Seduta n. 367 dell'8/6/1998

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(Discussione sulle linee generali - A.C. 4626)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di parlare il relatore per la II Commissione, onorevole Serafini.

ANNA MARIA SERAFINI, Relatore per la II Commissione. Signor Presidente, signor ministro, colleghe e colleghi, assieme al relatore per la III Commissione, onorevole Leccese, abbiamo predisposto una relazione scritta, nella quale si fa il punto del dibattito e si prendono in esame le proposte presentate da vari gruppi politici, le motivazioni del loro inserimento nel testo delle Commissioni e quelle per cui ne abbiamo respinte altre. Poiché la relazione affronta già tali questioni, non mi soffermerò nuovamente su di esse, ma sulla questione dell'informazione relativa all'identità dei genitori naturali.
Questo è un provvedimento che è stato oggetto di discussione e di analisi da parte del Senato per circa un anno. In quella sede si è valutata l'opportunità o meno di innovare anche alcuni punti della legge nazionale sulle adozioni. Dopo numerose riunioni delle Commissioni riunite esteri e giustizia del Senato, si è convenuto invece di limitare l'esame alla sola questione delle adozioni internazionali. La Camera ha condiviso le motivazioni della delimitazione dell'argomento alla sola questione delle adozioni internazionali, e lo ha fatto per un motivo fondamentale: perché ormai il «fai da te» ha provocato danni gravi riguardo alla questione delle adozioni internazionali e perché abbiamo deciso - come Commissioni riunite - di privilegiare l'accelerazione dell'iter della legge. Quindi, nonostante le evidenti difficoltà a trattare un argomento così delicato in poco tempo, abbiamo deciso di dare comunque la priorità all'approvazione del testo medesimo. Sebbene con pochissimo tempo a disposizione, abbiamo cercato di apportare quelli che a noi sembravano dei miglioramenti del testo stesso.


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Nella relazione che abbiamo predisposto io ed il collega Leccese potrete trovare l'indicazione completa del percorso legislativo seguito dal provvedimento.
Vorrei ora riprendere la questione del segreto. Poiché vi è attesa su questa questione - alcune organizzazioni, in particolare l'ANFAA, hanno sempre mostrato diffidenza in merito al problema dell'informazione - il dibattito che si è svolto in Commissione su questo aspetto è stato prevalente. In più vi è il parere della Commissione affari costituzionali, che come sempre è equilibratissimo ma che solleva questioni proprio in merito al segreto e all'informazione sull'identità dei genitori naturali.
Perché le due Commissioni hanno ritenuto di introdurre su tale aspetto una modifica al testo del Senato riprendendo il testo originario del Governo? Credo ricordiate come proprio da una mozione presentata due anni fa alla Camera dei deputati venne sottolineata la necessità di adottare un nuovo testo sulle adozioni internazionali e, quindi, di ratificare la Convenzione dell'Aja. Nel corso della discussione di quella mozione - ricordo che intervenne anche l'onorevole Scoca - si decise di dare mandato al Governo di predisporre un testo: la Commissione, istituita dall'allora ministro Ossicini, alla quale parteciparono, oltre ai rappresentanti delle organizzazioni, autorevoli esperti, redasse un testo nel quale la questione dell'informazione veniva risolta in modo molto equilibrato, a mio avviso. Ma è proprio su questo punto che il Senato ha modificato il testo in questione.
Le motivazioni che ci hanno indotto a ripristinare il testo del Governo si muovono nella stessa linea di equilibrio. La legge n. 184 del 1983, che rappresenta una grande innovazione proprio in riferimento ad un recente passato, è una delle leggi più innovative in questo settore ed è presa a modello anche da altri paesi europei; in quanto punto di equilibrio importantissimo anche fra le diverse culture prevalenti nel nostro paese, tale legge innova proprio su una questione decisiva: rispetto al passato, infatti, avevamo un'adesione di natura consensuale, nel senso che le due famiglie si trasmettevano il figlio - mi riferisco, in particolare, all'adozione nazionale rispetto a quella internazionale -, per cui non vi era la questione del segreto da questo punto di vista, proprio perché la trasmissione era consensuale. L'innovazione più profonda derivava proprio dal porre al centro il minore dando ad esso il diritto ad una famiglia. Secondo la legge n. 184, quindi, l'adozione era ed è un atto di affiliazione vera e propria: il minore, cioè il bambino o la bambina, veniva accolto in famiglia come un figlio, e i genitori come tale lo avrebbero curato. Ma questa innovazione decisiva della legge n. 184 rispetto al passato presuppone l'espulsione della figura e della presenza dei procreatori o l'effetto legittimante? L'adozione forte, concepita come rinascita, presuppone una discontinuità assoluta nella storia del bambino o della bambina adottati?
Penso, anche seguendo la discussione della commissione Ossicini, che sia stato questo il cuore del problema, cioè se adozione forte dovesse significare comunque una rottura definitiva con la propria famiglia di origine.
Certamente, porre la questione dell'informazione in modo serio significa anche sapere che la diffidenza verso la questione dell'informazione sulle origini dei genitori naturali nasce da molte preoccupazioni serie che vanno ponderate accuratamente. Alcune di queste preoccupazioni riguardano il pericolo di interferenze, di ricatti della famiglia di origine sul minore, specialmente in una fase molto delicata della storia delle bambine e dei bambini che è rappresentata dall'adolescenza, quindi con il pericolo di conflitto adolescenziale acuito da un alibi che è il ricorso alla famiglia d'origine rispetto alla famiglia vera e propria; il pericolo che la bambina ed il bambino ripercorrano la sindrome «abbandonica» (quindi la delusione ed il fatto di vedersi rifiutati una seconda volta); e ancora, la questione relativa ai diritti dei genitori naturali, cioè il diritto dei genitori naturali all'oblio, al non essere reintrodotti, dopo aver elaborato un

