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PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
ALFREDO ZAGATTI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il testo unificato che viene sottoposto alla discussione dell'Assemblea costituisce il risultato di un lavoro lungo e articolato condotto dalla VIII Commissione, che il 31 luglio 1996 ha iniziato l'esame congiunto di numerose proposte di legge di iniziativa parlamentare, nonché della proposta di legge n. 1222 di iniziativa popolare, relative a due grandi questioni tra loro collegate: la riforma del mercato delle locazioni private e la riforma della normativa in materia di edilizia residenziale pubblica e di riassetto degli istituti autonomi case popolari. L'esame della Commissione ha compreso anche un confronto e l'esigenza di trovare soluzioni ai problemi posti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 309 del 1996, che ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 11, comma 2, del decreto-legge n. 333 del 1992, convertito dalla legge n. 359 del 1992.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
GIANNI FRANCESCO MATTIOLI, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Radice. Ne ha facoltà.
ROBERTO MARIA RADICE. Presidente, colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, l'essere pervenuti dopo vent'anni alla constatazione che l'equo canone è morto e merita quindi la definitiva archiviazione non può che rappresentare un elemento positivo per chi, come noi, ritiene che i rapporti fra le parti, fra i singoli cittadini debbano essere lasciati al contratto, cioè alla libera espressione delle volontà che si incontrano, si scontrano, si mediano, trovando infine il necessario punto di intesa e di reciproca soddisfazione. Allontanarsi dagli interventi dello Stato è per noi di forza Italia uno dei fondamenti della nostra azione politica e rappresenta la realizzazione del nostro programma, nel rispetto degli impegni elettorali assunti.
SAURO TURRONI. Di chi?
ROBERTO MARIA RADICE. Di qui pesanti cadute in termini di demagogia. Non trovo altra parola per definire la sottoposizione del locatore all'assolvimento di obblighi di natura fiscale al fine di poter esercitare propri diritti, quali la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fongaro. Ne ha facoltà.
CARLO FONGARO. Già nella seduta di questa mattina si è affrontato in parte il grande tema di questa legge, che riforma o tenta di riformare il mercato delle locazioni, dopo che nel 1978 entrò in vigore la legge sull'equo canone, che ebbe
CARLO FONGARO. Dell'articolo 7 non condividiamo il fatto che si utilizzi l'obbligo
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Casinelli. Ne ha facoltà.
CESIDIO CASINELLI. Signor Presidente, concordo nella sostanza con la relazione dell'onorevole Zagatti. Quella che è giunta all'esame dell'Assemblea è una buona legge. Come maggioranza rispettiamo l'impegno, che avevamo assunto in occasione dell'esame dell'ultimo decreto recante la proroga degli sfratti, di approvare entro il 30 settembre una nuova disciplina definitiva che portasse ad un superamento dell'equo canone e la normativa transitoria dei patti in deroga, che per taluni aspetti venne anche sanzionata dalla Suprema Corte.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Biasio Calimani. Ne ha facoltà.
LUISA DE BIASIO CALIMANI. La riforma del regime delle locazioni, a distanza di vent'anni dalla legge sull'equo canone, è - e lo dimostra la ventiduesima proroga degli sfratti che scade ad ottobre - fra le riforme fondamentali che il paese aspetta per dare ordine, certezze e la maggiore equità possibile a questa delicata materia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fabris. Ne ha facoltà.
MAURO FABRIS. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, il contributo dato con il grande lavoro preparatorio che abbiamo svolto in Commissione, affinché l'Assemblea potesse oggi esaminare il testo del provvedimento, mi solleva dalla necessità di dover illustrare in maniera dettagliata le posizioni che il nostro gruppo ha sostenuto in questi due anni di lavoro in Commissione e nel Comitato ristretto. Agli atti dell'VIII Commissione sono già state consegnate infatti le posizioni da noi sostenute in maniera estremamente chiara e in modo incisivo, visto che non poche delle osservazioni da noi fatte in questi due anni di lavoro sono state oggetto di grande attenzione e, in alcuni casi, di accoglimento da parte della Commissione e dei Comitati ristretti che hanno lavorato sui testi di legge via via presentati.
TOMMASO FOTI. Un furto.
MAURO FABRIS. Un furto o un reato, a seconda dei punti di vista.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Cesaris. Ne ha facoltà.
WALTER DE CESARIS. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, cari colleghi e care colleghe, ritengo che il nostro dibattito odierno sia molto importante; e questo non solo perché votando la legge di riforma delle locazioni facciamo un significativo passo in avanti per il rispetto della data del 31 ottobre 1998, che segna la scadenza della proroga delle commissioni prefettizie di graduazione degli sfratti. La sua importanza, infatti, è data soprattutto dal fatto che affrontiamo con una legge di riforma una delle questioni centrali dello Stato sociale: quella del diritto alla casa. È noto, infatti, che il tema delle politiche abitative è assai significativo. È noto che in Italia esiste in questo settore una grande sofferenza, concentrata principalmente nelle grandi aree urbane. È noto come l'introduzione, nel 1992, della cosiddetta legislazione dei patti in deroga non ha risolto i problemi, anzi ha alimentato ingiustizie e nuove tensioni.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Foti. Ne ha facoltà.
TOMMASO FOTI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il testo sottoposto al nostro esame presenta una forte incongruenza: il cosiddetto primo canale o primo binario, vale a dire la modalità contrattuale che dovrebbe essere libera, risulta in verità vincolato e in due direzioni: quella della durata e quella delle clausole.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare di alleanza nazionale ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Zagatti.
Nel lavoro della Commissione si è partiti esaminando l'insieme delle questioni che in qualche modo fanno riferimento alla politica per la casa, decidendo, ad un certo punto, di determinare una differenziazione, nel senso di esaminare compiutamente le proposte che avevano ad oggetto la riforma del mercato delle locazioni private, destinando ad altro provvedimento, diverso da quello oggi al nostro esame, il compito di trattare i problemi relativi alla riforma dell'edilizia residenziale pubblica. Pertanto, noi oggi discutiamo un aspetto, sicuramente importante, delle politiche abitative, che però riguarda essenzialmente la questione del mercato delle locazioni private.
Il testo unificato che giunge ora all'esame dell'Assemblea costituisce, dunque, il tentativo di portare a sintesi un complesso di esigenze e di soluzioni normative presenti nelle numerose proposte di legge avanzate in materia.
Desidero quindi richiamare brevemente ed in modo molto schematico i principali obiettivi che il testo al nostro esame si propone di conseguire e gli strumenti individuati come funzionali alla loro realizzazione.
Il primo obiettivo individuato consiste nel superare un insieme di norme transitorie, temporanee o derogatorie rispetto ad altre normative, che non hanno più riscontro nella realtà, disegnando in tal modo un quadro legislativo che sia il più semplice e stabile possibile.
Voglio ricordare a questo proposito che la legge fondamentale che regola il settore delle locazioni è ancora la legge n. 392 del 1978, cosiddetta dell'equo canone, che mantiene la sua vigenza come normativa principale di questo settore, ancorché inapplicata nei suoi aspetti fondamentali nella maggior parte dei contratti di locazione abitativa.
Vorrei inoltre ricordare che nel corso di questi ultimi anni si è affermata la pratica della pattuizione in deroga rispetto alla legge sull'equo canone, attraverso
una normativa che è stata fortemente caducata da una sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità delle modalità che erano previste per la cosiddetta assistenza obbligatoria da parte delle organizzazioni dei sindacati degli inquilini e dei proprietari alla pattuizione dei singoli contratti.
Inoltre, una serie di altre norme che regolano la materia avevano carattere transitorio o derogatorio rispetto a quelle principali.
Il primo obiettivo quindi era quello di semplificare e di portare un minimo di organicità alla normazione in questa materia. Il testo in esame compie a questo proposito una scelta abbastanza drastica, attraverso l'abrogazione esplicita di 33 articoli della legge n. 392 (la quasi totalità di quelli che disciplinano le locazioni ad uso abitativo), lasciando invece in essere le norme della legge n. 392 che si occupano dei cosiddetti usi diversi (commerciale o di altro tipo) che non erano e non sono oggetto del nostro confronto, l'abrogazione del decreto-legge n. 551 del 1988, convertito dalla legge n. 61 del 1989, e dell'articolo 11 del decreto-legge n. 333 del 1992, convertito dalla legge n. 359 del 1992, sostituendo ad essi una nuova ed organica normativa.
Il secondo obiettivo, oltre a quello della semplificazione, individuato da questo testo consiste nell'attuare una scelta di liberalizzazione controllata del settore delle locazioni a fini abitativi, definendo a tale scopo un complesso di regole, nell'ambito delle quali possano trovare spazio una maggiore autonomia negoziale delle parti, la possibilità di scelta tra diverse soluzioni contrattuali ed un quadro di maggiori certezze giuridiche in ordine al rientro in possesso dell'immobile locato al termine del contratto.
Nel contempo è prevista una selettiva azione di sostegno pubblico, tesa a favorire le famiglie dei conduttori a più basso reddito, che non beneficiano di alloggi di edilizia residenziale pubblica, e la crescita, attraverso queste norme, di un settore del mercato dell'affitto privato più accessibile alle famiglie con redditi medi.
È in questo complesso di obiettivi il cuore della proposta legislativa che abbiamo in esame, la quale cerca di aderire al massimo grado possibile ai problemi che caratterizzano l'attuale situazione del mercato delle locazioni abitative. Vale la pena di ricordare infatti come il portato delle politiche realizzate negli ultimi decenni e la forte propensione all'acquisto dell'abitazione da parte delle famiglie abbiano determinato, assieme ad indubbi aspetti positivi, anche elementi di distorsione, che pesano sulla situazione italiana in modo anomalo rispetto alla più generale realtà europea.
In primo luogo, vorrei ricordare una ristrettezza di dimensioni del mercato dell'affitto, molto accentuata nel nostro paese rispetto all'insieme delle nazioni europee. In Italia il mercato delle locazioni è molto ristretto - si potrebbe definire asfittico - e contraddice palesemente all'esigenza di mobilità abitativa e sociale, che pure è fondamentale per un paese che voglia ulteriormente qualificare il suo sviluppo.
D'altra parte abbiamo un mercato delle locazioni che soffre di altre anomalie: una situazione in cui l'offerta, a differenza di quanto avviene in altri paesi, è caratterizzata prevalentemente da una fortissima frantumazione dei proprietari che concedono immobili in affitto. In Italia i grandi soggetti investitori e promotori dell'affitto, che in qualche modo contribuiscono anche alla regolazione e calmierazione del mercato dell'affitto in altri paesi, costituiscono figure sconosciute, mentre la stragrande maggioranza dei proprietari che concedono l'affitto sono piccoli proprietari che hanno uno o al massimo due o tre appartamenti.
Dall'altra parte, v'è da dire che nel nostro paese il patrimonio di edilizia residenziale pubblica, cioè dell'edilizia sociale, non svolge un ruolo incisivo, in ragione della sua scarsa consistenza rispetto a quello dei paesi con i quali solitamente ci confrontiamo ed in ragione del fatto che esso costituisce per gran parte un patrimonio bloccato, nel senso cioè che è a disposizione delle famiglie
che vi hanno potuto accedere. Ciò non ha consentito quel fisiologico ricambio che dovrebbe caratterizzare il settore dell'edilizia residenziale pubblica. Chi ha avuto la fortuna e la possibilità di accedere a questo patrimonio, vi rimane indipendentemente dalle condizioni reddituali raggiunte, a differenza di chi, pur avendo una situazione favorevole all'accesso alle case popolari, non riesce ad accedervi per la scarsa disponibilità oltre che per quel blocco del sistema realizzatosi nel corso degli anni.
Le norme che hanno favorito una parziale liberalizzazione del mercato nel corso degli anni (penso ai patti in deroga), che hanno contribuito a garantire una maggiore vivacità del mercato delle locazioni private, in presenza di vincoli per molti aspetti e di spinte alla liberalizzazione per altri aspetti, hanno creato una situazione che, specie nei centri a forte tensione abitativa, sta diventando incontrollabile. Non solo le famiglie a più basso reddito, ma anche quelle caratterizzate da redditi medio-bassi faticano a seguire le condizioni del mercato privato ed a trovare una soluzione soddisfacente nel mercato delle locazioni private, in relazione ai prezzi molto alti e alle punte di canone.
Questo è l'insieme dei problemi che abbiamo preso in esame e considerato nella definizione del testo unificato.
