalità di esercizio dell'azione penale e quindi verificare se il libero esercizio dell'azione penale sia stato dettato da scelte politiche, di convenienza politica, di aggressione verso una parte politica e di salvataggio verso un'altra parte politica, si formula e si esprime una tesi precostituita che non può condurre alla verità né storica né politica né giudiziaria. È questa motivazione che noi avvertiamo come fonte di ulteriore caduta dell'etica pubblica, come fonte di ulteriore imbarbarimento dei rapporti politici, come pericolo di interferenze nei processi in corso e non ancora definiti, come possibile profilo di illegittimità della Commissione, nel momento in cui attraverso la ricerca della modalità di esercizio dell'azione penale e della forma con la quale ha assunto l'accusa in questi processi penali, vediamo un possibile profilo di lesione della sfera autonoma della giurisdizione.
Non vedo altre ragioni per sostenere la necessità di questa Commissione.
Ciò vale anche per la seconda motivazione addotta dai colleghi, oltre a quella della ricerca di un più compiuto giudizio storico-politico; mi riferisco a quella che più direttamente farebbe rientrare la Commissione nell'alveo dell'articolo 82 della Costituzione. Si dovrebbe trattare, dunque, di una Commissione avente funzioni strettamente collegate all'esercizio della potestà legislativa delle Camere, che dovrebbe effettuare una analisi del fenomeno per ricercare le soluzioni legislative più adeguate ad affrontarne gli aspetti preoccupanti o allarmanti per la pubblica opinione e che comunque dovrebbe dare ad esso delle soluzioni.
Ebbene, credo che su questo terreno, effettivamente, sia stato fatto molto in questa legislatura sia con l'organo creato dal ministro per la funzione pubblica sia con la Commissione istituita dal Presidente della Camera sia con la Commissione speciale che ha esaminato i vari e numerosi progetti di legge per la prevenzione e la repressione della corruzione e degli altri fenomeni connessi, dagli abusi ai fatti concussivi, che hanno distorto il mercato, che hanno degradato ancor di più la nostra pubblica amministrazione, che hanno creato questo perverso intreccio tra affari e politica e via dicendo.
Queste Commissioni, questi comitati hanno elaborato un'analisi di cui si deve occupare il Parlamento per riprendere in esame tutti i temi che sono stati affrontati dal punto di vista storico, scientifico e della analisi comparata. Sono state analizzate tutta la legislazione in materia e la risposta che al fenomeno corruttivo è stata data negli Stati Uniti, in Francia, in Inghilterra, in Portogallo, in Spagna. Su questa il Parlamento italiano può incentrare la sua attenzione e fare appello alla sua capacità di valutazione per verificare quanta parte dell'esperienza straniera sia utile e sia suscettibile di essere tradotta in norme di prevenzione e di repressione della corruzione.
Vorrei dire con estrema franchezza ai miei colleghi che il popolo italiano non ha bisogno, oggi, di una ulteriore Commissione di inchiesta che dica quale sia stato il rapporto tra il sistema politico bloccato italiano ed il suo finanziamento, quale sia stato il rapporto tra una democrazia che non ha visto alternanze di classi dirigenti al Governo ed una pubblica amministrazione sempre più chiusa nel suo interno, autoalimentandosi in un rapporto privilegiato e degradato con il potere politico. Il popolo italiano non ha bisogno di ripercorrere attraverso una Commissione di inchiesta i processi che sono stati già

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celebrati o di vedere processi politici sostituirsi a processi penali. Il popolo italiano ha il diritto di vedere approvati i provvedimenti che individuano i mali, il contesto, i fattori che hanno generato e che possono continuare a generare corruzione. È su questo che, a mio parere, si devono esercitare la volontà, l'intelligenza e la capacità delle Camere.
Non ha senso riaprire delle guerre di religione, come è accaduto in questi giorni con vere, false o strumentali rivalutazioni dell'uno o dell'altro personaggio politico, che non è uscito di scena perché qualche magistrato ha pensato di farlo uscire di scena, ma perché si è verificato qualcosa di più profondo nel popolo italiano, a partire dalla liberazione delle energie che il superamento del dualismo e dei blocchi contrapposti nel pianeta ha determinato. C'è stato qualcosa di più radicale; c'è un profondo senso di repulsione verso l'appropriazione del denaro pubblico da parte di chi esercita il potere e quello politico in particolare. Vi è stato qualcosa che ha fatto gridare allarmato - l'ho richiamato - uno dei nostri padri costituenti, che ha fatto risuonare quel grido di dolore per il quale, per un certo periodo troppo lungo della nostra storia, è sembrato - ed è stato così - che le nostre comunità fossero avvolte nelle nebbie, nella notte: è da questa notte che il popolo italiano vuole uscire.

PRESIDENTE. Onorevole Soda, la avverto che lei ha parlato già per quindici minuti e che ne dispone di altrettanti per la replica.

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza. Concludo, Presidente.

GIUSEPPE CALDERISI. Vedo che hai parlato a favore della Commissione, Soda!

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza. Ti ringrazio, Calderisi: vedo che sei sempre attento e che vai sempre lontano; ti auguro di andar lontano anche questa volta.
Concludo, Presidente, richiamando tutte le ragioni che portano questo relatore e la maggioranza che ritiene di rappresentare ad esprimere parere contrario.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Frattini. Le ricordo, onorevole Frattini, che dispone di diciannove minuti per l'intervento introduttivo e per la replica.

FRANCO FRATTINI, Relatore di minoranza. Presidente, ho ascoltato - dopo aver letto le considerazioni formulate dal collega Soda nella sua relazione per la maggioranza - anche le ulteriori argomentazioni che sono state qui esposte. Anch'io ho presentato una relazione di minoranza per iscritto e quindi a quella anzitutto mi richiamo.
Francamente neanch'io riesco a convincermi - così come l'onorevole Soda non si convince delle nostre argomentazioni - del fatto che da tutto ciò che egli stesso ha ora detto derivi un apprezzamento negativo per la nostra proposta istitutiva di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della corruzione politica. A me sembrerebbe, anzi, che la logica conclusione di un percorso che è stato appena illustrato dal collega Soda come il riferimento ad una necessità - cito qualche sua parola che mi ha colpito - per il popolo italiano di uscire da un'oscurità, da una sorta di nebulosità relativa ad un periodo oscuro della nostra storia anche recente, sia che tale necessità per i cittadini possa trovare in Parlamento una risposta attraverso quello che io definisco un debito di verità. Un debito di verità che è anzitutto la rilettura, attraverso quegli strumenti che la magistratura non ha e non poteva applicare (cioè l'analisi storica e politica, la valutazione, in una parola, il processo ai fenomeni) di un periodo storico.
Ecco perché la risposta giudiziaria al fenomeno della corruzione politica non è appagante; al tempo stesso è una risposta non inficiata né intralciata da un'azione parlamentare che, ai sensi dell'articolo 82


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della nostra Costituzione, tenti di fornire una spiegazione da parte della classe politica su un fenomeno che ha riguardato la classe politica medesima. Non un processo del Parlamento a se stesso ma una rilettura di quei percorsi che hanno certamente portato alla diffusione straordinaria della corruzione politica nel nostro tessuto istituzionale ed amministrativo.
Ecco perché credo che questa sia la prima delle ragioni a favore della Commissione, senza far trasparire o intravedere alcun rischio concreto di interferenza con le indagini in corso, ovvero quelle che sono ancora in corso, perché oggi viviamo una stagione in cui dalle indagini si è passati o si sta passando ai dibattimenti. Quindi non vi è nemmeno quel rischio di interferenza con le istruttorie nella loro prima fase che, nel 1993, quando molti colleghi della sinistra chiesero ed ottennero da questa Camera l'approvazione di una identica proposta, forse c'era. Eppure questa Camera, nel pieno esplodere della prima stagione di Tangentopoli, approvò quella proposta di legge che poi, come è noto, decadde per la fine anticipata della legislatura.
Oggi quel rischio non lo vedo affatto. Come non vedo affatto il rischio, argomentato nella relazione dell'onorevole Soda, di un uso improprio della Commissione di inchiesta. Io credo che, nella storia di questo Parlamento, le Commissioni di inchiesta siano sempre state costituite ed abbiano sempre operato in settori nei quali si trattava di esplorare un fenomeno con quell'ampiezza di strumentazione che la magistratura non può e non deve avere. La magistratura deve processare fatti e deve giudicare reati; il Parlamento, in una vicenda di questo genere, che ha compromesso l'intera immagine di una classe politica all'inizio degli anni novanta, ha oggi, in qualche modo, un'occasione storica per restituire quell'immagine di autorevolezza che nasce da un'autocritica sugli errori di un passato, anche recente, che sono colpe di singoli ma impongono una trasparenza più generale.
Noi abbiamo bisogno di dire nella sede istituzionale quali siano i percorsi sbagliati del passato e quali le proposte concrete per il futuro. Non mi limito alle proposte legislative: è vero, ci sono delle Commissioni speciali e sarebbe riduttiva la nostra proposta. Intendo parlare, invece, di una seria, trasparente autocritica su ciò che è avvenuto, sul perché è avvenuto, su che cosa la classe politica debba fare perché la stagione della corruzione non torni mai più. Ecco che, in questo senso, non mi sento né appagato né tranquillizzato dalle molte risposte che alcuni autori hanno dato in saggi e in volumi. La risposta bibliografica, la risposta mediatica non ci bastano, perché si tratta di risposte ancora una volta parziali e, soprattutto - tendo a sottolinearlo ancora -, che non vengono nella sede istituzionale. La sede istituzionale per la rilettura di una pagina nera della classe politica è il Parlamento, è il luogo dove la classe politica opera al suo massimo livello e per questo l'articolo 82 della Costituzione, che - diciamolo francamente - è stato utilizzato per la costituzione di Commissioni di inchiesta di tutt'altro peso e di tutt'altra rilevanza, oggi trova una ragione di applicazione quasi di scuola, quasi esemplare. La ragione che, d'altronde - lo sottolineo solo per un debito di chiarezza -, tutte le forze politiche dovrebbero avere è restituire verità storica, politica ad un paese che, effettivamente, attende una chiarezza maggiore su questi fenomeni. E parlo di tutte le forze politiche perché credo che non soltanto le minoranze, cioè le forze dell'attuale opposizione parlamentare, ma anche alcune componenti della maggioranza abbiano compreso - e, direi, ben compreso - come questa Commissione di inchiesta possa essere estremamente importante per la dignità e per la responsabilità di tutto il Parlamento.
Nel momento in cui i socialisti, che sono nell'Ulivo e che sostengono il Governo e fanno parte della maggioranza che noi contrastiamo, comprendono ed apprezzano positivamente l'istituzione di una tale Commissione d'inchiesta, credo sia chiaro che emerge un ulteriore elemento a ragione della nostra proposta.

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Non è una proposta dell'opposizione, è una proposta che tutte le forze politiche democratiche dovrebbero condividere, per un'ulteriore ed ultima ragione: la stessa ragione - lo dico aprendo una parentesi, mi credano i colleghi, assolutamente non polemica - per cui, non solo due legislature fa all'inizio del 1993, ma anche all'inizio di questa legislatura, il 13 maggio del 1996, due autorevoli esponenti della maggioranza (gli onorevoli Siniscalchi e Pecoraro Scanio) hanno riproposto in questa legislatura una proposta di legge istitutiva che è quasi del tutto analoga alla nostra. Infatti, le ragioni che in quella relazione di accompagnamento sono esplicitate, sono le nostre: le condividiamo! Ecco perché credo che non si tratti di una proposta dell'opposizione; ma di una proposta formulata e raccomandata dall'opposizione al voto di tutta l'Assemblea. Credo che sia un'occasione importante, a cui tutte le forze politiche che hanno a cuore un dibattito serio che potrebbe essere svolto sull'etica della politica, sulla cultura della responsabilità, non dovrebbero rinunciare. Non mi basta l'osservazione che alcuni colleghi della sinistra fanno secondo la quale si rischierebbe un avvelenamento del clima politico. Mi sembra che uno strumento è giusto o non è giusto in quanto tale, non perché si tema il suo affidamento in mani - per così dire - spericolate!
Non credo che il Parlamento avrebbe la difficoltà a trovare una composizione autorevole, serena ed altamente istituzionale per rileggere gli ultimi anni della storia della corruzione politica.
Non credo, in conclusione, che le preoccupazioni dell'onorevole Soda siano decisive perché una Commissione di questo genere potrebbe fare molto bene a quel clima di fiducia che noi auspichiamo che la classe politica dovrebbe saper dimostrare nei confronti dei cittadini; di quei cittadini che ritengono purtroppo che la classe politica sia ancora delegittimata: siccome io, in questa fase della mia vita, appartengo alla classe politica di questo paese, non mi sento né ricattato né ricattabile - come ha detto qualcuno - e vorrei tutta la verità in quest'aula (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Cola.

