Seduta n. 354 del 14/5/1998

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Seguito della discussione del progetto di legge costituzionale: Revisione della parte seconda della Costituzione (3931) (ore 11,06).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di legge costituzionale: Revisione della parte seconda della Costituzione.
Ricordo che nella seduta di ieri è iniziata la discussione sul complesso dell'
articolo 64 del testo costituzionale e dei relativi emendamenti (per l'articolo 64 e i relativi emendamenti vedi l'allegato A al resoconto della seduta di ieri).

(Seguito esame articolato - articolo 64 - A.C. 3931)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Calderisi. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CALDERISI. Presidente e colleghi, secondo l'opinione di alcuni - probabilmente sono anche la maggioranza: è un'opinione prevalente - i sostenitori del sistema presidenziale o di quello semipresidenziale dovrebbero essere oggi molto soddisfatti, perché viene in discussione appunto l'elezione diretta del Presidente della Repubblica e quindi dovrebbero avere grande soddisfazione in questo.
Non mi meraviglio di questa opinione - ripeto: probabilmente prevalente, più che prevalente - perché le culture prevalenti di questo paese hanno ritenuto (salvo poche eccezioni: Calamandrei, il partito d'azione, Pacciardi) e associato il presidenzialismo a concetti che in realtà sono ben diversi da quelli che avevano appunto Calamandrei o Pacciardi del sistema presidenziale. Spesso, si identifica il presidenzialismo con l'idea di un Governo forte, quando sappiamo benissimo che i padri costituenti del sistema presidenziale in America avevano l'obiettivo opposto. Il loro problema era di come garantire meglio le libertà politiche, civili, economiche dei cittadini. Era come limitare, circoscrivere il potere, garantire, attraverso il principio di responsabilità, un meccanismo con pesi e contrappesi liberali ed


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evitare gli eccessi dei pubblici poteri. Certamente, quindi, un'impostazione molto differente.
Chi è sostenitore di questa impostazione, non a caso, oggi sui giornali si vede bollato come superpresidenzialista, iperpresidenzialista; secondo Pieroni, io sarei un «fondamentalista» del presidenzialismo ed è una tesi del tutto sbagliata.
Credo che si faccia appunto molta confusione. Certo, anche tra coloro che sono stati sostenitori del presidenzialismo c'è stata una differenza fra chi, come Calamandrei, sosteneva un certo tipo di presidenzialismo e chi, come per esempio nella tradizione dell'MSI, riduceva il presidenzialismo all'elezione diretta del Presidente della Repubblica, che veniva considerata come identificazione dell'ordinamento in un leader.
Come liberale sono sostenitore di un sistema ben diverso, di un sistema equilibrato, fatto di pesi e contrappesi, e che non può essere in alcun modo ridotto alla sola questione dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica.
Evidentemente bisogna fare una valutazione complessiva sugli elementi che compongono questo sistema e capire quali sono gli obiettivi che ci siamo prefissi. Obiettivi della riforma costituzionale (per quanto riguarda, in particolare, la forma di Governo) erano quelli della stabilità, della governabilità, dell'affermazione del principio di responsabilità politica. Dobbiamo quindi vedere se attraverso la strada scelta si ottengano questi obiettivi. Se questi obiettivi si possono ottenere con un'altra strada allora, lo ripeto, io non sono un feticista del presidenzialismo e men che mai dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica!
Bisogna verificare se questi obiettivi sono realizzati, se quello che andiamo a delineare è un sistema fatto di pesi e contrappesi liberali o se invece, come mi sembra, vi sia nel testo in esame il rischio di conflitti istituzionali molto pericolosi, e non soltanto pericolosi, presidente D'Alema!
Un sistema dobbiamo considerarlo non solo con riferimento alla forma di governo ma anche in rapporto alla forma di Stato, al Parlamento, al sistema delle garanzie. La valutazione non può che essere di tipo generale. Credo che nel momento in cui abbiamo messo mano alla riforma costituzionale abbiamo già fatto, a mio avviso, una scelta sbagliata, laddove non abbiamo introdotto quel principio di sussidiarietà che costituirebbe già una forte limitazione dei pubblici poteri perché sarebbe una garanzia a favore di un processo di redistribuzione dei poteri dallo Stato al mercato, alla società. E questo è un grave limite.
Per quanto riguarda la forma di Stato (almeno con riferimento agli articoli che abbiamo esaminato finora) per fortuna abbiamo compiuto dei passi positivi rispetto al testo che era stato approvato. Abbiamo immesso dei meccanismi che in qualche modo possiamo effettivamente definire di tipo federale. Certo, dobbiamo ancora esaminare il federalismo fiscale, il Senato federale, ma sicuramente abbiamo fatto dei passi significativi in questa direzione.
Come gioco di pesi e contrappesi - ossia migliorando la parte relativa alla forma di Stato e del federalismo si deve anche migliorare la parte relativa alla forma di Governo e al presidenzialismo (le due cose possono andare di pari passo) - mi auguravo che da un punto di vista di lungimiranza politica si volesse scegliere la strada, come è stato fatto per la parte relativa alla forma di Stato e per il federalismo, di migliorare il testo che è stato approvato negli scorsi mesi dalla Commissione bicamerale. Ed invece, mi pare, ci si è chiusi a riccio nella difesa di un testo che a mio avviso presenta forti rischi di conflitto e che non garantisce quegli obiettivi soprattutto di responsabilità politica che volevamo garantire attraverso la riforma costituzionale.
Vediamo perché, a mio avviso, manca questo gioco di pesi e contrappesi e perché c'è questo gravissimo rischio di conflitti. Abbiamo l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Si dice però che questo Presidente della Repubblica non deve avere poteri di governo, non

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deve presiedere il Consiglio dei ministri. Diversamente nel testo base del relatore Salvi, che io ho votato (ed è l'unico testo che personalmente ho votato) in Commissione bicamerale era prevista invece l'elezione diretta del Presidente della Repubblica che aveva la facoltà di presiedere il Consiglio dei ministri ed era titolare quindi dell'indirizzo politico in un sistema di tipo semipresidenziale, che quindi funziona da sistema presidenziale quando le maggioranze coincidono mentre quando vi è la cosiddetta coabitazione si trasforma in un sistema di tipo parlamentare.
Certamente non è facile far funzionare il sistema di tipo semipresidenziale in questo modo, bisogna lavorare molto bene sui meccanismi e sull'equilibrio delle norme rapportandole al sistema politico perché evidentemente un sistema costituzionale, una forma di governo, una legge elettorale devono tener conto in maniera assoluta del tipo di sistema politico che noi abbiamo.
Quindi, questo Presidente della Repubblica eletto direttamente non è titolare dell'indirizzo politico, non presiede il Consiglio dei ministri. A questa forma di Governo si associa o si vorrebbe associare - e mi riferisco anche al Polo delle libertà - una legge elettorale basata sul doppio turno di coalizione, il che porterebbe alla legittimazione popolare anche del Primo ministro. Lo ha rilevato anche il Presidente del Senato. Infatti, il Presidente Mancino, in una dichiarazione rilasciata, se non erro, domenica scorsa, ha messo in luce quale sarebbe il rischio di questa doppia legittimazione che credo non esista in alcun altro paese. Quindi, questo Presidente della Repubblica verrebbe privato anche del potere di nomina del Primo ministro, perché la sua sarebbe solo una ratifica. Certo, anche in Francia il premier viene indicato. Infatti, nelle ultime elezioni francesi vi è stato il confronto fra due premier che erano stati indicati, da una parte Juppé e dall'altra Jospin. Ma tutti sappiamo che, se Chirac avesse vinto le elezioni con un margine ristretto, Juppé non sarebbe diventato premier e Chirac avrebbe dovuto tener conto dei risultati elettorali e nominare un premier diverso.
Abbiamo quindi scelto un sistema di tipo semipresidenziale e abbiamo detto no ad un sistema di governo del premier, perché nel secondo abbiamo individuato una eccessiva rigidità nel nostro paese. Si è detto che, con il nostro sistema politico, per garantire efficacia alla forma di governo del premier, dovremmo introdurre delle norme che garantiscano un Governo di legislatura. Si tratterebbe di un meccanismo molto rigido per cui, in caso di cambiamento non solo della maggioranza ma anche del premier, si tornerebbe inevitabilmente a votare. Ebbene, se riproduciamo questo meccanismo e lo inneschiamo nel sistema della forma di governo semipresidenziale con l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, creiamo un bel pasticcio, un bel conflitto. Quindi, nei fatti, questo Presidente della Repubblica non presiede il Consiglio dei ministri, non governa, non è titolare dell'indirizzo politico, non nomina il premier.
Anche per quanto riguarda lo scioglimento delle Camere, che è il terzo potere fondamentale, vi sono delle considerazioni da fare, perché, a mio avviso, si tratta di una questione dirimente. In base al testo al nostro esame, per fortuna, il Presidente della Repubblica può sciogliere la Camera nel momento in cui viene eletto, dal momento che vi è per il Presidente del Consiglio in carica l'obbligo delle dimissioni iniziali. Almeno evitiamo quel che è accaduto in Bulgaria!
Per fortuna - ma i popolari vorrebbero cancellare anche questa norma - facciamo in modo che il Presidente della Repubblica possa eventualmente, tenendo conto degli orientamenti elettorali dei cittadini, rinnovare le Camere ed evitare il rischio di insediarsi mantenendo un Parlamento dove si esprime una maggioranza di segno opposto. Per il resto, però, il potere di scioglimento è legato ad una casistica che fa riferimento a situazioni di crisi formalizzate: solo quando c'è una crisi formalizzata, infatti, solo in determinate circostanze, il Presidente della Repubblica può sciogliere la Camera politica.