Considerando i presupposti schematicamente richiamati, la proposta in esame prefigura innanzitutto la possibilità di scelta fra due modalità contrattuali distinte. La prima consente di definire del tutto autonomamente fra le parti l'entità del canone ed altri aspetti contrattuali; l'unica limitazione è costituita dalla indicazione della durata dei contratti, che viene definita in quattro anni, con rinnovo automatico per altri quattro anni qualora il proprietario non manifesti l'intenzione di utilizzare l'immobile per sé o per i propri familiari o di sottoporlo ad opere definite dall'articolo 3 della proposta. In sostanza si prefigurano le medesime condizioni previste dal legislatore nel 1992 con i cosiddetti patti in deroga, con l'importante novità che la normativa recepisce pienamente quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza che ha dichiarato incostituzionali le modalità con le quali era stato previsto l'intervento obbligatorio delle organizzazioni degli inquilini e dei proprietari nella stipula del contratto. È considerata cioè alla stregua di una mera facoltà la possibilità di assistenza delle organizzazioni degli inquilini e dei proprietari, ciò che ha eliminato uno dei fattori di condizionamento voluti dal legislatore nel 1992.
Con questa prima modalità di contrattazione riteniamo che debba prevalere la libera ed autonoma contrattazione delle parti, senza vincoli né condizioni che non siano quelle della durata minima nei termini richiamati.
Portare a regime con questa importante novità la vigente normativa dei patti in deroga e abrogare contemporaneamente le normative che prefigurano contratti a prezzo amministrato in base all'equo canone costituisce un indubbio impulso alla liberalizzazione del mercato.
L'altra modalità prevista per la stipula dei contratti di locazione contempla la possibilità per le parti di aderire a contratti-tipo definiti sulla base di particolari procedure, che fanno perno sulla negoziazione di accordi locali fra associazioni della proprietà e degli inquilini, coadiuvati in questo da un accordo quadro a livello nazionale che definisce criteri generali di tipo omogeneo. La proposta prevede un ruolo centrale dei comuni nella promozione di tali accordi, che hanno lo scopo di favorire la stipula di contratti di locazione a condizioni che tengano conto dell'andamento reale del mercato nelle diverse località e, nel contempo, a canoni più moderati rispetto al mercato stesso. Questa seconda modalità di contrattazione a cui si accede liberamente è incentivata in tre modi diversi: in primo luogo, sul piano delle imposte erariali, laddove si prevede una riduzione dell'incidenza fiscale dell'IRPEF, dell'IRPEG e dell'imposta di registro pari al 30 per cento nei comuni definiti ad alta tensione abitativa; in secondo luogo, con una possibile riduzione dell'ICI, che è facoltà di tutti i
comuni applicare agli immobili cui si riferiscono questi contratti; in terzo luogo, con una durata inferiore del contratto, stabilita in un minimo di tre anni (più un biennio in caso di mancato successivo accordo).
Tenendo presente i contenuti del dibattito che si è svolto questa mattina sulla questione pregiudiziale di costituzionalità, vorrei ricordare quanto è stato richiamato da diversi colleghi intervenuti nella discussione.
Noi prefiguriamo due modalità di contrattazione: la prima, che vede esaltati gli aspetti dell'autonomia contrattuale delle parti; la seconda, che vede invece esaltati gli aspetti dell'incentivazione, in primo luogo fiscale ma anche normativa, a favore di canoni mediamente più bassi rispetto a quelli di mercato. Vorrei far rilevare che la scelta tra la prima e la seconda modalità è lasciata totalmente all'autonomia delle parti ed è del tutto libera per gli attori del contratto! Noi non possiamo quindi vedere in questo un limite dell'autonomia contrattuale; dobbiamo invece vedere e valutare sia una necessaria iniziativa da parte dello Stato e dei pubblici poteri tesa ad incentivare le condizioni attraverso le quali le famiglie a redditi medio-bassi possano accedere al mercato della locazione privata, in presenza di difficoltà oggi molto evidenti, sia una possibilità, che viene offerta a quei proprietari di immobili che oggi faticano ad «incrociare» una domanda che chiede canoni più moderati, di superare la difficoltà che oggi esiste ad affittare alle condizioni richieste e imposte da una domanda differenziata che ha quelle condizioni.
Voglio dire questo perché abbiamo inteso predisporre un testo di legge che offre opportunità e che non introduce nuovi vincoli. Si tratta di opportunità che sarà possibile cogliere se vi sarà una conseguente iniziativa da parte delle amministrazioni, dei comuni in primo luogo, delle forze sociali, dei singoli attori dei contratti; un'opportunità che non sarà colta se non vi sarà questa iniziativa e che, in ogni caso, mette la pubblica amministrazione e il Governo nelle condizioni di favorire il raggiungimento di obiettivi di portata generale, di grande rilevanza sociale, senza introdurre elementi di vincolo, ma appunto allargando la possibilità di scelta per coloro che stanno sul mercato, vi competono, vi agiscono e vi cercano accordi!
Mi pareva essenziale richiamare questo fatto, perché ritengo che esso sia l'elemento caratterizzante della proposta in esame.
A sostegno delle famiglie con i redditi più bassi che versano nelle medesime condizioni - per intenderci - di coloro i quali hanno oggi la disponibilità di un alloggio di edilizia residenziale pubblica (che avrebbero le medesime condizioni, ma che non hanno però la possibilità concreta di avere a disposizione un alloggio di edilizia residenziale pubblica), noi prevediamo l'istituzione di un fondo sociale che consenta, governato in primo luogo ed essenzialmente dai comuni, di concedere contributi integrativi ai redditi per queste famiglie che rendano più sopportabile il costo dell'affitto che oggi è difficile sostenere per famiglie con questi redditi. Anche questa è una scelta innovativa, nel senso che lo Stato, nei cinquant'anni che abbiamo alle spalle, ha ritenuto di doversi muovere unicamente sul fronte della politica della casa attraverso la costruzione di case e la gestione pubblica diretta delle case che aveva costruito con denari pubblici. A cinquant'anni dall'inizio di questa esperienza, siamo in grado di rilevare sia gli elementi positivi sia tutti i limiti presenti in una scelta unilaterale di questo genere.
Proponiamo, quindi, che accanto a questo cominci a funzionare un'altra possibilità e modalità di intervento dello Stato, che interviene nella politica della casa anche con capacità di sostegno ai redditi, così come avviene in molti altri paesi, quindi con la possibilità di differenziare le sue politiche e le sue iniziative in luogo dell'accentramento, che abbiamo conosciuto in questi anni, solo sul fronte della costruzione di un nuovo patrimonio edilizio di cui, sia detto tra parentesi, in
questo paese non si avverte una particolare necessità, perché di fatto abbiamo uno stock di costruzioni, spesso inutilizzato o malamente utilizzato, forse superiore a tutti gli altri paesi europei.
Da ultimo, con efficacia a decorrere dal 2001, ma prevedendo già una scelta impegnativa per il collegato e per la finanziaria del 1999, prevediamo l'istituzione di uno strumento che consenta di portare in detrazione fiscale, da parte degli inquilini a certe condizioni di reddito, parte o tutto il costo del canone dell'affitto. Anche questa è una scelta di innovazione profonda, che oltre ad essere socialmente rilevante, in quanto tende a sostenere e ad aiutare le fasce di inquilinato più debole, può essere anche importante e fruttuosa dal punto di vista della riconduzione a regolarità dei contratti di locazione privati, in quanto per la prima volta introduce un meccanismo di contraddittorio, per così dire, tra inquilino e proprietario e una convenienza, autonomamente maturata, dell'inquilino, in virtù della necessità di accedere a queste agevolazioni fiscali, alla regolarità del contratto di locazione.
È questo un aspetto di grande rilievo, che si sposa con altre normative contenute nella proposta di legge, sul fronte dell'emersione di quella parte di mercato non regolare che nel settore delle locazioni viene segnalato come non solo esistente ma largamente esistente. Viene proposta una serie di misure che impongono la regolarizzazione fiscale, anche ai fini dell'esecuzione e dei rilasci, che credo potranno offrire un contributo per rendere più regolare e trasparente un mercato di grande importanza per la vita sociale e per il funzionamento del nostro paese.
Infine, e concludo, la questione dei rilasci. Noi siamo di fronte, come sanno la Camera e il Parlamento, alla continua proroga di una normativa - l'ultima dovrebbe decadere alla fine del mese di ottobre di quest'anno - che ha di fatto prodotto, negli anni, se non un blocco, una proroga estenuante dei rilasci per finita locazione. In sostanza, attraverso la presenza di commissioni prefettizie, di una normativa che ha teso, di fatto, a limitare al massimo l'esecuzione dei rilasci per finita locazione, siamo andati accumulando, nelle province italiane, un numero di richieste di rilascio non eseguite abbastanza alto.
Con questa normativa cerchiamo di introdurre un elemento di principio, che credo giusto, che consiste in questo: ognuno deve essere messo in condizione di sapere, quando si avvia la procedura per il rilascio per finita locazione, qual è il termine di questa procedura. Per ottenere questo risultato riteniamo - e la proposta si muove in questo senso - che vada abrogata la normativa che prevede il funzionamento delle commissioni prefettizie; che vada riportata al giudice dell'esecuzione la materia dei rilasci; e che si definisca legislativamente quali sono le proroghe possibili, a certe condizioni, per i rilasci per finita locazione, purché si sappia, sulla base del conteggio di queste possibilità di proroghe, quale può essere il termine ultimo per l'esecuzione del rilascio.
Credo che si tratti di un'innovazione robusta e consistente, perché si tende, in questo modo, a dare più certezze agli inquilini, ma anche ai proprietari, e, in qualche modo, ad accrescere la fiducia, in coloro che volessero mettere a disposizione del mercato delle locazioni un appartamento, una casa o un patrimonio immobiliare, che le condizioni e le regole, attraverso cui questo impegno alla locazione si manifesta, alla fine vengano rispettate da tutti gli attori.
Vi sono poi nel testo altre norme diverse, che secondo me hanno un rilievo equitativo consistente, che si muovono nella giusta direzione. Cito come esempio la norma che è stata introdotta e che consente di non conteggiare, ai fini dell'imponibile, in presenza di cause per morosità dell'inquilino ed in presenza di sentenza che convalida la morosità dell'inquilino, i canoni non percepiti dal momento della sentenza fino all'esecuzione. Mi sembra una norma civile, con la quale riconosciamo il fatto che le imposte
si pagano sui redditi che effettivamente si percepiscono. Mi auguro che il prosieguo del dibattito possa portare ad un ulteriore miglioramento di queste disposizioni, ma credo che comunque introdurremo dei principi innovativi e seri nella nostra legislazione.
Concludo con una considerazione. Nel nostro dibattito sono ritornati spesso termini come «vincolismo», «liberalizzazione», «mercato» e quant'altro: cose giuste. Credo che nessuno di noi possa sfuggire ad una verità, cioè che, parlando di casa, parliamo di una realtà ambigua, di una sorta di Giano bifronte. Da una parte, parliamo sicuramente di un bene che in questo caso è inserito in un mercato, per il quale valgono le regole del mercato nel momento in cui lo si concede in locazione, e da queste regole di mercato non possiamo prescindere. Dall'altra parte, parlando di casa, noi parliamo anche di un diritto sociale, del diritto sociale inalienabile di tutte le famiglie ad avere una condizione abitativa dignitosa. E sappiamo che se il mercato si è rivelato, nel corso della storia economica e sociale, un sistema efficacissimo di allocazione delle risorse, spesso non si è rivelato un sistema altrettanto efficace di allocazione dei diritti e di riconoscimento dei diritti. Riteniamo pertanto che, accanto alla considerazione relativa a regole di mercato da cui, ripeto, non si può prescindere, sia indispensabile non prescindere anche dal dovere dello Stato di intervenire con finalità sociali chiare e trasparenti, per far sì che in questo paese il diritto all'abitazione, ad una abitazione dignitosa sia pienamente riconosciuto (Applausi).
Non possiamo quindi che prendere atto con soddisfazione che con questa riforma verrà finalmente superata la legge dell'equo canone del 1978, mettendo fine ad un periodo di vincolismo che ci si era illusi dovesse servire a recare con sé la diffusione di un bene - la casa da affittare - e che invece ha portato alla rarefazione del bene stesso, al punto che già nel 1992 si dovette pensare ad un intervento legislativo, quello relativo ai cosiddetti patti in deroga, di superamento dell'equo canone.
Soddisfatti, dunque, lo saremmo compiutamente se si fosse preso coraggio e si fosse detto - come da noi proposto e ancor oggi riproposto specificatamente - che il canale libero è libero, vale a dire che esso si regge sulle norme fondamentali della locazione, ossia sul codice civile.
