Seduta n. 378 del 24/6/1998

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(Intervento del Governo).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro di grazia e giustizia.

GIOVANNI MARIA FLICK, Ministro di grazia e giustizia. Signor Presidente, onorevoli deputati, proprio per poter cogliere gli spunti di riforma dell'indirizzo legislativo in materia di collaboratori cui fa cenno la mozione, io credo sia doveroso ripercorrere brevemente le motivazioni di essa, alla luce degli elementi che ho acquisito presso la procura generale di Palermo, presso il Ministero dell'interno e, recentemente, presso l'autorità giudiziaria di Perugia.
All'esito di tale attività informativa e delle relazioni che mi sono state fatte pervenire dalla procura generale di Palermo il 7 novembre 1997, il 25 marzo 1998 e, da ultimo, il 30 maggio 1998, devo escludere connessioni tra le vicende culminate con l'arresto di Di Maggio, La Barbera e Di Matteo tra il 14 e il 19 ottobre 1997 e il dossier Di Maggio, cui si è fatto cenno oggi, trasmesso dall'onorevole Fragalà alla Commissione parlamentare antimafia il 1 febbraio 1995 e ai ministri della giustizia e dell'interno.
Il dossier consisteva in quindici verbali (otto dei quali, peraltro, mai trasmessi alla procura), non firmati, relativi ad intercettazioni di conversazioni telefoniche intercorse, tra il 23 maggio e il 13 settembre 1993, tra il Di Maggio e Francesco Reda, di San Giuseppe Jato; intercettazioni attuate in coerenza con una linea operativa di valorizzazione anche dinamica del contributo di collaboratori per acquisire elementi utili alle indagini sul territorio, in particolare sulla cattura di latitanti come Brusca.


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Quelle intercettazioni non hanno nulla a che vedere con gli atti, ben diversi, che hanno portato all'arresto del Di Maggio e degli altri collaboratori nel 1997.
L'ipotesi di possibili attività illecite del Di Maggio emerge per la prima volta nel settembre 1996 nel corso dell'interrogatorio reso da Giovanni Brusca ai pubblici ministeri di Caltanissetta, Firenze e Palermo. In quella occasione, Brusca afferma che gli ultimi omicidi verificatisi a San Giuseppe Jato erano stati organizzati dai pentiti Di Maggio, Di Matteo, La Barbera e Monticciolo. Nonostante le suddette dichiarazioni del Brusca fossero apparse all'epoca prive di attendibilità - si noti che il Brusca manifestava tale convincimento nel medesimo periodo in cui è emersa la sua partecipazione ad un progetto più vasto di destabilizzazione, anche attraverso il coinvolgimento di esponenti istituzionali - la procura di Palermo ritenne ugualmente di dover prospettare al servizio centrale di protezione l'opportunità di sottoporre Di Maggio a forme di controllo personale, come la firma quotidiana, suggerimento poi recepito dal servizio. Il Di Maggio, peraltro, non ottemperava a tale prescrizione, come segnalato dal servizio alla procura di Palermo il 2 agosto 1997 con nota pervenuta il 10 agosto 1997.
Peraltro, in quel momento, anche per l'intensificarsi, a partire dai primi mesi del 1997, di voci confidenziali raccolte dagli organi di polizia in merito alle attività illecite di collaboratori di giustizia, erano state disposte dalla procura di Palermo specifiche investigazioni e nel mese di aprile 1997 si era aperto un procedimento per associazione mafiosa o calunnia, per verificare al riguardo ogni possibile ipotesi.
L'attività di indagine che ne è seguita, consistente anche in intercettazioni telefoniche e ambientali, ha portato alla luce una situazione equivoca, caratterizzata da un contesto di rapporti e contatti tra il Di Maggio e, in misura più ridotta, il La Barbera e il Di Matteo con persone di San Giuseppe Jato loro parenti o amici.
Dopo il tentato omicidio di Francesco Costanza e l'omicidio di Vincenzo Arato, una persona arrestata ha reso dichiarazioni ritenute decisive che, integrate con quanto emerso dalle indagini svolte precedentemente, hanno consentito di chiarire le responsabilità dei collaboratori e di procedere al loro arresto. Le risultanze investigative acquisite evidenziavano in particolare, a giudizio della procura di Palermo, che il Di Maggio fin dal 1996 era stato effettivamente - cito testualmente - «risucchiato nel contesto criminoso di San Giuseppe Jato, contrassegnato da caratteristiche assolutamente anomale - secondo gli inquirenti - rispetto alle regole e alle tradizioni di Cosa nostra». A tale contesto erano estranei invece il La Barbera e il Di Matteo, sebbene risultassero consapevoli delle attività illecite del Di Maggio.
Successivamente, sempre in ordine a questa vicenda, la procura generale di Palermo, il 30 maggio 1998, su mia specifica richiesta di aggiornamento delle notizie, mi ha confermato che sono tuttora in corso indagini coperte dal segreto investigativo ed ha aggiunto che tra i filoni di indagine in essere vi sono anche quelli relativi alla fuga di notizie sulle dichiarazioni rese da Angelo Siino al tenente colonnello Meli. Non mancherò di acquisire ulteriori informazioni e di riferire al Parlamento.
Il Ministero dell'interno a sua volta ha fatto conoscere le proprie valutazioni, da cui risulta che il Di Maggio venne ammesso al programma speciale di protezione con il suo nucleo familiare con deliberazione del 14 giugno 1993. A seguito della modifica normativa e del decreto ministeriale del 1994, il programma venne successivamente rinnovato e integrato con delibera del marzo 1995, che prevedeva l'adozione di misure per il cambio di generalità del Di Maggio, in stato di libertà, e dei familiari. Nel corso dell'applicazione del programma furono riscontrate più volte e segnalate fin dal 1994 alla procura della Repubblica di Palermo e alla commissione centrale alcune condotte di Di Maggio di violazione