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Quindi, con questo meccanismo si toglie al Presidente della Repubblica il potere di scioglimento inteso come potere di deterrenza, che è il potere fondamentale di scioglimento.
Secondo Mortati e secondo Debré, il potere di scioglimento è un potere che non si esercita solo quando si sciolgono le Camere, ma di cui ci si avvale come potere di deterrenza, come fattore di stabilità di governo. Ma se il Presidente della Repubblica può sciogliere la Camera politica solo quando una crisi è già avvenuta - ed in questo caso la crisi avrebbe luogo solo quando i partiti, anche un solo partito, che magari abbia il 3-4 per cento dei consensi, decide di fare la crisi, perché con quel meccanismo di legge elettorale, con il meccanismo del premio di maggioranza, il potere di scioglimento è evidentemente nelle mani dei partiti, anche di un piccolo partito, che fa venir meno la coalizione e quindi la logica del premio di maggioranza -, il potere è nelle mani dei partiti, anche del più piccolo partito, ma non è nei fatti nelle mani del Presidente della Repubblica.
Voglio capire: un Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini, che non governa, che non è titolare dell'indirizzo politico, che di fatto non nomina e non scioglie; mi chiedo (e chiedo a tutti) perché mai dovremmo eleggerlo direttamente, se il quadro dei poteri è di questa natura? Che cosa rischia di divenire questo Presidente della Repubblica eletto direttamente? Quale ruolo deve avere? Qualcuno dice: l'unica cosa che può fare è ordire complotti. Temo molto questa possibilità. Non sto qui a citare Duverger, ricordando che ha ammonito la Commissione bicamerale. A chi teme derive plebiscitarie, demagoghi, populisti, bisogna dire che questo è proprio il meccanismo per favorire demagoghi e populisti.
Se si prevede un meccanismo che separa la legittimazione dalla responsabilità, in cui chi è eletto non deve rispondere del mandato ricevuto, questo è proprio quanto di più pericoloso possa esistere. Se vogliamo evitare il rischio di derive plebiscitarie, dobbiamo ben definire un quadro di poteri e soprattutto non separare la legittimazione dalla responsabilità politica; questo dovrebbe avvenire, soprattutto se facciamo riferimento al nostro sistema politico.
Non siamo in Austria, e non solo perché le dimensioni sono diverse; il sistema politico di quel paese - o anche quello portoghese - è del tutto diverso da quello italiano, che ha caratteristiche molto simili al sistema che esisteva in Francia e che è stato riformato in senso semipresidenziale da De Gaulle.
Signor Presidente, colleghi, credo che dovremmo fare molta attenzione. Mi auguro che vi siano i margini per una riflessione, per un approfondimento, e che vi sia la volontà di tentare di correggere le distorsioni del testo al nostro esame. Sarebbe molto grave, ripeto, mantenere un testo che può comportare rischi di conflitti istituzionali così gravi come quello al nostro esame.
Dicevo che non sono un feticista del presidenzialismo. In Commissione bicamerale, il 13 maggio dell'anno scorso, avevo presentato - è agli atti - un emendamento che proponeva la forma di governo del premier secondo la proposta Barbera. Se dovessi decidere, sceglierei il sistema presidenziale americano, che è di gran lunga il più democratico. In America molti costituzionalisti ritengono che il potere di scioglimento previsto ad esempio in Inghilterra sia un fatto autoritario. In subordine, sceglierei un sistema semipresidenziale, nel testo del relatore Salvi, il famoso «testo B», che rappresenta già un adattamento molto significativo alla realtà politica italiana. Non si tratta infatti di una copia del sistema francese ma di un adattamento.
Ma non posso pensare di far valere le mie opzioni personali. Se si tratta di creare un sistema che raggiunga determinati obiettivi (governabilità, stabilità, principio di responsabilità) percorrerei anche la terza opzione, quella della forma di governo del premier, purché sia un sistema coerente, che preveda pesi e contrappesi,

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equilibrato, che raggiunga quegli obiettivi di riforma del nostro sistema politico.
Con quel sistema (il cosiddetto «accordo della crostata»: uso anch'io questo termine che non mi piace affatto) si possono creare adattamenti; certo, Barbera non prevedeva il mantenimento della quota proporzionale, bensì che rimanesse il 75 per cento di collegi uninominali, che al massimo potevano essere ridotti al 70 per cento, e che la quota proporzionale fosse abbassata al 10 per cento come diritto di tribuna. In questo quadro prevedeva la possibilità di un ballottaggio con i nomi dei due premier già scritti sulla scheda, e quindi senza elezione del Presidente della Repubblica, proprio perché vi era l'elezione del premier. Dobbiamo scegliere o l'una o l'altra strada perché non si può pensare ad una commistione di questo tipo.
Le mie parole sono un invito al dialogo verso tutti, compresa la mia parte politica, perché corriamo il rischio di entrare in un vicolo cieco, se continuiamo ad insistere sull'idea di eleggere direttamente sia il Presidente della Repubblica sia il Presidente del Consiglio.
Aggiungo che all'interno di forza Italia il dibattito su questi aspetti è stato molto fermo. Al relatore Salvi ho già consegnato ieri il testo di una dichiarazione firmata da otto componenti, deputati e senatori, della Commissione bicamerale, risalente al 18 giugno dello scorso anno, nella quale si sottolineavano questi aspetti. Ai colleghi di alleanza nazionale desidero rammentare il documento con il quale i parlamentari del Polo hanno avuto il mandato per entrare a far parte della Commissione bicamerale nel quale non si faceva alcun cenno all'elezione diretta del Presidente della Repubblica ma solo all'elezione diretta del Capo dell'esecutivo. Dunque l'ipotesi era a favore di un sistema di tipo semipresidenziale, se non addirittura presidenziale, o del premierato, certamente non a favore dell'elezione di un Presidente della Repubblica che non ha funzioni di governo, che non scioglie il Parlamento e che non nomina. Sono convinto che nel nostro paese si creerebbero situazioni assai pericolose.
A me sembra che il collega De Mita si illuda quando, attraverso un ragionamento un po' astratto ma di tipo ragionieristico, afferma che, se le norme costituzionali prevedono un presidente di garanzia, si candideranno persone che vogliono svolgere proprio un ruolo di questo tipo. È difficile nel nostro paese e con l'attuale sistema politico che ciò possa verificarsi. Si tratta di una vera e propria astrazione, perché si candiderebbero persone le quali, nella campagna elettorale, farebbero inevitabilmente riferimento a programmi di indirizzo politico, anche perché chi non lo facesse perderebbe le elezioni.
Il meccanismo dell'elezione diretta è tale per cui, nel nostro paese, è impossibile ipotizzare che l'elezione diretta del Presidente della Repubblica avvenga tra due candidati che, davanti a 50 milioni di cittadini, discutono di come sia meglio svolgere l'attività di garante o di come si taglino i nastri. Chiedo scusa per il paragone, ma mi sembra un'ipotesi molto pericolosa. Dobbiamo sapere che in Italia è impossibile una situazione del genere, per cui o prevediamo un sistema in grado di garantire la responsabilità politica oppure non prevediamo l'elezione diretta del Presidente della Repubblica ma l'elezione diretta del premier.
Avviandomi a conclusione, non ho bisogno di richiamare tutti gli altri documenti relativi al programma elettorale del Polo della libertà, di forza Italia in particolare, sia per la forma di governo sia per la legge elettorale, dove si parla di completamento del sistema maggioritario, per giungere cioè finalmente alla realizzazione di un sistema pienamente maggioritario (così recita il programma del Polo e così recitano tutte le proposte di legge presentate in questa legislatura dal Polo e da forza Italia).
È ovvio che la riforma andrà fatta sulla base di mediazioni fra le diverse posizioni, ma sarebbe troppo grave pensare che un sistema costituzionale possa

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essere creato sulla base di mediazioni fra «bandierine», cioè tra posizioni dei singoli partiti senza guardare all'insieme, senza guardare al paese e senza puntare al funzionamento effettivo del meccanismo che si vuole introdurre. La mediazione non può essere il gioco di bilancini per accontentare questo o quello, ma deve essere un metodo coerente.
Mi auguro che vi sia la possibilità di modificare questo testo; in particolare, ritengo che sia essenziale - e per me è determinante - la modifica della norma sul potere di scioglimento, per configurarla esattamente come era configurata nel «testo B» del relatore Salvi, così come - a parole, nel corso di incontri informali avvenuti in Transatlantico - anche Marini e Mattarella si erano detti, su iniziativa loro, personalmente disponibili a modificare il testo, prevedendo un potere di scioglimento almeno pari a quello di cui dispone oggi il Presidente della Repubblica. Con le norme che abbiamo scritto, infatti, il Presidente della Repubblica non avrebbe potuto neppure sciogliere le Camere nel 1994, perché era in funzione un Governo nella pienezza dei poteri! Scàlfaro volle il Governo Ciampi nella pienezza dei poteri e si andò alle elezioni in quel modo! In quel caso, lo ripeto, non avrebbe potuto sciogliere le Camere, ma avrebbe dovuto chiedere a Ciampi di dimettersi.
Credo che almeno per questo aspetto dovremmo modificare la norma sul potere di scioglimento. Mi auguro che vi sia una disponibilità in tal senso e preciso che non si tratta di iperpresidenzialismo, di feticismo del presidenzialismo o di fondamentalismo, bensì di creare un sistema equilibrato!
Se ciò non dovesse avvenire (preciso che sto esprimendo una mia posizione personale che credo, però, appartenga ad altri colleghi) e cioè se neppure con il potere di scioglimento si riuscirà a migliorare questa norma, credo che in quel momento - da parte mia - non potrebbe che iniziare la campagna per il «no» al referendum confermativo, perché riterrei quello, non un testo di riforma, ma di controriforma, e di controriforma pericolosa (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Taradash. Ne ha facoltà.

