Seduta n. 326 del 16/3/1998

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Discussione del disegno di legge: S. 2515 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo europeo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee ed i loro Stati membri, che agiscono nel quadro dell'Unione europea, da una parte e la

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Repubblica di Slovenia, dall'altra, con tredici allegati, sei protocolli e atto finale e dichiarazioni, fatto a Lussemburgo il 10 giugno 1996 (approvato dal Senato) (4222)
(ore 17,53).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo europeo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee ed i loro Stati membri, che agiscono nel quadro dell'Unione europea, da una parte e la Repubblica di Slovenia, dall'altra, con tredici allegati, sei protocolli e atto finale e dichiarazioni, fatto a Lussemburgo il 10 giugno 1996.
Avverto che la III Commissione (Esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4222)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Il relatore per la maggioranza, onorevole Di Bisceglie, ha facoltà di svolgere la relazione.

ANTONIO DI BISCEGLIE, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la ratifica ed esecuzione dell'Accordo europeo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee ed i loro Stati membri, che agiscono nel quadro dell'Unione europea, e la Repubblica di Slovenia sono atti di grandissima importanza e rilevanza per il futuro dell'Unione europea e, in essa, dell'Italia.
Questo accordo ha un valore strategico, viste le stesse decisioni del Consiglio europeo di Lussemburgo del dicembre 1997, che ha definito l'allargamento dell'Unione europea in due direzioni: verso l'est e verso il sud. Con questo accordo si fa anche un passo avanti nel processo di quella integrazione che ha l'obiettivo di coinvolgere i Balcani in Europa e rappresenta per il nostro paese, ancor più per alcune parti di esso (mi riferisco al Friuli-Venezia Giulia ed a Trieste), una formidabile opportunità di crescita, di sviluppo, di un ruolo nuovo e dinamico, facendo definitivamente uscire quelle parti del paese cui facevo riferimento da una marginalità ed un relegamento perniciosi.
È un atto molto importante perché l'integrazione contribuisce in modo decisivo a superare conflitti, incomprensioni, incrostazioni, retaggi di vario tipo. Si sceglie insomma la strada dell'allargamento della casa europea e, in essa, le modalità per trovare soluzione ai problemi che i paesi che vi concorrono hanno tra di loro. Quello in esame, dunque, non è un normale accordo, anche perché, oltre al suo valore strategico, che cercavo di ricordare, esso è stato a lungo all'attenzione dei vari paesi europei proprio perché l'Italia ha assunto una posizione che ha evidenziato un contenzioso che era aperto tra noi e la Repubblica di Slovenia; contenzioso che, successivamente, ha trovato in questo accordo una risposta, come dirò anche in seguito.

Oggi francamente non mi pare proficuo o utile assumere posizioni che vorrebbero far leva ancora una volta su elementi recriminatori, che non mi pare possano portare da nessuna parte, né sono in grado di aprire prospettive, ma rischiano soltanto, se dovessero prevalere, di isolarci.
Ecco perché mi permetto di dire che quest'oggi ci troviamo ad esaminare un atto di politica estera con una relazione di maggioranza, qual è quella che cercherò di svolgere, ed una relazione di minoranza. Credo sia la prima volta che ciò accada, ma lo voglio sottolineare per mettere in evidenza, a mio modesto avviso, come questo sia un atto forte e, in qualche misura, mi permetto di rilevare, eccessivo; un atto che potrebbe perfino essere non utile, perché apparirebbe come se nel nostro paese vi fossero elementi di rottura e non elementi che vogliono andare verso una politica estera comune da parte delle forze presenti in Parlamento e,