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abbandono, in problematiche ed in situazioni psicologiche per loro in qualche misura risolte nel momento in cui hanno provveduto consensualmente all'adozione.
Se questi problemi esistono, come mai la commissione istituita dal ministro Ossicini ed il Governo hanno presentato un testo che tuttavia consentiva la possibilità di conoscenza delle origini, dell'identità dei genitori? Penso che in quel lavoro e nel dibattito successivo non si sia voluto intendere il diritto all'informazione sull'identità dei propri genitori naturali come diritto assoluto della personalità; certo, è un diritto della personalità, ma non illimitato, cioè un diritto che attiene alla sfera della personalità ma non può essere concepito come diritto illimitato, poiché questo diritto deve essere compatibile con un'adeguata tutela di altri diritti ed interessi ad esso potenzialmente contrapposti: quello dei genitori adottivi, quello dei genitori naturali e la tutela che si deve al minore adottato stesso.
Pertanto, un diritto di questa natura prende in considerazione il rapporto con la famiglia adottiva, con la posizione dei genitori d'origine, il diritto della donna all'anonimato del parto, che è importantissimo, perché un diritto mal concepito potrebbe ledere questo diritto delle donne.
L'equilibrio che si è cercato di attuare ripristinando il testo del Governo tiene conto dei tre livelli dell'informazione. Un primo livello riguarda la necessità che il bambino venga a sapere la sua storia senza conoscere le origini; a questo proposito, il testo del Governo è equilibrato, poiché afferma che i genitori adottivi sono tenuti - non è solo una possibilità - ad informare il bambino adottato della sua storia. In secondo luogo, essi sono tenuti a fornire elementi della sua storia personale. In terzo luogo, il testo del Governo inserisce la possibilità di conoscere l'identità delle origini dei genitori naturali.
Questo diritto, come dicevo, non è assoluto; appartiene alla sfera della personalità ma non è illimitato. Il testo del Governo è equilibrato, poiché non ritiene ci sia un diritto all'informazione da parte del bambino adottato indipendentemente, per esempio, dall'età; pone una soglia, rappresentata dalla maggiore età. Non pone la possibilità di informazione per via privata da parte del bambino adottato. Le informazioni sono rigorosamente tutelate dalla commissione e dal tribunale dei minorenni; quindi, proprio perché non si tratta di un diritto illimitato, esistono due autorità - la commissione e il tribunale dei minorenni - che sono sovrane nel decidere di fornire informazioni sull'identità dei genitori naturali. La limitazione principale è quindi costituita dall'impossibilità di accesso diretto all'informazione da parte del ragazzo adottato.
Vi è poi un terzo aspetto importante: la richiesta di informazione sui propri genitori naturali non viene accolta senza che vi siano gravi e comprovati motivi, quindi non si risponde ad un diritto genericamente inteso, né si pensa che si possa giungere alla conoscenza dei propri genitori senza motivazioni serie, che tali debbono essere considerate dal tribunale e dalla commissione. Inoltre - altro punto fondamentale -, tale conoscenza non può avvenire senza il consenso dei genitori naturali stessi. Non si lede, così, il diritto alla privacy, al rispetto della condizione psicologica dei genitori naturali. Anche quando, quindi, il tribunale e la commissione avessero ritenuto fondate le motivazioni che spingono il ragazzo a richiedere l'informazione, questa non può essere fornita senza il consenso dei diretti interessati.
Ma vi è ancora un ulteriore filtro, anch'esso importante: quello del paese di origine del bambino adottato. Qualora, infatti, il paese di origine ritenesse che il diritto del minore alla conoscenza andrebbe a ledere la salute o l'integrità psichica dei genitori naturali, potrebbe opporsi alla richiesta di informazioni.
Il testo del Governo è quindi equilibrato, perché consente la possibilità di accesso alle informazioni solo ad una certa età e solo a condizione che si rispettino i diritti di altre persone: figure centrali nel dipanare l'armonizzazione dei diversi diritti sono due organi importantissimi,

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il tribunale dei minorenni e la commissione, cui si aggiunge, come dicevo, il paese di origine del bambino.
Sia pure compatibilmente con i tempi brevissimi di cui disponevamo, abbiamo audito i rappresentanti delle maggiori organizzazioni del settore, nonché psicologi ed assistenti sociali. Tranne l'ANFAA, tutte le organizzazioni e gli ordini professionali interessati si sono dichiarati molto attenti nei confronti di questa possibilità ed hanno fornito motivazioni molto dettagliate nel pronunciarsi a favore del riconoscimento di un diritto all'informazione, naturalmente sottoposto a quelle condizioni di cui si è parlato.
Il punto centrale è che forse il segreto è una metafora - che non può essere chiarita qui - sul modello di adozione. Il segreto sulle origini è il filo conduttore di questa metafora e del modello storico dell'adozione, quindi della differenza tra figlio adottato e naturale, tra famiglia adottiva e naturale. Ci si interroga sulla genitorialità sociale, sembra quasi che il venir meno del segreto sull'identità dei genitori naturali faccia venir meno questa grandissima conquista di civiltà che è costituita dalla genitorialità sociale. Come dice il direttore di Minori e giustizia, Giancarlo Pasè, in un editoriale del 2 marzo 1997 pubblicato sulla sua rivista, interrogandosi sugli aspetti etici di tale problematica, dobbiamo domandarci se l'affermazione del diritto alla conoscenza delle origini genetiche, dando rilievo al rapporto con la famiglia di sangue, non possa in qualche modo incrinare la natura di genitorialità sociale dell'adozione, che rappresenta il punto più alto della genitorialità nella cultura dell'uomo. Ecco, dietro la diffidenza c'è quindi anche la preoccupazione che si leda un fondamentale principio di civiltà, affermato dalla legge n. 184 e dal modello di adozione forte. Tuttavia gli psicologi e gli assistenti sociali ci dicono che un'adozione è riuscita se i minori sono aiutati ad accettare la propria storia e a coesistere con essa, così come i genitori adottivi e quelli naturali devono a loro volta accettare la propria storia. Bisogna insomma tenere presente la storia di ognuno, di ogni famiglia e di ogni individuo, perché il fornire informazioni corrisponde alla convinzione che un'adozione forte e riuscita non può coesistere con un buco nero, che - secondo quanto affermano gli psicologi - si allarga con l'aumento dei divieti.
Occorre dunque flessibilità nel fornire informazioni ed il testo del Governo, a tale riguardo, ci sembra equilibrato: esso, infatti, non nega, anzi afferma con grande forza la genitorialità sociale. Tutte le modifiche introdotte alla Camera, rispetto al testo del Senato, sono peraltro tese a rafforzare la pienezza giuridica dell'adozione internazionale (sono decine di emendamenti presentati da tutti i gruppi per rafforzare gli effetti dell'adozione). Certo, per quanto riguarda il modello per i genitori sia adottivi sia naturali, si tiene presente sempre di più (è così anche nelle convenzioni de L'Aja e dell'ONU) che essere genitori non significa possedere figli. Se il figlio è il prius, è un soggetto con una sua storia, benché talvolta difficile e con alcuni momenti drammatici, solo elaborando la propria storia un individuo ne può venire a capo e rafforzarsi.
Al Senato, la discussione è stata intensa: in particolare, un emendamento presentato dal presidente della III Commissione, Migone, prevedeva alcuni limiti in più rispetto al divieto per i genitori adottivi di conoscere l'identità dei genitori naturali, al fine di evitare che il minore possa avere questa informazione prima di una certa età ed anche questo emendamento può forse essere preso in considerazione. Diversi gruppi hanno presentato emendamenti tendenti ad eliminare limiti per le richieste di informazione e quindi a prevedere un diritto di informazione più assoluto e meno circoscritto. Il testo del Governo, però, a noi è parso anche a tale riguardo equilibrato: tuttavia, ovviamente, il Comitato dei nove e le Commissioni riunite sono pronti ad accettare suggerimenti nel corso della discussione.
Ripristinando il testo del Governo, abbiamo cercato di favorire una concezione dell'adozione che renda il bambino

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più forte: questa è stata la direzione nella quale ci siamo mossi. Per altri aspetti, rimando alla relazione scritta e mi soffermo rapidamente ancora due punti. Abbiamo rafforzato il principio di sussidiarietà, già presente nella convenzione de L'Aja: è un principio fondamentale per sbarrare la strada a qualsiasi forma di neocolonialismo, anche culturale. Abbiamo inoltre valorizzato il ruolo delle ONG e della cooperazione internazionale: l'adozione deve essere consentita laddove il bambino non possa ricevere collocazione in una famiglia del proprio paese ed il fatto di concepire l'adozione all'interno di una cultura di attenzione ai paesi di origine significa anche attenzione e rispetto per i bambini da adottare.
Infine, un riferimento al linguaggio: abbiamo voluto evitare un termine davvero brutto per l'adozione internazionale, quello di «abbinamento», ed abbiamo preferito il termine «incontro» tra famiglia adottiva e minore.
Forse il Comitato per la legislazione ha individuato una formulazione che a me pare migliore - ma la sottopongo ai colleghi - che è quella di «proposta specifica di adozione». A me pare un modo anche meno tortuoso, meno cavilloso, più agile e sempre rispettoso del minore.