MARCO TARADASH. Credo che la parte liberale di questo paese abbia da sempre una convinzione: che servano istituzioni forti per impedire le avventure dell'«uomo forte»! Questa è la convinzione che credo dovrebbe ispirare chi si preoccupa di modificare la Costituzione, se si vuole che essa possa reggere all'urto delle tensioni che ancora attraversano il nostro paese e che non sembrano assolutamente risolte.
Per questi motivi, la mia prima preoccupazione è che si abbia un sistema istituzionale coerente, che scelga in modo chiaro se il futuro di questo paese debba essere parlamentarista (legato al sistema proporzionale, al gioco dei partiti, alla centralità del Parlamento, vale a dire a quella delle segreterie dei partiti, se cioè dobbiamo formalizzare la partitocrazia che ha retto le sorti di questo paese nel dopoguerra e fino ad oggi), oppure se dobbiamo compiere quella svolta liberaldemocratica ed andare nella direzione di un altro sistema. Allora, scegliamo l'altro sistema: può essere il premierato, in una forma peraltro sconosciuta agli altri paesi democratici e che comunque questa Commissione bicamerale ha tentato di abbozzare e di formalizzare; può essere il presidenzialismo nella forma più classica, che è quella americana (della quale sono personalmente sostenitore assieme ad una non sparuta pattuglia di parlamentari del Polo); può essere il semipresidenzialismo secondo un modello che si avvicina a quello francese, che consente di avere al tempo stesso un Presidente che regge la politica estera e che ha la possibilità di sciogliere il Parlamento, ed un Primo ministro che viene eletto dal Parlamento stesso.
Ciò che credo che non si possa fare è tentare di mettere insieme tutte e tre le diverse opzioni! Nella proposta che esce


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dalla bicamerale e nella legge di accompagnamento elettorale che dovrebbe essere approvata contemporaneamente o poco dopo, si vuole al tempo stesso salvaguardare il ruolo dei partiti come strumento di controllo della vita politica; si vuole avere un premier eletto quasi direttamente attraverso un doppio turno di schieramenti e si vuole avere anche un Presidente eletto direttamente dall'elettorato, ma senza poteri politici.
Io credo che questa triade non possa garantire se non disordine, incapacità di decisione da parte del Governo, incapacità di controllo da parte del Parlamento e assoluta emarginazione, anzi estraniazione dei cittadini dai processi politici che li riguardano. È chiaro, allora, che la Commissione bicamerale si è limitata ad un assemblaggio, ha fatto la somma delle diverse posizioni, non è riuscita ad arrivare ad alcuna sintesi, non c'è stato alcun compromesso al suo interno, alcun compromesso - come oggi va di moda dire - alto e nobile, in realtà alcun compromesso di nessun genere. C'è stata, ripeto, solo la somma, ciascuno ha portato i suoi mattoni: c'era chi voleva costruire il grattacielo, chi voleva costruire la casa colonica e chi invece la palafitta. Abbiamo pertanto un sistema architettonicamente stravagante che prevede un grattacielo che poggia su dei bastoni in mezzo alla campagna. Questo non può funzionare, cari colleghi, la vostra architettura è destinata ad essere travolta dalla prima scossa sismica o addirittura dal primo temporale, non possiamo accettare questa soluzione.
Voglio aggiungere che quando si parla di un Presidente di garanzia, noi dimentichiamo la storia d'Italia, e questo è un po' grave per dei costituenti. Noi abbiamo avuto dei Presidenti della Repubblica eletti dal Parlamento a maggioranza ultraqualificata con dei poteri di garanzia. Eppure nella storia di questo paese abbiamo avuto il Presidente Segni, sospettato di aver elaborato o sostenuto un progetto di colpo di Stato; abbiamo avuto il Presidente Cossiga, che oggi, nella polemica tra i partiti e soprattutto da parte della sinistra, è accusato di aver interpretato la volontà di forze occulte; abbiamo il Presidente Scàlfaro che in questi anni è stato ben più che un Presidente di garanzia, è intervenuto pesantemente nelle vicende politiche di questo paese, le ha orientate, ha dato vita a Governi cosiddetti di tecnici, di razionalizzazione della politica in sostituzione dei partiti e in sostituzione delle scelte democratiche del paese; abbiamo quindi un Presidente che è stato attivissimo.
Pensare che un Presidente eletto direttamente dal popolo possa svolgere funzioni di garanzia che ben pochi dei Presidenti del passato - dimenticavo Leone, costretto alle dimissioni per impeachment - si sono trovati a poter svolgere, viste le condizioni politiche di questo paese, pensare, ripeto, che si possa avere un Presidente-garanzia, quando milioni, decine di milioni di elettori lo avranno investito del potere presidenziale, è veramente una presunzione assolutamente poggiata sul nulla. Non sarà un Presidente di garanzia. In questo paese, con istituzioni deboli, come quelle che vengono ad essere create dal progetto della bicamerale, il Presidente eletto dal popolo in nessun caso potrà essere Presidente di garanzia, vorrà esercitare dei poteri.
E allora, signori parlamentari, i casi sono due: o noi formalizziamo questi poteri e quindi ne delimitiamo l'estensione dando un rigoroso percorso alle decisioni che il Presidente della Repubblica potrebbe prendere, oppure questo Presidente sarà portato - come addirittura i Presidenti eletti dal Parlamento nel sistema ultragarantista del passato hanno fatto - a superare ogni confine, visto che questo confine non ci sarà neppure. Sarà un Presidente senza alcun potere. Allora, o scegliamo il sistema del Presidente, in una forma o nell'altra, e gli diamo quei minimi poteri che consentano ad un Presidente di svolgere, appunto, una funzione presidenziale (vale a dire lo scioglimento delle Camere, la rappresentanza internazionale del paese, la Presidenza delle riunioni del Consiglio dei ministri), oppure è meglio

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abbandonare il concetto di Presidente eletto dal popolo, è meglio non intervenire pesantemente sulla Costituzione italiana esponendo il Parlamento ed il paese a rischi da cui non sarebbe assolutamente in grado di difendersi.
Si faccia una scelta chiara, si dica: «Quello che noi vogliamo è un Presidente inesistente», ma nessun Presidente eletto dal popolo è disposto a fingersi inesistente, quindi diciamo che non vogliamo il presidenzialismo.
Non può essere questa la scelta della bicamerale e del Parlamento. Convertiamo le energie e le capacità su un'altra scelta. Lo si faccia: personalmente mi opporrò, ma certamente riterrò il Parlamento non incapace di svolgere il suo ruolo, di offrire al paese una soluzione. Sarà una soluzione che io non condividerò, ma non sarà certamente l'assenza di una soluzione, che comporta il rischio gravissimo per le istituzioni e la vita democratica di questo paese cui si andrebbe incontro se invece continuassimo nella folle politica di voler assommare ruoli e poteri senza dare a questi poteri definizione, limiti ed un rigoroso percorso di procedure.
Questo vale anche, a dire la verità, per altri campi del lavoro della bicamerale. Alla fine il quadro di federalismo che emerge a me sembra assai simile al localismo, vale a dire al trasferimento di poteri centrali a livello locale, senza diminuire affatto il peso di questi poteri sulla vita quotidiana delle persone. Mi sembra che andiamo ad ingolfare di centri decisionali la vita pubblica italiana e dove i centri decisionali sono numerosi i centri di responsabilità scompaiono, mentre questo è un paese che ha bisogno essenzialmente che, per la prima volta nella sua vita istituzionale, venga identificato ed applicato ad ogni livello un centro di responsabilità.
Per questo, signor Presidente, signor presidente della bicamerale, colleghi, penso non sia possibile andare avanti sulla strada tortuosa fin qui seguita ed invito la bicamerale a riflettere sulle conseguenze che avrebbe insistere su un modello di Costituzione che non ha alcun precedente nella storia di nessun paese, mentre dove certi poteri sono stati attribuiti senza limiti si sono avute conseguenze estremamente pericolose.
Non è attraverso la somma delle differenze, né attraverso la lottizzazione dei progetti costituzionali che si può arrivare ad un disegno istituzionale che possa essere adeguato alle responsabilità, ai compiti, al ruolo nazionale ed internazionale di un Governo e di un sistema istituzionale.
La forma che emerge attualmente, così come delineata nel progetto della bicamerale, non consente all'esecutivo di governare né al Parlamento di controllare. È una forma pericolosa e per questo, nel caso in cui si insistesse ancora su questo modello e si volesse sottoporre all'attenzione del paese, attraverso referendum, un assetto ibrido e grottesco come quello che viene disegnato dalla costituente (o dalla «ricostituente»), dovremmo chiedere al paese stesso di correggerlo nella forma che ad esso sarà consentito, vale a dire con il «no» nel referendum confermativo di quel modello istituzionale così perverso.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Crema. Ne ha facoltà.

GIOVANNI CREMA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con gli interventi di ieri e di questa mattina si avvia il dibattito generale sulla forma di governo, il punto più delicato, assieme alla questione delle garanzie, che il Parlamento deve affrontare sul cammino della revisione della seconda parte della Costituzione.
La proposta di una nuova forma di governo è stato il primo passaggio di grande rilievo che la Commissione bicamerale ha affrontato nello scorso autunno e la proposta di cui stiamo discutendo è ancora oggetto di un confronto politico molto travagliato, che coinvolge piani diversi, da quello della nuova legge elettorale sino alla possibilità, o meno, di concludere positivamente questa stagione di riforme.
Consentitemi di ricordare alla Camera le ragioni principali che hanno convinto i