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degli obblighi derivanti dal codice di comportamento del programma di protezione. Il 13 ottobre 1997 il fermo di polizia giudiziaria del Di Maggio, su disposizione della magistratura di Palermo, perché gravemente indiziato di associazione a delinquere di stampo mafioso, concorso in omicidio ed altro, comporta la revoca del programma di protezione, effettuata il 9 dicembre 1997, prendendo atto del provvedimento restrittivo adottato dall'autorità giudiziaria.
A seguito dell'omicidio, l'8 gennaio scorso, dei congiunti Salvatore e Giuseppe Prestigiacomo, zio materno e nipote del Di Maggio (mai proposti per le misure tutorie), il servizio centrale di protezione ha trasferito in altro luogo la convivente ed il figlio del Di Maggio ed è stata richiesta l'estensione della protezione ad altri familiari.
Quanto a Gioacchino La Barbera e Mario Santo Di Matteo, furono ammessi al programma di protezione con delibera del 27 aprile 1994, a seguito di proposta formulata dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo e di adozione di misure urgenti da parte del capo della polizia, in attesa del perfezionamento della procedura.
Anche i due collaboranti hanno violato più volte il programma di protezione, allontanandosi fra l'altro dal domicilio di sicurezza loro assegnato, e le relative segnalazioni sono state inoltrate all'autorità giudiziaria. Il programma è stato revocato per entrambi dalla commissione centrale, con delibera del 9 dicembre 1997, sussistendo le condizioni previste dal regolamento del 1994, per le numerose violazioni che avevano fortemente compromesso la sicurezza delle misure di protezione, oltre alla presunta partecipazione dei due, con il Di Maggio, ad un progetto criminoso di stampo mafioso.
Gli episodi cui fanno riferimento i firmatari della mozione costituiscono alcuni degli esempi più vistosi di ritorno al crimine dei collaboratori di giustizia. È un fenomeno purtroppo presente anche in modelli stranieri ritenuti di avanguardia, come negli Stati Uniti d'America, ove la percentuale dei collaboranti tornati a dedicarsi ad attività illecite oscilla tra il 18 e il 20 per cento.
In Italia, gli organi di polizia deputati alla specifica attività di protezione e di controllo hanno consentito di segnalare alla commissione centrale e alla magistratura competente un numero significativo di violazioni degli obblighi di comportamento e di norme penali, che riguardano però un numero relativamente limitato di soggetti.
Nel 1997 sono revocati e non rinnovati 103 programmi di protezione. Nei confronti delle persone protette destinatarie di provvedimenti di libertà concessi dalle autorità giudiziarie, il fenomeno potrà essere contenuto solo con il perfezionamento della vigente normativa che consenta una più rigorosa selezione dei soggetti da ammettere alle misure speciali di protezione.
Per quanto riguarda le «rilevanti somme di denaro», di cui si fa cenno nella mozione, il Ministero dell'interno ha riferito che le misure di assistenza economica inserite nel programma di protezione dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari rispondono ad una precisa disposizione di legge - l'articolo 9 della legge 15 marzo 1991, n. 82 - e alla primaria esigenza di salvaguardare l'incolumità delle persone protette, evitando l'esposizione degli interessati a forme di pubblicità, compresa quella occorrente per svolgere un'attività lavorativa.
L'entità della contribuzione mensile viene determinata dalla commissione speciale, per tutte le persone sottoposte a programma, all'inizio di ogni anno, sulla base degli indici ISTAT dei consumi medi globali delle famiglie del centro-nord. Tale somma viene, però, decurtata di alcune spese - quali ad esempio il canone di locazione degli alloggi - che, per ragioni di sicurezza, vengono lasciate a carico del servizio centrale di protezione.
La necessità di individuare utili meccanismi per garantire il pieno reinserimento sociale delle persone protette e, conseguentemente, la fuoriuscita dal programma di protezione, ha indotto la commissione