Si badi bene che tanto la Cassazione quanto la Corte costituzionale hanno correttamente sempre considerato come fondamento della nostra legislazione in tema di locazione di immobili non la legge dell'equo canone bensì il codice civile. Tornare al codice civile superando vincolismi, dirigismi, schematismi: questo sarebbe stato l'atto liberatore, l'atto che avrebbe restituito alle parti la loro piena, sovrana libertà. Con la necessaria tutela, certo, delle fasce più deboli, che anche noi reclamiamo, pur ritenendo che debba
farsene carico la collettività nel suo insieme e non una specifica categoria, quella dei proprietari di casa.
Così non è stato. Si è rimasti impigliati da parte dei colleghi della maggioranza nelle posizioni ideologiche dei verdi e di rifondazione comunista.
Vorrei citare alcuni casi emblematici che attendono soluzione; soluzione che noi abbiamo previsto e che ci attendiamo possa venire dall'approvazione dei nostri specifici emendamenti. Prendiamo il caso della normativa introdotta da ultimo, relativa all'ampliamento dei comuni cosiddetti ad alta tensione abitativa individuati dal CIPE, di cui al comma 4 dell'articolo 8. Ebbene: se il CIPE decide di ampliare il numero dei comuni, cosa possibile, non si prevede che si riveda il finanziamento, con opportune variazioni di bilancio demandate al ministro del tesoro, al fine di mantenere al medesimo livello l'agevolazione fiscale. No, si sceglie la strada della variazione dell'agevolazione fiscale; variazione che - è superfluo il dirlo - si prevede solo in diminuzione. Che dire di uno Stato che si rivolge a un contribuente invitandolo a sottoporre il suo contratto a determinate condizioni in cambio dell'agevolazione fiscale del 40,5 per cento, da applicarsi evidentemente per la durata del contratto medesimo, e poi, dopo un anno o due, o anche nel corso dello stesso anno, cambia l'elenco dei comuni in cui si applica l'agevolazione e quindi la riduce al 35, al 33 o al 25 per cento?
Il proprietario accetterebbe, quindi, di entrare nel canale cosiddetto di contrattazione per subire, poi, una decurtazione dei vantaggi che gli erano stati promessi, senza una scusa e soprattutto senza che si disponga, come almeno sarebbe logico, che le nuove agevolazioni diminuite varranno per i contratti a venire, non per quelli in essere.
Aggiungo, sempre in tema di agevolazioni, che la previsione originaria del 45 per cento è stata micragnosamente - perdonate l'avverbio, ma tale è l'impressione - ridotta soprattutto perché in un primo momento lo specifico emendamento del ministro delle finanze era gabellato come migliorativo rispetto alla stesura proposta dal relatore, onorevole Zagatti.
Un altro esempio relativo sempre alle difficoltà nelle quali verrà a trovarsi il locatore che acceda al canale contrattato riguarda l'ICI. All'articolo 2, comma 4, si prevede che i comuni possano abbassare l'ICI per favorire la locazione. Meno giustamente si prevede che possano sfondare il limite, fino a due anni or sono eccezionale, del 7 per mille. Ma si tace sul fatto che l'ICI possa variare nel corso del rapporto locatizio, mentre non può variare il canone, una volta concordato; quindi, se l'ICI sale, se raddoppia, il proprietario non può farci niente: vedrà erodersi il suo reddito anche se per accedere al canale contrattato, quindi indursi a sottoscrivere quel particolare tipo di contratto, fosse stato allettato - che so? - dall'ICI all'1 per mille. Un'ICI all'1 per mille nel 1998 destinata a salire al 6 per mille nel 1999 e al 7 per mille nel 2000: un'eventualità, certo, ma possibile, legittima; una beffa, però, per il locatore, il quale sarebbe completamente indifeso.
Da qui la nostra proposta: l'ICI iniziale resta fissa per tutta la durata del contratto di locazione. In tal modo, le parti possono concordare il canone nella certezza di un elemento importante quale l'imposizione patrimoniale locale.
Abbiamo voluto dare un'indicazione anche in tema di contratti di durata più breve rispetto a quella lunga, molto lunga, decisamente troppo lunga, di otto anni, prevista per il canale che viene definito libero. L'esempio ci è venuto dalla legislazione francese, dalla quale abbiamo
mutuato un emendamento per eventi che si possono verificare nelle previsioni del locatore in un futuro prossimo. Esempio tipico: il matrimonio di un figlio; la stampa ne ha parlato in questi giorni come di un caso frequente per proprietari che vorrebbero locare. Altro esempio: un familiare che si iscriverà all'università fra due anni, o ancora un trasferimento in altra città fra tre anni. Sono tutti eventi prevedibili che fissano una data certa entro la quale si può locare l'appartamento. Perché non consentire, come fa la legge francese, un contratto di durata limitata, superiore all'anno ma inferiore agli otto anni adesso previsti, in vista del verificarsi di un evento specificatamente indicato nel contratto, con una penale a carico del locatore se tale evento non dovesse verificarsi per sua colpa? Quali motivi, politici o tecnici, ostano ad una proposta che favorisce la messa sul mercato, per breve tempo, di locali altrimenti destinati allo sfitto? Uno sfitto peraltro subito e non cercato.
Vorrei ancora soffermarmi sulla situazione dei canoni non riscossi. Vi chiedo: com'è possibile ridurre al solo caso di inquilini morosi di immobili ad uso residenziale la possibilità di ottenere la non presa in considerazione del reddito che in effetti il proprietario non ha riscosso? A me una simile discriminazione «puzza» di incostituzionalità. Forse che il non percepire canone da un commerciante, un artigiano, un professionista morosi è tollerabile mentre non lo è non percepirlo dal residente moroso? E qui stiamo parlando di miliardi di imposta introitati dallo Stato senza che i proprietari abbiano prima a loro volta introitato i relativi canoni. Miliardi, non milioni. Il vero problema non è quello di restringere la platea dei contribuenti danneggiati bensì quello di dilatarla fino a comprenderla tutta intera.
Un ultimo caso vorrei qui citare a proposito di indispensabili modifiche del testo. Si tratta del caso in cui un comune non provveda a convocare le parti per stipulare l'accordo locale. Mi riferisco al comma 3 dell'articolo 2. Occorre pensare non ai grandi comuni bensì a quelli minori, vale a dire a quelli che un maestro del diritto, qual è Giannini, definiva «comuni polvere». Chi ci garantisce che tutti i comuni, singoli o associati, provvederanno a favorire la stipula di tali accordi? E se in un comune il locatore si trova, per inerzia del comune stesso, privo dell'accordo locale, perché deve restare escluso dai benefici fiscali, compresa l'eventuale riduzione dell'ICI che, non dimentichiamolo, vale per tutti i comuni e non solo per quelli cosiddetti ad alta tensione abitativa? Ci vuole un rimedio, ed è quello correttamente indicato prima dal collega Casinelli e da noi ripreso in uno specifico emendamento: in assenza dell'accordo locale promosso dal comune, basta rispettare le previsioni del decreto ministeriale.
Credo, con ciò, di aver tratteggiato alcuni elementi che ci spingono a guardare senza simpatia questa proposta di legge. Ci pare di poter dire in sintesi che è mancato il coraggio di un taglio netto con il passato. Si è rimasti prigionieri, nonostante i tentativi di cui bisogna correttamente dare atto al gruppo dei democratici di sinistra, della logica vincolistica che fu propria della sinistra negli anni settanta. Avete fatto uno sforzo, colleghi democratici di sinistra, ma è ancora poco, troppo poco.
In conclusione, ritengo che la materia meriti di essere riportata in Commissione per una definitiva chiusura di quei profili eminentemente tecnici da me sin qui trattati. Ecco perché - e di ciò si è già parlato in Comitato dei nove - sarebbe opportuno chiedere all'Assemblea l'autorizzazione alla sede redigente, alla quale sin da adesso ci dichiariamo consenzienti.
tanti demeriti. Già questa mattina si è avanzato il dubbio della incostituzionalità, vista la forte limitazione della libera contrattazione, sia per i proprietari sia per gli inquilini, e visto che non si è risolto il grave problema del rientro in possesso dell'immobile da parte del proprietario alla scadenza del contratto, che non viene garantito.
È stato un percorso lungo e in alcuni passaggi effettivamente sono stati introdotti anche alcuni miglioramenti. Per fortuna, sono stati eliminati alcuni punti che erano presenti all'inizio, nelle prime stesure: per esempio, il contratto a tempo indeterminato, che era previsto nella prima stesura del testo e che sicuramente aveva caratteri di incostituzionalità. Però, purtroppo, non si è fatto abbastanza. Si è adottata una soluzione, quella del doppio canale, del doppio regime, che sicuramente costituisce un fortissimo limite perché si arrivi ad una effettiva liberalizzazione del mercato. Proprio questa mancata liberalizzazione è la ragione principale delle nostre critiche nei confronti del provvedimento in esame.
All'articolo 1 è stato raggiunto un traguardo. Infatti, se non altro, si è riconosciuto che alcune parti della legge sull'equo canone dovevano assolutamente essere abrogate. Questa soluzione, grazie anche ad alcune modifiche proposte dal gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, è stata condivisa ed almeno si è prevista l'abrogazione di quegli articoli della legge sull'equo canone che avrebbero sicuramente creato confusione se si fossero sommati alla normativa di cui al provvedimento attualmente in discussione.
L'articolo 2 è quello che purtroppo ci trova forse maggiormente critici, in quanto prevede l'istituzione del doppio canale. Il primo canale non può essere considerato libero, vista la durata minima che è fissata in quattro anni più quattro. La norma è stata peggiorata nell'ultima stesura, in quanto, qualora non intervenga una precisa volontà di addivenire ad un rinnovo, il contratto si intende tacitamente rinnovato alle medesime condizioni e quindi per un periodo estremamente lungo, visto che si riparte dall'«anno zero», come se la locazione ricominciasse dal primo anno. Bisogna riconoscere che nella stesura iniziale era previsto che il primo periodo di quattro anni potesse essere prolungato di altri due anni, qualora le parti non si fossero accordate. Se non altro, siamo riusciti ad eliminare questa proroga imposta, che purtroppo ritroveremo pari pari nel secondo canale.
La nostra proposta si pone l'obiettivo di trasformare il contratto di locazione in titolo esecutivo, al fine di garantire il rientro in possesso dell'immobile. Sicuramente il passaggio a titolo esecutivo rappresenterebbe una scelta importante, dagli effetti quasi perentori, ed avrebbe un merito: far tornare nella disciplina italiana i contratti a termine, scomparsi di fatto da moltissimi anni (direi da decenni). La legislazione vincolistica che ha portato all'emanazione della legge sull'equo canone nel 1978 ed altre scelte successive, facendo scomparire i contratti a termine, di fatto hanno sottratto alle parti una possibilità estremamente importante: stabilire che un rapporto di locazione abbia una durata determinata, sancire la scadenza del rapporto contrattuale e quindi avere la certezza di recuperare l'immobile. Solo un contratto con il valore di titolo esecutivo può garantire questa chiarezza di rapporti tra proprietario e inquilino, soprattutto in considerazione del cattivo funzionamento della giustizia in Italia.
Non ci trova assolutamente favorevoli, poi, l'aver demandato ai sindacati (con l'articolo 4) la risoluzione di moltissimi problemi relativi alle locazioni: affidare ai sindacati la fissazione di norme che dovranno regolare i rapporti fra privati cittadini significa prevaricare la volontà e la libera contrattazione dei cittadini. La lega si è già espressa più volte nel senso di consentire la libera contrattazione ai proprietari ed agli inquilini, anche se nell'ambito di un minimo di regole: nessuno ha mai preteso l'anarchia in questo settore, ma una cosa è dettare un minimo di regole, altro è fissare rigidamente tutti
i patti e le clausole contenuti in un contratto. In questo senso il cosiddetto secondo canale è peggiorativo anche rispetto alle norme sull'equo canone.
Nel comma 5 dell'articolo 2 è prevista una proroga di due anni per tutti i contratti, alla loro scadenza. Si tratta di una proroga generalizzata, di fatto immotivata, che è inaccettabile proprio perché introduce un meccanismo di proroghe automatiche. Insieme con il cattivo funzionamento della giustizia, le proroghe automatiche realizzano un esproprio della proprietà privata. La scelta è stata motivata adducendo che la casa è un bene sociale, ma la casa di proprietà di un libero cittadino va nettamente distinta dall'abitazione che lo Stato ha il dovere di garantire attraverso le forme di assistenza: non possiamo chiedere ai cittadini di sostituire lo Stato nella sua funzione sociale, facendo ricorso alla loro proprietà privata.