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socialisti a votare in Commissione per una nuova forma di governo sulla base del modello semipresidenziale e di ricordare le ragioni che ci hanno convinto a presentare in quest'aula alcuni emendamenti rispetto al testo di base, per rafforzare i poteri del nuovo Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini.
La ragione di fondo che ci ha mosso è la scelta dell'elezione diretta del Capo dello Stato da parte dei cittadini, modificando per questa via i caratteri assolutamente parlamentari della nostra Repubblica.
Si tratta e si è trattato in questi anni di prendere atto della necessità di procedere ad una modernizzazione delle nostre istituzioni rappresentative in grado di raccogliere la necessità di cambiamento, che è forte e sentita dalla grande maggioranza della nostra opinione pubblica.
Credo che il dibattito di questi mesi abbia definitivamente superato l'obiezione di fondo che per lungo tempo era stata fatta alle diverse proposte di riforma e cioè il timore di un rischio di involuzione democratica che molti vedevano nella scelta dell'elezione diretta del Capo dello Stato.
Credo che la nostra democrazia abbia dato prova, soprattutto in questi quattro anni drammatici nei quali quasi tutto è cambiato nello scenario politico, di essere tanto matura da non temere l'introduzione di scelte che hanno per noi l'obiettivo di allargare gli spazi di democrazia e non certo di ridurli.
Adeguare il nostro impianto istituzionale alla nuova realtà del paese, assicurando in questo modo una maggiore stabilità politica, significa consentire all'Italia di essere davvero europea in tutto e non soltanto sul terreno economico e finanziario.
La via della stabilità politica, che ancora non abbiamo raggiunto, come dimostrano le vicende accadute dal 1994 ad oggi, non si affronta solo con i cambiamenti introdotti dalla legge elettorale maggioritaria e neppure, come qualcheduno pensa, con una ulteriore modifica in senso ancora più maggioritario dell'attuale legge, che noi non condividiamo e non approveremo.
La questione della stabilità politica si affronta con una profonda riforma dell'assetto istituzionale, assicurando ai cittadini la possibilità di scegliere direttamente il Capo dello Stato ed affidando ad esso i poteri necessari per assicurargli un ruolo importante nella vita politica del paese. A maggior ragione dopo la scelta federalista il nostro paese, anche per i motivi noti della protesta al nord, ha la necessità di ritrovarsi nella scelta di chi rappresenta l'unità nazionale.
Questa è la ragione per la quale i socialisti hanno nella presente legislatura confermato una proposta di riforma che nasce per loro da lontano e cioè dai primi anni ottanta, quando l'idea dell'elezione diretta era considerata con sospetto e diffidenza dalla grande maggioranza delle forze politiche di allora. Ed è questa la ragione per la quale riteniamo che il Parlamento possa migliorare oggi la proposta deliberata dalla bicamerale, evitando che la contrapposizione tra un presidenzialismo debole ed un premierato forte possa partorire una riforma gracile ed inadeguata.
Questo è il limite principale della proposta che ha presentato il senatore Salvi e di cui credo tutti siano consapevoli. Certamente occorre trovare un punto di equilibrio tra le diverse sensibilità e le opinioni espresse in questi mesi, non soltanto all'interno della maggioranza di Governo, perché le riforme non possono essere il frutto di vincoli diversi da quelli che tutti abbiamo scelto nel momento in cui nacque la Commissione bicamerale; e quello di maggioranza non era tra questi vincoli.
Per questo anche noi ci auguriamo che nelle prossime ore si riesca a trovare un punto di accordo, che consenta alla Camera dei deputati di approvare un testo di riforma adeguato alle necessità del paese, che da una parte eviti una contrapposizione sbagliata e dall'altra consenta alla scelta presidenzialista di avviarsi nel modo migliore.

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Anche noi, signor Presidente, daremo il nostro contributo in tal senso (Applausi dei deputati del gruppo misto-socialisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Guidi. Ne ha facoltà.

ANTONIO GUIDI. Presidente della Camera, presidente D'Alema, vi sono momenti in cui le logiche di partito e di appartenenza, pur importanti, devono fare un passo indietro rispetto alle logiche della coscienza individuale, forse meno importante, perché in politica bisogna sempre fare un passo indietro (almeno in parte) per mettersi al servizio della collettività. Tuttavia argomenti come questo - il Presidente della Repubblica eletto dal popolo - devono riguardarci, oltre che come politici, prima di tutto come cittadini. Certo i cittadini fanno anche politica, non soltanto in quest'aula, ma nelle professioni, nel dolore, nella disperazione sempre più ampia nel nostro paese.
C'è questa voglia di un Presidente eletto dal popolo. In parte la condivido: lo vuole la storia, lo vogliono altri paesi dell'Unione europea, lo vogliono politici e persone. Non mi permetto di dire no. Certo, però, questa proposta-richiesta nasce in un momento particolare, per alcuni versi positivo e per altri meno.
Chi vi parla non era d'accordo sulla bicamerale e lo disse in una caldissima notte di qualche tempo fa: credo ancora che l'assemblea costituente sarebbe stata la via maestra per cambiare le regole del gioco, perché quando si crea un ponte tra cittadini e governanti qualora se ne costruisce la metà forse si rischia che crolli o sia fragile. Tuttavia, presidente D'Alema, devo riconoscere che in parte le mie profezie non si sono avverate. Si è fatto un buon lavoro; non sta a me dare giudizi, ma lo spirito della costituente ha in parte fugato qualche dubbio.
Resto dell'idea che l'attuale Costituzione sia ancora ottima e che non risenta dei suoi cinquant'anni. Purtuttavia questo tentativo di cambiarla ci affascina tutti e quindi siamo qui per dare il massimo contributo.
Alle ragioni giuste e condivisibili di una voglia di presidenzialismo - sicuramente dolce, spero, non autoritaristico ma autorevole (mi si perdoni il brutto gioco di parole) - si frappongono alcuni ostacoli del momento. Ieri il collega di rifondazione ha parlato del rischio di una deriva autoritaria. A questo credo poco, perché credo molto nella gente e nella forza delle idee. Credo però ad un altro punto, non al convincimento diretto.
Il teorema del conflitto di interessi legato ai mezzi di comunicazione di massa e al presidenzialismo mi convince poco: io non credo che potrebbe venire eletto un Emilio Fede ma, per questa gestione dei mezzi di comunicazione di massa, credo a qualcosa di diverso, all'esposizione di alcune persone, vecchi e nuovi Masanielli, che oggi hanno il consenso - secondo me ingiustificato ed ingiusto - dell'opinione pubblica: di questo bisogna tener conto. Una forma di neogiustizialismo che serpeggia nel paese può provocare la richiesta - questo è il primo punto - del cosiddetto uomo forte, che risolva con la forza i nostri problemi. Questo è, ripeto, il primo punto che a me crea fortissime preoccupazioni: la mitologia dell'«aspettando Godot», ossia un uomo che risolva i problemi che noi non possiamo risolvere. Questa filosofia non mi ha mai affascinato, non l'ho mai condivisa. Io credo che i problemi possano essere risolti da una democrazia diffusa e partecipata, non da un singolo individuo. Quindi, credo poco nell'autoritarietà, credo di più nell'autorevolezza: ma siamo convinti che l'autorevolezza possa venire da un'elezione diretta? Ho i miei dubbi. Chiedo all'Assemblea (un'Assemblea un po' ciarliera, ma sono felice di questa effervescenza che serpeggia nell'aula), a chi ha condiviso un'amicizia affascinante: Sandro Pertini ha avuto forse minore autorevolezza e affetto dal popolo, non essendo stato eletto dal popolo stesso? Io credo di no: Sandro Pertini, pur essendo stato eletto da un Parlamento forse non del tutto limpido, traeva la sua autorevolezza dalla sua persona. Allora, riflettiamo su questo punto.


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Secondo punto: i poteri. Siamo sicuri che gli attuali Presidenti della Repubblica non abbiano poteri? A me sembra che li abbiano esercitati poco, ma, soprattutto gli ultimi due, positivamente o negativamente - ognuno ha le sue idee -, di poteri ne hanno esercitati, anche a livello di configurazione dell'esecutivo. Quindi, forse bisognerebbe un po' riflettere su quanti poteri reali abbia l'attuale figura del Presidente della Repubblica.
Il terzo obiettivo è la stabilità: siamo sicuri che un Presidente eletto dal popolo assicuri la stabilità, senza rivedere la legge elettorale? Si potrebbe infatti creare una fortissima distonia tra un Presidente eletto da un popolo che la vede in un modo e un esecutivo che è all'opposto: i numeri della XIII legislatura, a livello complessivo, darebbero torto a questa filosofia.
Guardiamo poi, rapidissimamente, la situazione attuale, che è particolare. Credo che, se vogliamo un Presidente eletto dal popolo, quindi con un forte imprimatur - a mio avviso un pochino rischioso, ma lasciamo stare -, dobbiamo avere un Parlamento altrettanto forte. È forte il Parlamento oggi? Io credo di no. I partiti stanno vivendo un forte travaglio e quindi sono deboli, nel trapasso verso un modo nuovo di essere partiti: lo è il Polo, lo è l'Ulivo, così complesso. C'è una ricerca di un centro, che spero non si avveri e che invece si creino due poli ben identificabili. Quindi, ad un Presidente forte, non abbiamo ancora da contrapporre, nell'indispensabile bilanciamento dei poteri, un Parlamento altrettanto forte e legittimato da regole nuove e forti, anche con partiti forti. Per anni ho vissuto con angoscia (chi dal 1965 fa politica lo sa) l'indegna teorizzazione: siamo migliori noi che non abbiamo mai fatto politica; ma allora che ci stai a fare?
Il primato della politica ci deve essere, il primato del Parlamento pure; altrimenti un Presidente forte va a cogliere le proprie adesioni su un Parlamento con partiti ancora deboli, in trapasso, in travaglio. C'è poi un altro punto: abbiamo in questo momento - non parlo per appartenenza politica - un Governo che sceglie una strada un po' distante da quella del Parlamento; le authority, denunciate dal Presidente della Repubblica - un po' in ritardo rispetto a quanto abbiamo fatto da molto tempo io e l'avvocato Pucci, illuminato dalla sua dottrina giuridica, attraverso il Parlamento e il giornale Angeli da me diretto - espropriano in parte il Parlamento di funzioni e compiti. Così le deleghe, così la legificazione governativa e non parlamentare. Questi sono aspetti gravi, in un momento così importante, che non mi fanno dire no al Presidente eletto dal popolo, ma certo mi fanno riflettere se sia il momento giusto o no; quanto meno, mi dovrei pronunciare alla fine del percorso del progetto della bicamerale, quando le regole del gioco saranno chiarite.
C'è un punto che invece mi fa valutare positivamente la presenza di un Presidente eletto dal popolo: il fatto che noi siamo un popolo, uno, indivisibile, su cui non si può esprimere dubbio alcuno. Non ho mai sentito - e sono uno studioso di atti parlamentari - tanti attacchi all'interno del Parlamento contro il Parlamento e contro l'unità d'Italia: questa è una delegittimazione inaccettabile! Si può criticare, anzi ben venga la critica, ma mai delegittimare gli altri, perché in fondo si delegittima se stessi. Come non accetto chi, eletto in un polo, tradendo l'elettorato, se ne va da qualche altra parte, deludendo i sogni, le speranze, il mandato dell'elettore, così non comprendo chi vive in quest'aula e crea consenso parlando male dei colleghi, quindi di se stesso.
Detto questo, riflettiamo un attimo, ripeto, sulla necessità amministrativa del decentramento regionale e locale, perché lo vuole la storia, l'economia, la logica, ma altrettanto indispensabile è ribadire con forza l'unità del paese: un'unità che non viene dall'economia, come certi ragionieri prestati alla politica vorrebbero far credere. L'unità d'Italia è stata segnata dalle speranze di chi è migrato all'interno del nostro paese, dal volontariato che parte dal sud, dal nord, dal centro, dalle lotte sindacali, dalle lotte per difenderne i

