Seduta n. 334 del 26/3/1998

Back Index Forward

Pag. 27


...
(Utilizzo dei NOCS nel corso del sequestro Soffiantini)

PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Mancuso n. 3-01585 (vedi l'allegato A - Interpellanze ed interrogazioni sezione 5).
Il sottosegretario di Stato per l'interno ha facoltà di rispondere.

GIANNICOLA SINISI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Presidente, onorevoli colleghi, con l'interrogazione iscritta all'ordine del giorno della seduta, l'onorevole Mancuso, unitamente ad altri deputati, pone al Governo specifici quesiti in ordine all'operazione di polizia predisposta per la liberazione dell'imprenditore Soffiantini, nella quale è stato ucciso l'ispettore dei NOCS Samuele Donatoni.
In particolare l'interrogante lamenta l'inadeguata organizzazione dei servizi di polizia con il coinvolgimento dei reparti speciali, asseritamente di intervento e non di investigazione, criticando il ruolo e le responsabilità avuti nella vicenda dal prefetto De Gennaro, del quale chiede la sostituzione.
Credo che sia il caso di sgombrare subito il campo da un equivoco comunicando a questa Assemblea l'esatta ricostruzione dei fatti che non è quella accreditata dagli organi di stampa ma quella fornita dagli organi ufficiali di polizia e giudiziari, che hanno avuto diretta responsabilità nella vicenda. Questi e solo questi sono i fatti dei quali il Governo dà oggi conto al Parlamento.
Non appena compiuto il sequestro, nella tarda serata del 17 giugno 1997, è stato subito avviato un piano di interventi finalizzato alla cattura dei responsabili e alla liberazione dell'ostaggio con il cospicuo impegno di uomini e mezzi e con il supporto di moderne tecnologie messe subito a disposizione dalla procura distrettuale antimafia presso il tribunale di Brescia che ha diretto constantemente le indagini e le operazioni di polizia giudiziaria.
Per agevolarne i compiti, con particolare riguardo al coordinamento investigativo ed operativo tra i vari organismi di polizia giudiziaria, è stato costituito, il 18 giugno, ponendolo alle dipendenze della stessa procura, il nucleo interforze previsto dall'articolo 8 della legge 15 marzo 1991, n. 82, di conversione del decreto-legge n. 8 dello stesso anno.
In attuazione delle direttive e del coordinamento investigativo disposti dall'autorità giudiziaria, una meticolosa attività di indagine è stata curata dagli organismi di polizia verificando le posizioni dei soggetti ritenuti implicati, anche in passato, in sequestri di persona e comunque di tutte le persone per le quali si è potuto anche solo ipotizzare un coinvolgimento nel sequestro.
Dopo precedenti tentativi di venire in contatto con emissari della banda, mediante operazioni di pagamento simulato