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ancor più, essendo un accordo multilaterale, una politica estera di tutta l'Unione europea.
Ecco perché non mi pare fra l'altro utile anteporre questioni bilaterali ad un accordo multilaterale anche perché - cosa certamente non buona - questo rischierebbe di essere pericoloso, di isolarci e di non produrre risultati anche per quanti, vivendo nella Venezia Giulia, hanno dovuto subire la sua mutilazione in conseguenza di una sciagurata guerra e, con la mutilazione, sacrifici, drammi, sofferenze, abbandoni ed esodi.
Vorrei ricordare che dei 9.166 chilometri quadrati della Venezia Giulia annessi all'Italia dopo la prima guerra mondiale, 8.159 sono passati alla Repubblica federativa di Jugoslavia e poi alle nazioni succedute; di conseguenza, solo 1.700 sono rimasti all'Italia, al nostro paese.
Il lodo Solana, così denominato dal nome del primo ministro degli esteri spagnolo, all'epoca membro della presidenza dell'Unione europea, apre un percorso per la soluzione dei problemi e del contenzioso cui facevo prima riferimento. Alcuni atti sono stati adottati ed altri, anche da parte del nostro paese, devono seguire; mi riferisco, in particolare, al problema degli indennizzi agli esuli per i beni abbandonati. Vorrei altresì ricordare che il problema riguarda innanzitutto il nostro paese, se diamo uno sguardo corretto al modo in cui si sono dipanati gli avvenimenti nel dopoguerra.
Ecco perché ho citato tali riferimenti, ritenendo necessario un atteggiamento favorevole a questo accordo, che guarda avanti, comprendendo il passato e rappresentando per l'Italia qualcosa in più piuttosto che per gli altri paesi dell'Unione europea.
Più in dettaglio, voglio infine ricordare che l'accordo di associazione, previsto come strumento dall'articolo 238 del trattato di Roma, come modificato dal trattato di Maastricht, è caratterizzato dalla definizione di diritti ed obblighi reciproci, dalla previsione di azioni comuni, da procedure particolari e impegnative per i contraenti.
Sovente questo tipo di accordi si configura come una fase preliminare all'adesione ed il senso dell'accordo è proprio quello di impegnare lo Stato terzo ad adeguare gradualmente la propria legislazione, in una serie di campi, agli standard dell'Unione europea.
Vorrei sottolineare per precisione che le modalità di approvazione di questo tipo di accordo sono complesse, perché è chiaro che si tratta di portare a termine 17 procedure di ratifica, cioè tanti quanti sono stati i soggetti coinvolti. Dati i tempi di attuazione, è prassi che intervengano i cosiddetti accordi interinali, ossia forme di accordo che permettono comunque di facilitare l'avvio celere di scambi, attraverso l'inserimento di disposizioni commerciali al riguardo.
Prima ho ricordato che l'Unione europea guarda ad est ed in questo quadro il Consiglio europeo di Lussemburgo ha individuato un primo gruppo, nel dicembre dell'anno scorso, di candidati più vicini alle condizioni per l'adesione con i quali si intavoleranno, con la primavera dell'anno in corso, conferenze intergovernative bilaterali per l'inizio delle trattative.
In questo gruppo di primi candidati vi è la Slovenia, che ha fatto domanda di adesione il 10 giugno 1996, quando ha stipulato l'accordo di associazione che porta la stessa data, definendo l'accordo interinale il 1 luglio 1997.
Voglio altresì ricordare che parliamo di un paese nato dalle ceneri della disciolta Repubblica federativa jugoslava che il 25 giugno 1991 ha dichiarato la propria indipendenza, riconosciuta il 15 gennaio 1992.
Prima di questo accordo di associazione sono intervenuti altri accordi in altri campi. Dicevo all'inizio che questo è stato firmato solo il 10 giugno 1996, proprio perché la posizione assunta dal nostro paese a causa del contenzioso non aveva portato ad una definizione e ad una qualche ipotesi di soluzione di esso. Quali i motivi del contenzioso? Innanzitutto le questioni riferite alle proprietà immobiliari dei profughi giuliani e dalmati che