SERGIO COLA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, carissimi colleghi, avevo giudicato inaspettata ed incomprensibile la presa di posizione dell'onorevole Soda e dei rappresentanti della maggioranza nel momento in cui, nella Commissione affari costituzionali, avevano espresso una «prognosi» negativa sull'istituzione della Commissione di inchiesta. Non posso che ribadire ora tale valutazione dopo aver letto la relazione scritta dell'onorevole Soda e dopo aver ascoltato quella orale, in questa sede, qualche minuto fa.
Vorrei ribadire alcuni concetti e svolgere una premessa a questo mio breve intervento, che naturalmente non è altro che una specificazione della relazione scritta da me già presentata.
Ritengo che sia fuor di dubbio che l'aspettativa degli italiani abbia un significato particolare, di carattere morale, giuridico e politico di intravedere e di individuare le finalità che si prefiggono le proposte di legge in esame. Ritengo inoltre che individuare le cause che hanno determinato il diffondersi della corruzione avrebbe il significato, per la classe politica, di voler dare una risposta ad un'opinione pubblica che la richiede in modo inquietante ed inquieta; ad un'opinione pubblica turbata e quasi rassegnata e danneggiata dagli effetti della corruzione. È un'opinione pubblica che si aspetta che i politici riprendano la funzione di cui sono espressione e che i cittadini italiani, nel momento in cui tale funzione dovesse essere messa in discussione dal rigetto di una proposta del genere, non farebbero altro che aumentare le proprie perplessità sulla trasparenza della classe politica.
Mi pare che questa valutazione non possa assolutamente non essere fatta anche in ordine alla ricerca delle cause del finanziamento illecito dei partiti, che pure è stato oggetto specifico delle proposte di


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legge in esame; proposte di legge che - come è stato già rilevato dall'onorevole Frattini - non provengono solo dall'opposizione ma anche da autorevoli esponenti della maggioranza, come Boselli, Pecoraro Scanio e Siniscalchi.
Nel momento in cui mi appresto ad esporre in modo sintetico le ragioni a sostegno di una «prognosi» favorevole, desidero riprendere in esame le valutazioni fatte, in modo corretto e abilissimo, dall'onorevole Soda. Non si può non dare atto che un compito così difficile ed arduo non poteva che essere assegnato all'onorevole Soda, il quale, ripeto, in modo abilissimo ha cercato di porre riparo ad una presa di posizione che non potrà assolutamente trovare consenso da parte dell'opinione pubblica, proprio per le finalità che si prefigge la proposta di legge.
Voglio esordire dicendo che non vedo assolutamente una possibilità di conflitto di giurisdizione in relazione all'esatta applicazione dei principi di cui all'articolo 82 della Costituzione. Ritengo, anzi, che ci troviamo di fronte all'ipotesi classica, all'esempio scolastico dell'applicazione dell'articolo 82, se questo ha come finalità di perseguire un interesse pubblico. E quale interesse pubblico maggiore vi è se non quello di scoprire le cause, le modalità della corruzione? Ritengo che il ragionamento dell'onorevole Cola sia contraddittorio almeno in riferimento al fatto. Egli, infatti, ha affermato che ormai siamo al di fuori di un determinato tipo di logica, che il bipolarismo ha fatto sì che si sia verificata una sorta di catarsi, per cui i politici sono assolutamente al di fuori di ogni sospetto, almeno quelli attuali. Ed allora non vedo per quale motivo non si debba, in questo contesto, naturalmente non correndo i rischi rappresentati dall'onorevole Soda, non indagare sulle cause, sulle modalità e sulle forme di corruzione.
L'onorevole Soda, poi, nella sua lunga relazione, ha posto l'accento su sei argomenti. Il primo è costituito dalla indeterminatezza della materia dell'inchiesta. Egli si esprime testualmente in questo modo: «L'inchiesta proposta, per la sua vastità temporale (...), per l'illimitatezza del suo contenuto (...), per l'indeterminatezza e la confusione nella definizione dei fenomeni da esplorare (...), è tale da non poter essere considerata materia utilmente e proficuamente oggetto di inchiesta politico-parlamentare».
Ritengo che l'onorevole Soda, ancorché molto abile, sia incorso in una confusione. Egli ha parlato di illimitatezza e di indeterminatezza di un fenomeno che a mio modo di vedere andava definito in maniera diversa: l'estrema diffusione, quasi a livello fisiologico, della corruzione negli anni ottanta. E noi, a fronte di questo tipo di constatazione, cioè che la corruzione era un fenomeno diffuso - e non so se a tutt'oggi sia stato estirpato dalla cultura degli italiani, forse di alcuni politici sì, ma dei cittadini certamente no - a fronte della constatazione di una diffusione così estesa, ripeto, noi politici non abbiamo il dovere di indagare sulle cause, per poi predisporre gli strumenti legislativi idonei a porre riparo a siffatto fenomeno? L'indeterminatezza e la limitatezza del fenomeno ci devono indurre ad essere ancora più fermi e decisi nell'individuare le cause della corruzione.
Non mi soffermerò sull'altro argomento che è stato già trattato. Per la verità l'imbarbarimento della politica attraverso contrasti di carattere personale ha caratterizzato forse gli ultimi tre o quattro anni della vita politica italiana, quando tutto è stato personalizzato. Ed ora in modo contraddittorio vogliamo dire che ci sarebbe pericolo di imbarbarimento della vita politica italiana? Certamente no, non starò qui a fare polemica, forse perché rappresento un partito che è assolutamente al di fuori da ogni logica di corruzione.
Sta di fatto, però, che da osservatore politico, da deputato della Repubblica, ho assistito in questi quattro anni ad una forma di imbarbarimento che certamente non veniva dall'opposizione attuale, ma da quella di allora, la maggioranza di oggi.
L'onorevole Soda si è soffermato su un altro aspetto, ossia l'improprietà dell'inchiesta parlamentare ai fini della ricerca

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storica. Ho ascoltato con attenzione il suo intervento in sede di Commissione affari costituzionali. Egli ha detto che non vi è stata sufficiente sedimentazione storica per consentire un intervento da parte del Parlamento. Ma come, onorevole Soda, ci troviamo di fronte ad un fenomeno così diffuso e dobbiamo aspettare per intervenire ancora dieci o vent'anni, facendo sì che i suoi effetti divengano ancora più prorompenti e deleteri? Proprio l'attualità o la quasi attualità di un determinato fenomeno, che ritengo sia divenuto purtroppo fisiologico negli italiani, ci deve indurre ad intervenire subito. Quale sedimentazione storica, allora? Se dovessimo intervenire tra trenta o quarant'anni, non avrebbe più senso farlo, o avrebbe un senso diverso, in quanto ciò si innesterebbe su una realtà completamente trasformata proprio dal proliferare di quei fenomeni.
Noi politici faremmo inoltre la figura di non saper esercitare la nostra funzione né riappropriarci di essa, funzione da cui siamo stati esautorati da un potere diverso da quello politico - diciamo la verità -, dal potere giudiziario. Anche questa, secondo me, è una ragione importantissima per la quale abbiamo il dovere di percorrere questa strada.
Un'altra questione è quella dell'inutilità della Commissione di inchiesta, nei termini di cui si è detto. Onorevole Soda, lei ha fatto riferimento ad una Commissione istituita dal ministro Bassanini il 7 novembre 1996 che non aveva come finalità l'individuazione delle cause della corruzione, ma tutt'altri scopi e che poi ha dato la stura, per la verità, a provvedimenti legislativi che non condividiamo assolutamente, non fosse che per quel famoso maxiemendamento che è stato il presupposto per porre la questione di fiducia.
Lei poi ha fatto riferimento ad un comitato fantasma poco noto, che nessuno conosceva. Sono d'accordo: l'attività di questo comitato che, tra l'altro, non ritengo sia l'espressione di una volontà del Parlamento, non ha sortito alcun effetto. Lei ha parlato, infine, della Commissione speciale per l'esame dei progetti di legge anticorruzione, il cui presidente è qui, ma credo che la logica avrebbe richiesto tutt'altro tipo di metodo, ossia l'individuazione prima delle cause della corruzione, attraverso una Commissione d'inchiesta, per poi dare avvio ai provvedimenti legislativi. Si è invece usato un metodo completamente diverso: non conosciamo le cause, perciò facciamo le leggi anticorruzione. Questo è un discorso che non può essere assolutamente condiviso.
Infine (usufruirò di qualche minuto del tempo concessomi per la replica), onorevole Soda, vengo all'argomento più importante, l'interferenza con l'eventuale istituzione di una Commissione d'inchiesta dei procedimenti penali ancora in corso. Potrei dire a questo riguardo che all'inizio del 1993 l'istituzione di una Commissione, da voi sollecitata, è stata approvata all'unanimità dal Parlamento quando - lo ricordava poco fa l'onorevole Mancuso - si era appena provveduto all'iscrizione nel registro generale degli indagati di coloro che erano sottoposti ad investigazione; forse si era realizzato qualche arresto «scenico», ma non si era andati al di là di questo e, quindi, vi era una possibilità enorme di interferenza. Da allora sono passati circa sei anni, siamo a metà del 1998 e quei processi, in cui ritengo possa condensarsi l'1, 2 per cento dell'effettiva attività di corruzione in Italia fra gli anni 1988 e 1992, sono in fase avanzatissima, alcuni sono già divenuti cosa giudicata, altri sono in sede d'appello, mentre quelli più «freschi» sono già giunti al dibattimento e la maggior parte di essi ha trovato soluzione con una sentenza di primo grado. A questo punto, dovremmo preoccuparci di indagare su che cosa?

FILIPPO MANCUSO. Sui processi che non si sono fatti!

SERGIO COLA, Relatore di minoranza. Su reati e su attività che vanno dal 1974 al 1988: cioè, in relazione ad ipotesi di reato che, nella migliore delle ipotesi, sarebbero già prescritti, per il decorso del termine ordinario. Sono infatti passati dieci anni e non si è verificata fino a


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questo momento, in relazione a fatti ancora ignoti, una causa interruttiva della prescrizione, ragion per cui effettivamente il rilievo dell'onorevole Soda è un fuor d'opera, tanto più considerate alcune sue affermazioni - e l'onorevole Calderisi ha giustamente subito stigmatizzato il suo intervento -: se non vi è nulla da indagare sui politici di oggi, a maggior ragione abbiamo il sacrosanto dovere di indagare sul passato, per cercare gli strumenti legislativi onde operare.
In proposito, ritorna il riferimento fatto due secondi fa dall'onorevole Mancuso. Io l'ho già detto in Commissione affari costituzionali: onorevole Soda, è il caso o no di indagare sulle ragioni per cui magistrati tanto solerti dal 1992 in poi, fino al 1992 non hanno mai esercitato l'azione penale, non hanno mai iscritto chicchessia nel registro degli indagati o, se lo hanno fatto, si sono fermati, senza pervenire a provvedimenti di qualsiasi natura? Si è mai indagato su queste anomalie gravissime, che tra l'altro sono state denunciate dai mezzi di informazione in maniera molto decisa? Intendo riferirmi ai famosi incarichi extragiudiziari, ai famosi lodi arbitrali che, neanche a farlo apposta, in un determinato contesto storico venivano assegnati a magistrati illustri che dirigevano posti strategici nelle più grandi città.
Non abbiamo il sacrosanto dovere di indagare su tutto questo, perché poi si arrivi a proposte modificative? Dobbiamo soffermarci o no, onorevole Soda, su un concetto di obbligatorietà dell'azione penale che è diventato solamente un principio che sta nel codice di rito e nella Costituzione e che, invece, viene violato sistematicamente? Qualcuno dice in malafede, io dico, invece, nella più perfetta buonafede, a causa del proliferare dei processi, per cui non si è in condizione di andare avanti ed il pubblico ministero è costretto ad operare delle scelte: electa una via, non datur recursus ad alteram, perché non c'è la possibilità di indagare, si dice, per mancanza di mezzi. Dobbiamo valutare tutto questo, o no? Dobbiamo far sì che la politica dica la sua, si riappropri di se stessa e che i politici esplichino effettivamente le funzioni cui sono deputati, oppure i politici devono essere silenti ed inerti di fronte a tutto ciò e consentire un'invasione di poteri, un'invasione pericolosissima, che è stata da voi tante volte denunciata, specialmente negli ultimi tempi? Mi pare che questo sia estremamente doveroso: e come porlo in essere? Forse attraverso i discorsi che facciamo qui, oppure attraverso un'analisi approfondita del fenomeno della corruzione, soprattutto, io ritengo, negli anni passati?
A queste ragioni si aggiunge un altro rilievo: lei, onorevole Soda, nell'ultima circostanza, a sostegno della sua prognosi negativa, ha fatto riferimento al pericolo della strumentalizzazione dei fatti e delle notizie acquisite nel corso dell'inchiesta parlamentare ai fini della lotta politica. Questa è una boutade nel vero senso della parola, perché contraddice quanto da lei detto in precedenza circa l'affidabilità dei politici: siamo noi che ci critichiamo a tal punto da mettere in dubbio la nostra affidabilità nel mantenere il segreto. No, io ritengo che i cittadini, l'opinione pubblica, gli italiani, dopo la tempesta che si è abbattuta sulla nostra nazione negli ultimi anni, si aspettino una risposta dalla classe politica. Questa risposta non potremo che averla attraverso l'istituzione di una Commissione d'inchiesta per individuare le cause, le forme e le modalità della corruzione. Forse solo in questo modo avremo riparato, ritengo in modo anche parziale, agli errori, ai danni che abbiamo prodotto attraverso la nostra inerzia.
Non sono responsabile di quello che è avvenuto sicuramente fino al 1994. Ma dal 1994 al 1998 abbiamo troppo parlato, mai agito. Questo è il momento della verità. Il Governo e le forze di maggioranza che lo sostengono devono rendersi conto che una loro posizione contraria non potrà che avere riverberi negativi, ancor più negativi, sull'intera classe politica. Ed è per questa ragione che noi insistiamo nel sostenere l'istituzione della Commissione d'inchiesta sulla corruzione.

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PRESIDENTE. Avverto che l'onorevole Giovanardi, relatore di minoranza, si riserva di intervenire in sede di replica.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIORGIO BOGI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Desidero invitare i colleghi iscritti a parlare ad attenersi ai tempi.
Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Anedda. Ne ha facoltà.