Non condividiamo la convenzione nazionale istituita con l'articolo 4 sia per la posizione - ovvia - del nostro partito sia perché, obiettivamente e logicamente, realtà diversissime del nostro paese (fra nord e sud e fra ambiti territoriali completamente diversi) non possono essere disciplinate da una convenzione nazionale, per di più elaborata dai sindacati: mi pare che tutto questo rappresenti un'assoluta negazione della liberalizzazione del mercato, la quale dovrebbe consentire ai cittadini - riconoscendo la loro maturità - di trovare di volta in volta i contratti più adatti per soddisfare le esigenze.
Ricordo che la sentenza n. 309 del 1996 della Corte costituzionale, rivoluzionando il settore, almeno in relazione ai nuovi contratti, ha liberalizzato il mercato delle locazioni, permettendo alle parti di accordarsi liberamente sul prezzo dell'affitto ed ha messo in forte dubbio anche la legittimità della presenza delle organizzazioni sindacali.
Tuttavia non sembrano completamente abbandonati gli scopi politici della tutela della legittimazione e del finanziamento delle organizzazioni sindacali stesse. In realtà il testo attuale sposta solamente le problematiche nel tempo, confermando la delega al ministro dei lavori pubblici e a quello delle finanze per l'emanazione di un decreto che stabilisca i criteri generali: quindi ancora una volta una delega.
Sempre l'articolo 5 prevede un'ulteriore delega in materia di contratti di locazione di natura transitoria: saranno sempre le organizzazioni sindacali a fissare le norme.
L'articolo 6 proroga indiscriminatamente di ulteriori cinque mesi le esecuzioni dei provvedimenti di rilascio. Non ci sembra plausibile che una ulteriore proroga di cinque mesi riesca a far accordare le parti, se fino ad ora non hanno raggiunto l'accordo per la stipula del nuovo contratto.
Al comma 4 vediamo favorevolmente la previsione della restituzione alle preture della competenza in ordine agli sfratti e l'abbandono delle fallimentari commissioni prefettizie, che tra l'altro hanno costituito con il loro cattivo funzionamento l'origine di proroghe non giustificate su nessun altro piano.
Apprezziamo inoltre l'approvazione di un nostro emendamento riferito al secondo periodo, laddove era previsto l'accertamento da parte del pretore dei motivi di necessità del proprietario. Occorre uscire dalla logica per la quale il locatore può rientrare nel possesso del proprio immobile solo qualora sia in grado di dimostrare una sua assoluta ed inderogabile necessità: si tratta, di fatto, della negazione del diritto ad usufruire della proprietà privata.
Valutiamo in maniera critica il comma 5, che raffigura il locatore come soggetto votato a fare il benefattore. È impensabile che un privato che deve investire nell'edilizia e, segnatamente, nel settore delle locazioni possa sostituirsi allo Stato nelle sue funzioni.
della registrazione dei contratti di locazione come strumento per la lotta all'evasione, ricattando i cittadini che hanno necessità di rivolgersi alla magistratura e cogliendo quell'occasione per verificare l'assolvimento di obblighi fiscali. Credo che lo Stato abbia il dovere di verificare in altro modo l'assolvimento di tali obblighi da parte dei cittadini.
In relazione all'articolo 8 è stato accettato un emendamento della lega e del Polo che prevede che non si paghino le tasse su canoni non corrisposti: almeno il locatore non sarà tenuto a pagarle su redditi che non ha mai percepito! Purtroppo per una serie di ragioni tale innovazione è stata fortemente limitata, tanto è vero che attualmente viene garantita soltanto nel periodo in cui viene sancita l'effettiva morosità e previsto il provvedimento di rilascio dell'immobile.
Sempre in merito alle agevolazioni fiscali, che avrebbero lo scopo di indurre, ma sarebbe più esatto dire costringere, i proprietari a ricorrere al secondo canale, notiamo una forte discriminazione, dal momento che queste agevolazioni vengono riconosciute solamente ai proprietari che affittano i loro immobili nei comuni indicati come ad alta tensione abitativa. Gli elenchi sono assolutamente inadeguati, vecchi e non corrispondenti alla realtà, per cui è altamente discriminatorio questo modo di agevolare o di concedere lo sconto sull'IRPEF ed altre agevolazioni riguardanti l'ICI e l'imposta di registro.
Sempre in materia di agevolazioni e di normativa fiscale non è stato accettato un emendamento della lega nord per l'indipendenza della Padania, che prevedeva l'istituzione di una imposta sostitutiva sui redditi. Come ormai è assodato ed è impossibile negare, l'immobile è una forma di investimento e di rifugio e come tale dovrebbe essere trattato. Da tutti, quello immobiliare viene considerato come un investimento. Ricordo che a suo tempo ci fu anche una «lotta» tra i titoli di Stato e l'investimento immobiliare, tanto è vero che i titoli di Stato assicuravano sempre elevati tassi di interesse e questo perché, in particolare negli anni settanta, si volevano sottrarre all'investimento immobiliare le risorse dei cittadini.
Purtroppo però quando si tratta di pagare le tasse non viene riconosciuta questa funzione di investimento, questa funzione di bene rifugio, per cui il proprietario di un immobile viene tartassato. Figuriamoci poi se è proprietario di una seconda abitazione!
Avevamo proposto l'istituzione di un'imposta sostitutiva con la quale assoggettare i redditi da immobile ad un'unica imposta del 12 per cento.
Con riferimento all'articolo 11, che prevede l'istituzione dell'osservatorio della condizione abitativa, ricordo che tale istituzione era già prevista nel provvedimento di legge sull'edilizia residenziale pubblica, presentato nella scorsa legislatura. In realtà pensiamo che si voglia solo trovare una collocazione al personale del CER presso il Ministero dei lavori pubblici, a seguito della soppressione dello stesso CER.
Con l'articolo 12 si intende tutelare in maniera eccessiva e confusa la categoria degli inquilini, introducendo un articolo che prevede la nullità delle clausole diverse o contrarie a quanto stabilito nel contratto tipo. È sicuramente facile prevedere che, come avvenne con la legge sull'equo canone, d'ora in avanti la giurisprudenza dovrà interessarsi dei patti contrari e non contrari a questa legge e dovremo attendere dieci anni prima di avere un minimo di certezza nell'applicazione dei vari articoli ed accordi stabiliti dalle organizzazioni.
Condividiamo l'articolo 13, che prevede l'abrogazione di tutti gli articoli della legge sull'equo canone che riguardano l'edilizia abitativa.
Concludo con alcune considerazioni. Rispetto al testo originario qualcosa è stato fatto, anche grazie al lavoro costruttivo dell'opposizione e del nostro movimento. Ma è sicuramente troppo poco! Si è persa infatti un'occasione: l'occasione di liberalizzare il mercato, tra l'altro approfittando di un momento favorevole non perché siano stati approvati, negli ultimi anni, provvedimenti legislativi che hanno
favorito ciò, ma perché grazie ai patti in deroga del 1992 e ad una successiva sentenza della Corte costituzionale, si è ridotta la tensione abitativa.
Non si è capito l'insegnamento che si poteva ricavare da quella vicenda. Proprio la parziale liberalizzazione del mercato delle locazioni, infatti, aveva consentito di immettere nuovamente nel mercato delle locazioni immobili fino a quel momento tenuti sfitti. Ciò aveva determinato una maggiore disponibilità di immobili in locazione e, di conseguenza, una riduzione dei canoni. Dal momento che la situazione attuale non è quella del 1978, si sarebbe potuto avere più coraggio. Tra l'altro anche l'imposta sostitutiva avrebbe favorito la riduzione dei canoni; infatti, non è peregrino pensare che un proprietario che non debba pagare il 46 per cento di tasse sia incoraggiato a chiedere un affitto meno oneroso. Difatti, se su un affitto pari ad un milione un proprietario deve versare al fisco solo di IRPEF quasi mezzo milione, lo stesso viene invogliato a chiedere un affitto maggiore affinché gli rimanga qualcosa in tasca.
Come dicevo, non si è avuto dunque il coraggio necessario per affrontare in modo radicale la materia e si è fatta una mezza legge, delegando i sindacati e non i cittadini a stabilire quali saranno le clausole che dovranno essere contenute nei contratti di locazione. Si tratta di una mezza legge, anche se ciò non è stato determinato dalla fretta, visto che il provvedimento è all'esame della Camera da due anni, ma dalla paura di dispiacere ai sindacati oppure da alcuni contrasti ideologici interni alla stessa maggioranza.
Si tratta di un buon provvedimento che riporta il problema della casa - che è una questione sociale della massima importanza - e la necessità di dare una abitazione a chi non è in condizione, con i propri mezzi, di pagare i canoni di mercato, dalla sfera della contrattazione tra proprietario ed inquilino ad una dimensione di portata generale e di carattere sociale. Ne consegue che di tale questione è chiamata ad interessarsi l'intera collettività e quindi lo Stato.
La legge prevede una doppia modalità di contrattazione, come si è più volte detto, consistente in un primo canale ed in un secondo canale. Quest'ultimo è necessariamente assistito; infatti, attraverso un fondo sociale, si va incontro alle esigenze degli inquilini meno abbienti, di quella parte di società che con i propri mezzi non potrebbe avere una casa ed una vita dignitose.
Le varie obiezioni sollevate dall'onorevole Radice e dall'onorevole Fongaro hanno trovato una soluzione, se non generale, quanto meno parziale negli emendamenti approvati in Commissione anche con il contributo del Polo e della lega. Dopo un atteggiamento iniziale di chiusura quasi totale nei confronti di questo provvedimento, essi hanno poi contribuito a renderlo più praticabile ed efficace.
Concludo rivolgendo un invito ai rappresentanti degli altri gruppi a riflettere se non sia il caso di proporre all'Assemblea di trasferire questo provvedimento alla Commissione in sede redigente. Ciò potrebbe risultare più utile per il definitivo affinamento del testo, per risolvere qualche problema che ancora è aperto e che richiede un parere definitivo del Ministero delle finanze. Esaminando nel giro di un paio di giorni il provvedimento in sede redigente si potrebbe tornare in Assemblea per la votazione finale.
Fin d'ora preannuncio il voto favorevole sull'intero provvedimento nonché il favore del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo al trasferimento del provvedimento alla Commissione in sede redigente.
Per troppi anni si sono contrapposti frontalmente interessi dei proprietari e degli inquilini, senza che una proposta legislativa riuscisse a raggiungere le aule parlamentari, danneggiando così gli uni e gli altri. Ora, grazie all'impegno del relatore, onorevole Zagatti, che con equilibrio e tenacia ha perseguito e raggiunto l'obiettivo, e con il grande senso di responsabilità di tutte le forze politiche che hanno partecipato ad un lavoro minuzioso di stesura del testo, siamo quasi giunti al risultato finale.
Il mercato delle locazioni si è ristretto nel nostro paese fino a raggiungere le percentuali più basse di tutti gli altri paesi, non solo europei. Una copiosa letteratura ha illustrato i complessi motivi di questo fenomeno italiano, motivi che vanno dalla dissuasione all'investimento in alloggi da dare in locazione, creata dall'insicurezza di rientrare in loro possesso, alla resistenza spesso disperata dell'inquilino che, se sfrattato, non trova sul mercato un alloggio sostitutivo, e ancora dalla scarsa remuneratività del bene di taluni alloggi con affitto cosiddetto «bloccato», alla impossibilità dell'inquilino, per converso, di sostenere canoni troppo elevati rispetto alle sue capacità economiche.
Ma soprattutto questa situazione italiana, che appare svantaggiosa per tutti, trova le sue radici nella scarsa presenza del «pubblico», che non ha voluto o saputo assolvere al suo compito, non ha dato risposta al pressante problema sociale della casa, drammatico per i ceti a basso reddito, gli anziani, le giovani coppie, le famiglie monoreddito, scaricando sui privati compiti e funzioni che gli spettavano, dimenticando che la casa è un problema sociale (come ha detto d'altra parte l'onorevole Zagatti nella sua introduzione) e un diritto anche dei più deboli, e che la mancanza di alloggio pesa quanto, e forse più, della mancanza del posto di lavoro, anche se le persone che ne sono colpite non hanno la forza di far sentire la loro voce.