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centrale a sperimentare diverse formule lavorative, tra le quali quelle di tipo autonomo nel settore commerciale. A tal fine, per un numero assai limitato di collaboratori che ne avevano fatto richiesta, e secondo un ordine cronologico di presentazione delle relative istanze, la commissione aveva disposto l'erogazione di somme di denaro una tantum, risultanti dalla capitalizzazione degli esborsi cui si sarebbe dovuto far fronte nel tempo, con un impegno finanziario che non ha comunque superato il 5 per cento del relativo capitolo di bilancio e che ha avuto termine nel giugno del 1996.
In conclusione, come risulta da quanto si è appena riferito, il Ministero di grazia e giustizia ha svolto una tempestiva attività per chiarire la vicenda in questione, che presenta aspetti di indubbia gravità; ma rispetto ad essa non emerge alcuna di quelle condotte di «scarsa trasparenza» addebitate nella mozione a carico di organi investigativi e giudiziari, dei quali va evidenziato invece l'impegno profuso nel contrasto della criminalità organizzata. Il Governo è impegnato a prestare la massima attenzione sugli ulteriori sviluppi della vicenda stessa che, come si è detto, non mancherà di riferire al Parlamento in relazione ad elementi nuovi che dovessero eventualmente emergere.
Aggiungo che al fine di poter valutare il caso nella sua complessità, non appena se ne è avuta notizia, ho richiesto alle autorità giudiziarie anche i verbali delle recenti dichiarazioni rese dall'imputato Giovanni Brusca nel processo per l'omicidio di Mino Pecorelli, in svolgimento a Perugia, atti che sono pervenuti nella mattinata di oggi e la cui mole impone un attento esame proprio per la delicatezza del caso.
Il caso Di Maggio, al pari di altri analoghi casi di «ritorni al crimine» di collaboratori, ha messo a nudo disfunzioni di alcune previsioni della normativa sui collaboratori che il Governo aveva evidenziato sottoponendo all'attenzione del Parlamento opportune e adeguate modifiche alla normativa vigente. Mi riferisco, in particolare, alle previsioni dirette ad evitare sia la preordinazione di dichiarazioni di collaborazioni non genuine sia la reiterazione di comportamenti criminosi da parte dei collaboratori sia il mantenimento o l'instaurazione di collegamenti con ambienti criminosi. Il disegno di legge attualmente all'esame della Commissione giustizia del Senato in sede referente, indicando tale riforma tra le priorità, affronta proprio queste tematiche.
Per quanto riguarda il profilo della prevenzione della reiterazione di comportamenti criminosi da parte dei collaboratori di giustizia, oltre quanto già richiesto, si può ribadire che con la normativa vigente la detenzione extracarceraria può essere autorizzata, solo per gravi e urgenti motivi di sicurezza, nei casi di persone fermate o arrestate dal procuratore della Repubblica; e nel caso di persone detenute in espiazione di pena dal procuratore generale della Repubblica dove ha sede l'istituto penitenziario di detenzione, e ciò per il tempo strettamente necessario a definire il programma di protezione. Nei casi di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata è necessario anche il parere del procuratore nazionale antimafia. Tuttavia la custodia può essere attuata in forma extracarceraria già nella fase preparatoria del programma e con riguardo unicamente alle esigenze di tutela dell'incolumità del collaboratore.
Già oggi, inoltre, la speciale commissione per il programma di protezione può disporre la revoca del programma in qualsiasi momento, allorché ritenga che per effetto delle inosservanze, del compimento di fatti costituenti reato o per altra ragione comunque connessa alla condotta di vita del soggetto interessato, le misure siano superflue, perché le condotte tenute sono di per sé indicative del reinserimento del soggetto nel circuito criminale.
La legge di riforma che oggi il Parlamento discute, oltre a restringere - graduandole a seconda della qualità del contributo - le misure tutorie, individua nella indispensabilità della collaborazione, nella sua tempestività e nella sua genuinità i presupposti per accedere sia alle