GIAN FRANCO ANEDDA. Non ripeterò che la contrarietà dei partiti di sinistra alla costituzione della Commissione d'inchiesta è sospetta e strumentale. Mi affido a quanto sostenuto dallo stesso relatore, a conclusione della relazione scritta, quando afferma «questa maggioranza non teme le inchieste ed i processi». Rimane la domanda: se non si ha paura, perché non si vuole lo strumento? È però una domanda retorica.
In politica è lecito cambiare opinione. Potrei dire con un paradosso che la politica è l'arte di cambiare opinione, e gli episodi di questi ultimi anni hanno dimostrato che il Parlamento è largamente popolato da artisti. Mi limiterò, quindi, a indicare alcuni motivi che impongono, od imporrebbero, la costituzione della Commissione ed a rivelare la labilità delle ragioni di coloro che vi si oppongono.
Perché una Commissione d'inchiesta? Perché si è trattato e si tratta anche e soprattutto di corruzione politica, che nella politica ha trovato terreno fertile e strumento. E la politica, avvertita anche se non rigenerata, deve conoscere per rimediare, e per rimediare deve studiare. Farlo spetta alla politica ed al Parlamento perché la magistratura - vale a dire l'indagine penale - che ha scoperto, ha indagato, ha giudicato, ha condannato vede soltanto un aspetto, per l'appunto quello penale, quello giudiziario, per fermarsi là dove il comportamento censurabile non rientra nel paradigma penale. E ciò con due conseguenze: da un lato, il tentativo di ampliare - ha scarsa importanza se in buona o in mala fede - anche attraverso l'interpretazione estensiva delle norme, l'ambito delle indagini penali. È sufficiente ricordare quanto è accaduto per l'applicazione della norma sull'abuso d'ufficio, quanto accade e quanto si discute sulla interpretazione e l'applicazione dell'articolo 2621 del codice civile, relativo al falso in bilancio; quanto è accaduto per le forzature in termini di concorso di persone nel reato laddove, abbandonati i principi di diritto, si è giunti a tentare di dare la prova della responsabilità attraverso l'asserire «non poteva non sapere».
L'altra conseguenza è che la ricerca, lasciata ai giudici, delle violazioni non delle leggi ma della virtù, così da esprimere una valutazione penale della correttezza e un giudizio etico-politico del comportamento, ha portato ad un debordare dell'azione. Si tratta di percorsi diversi ma entrambi per l'appunto debordanti. E se quanto mi sono permesso di dire è vero e che sia vero è unanimemente riconosciuto, la necessità di una indagine parlamentare affiora compiutamente, perché il Parlamento ha l'obbligo e il dovere di indagare per rivelare ciò che non è stato rivelato, per esaminare ciò che è indispensabile conoscere, per comprendere, per arginare gli effetti, tentare di impedire la corruzione che - come pare sia e come sappiamo - dilaga e prosegue.
Si oppongono a questi argomenti due considerazioni. Non mi riferisco soltanto alle considerazioni svolte nella relazione scritta, la cui abilità non riesce a celare la labilità. Si dice: occorre non interferire nelle indagini della magistratura con un'indagine parallela e collaterale di natura politica. Lascio il tema dell'interferenza, che merita un più ampio dibattito. Osservo che, se fosse esatto, dovremmo bloccare la Commissione antimafia, non avremmo dovuto indagare sulla loggia P2 e sulle stragi: è sufficiente riferirsi al testo della legge istitutiva della Commissione antimafia, laddove si parla di «criminalità»


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ed è sufficiente osservare altre istituzioni di Commissione per vedere che il riferimento ai delitti è continuo.
Non vi è interferenza, perché diverse sono le finalità: l'una accerta i reati ai fini della repressione, della individuazione delle colpe; la Commissione indaga sui comportamenti che investono la correttezza politica, l'intreccio tra politica ed economia, l'influenza e le pressioni esercitate o subite dalla politica. Potranno emergere reati oltre quelli accertati dalla magistratura: su questi indagherà la magistratura. Questa è la ragione stessa della sua vita.
Ma si dice: la Commissione non intende indagare sulla corruzione, bensì sul comportamento dei magistrati - il processo ai giudici - e quindi è inopportuna e illegittima. Tralascio il concetto di opportunità: troppo vago, troppo generico, non consente un dibattito sereno, perché troppo influenzabile da preconcetti o da preformate convinzioni. Noi la riteniamo opportuna, anzi doverosa.
Ma illecita? E perché mai? Difficile è negare al Parlamento il diritto di indagare su un'altra istituzione. L'indagine non è censura. Dialetticamente, potrei dire che ha timore dell'indagine solo chi ha timore del risultato. Ma se guardiamo ai risultati dell'indagine penale, noi ci troviamo di fronte a numeri sconcertanti: 4.293 illeciti, tra corruzione, concussione e illecito finanziamento; 2.516 richieste di rinvio a giudizio; solo 652 condanne, 186 assoluzioni e il resto è silenzio. Troppo grande il divario perché il Parlamento taccia e sul divario dovrebbero meditare coloro che si oppongono, per soffermarsi sul sommerso, su ciò che non si è scoperto, su ciò che è doveroso scoprire.
E poiché il discorso è rivolto a coloro che si oppongono, io concludo - credo, nel rispetto dei tempi - con una dedica: cari colleghi che voterete contro, con immutata stima (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boselli. Ne ha facoltà.

ENRICO BOSELLI. Signor Presidente, il relatore per la maggioranza non ha preso in esame la proposta di legge presentata dai deputati socialisti democratici per una ragione tecnica: è stata presentata solo il 15 giugno scorso. È quindi necessario spiegare le ragioni di questa iniziativa, di una scelta che ci vede su posizioni diverse rispetto al resto della maggioranza di Governo. Ovviamente la cosa non ci provoca alcun piacere, tuttavia credo si tratti di una diversità necessaria, proprio per le ragioni che ci hanno indotto a presentare la proposta che la Commissione non ha potuto esaminare e che mi auguro l'aula potrà prendere in esame.
La nostra proposta si pone un obiettivo semplice, chiaro e credo tutt'altro che scorretto: riflettere con serietà sugli anni di Tangentopoli e sulle ragioni che hanno portato l'intero sistema politico ad esplodere quando l'opinione pubblica si ribellò di fronte ad un modo di finanziare i partiti illegalmente, illecitamente e diede il via ad una reazione che poi ha prodotto la crisi degli anni 1992, 1993 e 1994. Si tratta di una riflessione seria sulle ragioni di questa crisi, sui motivi per cui la politica andò incontro a questo collasso e sulle ragioni per cui soltanto allora si arrivò da parte dell'autorità giudiziaria e dei poteri diffusi nel paese a prendere atto di questa realtà. È il tentativo di svolgere una riflessione che metta il Parlamento in condizione di impedire che la realtà che abbiamo conosciuto in quegli anni si riproponga in futuro.
Da parte nostra - e mi rivolgo al relatore per la maggioranza ed ai colleghi del centrosinistra - non c'è alcuna intenzione di cancellare responsabilità, colpe, reati e addirittura processi attraverso questa Commissione di inchiesta. Se ci sono - come ci sono state - grandi responsabilità anche individuali, esse vanno perseguite: la giustizia deve fare il proprio corso ed i processi si devono svolgere. Non c'è da parte nostra alcuna volontà di condizionare in qualche modo l'attività della magistratura inquirente, che sta


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svolgendo i processi (perché ormai le indagini in larga parte si sono concluse).
D'altra parte, onorevole Soda, questo mi pare un dubbio non rilevante, perché i partiti del Polo (alleanza nazionale e forza Italia) in quegli anni - se non ricordo male - sono stati i principali sostenitori dell'attività della magistratura italiana nella lotta contro la corruzione ed il finanziamento illegale della politica. I colleghi di alleanza nazionale, per esempio, rivendicano ancora oggi questo merito. Quindi il pregiudizio nei confronti del Polo e l'idea che il Polo sostenga la Commissione d'inchiesta per condizionare o per paralizzare l'attività della magistratura francamente non mi sembrano accettabili e convincenti.
Devo dire che non mi sembra convincente neanche l'altra motivazione, secondo cui non vi sarebbe la serenità per sviluppare in questa sede, cioè nel Parlamento, un giudizio storico-politico. Ma un giudizio di questa natura sugli anni di Tangentopoli è già stato pronunciato più o meno da tutti. Qualche giorno fa insieme con i colleghi ho presentato al Governo - e specificamente al ministro Berlinguer - un'interpellanza per denunciare che nei libri di testo adottati nelle scuole medie pubbliche vi è un giudizio storico-politico a dir poco impressionante sugli anni di Tangentopoli, sui partiti che hanno fatto nascere la nostra democrazia, sulle istituzioni e sul sistema democratico. È il modo in cui educhiamo i nostri studenti nelle scuole pubbliche - mi auguro che restino così per un lungo periodo di tempo -, sulla base di un'analisi e di un lavoro svolto dal Governo e dalle sue commissioni di studio.
Il giudizio storico-politico su quegli anni è stato distribuito a piene mani da tutti e credo sia davvero inaccettabile l'idea che soltanto questo Parlamento non possa esprimerlo.
Quanto al problema del rapporto con l'attività della magistratura, ho già detto che, se su questo vi è un dubbio, non ci appartiene, e non credo appartenga ai deputati di forza Italia e di alleanza nazionale. Penso che, se questo è il dubbio del resto della maggioranza, quello cioè di non accettare l'idea della Commissione d'inchiesta, si possano trovare, con emendamenti specifici da presentare ai diversi testi, le soluzioni per impedire che si ricada in questo rischio.
Non vedo un conflitto con le inchieste giudiziarie. Vedo piuttosto il contrario. Nei mesi scorsi abbiamo assistito a dichiarazioni sorprendenti di pubblici ministeri in servizio, o che hanno lasciato il servizio da qualche mese per approdare - qualcuno - anche nelle aule parlamentari, nelle quali non si parla della classe politica della prima Repubblica, ma si lascia a mezza bocca, con mezze verità, pensare a questi partiti e a questa classe politica, nei cui confronti si comincia a dire e si fa balenare l'idea di una sorta di grande ricatto. Non ricordo le parole del dottor Colombo, ma in un'intervista molto importante al principale quotidiano italiano diceva che la bicamerale era nata per ragioni di un grande ricatto o perché vi era il sospetto di un grande ricatto che doveva gravare su questa classe politica.
Non possiamo consentirci che questi sospetti avvelenino la vita pubblica, questa legislatura, questi partiti (non quelli di cinque o sei anni fa).
Penso che queste siano le ragioni che ci portano, tutte e tutte insieme, ad esprimere un giudizio contrario sulla posizione assunta oggi dal collega Soda, che d'altra parte stimiamo e consideriamo valente parlamentare e fine giurista.
Credo vi siano tutte le ragioni politiche perché il Parlamento repubblicano faccia nascere una Commissione d'inchiesta su quegli anni e lo faccia per capire le ragioni per le quali la prima Repubblica, il vecchio sistema dei partiti si è infranto di fronte all'impopolarità e per impedire che questo si riproponga...

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Boselli: lei è andato al di là del tempo a sua disposizione.

ENRICO BOSELLI. La ringrazio, Presidente.
Come dicevo, sarebbe un modo anche per impedire che si riproponga in futuro.


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Questo è il motivo per il quale anche noi abbiamo apposto la nostra firma alle richieste di istituire la Commissione di indagine e ci riconosciamo nelle argomentazioni addotte dal collega Frattini (Applausi dei deputati del gruppo misto-socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calderisi. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CALDERISI. Presidente, signor ministro, colleghi, sono rimasto molto colpito, negativamente, dall'atteggiamento contrario che una parte della maggioranza - non tutta, per fortuna, anche se una parte prevalente e, in particolare, i democratici di sinistra - ha assunto nei confronti delle proposte di istituzione di una Commissione di inchiesta.
Si tratta di proposte che, come è stato ricordato, non sono solo dell'opposizione e del Polo. Ve ne sono infatti due significative presentate da deputati della maggioranza: da Siniscalchi e Pecoraro Scanio una e da Boselli e dagli altri colleghi socialisti l'altra.
Sinceramente è un atteggiamento che ritengo sbagliato e molto grave. Mi sarei aspettato un comportamento diverso: collaborazione per l'istituzione della Commissione ed apporto costruttivo, anche se critico, per la definizione di una Commissione d'inchiesta sui fenomeni di corruzione e di degenerazione del sistema politico.
Non una delle ragioni che sono state addotte oggi per contrastare l'istituzione di tale Commissione risulta a mio avviso valida.
Voglio dire che un'opposizione di questo tipo mi ricorda, per certi aspetti, quella che veniva fatta ai tempi della cosiddetta prima Repubblica. Un ostracismo, devo dire, così forte ed una resistenza di questo tipo li ricordo, se non sbaglio, soltanto in occasione dell'esame delle proposte di istituire una Commissione d'inchiesta sui fondi neri dell'IRI. Solo in quell'occasione, infatti, da parte della maggioranza di allora vi fu un'analoga resistenza. Ma c'è una differenza che rende molto più grave il caso in questione; siamo infatti passati ad un sia pure difettoso bipolarismo, siamo passati a nuove regole ed abbiamo approvato riforme regolamentari che hanno attribuito consistenti poteri al Governo e alla maggioranza in ordine all'esame dei provvedimenti del Governo e della maggioranza a fronte di nuovi diritti relativamente ai poteri delle opposizioni. Ebbene, tra questi diritti vi dovrebbe essere quello di poter non solo discutere ma anche ottenere, come per il caso in esame, l'istituzione di Commissioni d'inchiesta che rispondono appunto ad esigenze di ricerca della verità.
C'è dunque un'aggravante: il rifiuto da parte dei democratici di sinistra e della maggioranza di istituire questa Commissione. Vorrei tra l'altro ricordare che in questa Commissione l'opposizione non avrebbe comunque la maggioranza e che nelle deliberazioni la maggioranza disporrebbe della maggioranza! Dunque la paura che si ha nei confronti di tale Commissione è scarsamente motivata e giustificata ed anzi rende particolarmente grave il rifiuto di istituirla soprattutto con riferimento alle nuove prerogative e ai nuovi poteri che dovrebbero essere assegnati ed attribuiti ai gruppi di opposizione in Parlamento.
Sinceramente, come stavo dicendo, non c'è neanche una delle motivazioni che qui sono state addotte che sembri plausibile e tale da giustificare un atteggiamento contrario di questa natura. Con ciò intendo riferirmi al dibattito che si è svolto in Commissione, alla relazione dell'onorevole Soda nonché agli altri interventi che ho ascoltato. Sinceramente non riesco a capire. Alcuni, in Commissione (in particolare l'onorevole Pistelli), hanno negato che quello in oggetto sia un fenomeno storico-politico-sociale di particolare rilievo. Accidenti! Se questo non è un fenomeno di particolare rilievo non capisco allora per quali ragioni siano state istituite Commissioni d'inchiesta su questioni molto spesso meno importanti di quella in oggetto!


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Se non procediamo ad un accertamento della verità sui fenomeni di corruzione e di degenerazione del nostro sistema politico complessivamente considerato, anche con riferimento a fattispecie che non necessariamente assumono una rilevanza penale, e su una questione come è quella di Tangentopoli, mi chiedo allora quando mai si dovrebbe istituire una Commissione d'inchiesta!

FILIPPO MANCUSO. Quella dell'Irpinia com'era?!