Questo provvedimento non è quindi risolutivo di tutti i problemi della casa, che in Italia mantiene ancora alcuni aspetti di forte arretratezza rispetto ad altri paesi europei, ma ne rappresenta un pezzo importante, che riuscirà ad esercitare tutta la sua positiva efficacia se accanto al mercato privato delle locazioni, cui questa legge dà ordine e regole, si metterà a regime un mercato degli alloggi a canone sociale che si rivolga a quel 90 per cento di famiglie che non potranno mai accedere al mercato privato per motivi di reddito, che chiedono un alloggio nell'edilizia pubblica senza trovare risposta e che non avranno in futuro migliori prospettive se alla fine di quest'anno, esauriti gli ultimi finanziamenti ex Gescal, non verranno trovate ipotesi di finanziamento alternativo.
Gli ultimi finanziamenti ex Gescal, secondo il principio riformatore che i decreti Bassanini hanno proposto ed imposto, saranno distribuiti per realizzare alloggi di edilizia sociale, senza i lacci e i lacciuoli che imbrigliavano regioni e comuni, rendendo molto difficile e lenta la loro utilizzazione. Lo stesso indirizzo, diciamo così, federalista è presente nella legge che stiamo per votare; secondo il principio di sussidiarietà vengono dati alle regioni e ai comuni, alle associazioni della proprietà e degli inquilini ruoli e compiti per definire durata dei contratti, canone di locazione e criteri per la distribuzione
delle provvidenze statali a favore delle famiglie meno abbienti, come contributo al pagamento del canone anche in rapporto alla compartecipazione ai finanziamenti integrativi che gli stessi enti provvederanno ad aggiungere.
È il principio della corresponsabilità, che forse aiuterà le regioni a porsi in maniera più attiva e culturalmente diversa nei confronti del problema casa, finora dalle stesse quasi ignorato sotto il profilo dell'impegno economico.
La stessa possibile riduzione dell'ICI da parte dei comuni a favore dei locatori che si assoggettano ad un contratto a canone controllato, corrisponde a questa concorrenza di fattori e di soggetti nel raggiungimento dell'obiettivo fissato.
Un altro aspetto che informa il provvedimento e che va sottolineato è quello del saper sostituire a vincoli ed obblighi, delle opportunità. È un principio positivo, che induce comportamenti derivanti da libere scelte a cui il privato accede perché sollecitato dal vantaggio che il pubblico - lo Stato - offre per avere in cambio un vantaggio collettivo. È questa la filosofia che sottende le detrazioni e le agevolazioni fiscali - il 30 per cento in aggiunta al 15 per cento già praticato - destinate ai privati che si indirizzeranno verso il cosiddetto canale contrattato, che avrà canoni e tempi di locazione fissati, stabiliti e, com'è giusto che sia, variabili nelle diverse aree del paese. Quindi un uso della fiscalità che progressivamente si riduce, iniziando da politiche mirate al perseguimento degli obiettivi che si intendono raggiungere, il primo dei quali è l'ampliamento del patrimonio di alloggi in locazione a canone contrattato, visto che la forbice tra domanda e offerta non riguarda la quantità del bene, ma il suo costo. Rispetto al passato anche recente gli alloggi in locazione ci sono, ma a prezzi inaccessibili alla maggior parte delle famiglie richiedenti.
Il secondo obiettivo consiste nel far emergere il cosiddetto nero, cioè gli alloggi locati che, non registrati né denunciati nella dichiarazione dei redditi, non sono soggetti al pagamento delle tasse. Com'è noto, e da tutti lamentato, le imposte diventerebbero meno pesanti se le pagassero tutti. Ebbene, questa legge agisce per riportare alla luce quello che si stima essere un terzo delle locazioni complessive attraverso un duplice strumento: la detrazione fiscale e, ancor più efficace e persuasivo, la previsione contenuta nell'articolo 6, che impedisce la esecuzione del rilascio dell'immobile locato se il contratto non è registrato e l'ICI non è stata pagata. Tale strumento, per quanto parziale, svela la vera volontà di lotta all'evasione, a differenza della demagogia di chi la sostiene a parole perché solo parole vuole che restino.
Non essendo illimitate le risorse destinate agli incentivi fiscali - 200 miliardi nel 1999 e 300 miliardi nel 2000 - è giusto che esse non siano distribuite a pioggia, ma destinate, come previsto nel testo in esame, alle aree ad alta tensione abitativa, perché il problema della casa non colpisce tutti né tutto il territorio nazionale indistintamente, ma si concentra nei comuni ad alta densità, nelle aree metropolitane, nelle città capoluogo di provincia e nei comuni contermini.
Per queste stesse ragioni è importante che il beneficio fiscale sia esteso agli alloggi destinati agli studenti, perché lì si annida gran parte del sommerso; inoltre in alcune città sedi universitarie la popolazione studentesca è così consistente rispetto ai residenti da influire sull'intero mercato delle locazioni, gonfiando e drogando i prezzi con danno per gli studenti e per gli stessi residenti.
Anche il patrimonio degli enti previdenziali dovrebbe essere ricondotto al canale contrattato, considerata la provenienza dei finanziamenti utilizzati per la costruzione degli alloggi e la politica non sempre sociale che tali enti praticano nella gestione del patrimonio immobiliare.
Attraverso la regolamentazione e normalizzazione del mercato delle locazioni private, se sostenuto dall'intervento sociale delle locazioni pubbliche, potrà essere frenata quella corsa alla proprietà, determinata più dall'insicurezza di disporre di un alloggio che da una scelta effettiva.
Concludo affermando che favorire la cultura della locazione attraverso una reale disponibilità ed accessibilità di alloggi in affitto è positivo almeno per due ordini di motivi. Innanzitutto perché la locazione facilita la mobilità del posto di lavoro; è il segno di una società più dinamica e offre soprattutto ai giovani la possibilità di scelte e comportamenti più flessibili. Inoltre, migliora l'uso del patrimonio abitativo che in Italia ha carattere abnorme perché al naturale, biologico mutamento del numero dei componenti della famiglia non corrisponde l'adeguamento delle superfici utilizzate. Ciò implica uno spreco ed un disagio che il cambio di alloggio, in funzione delle mutare esigenze, eviterebbe.
Ho ascoltato con interesse la proposta dei colleghi Radice e Casinelli tendente a chiedere la sede redigente. I democratici di sinistra sono perfettamente d'accordo, l'importante è la fissazione di tempi brevi per il riesame da parte dell'aula, perché abbiamo una scadenza da onorare se vogliamo giungere al termine della proroga, il 31 ottobre, con la legge approvata. Vi ringrazio (Applausi).
Quello al nostro esame è un provvedimento che noi giudichiamo in questa fase non ancora sufficiente e non ancora adeguato agli obiettivi che si erano stabiliti. È per questo un testo che, per quanto ci riguarda, richiede ancora tutta una serie di interventi e quindi un ulteriore lavoro di approfondimento.
Sul tema delle locazioni e in generale sulle questioni del rilancio del settore abitativo e del settore edile nel nostro paese, la Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera ha lavorato in maniera intensa nel corso di questa XIII legislatura. Lo ha fatto con una serie di provvedimenti che sono già stati ricordati e che oggi trovano una prima sostanziale risposta col testo di legge al nostro esame.
Da parte nostra rimangono numerose riserve non solo su questo testo, ma anche sugli altri che sono in avanzata fase di definizione in seno alla Commissione. Ciò, tuttavia, non ci impedisce di evidenziare come fino ad ora questo lavoro sia stato estremamente positivo, se non altro perché abbiamo dimostrato che, pur nelle diversità delle posizioni dei gruppi parlamentari che si sono confrontati in Commissione e in aula, questo Parlamento, nel corso della XIII legislatura, intende veramente dare risposte a tutta una serie di questioni che hanno ormai raggiunto dei livelli estremamente preoccupanti. Si tratta di una serie di situazioni che andavano evidentemente superate per consentire il rilancio dell'edilizia, a partire da quella pubblica, il riordino degli enti regionali per quanto riguarda appunto l'edilizia residenziale e il lavoro che stiamo svolgendo sulla normativa per gli appalti.
Credo che il Parlamento alla fine, riconoscendo la diversità dei ruoli, debba essere soddisfatto di quanto è stato fin qui portato avanti e spero che lo possa essere ancor più con la definizione e il voto finale sui diversi provvedimenti che ho richiamato.
Tutto ciò è utile, e sarà ancora più utile una volta che le leggi in discussione
verranno approvate, al paese, alle famiglie italiane ed al rilancio di settori importanti dell'economia del nostro paese.
La casa, per venire al tema specifico del testo di legge al nostro esame, è un bene a cui nessuno ovviamente può rinunciare. Uscire da una fase segnata da norme via via sempre più vincolistiche (considerando sia la legge sull'equo canone del 1978 sia il regime precedente, che ha inteso intervenire sulla materia delle locazioni), e per questo incapaci di dare risposta a questo bisogno primario della persona, credo sia stato assolutamente utile e che sia assolutamente necessario pervenire al più presto ad una conclusione. Il provvedimento al nostro esame - che non possiamo condividere - mi sembra, se non altro da questo punto di vista, un atto di responsabilità, una soluzione comunque di responsabilità rispetto ad un dato non più tollerabile ed accettabile che avevamo registrato negli ultimi decenni nel paese. Nonostante il nostro paese sia ai primi posti in Europa per quanto riguarda il numero di proprietari di abitazioni che in esse vivono, nonostante il numero delle abitazioni costruite, e quindi di vani già esistenti, sia largamente sufficiente per dare ad ogni famiglia italiana e ad ogni cittadino italiano una casa, non si è riusciti in questi anni a sgonfiare le situazioni di tensione abitativa che abbiamo registrato nel paese; ebbene, tutto questo evidentemente è stato determinato dalla insufficienza, anzi dalla iniquità delle troppe leggi, penalizzanti per l'intero settore, che fino ad ora hanno regolamentato il cosiddetto mercato delle locazioni.
Nonostante un'offerta ampiamente sufficiente di costruito, è sempre rimasta largamente insoddisfatta la domanda di case dei cittadini italiani. Ciò, evidentemente, perché il modello ibrido, se così vogliamo definirlo, di equo canone e patti in deroga, che fin qui ha normato la materia, non ha funzionato. Il mercato - ecco il punto da sottolineare - sicuramente ha fallito in questo settore; ha fallito perché era un mercato vincolato, un mercato drogato da norme che non hanno mai precostituito le condizioni idonee perché il costruito disponibile venisse messo a disposizione di quella fascia di italiani che ne avevano bisogno. Secondo i dati che lo stesso ministro dei lavori pubblici ha fornito alla Commissione, si tratta di una fascia che è al di sotto del 15 per cento, sia perché, come ricordavo prima, la stragrande maggioranza degli italiani ha, per propria fortuna e per proprie capacità, la possibilità di vivere in una casa di proprietà, sia perché gli interventi di edilizia residenziale pubblica hanno notevolmente ridotto la fascia di cittadini che non riescono a trovare nel mercato le soluzioni al proprio problema abitativo.
Certo, il mercato delle locazioni - vorrei sottolineare questo punto perché per noi è altrettanto importante - non può essere lasciato completamente libero; è infatti un mercato che deve regolamentare uno dei settori più sensibili, più esposti della comunità, in cui vi sono soggetti deboli che non possono, in base alle risorse di cui dispongono, essere in grado di incontrare le offerte di quanti sulla casa, al contrario, hanno investito a fini speculativi - sicuramente legittimi, ci mancherebbe altro - che richiedono, chiaramente, di essere remunerati. Questa debolezza, evidentemente, deve essere superata con un intervento da parte della mano pubblica, e in tale contesto è evidente come da parte nostra non vi sia mai stata contrarietà a misure tese a limitare i drammi di chi non ha la casa, di chi non la trova, di chi non riesce a mettere su famiglia, di chi è esposto al rischio di essere messo fuori dall'abitazione in cui risiede perché è scaduto il contratto di locazione o per altre situazioni che si creano.
Abbiamo sempre sostenuto che, se sono vere tali considerazioni, a cui noi, lo ripeto ancora una volta, profondamente crediamo, è anche vero che le cifre fornite dallo stesso ministro Costa alla Commissione, che dimostrano come il 4 per cento circa dei cittadini - è questa la percentuale riferitaci dal ministro - non ce la fa ad avere una casa di proprietà, non riesce
ad entrare in possesso di una casa cosiddetta pubblica, non possono certo essere prese a pretesto per vincolare, per normare l'intero settore abitativo del nostro paese. Se questi cittadini sono in difficoltà, penso che l'intervento pubblico debba essere potenziato, che si debba intervenire con strumenti diversi, ma credo anche che non si possa farlo nel mentre si tenta di normare un settore che, proprio per i troppi vincoli che sin qui ha avuto, ha dimostrato di non saper rispondere alle esigenze che vi sono; anzi, ha dimostrato che con questo sistema, con questo regime si penalizzano ancora una volta proprio i settori più deboli. Il blocco del mercato delle locazioni, il blocco degli affitti, l'impossibilità di trovare sul mercato quanto serve ai cittadini senza casa, evidentemente è pagato in maniera più pesante proprio dai settori più deboli della popolazione, che a volte vengono usati in maniera strumentale per impedire quei processi di liberalizzazione del mercato che, invece, noi abbiamo sempre sostenuto.