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la III Commissione, onorevole Leccese, rinunzia a svolgere la sua relazione.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIOVANNI MARIA FLICK, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo si riserva di intervenire, eventualmente facendo tesoro di quanto emergerà durante la discussione generale, in sede di replica e fa proprie le argomentazioni e le considerazioni contenute sia nella relazione scritta sia in quella orale, svolta adesso dall'onorevole Serafini.
Il testo approvato dalle Commissioni riunite II e III lo scorso 20 maggio, risulta soddisfacente e risponde pienamente alle linee guida che erano state assunte originariamente dal Governo. Non ritengo che il provvedimento debba subire ulteriori modifiche, tranne un emendamento, che abbiamo segnalato, all'articolo 39, lettera c), per assicurare non solo il coordinamento dei servizi regionali per l'adozione internazionale (come approvato dalle Commissioni), ma - in ossequio ai principi della convenzione de L'Aja, resi operanti nel nostro ordinamento dalla legge - anche un'adeguata forma di coordinamento tra la commissione per le adozioni internazionali e i servizi regionali, così come già previsto tra la commissione stessa e gli enti autorizzati.
Per il resto, il Governo si riserva di intervenire all'esito della discussione e aderisce pienamente all'impostazione dei relatori.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Jervolino Russo, prima iscritta a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare l'onorevole Scoca. Ne ha facoltà.

MARETTA SCOCA. Innanzitutto, esprimo la mia soddisfazione per il fatto che finalmente si sia posto mano ad un problema così delicato quale è quello delle adozioni internazionali. Credo che bisognerebbe anche mettere mano alla parziale modifica della legge n. 184, perché, come giustamente ha detto l'onorevole Serafini, è una legge importante e ben fatta, ma, come tutte le leggi di questo mondo, dopo un certo periodo di tempo necessita di alcune messe a punto, non di stravolgimenti. A questo proposito, voglio qui ricordare la questione della differenza di età, sia nel massimo sia nel minimo (18 anni, che mi sembra francamente troppo basso), ed altri accorgimenti di questo genere. Inoltre, occorre intervenire in maniera analoga sul problema sul quale in maniera particolare si è soffermata la collega Serafini, ossia la possibilità di conoscere eventualmente le proprie origini biologiche, anche per evitare che possano esserci disparità di trattamento tra i bambini stranieri e i bambini italiani.


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In ogni modo, la ratifica della convenzione de L'Aja, che riguarda la tutela dei minori e in particolare la cooperazione in materia di adozione internazionale dei minori stranieri, era davvero improcrastinabile, dato il gran numero di bambini stranieri adottati in Italia e soprattutto il gran numero di coppie italiane che richiedono di adottare i bambini stranieri, nonché per armonizzare la legislazione internazionale in materia di adozione.
A proposito del gran numero di coppie che chiedono di adottare minori, non posso esimermi da una considerazione molto seria, che è anche una denuncia, che non nasce da uno stato d'animo estemporaneo, ma da anni di meditazione e di battaglie combattute sul campo. Oggi si fa ricorso in maniera assolutamente prevalente all'adozione internazionale perché - si dice - non ci sono bambini italiani in stato di adottabilità e questo è vero. Ma vorrei sottolineare un punto. Se è vero, come è vero, che i minori italiani in istituto sono dai 50 ai 55 mila - anzi, per la verità, non si conosce il numero esatto e già questa mi sembra una cosa abbastanza esecrabile, ma comunque consideriamo la cifra di 50 mila, che può essere largamente condivisa - solamente 1.500 o 1.700 annualmente vengono dichiarati in stato di adottabilità. Ovviamente la mancanza di questa dichiarazione impedisce l'adottabilità.
Il punto cruciale che gioca contro questi minori sta nel rapporto fra adottabilità e stato di abbandono. Non si tratta di una norma concepita male o di particolari limiti imposti al tribunale per i minori per la decretazione dello stato di abbandono: in realtà è l'applicazione della norma a tutelare - ancora una volta - più i diritti degli adulti che i diritti dei minori. Per esempio, esistono situazioni di abbandono di fatto: genitori che vanno a trovare i loro bambini in istituto ogni sei o sette mesi. In questo caso si verifica sostanzialmente che ogni volta questa sorta di termine prescrizionale venga interrotto e cominci a decorrere un altro termine: così passano gli anni e i ragazzi continuano a vivere in questa situazione.
Occorre pertanto sveltire gli accertamenti, che devono comunque essere rigidi ed approfonditi. Si tratta di capire per quali ragioni i genitori non possano o non vogliano occuparsi dei minori. Una volta accertato che il fatto dipende esclusivamente o prevalentemente dalla loro volontà, è interesse del bambino essere immediatamente dichiarato in stato di abbandono ai fini dell'adottabilità. Giustamente, però, i genitori naturali devono essere aiutati attraverso un sostegno non soltanto economico (perché il problema non è solo economico). Una volta dichiarato lo stato di adottabilità il bambino può avere una famiglia: si spalancano le porte nei confronti di tante persone che sono disponibili a prendersi cura del minore.
Al di là del problema dell'adozione internazionale, dunque, non dobbiamo dimenticare che anche in Italia tanti casi potrebbero trovare una soluzione positiva. Fra l'altro quando questi minori arrivano a diciotto anni, cioè nella fase cruciale in cui un essere umano ha bisogno del supporto e dell'aiuto della famiglia, restano assolutamente abbandonati a se stessi.
Per quanto riguarda le adozioni internazionali va sottolineato che in alcuni casi (non pochissimi) esse sono fallite. È un fenomeno dovuto a molteplici fattori, fra i quali anche la capacità di conoscere, di rispettare e di recepire le culture di provenienza di questi bambini. È necessario in sostanza non creare uno sradicamento o un'incomprensione che possano portare all'incomunicabilità, cioè ad una situazione che è lesiva dei diritti dei minori ed è di ostacolo alla costruzione di un rapporto affettuoso ed equilibrato fra genitori e figli.
Evidentemente questi genitori affrontano una difficoltà in più: dunque anche in questo caso occorre aiutarli. Il provvedimento prevede che i servizi sociali debbano informare e svolgere una serie di accertamenti (per esempio in merito alle condizioni sociali ed economiche dei genitori che chiedono di adottare). Manca però la previsione di un supporto più