GIUSEPPE CALDERISI. Abbiamo istituito Commissioni d'inchiesta su fatti molto gravi. Anche qui è già stato ricordato come la questione dell'interferenza con l'opera della magistratura sinceramente non possa essere presa come una motivazione che sarebbe veramente risibile.
Lo stesso relatore ha ricordato che abbiamo avuto decine di Commissioni d'inchiesta su fatti che sono stati oggetto di indagine da parte della magistratura. Ricordo le vicende dell'Irpinia, della P2, della mafia, delle stragi, del caso Moro, di Ustica e di Sindona; sicuramente ne dimentico molte altre. Ebbene, in tutte queste circostanze si verificava una possibilità di interferenza. Ma evidentemente sono diversi i compiti che ha il Parlamento rispetto a quelli della magistratura!
Su un fenomeno del genere la magistratura non può fare altro che indagini settoriali, mirate e puntuali: è questo il compito della magistratura anche quando questo intervento fosse stato fatto (e a mio giudizio forse non lo è stato) con un'esplorazione a 360 gradi. Diverso è comunque il compito della magistratura rispetto a quello del Parlamento, di una Commissione d'inchiesta che deve avere il suo fondamento in un'indagine di natura storico-politica oltre che nell'individuazione dei rimedi per questi fenomeni.
Dunque sicuramente non c'è un rischio di interferenza tra questi due aspetti; vi è allora da chiedersi quali siano i motivi di questa così intransigente opposizione. Io mi auguro che ci sia un cambiamento, anche se ciò mi sembra molto difficile. Ad ogni modo, io ancora mi auguro che ci sia un ripensamento da parte della maggioranza, dei democratici di sinistra e dei popolari rispetto alla istituzione della Commissione. Se non vi sarà tale cambiamento di atteggiamento, occorrerà interrogarci sulle ragioni di una simile posizione. È una domanda che ci si pone quando vengono avanzati dubbi sugli scheletri nell'armadio, sui ricatti. Il collega Boselli, poco fa, ha ricordato gli interventi del pubblico ministero Gherardo Colombo a tale riguardo. Sono sinceramente questioni inquietanti ed anche al fine di evitare interrogativi inquietanti come questi sarebbe necessario un diverso atteggiamento della sinistra e della maggioranza in ordine a tale questione.
Si sostiene inoltre che tale Commissione rappresenterebbe un imbarbarimento della dialettica politica. Ebbene, non condivido questa obiezione ed anzi ritengo debba essere ribaltata. Infatti, mi sembra un uso distorto e di parte della ricostruzione storica. Se vogliamo creare un nuovo sistema politico, se vogliamo ricostruire il futuro di questo paese, non possiamo far altro se non fondare ciò sulla ricerca della verità del nostro passato. Non ci possiamo limitare ad indagini di studiosi. Perché dovremmo affidare l'indagine storica soltanto agli studiosi e agli storici?

GIORGIO REBUFFA. Neanche tanto bravi.

GIUSEPPE CALDERISI. Come dice il collega Rebuffa, spesso questi non sono neanche tanto bravi, ma ad ogni modo potrebbero essere in misura rilevante egemonizzati da una parte politica. Comunque, perché dovremmo sottrarci, come Parlamento, al compito di svolgere una ricostruzione storico-politica di un fenomeno di tale natura e di tale entità? Perché dovremmo delegare tale compito soltanto agli studiosi? Certo, questi devono svolgere la loro funzione, ma è pur vero che questa non può essere assolta


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soltanto da studiosi. Dunque, il Parlamento non si può sottrarre alle sue responsabilità e deve svolgere una indagine.
Si parla tanto di recupero del primato della politica da parte dei partiti, ma come si può pensare di recuperare tale primato, come si può pensare di recuperare un rapporto di fiducia fra i cittadini e le istituzioni senza svolgere una analisi che faccia davvero i conti con il passato sulle vicende che hanno caratterizzato la storia del nostro paese? Ciò deve essere fatto da tutti, quindi anche dei democratici di sinistra.
Caro collega Soda, non basta il riferimento al consociativismo. Certo, il consociativismo è alle origini e sta alla base dei fenomeni di corruzione che si sono verificati, come si dice al terzo punto della relazione del collega Soda, ma ciò significa entrare nel merito e dare già una impostazione ai lavori che dovranno essere svolti. Ma questo dovrà essere uno dei compiti della istituenda Commissione di inchiesta e un simile argomento non può essere addotto come giustificazione per non istituirla. Infatti, bisognerebbe valutare prioritariamente cosa abbia significato esattamente il sistema consociativo, quali responsabilità esso abbia configurato. Qualcuno ha parlato di responsabilità diseguali; il collega Corsini in Commissione ha fatto riferimento ad una diversa responsabilità dei partiti di maggioranza rispetto a quelli di opposizione. Non so se le cose stiano così, ma ciò dovrebbe essere oggetto della valutazione della Commissione. Tali considerazioni non possono motivare, lo ripeto, la decisione di non istituire la Commissione stessa.
Quindi, l'intero fenomeno va esplorato nella sua concretezza. Vorrei fare un solo esempio perché non è il caso di esplicitare le funzioni della Commissione di inchiesta mentre se ne sta discutendo l'istituzione. Sembra che il fenomeno della corruzione, in particolare di quella legata agli appalti pubblici, sia nato soltanto a metà o alla fine degli anni ottanta. Lo sanno anche le pietre in questo paese quale sia stata la storia della degenerazione degli appalti pubblici. Anche le pietre sanno che quanto meno questo fenomeno è cominciato a metà degli anni settanta, quando Bernabei era presidente dell'Italstat, nel 1975, e si è fatto il grande patto di tripartizione degli appalti pubblici. Le cooperative rosse, «discriminate» fino ad allora perché lavoravano soltanto nelle regioni rosse e nei paesi dell'est, furono ammesse alla «torta» nazionale e non solo nazionale; quel patto di tripartizione vedeva tendenzialmente un terzo degli appalti dato alla FIAT, un terzo all'Italstat ed un terzo alle cooperative rosse.
Questo è stato detto da molti. Ricordo un'intervista di De Mita al Corriere della Sera, quando si doveva discutere di un procedimento davanti alla Commissione inquirente che interessava Andreotti (credo si fosse nel 1984): De Mita, di fronte al rischio che il PCI votasse a favore della sottoposizione di Andreotti al giudizio dell'inquirente, minacciò di rivelare tutto sulle cooperative rosse. Non ho con me la pagina del Corriere della Sera, ma si tratta di un fatto notorio.
Ricordo di aver personalmente svolto indagini sulle leggi approvate dalla regione siciliana in materia di contabilità pubblica sugli appalti: furono sei leggi che, alla fine degli anni settanta, praticamente abolirono tutte le norme di controllo, a monte ed a valle, sugli appalti pubblici; tutte leggi approvate assolutamente all'unanimità.
Il fenomeno si è ripetuto adottando in via generalizzata le normative che erano state varate in via eccezionale per far fronte alle esigenze collegate al terremoto della Campania; ciò ha costituito motivo di degrado.
Ho dato solo qualche «pennellata», perché non posso effettuare una ricostruzione in questa sede, né penso di essere l'unico capace di fornire elementi al riguardo, elementi che del resto sono notori, pubblicati da tutti i giornali e conosciuti da tutti gli italiani che non avessero - scusate l'espressione - il prosciutto sugli occhi e che vedessero in quale situazione ci si trovasse.

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Come radicale credo di aver presentato decine di denunce che, non a caso, non venivano neanche prese in considerazione dalla magistratura; sinceramente, credo che anche questo dovrebbe essere oggetto di una valutazione storico-politica sul perché si sia verificato anche questo fenomeno che riguardava i rapporti tra magistratura e potere politico.
Tutto ciò dovrebbe essere oggetto di indagine. Dovremmo compiere un'opera di verità, di ricostruzione delle vicende avvenute in questo paese. Sono profondamente e negativamente colpito dall'atteggiamento dei democratici di sinistra: è un non voler fare i conti con la propria storia e ritengo sia un fatto di particolare gravità, non solo e non tanto nei rapporti con l'opposizione ma rispetto al paese. Penso che il paese sia rimasto molto deluso dal funzionamento dell'attuale e molto carente sistema bipolare, che dobbiamo perfezionare e rendere effettivamente tale, come avviene in tutte le grandi democrazie europee e non. Se vogliamo fare strada e costruire il nostro futuro, dobbiamo basarci su un'opera di verità e di ricostruzione della vicenda politica italiana.
Non è con l'uso della ricostruzione storica a fini di parte - cui ancora purtroppo assistiamo - che è possibile costruire un futuro per questo paese. Mi auguro quindi che possa esservi un ripensamento e che si tenti di collaborare per allestire nel modo più adeguato possibile una valida Commissione d'inchiesta e che non ci sia un atteggiamento di assoluto diniego delle ragioni che sostengono la necessità, a mio avviso assolutamente inderogabile, di istituire tale Commissione, che tra l'altro tutto il Parlamento, all'unanimità, aveva approvato già nel 1993 (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armaroli. Ne ha facoltà.

PAOLO ARMAROLI. Signor Presidente, signor ministro Bogi, isolati colleghi, si dice che solo gli imbecilli non cambiano mai opinione; se ciò rispondesse al vero, dovremmo concludere che l'Ulivo è popolato di geni.
Difatti il centro-sinistra è un po' come il Chianti: quel che conta è l'annata. Nella fattispecie, il vino propinato dal centro-sinistra è cattivo negli anni pari e buono negli anni dispari; oggi, nell'anno di grazia 1998, oppone un rotondo «no» alla Commissione di inchiesta parlamentare sulla corruzione politica, ma il 7 luglio 1993, anno dispari, l'Assemblea di Montecitorio approvò a larghissima maggioranza - per la cronaca, 380 «sì» e soltanto 4 astensioni - un testo unificato di varie proposte di legge intese alla istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla corruzione politica nella quale il centro-sinistra è assai ben rappresentato. Vi compaiono, infatti, i nomi di Rutelli, di Bargone, di Testa, di Imposimato, di Giannotti e tanti altri, oltre al popolare Lusetti, al verde Boato ed altri ancora. Nella veste di monsieur de Lapalisse il Presidente Luciano Violante, interpellato il 1o luglio scorso al riguardo, ha affermato: «Se ci sarà una maggioranza, passerà la Commissione; altrimenti no. Perché queste sono le regole della democrazia».
Mi permetta, il Presidente Violante, di dissentire non dalla prima affermazione ma dalla seconda. Come è arcinoto, la Costituzione tedesca, all'articolo 44, prevede che le inchieste parlamentari possano essere attivate da una consistente minoranza parlamentare, cioè da un quarto del Bundestag; una disposizione del genere fa parte di quello statuto dell'opposizione che, come regola codificata o in via di prassi, accomuna un po' tutte le democrazie maggioritarie. Orbene, a differenza di quella tedesca, la nostra Costituzione repubblicana del 1948 non contiene, all'articolo 82, una tale disposizione; anche se essa è stata ventilata più volte ed è stata inserita, se ben ricordo, nel progetto di riforma costituzionale predisposto dalla Commissione bicamerale ora ibernata.
Ma se questo è vero è altrettanto vero, onorevole Soda, che nel senso che ho indicato si è affermata nell'ordinamento


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italiano una sorta di convenzione costituzionale e le convenzioni costituzionali, come è risaputo, valgono assai di più delle semplici prassi e sono di più delle prassi consolidate. Difatti, sulle principali inchieste parlamentari sollecitate dal PCI, ossia dal principale partito di opposizione, la maggioranza non ha mai opposto un pregiudiziale rifiuto. Mi limito ad enumerarne le più significative: da quella su Fiumicino a quella sulla P2, dal caso Moro all'affare Sindona, dall'antimafia alla Commissione sulle stragi, a quelle sull'AIMA, sulla cooperazione ed altre ancora.
Ora esaminiamo rapidamente le motivazioni del fronte del «no». L'immaginifico presidente del gruppo dei democratici di sinistra, onorevole Mussi, ha detto: «Siamo contrari»; come un bravo di don Rodrigo ci ha detto che questa inchiesta non s'ha da fare. «Siamo contrari» - dice l'onorevole Mussi - «perché sarebbe un'inchiesta non su Tangentopoli ma sui giudici. Ci prenderebbero per matti»; e aggiunge all'obiezione che nel 1993 la pensava diversamente: «Era un'altra cosa. Eravamo all'inizio dei processi. L'idea era di fare una valutazione del rapporto tra politica e affari. Oggi, come ha detto lo stesso Berlusconi, sarebbe un trucco per processare i giudici. Si sono scoperte troppe cose che non si sapevano». Affermazioni in larga misura ampiamente gratuite.
E veniamo al vicesegretario del partito popolare, Dario Franceschini, il quale si è così espresso: «Qui si intende fare un'operazione politica improponibile, che è quella del Parlamento che giudica i giudici; io penso che i due piani vadano assolutamente distinti». Il vicesegretario del partito popolare Franceschini è la stessa persona - non si tratta di un sosia - che qualche giorno fa ha fatto la seguente affermazione: «Il partito popolare ha fatto bene a votare per la costituzionalità della proposta di legge sulla procreazione medicalmente assistita perché altro è la costituzionalità del provvedimento, altro è il merito». Si dà il caso che la proposta di legge sulla procreazione medicalmente assistita faccia a pugni con un numero cospicuo di articoli della Carta costituzionale!
Aggiungo che l'onorevole Soda, sia nella sua relazione sia in Commissione, si è così espresso: «Una commissione di inchiesta su Tangentopoli risponderebbe strumentalmente ai soli fini della lotta politica, comportando un rischio di un imbarbarimento della vita politica italiana». Onorevole Soda, dirò forse un po' brutalmente che due più due fa quattro, ma non mi risulta che l'accertamento delle responsabilità politiche equivalga ad un imbarbarimento della politica: semmai, è un'operazione per fare chiarezza sulla medesima cosa! Mi consenta poi di notare la «ciliegina» che ella ha messo sulla torta quando, nella sua relazione orale, ha detto «no» all'istituzione della Commissione di inchiesta «perché sarebbe assurdo che il mondo politico facesse un'inchiesta sullo stesso mondo politico». Si dà il caso, onorevole Soda, che questo Parlamento non sia una ciurma di corrotti! Quando quindi ella dice, come equivalente, «il mondo politico che fa un'inchiesta sullo stesso mondo politico», fa un'affermazione non vera, perché qui l'inchiesta è sulla corruzione e non su tutto il mondo politico, almeno per quello di oggi (Applausi del deputato Mancuso).