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misure di protezione, sia alla concessione di attenuanti o benefici penitenziari, pure in deroga ai limiti consueti di pena, consentendo così di riservare dette misure a soggetti particolarmente meritevoli.
Per evitare pericoli di inquinamento probatorio e di concertazione o preordinazione delle dichiarazioni il progetto di riforma esclude la utilizzabilità delle cosiddette dichiarazioni «a rate» ed esclude la detenzione extracarceraria, se non nei casi in cui il giudice conceda, secondo le regole ordinarie, i benefici penitenziari o revochi i provvedimenti di custodia cautelare.
Per la revoca della custodia del collaboratore la legge prevede inoltre che emerga aliunde, ossia al di fuori delle sue dichiarazioni, l'assenza attuale di collegamenti con la criminalità organizzata.
Inoltre - punto estremamente qualificante della normativa, in quanto sottolinea la separazione del momento tutorio da quello premiale - la fruizione dei benefici penitenziari compatibili con lo status di collaboratore è svincolata dalla attualità del programma di protezione ed è possibile, salvo che ricorrano situazioni specifiche ed eccezionali, solo se il condannato abbia espiato almeno un quarto della pena inflittagli o almeno dieci anni se si tratta di condannato all'ergastolo.
Sono modifiche importanti da collegarsi a quelle, inserite nel medesimo disegno di legge, relative al potenziamento dei poteri di impulso e di coordinamento del procuratore nazionale antimafia. Ne auspico la rapida approvazione da parte del Parlamento, con i miglioramenti che si riterrà di apportare nell'approfondita discussione in corso in questo momento al Senato ed in quella che si svolgerà alla Camera.
Sono modifiche che attestano l'attenzione del Governo e del Parlamento verso un istituto processuale che è stato ed è di fondamentale importanza nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata e che proprio per tale ragione va disciplinato con accuratezza, tenendo conto delle problematiche che si sono manifestate nella sua applicazione e di cui la vicenda Di Maggio rappresenta un esempio.