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incisivo - proprio di carattere culturale - per poter mettere queste persone nelle condizioni di affrontare un compito delicatissimo come la crescita dei figli (un compito ancora più difficile nel caso di un'adozione).
Per quanto riguarda la possibilità di accedere alle informazioni concernenti l'identità dei genitori naturali, ho trovato estremamente interessanti le dichiarazioni della relatrice Serafini, che ha ripreso il testo originario del Governo. Dal mio punto di vista è apparsa fin troppo equilibrata perché, dopo aver fatto un'affermazione di principio - si possono avere informazioni concernenti l'identità dei genitori naturali - l'ha subordinata a condizioni impossibili, come la maggiore età dell'adottato. Non si parla, dunque, più di accesso alle informazioni da parte del minore, ma di una persona che ha piena capacità giuridica: ci si riferisce, dunque, ad una persona già grande di età.
Si dice poi che la richiesta deve essere subordinata all'esistenza di gravi e comprovati motivi. Attenzione, il giudizio sulla sussistenza di tali requisiti è espresso da un tribunale ed è scisso dal sentire intimo della persona che cerca le informazioni. Si tratta pertanto di un filtro di garanzia in più rispetto ad un desiderio, sia pur comprensibile, ma non grave e comprovato.
La richiesta è subordinata, inoltre, all'autorizzazione del tribunale dei minorenni che in questa materia prenderà, ovviamente, le decisioni che riterrà più opportune a suo insindacabile giudizio. È subordinata ancora alla mancanza di dichiarazione dei genitori naturali di non voler essere nominati o al fatto che il loro consenso all'adozione sia condizionato alla volontà di rimanere anonimi. Qualora questi genitori naturali dichiarino di non voler essere nominati, non vi è, dunque, tribunale che possa autorizzare le informazioni che l'adottato cerca.
Occorre infine una pari decisione dell'autorità straniera competente in ordine alla possibilità che questa informazione possa provocare turbamento ai genitori naturali.
È evidente, dunque, che sono state predisposte una serie di tutele degli adulti, che non riguardano affatto il bambino adottato. Non si può parlare, pertanto, di soluzione equilibrata perché siamo di fronte ad un'affermazione di principio generica tutta a favore dei genitori naturali.
Da ciò discende che la possibilità di cercare le proprie radici è del tutto teorica ed è, come dicevo, fortemente improntata alla preminente tutela e alla salvaguardia dei genitori naturali. Infatti, si afferma l'esistenza di un diritto, ma esso è subordinato ad un numero tale di condizioni che risulta di davvero difficile applicazione.
Mi domando allora per quale ragione questa previsione sia stata tanto osteggiata e criticata da più parti, tanto che anche il parere espresso dalla I Commissione, della quale peraltro faccio parte, ne ha chiesto la soppressione, motivando così la sua decisione: «rilevato altresì che l'adozione è un istituto che tende per sua natura a superare il concetto di genitorialità naturale e che l'interesse dell'adottando non è quello di essere informato sull'identità dei genitori di origine».
Devo dire che, francamente, con tutta la stima e la comprensione che ho nei confronti dei miei colleghi non capisco come si possa affermare che l'interesse dell'adottando non è quello di essere informato sull'identità dei genitori d'origine. Mi pare, se non altro, un po' presuntuoso! Potrebbe accadere infatti che alcuni abbiano interesse ed altri non lo abbiano; non si tratta, però, di un principio uguale per tutti. Per questo motivo, nel parere della I Commissione si chiede che venga eliminata tale possibilità.
Questo è un punto che deve essere approfondito con molta serenità e che è ricompreso nel concetto di interesse del minore in generale. Tale concetto dovrebbe essere puntualizzato un po' meglio dal legislatore, perché esso non può essere delegato solamente all'interprete, il quale lo applica secondo la propria cultura e la propria sensibilità. Quante volte, purtroppo, nelle aule dei tribunali si è sbandierato

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l'interesse del minore e in nome di esso si è fatto tutto, fuorché proprio l'interesse del minore?
Non si può non rilevare come la legislazione, nel corso dei secoli, si sia evoluta e sia passata da una soggezione totale del minore a chi gestiva la patria potestà (ricordo lo ius vitae et necis dei romani) ad un progressivo riconoscimento della personalità del minore, che è poi diventato soggetto titolare di diritti. D'altro canto, anche l'istituto dell'adozione è mutato radicalmente. In passato, infatti, l'adozione era un negozio giuridico di tipo contrattuale, produttivo di limitati effetti giuridici ed idoneo ad assicurare la trasmissione del patrimonio e la continuazione del nome a chi fosse privo di discendenti legittimi. Oggi invece l'adozione è diretta a dare una famiglia ad un minore che ne sia privo.
I mutamenti avvenuti sia riguardo alla considerazione della personalità del minore sia in relazione all'istituto dell'adozione non possono non essere presi in considerazione anche dal punto di vista del diritto all'identità, problema nato dalla nuova concezione dell'istituto dell'adozione, che ha stravolto la precedente ratio dello stesso.
Il diritto all'identità, del resto, è affermato da molte convenzioni internazionali, e non solo da quella che oggi ci apprestiamo a ratificare. La prima convenzione che ha affermato tale diritto è stata quella di New York, che l'Italia ha ratificato e che, all'articolo 6, stabilisce molto chiaramente il diritto del minore a conoscere i propri genitori naturali. In alcuni paesi, come la Germania, l'Austria e la Svezia, si afferma l'esistenza di un diritto fondamentale della persona a conoscere le proprie origini biologiche. Anche con riferimento all'attuale legislazione italiana, che vieta in linea di principio la possibilità di ricercare le proprie origini, in realtà la dottrina ha elaborato alcuni concetti elastici. Voglio ricordare la sentenza del 1992 della corte d'appello di Palermo, che in casi eccezionali (si trattava del diritto alla salute garantito dall'articolo 32 della Costituzione) ha ritenuto che i minori potessero ricercare le proprie origini.
Dal momento che il tempo a mia disposizione è esaurito, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione del testo integrale del mio intervento in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, onorevole Scoca.
Constato l'assenza dell'onorevole Pezzoni, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Signorini. Ne ha facoltà.