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confini; l'unità d'Italia è nata dal sangue, dalle lacrime, dal sudore, dai sogni, dalle speranze. E non possiamo metterla continuamente in discussione. Ben venga allora, Salvi, un Presidente di tutti per ribadire un'Italia unita, ci mancherebbe altro!
Ho sentito parlare di culture. Certo che l'Italia è il paese delle culture diverse, ma che poi fanno capo ad una cultura superiore, quella dell'essere italiani uniti. Se questo avviene all'interno di un processo catartico che porta all'elezione di un Presidente di tutti, solo per questo, a mio avviso, in questo momento ben venga il Presidente di tutti.
Mi permetto di aggiungere, presidente D'Alema, che c'è un altro punto importante. Abbiamo parlato, ironizzando, della sua abilità di navigazione. Era molto bravo con una barca piccolina, Margherita, che era più agevole, più alla portata di tutti. Adesso ne ha una più grande: chissà se è più complesso navigare con una nave più grande, anche se con un equipaggio più valido? A volte, il piccolo è più importante del grande. Io mi permetto di aggiungere una considerazione, ma non voglio fare il grillo parlante. Lei sa quale stima ho per lei, per lotte comuni, comuni appartenenze per molti anni a livello sindacale e associativo. Però, credo che ci sia un ultimo rischio, che non riguarda la sua persona, al di là di ogni sospetto. Mi riferisco alla presenza del presidente della Commissione bicamerale, anche segretario del partito di maggioranza, in un momento che non è attuale - perché lei sta conducendo in maniera ottima la bicamerale - ma si verificherà quando, alla fine auspicata dei lavori, vi sarà quasi una concomitanza elettorale. Allora, il rischio è che - non lo dico per lei, perché questa logica non le appartiene, ma faccio un discorso generale, ribadendo tutta la mia stima nei suoi confronti, se questo conta - per la coincidenza fra una scadenza elettorale e la fine dei lavori della bicamerale si potrebbe - dico «potrebbe», anche perché tutto può cambiare - porre questo dilemma al presidente: difendo i contenuti del progetto della bicamerale, anche rinunciando a qualcuno di essi, o difendo l'orgoglio di partito, che rappresento al massimo livello? Questo devo dirlo e ribadisco ancora che questo rischio non è legato alla sua persona, ma alla logica politica, che ci riguarda tutti.
Concludo, dicendo che rimango innamorato dell'attuale Costituzione, voluta da un popolo nel momento del riscatto. Era un momento pericolosissimo: si poteva davvero rischiare tutto. Bene, la voglia di dar voce al popolo, di dar voce alle lotte dei lavoratori, di qualche grande intellettuale e anche di qualche grande politico ci ha permesso di creare una Costituzione che forse non ha eguali al mondo, anche se non del tutto applicata. Vogliamo cambiare? Facciamolo, senza fondamentalismi, senza pregiudizi, senza schieramenti eccessivi. Però, non cambiamo solo per cambiare, per prenderci qualche medaglietta di latta. Direbbero «no» i morti che hanno difeso la democrazia difendendo la pace e i confini; direbbero «no» a questo le morti «bianche» dei lavoratori; direbbero «no» le forze sindacali, le forze dell'associazionismo, sempre utile e forse unico in Europa.
Allora, mi permetto di dire che non possiamo cominciare solo dal vertice, da chi comanderà chi: partiamo anche dalla base. L'espressione «partiamo dalla base» sembra desueta ma è forte. Diamo voce a chi non ce l'ha! Poniamoci questo problema, D'Alema! Diamo voce a chi non ce l'ha: alle persone con handicap, ai bambini, agli anziani, ai «nuovi» poveri. Questi dovrebbero essere nel principio della sussidiarietà più importanti ancora di uno solo, le persone più importanti e presenti nel progetto della bicamerale!
Non vorrei che ad un sogno di democrazia più diffusa e più stabile si presentassero gli incubi di un qualcosa di incompleto voluto solo per una logica, quella di cambiare qualcosa perché è questa la cosa importante. No! Guardiamo con serietà e anche con spirito di sacrificio, rinunciando ognuno di noi a qualcosa per il bene comune.

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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole D'Amico. Ne ha facoltà.

NATALE D'AMICO. Il principio dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica sancito nell'articolo 64 è secondo noi un passo avanti importante per questo paese. È un principio importante perché trasferisce potere ai cittadini, questo è evidente a tutti. Ma secondo noi è importante per un altro motivo, perché aiuta alla costruzione del bipolarismo in questo paese.
Noi abbiamo intrapreso una strada verso il bipolarismo dell'alternanza, è chiaro a tutti noi che questa strada non è ancora conclusa; è una strada che passa attraverso cambiamenti delle regole e cambiamenti dei comportamenti della politica. Questo cambiamento delle regole aiuta in quella direzione e secondo noi anche questa modifica si inserisce, in realtà, nella tradizione costituzionale italiana dal 1946-1947 ad oggi.
Noi quindi siamo soddisfatti, in qualche modo orgogliosi, di aver contribuito a questa scelta; sappiamo che questa scelta ha avuto in Commissione bicamerale una componente se vogliamo casuale ma siamo orgogliosi, come rinnovamento italiano, di aver partecipato a questa scelta che può far fare passi avanti al paese.
Crediamo anzi - e lo argomenterò più avanti - che questa scelta andrebbe declinata in modo più coerente e conseguente. Ma prima (sono d'accordo con quanto diceva ieri l'onorevole De Mita) è necessario ricostruire il momento in cui avvenne questa scelta.
Ricordo molto in breve che la Commissione si trovò dinnanzi a quattro modelli, e compì una sorta di «taglio delle ali»; sostanzialmente rimasero in piedi un modello semipresidenziale e un modello neoparlamentare.
Dichiarammo allora, lo dichiariamo oggi e continuiamo a dichiararlo dall'avvio di questo processo, che, ancorché noi preferiamo un modello di tipo presidenziale, saremmo stati disponibili a convergere sul modello neoparlamentare o del premier, perché ci sembrava ragionevole non guardare in modo ideologico alla singole forme di Governo ma dal punto di vista della loro capacità di dare risposte ai problemi del paese.
Abbiamo dunque detto che andava anche bene un modello neoparlamentare purché ci aiuti ad affrontare il problema della stabilizzazione degli esecutivi, della bipolarizzazione del sistema politico, dello spostamento dei poteri dai partiti ai cittadini, e ci aiuti ad affrontare il problema della maggior forza e della maggior legittimazione del Governo democratico.
Ci fu un passaggio, in Commissione, a nostro avviso illuminante e che mi aiuta a sintetizzare questo mio intervento. Molti amano ricordare gli atti della Commissione costituente, a me piace ricordare un atto di questa Commissione, quella relativa all'audizione del professor Cheli.
Con efficacia geometrica, direi, il professor Cheli individuò quelle che secondo lui, ma debbo dire con molta efficacia, ragionevolezza e capacità di convinzione, erano le condizioni per trapiantare in Italia, sostanzialmente, il modello di funzionamento della democrazia inglese, impiantata su un sistema politico notevolmente diverso. Quelle erano condizioni forti, restrittive. Il professor Cheli argomentò (rinvio alla sua audizione in Commissione) che trapiantare in Italia quel modello, ancorché si basi in Gran Bretagna non su un sistema di regole formali bensì su una prassi istituzionale e su un'articolazione del sistema politico che ha proprie caratteristiche, richiedeva una serie di condizioni fortemente restrittive. Farò un solo esempio. Si era detto allora, ad esempio, che per avere quel modello in Italia sarebbe stato necessario un Presidente del Consiglio che sarebbe stato costretto alle dimissioni soltanto in caso di sfiducia costruttiva e si era addirittura sostenuto che anche in quel caso il premier avrebbe potuto mantenere il potere di scioglimento.
Ebbene, cosa successe rispetto a quel modello di premier? Successe che la coperta si rivelò troppo corta, perché, per impiantare nel sistema italiano un modello più simile a quello inglese, sarebbe


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stato necessario spostare l'equilibrio di quel modello verso un assetto maggiormente presidenziale. Ciò avrebbe fatto venir meno il consenso politico su quel modello perché molte formazioni politiche della bicamerale e di questa Assemblea si sono orientate su quel modello proprio in funzione antipresidenziale.
Di fatto, come forse si ricorderà, al momento della scelta concreta, il modello del premier fu presentato alla Commissione come fortemente indebolito e noi confermammo, dunque, la nostra opzione semipresidenziale, riguardo alla quale ieri il collega Diliberto ha osservato che questi modelli di elezione diretta sarebbero modelli della destra. Non so quanto sia vero storicamente e rispetto alla cultura italiana. Forse vale la pena ricordare che Mendès-France contestò a Duverger, quando questi appoggiò la riforma gollista, la sua posizione, accusandolo di favorire l'instaurazione di una dittatura. Quando nel 1981 fu eletto Mitterand, Mendès-France ammise di essersi sbagliato e, se guardiamo alla storia francese, è difficile sostenere che in quel paese una riforma semipresidenziale con l'elezione diretta del Presidente della Repubblica si sia prestata a consentire l'instaurazione di una dittatura.
Come dicevo, abbiamo confermato la scelta a favore del sistema semipresidenziale. Da quel momento è cominciato uno slittamento verso un modello che, certo, è semipresidenziale, ma che è diverso da quello che avevamo in mente ed è un modello che, secondo noi, presenta qualche problema.
Dal punto di vista politico, trovo sinceramente apprezzabile lo sforzo compiuto da molte forze politiche che erano contrarie, con motivazioni nobili e serie, ad un meccanismo di elezione diretta, qualunque esso fosse, in particolare di elezione diretta del Presidente della Repubblica, e che hanno accettato di ragionare su una scelta compiuta liberamente in Commissione bicamerale perché erano disponibili a lavorare insieme, ancorché si fosse scelto un meccanismo di elezione diretto che essi non condividevano. Tuttavia, a me pare che, grazie a questa apprezzabile disponibilità, si siano prodotti risultati che hanno qualcosa di paradossale. Infatti, perché queste formazioni politiche erano contrarie all'elezione diretta? Nella sostanza perché temevano che un meccanismo di legittimazione tanto forte, qual è quello dell'elezione diretta a suffragio universale con doppio turno, quindi con il sostegno della maggioranza assoluta dei votanti, potesse portare colui che riceveva questa legittimazione a debordare dai suoi poteri.
La domanda allora è la seguente: se a questa persona, così fortemente legittimata, diamo pochi poteri, ma le continuiamo ad attribuire una fortissima legittimazione, il rischio di debordare si riduce o si accresce? Credo che proprio chi ha ragionevolmente accettato di discutere di un modello che non era quello che preferiva dovrebbe tornare a valutare i motivi che lo avevano indotto ad essere contrario ad un meccanismo di elezione diretta per concludere che, se comunque attribuiamo questa forte legittimazione democratica, la massima legittimazione democratica possibile, al Presidente della Repubblica, forse non è ragionevole toglierli i poteri conseguenti.
Conosco l'obiezione, perché l'ha sollevata più volte il senatore Salvi ed è un'obiezione giusta. Si può obiettare, infatti, che esistono al mondo tanti semipresidenzialismi. Certo, dal prototipo francese se ne sono creati tanti e di diversi nel mondo. Però non mi pare che ciò possa indurci a sostenere che l'uno valga l'altro. Possiamo invece affermare che il paese non ha bisogno di un semipresidenzialismo qualunque, ma di un semipresidenzialismo che aiuti a risolvere - perché non possiamo ragionevolmente attenderci niente più di questo da un meccanismo di riforma istituzionale - i problemi del nostro sistema politico.
A noi pare che in realtà il semipresidenzialismo adatto a risolvere i problemi del sistema politico italiano sia più simile al prototipo francese, nel quale cioè la diarchia Presidente-premier sia di norma risolta a favore del primo.