FILIPPO MANCUSO. Questo è bello!

PAOLO ARMAROLI. A questo punto, debbo dare una rassegna - non so quanto tempo mi rimanga - delle ragioni che invece militano...

PRESIDENTE. Poco!

PAOLO ARMAROLI. Grazie, signor Presidente, lei è sempre molto buono.

PRESIDENTE. Se la prenda col tempo e non con me...

PAOLO ARMAROLI. Concludo, allora, non richiamando le ragioni del nostro voto favorevole, anche se il «sì» dell'onorevole Boselli mi fa ben sperare perché


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non c'è una contrapposizione netta tra maggioranza ed opposizione, ma elementi della maggioranza o «zone grigie» come, per esempio, il gruppo dell'UDR che, dopo le dichiarazioni del senatore Cossiga, possono votare a favore di questa proposta dell'opposizione, ma non solo dell'opposizione.
Dedico la parte finale del mio intervento, come una carineria, al ministro per i rapporti con il Parlamento, onorevole Bogi, il quale, in un'intervista apparsa su Il Secolo XIX del 27 giugno, ha fatto delle dichiarazioni incoraggianti dal mio punto di vista. Egli si è così espresso: «La commissione su Tangentopoli? Non diciamo un no pregiudiziale». È quindi un'affermazione ben diversa da quella fatta dall'onorevole Soda.
Egli ha però aggiunto le seguenti considerazioni: «Se non nasce da ragioni strumentali, se ne può discutere». Mi chiedo ora chi giudicherà se le ragioni siano o meno strumentali! Ella, signor ministro, la compagine ministeriale nel suo complesso o una sfera di cristallo interrogata? Non lo so!

GIORGIO BOGI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. In politica non esiste l'assoluto!

PAOLO ARMAROLI. No, d'accordo, ma io ritengo, visto che a pensar male si fa peccato ma si indovina, che ella scioglierà i suoi dubbi e le sue riserve con un «no», quindi allineandosi totalmente con la maggioranza e con l'onorevole Soda!

GIORGIO BOGI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Le previsioni sono a suo rischio!

PAOLO ARMAROLI. Il punto interrogativo finale - e concludo, signor Presidente - è il seguente: c'è qualcuno che ha paura di qualcosa (Commenti del deputato Soda)?

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Orlando. Ne ha facoltà.

FEDERICO ORLANDO. Signor Presidente, signor ministro, colleghi, il mio «no» all'inchiesta parlamentare proposta dagli onorevoli Pisanu, Frattini ed altri su Tangentopoli o, più realisticamente, sui magistrati che hanno osato e ancora osano inquisire politici, imprenditori ed altri comprimari di Tangentopoli, l'ho già motivato in Commissione affari costituzionali anche a nome di rinnovamento italiano e ora lo ribadisco in quest'aula. È un «no» politico, anche se condivido gli argomenti giuridici illustrati dal relatore per la maggioranza, onorevole Soda, che hanno rafforzato quasi tutto l'Ulivo nella decisione di dire questo attesissimo «no» al revanscismo del Polo in materia di giustizia. Così come condivido l'accenno del relatore di alleanza nazionale, onorevole Cola, alla necessità di rimuovere incarichi extragiudiziali - lodi, collaudi, arbitrati - che hanno corrotto non pochi magistrati, favorendo la Tangentopoli degli anni ottanta.
Un «no», il mio, che non disconosce l'esigenza di veder chiaro in certi meccanismi del potere giudiziario; di veder chiaro in certe azioni ed omissioni di magistrati che appaiono inquietanti non meno di quanto lo siano comportamenti, omissioni, collusioni e contiguità del potere politico; di veder chiaro in certe inadeguatezze strutturali che rendono impossibile ai magistrati, per esempio, di perseguire tutti i reati, sicché politici pur cauti e saggi, come il Presidente Violante, ipotizzano l'affidamento ad un'autorità politica dell'individuazione dei reati da perseguire prioritariamente. Ma così si delude la speranza dei cittadini di veder perseguiti tutti i reati in nome di una legge uguale per tutti.
Io sono liberale, quindi non faccio processi alle intenzioni; non dirò, pertanto, che una parte del Polo vuole l'inchiesta soltanto perché spera di dimostrare che indagini, processi e sentenze di Mani pulite furono condizionati e deformati dai ricordati meccanismi perversi del potere giudiziario e soprattutto dall'uso perverso di meccanismi corretti da parte di magistrati faziosi, politicizzati o demagoghi,


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interessati a confondere tra finanziamento illecito della politica e corruzione.
Quando sento invocare questa inchiesta in una sede di partito in cui una confraternita non proprio di figlie di Maria propone di glorificare chi è stato ritenuto colpevole in tutti i gradi di giudizio, allora non posso non confermarmi nella convinzione di fondo che la lotta ai mali del potere giudiziario - si tratti delle requisitorie giacobine alla Colombo, o delle sentenze-cavillo alla Carnevale - potrà essere combattuta dal potere politico solo quando la classe politica non sarà sospettabile di voler conseguire, attraverso quella lotta, nuove impunità per se stessa, anziché più giustizia per i cittadini senza nome.
Perciò oggi la lotta alla malagiustizia, io, irriducibile parlamentarista, mi sento di farla tranquillamente soltanto se promossa dai cittadini, cioè attraverso i referendum, come quello proposto dai radicali sulla responsabilità civile dei giudici. Già ne indicemmo uno analogo dieci anni fa e lo vincemmo, ma poi la classe politica scrisse leggi che svuotarono il risultato referendario, conservando di fatto l'impunità ai magistrati per i loro errori e doli, comprandone così l'acquiescenza e il favore che sono durati finché è scoppiata l'eresia di Mani pulite, eresia che i controriformisti vogliono estirpare affinché si torni all'acquiescenza e al favore dei giudici verso i potenti.
Ma, lo dico ai colleghi della maggioranza, come la volontà popolare espressa in un referendum fu tradita dalla prima Repubblica, analogo tradimento della volontà popolare, espressa in elezioni politiche, avverrebbe ora se concedessimo un'inchiesta che ha le potenzialità per risolversi in una vendetta contro la parte non acquiescente della magistratura.
Il 21 aprile 1996 gli elettori premiarono l'Ulivo che prometteva di ricostruire l'Italia nella cultura della legalità e sconfissero il Polo che aveva dato troppa voce ad una certa borghesia che in Italia e soltanto in Italia, da due secoli, confonde la religione del guadagno con la religione della libertà ed usa la cultura dell'illegalità come cemento di un blocco sociale conservatore e dei suoi occasionali referenti politici. Tuttavia, la vittoria della cultura della legalità sulla cultura degli interessi il 21 aprile non ha generato una politica univoca della maggioranza parlamentare e del suo Governo. Il desiderio legittimo di creare un paese normale si è lasciato sopraffare, a mio giudizio, dal revanchismo degli interessi di un paese anormale, un paese non liberaldemocratico; l'Italia privilegiata, corporativa, intellettualmente violenta, l'Italia che non ci piace, per dirla con Gobetti, Amendola e Einaudi.
Certo, i concetti di giusto e ingiusto sono problematici e noi non siamo dogmatici, né in nome della fede, né in nome della ragione. Ha scritto Felix Oppenheim: «Possiamo in verità dimostrare che una determinata azione o norma è giusta o ingiusta, ma solo in termini di un determinato standard di giustizia».
E allora, colleghi, se lo standard è quello della giustizia differenziata per classi, della giustizia dei potenti giudicabili solo dai propri pari, la giustizia di Mani pulite certamente è stata ingiusta. Ma noi rifiutiamo quello standard e perciò, a parte i possibili errori di singoli magistrati, riteniamo giusta la giustizia di Mani pulite e ne facciamo uno dei mattoni fondamentali del rinnovamento italiano.
L'Ulivo avrebbe dovuto dire «grazie» ai magistrati che hanno osato uscire fuori dagli incarichi extragiudiziari e dai conseguenti, numerosi «porti delle nebbie» del paese anormale, addossandosi anormali responsabilità e ricorrendo forse anche a supplenze che nello Stato ideale liberaldemocratico, che è nei nostri pensieri, sono anormali.
Avremmo dovuto dire «grazie» a quei magistrati, caro onorevole Soda, e porre termine alla loro anormale supplenza ricostruendo da una cultura di centro-sinistra quello Stato di diritto che non abbiamo avuto in Italia né nel regno censitario, né nella dittatura fascista, né nella Repubblica partitocratica.

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Questo, anche questo, chiedevano a noi dell'Ulivo i cittadini che ci hanno dato la vittoria elettorale. E invece noi abbiamo dato ai cittadini alcune riforme garantiste, sì, ma in astratto, perché nella realtà di un paese anormale esse danno vigore non allo Stato di diritto, ma all'eversione. Quindi gli eversori e non i cittadini rispettosi della legge sono usciti rafforzati dal nostro garantismo, garantismo che non ha liberato la magistratura dalle sue anormalità, ma l'ha soltanto resa impotente in un paese che resta anormale.
Su questo piano la politica dell'Ulivo ci ha dato alcune delusioni. Oggi, dopo la bicamerale, cadute o congelate le speranze di una normalità conquistata anche a spese di un autentico e perciò non indolore cambiamento morale e istituzionale, noi dell'Ulivo finalmente ci troviamo riuniti quasi tutti a dire «no» a questa inchiesta parlamentare. Un «no» necessario e sofferto: «no» necessario perché nell'attuale, perdurante anormalità italiana l'inchiesta equivarrebbe ad autorizzare qualche politico a farsi giudice dei suoi giudici, inquisitore dei suoi inquisitori; «no» sofferto perché la magistratura, come la dirigenza amministrativa, come la Banca centrale o la Borsa, come gli apparati di sicurezza, e così via, costituisce una di quelle aree di protezione istituzionale della libertà che, se si inquinano, avvelenano tutto e tutti. Sicché sarebbe diritto-dovere della classe politica che, come espressione della sovranità, deve garantire tutto e tutti contro gli inquinamenti, assicurare anche con inchieste parlamentari, oltre che con leggi e regolamenti, che gli inquinamenti non si verifichino. Ho detto «sarebbe» diritto; diritto di una classe politica che lo avesse meritato, e non solo posseduto per convenzione costituzionale, una classe al di sopra del sospetto: noi non lo siamo, colleghi, perché non abbiamo mantenuto interamente il patto con i cittadini di fare una seconda Repubblica, un'Italia diversa da quella di Tangentopoli che, piaccia o non piaccia al Polo, non è l'Italia di magistrati faziosi, ma di alcuni politici ed imprenditori corrotti. Certo, dobbiamo fare le leggi per impedire ai giudici di distorcere la loro funzione, privatizzandola: ma possiamo farle noi, mi domando, dopo aver privatizzato a nostra volta la nostra funzione, chiudendoci, per esempio, nel campo trincerato dell'articolo 68 della Costituzione sull'immunità parlamentare? Non basta. Da una parte, tendiamo a far credere ed a credere noi stessi che Tangentopoli sia stata un'esasperazione, un grumo di illegalità di magistrati intrecciate a quelle degli inquisiti; dall'altra parte, mettiamo il rallentatore ai nostri tentativi migliori di cambiamento, dalle leggi Bassanini alle leggi anticorruzione della Commissione Meloni. Basterebbe percorrere fino in fondo questo binario per ottenere anche ciò che l'inchiesta su Tangentopoli formalmente dichiara di volere. Con le leggi Bassanini e con la Commissione anticorruzione questa legislatura, che pure ha troppo concesso al revanchismo, ha fatto qualcosa di più che creare un osservatorio parlamentare sui fenomeni di corruzione, che l'onorevole Frattini ha auspicato in Commissione affari costituzionali quasi come effetto permanente dell'inchiesta da lui proposta. Ha creato, invece, strumenti operativi contro la corruzione, compresa quella dei magistrati. Credo che solo andando fino in fondo su questi binari, esposti a sabotaggi, arriveremo a rimuovere un po' di quello Stato che è al tempo stesso troppo presente e troppo inefficiente, come lo definisce Davigo, e che è l'esatto riflesso di una società civile al tempo stesso troppo giustizialista e troppo utilitarista. Non l'urlo della folla né la vendetta del potere rimedieranno a queste malattie profonde dell'anima italiana, ma solo una politica di salde convinzioni e volontà, come quelle che ci hanno portato in Europa, perché solo convinzioni e volontà consentono a governi e parlamenti di fare e far rispettare da tutti le buone leggi, come le ultime che ho ricordato: un rispetto che vuol dire riconoscimento della legalità come valore costitutivo della democrazia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pecoraro Scanio.


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ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, colleghi, mi ritrovo, ovviamente, «in allegato» alla proposta di legge n. 4676 Pisanu ed altri, considerata di riferimento...

ELIO VITO. Sei «abbinato»!