STEFANO SIGNORINI. Signor Presidente, colleghi, il testo approvato dal Senato concerne la ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta all'Aja il 29 maggio 1993, nonché modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri.
È da prevedere una sollecita approvazione da parte di questo ramo del Parlamento ove si tenga presente, da un lato, che tutti i gruppi hanno espresso un parere favorevole sul provvedimento e, dall'altro, che i punti più controversi del provvedimento, relativi alla differenza di età tra adottanti ed adottando, all'adozione da parte delle coppie di fatto e all'accesso alle informazioni sui genitori naturali, sono stati stralciati e rinviati ad una futura riforma della normativa sull'adozione.
Il disegno di legge mentre lascia sopravvivere nella sua interezza tutte le scelte di fondo della legge n. 184, si qualifica per la ratifica e l'esecuzione della convenzione, il cui oggetto, come si legge nell'articolo 1 della stessa, è il seguente: a) stabilire delle garanzie affinché le adozioni internazionali si facciano nell'interesse superiore del minore e nel rispetto dei diritti fondamentali che gli sono riconosciuti nel diritto internazionale; b) instaurare un sistema di cooperazione


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tra gli Stati contraenti al fine di assicurare il rispetto di queste garanzie e quindi prevenire la sottrazione e la vendita e la tratta dei minori; c) assicurare il riconoscimento, negli Stati contraenti, delle adozioni realizzate in conformità alla convenzione per l'intera sostituzione del capo I del titolo III della legge 4 marzo 1983, n. 184, per adeguarlo ai principi e alle direttive della convenzione stessa.
Il disegno di legge n. 4626, in discussione oggi, tratta un argomento estremamente delicato visti i soggetti coinvolti: da una parte bambini che si trovano in situazioni a volte drammatiche e sicuramente traumatiche e quindi da affrontare con estrema delicatezza, dall'altra coppie che aspirano ad adottare dei bambini per dare e formare completamente una famiglia.
In questi anni abbiamo assistito ad un boom di coppie che si rivolgono ad organizzazioni per ottenere adozioni internazionali con le conseguenze e con i problemi che derivano da una serie di difficoltà e una mancanza di normative chiare che possono generare a volte incidenti spiacevoli: situazioni che poi vanno a danno in prima persona dei bambini che subiscono traumi nella famiglia d'origine per le difficoltà economiche; situazioni familiari difficili e quant'altro, che vanno a turbare la loro sensibilità.
Durante l'iter di questa legge numerose associazioni hanno trasmesso informazioni, appelli per cercare di dare un contributo affinché la legge che si sta per approvare sia una buona legge cercando di migliorare quelle parti che hanno suscitato alcune perplessità.
Qui di seguito voglio elencare alcuni dati relativi ad alcune sollecitazioni che ho ricevuto e che intendo esporre.
Nel periodo 1987-1995 solo l'11,2 per cento degli affidamenti preadottivi di minori stranieri è stato ottenuto mediante l'intervento di enti autorizzati dal Ministero degli affari esteri e dal Ministero di grazia e giustizia mentre gran parte degli affidamenti, oltre l'80 per cento, sono stati ottenuti dagli interessati per altre vie: associazioni non riconosciute, gruppi missioniari, familiari e via dicendo.
Allo stato attuale, la legge n. 184 del 1983 (che oltre a disciplinare l'adozione nazionale e l'affidamento dei minori regolamenta anche le pratiche necessarie per l'ingresso in Italia dei minori stranieri a scopo adottivo) non prevede l'obbligo di rivolgersi alle organizzazioni autorizzate per cui, una volta in possesso della dichiarazione d'idoneità all'adozione internazionale rilasciata dal tribunale per i minorenni, i coniugi possono ottenere dallo Stato straniero un provvedimento di adozione per via indiretta, affidandosi ad intermediari oppure per via diretta attraverso contatti personali dei coniugi con le autorità del luogo. L'unico vincolo imposto dalla legge è che tale provvedimento sia conforme alla legislazione dello Stato che lo ha emesso e non sia contrario ai principi fondamentali che regolano in Italia il diritto di famiglia e del minore.
In linea teorica, potrebbero sussistere dei casi in cui il tribunale per i minorenni dichiara che il provvedimento non è efficace in Italia, a causa di irregolarità commesse nella procedura o per incompatibilità con la normativa del paese straniero.
Questa eventualità è molto rara in quanto, come risulta dalle statistiche fornite dal Ministero di grazia e giustizia, dall'introduzione della legge n. 184 del 1983 fino ad oggi i provvedimenti adottivi emessi da una autorità straniera non efficaci sono solamente 423, a fronte di un totale di 15037 provvedimenti dichiarati validi.
Va comunque sottolineato che attualmente le organizzazioni regolarmente autorizzate a svolgere pratiche di adozione internazionale sono solamente 13 in tutto il territorio nazionale e non possono coprire in modo adeguato il gran numero di richieste di adozioni provenienti dalle famiglie. In secondo luogo, la distribuzione geografica degli enti appare fortemente squilibrata, nel senso di una maggiore presenza al nord, mentre nel meridione rimane di fatto scoperto.

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In questo contesto due sono le domande che ci si deve porre: riusciranno e in che modo i pochi e mal distribuiti organismi autorizzati ad affrontare una tale mole di lavoro? Ed è possibile che il monopolio delle adozioni internazionali possa far lievitare le ben già alte richieste economiche delle associazioni riconosciute?
L'esperienza di chi opera in questo settore porta a rispondere «no» alla prima domanda e «si» alla seconda; sarà impossibile che tali organismi riescano a gestire il cento per cento delle adozioni internazionali, considerando ancora più il fatto che tali associazioni sono già state delegittimate dalle famiglie che hanno scelto le associazioni non riconosciute.
Si considera, infatti, che novanta famiglie su cento non scelgano le associazioni attualmente riconosciute non perché con il «fai da te» si abbia la possibilità, pagando di più, di potersi gestire l'adozione - tanto è vero che i controlli esistono sia nel caso in cui l'adozione sia fatta attraverso l'associazione riconosciuta sia qualora abbia luogo tramite una non riconosciuta, perché entrambe le strade devono passare per i medesimi uffici giudiziari, diplomatici e sociali -, bensì perché la famiglia aspirante sceglie la strada che sente più a sé vicina, quella che le dona maggiore fiducia e che è meno onerosa.
Si può tranquillamente sostenere che i tempi dell'adozione sono maggiori per l'associazione riconosciuta, minori per le altre. L'adozione con la strada «fai da te» è più veloce, non certo perché la famiglia comperi il bambino, ma semplicemente perché tali associazioni hanno liste di attesa più brevi, gestioni meno burocratizzate e quindi più snelle.
Ciò detto, e tralasciando una serie di rilievi sulla formulazione delle norme e su particolari scelte, si segnala l'opportunità di interventi modificativi da parte della Camera dei deputati del testo normativo per evitare che, a seguito dell'eccessiva burocratizzazione dei procedimenti, finisca per non essere realizzato quell'interesse del minore al quale sia la Convenzione che la legge dichiarano di ispirarsi.
Dalla lettura della normativa approvata si evince, infatti, che la procedura di adozione internazionale, sia per quanto riguarda l'ingresso in Italia dei minori stranieri a scopo di affidamento preadottivo sia per l'adozione, viene ad essere largamente «amministrativizzata» con pochi vantaggi per il minore.
All'ente autorizzato, organo deputato a curare le pratiche adottive presso lo Stato d'origine, è conferito il potere di concordare o non concordare sull'opportunità di procedere all'adozione, oltre che di approvare (solo se richiesto dallo Stato di origine ed è da ritenere che tale richiesta non verrà mai avanzata) la decisione di affidare il minore od i minori ai futuri genitori adottivi.
Il disegno di legge, poi, non affronta la problematica relativa alla differenza di età tra adottante ed adottando, sulla quale significativamente la convenzione de L'Aja tace. Come è noto, in Italia, si è sviluppato al riguardo un ampio dibattito, tendente a modificare gli attuali criteri, fissati dall'articolo della legge n. 184, che stabilisce che l'età dell'adottante deve superare di almeno diciotto e di non più di quarant'anni quella dell'adottando.
Per la verità, il limite concernente il divario massimo di età ha subito due importanti deroghe ad opera di due successive pronunce della Corte costituzionale: con la prima di esse, la sentenza n. 148 del 1992, la Corte ha ammesso l'adozione, in caso di fratelli uniti da comunanza di vita e di educazione, anche se per uno di essi l'età dell'adottante superi di oltre quarant'anni quella dell'adottando, nell'ipotesi in cui dalla separazione dei minori derivi agli stessi un danno grave. Con la più recente sentenza n. 303 del 1996 è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6 nella parte in cui non prevede che il giudice possa disporre l'adozione quando l'età di uno dei coniugi adottandi superi il divario massimo previsto dalla norma stessa, pur rimanendo la differenza di età compresa in quella che di solito intercorre tra