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Ovviamente la conclusione cui è giunta la bicamerale non ci pare sufficiente sotto questo profilo. Torno su un'argomentazione che ho già utilizzato. Non c'è dubbio che il modello francese rischia di incontrare difficoltà nei casi in cui vi sia coabitazione, cioè vi sia una maggioranza parlamentare diversa da quella presidenziale. Vale la pena ricordare che queste difficoltà nell'esperienza francese non ci sono state, o comunque - almeno fin qui - non sono state così gravi. Certo, abbiamo di fronte un'esperienza in qualche modo originale, cioè una coabitazione di lunga durata.
Ma il problema del nostro modello è che le difficoltà che il meccanismo francese può creare in caso di coabitazione rischiano di crearsi anche nel caso in cui vi sia coerenza tra la maggioranza parlamentare e quella che ha eletto il Presidente della Repubblica. Se al Presidente eletto direttamente dai cittadini affianchiamo un Presidente del Consiglio designato dai partiti, il primo sarà permanentemente tentato di schiacciare il secondo sulla base di una fonte di legittimazione più forte; però non avrà gli strumenti giuridici per intervenire: non avrà il potere di revoca né quello di scioglimento della Camera. Quindi questo conflitto, che sarebbe comunque inevitabile, non sarà in alcun modo regolato.
Al contrario, se al Presidente eletto direttamente dai cittadini affianchiamo un Presidente del Consiglio in qualche modo anch'egli legittimato dal voto democratico - per esempio attraverso un meccanismo di doppio turno di coalizione, con un secondo turno giocato essenzialmente sul nome del candidato premier - il conflitto si farà ancora più acuto, perché investirà due soggetti entrambi legittimati, più o meno direttamente, dal voto popolare.
C'è il rischio di tornare a meccanismi della prima Repubblica, nei quali diventava più rilevante la dialettica interna alla coalizione di Governo di quella maggioranza-opposizione. Proponiamo quindi alcune modifiche al testo della bicamerale, la più significativa delle quali riguarda il potere di scioglimento della Camera politica: pensiamo che quest'ultimo debba essere nella mani del Presidente della Repubblica. Può subire limiti temporali, si può prevedere che il Parlamento possa, per un periodo transitorio, sottrarre questo potere al Presidente della Repubblica, ma quest'ultimo, eletto direttamente dai cittadini, deve avere questo potere, non già per minacciare una maggioranza politica diversa da quella che lo ha portato alla sua carica, bensì per accrescere la coesione interna alla sua stessa maggioranza, ovvero per risolvere situazioni di Governo debole, che volesse scegliere di tirare a campare anziché di realizzare un programma.
Non mi soffermo sull'ambiguità ancora presente nel testo circa il ruolo del Presidente della Repubblica in politica estera. Credo che su questo anche il relatore abbia preannunciato la necessità di un ulteriore ripensamento.
Sulle altre proposte torneremo in sede di discussione dei singoli emendamenti. Certo, il punto essenziale mi pare ben colto dall'intervento dell'onorevole Diliberto, il quale dice: se volete un ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica, non fatelo eleggere direttamente; se volete un arbitro, questo non si elegge in modo diretto ma si individua con altri meccanismi. Questo indusse i costituenti del 1946-1947 a non scegliere l'elezione diretta: sono assolutamente d'accordo.
Ho una citazione di Kelsen che, in polemica con Carl Schmitt, diceva: «Concludere dal fatto che il Capo dello Stato è eletto da tutto il popolo, cioè in realtà nominato da una maggioranza e talvolta persino da una minoranza del popolo in lotta con altri gruppi, che esso esprimerà la volontà collettiva dell'intero popolo è discutibile, non solo perché una siffatta volontà collettiva non esiste, ma anche proprio perché l'elezione non offre alcuna garanzia per una funzione di composizione degli interessi in conflitto».
Ma è proprio questo il punto: se lo eleggiamo direttamente, nella più politica delle competizioni, allora è necessario che abbia un ruolo politico e che esso gli venga riconosciuto nel sistema delle regole,

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oltre che nella prassi della vita politica. Insomma, dobbiamo capire se è arbitro o capitano: ogni ambiguità su questo terreno è pericolosa.
Un'ultima questione riguarda il problema della legge elettorale, sollevato nel corso dei lavori della Commissione e ripreso in questa sede. Non c'è dubbio che la legge elettorale sia intimamente connessa con la forma di governo.
A nome di rinnovamento italiano in Commissione bicamerale presentai, in coerenza con il nostro programma elettorale, un documento alternativo a quello firmato dalla quasi totalità dei capigruppo con il quale proponevamo un doppio turno di collegio. Da più parti ora si chiede di accelerare la presentazione al Parlamento e l'approvazione di una legge elettorale che traduca in norme precise il testo presentato in Commissione bicamerale da quasi tutti i capigruppo.
Non posso non sottolineare il paradosso che si sta creando con questo nostro modo di procedere: in Commissione avevamo iniziato i lavori partendo dall'assunto che fossero necessari una forma di governo ed un sistema elettorale, più compiutamente maggioritario, per ridurre la frammentazione del sistema dei partiti. Oggi il ragionamento è stato rovesciato: da molte parti ci si chiede di prendere atto del fatto che abbiamo un sistema politico troppo frammentato per consentire l'introduzione di una legge elettorale compiutamente maggioritaria. Eravamo partiti affermando che era necessario - molti di noi continuano a dirlo - spostare il potere dei partiti ai cittadini, ma poi tendiamo a scegliere un sistema elettorale nel quale (rubo parole altrui) le coalizioni le fanno i partiti, mentre con il doppio turno di collegio le coalizioni le farebbero i cittadini.
Si ragiona attorno ad un'ipotesi di legge elettorale con premio di coalizione. In Italia ne abbiamo una, quella per l'elezione dei consigli regionali, molti dei quali, purtroppo, o hanno già sperimentato «ribaltoni», o tentativi di «ribaltone», ovvero hanno allo studio «ribaltoni», ovvero sono logorati in interminabili mediazioni interne alla coalizione per evitare questi «ribaltoni». A me sembra che occorra una riflessione anche su come funzioni il meccanismo, là dove è stato adottato. Comunque mi sembra che nell'ambito di questi argomenti si ponga il problema della contestualità. Giudico apprezzabile che il presidente Mattarella abbia preannunciato la predisposizione di un testo sul quale ci sarebbe l'accordo di gran parte delle forze politiche favorevoli al doppio turno di coalizione.
È strano che in questo dibattito politico sulla legge elettorale, che fra l'altro vede iniziative referendarie, manchi proprio il frutto dell'accordo, cioè il testo della legge elettorale sul quale la maggior parte delle forze politiche hanno convenuto. La contestualità non può che essere politica: sarebbe strano che noi approvassimo una legge elettorale prima ancora di capire cosa e chi bisogna eleggere, anche perché - come qualcuno prima ha ricordato - forse abbiamo bisogno di due leggi elettorali perché quella per le due Camere non è sufficiente.
Nell'ambito di questa riflessione è opportuno che il ceto politico si interroghi circa l'opinione dei cittadini sulla materia. Questi ultimi hanno dimostrato, in ogni occasione in cui sono stati consultati, di essere favorevoli in ampia maggioranza ad una legge elettorale fortemente maggioritaria. Non credo che avrebbe ampio respiro una classe politica che su una simile materia mostrasse di voler trascurare una volontà popolare tanto forte e tanto manifesta. Come la storia più recente ci insegna, non è escluso che i cittadini riescano comunque ad esprimere la propria opinione su questo argomento o attraverso un referendum in materia elettorale ovvero attraverso lo strumento previsto dalla legge costituzionale n. 1 del 1997, cioè la possibilità di pronunciarsi sul complesso della riforma.
Se una democrazia può normalmente consentire la delegittimazione di una parte del proprio ceto politico (di governo, di opposizione), ciò che non può consentire è la delegittimazione dell'intero ceto politico. La nostra democrazia ha già fatto

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questa esperienza e ne è uscita, per fortuna, bene e senza traumi gravi. Mi auguro che l'attuale ceto politico abbia la responsabilità di non favorire un nuovo scontro con l'opinione pubblica, che porterebbe ad un'altra delegittimazione complessiva, con rischi per il funzionamento del sistema democratico.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Sanza. Ne ha facoltà.