ELIO VITO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Presidente, io credo che la discussione che si è svolta questo pomeriggio, la lunga ed approfondita discussione che ha visto intervenire tanti colleghi sulla mozione che reca la prima firma dell'onorevole Maiolo e che i gruppi di opposizione avevano chiesto fosse inserita nel calendario dei lavori dell'Assemblea, utilizzando la prerogativa che dà loro il nuovo regolamento, sia stata molto utile e molto importante.
Essa ha consentito di approfondire un tema delicato e, a partire dagli interventi svolti dai colleghi di maggioranza che non avevano sottoscritto la mozione ma che hanno mostrato un'apertura nei confronti dei suoi contenuti e, soprattutto, di alcuni suoi aspetti, nonché dagli interventi dei colleghi che l'hanno presentata, ad iniziare dall'onorevole Maiolo, credo si renda utile e necessario sospendere qui la trattazione di questo argomento, per riprenderla rapidamente in altra seduta (non per abbandonarla).
Questa pausa di riflessione potrebbe servire ai vari gruppi per tentare i contatti necessari che, preso atto anche della replica del signor ministro, potrebbero portare alla elaborazione di risoluzioni che raccolgano un consenso più ampio di quello che ha caratterizzato l'iniziativa dell'onorevole Maiolo. Infatti la mozione è stata presentata solo dai gruppi di opposizione.
Vogliamo dunque esperire questo tentativo per verificare se su un tema così delicato sia possibile giungere a documenti finali che raccolgano un consenso più ampio. Per questa ragione chiediamo di sospendere l'esame del punto all'ordine del giorno, ritenendoci soddisfatti sia della presentazione della mozione sia dell'accoglimento della richiesta che su di essa si


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svolgesse comunque un dibattito parlamentare. Ora è probabilmente più utile sospenderlo e fare il tentativo di giungere ad un documento che abbia un ampio consenso (Applausi).

PRESIDENTE. Sulla proposta formulata dall'onorevole Vito, darò la parola ad un oratore a favore e ad uno contro, ove ne sia fatta richiesta.

PIETRO FOLENA. Chiedo di parlare a favore.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIETRO FOLENA. Intervengo a favore, ma vorrei motivare la mia posizione. Quando questa mattina siamo stati informati dal Governo che l'onorevole Vito, a nome dei gruppi componenti il Polo, firmatari della mozione in esame, aveva avanzato l'ipotesi di non procedere alla votazione al termine dell'odierno dibattito, abbiamo manifestato la nostra disponibilità, che voglio confermare, comprendendo la ragione politica (e non quella tecnica, che del resto ora l'onorevole Vito non ha nascosto) di tale richiesta.
La ragione politica sta nella constatazione che i gruppi di maggioranza, come è emerso anche dal dibattito appena conclusosi, hanno espresso unanimemente un'opinione contraria su questa mozione per cui ci saremmo trovati di fronte ad una sua trasparente bocciatura.
La sospensione e il rinvio ad una data, anche ravvicinata, della votazione, come suggerisce il collega Vito, è una strada perseguibile, ma evidentemente deve essere intesa nel suo significato autentico. Non si tratta di una sospensione rispetto alla quale poi ci ritroveremmo al punto di partenza, lasciando l'opinione pubblica del paese di fronte all'impressione che il Parlamento non abbia voluto decidere sulla mozione in esame (sul cui contenuto - ripeto - la maggioranza è contraria), ma di abbandonare, a seguito del dibattito che si è svolto, quel tipo di dispositivo. Ciò al fine di provare ad intervenire - ho inteso anche le parole del collega Giovanardi e ho letto la risoluzione dell'onorevole Carrara e di altri deputati dell'UDR - non già sul caso specifico (che sinceramente sarebbe più meritevole trattare con uno strumento di sindacato ispettivo che non con una mozione), bensì sulla questione dei collaboratori di giustizia con una indicazione programmatica del Parlamento sia in riferimento alle iniziative legislative necessarie, sia relativamente agli interventi amministrativi che occorre assumere.
Dichiaro pertanto la nostra disponibilità favorevole al rinvio con la suddetta motivazione, dando per scontato che si chiude una pagina e che la prossima volta discuteremo su risoluzioni concernenti i problemi del paese senza rinfocolare una polemica che a questo punto possiamo considerare conclusa (Applausi dei deputati del gruppo dei democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di parlare contro e non essendovi obiezioni, la proposta dell'onorevole Vito di sospendere l'esame della mozione Maiolo ed altri n. 1-00202 si intende accolta.
(Così rimane stabilito).

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