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genitori e figli, se dalla mancata adozione deriva al minore un danno grave e non altrimenti evitabile.
La giurisprudenza si è, come è ovvio, prontamente uniformata a tale regola: una recentissima sentenza della Cassazione si caratterizza per aver censurato il giudizio del tribunale che, nel rigettare l'istanza di dichiarazione di efficacia del provvedimento di adozione pronunciato da un giudice straniero, aveva ritenuto inapplicabile la citata sentenza n. 303 del 1996, in quanto, nel caso di specie, il superamento del divario massimo di età legislativamente previsto, raggiungendo in relazione ad uno dei minori i due anni, non si discostava in modo ragionevolmente contenuto da quel limite massimo. La valutazione del ragionevole superamento va rapportata alla differenza di età che di solito intercorre tra genitori e figli, tenuto conto che, nella società attuale, caratterizzata da un più impegnativo ruolo della donna lavoratrice oltre che dall'innalzamento dell'età media di reperimento di una stabile occupazione, tale differenza di età si è notevolmente elevata.
Al di là comunque delle problematiche che in un campo così delicato esistono, le disposizioni contenute nella Convenzione fanno compiere un passo in avanti importante nel mondo delle adozioni internazionali. I principi della convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale sono a tutela del minore stesso, della sua personalità e sono elementi importanti per la sua crescita. Si ribadisce, quindi, la necessità di giungere alla approvazione di un così importante provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Niccolini. Ne ha facoltà.

GUALBERTO NICCOLINI. Signor Presidente, appartengo ad una Commissione, la Commissione esteri, che forse non ha una stretta competenza in materia, ma a fronte di un problema di tale portata, di tale importanza e che richiede un commovente impegno, ho avvertito la necessità di approfondire il tema, nella speranza che questa ratifica rappresentasse l'occasione per procedere ad una revisione generale della legge n. 184, che denuncia ormai i suoi anni ed i suoi limiti.
È stato detto, durante i lavori delle Commissioni riunite in sede referente, che non avremmo potuto cambiare la legge n. 184; avremmo potuto impegnarci a farlo - ed in tal modo penso che ci esprimeremo come Commissioni riunite anche con un ordine del giorno - anche se per adeguare la nostra legislazione alle convenzioni internazionali si devono cambiare alcune situazioni. Avremmo preferito che l'occasione della ratifica avesse permesso al Parlamento italiano di rivedere completamente la legislazione nazionale la quale, in alcuni punti, ad avviso di molti di noi è un po' vecchia, arretrata, superata dalla storia e dalla cronaca dei nostri giorni.
Abbiamo sentito parlare della differenza d'età, ma ciò che mi ha colpito fin dall'inizio è soprattutto il fatto che la legge di ratifica ribadisce il concetto che le persone che possono adottare i bambini sono quelle individuate dai canoni dell'articolo 6 della legge n. 184, senza tener conto che nel 1998 esiste un gran numero di coppie di fatto, che sono migliori di tante famiglie vere e proprie, che avrebbero il diritto di adottare i bambini e di crearsi la famiglia completa che vogliono, e che non lo possono fare solo perché il loro vincolo non è sancito da una firma.
Credo che tenere conto delle famiglie di fatto nel 1998 sia una necessità; quindi, nella revisione di questa norma della legge n. 184, auspico che il Parlamento tenga presente anche questa considerazione.
Sempre sulla base di quanto previsto dalla convenzione le famiglie che vogliono adottare bambini, che abbiano ottenuto il certificato di adottabilità e che siano in grado di farlo, debbono rivolgersi alle organizzazioni. Nelle Commissioni abbiamo combattuto a lungo su questo «devono». Abbiamo tenuto presente che è giusto che ci siano le organizzazioni, le quali - se di un certo tipo - eviteranno


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il mercato dei bambini e tutta una serie di situazioni pesanti e drammatiche; però ritenevamo che lasciare uno spazio - pur garantendo tutti i controlli necessari da parte dei consolati, delle ambasciate, dello Stato, delle regioni, eccetera - al cosiddetto «fai da te» non sarebbe sbagliato.
Non sempre il «fai da te» si è trasformato in un mercato dei bambini, nella manifestazione di un interesse privato di due genitori che hanno bisogno del «giocattolino» e che, invece di comprarsi il cavallo o l'automobile, comprano il bambino. Non sempre il «fai da te» è stato penalizzante per i bambini; spesso, in certe situazioni particolari ed in certi paesi in cui la condizione dell'infanzia è veramente infima, il «fai da te» ha salvato dei bambini. Lasciare ad esso uno spazio, pur con tutti i controlli necessari, pensavamo non fosse sbagliato.
C'è poi il gravissimo problema della conoscenza delle origini. Pochi giorni fa abbiamo sentito i rappresentanti delle organizzazioni, fra cui quelli dell'associazione dei figli adottivi che ci ha scritto in modo drammatico chiedendoci di non consentirla. Mi sembrerebbe uno dei provvedimenti più illiberali che il Parlamento possa varare e spero che non lo faremo. Non dico che tutti i ragazzi adottivi debbono conoscere le loro origini, ma non posso escludere la possibilità che qualcuno, maggiorenne, chieda di sapere di chi è figlio; se non ci sono particolari motivi per nasconderglielo, credo che abbia il diritto di saperlo.
La convenzione lo prevede e spero che resisteremo a questo attacco che mi rende davvero perplesso; mi spaventa moltissimo sentire le famiglie adottive o le associazioni dei figli adottivi che urlano: «Non dobbiamo saperlo!». Per esperienza diretta sono venuto a conoscenza dell'esistenza di numerosissimi casi di figli adottivi che hanno voluto conoscere la verità circa le proprie origini, come è giusto che sia.
Mi auguro che si rispetti la convenzione su questo particolare aspetto, non perché tutti abbiano il diritto di sapere l'origine dei figli adottivi, ma solo in ossequio del diritto dei figli adottivi di sapere la verità circa le proprie origini.
Forse abbiamo perso l'occasione per portare la legge n. 184 a livello di un accordo internazionale che pone, sì, al centro dell'attenzione il bambino, ma con il rischio di aumentare la procedura burocratica per l'adozione. Abbiamo sempre sostenuto che l'iter burocratico deve essere lungo, dettagliato e meticoloso prima dell'emissione del certificato di adottabilità, mentre deve essere veloce ed immediato quello successivo. Non possiamo certo immaginare percorsi che durino due o tre anni, quando cioè si è ormai creato un rapporto, che non vogliamo chiamare «abbinamento», tra genitore adottante e bambino che può essere adottato. A quel punto i tempi devono essere molto più brevi.
Mi preoccupa molto una disposizione contenuta nel provvedimento, anche se è stata introdotta a difesa del bambino; mi riferisco al famoso anno di prova. Il trauma che un bambino subirebbe allorché, a un anno dall'adozione, la famiglia adottante non venisse riconosciuta la più adatta, sarebbe un trauma forse troppo profondo per un bambino che già viene da una situazione difficile e che sperava di aver trovato una famiglia. Questo bambino, rimesso in un circolo che non è il mercato dei bambini, ma lo è quasi, rischia moltissimo, a mio giudizio. Anche sotto questo punto di vista dovremo indicare dei limiti ben precisi in modo che il caso che ho ipotizzato non si possa mai verificare.
Aggiungo un cenno alle modifiche introdotte dalla Commissione all'articolo 39-ter della legge n. 184. Abbiamo previsto che gli enti interessati non devono avere e non devono operare pregiudiziali discriminazioni nei confronti delle persone che aspirano all'adozione, ivi comprese le discriminazioni di tipo ideologico-religioso. Riteniamo fondamentale quest'ultima precisazione proprio in un momento in cui tutti, da una parte, affermiamo che le ideologie sono morte e, dall'altra, dietro di esse continuiamo a nasconderci.