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una norma costituzionale della Repubblica di Slovenia impediva di riacquisire.
Questo era il punto che avevamo posto. Ora la situazione si è sbloccata con il lodo Solana, cioè con uno scambio di lettere che fanno parte integrante dell'accordo - per la precisione l'allegato 13 - con le quali la Slovenia si impegnava a modificare tali norme.
Il 14 luglio 1997 il Parlamento della Repubblica di Slovenia ha di fatto modificato l'articolo 68 della sua Costituzione, che prima permetteva l'acquisto di beni immobili solo ai cittadini sloveni. È fra l'altro all'attenzione degli uffici dell'Unione europea il decreto attuativo di questa modifica dell'articolo 68 della Costituzione slovena, che sarà varato nel momento in cui vi sarà la ratifica dell'accordo di associazione.
Voglio aggiungere che dopo il superamento del contenzioso si sono intensificati gli scambi e i rapporti di collaborazione tra l'Italia e la Slovenia, che credo oggi possano tranquillamente definirsi positivi. Né credo che una malintesa intervista dell'ambasciatore sloveno, che tra l'altro ha rettificato le affermazioni in essa contenute, possa in qualche modo scalfire questo dato di fatto.
Dico ancora che mi pare vi siano stati anche altri elementi particolarmente positivi: mi riferisco al trattato sui diritti delle minoranze, che riconosce piena unitarietà alla minoranza italiana in Slovenia e in Croazia, così come il Parlamento italiano è impegnato per la definizione di una legge di tutela della minoranza slovena in Italia.
Dicevo che vi è stato un rafforzamento degli scambi con la visita del Presidente del Consiglio dell'11 marzo del 1997 e del Presidente della Repubblica del 7 luglio 1997 e, recentemente, del 24 gennaio 1998. Alcuni progetti testimoniano poi l'intensificarsi dei rapporti: mi riferisco al progetto Gorizia-Nova Gorica, all'accordo nel campo della difesa e dei trasporti, particolarmente importanti per quella direttrice Trieste-Kiev che a noi sta tanto a cuore. Ma mi riferisco anche all'iniziativa diplomatica trilaterale che coinvolge, appunto, la Slovenia, l'Ungheria e l'Italia.
Ho voluto citare questo proprio per dimostrare lo stato dei rapporti tra il nostro paese e la Repubblica di Slovenia. Per venire brevemente al merito, voglio ricordare che l'accordo di associazione è composto da un preambolo, 132 articoli raccolti in 11 titoli, 13 allegati e 6 protocolli.
All'articolo 3 è previsto il regime associativo, cioè l'oggetto di questo accordo, che è tale per un periodo transitorio della durata massima di sei anni ed è diviso in due fasi successive che durano rispettivamente quattro e due anni.
Devo anche ricordare che l'articolo 110 istituisce il consiglio di associazione, cioè l'organismo incaricato di sorvegliare sull'attuazione dell'accordo medesimo.
Ricordo molto brevemente che gli articoli 2 e 3 del titolo primo riguardano gli aspetti generali riferiti ai principi democratici, di cooperazione e di integrazione.
Il titolo II (articoli 4-7) riguarda il dialogo politico per avvicinare le parti sul terreno economico, della politica estera e della sicurezza.
Il titolo III (articoli 8-37) è riferito alla libera circolazione delle merci e definisce una zona di libero scambio, per un periodo di 6 anni, con la rimozione, dunque, di dazi o contingentamenti e la graduale armonizzazione dei regimi tariffari e delle legislazioni fiscali. Particolarmente importante è l'articolo 30 che definisce alcune norme anti-dumping.
Il titolo IV (articoli 38-61) prevede la libera circolazione dei lavoratori e l'armonizzazione dei sistemi di sicurezza sociale, così come viene riconosciuto il diritto allo stabilimento di imprese ai cittadini delle parti nei territori dell'altra parte.
Il titolo V (articoli 62-72) riguarda il tema del movimento dei capitali e della libera concorrenza. È in questo ambito che si colloca l'articolo 64 che, al comma 2, specifica la possibilità per chi abbia risieduto per tre anni nella Repubblica di Slovenia di acquisire proprietà a decorrere dall'entrata in vigore dell'accordo di

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associazione; si potrebbe dire che si tratta di una sorta di corsia preferenziale per quanto riguarda i nostri cittadini.
Il titolo VI (articoli 73-97) afferisce in particolare alla cooperazione economica e all'impatto ambientale, mentre il titolo VII detta norme per la prevenzione di attività illecite.
Il titolo VIII prevede forme di cooperazione nel campo dell'attività culturale, mentre il titolo IX...

PRESIDENTE. Onorevole relatore, la prego di concludere.

ANTONIO DI BISCEGLIE, Relatore per la maggioranza. Concludo, Presidente.
Il titolo X recepisce le previste attività di cooperazione e l'XI riguarda gli aspetti istituzionali, laddove è previsto il consiglio di associazione ed il comitato parlamentare di associazione.
Il quadro che ho cercato di esporre, per certi versi anche dilungandomi, evidenzia lo spessore di questo atto e l'importanza che esso riveste per il nostro paese, rendendolo protagonista della politica dell'Unione europea, nonché la sua utilità, anche per risolvere e superare questioni dolorose che hanno coinvolto ed informato l'identità di una parte importante del nostro paese, e la valenza culturale per la costruzione di quell'Europa delle mescolanze di cui parla un grande intellettuale delle nostre parti.
Sono queste ragioni per le quali confido in un riscontro favorevole dell'Assemblea rispetto al provvedimento.