ANGELO SANZA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'intervento del presidente De Mita ieri sera ha aggiunto un altro tassello alla disputa in atto sulla forma di Stato e sui poteri del Presidente della Repubblica. Ha aggiunto una questione morale, a mio avviso di non poco conto, mettendo a confronto l'intero percorso dei lavori della bicamerale su tale argomento con - ripeto le sue parole - «l'improvvida presenza della lega al momento del voto. Una presenza ed un voto che veniva a sconvolgere un quadro organico di riferimento precedentemente costruito dalla Commissione bicamerale». Egli ha quindi correttamente e con coerenza rivendicato gli impegni assunti prima e dopo quel voto. Un voto quello in Commissione bicamerale relativo alla elezione diretta del Presidente della Repubblica che ha poi costretto i maggiori partiti di questo Parlamento ad ipotizzare in un ordine del giorno un «mostro» elettorale che sarà per noi difficile da accettare!
È bene dunque ricordare che le ragioni fondamentali che suggerirono la riforma della seconda parte della Costituzione furono essenzialmente tre: una maggiore autonomia di governo alle istituzioni locali; garantire governabilità con una maggiore stabilità dell'esecutivo e della maggioranza; ridimensionare l'invadenza dei partiti alla luce di quanto era accaduto alla vigilia del 1992. Non abbiamo oggi - per nostra fortuna - problemi di garanzia democratica e non è in gioco la vita democratica di questo paese; non abbiamo cioè i problemi che dovettero affrontare i nostri padri costituenti.
Detto questo, vorrei affrontare l'esame della proposta che ci porta in aula la Commissione: vale a dire la scelta dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Un'elezione che costituisce pertanto - oltre ad essere uno dei problemi più qualificanti dell'intera riforma - un aspetto che lega direttamente l'elezione diretta del Capo dello Stato alla forma di governo ed al conseguente sistema elettorale. Su tale argomento mi permetto di essere d'accordo con il presidente D'Alema, perché è giusto che un sistema elettorale nasca coerentemente dopo che sia stata fatta chiarezza sul sistema istituzionale.
Il testo approvato quindi a giugno dalla Commissione è, per queste premesse che ho fatto, il frutto di un compromesso resosi necessario per salvare i lavori della bicamerale; ma proprio per questo presenta forti elementi di ambiguità, in quanto vi è una netta separazione tra la legittimazione del Presidente della Repubblica, la sua responsabilità politica ed i conseguenti poteri di governo. Se la scelta è dunque per una forma di governo semipresidenziale, ciò deve essere coerente con l'intero sistema e tale da assicurare la governabilità. È però evidente che il problema della governabilità non si risolve fin quando non si capirà con chiarezza se l'indirizzo politico spetterà al Presidente della Repubblica oppure al Governo. La figura del Presidente della Repubblica nel testo della Commissione risulta «bifronte», per metà con funzioni di garanzia e per metà con funzioni politiche, di indirizzo e controllo.
Il fatto che il Presidente della Repubblica sia eletto direttamente dal popolo non risolve l'ambiguità, anzi viene a creare una figura ibrida, investita di un mandato popolare ma con poteri incerti. Ciò può essere pericoloso, tanto più in un paese dove la democrazia bipolare non si è ancora consolidata.
Occorre, a mio giudizio, dar vita ad un sistema politico in cui i partiti siano naturalmente indotti a stare insieme. Il progetto elaborato ha predisposto un meccanismo che risulta a nostro modo di


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vedere incoerente, dove il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale ma non ha il potere di governo che appartiene, quindi, al Presidente del Consiglio. Il Presidente è così per certi versi un garante della Costituzione, con poteri di decisione politica rivolti essenzialmente a facilitare il buon funzionamento dei rapporti Parlamento-Governo.
Il vero problema è dunque disegnare una figura coerente, come hanno ricordato molti colleghi che mi hanno preceduto questa mattina, come Calderisi, Taradash e altri. Il sistema elaborato dalla Commissione rischierebbe dunque, se adottato, di dar vita ad un sistema privo di contrappesi e quindi per molti aspetti pernicioso per la democrazia del nostro paese.
È necessario allora definire nettamente i poteri del Presidente della Repubblica, in quanto un Presidente con poteri indefiniti, sostanzialmente rinviati alla prassi, non comporta rischi per il fatto che i poteri non sono definiti, bensì comporta rischi perché non esistono i contrappesi. I moderni costituzionalisti affermano che si è in presenza di un sistema presidenziale quando concorrono tre elementi: elezione diretta del Presidente della Repubblica, Governo che ottiene la fiducia del Parlamento, Presidente della Repubblica con poteri propri sottratti alla controfirma.
Il sistema che vorrebbe essere adottato, quello predisposto appunto dalla Commissione, può essere definito come un neosistema parlamentare, con un Presidente eletto a suffragio universale e con una attribuzione e una definizione specifica dei poteri del Presidente della Repubblica, quale ad esempio il potere di scioglimento delle Camere, il potere di presiedere il Consiglio dei ministri e di rappresentare l'Italia nei rapporti internazionali. Se presidenzialismo, cari amici, deve essere, che sia vero presidenzialismo!
Se il Parlamento non concordasse nel recepire questo orientamento e si accontentasse di un presidenzialismo debole in cui il Presidente non ha poteri di governo ma solo un ruolo di garanzia, riterrei opportuno riconsiderare in qualche modo l'intero progetto di riforma. Avere un Presidente eletto dal popolo, con poteri limitati, significa creare le condizioni per un conflitto istituzionale sistematico.
Francamente, il presidenzialismo «finto» è l'unica soluzione che non possiamo accettare, perché sarebbe la soluzione peggiore; in tal caso sarebbe a mio avviso più serio, piuttosto che questo finto presidenzialismo, accettare un corretto sistema di cancellierato. Assumeremmo una grave responsabilità verso il paese se scrivessimo regole indefinite, sapendo bene che vi sono dei rischi di tenuta del sistema.
Concludo allora dicendo che possiamo salvare questa riforma, facendole compiere un salto di qualità, per dar vita ad un sistema istituzionale realmente moderno e in sintonia con le altre democrazie europee, se prendessimo consapevolezza del «mostro» che stiamo discutendo. Ciò che non ci è consentito, cari colleghi, è di varare una riforma purché sia, che non risolva i problemi dell'Italia e che non risponda alle esigenze ed alle sfide che il paese deve affrontare (Applausi dei deputati del gruppo per l'UDR-CDU/CDR).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.

VALDO SPINI. Questo è certo un dibattito importante e consapevole, ma che è arduo drammatizzare come qualcuno in quest'aula ha cercato di fare e che, dunque, credo vada ricondotto all'essenza delle scelte che stiamo compiendo.
L'elezione diretta del Presidente della Repubblica è senz'altro uno dei punti più qualificanti - forse addirittura il più qualificante - della riforma della seconda parte della Costituzione che andiamo a realizzare e credo che in questa sede non possa essere accettato il tentativo di etichettare questo come un sistema in qualche modo di destra. Ciò sol che si pensi che nella Costituente quel sistema fu sostenuto da Piero Calamandrei e che in Francia ha consentito in due riprese - prima con Mitterrand ed oggi con Jospin - la presenza al Governo di un partito


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comunista come quello francese. Appare quindi bizzarro ed un po' paradossale che proprio questo sistema che ha consentito la presenza di tutta la sinistra al Governo debba essere in qualche modo etichettato come di destra e credo che ciò debba essere spiegato all'opinione pubblica del nostro paese.
Certo non abbiamo mai guardato a questo sistema con un atteggiamento fideistico. Sappiamo che ci sono altri buoni sistemi che possono raggiungere caratteristiche di stabilità e di rappresentatività, che sono presenti in Europa. Abbiamo tuttavia ritenuto che quello delineato fosse il sistema più adatto alla situazione italiana, alla sua frammentazione politica e partitica, alla sua necessità di accompagnare un processo di stabilizzazione del bipolarismo, che rappresenta anch'esso una risposta europea del nostro paese.
Ecco perché credo allora sia sintomatico che la proposta di Calamandrei, che allora non pot|f4 essere accettata, oggi può essere accolta. Ciò è senz'altro frutto di una maturazione democratica del nostro paese.
Allora la proposta di Calamandrei non fu quasi presa in considerazione, perché il ricordo del fascismo era molto presente e si temeva quello che nel gergo di oggi viene chiamato un plebiscitarismo, ossia che l'investitura personale di un singolo individuo potesse coartare il ruolo del Parlamento e delle maggioranze democratiche. In realtà, così non è e se ci guardiamo intorno in Europa è veramente arduo trovare l'esempio dal quale si possa partire per negare che l'elezione diretta del Presidente della Repubblica possa costituire un fatto democratico. Ciò sia che si guardi a sistemi a semipresidenzialismo più pronunciato, come quello francese, che ormai si sono dimostrati capaci di gestire anche forme di coabitazione (ciò è avvenuto ripetutamente), sia che si guardi a sistemi in cui i poteri del Presidente della Repubblica sono più leggeri, più simili a quello italiano, come Portogallo ed Austria, paesi dove non mi sembra si siano mai lamentati inconvenienti o pericoli per la democrazia.
Insomma, diciamoci la verità, non esiste in Europa alcun esempio né alcun momento di crisi di un sistema ad elezione diretta del Presidente della Repubblica che possa in qualche modo preoccuparci. È vero semmai il contrario: è l'esempio israeliano a suscitare eventualmente preoccupazioni in ordine all'elezione diretta del Primo ministro per le difficoltà che essa ha incontrato. Non mi sembra però assolutamente che il semipresidenzialismo in Europa abbia fornito ragioni di lamentele o di preoccupazione.
Debbo aggiungere inoltre che, effettivamente, nelle regole disegnate nel testo della bicamerale, il pericolo del plebiscitarismo è stato ampiamente scongiurato, se è vero come è vero che queste regole sono molto caute e garantiste nei confronti del ruolo del Presidente della Repubblica in rapporto ai poteri del Primo ministro e dello stesso Parlamento.
Vi è un tema su cui forse è bene fare chiarezza, che è il seguente. Abbiamo inteso da parte di alcuni colleghi che o vengono approvati determinati emendamenti a cui essi prestano particolare attenzione o addirittura - lo ha affermato in questo dibattito qualcuno di forza Italia - si passerebbe dalla parte di coloro che nel referendum confermativo indicherebbero ai cittadini italiani di esprimere un «no».
Mi sembra francamente che questo significhi sottovalutare la portata e la novità di un principio che forse qualcuno ha agitato con la speranza che venisse respinto e non con la volontà, che invece abbiamo avuto noi, tenace, chiara e precisa di affermarlo.
Come si fa a sostenere che o viene approvato un certo emendamento oppure si passa dalla parte del «no»? È bene che venga ribadito questo aspetto: per il nostro gruppo, per i democratici di sinistra, l'innovazione dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica in un sistema semipresidenzialista doveva essere accompagnata da un sistema elettorale a doppio turno di collegio sul quale abbiamo sollecitato un voto della Commissione bicamerale. È molto strano che tanti simpatizzanti