Lo Stato, quindi, deve pensare ad un altro tipo di interventi. Da questo punto di vista, la legge per la casa alle giovani coppie, per esempio, ci sembra una risposta mirata, una risposta ad hoc per le situazioni di disagio e di difficoltà che si registrano nella situazione italiana.
Dunque, cosa diversa è intervenire, come era nell'intenzione dei firmatari delle proposte di legge oggi al nostro esame, per rilanciare il settore delle locazioni, per renderlo più fluido, per consentire un migliore incontro tra domanda ed offerta: temi diversi - lo sottolineo - da quello di dare aiuto ai più deboli, ma decisivi per rilanciare un settore da anni asfittico, bloccato, incapace di ridurre sia il numero degli appartamenti e delle case non locate, sia di dare casa a chi non ce l'ha.
Il lavoro svolto in Commissione, da questo punto di vista (ne do volentieri atto ai colleghi della Commissione ed in modo particolare al relatore, il quale si è adoperato in maniera tenace e competente per limitare i contrasti e per trovare le possibili intese), ha consentito di superare gran parte dei dogmatismi iniziali; uno scontro che ha avuto un aspro sapore ideologico, anche sorpassato per molti aspetti, e che ha rischiato più volte di bloccare i nostri lavori.
A questo punto del nostro operato, forse è utile per la storia, ma nella sostanza non cambia molto, il ricordare come più volte lo stesso relatore sia stato costretto a mutare le sue proposte. Dispiace solo che, per rendere possibile l'esame del testo, si sia dovuto in questa tredicesima legislatura procedere per ben tre volte alla cosiddetta proroga degli sfratti, che veniva regolata da norme che sono state via via prorogate e consentite grazie alle leggi oggi in vigore. Un perpetuare delle condizioni di incertezza per gli inquilini, e a volte un perpetuare delle condizioni di vero e proprio esproprio di Stato a danno specialmente dei piccoli e medi proprietari, che si poteva evitare se solo ci fosse stata fin dal principio, a livello di maggioranza, una maggiore definizione delle posizioni alle quali la stessa maggioranza intendeva giungere.
Penso che sul tema casa, da questo punto di vista, la maggioranza abbia dimostrato ancora una volta tutte le sue contraddizioni intestine, anche se nel programma dell'Ulivo - vale la pena di ricordarlo - la maggioranza, o meglio l'Ulivo aveva promesso agli italiani di voler agire per una liberalizzazione del settore.
Le contraddizioni che ricordavo prima evidentemente hanno snaturato molto questa impostazione programmatica, anche se elettorale, ed i costi, o meglio i tempi di metabolizzazione delle contraddizioni ci hanno portato, appunto, ad un esame così prolungato, a volte difficile, così contraddittorio per molti aspetti, quale è stato quello che abbiamo visto e vissuto in Commissione. Ora alcuni di questi contrasti sembrano superati, e ne siamo ovviamente tutti felici. Tuttavia, sottolineo che si sono persi dei mesi per attendere che si placassero i duri scontri interni di chi a sinistra riteneva, e probabilmente ritiene ancora, che coloro che
costruiscono una casa devono sapere, come ha sostenuto un collega in Commissione, che ottengono un bene di natura sociale e dunque non si possono meravigliare se poi tale bene viene normato da leggi che di fatto limitano il possesso del bene quando viene dato in locazione. Evidentemente queste posizioni mal si conciliavano e mal coesistevano, all'interno della stessa maggioranza, con le posizioni più liberiste di chi invece considera che tutto sommato la proprietà non sia più un reato in questo paese.
Spero che, come peraltro potrà emergere facilmente dall'esame comparato dei testi via via esaminati dalla nostra Commissione, la maggioranza, i suoi esponenti, lo stesso relatore siano disposti ad ammettere di essere stati costretti a rivedere non pochi dei dogmatismi e delle convinzioni da cui essi stessi erano partiti. Dico questo anche perché credo sia giusto, giunti a questo punto della nostra discussione, dare ad ogni forza politica i meriti e il riconoscimento del lavoro svolto per evitare che alcuni punti comunque qualificanti già inseriti oggi nel testo al nostro esame diventino oggetto di autoattribuzione da parte della maggioranza.
Già il collega Radice ha ricordato come il tema tanto discusso della sottrazione dei fitti non riscossi all'imposizione fiscale sia stato frutto, in modo particolare, delle modifiche proposte dalle opposizioni e come tutto questo non sia peraltro ancora garantito per l'approvazione finale, stante l'opposizione - da noi considerata assolutamente inconcepibile ed inaccettabile - da parte del Governo, per ragioni che continuiamo a non comprendere (si parla di mancanza di copertura finanziaria) rispetto ad una disposizione che ci sembra attinente più alla giustizia sociale, come lo stesso relatore Zagatti prima ricordava.
Deve comunque essere ben chiaro che, se questo punto verrà accolto nella nuova legge sulle locazioni, ciò sarà ottenuto anche con un atteggiamento molto deciso e molto duro, in modo particolare, anzi in via quasi esclusiva, da parte dei gruppi dell'opposizione.
Quindi è francamente mistificatorio e, comunque, mortificante, ingiusto per il lavoro che tutti noi abbiamo svolto in Commissione, leggere su certa stampa che questo, che sarebbe uno dei punti qualificanti della nuova legge, sia da attribuire a forze che, in realtà, sulla materia hanno mostrato quanto meno freddezza, se non una contrarietà assoluta. Così potremmo dire anche rispetto ad altri cambiamenti radicali che sin qui abbiamo ottenuto riguardo al testo in origine presentato. Penso, ad esempio, al ruolo delle associazioni sindacali sia dell'inquilinato che della proprietà; penso a quanto riguarda le garanzie circa il rilascio. Ciò detto e riservandoci di intervenire successivamente, quando esamineremo gli emendamenti presentati da parte nostra per l'esame in quest'aula, dichiaro che non siamo soddisfatti perché dal modello ibrido equo canone-patti in deroga oggi si è arrivati ad una formulazione comunque dualistica, ma - a noi sembra - ancora mistificatoria della denominazione di uno dei cosiddetti canali, con la nascita, appunto, del modello a due canali: il canale cosiddetto libero, che per noi libero non è, e il canale chiamato concertato (Commenti del deputato Foti). Ringrazio il collega Foti per la sottolineatura. Il collega Foti è un libero pensatore.
Il primo dei due canali lascia, o, meglio, vorrebbe lasciare al proprietario la libertà di stabilire il canone. Ma tale libertà ci sembra fortemente limitata quando si impone per legge la durata minima della locazione: quattro anni aumentabili di altri quattro, salvo disdetta motivata. Il secondo canale, cosiddetto contrattato, si affida, invece, ad intese generali tra rappresentanti delle rispettive categorie dei proprietari e degli inquilini, sul modello dei patti agrari o, anche, della contrattazione collettiva.
Da uno sguardo complessivo all'impianto risalta immediatamente una contraddizione di fondo - almeno così a noi
sembra - da sola assorbente ogni ulteriore approfondimento, cioè l'accostamento stridente quanto illogico tra i due regimi, privi di un denominatore comune che ne giustifichi la compresenza. A parte quanto diremo più avanti, come ho già preannunciato, quando entreremo nel merito dei singoli emendamenti da noi presentati, vorrei rilevare come la tanto sottolineata liberalizzazione non ci sia. La situazione dalla quale si voleva uscire suggeriva sicuramente un processo di liberalizzazione, se volete anche controllata, anche graduale, di modo che si arrivasse ad una diversa configurazione, meno rigida e frantumata, alla quale, però, si dovevano accompagnare altre azioni, quali la riorganizzazione dei modelli di gestione del patrimonio residenziale pubblico, l'innovazione strutturale di mercato, la formazione di nuovi soggetti operanti nel settore primario degli affitti e meccanismi di sostegno effettivi e ben definiti sin da adesso, e non rinviati al 2001, alle famiglie a basso reddito.
Tale processo di riconfigurazione nella predisposizione e gestione del patrimonio abitativo richiede, però, gradualità e tempi non brevi, per evitare inaccettabili impatti sociali e l'innesto di meccanismi che, addirittura, rendano la situazione più rischiosa dell'attuale. Per questo, se si voleva percorrere la via della liberalizzazione, questa doveva presentarsi accompagnata da regole, indirizzi e sostegni concreti per un processo di innovazione del mercato delle abitazioni primarie in locazione, che consentisse il recupero del notevole divario che separa il nostro dai grandi paesi europei, quindi di migliorare, da questo punto di vista, l'efficienza e la redditività economica degli investimenti in abitazione, di creare, in sostanza, presupposti diversi da un punto di vista organizzativo, imprenditoriale e professionale.
Queste sono le riserve che noi avanziamo per quanto riguarda il primo canale, cioè il canale cosiddetto libero. Per quanto riguarda il secondo canale, anche questo ci sembra sia condito da troppe lusinghe e, sostanzialmente, da poca consistenza. Comunque, ci sembra un canale impigliato in meccanismi e vincoli che richiamano e, anzi, peggiorano quelli dell'equo canone: dalla convenzione tra le associazioni in ambito nazionale - non sappiamo come in questo paese, così diverso, si possa ricorrere a tali formulazioni, tanto più se il tutto viene, poi, demandato ad un decreto ministeriale in caso di mancata intesa - agli accordi locali, che comunque devono muoversi entro gabbie nazionali, ai diversi tipi di disdetta per finita locazione o per necessità alla fine della proroga biennale; per la diversa durata minima (tre anni) rispetto ai quattro più quattro dell'altro modello, prorogabile di altri due salvo necessità del locatore; per le complicate procedure che vorrei anche qui ricordare perché permarranno, per il rinnovo a nuove condizioni; dagli incentivi fiscali per il locatore (detrazioni fino al 40 per cento a fini IRPEF, agevolazioni per le tasse di registro, ICI e sgravi per affitti non percepiti) a quegli sgravi per l'appunto promessi all'inquilino a partire però solo dal 2001 e, ancora, al sostegno attraverso il fondo di solidarietà.
Tuttavia, si potrà notare che anche in questo caso il sistema risulta sbilanciato, perché quanto previsto è poco o nulla rispetto a quanto ci eravamo ripromessi e perché le stesse parti più deboli che si volevano aiutare non godono di quelle garanzie che invece sarebbero state necessarie.
Resta il fatto singolare, e logicamente inconcepibile, che il regime concertato e perciò vincolato possa sussistere e vivere accanto al canale libero. E non bastano certo i cosiddetti incentivi per attivare il favore degli operatori sul tipo di regime concertato. Vorrei ricordare che per l'ICI i comuni hanno dato ultimamente una pessima prova, addirittura aumentando le aliquote, mentre per le riduzioni a fini IRPEF l'aumento delle percentuali del 15 per cento di oggi non risulta certo sufficiente.
In sostanza, ci si trova di fronte ad una situazione che avrebbe richiesto ben altro tipo di interventi, che noi vorremmo sollecitare attraverso l'adesione alle
proposte già formulate circa la deliberazione da parte dell'Assemblea del ritorno del provvedimento in Commissione in sede redigente. Riteniamo, infatti, che sia giusto ritornare in Commissione per lavorare ancora intorno alle disponibilità che abbiamo registrato, allo scopo di migliorare il testo e quindi per raggiungere gli obiettivi che tutti ci eravamo dati: sia i presentatori delle proposte di legge, sia quanti hanno sostenuto l'iniziativa popolare. Ci sembra giusto raccogliere anche le disponibilità, quanto meno verbali, dimostrate dalla maggioranza - per la verità un po' meno dal Governo - per lavorare su proposte considerate giuste.
Vorrei che in quella sede fosse possibile trovare un modo per superare le ultime resistenze e le ultime contraddizioni che abbiamo registrato nella maggioranza affinché essa accolga, facendo tesoro anche del contributo fornito dalle opposizioni, altri suggerimenti che noi consideriamo doverosi e giusti. Da qui l'adesione del gruppo dell'UDR alla richiesta della sede redigente.