Pag. 28

del riscatto, la sera del 17 ottobre 1997 è stato attuato, su precise disposizioni della procura distrettuale antimafia presso il tribunale di Brescia, un piano per bloccare i rapitori nel preciso momento del versamento simulato del riscatto. Il piano prevedeva l'intervento del personale specializzato del NOCS e, in successione, la localizzazione del covo per liberare la vittima.
Erano anche previsti un dispositivo di controllo e posti di blocco in tutta l'area interessata, con il concorso della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri.
Il pagamento sarebbe dovuto avvenire, previo segnale convenuto, lungo il percorso da Sulmona a Vicovaro o viceversa: di fatto il segnale dei sequestratori è stato individuato lungo l'itinerario inverso.
Elementi del NOCS venivano in contatto con i malviventi che, aperto il fuoco, ferivano mortalmente l'ispettore della Polizia di Stato Samuele Donatoni. Sono stati immediati la reazione al fuoco e il soccorso al ferito, subito trasportato all'ospedale di Avezzano. Il personale delle forze di polizia accerchiava la zona interessata per l'azione di copertura già prevista. I malviventi tuttavia riuscivano a fuggire.
Le ricerche, con posti di blocco e notevole dispiegamento di personale e di mezzi e con l'utilizzazione di sofisticate attrezzature tecniche, proseguivano senza interruzione.
L'impiego operativo del personale del NOCS non costituisce una novità.
Il nucleo operativo centrale di sicurezza della polizia di Stato, più conosciuto con la sigla NOCS, fu costituito nel 1975 come nucleo anticommando per le attività ad alto rischio nelle azioni antiterrorismo, tra le quali va ricordata la liberazione del generale americano Dozier.
Con l'attenuarsi della minaccia terroristica interna, il reparto, senza perdere i suoi caratteri di nucleo speciale antiterrorismo, è stato sempre più impiegato in attività operative di supporto agli uffici investigativi anticrimine, con particolare riguardo alle ultime fasi di intervento nella lotta antisequestro e alla cattura di pericolosi malviventi in situazioni di particolare difficoltà e complessità operativa.
Operazioni come quella condotta il 17 ottobre 1997 contro gli emissari del sequestro Soffiantini sono state curate dal NOCS fin dal luglio del 1989, in occasione del sequestro e della successiva liberazione dell'industriale Dante Belardinelli.
L'ispettore Samuele Donatoni, nel NOCS dal 1987, valoroso protagonista in diverse operazioni di polizia ad alto rischio, era specializzato in tecniche alpinistiche e guida veloce ed aveva frequentato con il massimo profitto i corsi per il brevetto di istruttore di tiro: era inoltre un ottimo pugile costantemente allenato.
Oltre alle non comuni qualità professionali, era dotato di particolare senso di responsabilità e di attitudine al comando, ragion per cui era stato specificatamente scelto per il pericoloso e delicato ruolo da svolgere nel corso della delicata operazione di aggancio dei rapitori del signor Soffiantini.
Dopo il drammatico scontro a fuoco del 17 ottobre, vi è stato un secondo contatto con i rapitori nella notte tra il 18 ed il 19 successivi. Nei pressi dell'uscita Valle del Salto dell'autostrada Roma-L'Aquila personale della Polizia di Stato bloccava a bordo della propria autovettura Agostino Mastio, nei cui confronti erano stati acquisiti, nel frattempo, inequivoci elementi di diretto coinvolgimento nel sequestro.
È stato, quindi, possibile articolare un'ulteriore operazione per la cattura di altri componenti della banda che, a causa dei posti di blocco, avevano perso i contatti con il resto del gruppo. Tale operazione veniva svolta nella serata del 20 ottobre sull'autostrada Roma-L'Aquila, all'interno della galleria Pietrasecca, e si concludeva con la cattura dei pregiudicati Mario Moro, Osvaldo Broccoli e Giorgio Sergio. L'auto dei malviventi veniva appositamente tamponata da quella della polizia e circondata. Due degli occupanti riportavano fratture e contusioni a causa dell'impatto. Il terzo, Mario Moro, veniva colpito dagli agenti per neutralizzare il suo tentativo di reagire con le armi.

Pag. 29

Venivano tutti ricoverati all'ospedale di Avezzano in stato di fermo, per concorso nel sequestro del Soffiantini e nell'omicidio dell'ispettore Donatoni. Mario Moro è morto successivamente il 13 gennaio 1998.
Ulteriori fermi di polizia giudiziaria venivano effettuati dai carabinieri e dalla polizia nei giorni seguenti. Sono detenute per concorso nel sequestro di persona e per altri delitti connessi otto persone, mentre due, Attilio Cubeddu e Giovanni Farina, sono tuttora latitanti.
Nulla è stato tralasciato in alcuna occasione per valorizzare al massimo gli elementi investigativi acquisiti, per individuare il rifugio dei rapitori e per liberare l'ostaggio, concentrando le ricerche in zone specifiche. Tutte le attività di polizia inerenti al sequestro sono state dirette e coordinate dalla procura distrettuale antimafia presso il tribunale di Brescia. In particolare, l'intervento del 17 ottobre è stato organizzato, su precise disposizioni della magistratura, nell'ambito di un piano da questa ordinato che contemplava, oltre l'intervento dei NOCS, anche quella della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri.
Il Ministero dell'interno, tramite le proprie strutture, ha fornito al magistrato inquirente tutto il supporto operativo ed organizzativo possibile, collaborando al coordinamento di centinaia di unità impiegate nella ricerca.
Alla luce della ricostruzione dei fatti che è stata fornita, credo che gli stessi interroganti debbano convenire che nessun addebito può essere mosso all'operato delle forze dell'ordine, in particolare a quello del prefetto De Gennaro, all'epoca direttore centrale della polizia criminale. Anzi, è il caso di dare atto in questa sede dell'impegno profuso e della professionalità dimostrata nelle drammatiche circostanze del sequestro per conseguire la liberazione dell'imprenditore e la cattura dei responsabili, ovviamente nei limiti delle competenze proprie della funzione di polizia giudiziaria e del margine di imponderabilità di qualunque vicenda umana.
Ciò è quanto è realmente accaduto nella vicenda in questione, rispetto alla quale il Governo non ritiene di poter accettare i rilievi mossi nell'interrogazione.