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Il gruppo di forza Italia si è espresso favorevolmente in Commissione ed analogo voto favorevole esprimerà in aula perché è urgente che questa convenzione venga firmata, anche perché rispetto alla relativa ratifica siamo già in ritardo. Nello stesso tempo impegniamo le Commissioni giustizia ed affari esteri affinché entro quest'anno la legge n. 184 sia riformata secondo le necessità dettate dai tempi.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Fei. Ne ha facoltà.

SANDRA FEI. Signor Presidente, l'immagine che dovrebbe venire in mente, discutendo questa legge di ratifica, è quella di una bilancia, forse quella della giustizia - chissà! - che riequilibri gli scompensi, gli spazi vuoti che affliggono un bambino senza famiglia e quelli che appartengono ad una famiglia che, invece, apre la propria vita nei confronti di un piccolo essere umano.
Che sia una storia esclusivamente italiana o che coinvolga persone di diversa razza, etnia, cultura e religione, la favola dell'adozione muta di volta in volta i suoi protagonisti, ma mantiene invariati gli ingredienti, l'accoglienza, l'affettività e la disponibilità reciproche, un meraviglioso sistema riparatorio-compensativo che è permeato di senso di giustizia e di recupero, di solidarietà interpersonale, del senso di integrazione e condivisione tra individui.
Limitarsi però alla bella storia impregnata solo di sentimenti e sorrisi può voler dire banalizzare un lungo e laborioso percorso che prevede la collaborazione di diverse figure oltre quelle di mamma, papà e bambino. Se le parti in causa non danno il loro apporto in modo corretto, i sorrisi possono diventare lacrime, l'accoglienza un rifiuto, la nuova vita un altro dramma.
La ratifica della convenzione de L'Aja, pur non essendo uno strumento esaustivo ed onnipotente, può aiutare i bambini, le persone e l'intera società a recuperare quel senso di rispetto e dignità che troppo spesso si è attenuato a causa di vuoti e retorici proclami a sostengo dell'infanzia e della famiglia. Non siamo qui per mettere in discussione la legge n. 184 del 1983 che, pur avendo rappresentato un ottimo strumento a supporto dell'adozione e dell'affido familiare, oggi mostra sintomi di vecchiaia, come ha detto prima di me il collega Niccolini. Questo deve essere chiaro, perché una revisione della normativa completa, andando a toccare vasti interessi economici e culturali aprirebbe un contenzioso che non ci consentirebbe di rispettare i tempi e gli impegni che abbiamo assunto a livello internazionale. Non dobbiamo però dimenticare che proprio questa legge di ratifica sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale dovrà essere il punto di partenza per una completa revisione ed attualizzazione di tutta la normativa inerente al disagio intrafamiliare, alla sofferenza dei bambini, all'abbandono dei minori ed al reperimento di famiglie sostitutive. Una nuova legge sull'adozione, dunque, non - come vorrebbero alcuni - per sostituire l'ormai storica legge n. 184, ma per ratificare, come molti altri chiedono, la convenzione internazionale de L'Aja sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale.
La lotta al mercato dei bambini è il primo obiettivo che dobbiamo porci nel momento in cui ci confrontiamo sull'impianto della legge di ratifica, cioè con quella realtà che, come già detto, dietro ad espressioni ed affermazioni di grande effetto utilizza la merce bambino, la merce solitudine e la merce amore per alimentare guadagni in termini economici o di consenso, rischiando di svilire i bisogni ed i desideri di migliaia di minori e di famiglie a puro di scambio di prestazioni.
Il secondo punto importante della normativa che stiamo contribuendo a creare è quello di sottolineare il principio di sussidiarietà dell'adozione internazionale. La convenzione de L'Aja specifica, infatti, che lo strumento adozionale deve entrare in gioco solamente con l'evidente fallimento delle altre risposte, come l'attività


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di prevenzione dell'abbandono attraverso il sostegno alla famiglia di origine o la ricerca di genitori adottivi nel paese in cui il bambino è nato.
Ecco quindi un altro nostro impegno, quello di stabilire che l'adozione non può non essere integrata con interventi di cooperazione internazionale e con lo sviluppo di politiche preventive nei paesi di origine dei bambini. Tutelare questi ultimi ed i loro bisogni, nonché la cultura del rispetto per l'essere umano - adulto o minore che sia -, sconfiggere tutte le pratiche che mercificano il dolore e la gioia è il nostro dovere e ciò si può fare proprio prevedendo dei percorsi da una parte molto rigidi per le procedure di adozione internazionale ma, allo stesso tempo, veloci ed il più possibile sburocratizzate, in particolare non penalizzanti per le famiglie che aspirano ad adottare, poiché se è giusta la preminente tutela del minore questa ha senso solo nel momento in cui il suo interesse è in conflitto con quello dell'adulto e non certo quando gli obiettivi coincidono.
Quindi, con lo spirito di contribuire a restituire al mondo dell'infanzia una dignità che spesso gli viene sottratta, con la volontà di sottolineare i diritti del cittadino bambino e con l'intento di facilitare l'auspicabile incontro tra bisogni infantili ed adulti - diversi ma compatibili -, ci confronteremo, magari in modo deciso, ma senza pregiudizi e con lo spirito di produrre uno strumento di grande significato sociale.
Il nostro impegno, però, deve essere quello di dotare questo strumento delle risorse necessarie a farlo funzionare, intendendo con ciò un investimento per una omogeneizzazione sul territorio nazionale dell'organizzazione e delle metodologie dei servizi psico-socio-territoriali che avranno un grosso peso nell'esito delle procedure adozionali. Inoltre, pur riconoscendo la necessità di usufruire della parziale «vicarianza» da parte di organismi privati coinvolti nell'iter adozionale, lo Stato deve garantire la massima e continua vigilanza sul loro funzionamento e sulla loro gestione, oltre che la pubblicizzazione dei criteri attraverso i quali questi verranno scelti o ricusati.
Concludo qui il mio intervento e riservo il tempo rimanente per poter sostenere nelle prossime sedute gli emendamenti che alleanza nazionale ha presentato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, il provvedimento al nostro esame costituisce un adempimento di estrema importanza da parte del nostro paese. Con esso infatti, l'Italia, ratificando la convenzione sottoscritta a L'Aja il 29 maggio 1993 da oltre trenta paesi, modifica profondamente la disciplina dell'adozione internazionale. Basti pensare all'affermazione del principio di fondamentale rilevanza per cui l'adozione internazionale deve rispondere all'interesse del minore e non a quello degli aspiranti genitori adottivi; principio che era indispensabile inserire nel nostro ordinamento in quanto nella realtà quotidiana troppo spesso l'adozione viene vissuta, nella prassi, come surrogato di una maternità o di una paternità biologica non possibile, per i motivi più diversi. Tutti possono comprendere, quindi, come nel caso dell'adozione internazionale le cautele debbano essere particolarmente rigorose. Si tratta infatti di sradicare il minore da una determinata realtà sociale e culturale, etnica e religiosa e di catapultarlo in una rete di relazioni sociali e di rapporti familiari del tutto diversi da quelli di origine. Il contrasto tra la situazione in cui il minore è nato e vissuto nei primi mesi o anni della sua vita e quella del paese di accoglienza, appare ancora più evidente se si considera il fatto che i minori da adottare provengono spesso da nazioni in via di sviluppo che, per cultura, tradizioni, religione, rapporti economici e sociali, sono assai distanti dalla nostra realtà.
Tali considerazioni impongono - come ho già detto - la necessità di accertamenti