Come penso si evinca da quanto sin qui detto, le questioni aperte sono ancora numerose. Su di esse mi auguro si possa tornare a lavorare con quella necessaria serenità utile all'interloquire direttamente che solo la Commissione può offrire. Questo è il contributo che noi intendevamo dare nel corso della discussione generale. Ci riserviamo, ovviamente, altri interventi volti ad illustrare gli emendamenti da noi presentati e perciò a sostenere - mi auguro principalmente in Commissione - quelle modifiche che consideriamo assolutamente necessarie per garantire il nostro voto favorevole al provvedimento.
Questi sono stati gli effetti della deregolazione di questi anni: circa 11 mila miliardi di aumento complessivo degli affitti, ulteriore incremento degli sfratti, dilagare dell'evasione fiscale e della irregolarità contrattuale, almeno 5 milioni di case vuote, di cui circa 2 milioni e mezzo propriamente sfitte. Nel frattempo, inoltre, non è stato assolutamente colmato il divario tra l'Italia e il resto dell'Europa nel settore abitativo: l'offerta di alloggi pubblici nel nostro paese è ancora tra un sesto e un decimo di quella europea. Ovunque in Europa c'è un'offerta di alloggi a canone sociale maggiore che in Italia.
In questi anni, specialmente in questi ultimi anni, in Italia, al di là dei proclami di facciata, la politica abitativa è andata cioè in senso opposto alle esigenze concrete. Si sono sommate due contraddizioni, con due conseguenze negative che si sono sovrapposte: da un lato, l'aumento degli affitti ha spinto nella disperazione settori sempre più estesi della popolazione, che non ce la faceva a reggere l'aumento degli affitti determinato dai patti in deroga, e, dall'altro, la contrazione dell'offerta pubblica ha impedito di dare una risposta alternativa. Sono così aumentate l'emarginazione e l'esclusione, specialmente nelle grandi aree urbane. Il CNEL, non noi, ha recentemente affermato in un rapporto che sono oltre 2 milioni le famiglie che vivono una sofferenza
forte, cioè non riescono a reggere gli affitti determinati dal mercato liberalizzato.
Occorre quindi cambiare ed è forte l'attesa per una nuova legge che rappresenti almeno l'inizio di una inversione di tendenza. Noi ci siamo misurati, in un confronto aperto e costruttivo, con proposte costruttive, dentro la maggioranza e con il Governo. Ci siamo misurati, in un confronto a volte aspro, ma leale e alla luce del sole, anche con le opposizioni. Abbiamo cioè cercato di realizzare il massimo risultato, con l'obiettivo di introdurre nel testo alcuni elementi di novità, in direzione, dicevo, almeno dell'avvio di una nuova politica riformatrice.
Tra le novità che si sono introdotte, riteniamo anche grazie al nostro contributo, alcune sono, secondo noi, importanti. Al meccanismo di sgravi fiscali per quei proprietari che affittano a canoni calmierati, già presente anche nella nostra proposta di legge, si aggiunge - a partire dal 2001, ma con regole da verificare nei contenuti concreti già nel collegato alla finanziaria del prossimo anno - un meccanismo di detrazioni fiscali anche per gli inquilini, che potranno quindi detrarre così almeno parte del canone pagato dalla denuncia dei redditi. Si tratta secondo noi di un'importante acquisizione: un sostegno al reddito per gli inquilini con stipendi o pensioni medio-basse e l'introduzione del meccanismo del conflitto di interessi per combattere l'evasione e l'elusione fiscale.
Si apre adesso un confronto, in cui riteniamo sia fondamentale il ruolo delle organizzazioni sindacali, dei comitati, sulla percentuale della detrazione, sulla sua incidenza sul reddito e così via. Per noi, è chiaro che la detrazione fiscale per gli inquilini deve coinvolgere almeno gli inquilini con reddito medio-basso (un riferimento generale potrebbe essere quello che oggi è il limite di decadenza da un alloggio di edilizia residenziale pubblica) e per una quota che non può comunque essere inferiore a quello della proprietà che accetta i vincoli della contrattazione collettiva, comunque superiore al 40 per cento del canone corrisposto. Si apre quindi una discussione e la possibilità di una mobilitazione. È questo un risultato che noi consegniamo, per lo sviluppo di un movimento unificante anche dell'inquilinato.
Si afferma poi - altro punto secondo noi significativo - come la regolarità fiscale, allargata anche ai contratti in essere, secondo quanto da noi proposto, rappresenti e debba rappresentare un vincolo per l'esecuzione dei rilasci. Si dà quindi ai comuni la possibilità di abbassare l'ICI sotto il 4 per mille per le case affittate a canoni calmierati o di elevarla oltre il 7 per mille sulle case sfitte, ma per un solo punto in più e ciò genera una critica da parte nostra, in quanto riteniamo che sarebbe stato e sarebbe più opportuno ed efficace prevedere una più ampia facoltà per le amministrazioni locali.
Si realizza quindi sui due canali contrattuali, quello della contrattazione collettiva e quello del libero mercato, un compromesso tra due impostazioni. È chiaro, secondo noi, che tale compromesso può reggere solo se si mantiene la forbice tra i due canali, cioè si realizza la massima convenienza, sia per la durata del contratto sia per l'entità degli sgravi da assegnare, a chi sta nel canale della contrattazione collettiva.
In proposito ci domandiamo - e chiediamo al Governo ed alle altre forze - che senso abbia in questa prospettiva il mantenimento della detrazione fiscale del 15 per cento per i proprietari che, al contrario, intendano ricevere dal mercato il massimo del rendimento. Se costoro non accettano alcun condizionamento esterno, perché la collettività dovrebbe garantire una forma di agevolazione? In questo senso noi vorremmo dalla maggioranza e dal Governo più coraggio, imprimendo alla disciplina maggiore spirito riformatore.
A tal fine proponiamo di introdurre - almeno per le grandi aree urbane e per periodi limitati, per fronteggiare particolari situazioni di emergenza abitativa, affidando una responsabilità diretta ai
sindaci -, alcune misure che possano consentire, per esempio, la sospensione dell'esecuzione degli sfratti per finita locazione, cioè di quegli sfratti non determinati da una necessità del proprietario o di un suo congiunto (o da altro motivo oggettivo), ma legati esclusivamente ad un obiettivo di aumento dell'affitto.
Nella legge sono stati introdotti altri punti significativi sulla funzione delle organizzazioni sindacali: si passa da un ruolo di assistenza individuale, assolutamente volontario (sul quale la stessa legge sui patti in deroga aveva suscitato critiche), all'apertura di spazi di contrattazione collettiva in senso generale, per specifiche categorie (gli studenti, per esempio). Sono le funzioni più proprie delle organizzazioni sindacali: un ruolo di contrattazione, spazi contrattuali che naturalmente vanno riempiti di contenuti, ma che rappresentano una potenzialità di partecipazione democratica e di movimento.
È stato potenziato il ruolo dei comuni, a cui viene data la possibilità di assumere direttamente la funzione di conduttori. Si fanno inoltre rientrare nelle regole della contrattazione collettiva le varie tipologie dei contratti transitori, che nel passato hanno alimentato - lo sappiamo bene - la cosiddetta giungla delle foresterie. Pensiamo che anche così si possa combattere l'elusione. Infine si combattono le irregolarità contrattuali, sanzionandole in modo da ricondurle alle regole stabilite dalla legge (anche sulla base di una nostra proposta).
In sintesi ritengo che una valutazione complessiva della disciplina non possa essere astratta, ossia non possa non tener conto della situazione concreta nella quale si va ad intervenire. Rispetto a tale situazione, segnata dai patti in deroga, si fanno indubbi passi in avanti: l'introduzione del secondo canale della contrattazione collettiva, la detrazione fiscale per gli inquilini, le norme sulla irregolarità fiscale, le norme per la lotta all'evasione fiscale e contro l'irregolarità contrattuale.
Riteniamo di aver introdotto - anche con le nostre proposte e con la nostra iniziativa - alcuni elementi riformatori, nella direzione dell'affermazione del diritto alla casa. Ciò non significa che non riscontriamo limiti: il mancato intervento sulla finita locazione, l'esiguo intervento per la penalizzazione fiscale sulle case sfitte, il mantenimento di immotivate agevolazioni per chi non intenda accettare alcuna regolamentazione collettiva. Su questi punti insistiamo e chiediamo alla maggioranza ed al Governo più coraggio riformatore.
Oggi ci apprestiamo a fare un passo in avanti, forse ancora troppo piccolo ed inadeguato rispetto alle esigenze che abbiamo di fronte, e tuttavia un passo in avanti. Ferma restando la legittimità di posizioni diverse nel merito, anche noi valutiamo positivamente la proposta avanzata da alcuni gruppi di riportare il provvedimento in Commissione per un esame in sede redigente (naturalmente avendo la certezza dei tempi di approvazione e fermo restando l'impianto che così è stato descritto).
Credo, poi, che tutti dovremmo essere d'accordo sul fatto che subito dopo l'approvazione di questa legge occorra affrontare con grande urgenza un'altra questione fondamentale riguardante una nuova politica per il diritto alla casa: lo sviluppo dell'offerta pubblica di alloggi a canoni compatibili con le retribuzioni e le pensioni godute nel nostro paese. Si colmerebbe così la differenza forte che ancora sussiste tra l'Italia e gli altri paesi dell'Unione europea.
Permettetemi una sola considerazione sulle argomentazioni delle opposizioni che ho ascoltato, come al solito, con molto interesse e disponibilità. Quando parlate di libertà contrattuale - lo hanno fatto i colleghi Radice e Fabris, in particolare - e di superare il vincolismo che irrigidisce la contrattazione, credo intendiate un'altra cosa e confondiate libertà di contrattazione con assenza di regole. Si tratta di due cose diverse, colleghi.
In realtà, sappiamo bene che, in assenza di regole, una sola purtroppo ne rimane ed è quella che vince il più forte, quello cioè che ha maggior potere di
condizionamento. È chiaro che nel nostro caso il potere più forte è quello della rendita.
Al contrario, riteniamo che sia dovere del Parlamento fissare regole che diano certezza di diritti alle parti - a tutte le parti -, ma anche strumenti di salvaguardia alla parte più debole e, al contempo, incentivi che sollecitino comportamenti e favoriscano una funzione sociale del bene casa. Tutto il contrario, come è evidente, dell'assumere il principio della deregolamentazione, come se la casa fosse una qualsiasi merce, perché vedete, colleghi - e con questa notazione concludo -, il tema della casa e dell'abitare, così come è stato affermato nell'ultimo summit dell'ONU Habitat 2 del 1996, attiene ad un diritto fondamentale della persona e della famiglia e i Governi, i Parlamenti, le istituzioni sono chiamati ad assumere atti coerenti volti a garantire l'esercizio di tale diritto.
Questa è la grande sfida su cui ritengo che ci dovremo misurare (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).
Quanto alla durata non si può certo negare che un contratto di otto anni tutto può considerarsi fuorché libero. Tale sarebbe se fosse soggetto alle norme del codice civile; tale sarebbe se non esistesse la disposizione, davvero iugulatoria, dell'articolo 12.
Voglio qui ricordare che il cosiddetto canale libero presenta un duro vincolo in termini temporali, segnando fra l'altro netti peggioramenti rispetto alla situazione attuale, sia per quanto concerne la durata prevista dalla legge dell'equo canone - solo quattro anni - sia per quanto riguarda i patti in deroga per gli immobili edificati dopo il 1992, attualmente con contratti a canale libero e di durata di quattro anni.
Quel che è curioso è che lo stesso testo di riforma delle locazioni presentato dal gruppo dei democratici di sinistra, di cui è primo firmatario proprio il relatore, onorevole Zagatti, prevedeva una durata di tre anni più tre, senza vincoli alle clausole. Tre anni più tre non rappresentano, certo, l'auspicato, da quasi tutto il Parlamento (almeno nelle dichiarazioni ufficiali e programmatiche), ritorno alla libertà di mercato, dopo decenni di vincolismo e di dirigismo, ma sono sempre meglio dei quattro più quattro emersi, non si è capito bene per volontà di chi, dal dibattito in Commissione.
Otto anni contraddicono il superamento dell'equo canone e vanno contro quel ritorno alla piena contrattualizzazione degli elementi del contratto da sottrarre ad obblighi esteriori, che da parte nostra era stata auspicata.