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o «flirtanti» con i referendari di oggi, quando si trattò di votare quel principio in bicamerale, ci opposero un «no» fragoroso che ci impedì di avere la maggioranza.
Ecco allora perché credo che la giornata di oggi possa consentire, attraverso la votazione degli emendamenti, di precisare alcuni punti. Mi sembra - lo dirà poi il relatore - che già all'interno del Comitato dei diciannove siano emersi spunti ed elementi volti a consentire una maggiore razionalità. Penso in particolare ad un aspetto, che anch'io ho sollevato con un emendamento: come è pensabile che il Presidente della Repubblica presieda un nuovo consiglio ristretto con temi di politica estera e di difesa, ma che poi non sia presente in Consiglio dei ministri nel momento in cui questi temi vengono sollevati? Sarebbe, evidentemente, un'incongruenza e credo sia un punto sul quale dobbiamo prestare molta attenzione, dimostrandoci capaci di correggerlo.
Credo che la novità che abbiamo introdotto abbia una forza dirompente: non abbiamo voluto dare poteri ad una persona, ma creare un pilastro nel sistema bipolare che è continuamente minacciato. È per dare una consistenza, una sanzione popolare al bipolarismo che abbiamo voluto l'elezione diretta del Presidente della Repubblica in un sistema semipresidenziale. Credo peraltro che su questo punto non si possa assolutamente mollare: tutti coloro che, come noi, hanno a cuore che nel nostro paese si instauri un sistema bipolare non possono prendere a pretesto questa o quella diversa posizione per sottrarsi al compito di portare a compimento le riforme.
Colleghi, oggi siamo ad un punto delicato: se riusciremo a varare anche la riforma della forma di governo, credo che il percorso della bicamerale diventerà irreversibile. Vorrei dunque invitare tutti ad un grande senso di responsabilità nelle giornate di oggi e di domani, proprio perché è evidente che tutti noi abbiamo dovuto sacrificare qualcosa delle nostre impostazioni. Certo, più di tutti ha sacrificato chi era radicalmente contrario al principio dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica (penso, ad esempio, al gruppo dei popolari) ed ha dimostrato capacità di collaborare. Naturalmente, c'è chi può pensare che, cercando di andare oltre l'accordo raggiunto, potrebbe saltare il concorso di questi gruppi alla elaborazione comune di un sistema semipresidenzialista, rimettendosi in qualche modo in discussione tutto l'impianto, che però nel suo complesso è valido.
Ecco perché invitiamo ad un senso di responsabilità ed ecco perché riteniamo che il dibattito di oggi possa essere estremamente migliorativo, ma non vada drammatizzato nei suoi esiti o nelle sue risultanze. Vi sono tutte le possibilità, vi è l'atmosfera politica per varare questo importantissimo capitolo della riforma costituzionale, con ciò rendendo irreversibile il percorso che abbiamo fin qui compiuto.
Vorrei richiamare l'attenzione anche su un altro punto politico. In questi giorni si è parlato a lungo del rapporto tra le riforme e la stabilità di questo Governo. Certo, è evidente che non ci sono corrispondenze meccaniche tra quello che avviene nell'esecutivo e quello che avviene nella Commissione bicamerale. Ma come si può negare che il clima di collaborazione creatosi nella bicamerale nell'ambito della discussione delle riforme costituzionali attraverso il comune riconoscimento della validità del bipolarismo - e quindi della rinuncia alle vecchie imboscate, agli elementi di compromesso o di mutamento strisciante di maggioranze - abbia avuto un effetto nettamente positivo sul clima in cui si è mosso il Governo e sul rispetto delle regole del gioco da parte della maggioranza e dell'opposizione? Come si può negare che, un domani, rompere questo clima e metterlo in difficoltà sarebbe un arretramento anche per l'atmosfera politica e per la situazione generale in cui si trova a muovere il Governo del paese? Anche questo è un aspetto delicato del nostro dibattito.

PRESIDENTE. Maggiore silenzio, colleghi, per favore!


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VALDO SPINI. È un aspetto delicato delle decisioni che dobbiamo prendere anche oggi.
Il rischio che ho delineato si scongiura con un impegno chiaro e preciso da parte di tutti. Ecco perché mi è parsa un po' di lana caprina la discussione se la vicenda della bicamerale possa influenzare o meno il Governo: è chiaro come il sole che l'atmosfera positiva instauratasi nella presente legislatura, di rispetto delle regole del gioco fra maggioranza e minoranza, è stata anche una diretta conseguenza della costituzione della bicamerale e del fatto che essa ha saputo portare avanti il suo compito positivamente e con lucidità.
Mi auguro che questa situazione continui, perché se così non fosse non possiamo non nasconderci che oggettivamente - non per volontà di qualcuno - il meccanismo politico ed anche il rapporto fra Governo e Parlamento si troverebbero in maggiore difficoltà.
Il plebiscitarismo, peraltro, non si scongiura soltanto con le regole, ma anche con i fatti: con la capacità di costituire forze politiche importanti, capaci di muoversi nell'ambito di queste istituzioni. A me non dispiace quindi - anzi lo voglio sottolineare - che l'onorevole Massimo D'Alema non sia soltanto il presidente della bicamerale ma anche il segretario di una nuova e più ampia formazione politica della sinistra, che intende «europeizzare» il quadro politico del paese affermando in Italia una chiara e riconoscibile presenza di una forza politica come il partito del socialismo europeo. Il plebiscitarismo non si scongiura semplicemente con le regole - lo ripeto -, ma con i fatti e con la capacità di dar vita a forze politiche grandi, democratiche, trasparenti ed autorevoli nelle istituzioni; forze politiche che saranno le protagoniste nelle vicende che caratterizzeranno il futuro funzionamento della seconda parte della Costituzione.
Ho già fatto cenno al tema della legge elettorale. Anche su questo terreno siamo arrivati ad una convergenza e ad una chiarezza di metodo. È un tema veramente importante ed è naturale che una riforma di questa rilevanza vada affrontata con un ampio consenso: il contrario non è pensabile (lo sottolineo a nome del mio gruppo, anche in questo caso per sdrammatizzare).
Non mancherò fino all'ultimo - così come ho fatto nella Commissione bicamerale - di richiamare quanto un sistema elettorale a doppio turno di collegio sarebbe coerente con l'impianto che stiamo elaborando: stimolerebbe le forze politiche ad opportune concentrazioni, ad una trasparenza di comportamenti e di alleanze.
Peraltro siamo in attesa della formalizzazione della proposta di legge che recepisca l'accordo dei capigruppo dei maggiori partiti già inserito nel documento presentato ma non votato dalla bicamerale (in quell'occasione ritenni di aderire ad un altro documento, che prevedeva il doppio turno di collegio).

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE (ore 12,50)

VALDO SPINI. La presentazione di una proposta ci permetterà di giudicare laicamente quanto il sistema funzioni, quanto - come è stato detto - possa essere partitocratico e quanto sia realizzabile effettivamente.
Mi permetto però di introdurre in questo dibattito un elemento di riflessione (anche perché abbiamo abbastanza tempo per approfondire l'argomento). Piuttosto che elaborare sistemi così complicati e complessi come quelli previsti nel documento, pur lodevoli nelle intenzioni, cioè l'affermazione di un bipolarismo di coalizione e di una stabilità di governo, mi domando se - nel caso in cui la riforma vera e grande del doppio turno di collegio non vada in porto - non sia più ragionevole agire sull'attuale disciplina abolendo lo scorporo ed elevando la soglia di sbarramento, in modo da conseguire un sistema più semplice, più chiaro, più leggibile e più flessibile. In tal modo potremmo dare una risposta seria a chi


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continua a polemizzare con i partiti prendendo a pretesto la loro frammentazione, mentre magari sul piano concreto si sta preparando a farne uno o a rappresentare nel comitato dell'Ulivo il partito addizionale di cui effettivamente non avevamo conoscenza o consapevolezza.
Chiudo, onorevole Presidente, ma credo che l'assenza dell'onorevole Veltri mi consenta di parlare per qualche minuto in più.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Spini, per la verità suonavo per richiamare i colleghi ad una maggiore attenzione, non per lei. Prego, onorevole Spini.

VALDO SPINI. Grazie, signor Presidente.
Concludo, sapendo che il punto che certamente interessa ed appassiona maggiormente questa Assemblea è il passaggio alla votazione degli emendamenti, che daranno poi forma concreta alla riforma che stiamo affrontando. Tuttavia ho ritenuto opportuno cercare di inquadrare il tema degli emendamenti in questo dato politico. A qualcuno è apparso miracoloso, ad un certo punto, che si potesse effettivamente arrivare ad un accordo così largo e così importante su un principio tanto innovatore, come quello dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica in un sistema semipresidenzialista. Oggi l'Assemblea ha un compito importante, significativo, di cui credo saprà rendersi responsabile fino in fondo: essere capace di interpretare la novità di questa riforma, forse la più qualificante di quelle che andiamo ad introdurre, di interpretare dinamicamente e positivamente questo accordo e di rilanciarlo attraverso le votazioni di oggi, riuscendo, in questo modo, a scrivere un'altra decisiva pagina delle riforme costituzionali, portando, come Parlamento della Repubblica, ad una logica e positiva conclusione questo grande compito che ci siamo assunti, ma che è conseguenza del mandato che l'elettorato ci ha dato (Applausi dei deputati del gruppo democratici di sinistra-l'Ulivo).

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