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particolarmente rigorosi sia rispetto al minore che per gli aspiranti genitori adottivi, nonché e soprattutto la predisposizione di meccanismi e di procedure volte a prevenire qualsiasi speculazione e ad arginare il preoccupante fenomeno delle adozioni che si realizzano esclusivamente a seguito di iniziative personali, senza la mediazione e l'ausilio di enti e strutture qualificate. Il che può comportare, e talvolta ha comportato nel passato, seri rischi per l'esito positivo dell'adozione e per il possibile proliferare di un mercato clandestino di una schiera di mediatori non autorizzati che agiscono senza alcun controllo e per scopi soprattutto speculativi. Come non ricordare, a tale proposito, che attualmente circa l'85 per cento delle adozioni internazionali non si realizza attraverso gli enti autorizzati ad operare nel settore e che troppo spesso si è proceduto ad attribuzioni senza una reale ed effettiva verifica dello stato di abbandono?
L'attuale disciplina, che ci apprestiamo finalmente a modificare, prevede infatti la facoltà, ma non l'obbligo, per chi intende adottare un minore nato all'estero di ricorrere ad appositi enti autorizzati.
Punto qualificante delle modifiche normative è quindi la previsione che le adozioni internazionali avvengano esclusivamente attraverso enti od organismi abilitati. Condizione per l'abilitazione dovrà essere, ovviamente, il rigoroso accertamento della preparazione professionale, dell'esperienza e della moralità dei dirigenti e degli operatori di tali enti, nonché l'assenza nella loro attività di finalità di lucro. Nessuno può trarre profitto dalle procedure di adozione internazionale, perché ciò significa speculare sul dolore e sulla sofferenza!
Come sottolineato dagli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto e dall'intervento della relatrice, onorevole Serafini - che intendo ancora ringraziare per l'intelligenza e la sensibilità con le quali ha trattato un tema così delicato -, la ratifica della convenzione de L'Aja avrebbe potuto costituire per il Parlamento l'occasione per un complessivo ripensamento dell'intera disciplina delle adozioni e, dunque, per una rilettura e riscrittura della legge n. 184 del 1983 anche sulla base delle recenti interpretazioni giurisprudenziali, nonché dell'evoluzione dei tempi, dei mutamenti sociali e dei rapporti interfamiliari.
Le Commissioni esteri e giustizia hanno tuttavia deciso di accettare, dopo un sereno, pacato e costruttivo confronto - anche se, è giusto ricordarlo, a malincuore - l'impostazione del Senato, limitandosi, da un lato, alla ratifica della convenzione e, dall'altro, a modificare esclusivamente la disciplina dell'adozione internazionale al fine di renderla compatibile con i principi della convenzione.
Non è stato così possibile sciogliere alcuni importanti nodi da tempo all'attenzione dell'opinione pubblica, delle forze politiche e delle associazioni che si occupano di adozioni e delle famiglie che intendono adottare o già hanno adottato minori nati all'estero. Si pensi alla dibattuta questione del riconoscimento dell'idoneità all'adozione non soltanto ai coniugi ma anche alle coppie conviventi da un certo numero di anni o anche a persone singole (possibilità espressamente prevista dall'articolo 3 della convenzione de L'Aja, ma che al momento non si è ritenuta di recepire nel nostro ordinamento). Sul punto ho presentato un emendamento sul quale mi rimetterò, evidentemente, alla decisione del Comitato dei diciotto, ma che potrà permettere, quanto meno, di proseguire quel confronto sereno, pacato e utile a tutti che già si è sviluppato in sede di esame referente.
Si pensi ancora alle norme sulla differenza di età tra adottato e adottanti: la rigidità di tale disciplina è già stata scalfita dalla Corte costituzionale, che ha ammesso la possibilità di derogare ai limiti attualmente previsti qualora ciò risponda al preminente interesse del minore. Di tale giurisprudenza costituzionale si sarebbe ben potuto prendere atto anche a livello legislativo, ma la necessità e l'opportunità di non ritardare ulteriormente la ratifica della Convenzione e gli evidenti riflessi sulle adozioni nazionali

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hanno fatto maturare la scelta, ragionevole e consapevole, di rimandare questo ed altri delicati temi ad un esame più complessivo di tutta la normativa.
Si pensi, infine, alla dibattuta questione della possibilità o meno per il minore di accedere alle informazioni relative ai genitori naturali. Condivido totalmente quanto già espresso dalla relatrice e dagli altri colleghi intervenuti e ricordo che solo dopo un serrato dibattito le Commissioni affari esteri e giustizia hanno ritenuto di accogliere un emendamento che consente, nel caso dell'adozione internazionale, tale possibilità, con le dovute cautele e previa autorizzazione del tribunale per i minorenni.
L'esigenza di ratificare al più presto la convenzione ha suggerito di non affrontare in questa fase il problema, pure per il futuro ineludibile, di una complessiva rivisitazione della disciplina in materia di adozioni. Forte però è l'impegno, già manifestato ripetutamente in Commissione e in quest'aula, oltre che l'esigenza di affrontare in modo più organico un tema così delicato nell'interesse di quei minori, poveri e abbandonati, che altro non chiedono, spesso non con le parole ma con lo sguardo, in cui si riconosce angoscia, disperazione ma anche attesa e speranza di poter avere anche loro dei genitori.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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