PRESIDENTE. L'onorevole Mancuso ha facoltà di replicare per la sua interrogazione n. 3-01585.

FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, signor sottosegretario, nulla verrà meno, nella stima che con affetto a livello personale le porto, dalla franchezza di ciò che opporrò alle sue parole che, ove non mi sono apparse superflue, mi sono purtroppo apparse complici di una mistificazione. Ciò è evidente se, dopo quella sorta di storia civica che lei ha fatto dei reparti di cui si è interessato, ha mancato completamente di ricostruire la verità dei fatti, quali si sono effettivamente verificati, perché sono stati controllati dalla pubblica opinione.
Se così semplice e lineare è stato lo svolgimento dell'episodio, perché mai ho avuto bisogno di ben trenta solleciti perché questa risposta alfine arrivasse? Se tutto quanto - lei dice - era già documentato, stabilito, incontestabile e persino condivisibile da noi, perché tanta remora, perché tanto ritardo? E adesso, dopo aver ascoltato le sue parole, perché tante inesattezze?
Il nucleo dell'interrogazione aveva il riferimento alla cognizione dei fatti quali stabiliti dalla pubblica informazione nelle epoche in cui è stata presentata. Questa ricostruzione storicistica, e tuttavia nel complesso postuma ed inerte, non tiene conto del fatto che l'atto ispettivo moveva da un'esigenza, da un'emozione consolidatasi nel momento in cui i fatti andavano ancora verificandosi e svolgendosi fino al triste epilogo della morte di quella gente. E non è, come sembra adombrato nelle sue parole, un tentativo di addebitare l'inaddebitabile; è vero, lo svolgimento delle vicende umane appartiene all'alea della vita e quindi, così come lei non mi può ammettere - né il suo ministro può farlo - che la liberazione di Soffiantini sia


Pag. 30

stata un successo dello Stato, bensì - bisogna riconoscere - è stato un successo dell'economia privata, neppure posso passare sotto silenzio sulla base dell'inquadramento dei fatti quali noti, e da lei non smentiti sin dal momento in cui essi andavano svolgendosi, con riferimento precipuo alla persona del dottor De Gennaro.
Il suo intervento, pubblicizzato in un modo scandaloso fu reso noto dalla stampa come in coincidenza del già previsto successo dell'operazione, quello che si sarebbe concretato in quel tranello teso ai rapitori e del quale in definitiva l'intervento demiurgico di questo funzionario doveva rappresentare la sintesi e l'emblema. Così purtroppo non fu, ma resta il fatto della bieca strumentalizzazione, della pubblicizzazione data di questo preteso o forse effettivo intervento del prefetto De Gennaro come risultato di un piano preciso, che costui ha imposto al Governo al fine della propria scalata alla poltrona di capo della polizia. Non nuova operazione, se è vero che in altri tempi la spregiudicatezza del personaggio è giunta a far valere la propria iscrizione al FUAN, quando i tempi a lui sembravano a questo propizi, per perorare le proprie ragioni di ascesa. La stessa cosa dicasi quando egli, incompetentemente ed inopinatamente, intervenne per intimare, senza averne alcuna veste, un pentito a smentire una propria dichiarazione tutt'altro che favorevole ad un personaggio di quest'aula, pena la remissione del patrimonio, che accompagnava e accompagna ancora le sue avventure criminali. Questa è la ragione per la quale, inopinatamente, spunta in quella fatale serata il demiurgo De Gennaro: egli deve ancora accrescere la propria bisaccia napoleonica per scalare dove da una vita vuole scalare e dove probabilmente voi lo porterete, perché non c'è persona più indicata a servire un regime come quello che si sta consolidando in questo paese. Se ciò avverrà, onorevole Sinisi, le dovrebbero tornare alla mente le parole di Betti nel suo dramma Corruzione. Nel caso in cui De Gennaro divenisse, a furia di prodizioni e di inganni, capo della polizia, «la conchiglia di questo regime avrebbe il suo degno baco».

PRESIDENTE. Prego i colleghi di rispettare i termini regolamentari di intervento.

Back Index Forward