FABIO CALZAVARA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO CALZAVARA. Poco fa mi è stato molto cortesemente comunicato che ho soltanto cinque minuti a disposizione per intervenire. Il gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania ha avuto, in totale, 18 minuti a disposizione per la discussione - non, quindi, per le dichiarazioni di voto o per la enunciazione di principi - relativa a ben 26 provvedimenti. Sottolineo la mancanza di rispetto nei confronti del Parlamento, della Commissione e dei relatori. Questa non è serietà, è mancanza di democrazia! Come è possibile, in questa situazione, imporre, come voleva fare il Presidente, l'approvazione della ratifica del trattato di Amsterdam o quella dell'accordo di cui stiamo discutendo, quando il mio gruppo avrebbe a disposizione soltanto 20 o 30 secondi per ciascun provvedimento? Si tratta di un fatto inconcepibile ed antidemocratico: è una vergogna!

PRESIDENTE. Nessuno vuole imporre nulla. Alla lega nord per l'indipendenza della Padania spettano 21 minuti, così come è stato stabilito da tutti. Il tempo a disposizione dei gruppi è ripartito secondo criteri aritmetici. Lei ha già utilizzato 16 minuti e ne ha a disposizione ancora 5. Ovviamente, questo non dipende dalla Presidenza né da nessun altro, non trattandosi di un atto di illegalità o di illiberalità. Così è e vale per tutti.

FABIO CALZAVARA. È inaudito! Siamo il quarto gruppo del Parlamento!

PRESIDENTE. Infatti, come quarto gruppo sotto il profilo della consistenza, vi sono stati assegnati 21 minuti, a differenza, ad esempio, dei popolari che ne hanno 20.

FABIO CALZAVARA. Ho voluto sottolineare questo aspetto non per me o per la lega nord, ma per tutti i gruppi. Si tratta di una questione di principio!

PRESIDENTE. Così è stato stabilito. Questa è una norma...

FABIO CALZAVARA. È antidemocratico che non si possa discutere di problemi importanti e che si impongano limiti ristrettissimi al dibattito su questioni fondamentali!

PRESIDENTE. Ma i tempi a disposizione di ciascun gruppo sono stabiliti in


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sede di Conferenza dei presidenti di gruppo! Parli con il suo capogruppo, non con altri!

FABIO CALZAVARA. Ho visto come il Presidente tratta i capigruppo!

ROBERTO MENIA, Relatore di minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO MENIA, Relatore di minoranza. Presidente, prima di svolgere il mio intervento in quanto relatore di minoranza (la prego, pertanto, di non computare lo svolgimento di queste mie brevi considerazioni ai fini del tempo complessivo a mia disposizione), vorrei un chiarimento in ordine a questa vicenda. Non credo che l'accordo di associazione tra la Slovenia e l'Unione europea possa essere considerato alla stessa stregua degli accordi che riguardano, ad esempio, le emissioni di zolfo. Se così fosse, infatti, mi parrebbe una cosa folle. Chiedo pertanto, anzitutto di capire quanti minuti ho a mia disposizione, tenendo presente che, poiché presento una relazione di minoranza che non vorrei fosse buttata tra le cartacce, le chiederò eventualmente di usufruire del tempo concesso al gruppo in sede di discussione generale.

PRESIDENTE. Esiste da parte mia - ed è giusto che sia così - una tolleranza nei confronti dei tempi attribuiti al relatore di minoranza, tuttavia lei non può utilizzare il tempo destinato al suo gruppo. Al relatore per la maggioranza spettano 20 minuti ed a quelli di minoranza dovrebbero spettarne 10: tuttavia, se lei ne impiegherà 15, non la richiamerò, onorevole Menia.
Ha facoltà di parlare, onorevole Menia.