ALFONSO PECORARO SCANIO. Abbinato, esatto. Ritrovo, dicevo, abbinata a queste la proposta di legge n. 784, firmata da me e dal collega Siniscalchi, presentata il 13 maggio 1996. Tale mia proposta, in realtà, riprendeva il provvedimento n. 2080 che io, insieme a molti colleghi, avevo presentato il 29 dicembre 1992. Quella proposta, nonostante qualche difficoltà, fu poi approvata, con 380 voti favorevoli, solo 4 astenuti e nessun contrario, nella seduta del 7 luglio 1993. Successivamente, soprattutto grazie alla latente opposizione - che io all'epoca denunciai, come fu pubblicato dai giornali - di alcuni esponenti democristiani e socialisti, fu sostanzialmente bloccata e paralizzata al Senato, tant'è vero che di questa Commissione d'inchiesta, votata - devo dire - dalla Camera dei deputati, non se ne fece più nulla. Devo anche dire che all'epoca Craxi era deputato. E nonostante adesso invochi con grande energia una Commissione d'inchiesta, allora nulla fu fatto malgrado i nostri appelli per ottenere la costituzione di questa Commissione parlamentare, che nasceva da un'esigenza semplice, cioè dal fatto che al 29 dicembre 1992 c'erano già circa 1.200 amministratori locali e parlamentari indagati per reati di corruzione e perciò sembrava giusto non lasciare esclusivamente nelle mani della magistratura, vale a dire all'azione penale che è di per sé personale, l'analisi di un fenomeno che assumeva caratteristiche sociali di particolare rilievo. L'obiettivo era quello di accertare gli illeciti arricchimenti conseguiti dai titolari delle cariche elettive e direttive nonché la conseguente formulazione - e cito testualmente - di proposte per la devoluzione allo Stato dei patrimoni di non giustificata provenienza e la repressione delle associazioni a delinquere di tipo politico; ovvero la verifica se non i partiti in quanto tali ma alcune correnti di certi e singoli partiti non avessero una configurazione di vera e propria associazione a delinquere. Questo era l'obiettivo.
Successivamente, in piena epoca Berlusconi, il 30 maggio del 1994, ho presentato una proposta analoga - A.C. n. 624 sottoscritto anche dai colleghi Ayala, Barbieri, Bergamo, Bielli ed altri perché anche in questa occasione numerosi colleghi avevano firmato la proposta, così come era accaduto per la precedente - ed ho tentato più volte di ottenere che fosse quanto meno messa in discussione in Commissione. Non è successo nulla. Quindi anche il collega Berlusconi, che oggi giustamente invoca come elemento fondamentale, determinante, rilevante, centrale questa Commissione parlamentare, nel momento in cui era Presidente del Consiglio, quando il centro-destra guidava le sorti del nostro paese, ovviamente di questa cosa non solo non si fece garante, ma di fatto non manifestò - ricordo che all'epoca la Camera era presieduta da una collega allora e oggi non più del centro-destra - alcuna volontà di costituire la Commissione d'inchiesta sulla corruzione.
Anche nel caso attuale, fino alla presentazione della proposta di legge dei colleghi Pisanu e Frattini, avvenuta il 17 marzo del 1998, non c'era stata alcuna particolare e rilevante avvisaglia - mentre noi pure questa volta esperivamo un altro tentativo assieme al collega Siniscalchi e non altri perché ho evitato di raccogliere altre adesioni considerato che sembrava francamente difficile reperire disponibilità su una Commissione che indagasse sulla corruzione dei politici e non sui magistrati che indagano sui politici - circa la volontà di fare qualcosa di concreto. Come ho detto, così è stato finché non è stata presentata la proposta Pisanu e Frattini, collega che peraltro stimo. Quest'ultima in parte copia alcuni pezzi della nostra, quindi nulla da dire quanto meno in astratto. Oggi però si affaccia un elemento fondamentale perché politico. Non dobbiamo dimenticare che questo è un Parlamento


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e non un bar dello sport, anche se a volte gli somiglia molto ed è anche peggio; tendenzialmente comunque cerca di essere un Parlamento dove si fa polemica.
Ed allora, qual è la motivazione con la quale viene portata avanti - e conseguentemente ci si chiede un voto - la proposta che nasce dai colleghi di forza Italia? Consiste essenzialmente in un dubbio sulla cosiddetta criminalità giudiziaria, pubblicamente dichiarato dal collega Berlusconi il quale teorizza che bisogna istituire la Commissione d'inchiesta per verificare cosa abbiano fatto i giudici. Questo lo ha detto dappertutto, e tutti ce ne siamo accorti perché non viviamo in una campana di vetro ma, vivaddio, in una società aperta. L'impostazione di fondo resta giusta nel principio. Un Parlamento, su un grave fenomeno quale quello della corruzione presunta, sulla base del noto principio della presunzione di innocenza, di molti esponenti locali e nazionali dei partiti, ha probabilmente il dovere, anzi, mi correggo: ha sicuramente il dovere di istituire una Commissione d'inchiesta. Non c'è dubbio. Come ho detto poc'anzi, ci ha anche provato.
Ci è andato vicino nel 1993; non è riuscito nemmeno a tentarlo nel 1994. Oggi si arriva a un'ipotesi del genere, ma secondo una dichiarata volontà politica di indagare per vedere che cosa hanno fatto i giudici; volontà dichiarata dappertutto da quelle stesse forze politiche, dai loro leader. È totalmente diverso dall'ispirazione che ci aveva mosso, che era quella degli illeciti arricchimenti conseguiti da titolari di funzioni pubbliche e di cariche politiche, con la finalità di evitare possibilmente la soluzione carceraria, probabilmente l'unica praticabile in questo paese, per andare verso provvedimenti di tipo patrimoniale. Devo dire con molta franchezza che anche sulla vicenda di Berlusconi, indagato in molte inchieste, sarei molto addolorato se ci fossero condanne al carcere, mentre riterrei molto giusti interventi di tipo patrimoniale, ove fosse accertata un'eventuale responsabilità. Quindi, voglio dire chiaramente che io sono contrario al carcere, non credo sia la soluzione. Noi abbiamo un armamentario giuridico in materia di reati patrimoniali che è arcaico, perché prevede a volte pene assurde, enormi, sproporzionate, mentre non si riesce ad intervenire, con maggiore facilità, con tutta una serie di provvedimenti di tipo patrimoniale, che sarebbero utili. L'obiettivo di questa legge, fin dall'inizio, dichiaratamente, era la confisca, era quello di facilitare i meccanismi di confisca degli illeciti arricchimenti, applicandoli anche alla classe politica. Una cosa che tentò Conso quando era ministro, però, purtroppo, costruendo male il provvedimento, cioè la introduzione del reato di illecito arricchimento. In quel caso fu sbagliato il riferimento ad un provvedimento come, se non sbaglio, il rinvio a giudizio, che poteva essere poi revocato. Ma era valido il concetto, nei confronti di chi va a ricoprire una carica pubblica, sia un funzionario, e quindi anche i magistrati, sia un politico. Infatti, quella proposta di legge mirava a indagare anche sui magistrati, ma in quanto partecipi di comitati d'affari nella prima Repubblica che di fatto hanno bloccato gli interventi della magistratura, che obiettivamente per anni è stata acquiescente rispetto alla corruzione.
Quindi, la volontà di quella proposta di legge, che io presentai già nel 1992, era diversa da quella che viene dichiarata oggi pubblicamente da Berlusconi, in quanto addirittura pone questa Commissione come una precondizione per riaprire, almeno così è scritto sui giornali, il dibattito sulla bicamerale. È chiaro quindi che la mia posizione personale, ma anche quella dei verdi e degli altri che firmarono la mia proposta di legge, è quella di votare «no» alla istituzione di una Commissione di inchiesta con questo clima, con questa finalità. Siamo ben consapevoli, peraltro, che se anche, alla fine, si riuscisse a «estorcere» l'avvio di questa Commissione, francamente ho l'impressione che i proponenti non resterebbero molto contenti, perché non è detto che il meccanismo della Commissione di inchiesta andrebbe esattamente nella direzione di

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vedere sul banco degli accusati Borrelli, Caselli, Cordova o altri, ma anzi è probabile che i primi a dover andare a deporre sarebbero molti degli stessi esponenti delle forze politiche che la sostengono, compreso De Michelis e i reduci di una parte - fortunatamente, solo una parte - del partito socialista, che nei giorni scorsi hanno tenuto addirittura una specie di revival all'insegna della Commissione d'inchiesta. Una Commissione richiesta anche da Craxi che, invece di venire a rispondere alla giustizia italiana, la giustizia del suo paese, chiede una Commissione d'inchiesta al nostro Parlamento, ma quando era deputato nulla fece per farla istituire, perché evidentemente non gli interessava fare l'inchiesta allora. Dopo di che, se ci fosse la possibilità di fare un patto e dire a Craxi «aiutaci a chiarire una serie di situazioni italiane, vieni qui, poi resti libero e consegni solo una parte dei patrimoni che eventualmente sei riuscito ad accumulare», sarei anche favorevole, non ho questa mania.
Però, oggi dobbiamo ragionare su una Commissione di fatto su Mani pulite e non sulla corruzione, che non è finalizzata a studiare come introdurre una serie di normative che riducano i fenomeni di malcostume politico, che poi esistono anche nella cosiddetta seconda Repubblica (anzi, in molti casi sappiamo che non sono più i politici, ma i funzionari e la burocrazia a rubare a volte, senza nemmeno più la quota parte che spettava alla politica), perché certamente il fenomeno del malcostume non è scomparso. Quindi l'esigenza c'è.
La Commissione anticorruzione, competente in materia, ha varato specifiche proposte di legge, ma è stato difficilissimo portarle avanti: non capisco quando quei testi saranno elaborati anche dal Senato. Una serie di misure sono già pronte; su di esse occorrerebbe lavorare. Ripresenterò una proposta per verificare se sia possibile tipizzare un reato di illecito arricchimento.
Per essere molto chiari, però, su questa materia si rischiava una «commissione truffa». Poi è intervenuta la dichiarazione palese prima di Berlusconi e poi del congresso di De Michelis: hanno inneggiato a questa Commissione dicendo apertamente che era contro i giudici. Se non vi fossero state queste dichiarazioni, forse saremmo potuti cadere in una trappola; ma andava costruita più attentamente. Oggi è palese che si stia chiedendo al Parlamento una Commissione d'inchiesta per costituire ulteriormente un intralcio. Già abbiamo fatto di tutto: ricordo il caso dell'articolo 513 del codice di procedura penale. In quella occasione si partiva da una posizione di principio giusta: ma l'applicazione reale ed il modo di utilizzarlo sono stati discutibili. Qui si verifica la stessa cosa: in via di principio è corretto pensare all'istituzione di una Commissione parlamentare per indagare su un fenomeno di corruzione. D'altra parte la stessa Commissione (non di inchiesta) contro la corruzione è stata voluta proprio per queste finalità specifiche. Ma, in pratica, l'iniziativa dell'inchiesta viene utilizzata per vedere finalmente sul banco degli imputati i pochi magistrati italiani ancora impegnati in una serie di azioni. Fra l'altro, sarebbe possibile condurre una verifica ad hoc degli stessi errori compiuti dai magistrati, ma l'argomento viene evitato. E comunque non è questa le sede né è questo il modo per chiederlo, quando siamo ormai al sesto anno dall'inizio di Tangentopoli. Si tratta quindi di una Commissione che in passato non si è voluta e che oggi viene utilizzata strumentalmente.
Per questi motivi il nostro voto sarà contrario.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mancina. Ne ha facoltà.

CLAUDIA MANCINA. Presidente, pochi minuti fa l'onorevole Calderisi ha rivendicato al Parlamento addirittura un ruolo storiografico, con la motivazione fantasiosa che gli storici italiani appartengono ad una certa parte politica. A prescindere dalla motivazione, non sono assolutamente d'accordo, perché ritengo che il nocciolo liberale di una società moderna


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stia precisamente nella distinzione dei ruoli: non soltanto nella classica separazione dei poteri, quindi, ma in una distinzione per cui è bene che gli storici facciano gli storici, i politici facciano i politici ed i giudici facciano i giudici.
Naturalmente, ciascuno di noi spesso parte da una considerazione storica per elaborare il suo pensiero politico ed anche le sue opinioni legislative. Anch'io partirò da una breve considerazione storica, che si riferisce ad un carattere purtroppo antico e permanente nel nostro paese e nella sua organizzazione politica: la fragilità dell'etica pubblica. A questo tratto fondamentale, noto a tanti osservatori delle cose italiane (da Goethe a Putnam, da Leopardi a Gramsci) possono essere riportare le principali malattie che affliggono l'insieme della vita sociale e politica del nostro paese: dal lato della politica il trasformismo ed il cinismo; dal lato della società civile l'illegalità diffusa, lo scetticismo furbo e quel particolare impasto di familismo e di oligarchia di cui parla nel suo ultimo libro Ernesto Galli della Loggia (uno storico che non è certo vicino alla parte politica a cui si pensa).
Dobbiamo sperare che i processi di modernizzazione portino la coscienza ed il costume degli italiani più vicino agli standard di vita pubblica e di civismo dei paesi europei. Forse con maggiore realismo, però, dobbiamo sperare che un più profondo e più stringente vincolo esterno - dopo quello che ci ha costretti al risanamento - agisca anche in questa sfera. I caratteri della storia nazionale non sono tali da rendere molto probabile un'evoluzione autonoma.
Tuttavia non si può attribuire solo alla fragilità dell'etica pubblica quel complesso e vasto fenomeno degenerativo che va sotto il nome di Tangentopoli, che va indubitabilmente riferito alla crisi del sistema politico nel dopoguerra: una crisi lunga, che per molti anni tardò a maturare diventando negli anni ottanta sempre più sorda e devastante. Infine, la disgregazione del vecchio sistema politico è venuta alla luce in modo clamoroso con la scoperta di una vasta area di corruzione che ha prodotto un giusto e legittimo scandalo nella nostra opinione pubblica.
Sui rapporti causa-effetto, tuttavia, si dovrebbe riflettere in modo più approfondito. Troppo spesso si dimentica che l'inizio della vicenda di Mani pulite è successivo alle elezioni del 5 aprile 1992, le prime elezioni nelle quali il lungo predominio del pentapartito fu fortemente incrinato e si manifestò tutta la forza antisistema della lega che fino a quel momento era parsa quasi un fenomeno folcloristico. Erano caduti alcuni muri, a Berlino ma anche in Italia.
Cominciò allora, tra il 1992 ed il 1993, qualcosa che non è riducibile alle investigazioni e ai processi di Mani pulite. Il tema della corruzione e della concussione, e quindi della violazione delle regole del libero mercato, è un aspetto - certo il più odioso ed inaccettabile - ma l'enorme impatto di questa scoperta sul sistema politico non sarebbe spiegabile se quello stesso sistema non fosse stato internamente logorato e pronto a crollare per aver perso le sue ragioni politiche. Anche per questo parlare di rivoluzione è impreciso: l'espressione sembra appartenere più ad un registro mitologico che a quello storico-politico. Non di una rivoluzione si è trattato, ma di una complessa transizione ad altro assetto politico, dovuta alla crisi soggettiva dei protagonisti della prima Repubblica, ma anche al cambiamento di alcune condizioni strutturali degli equilibri politici che erano stati a lungo dominanti nel paese.
Veniva meno l'elemento unificante dell'anticomunismo e, con esso, la funzione centrale della democrazia cristiana, peraltro già indebolita, come ha notato nella discussione in Commissione l'onorevole Pistelli, da marcati processi di secolarizzazione. La stessa crisi ha investito anche i partiti satelliti della democrazia cristiana ed il partito socialista, che aveva legato in modo esclusivo la sua identità politica alla fase di governo degli anni ottanta.
Quella transizione da così lungo tempo attesa e così drammaticamente iniziata è ancora in corso: è questo il problema, io credo. Certo, il sistema elettorale è cambiato:

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si è affermato un bipolarismo, sia pure ancora imperfetto. Si affaccia per la prima volta, anche se tra ambiguità ed incertezze, quella stabilità di Governo tanto auspicata nei decenni trascorsi. Siedono oggi in quest'aula deputati di forze politiche che non sono le stesse della prima Repubblica né, con poche eccezioni, quelle della drammatica legislatura 1992-1994. Eppure non siamo ancora riusciti a chiudere la lunga transizione italiana.
Le riforme costituzionali sono ancora un miraggio e le conquiste di questi anni senza di esse sono a rischio. È una grande responsabilità quella di chi ha lasciato morire la Commissione bicamerale. Tuttavia non siamo allo stesso punto del 1992-1993. Pecca forse di ottimismo chi pensa che il tormentato percorso della transizione sia andato un po' più avanti. In ogni caso abbiamo bisogno di andare avanti, non di tornare indietro.
I soggetti politici sono ancora fluidi ed è ancora instabile la configurazione delle forze in campo, ma i motivi di instabilità, così come le spinte, legittimamente contrastanti tra loro, ad una maggiore stabilità non vengono dal passato o dalla rielaborazione del passato; riguardano, invece, concorrenti modi di rappresentarsi il presente e di costruire il domani del nostro paese.
Su queste premesse non mi sembra sia utile la costituzione di una Commissione di inchiesta sui fenomeni di corruzione politica. Essa avrebbe come compito primario quello di indagare sulle stesse materie e sugli stessi fatti che sono stati e che sono tuttora oggetto dell'attività giudiziaria di Mani pulite. Non sono tra quelli che santificano quella esperienza, né tanto meno tra quelli che attribuiscono alla magistratura un ruolo di controllo sulla politica. Al contrario, non mi sfugge che il rapporto tra politica e magistratura si è fortemente squilibrato negli ultimi anni, proprio in seguito alla crisi dei partiti e al ruolo, di fatto politico, che la magistratura si è trovata a svolgere. Non è però certamente atta a ricondurre quel rapporto nei suoi termini fisiologici l'istituzione di una Commissione d'inchiesta così fatta, che si configura abbastanza inevitabilmente come una Commissione d'inchiesta sugli atti della magistratura milanese e non solo milanese.
Non è così che la politica riacquisterà il suo ruolo e la sua legittimazione, non certamente usando in modo improprio gli strumenti straordinari che la Costituzione attribuisce al Parlamento, non costituendosi come soggetto di un'indagine politica paragiudiziaria su se stessa.
Si dice che la magistratura si occupa solo di singoli reati e che resta, invece, da ricostruire l'aspetto storico-politico di quelle vicende e di quei fatti, ma il dibattito su questi aspetti è largamente diffuso ed è ancora in corso in tutte le sedi culturali e politiche della nostra società. Come non pensare che una simile Commissione, nella quale il conflitto delle opinioni e delle identità politiche sarebbe acuito al massimo, darebbe un'enorme opportunità a tutte le strumentalizzazioni politiche? Né si può invocare lo scopo di un approfondimento finalizzato all'esercizio della funzione legislativa, perché questa è stata esercitata già dall'apposita Commissione speciale che ha licenziato diversi provvedimenti. Tanto meno mi pare convincente l'argomento, più politico, che la nascita di un nuovo sistema politico richieda una sistemazione di conti con il passato attraverso una tale Commissione.
La nascita di un nuovo sistema avrebbe richiesto semmai che non si decretasse la morte della bicamerale, ma, a prescindere da ciò, non sarà certo una sorta di battaglia gladiatoria in una tale Commissione a favorire la formazione di un nuovo sistema politico! È giusto preoccuparsi invece di come in quella proposta Commissione sarebbe il morto (e quindi il passato) ad afferrare il vivo e a trascinarlo a fondo.
Non sarà piuttosto che la ricerca di nuovi equilibri politici volti a ripristinare vecchie identità, ritagliati sulla vecchia eredità, sia la vera ragione di questa proposta? Francamente è difficile non pensarlo anche per le dichiarazioni che gli stessi proponenti vanno facendo.

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Amareggia vedere che allo sforzo costituente così miseramente tramontato succede la ricerca della vendetta e della rivincita: vendetta sui giudici che si ritiene avrebbero decretato la fine di alcuni partiti e non di altri; rivincita su quei partiti che per loro capacità politica sono riusciti a rinnovarsi e a non essere travolti dalla fine di un intero sistema.
Si è sollevato in modo molto esplicito il dubbio che il mio gruppo, il mio partito non voglia la Commissione perché ha qualcosa da temere da un'inchiesta approfondita. Noi non temiamo nulla, l'abbiamo detto nel dibattito in Commissione e lo ripetiamo qui. Anche noi siamo stati pesantemente indagati da varie magistrature e non c'è da scoprire alcun complotto rispetto agli esiti di quelle indagini. Non solo, ma in sede politica abbiamo lungamente scavato nella nozione di consociativismo proprio per indicare le responsabilità politiche, certo non equivalenti a quelle delle forze di Governo, del PCI nella degenerazione del sistema politico (non nel sistema della corruzione) che è, come prima argomentavo, base di quei fenomeni di corruzione.
Ciò che temiamo ed abbiamo ragione di temere è, come è stato detto nella relazione dell'onorevole Soda, un ulteriore avvitamento della transizione italiana attraverso l'imbarbarimento del confronto politico che non sarebbe di alcuna utilità a nessuna forza politica, e soprattutto sarebbe un danno considerevole per il paese, che ha bisogno di una crescita civile.
Troppe volte in questo paese la classe politica non è stata all'altezza dei suoi compiti e ha dato risposte insufficienti o sbagliate alle esigenze nazionali, politiche e talvolta anche etiche.
Sono convinta che varare la Commissione proposta sarebbe un grave errore, non la risposta che ci viene chiesta ma una risposta sbagliata, un altro fallimento della classe politica perché significherebbe ripiegare sulle sue lacerazioni, sui suoi conflitti con altri poteri costituzionali invece di produrre risposte vere ai problemi del paese e su queste risposte esercitare il confronto ed il conflitto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rebuffa. Ne ha facoltà.

GIORGIO REBUFFA. Signor Presidente, nonostante la poca frequentazione di questa discussione, credo che ci troviamo dinnanzi ad una discussione istruttiva; lo è anzitutto perché vedo molte delusioni.
La prima delusione, lo devo dire, riguarda il PDS. Mi aspettavo che almeno coloro che si professavano per una linea riformatrice che non cercasse di strumentalizzare la rappresentazione della storia d'Italia offerta da una «vulgata» favolistica potessero avere uno scatto d'orgoglio.
Una seconda delusione, lo debbo dire con altrettanta franchezza, riguarda il partito popolare, assente in questo dibattito. Mi auguro che il partito popolare italiano sia invece presente con un voto positivo il quale avrebbe anche la funzione di ridare ad uno dei partiti che rappresentano una tradizione nel nostro paese l'orgoglio e l'onore.
Sono stati portati diversi argomenti contro l'istituzione di una Commissione d'inchiesta.
Il primo, che è stato ricordato soprattutto dall'onorevole Soda, è quello della inframmettenza dell'attività di tale Commissione nei processi attualmente in corso e nelle indagini su Tangentopoli. Credo questa sia una argomentazione risibile perché il nostro Parlamento ha istituito, con i poteri attribuiti alle Commissioni di inchiesta, molte altre Commissioni di inchiesta, cui sono stati attribuiti i poteri della autorità giudiziaria secondo le regole delle Commissioni d'inchiesta stesse, quindi con la possibilità di acquisire documenti processuali. Ciò è avvenuto, ad esempio, per la Commissione stragi, che ancora svolge la sua funzione, talora con punte propagandistiche. Essa fa il suo lavoro senza che alcuno si sia scandalizzato e senza che ciò abbia arrestato i procedimenti giudiziari né le indagini in corso.


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Una seconda argomentazione, forse ancora più risibile, addotta dall'onorevole Soda, consisterebbe nella non sufficiente serenità con cui ci avvieremmo a tale dibattito. Francamente non riesco a capire quale sia il ruolo di un Parlamento se esso non è in grado, su un grande processo politico, di pronunciare una parola, non dico scientificamente fondata, ma che serva almeno ad avviare un dibattito anche culturale, oltre che politico, dotato di una qualche serietà.
Vi è poi una terza argomentazione che non è stata portata, per la verità, in quest'aula, ma che circola nella pubblicistica, in letteratura, come si dice. È una argomentazione che ho letto anche recentemente in un libricino del professor Pizzorno, che non so a quale area politica appartenga, ma che comunque è un eminente studioso e che va riportata. Il professor Pizzorno sostiene che ormai nello Stato contemporaneo, ma in Italia in modo particolare, esiste una esigenza di virtù, che può essere garantita soltanto dall'indagine giudiziaria. Francamente, fra le tante degenerazioni che si possono attribuire alla funzione giudiziaria, quella di perseguire la virtù mi sembra una delle più pericolose. Non vorrei che anche dietro alle argomentazioni formali ed ufficiali che sono state portate in quest'aula ed in Commissione affari costituzionali ci fosse il riferimento all'idea di qualcuno che deve perseguire la virtù. Perché, se qualcuno deve perseguire la virtù, probabilmente anche la libertà di questo paese è finita o è in pericolo.
Mi ritrovo, invece, completamente in una argomentazione che è stata portata in quest'aula dall'onorevole Boselli. Devo anzi dire con sincerità di essere orgoglioso di appartenere ad un Parlamento dove si possono fare discorsi come quello svolto dall'onorevole Boselli questa sera. Questi viene da una parte politica che è stata eliminata e sconfitta da Tangentopoli. Egli fa parte dell'Ulivo e sta nell'area della sinistra, però ha avuto la forza, il coraggio, la coscienza ed è stato animato da una ricerca dell'onore che l'hanno indotto a pronunciarsi a favore dell'istituzione di tale Commissione. Egli ha argomentato il suo assenso con una tesi che mi sembra decisiva e sulla quale vorrei invitare i colleghi a riflettere. Si è soffermato sulla differenza tra una verità giudiziaria ed una verità politica. Il compito della magistratura è quello di accertare le responsabilità, di fornire - come si dice - una verità processuale. Confondere e far diventare questa verità processuale una verità politica è l'errore che stiamo compiendo. La verità processuale riguarda o può riguardare singoli soggetti, mentre la verità politica riguarda grandi forze politiche. Quello che credo non possa essere tollerato è proprio la attribuzione di responsabilità collettive ad una intera classe politica, ad interi soggetti politici che, nel bene e nel male, hanno fatto la storia di questo paese.
Quindi, è avvenuto un fatto ed è da tale fatto che bisogna partire. Mi riferisco al fatto che due terzi della classe politica di questo paese è stata eliminata dal fenomeno politico ed anche giudiziario, ma soprattutto politico, che si è chiamato Tangentopoli. Questo grande fatto ha bisogno o no di una spiegazione data dal Parlamento?
Deve o no essere accertato dal Parlamento come sono avvenuti i fatti? Oppure ciò deve essere affidato solo ad un soggetto che per sua natura, per definizione, è fuori dalla valutazione della verità politica, cioè un soggetto giudiziario? Questo è il problema che abbiamo di fronte: vogliamo affrontarlo o no?
Se non vogliamo farlo, credo che le ragioni della paura di affrontarlo siano certamente anche quelle del rischio di essere coinvolti in brutti affari; ma credo che questo sia il pericolo minore. Credo che la paura vera sia un'altra, e lo dico, anche se in questo momento non sono presenti, soprattutto ai rappresentanti della sinistra. Bisogna avventurarsi in una piccola analisi politica. L'onorevole Soda e l'onorevole Mancina hanno ripetuto questa sera una distinzione indegna della loro tradizione, una distinzione che li fa non dico bravi allievi ma certo cattivi lettori di uno dei loro maestri, cioè Antonio Gramsci;

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hanno omesso la distinzione tra la storia e la rappresentazione consolatoria e favolistica della storia stessa, cioè quella rappresentazione per cui il mondo è diviso in buoni e cattivi e vi è chi si è salvato e chi invece è stato giustamente ucciso.
E allora, se dobbiamo avventurarci in un'analisi politica, ciò che sta succedendo questa sera è un tentativo di sminuire il valore ed il significato della richiesta di una Commissione d'inchiesta su Tangentopoli. Lo ha fatto pubblicamente l'onorevole Mussi, lo sta facendo da diversi giorni - anche con qualche tentativo di ridicolizzazione - il giornale che in qualche modo si richiama ai democratici di sinistra, l'Unità, ma senza voler affrontare il punto, che è il seguente.
I processi politici di Tangentopoli hanno eliminato dal diritto di parola in questo paese delle grandi tradizioni, fra le quali soprattutto una che sta a sinistra. E il punto che credo giustamente venga temuto di più, ma solo perché si manca di coraggio, caro onorevole Soda, è dire che cosa è successo di questa grande tradizione, quella del socialismo riformista: la sua assenza è precisamente l'anomalia italiana, è ciò che oggi vi vede in difficoltà perché non riuscite - e non riuscirete mai - a diventare un partito socialdemocratico europeo. La vera paura della Commissione di inchiesta su Tangentopoli è quella di riconoscere la vostra debole identità, di riconoscere che la storia recente d'Italia è fatta non solo di bianco e di nero, come vorreste voi, ma di tanti colori.
Spero che in questo Parlamento ci siano ancora coloro che hanno il coraggio di affrontare la storia e che nei prossimi giorni, quando voteremo, qualcuno - indipendentemente dalle paure e dalla disciplina di gruppo - si esprimerà a favore di questo strumento per mettere la parola «fine» ad una rappresentazione favolistica e falsa di quello che è avvenuto (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.