Voglio qui ricordare che più volte in Commissione abbiamo ribadito che per far riprendere effettivamente il mercato delle locazioni due erano le strade: dare al proprietario la certezza del rientro nel possesso dell'immobile alla fine della locazione; prevedere un contratto di locazione di breve durata. È evidente, infatti, che nel nostro paese molti proprietari non affittano e non locano più proprio perché non sono in grado di sapere con certezza quando potranno tornare in possesso dell'immobile, né quando il contratto effettivamente scadrà. Tante volte, anche in questa legislatura, abbiamo assistito in aula ad una strana situazione: abbiamo parlato del mercato delle locazioni solo per dire che bisognava prorogare i termini per la concessione della forza pubblica per l'esecuzione degli sfratti. In definitiva ci siamo occupati del problema della libertà contrattuale nel senso di coartarla.
È evidente che il voto contrario di alleanza nazionale su quei provvedimenti
che traggono origine dal decreto-legge n. 551, era un voto di coerenza, però è altrettanto vero che in questo Parlamento (almeno in quattro occasioni in questa legislatura) si è preferito seguire la strada della proroga anziché quella della riforma.
Oggi, a dire il vero, iniziamo in aula un percorso legislativo finalmente di riforma, che dovrebbe consentire se non altro di non rendere un servizio peggiore rispetto a quello che abbiamo reso in passato ai proprietari di immobili, prorogando appunto i termini per la concessione della forza pubblica per l'esecuzione degli sfratti.
Come stavo dicendo, la violazione della libertà contrattuale, di cui più volte abbiamo parlato, si ritrova anche in questo testo unificato nel già citato articolo 12, laddove si vietano clausole o obblighi del contratto che dovrebbe essere libero. I casi sono due: o sussiste un contratto libero in tutto fuorché nella durata, come ha rilevato il relatore, ed allora tali norme limitatrici della libertà non hanno senso, oppure tale contratto non è libero, e non è tale non solo nei limiti di tempo ma anche nelle clausole, perché l'articolo 12, secondo l'attuale stesura, rappresenta un limite gravissimo alla libertà contrattuale.
Abbiamo avuto occasione di rilevare in Commissione che una norma simile inibisce accordi contrattuali quali l'assegnazione, di comune accordo tra proprietario e inquilino, al conduttore della pulizia di una rampa di scale o della chiusura del portone.
Tutto ciò premesso, mentirei se volessi sostenere che non siano stati compiuti dei passi in avanti rispetto al testo non ufficiale di partenza, ossia al cosiddetto accordo Di Pietro dell'ottobre 1996 e al testo base adottato, non certo con il nostro suffragio, dalla Commissione competente. Sarei scorretto se non riconoscessi al relatore, onorevole Zagatti, un indubbio impegno per rimediare almeno ad alcuni dei più macroscopici limiti del progetto da cui si è partiti. Ma con altrettanta chiarezza devo lamentare la sua cedevolezza nei riguardi di talune demagogiche intromissioni operate essenzialmente dal gruppo di rifondazione comunista in Commissione, sia per non aver saputo depurare il testo dalle incrostazioni dirigistiche e vincolistiche, sia per aver tollerato nuove disposizioni che appesantiscono ulteriormente il testo.
Debbo dire che in più occasioni noi avevamo richiamato il Governo ad assumere una posizione più precisa, nel senso di scrollarsi di dosso quella impostazione del cosiddetto testo Di Pietro, cui prima facevo riferimento, e che, volenti o nolenti, ha condizionato pesantemente l'iter legislativo successivo.
Non posso non ricordare a me stesso come all'inizio di questa legislatura, quando ci interessammo della questione, altre erano le posizioni; si voleva infatti cercare fin da subito di creare un mercato autenticamente libero e non un mercato vincolato così come, volenti o nolenti, propone il testo al nostro esame questa sera.
Debbo altresì dire che l'invenzione dei due canali e del doppio binario ha finito per portare fatalmente tutta la Commissione a concentrare la sua attenzione proprio sul doppio binario e non su quella libertà contrattuale, frutto dell'incontro della volontà delle parti, che doveva costituire la premessa per una riforma effettivamente nuova rispetto a quell'equo canone che tutti, a parole, dicevano di voler superare; in realtà di esso vengono abrogati 33 articoli, ma nella sostanza aleggia ancora e pesantemente, almeno per quanto riguarda il retaggio vincolistico, in questo testo.
Debbo altresì aggiungere una considerazione. Non mi pare di poter rilevare che il Governo abbia saputo dire dei «no» ad alcune posizioni di rifondazione comunista, ma anzi più volte vi è stata nel suo rappresentante, direi, quasi un atteggiamento di colpevolezza nei confronti dei proprietari di casa.
Vorrei richiamare qui l'atteggiamento stranissimo del rappresentante del Governo a proposito delle locazioni e soprattutto a proposito di quelli che potremmo chiamare gli affitti in nero.
È stata una seduta farsesca quella del Comitato dei nove che si è occupato della questione. Infatti, anziché presupporre che la gran parte dei contratti venga denunciata e che solo una minima parte sia oggetto di elusione fiscale, si è ribadito un principio in base al quale parrebbe che la gran parte dei contratti sia in nero e che solo pochi - anche se nessuno ha avuto il coraggio di dire, ad esempio, quale dei deputati presenti in Commissione si trovi in una posizione di irregolarità - fossero regolarmente registrati. Questa presunzione di colpevolezza a carico delle parti ci trova totalmente contrari e contrariati, perché riteniamo che, se effettivamente vi è un contratto libero, non si vede per quale motivo le parti debbano aggirare attraverso norme che non esistono e procedure deprecabili la legge stessa. È diverso il caso in cui un regime vincolistico obblighi al ricorso alle furbizie, perché in tal caso esso obbliga anche a seguire la strada del ricorso al canone in nero. Gran parte dei contratti che oggi non vengono stipulati regolarmente sono il frutto di furbizie, cioè del comportamento di soggetti che vorrebbero regolarmente contrattualizzare la loro posizione, ma che non lo fanno perché altrimenti si troverebbero in una situazione troppo penalizzante.
Ritengo che il modo migliore per superare questa situazione sia togliere quell'insieme di vincoli che, invece, sono ben presenti anche in questo testo. Proprio per questo debbo dire che nutriamo alcuni forti elementi di riserva sul testo oggi all'esame dell'Assemblea. Per fare qualche esempio, mi riferisco all'articolo 7: non si capisce a chi dovrebbero essere presentati i documenti elencati; certo non al giudice, che non giudica più, ancor meno all'ufficiale giudiziario, il quale non può certo verificare nel merito i documenti prospettati. Vi è poi l'articolo 8, che al comma 2 contiene svarioni, quali la supposta denuncia di un immobile ai fini dell'applicazione della imposta sui redditi e che ad un altro comma affronta la questione dei canoni non percepiti. Su quest'ultimo aspetto vorrei fare alcune osservazioni. L'onorevole Zagatti ha operato in maniera degna di considerazione e di rispetto per fare in modo che si venisse incontro ad una richiesta che proveniva da tutti i gruppi di opposizione ed anche dal suo stesso gruppo parlamentare. Egli ha trovato contro di sé l'incomprensione del ministro delle finanze, i cui dati non mi paiono francamente sempre accettabili.
Ebbene, vorremmo che quest'ultimo facesse uno sforzo deciso riconoscendo - come tutti facciamo e come anche il Governo dovrebbe fare, dal momento che due anni addietro ha accolto un ordine del giorno presentato dal gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania che affermava un concetto del quale oggi stiamo discutendo - come sia civilmente censurabile e moralmente condannabile che si introiti un importo su canoni non percepiti, cioè su redditi virtuali, su redditi inesistenti. Non so se rispondano al vero le cifre che sono circolate in Commissione, ma dirò solo che quanto più esse sono macroscopiche, tanto più si imporrebbe, onorevoli colleghi, e non si richiederebbe semplicemente, una soluzione pronta ed adeguata, perché non è tollerabile in un paese civile che un fisco incivile tassi somme che il contribuente non ha introitato. La tassazione del non reddito va soppressa e tanto più essa risultasse elevata, tanto più si porrebbe l'esigenza urgente di eliminare una distonia gravissima del sistema. Si tassa il reddito, si tassa l'esistente, non l'inesistente.
Proprio in ragione di ciò, nonostante la norma sia stata in qualche modo migliorata, mi pare si debba ritornare sull'argomento. Infatti, è veramente strano un paese in cui si chiede ad un proprietario di casa di pagare una tassa su un reddito che non ha mai percepito. Pur sapendo il Governo che questo è profondamente ingiusto, non trova altro se non mezzucci, scorciatoie, presunte mancate coperture finanziarie, per impedire che si porti ad una situazione di giustizia ciò che oggi è ingiusto. Cosa c'è di più ingiusto di un Governo che non trova una copertura finanziaria rispetto ad una ingiustizia?
In Commissione abbiamo toccato con mano questi dati e li abbiamo visti con i nostri occhi. Vi è stato addirittura un balletto delle cifre. A un certo punto pareva che, se la riforma sanitaria era stata fatta in Italia per i «pazienti», e cioè per coloro che hanno pazienza, quella dell'equo canone fosse stata fatta solo per i morosi, perché a giudizio del Ministero delle finanze, salvo i morosi, non vi erano altri e quindi non si poteva prospettare una norma che era e rimane di un'inciviltà giuridica e fiscale notevolissima.
Aggiungo qualche altro elemento che non può trovarci favorevoli: l'abolizione della previsione, in precedenza sussistente, del mancato accordo locale; il tetto ICI spostato all'8 per mille, che con l'incremento del 5 per cento delle rendite catastali è in realtà pari all'8,4 per mille: dobbiamo chiederci quando andremo all'esproprio diretto; l'obbligo di registrazione del contratto con determinate modalità in luogo dell'obbligo puro e semplice.
Vorrei poi richiamare l'attenzione del rappresentante del Governo: è mai possibile che un proprietario che erri un'indicazione del codice fiscale, e quindi non trascriva il contratto secondo le regole, debba addirittura perdere dei benefici fiscali?
E vi sarebbero ancora altri aspetti che richiedono emendamenti, del resto sottoscritti dai gruppi del Polo, senza dimenticare certi tempi dilatati, certe disposizioni troppo larghe, elementi cui invano abbiamo tentato di porre rimedio in Commissione cozzando contro i «no» della maggioranza.
Se debbo citare un punto positivo, è quello del ritorno della valutazione sull'esecuzione degli sfratti al giudice naturale e della soppressione di quelle commissioni prefettizie che, anziché eseguire gli sfratti, erano diventate commissioni prefettizie per la non esecuzione degli stessi.
Chiediamo alla maggioranza di tener conto degli emendamenti che abbiamo presentato e dei suggerimenti e delle proposte formulati sul testo al nostro esame. Riteniamo che attualmente esso non sia francamente accettabile; anche oggi in Commissione abbiamo cercato di sottolineare alcuni aspetti che a nostro avviso sono meritevoli di attenzione. Ho già parlato del problema politico dell'eccessiva durata del contratto libero, che viene oggi prospettata in quattro anni più quattro. Analogamente, abbiamo presentato una serie di emendamenti che mirano a rendere almeno comprensibile ed attuabile il provvedimento legislativo che si vuole licenziare.
Faccio inoltre due osservazioni. È un provvedimento parziale, come sappiamo bene, perché da esso è esclusa tutta la materia riguardante l'edilizia residenziale pubblica. È altresì esclusa la materia riguardante la locazione degli «usi diversi». Sotto questo profilo va fatto un richiamo: non mi pare di poter dire che sia liberale un paese nel quale si legifera sul mercato delle locazioni ad uso abitativo e ci si dimentica di una riforma indispensabile anch'essa, che investe invece gli usi diversi, cioè la possibilità di locazione dei negozi, degli uffici e così via.
Mi pare pertanto che questa rimanga una riforma molto parziale rispetto agli obiettivi che inizialmente ci eravamo posti. Nessuno può negare che, in questi due anni, il gruppo di alleanza nazionale sia stato parte attiva e diligente sia nel rintuzzare venature terzomondiste e marxiste che volevano fare di questo testo qualcosa di peggiore di quanto non sia oggi, sia nel dare la nostra collaborazione per varare norme non migliori ma meno peggiori possibile.
Proprio per questa impostazione, per superare l'equo canone (legge peggiore) e per cercare di varare norme meno peggiori, pensiamo che in Commissione in sede redigente si possano apportare quelle utili modifiche in grado di far sì che il testo che andremo a licenziare costituisca una riforma e non soltanto una «riformetta», qualcosa che, almeno a livello simbolico, rappresenti un'inversione di tendenza rispetto al dirigismo che a livello di principi caratterizzava la legge sull'equo
canone e consenta di imboccare una strada, o almeno un piccolo viottolo, diverso rispetto al passato (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).