TEODORO BUONTEMPO. Le immagini di questo esaltante dibattito non contribuiranno certo a far salire quella percentuale del 30 per cento di elettori, mentre gli altri si allontanano sempre di più dalla politica.
Il trasformismo in politica non ha limiti e l'onorevole Pecoraro Scanio deve spiegare al Parlamento ed ai suoi elettori come mai la sinistra ha i numeri sufficienti per bocciare questa proposta di legge e non li utilizza invece per emendarla. Non piace l'indirizzo della proposta; se ne condividono alcuni importati passaggi; la sinistra sbaglia a perdere questa occasione per modificare la proposta di legge e far sì che non abbia - come loro dicono pretestuosamente - l'intenzione di indagare sui giudici e prenda invece la strada di far luce sulle pagine di Tangentopoli.
Sono convinto che, finché questo paese non farà luce su Tangentopoli, sull'ostracismo e sul terrorismo, non potrà far nascere la seconda Repubblica.
Nel 1996 il Presidente della Camera Violante dette vita ad un «comitato di saggi» - Arcidiacono, Cassese, Pizzorno - per una indagine sulla situazione degli scandali e della corruzione nel nostro paese. Ebbene, questo comitato, voluto solo nel 1996 dal Presidente della Camera, nella sua relazione scriveva: «Gli episodi di corruzione sono evidentemente molto più numerosi di quelli scoperti. In effetti, le indagini e i processi hanno svelato un sistema nel quale la necessità di pagare tangenti per ottenere sovvenzioni o per concludere contratti, la dazione di denaro agli organi di controllo, il finanziamento illecito dei partiti, i fondi neri delle imprese e i redditi illeciti degli amministratori erano spesso assurti a regole generali. È possibile dunque ritenere che i casi scoperti non siano eccezionali, ma una parte, forse piccola, di una patologia ben più ampia».
La proposta di legge che il Polo ha presentato al Parlamento ha proprio l'indirizzo


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di questo comitato voluto dal Presidente della Camera affinché, oltre che su quella parte piccola di Tangentopoli, si faccia luce sull'intero sistema di corruzione, per impedire che gli stessi uomini assumano incarichi in ruoli importanti per la vita democratica di questo paese, per impedire che rimanga in piedi il sistema di corruzione.
È stato spesso citato Craxi. Ebbene, parlavo poco fa del comitato del 1996, ma Craxi nel suo ultimo intervento alla Camera ebbe a dire: «Se si è messa mano, come si è messa mano, allo scoperchiamento del sistema del finanziamento illegale della politica, non penso ci si possa fermare per strada. La chiarezza deve essere fatta sino in fondo, giacché tanta parte non è ancora emersa e deve essere ricostruito tutto ciò che è ricostruibile, nelle proporzioni e nelle responsabilità. I colpevoli, una volta accertate le loro colpe, ne risponderanno secondo le leggi, ma tutti i colpevoli. Le forze politiche che per finanziare le proprie attività hanno partecipato a pratiche illegali ne risponderanno, ma tutte le forze politiche che si trovano in questa condizione e non solo una parte, e ciascuna per le sue responsabilità». Io credo che in queste parole dell'intervento di Craxi sia la chiave della posizione oggi assunta dal PDS e dalla sinistra in genere, che non vuole che si indaghi sulla ripartizione degli appalti pubblici tra le cooperative rosse, le grandi imprese e le imprese locali. Perché oggi negli enti locali e negli appalti pubblici - lo dico responsabilmente - questa ripartizione è rimasta intatta, ed è qui che nasce la corruzione.
E non ci si venga a dire che si vogliono colpire i giudici, perché chi vi parla, che viene dal movimento sociale italiano, ha sostenuto con manifestazioni popolari il ruolo e la funzione dei magistrati. Personalmente fui anche rinviato a giudizio per una manifestazione svolta nel 1992 davanti a Montecitorio, nella quale chiedevamo che la classe politica inquisita lasciasse il Parlamento.
È chiaro che, se la Commissione non potrebbe risolvere tutti i problemi, comunque costituirebbe un avvio e ridarebbe dignità alla politica. Oggi, infatti, se c'è un'emergenza questa consiste nel profilo basso della politica che ha paura di processare se stessa. È impressionante come l'Italia della politica non riesca a vivere se non in una costante, perversa, interminabile stagione dei veleni. Gli anni passano, le legislature pure, ma il dibattito non riesce più a districarsi da una matassa che sta gradualmente, ma senza soluzione di continuità, offuscando le capacità di tutti noi di fare politica, quella vera, quella che interessa alla maggioranza degli italiani!
Gli anni passano, ma i discorsi invece sono sempre gli stessi; i ricatti sono sempre gli stessi e le vendette sono sempre le stesse!
Ma la politica non può svolgere il suo ruolo a furia di ricatti e vendette; così si arriva in realtà alla morte della politica, all'eutanasia di un mondo che non sa più reagire ad una forza di distruzione che arriva sia dall'esterno sia dall'interno. È proprio per ridare la dignità alla politica che questa Commissione dovrebbe essere approvata dal Parlamento ed in tutte le relazioni introduttive delle varie proposte di legge ritroviamo questa esigenza, perché tutte le proposte chiedono che questa Commissione indaghi sui comportamenti dei responsabili pubblici, politici ed amministrativi, delle imprese private e pubbliche. Altro che giudici e magistrati! Voi non volete l'inchiesta sugli appalti pubblici, sui rapporti inquietanti tra privati e pubbliche amministrazioni! Questo voi temete: temete che emerga il ruolo perverso che ha avuto la sinistra, specialmente negli enti locali, sugli appalti pubblici!
Un'altra proposta di legge così recita nella sua relazione: «Nessuna seria soluzione potrà essere proposta ai fenomeni di corruzione che hanno interessato il nostro paese se non si farà chiarezza su tutti gli episodi di malcostume, sugli indebiti arricchimenti di chi ha maneggiato in qualsiasi modo denaro pubblico ovvero aveva il mandato per obbligo istituzionale o per incarico d'ufficio di difendere gli interessi

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economici dello Stato, di vigilare sulle entrate e sulle uscite, ovvero sulle interconnessioni esistenti tra politica e lobbies affaristiche».
Si legge ancora: «L'accertamento dei patrimoni illecitamente accumulati da chi doveva invece fornire un servizio alla collettività affinché vengano confiscati e l'adeguamento della legislazione al fine di perseguire le associazioni a delinquere che usino la politica come strumento per commettere reati contro la pubblica amministrazione».
Ancora: «Il compito più importante conferito alla Commissione, di cui si propone la istituzione, è quello di individuare gli interventi legislativi necessari per modificare la disciplina in materia di procedimenti amministrativi al fine di prevenire ulteriori abusi o violazioni delle norme penali ed amministrative. Compito conclusivo di interesse fondamentale è poi quello di individuare i correttivi in campo legislativo e regolamentare atti a rendere più trasparenti, controllabili e meno discrezionali i procedimenti amministrativi per prevenire ulteriori violazioni delle norme penali ed amministrative».
Ci troviamo quindi di fronte ad un falso: la sinistra oggi, con una squallida operazione di manipolazione dell'informazione, fa individuare in queste proposte di legge una volontà persecutoria nei confronti dei magistrati. In realtà, qui non si tratta di maggioranza e di opposizione, non è uno scontro tra la maggioranza e l'opposizione perché protagonisti di quelle pagine della prima Repubblica si trovano in tutte le parti politiche! Qui si tratta di capire se avevamo a che fare con corruttori e corrotti, con persone corrotte e con individui corruttori, o se non c'era un sistema codificato di corruzione che si è annidato all'interno del cuore dello Stato e che oggi noi dobbiamo smantellare! Perché questo possa avvenire occorre addivenire - non è la Commissione, ma sarebbe comunque un primo passaggio - ad un processo al regime! Coloro i quali sono stati Capo dello Stato, Presidenti del Consiglio dei ministri, capi dei partiti, ministri e sottosegretari, debbono rispondere di quel male terribile che ha messo in ginocchio il nostro paese, la sua credibilità, il suo senso etico e morale ed ha creato danni incredibili alla nostra economia. Per costruire la seconda Repubblica è necessario aprire queste pagine! Voi della sinistra facevate parte di quel sistema, ecco il motivo per il quale oggi non volete un'inchiesta del Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Meloni. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MELONI. Signor Presidente, sarò breve perché sostanzialmente mi riconosco nelle argomentazioni svolte dall'onorevole Soda nella sua relazione e nelle motivazioni che hanno posto alla base del voto che esprimeranno gli onorevoli Orlando, Pecoraro Scanio e Mancina. In particolare, mi interessa richiamare le argomentazioni addotte a proposito della necessità dell'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta.
A detta dell'onorevole Frattini è necessario restituire la verità storica e politica e l'onorevole Rebuffa ha messo in evidenza la differenza esistente tra verità giudiziaria e verità politica. Mi domando: se queste sono esigenze reali, se è necessario restituire la verità storica e politica, non è per caso sbagliato lo strumento che viene proposto? Di quali mezzi o strumenti si serve la Commissione d'inchiesta? Quelli propri della autorità giudiziaria, quali interrogatori e letture di documenti. È questa la strada attraverso la quale si ricostruisce la verità storica e politica? È questa, onorevole Rebuffa, la strada attraverso la quale si distingue la verità giudiziaria da quella politica? Io credo di no.
Tra l'altro, credo che la verità politica sul fenomeno della corruzione in Italia non abbia poi un così grande bisogno di essere chiarita. A me pare, infatti, che per larga parte questo chiarimento sia venuto...

GIORGIO REBUFFA. Non tutto.

GIOVANNI MELONI. Forse non tutto. Il problema, allora, non è la ricostruzione


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storica, il problema è quello di tentare, secondo la parte che lo propone, di coinvolgere in questa vicenda chi oggi non è stato coinvolto, cioè sostituirsi alla magistratura, che avrebbe il grave difetto di avere indagato in una direzione invece che in un'altra. Il problema non è quello della verità storica e politica, ma riproporre, attraverso lo strumento della Commissione parlamentare d'inchiesta, una magistratura politica che sia diversa dalla magistratura autonoma che opera in questo paese. Questa è l'essenza della proposta secondo le dichiarazioni dei proponenti.
Quanto alla verità storico-politica - vado molto rapidamente - non vi pare, colleghi, un po' ridicolo avanzare questa proposta oggi, a sei anni dal 1992, da quando è emerso in tutta la sua grandezza e nelle sue forme più evidenti il fenomeno di Tangentopoli? Perché ora? Voi pensate sul serio che i cittadini abbiano questa necessità o non abbiano piuttosto quella di sapere cosa la classe politica abbia fatto per impedire che questi fenomeni si ripetessero?
L'onorevole Buontempo richiamava il discorso, sempre citato, di Craxi sulla corruzione e sulla necessità di pagare. Da questo punto di vista bisognerebbe fare un po' di chiarezza. Perché vi è la necessità di pagare? Perché si sono svolti i processi e si sono avute delle condanne. Vi è la necessità di pagare perché si è provato che qualcuno ha violato la legge, a parte la considerazione che l'onorevole Craxi non si trova oggi qui tra noi proprio per evitare di pagare.
Quanto alla proposta concernente l'indagine sul finanziamento illecito dei partiti, cosa si vuole ottenere da quella Commissione? Abbiamo ascoltato tutti le dichiarazioni che sono state rese su questo problema, per esempio dall'onorevole Berlusconi il quale ci dice: «Ma come? L'illecito finanziamento dei partiti era necessario grazie all'esistenza di una macchina perfetta come quella del partito comunista, a cui ci si poteva contrapporre soltanto disponendo di grandi mezzi che non potevano essere ottenuti se non illecitamente». È questo che deve accertare la Commissione d'inchiesta che viene proposta? Credo che, sotto questo profilo, quella Commissione si risolverebbe nel tentativo di un'autoassoluzione da parte di una classe politica che, di fatto, ammette di aver ottenuto finanziamenti illeciti. Ciò senza dire del processo ai magistrati.
L'onorevole Cola, da quel galantuomo che è, ci ha detto oggi in quest'aula la verità, ossia che bisogna accertare come siano state svolte le indagini e perché i magistrati in qualche caso abbiano approfittato dalla loro posizione, insomma che bisogna tentare di stabilire quali siano i rapporti tra magistratura e potere politico, in maniera da colpire quei magistrati che hanno svolto questo genere di indagini.
Concludo, Presidente, facendo un'osservazione, ahimè, un po' amara. Non credo, come qualcuno ha detto stasera in quest'aula, che i cittadini aspettino questa Commissione d'inchiesta e che chi si oppone ad essa avrà difficoltà a spiegarlo ai cittadini stessi. Ritengo, Presidente, che sia molto più difficile - e lo si deve sapere - spiegare ai cittadini come mai, a distanza di mesi da quando la Commissione anticorruzione ha prodotto ben dieci proposte di legge che si articolano in diversi settori per prevenire la corruzione, soltanto due siano state approvate dalla Camera e nessuna dal Senato.
Come mai c'è tanto interesse a restituire la verità storica e politica, ma nessuno a prendere provvedimenti concreti perché la corruzione venga in qualche modo prevenuta? Un intento comune e serio da parte del Parlamento può essere invece quello di assumere l'impegno che i provvedimenti anticorruzione vengano approvati nel più breve tempo possibile sapendo che la verità e l'analisi sulla corruzione esistono, si trovano negli studi e nei saggi che sono stati pubblicati, nei numerosi dibattiti parlamentari che sono stati fatti in quest'aula nel corso degli anni. Non di questo ha bisogno il paese, ma di provvedimenti che invece tardano ad arrivare proprio perché, evidentemente, manca la volontà politica. È in

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direzione di questa volontà politica che occorre lavorare affinché i provvedimenti anticorruzione vengano approvati.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Il seguito del dibattito, con le repliche del relatore per la maggioranza, dei relatori di minoranza e del rappresentante del Governo, è rinviato ad altra seduta.

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