ROBERTO MENIA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, so di stabilire un precedente insolito, quello di una relazione di minoranza in ordine alla ratifica di un trattato, ma desidero che le considerazioni che esporrò rimangano, quasi a futura memoria, nei documenti di un Parlamento che, invero, è disattento verso questioni che toccano da vicino i destini e la sensibilità degli italiani del confine orientale. Così è stato più volte, purtroppo: testimonianza emblematica ne furono la leggerezza ed il pressappochismo con cui Governo prima e Parlamento poi considerarono il tristemente famoso Trattato di Osimo del 1975. Anche oggi ho l'impressione che i rapporti tra Italia e Slovenia e la questione della sua associazione all'Unione europea siano trattati con la stessa attenzione che viene riservata - come ricordavo prima - per esempio alla convenzione sulla riduzione delle emissioni di zolfo. Non è la stessa cosa, ma, tant'è.
Approda dunque oggi alla Camera, dopo aver passato l'esame del Senato con il solo voto contrario di alleanza nazionale, il disegno di legge di ratifica del trattato di associazione della Slovenia all'Unione europea. A norma dell'articolo 238 del Trattato istitutivo della Comunità europea, come ratificato dal Trattato di Maastricht sull'Unione europea, si tratta dunque di un accordo che «istituisce un'associazione caratterizzata da diritti ed obblighi reciproci, da azioni in comune e procedure particolari». È, di fatto, lo stadio precedente a quello della piena adesione alla comunità e nei contenuti mette in opera una serie di strumenti di cooperazione economica o comunque tesi a superare gli ostacoli agli scambi e presenta maggiori formalità rispetto ad un semplice accordo commerciale. Necessita, dunque, della ratifica, oltre che degli organi dell'Unione europea, anche di tutti gli Stati membri, primo fra tutti, in questo caso, l'Italia.
È opportuno allora richiamare, almeno in parte, la lunga e travagliata storia dell'iter di questa associazione, che in altri tempi e da altri governi fu giustamente contrastata o, meglio, subordinata al soddisfacimento di legittimi interessi nazionali, che oggi invece vengono lasciati da parte: e non solo di interessi nazionali si tratta, ma anche del rispetto di diritti umani, il diritto di chi è stato cacciato


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dalla sua terra e dalla sua casa di tornare, se lo vuole, in quella terra ed in quella casa e di vedersele restituire.
Come è noto, alla fine della seconda guerra mondiale 350 mila italiani dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia furono costretti a lasciare queste terre a seguito delle foibe e del terrore comunista. Si tratta di una storia lacerata, in gran parte ignorata in questi cinquant'anni, su cui solo ora si apre uno squarcio di luce e verità. Anche l'incontro di sabato scorso a Trieste del Presidente della Camera Violante e del presidente di alleanza nazionale Fini può essere stato utile a squarciare questo velo.
Per quanto riguarda, però, specificamente la questione dei beni degli esuli dell'Istria, che vengono definiti «abbandonati» (ma sarebbe più corretto dire «rapinati» dalla Iugoslavia), è bene specificare che quantitativamente la questione interessa solo circa il 15 per cento degli stessi, in quanto il restante 85 per cento ricade in territori che oggi sono parte della Repubblica di Croazia. È intuitivo, dunque, come la chiusura con la Slovenia della questione dei beni abbandonati pregiudicherà senz'altro irrimediabilmente la stessa questione, più vasta, che riguarda la Croazia.
È opportuno specificare anche come la questione dei beni abbandonati abbia profili in parte diversi e comunque più recenti proprio in Slovenia. L'esodo degli italiani di Capodistria, di Isola e di Pirano (cioè la parte settentrionale della ex zona B del mai nato territorio libero di Trieste) avvenne infatti in gran parte non dopo il 1945, ma dopo il 1954, quando con il memorandum di Londra del 5 ottobre si sancì il definitivo ritorno di Trieste all'Italia (mentre fino ad allora era rimasta sotto la «tutela» del GMA, il governo militare alleato), mentre la zona B rimase sotto l'amministrazione jugoslava. Allora e solo allora gli italiani se ne andarono da quelle terre, presumendo - purtroppo a ragione - quello che accadde vent'anni dopo, il 10 novembre 1975, quando l'Italia, con il Trattato di Osimo, rinunciò definitivamente alla zona B, regalando alla Jugoslavia di Tito 629 chilometri quadrati di terra italiana. È giusto ricordare, allora, Capodistria, perla di venezianità e di italianità, che fu la mitica Aegida, che fu Capris - da cui la capra, simbolo dell'Istria -, che fu Giustinopoli - cantata dal Carducci nel suo «Saluto italico» -, con i suoi leoni di san Marco ed il suo Duomo veneziano, la sua loggia gotico-veneziana, il suo palazzo del Pretorio, il suo figlio più illustre, Nazario Sauro.
Come è bello ricordare la Pirano di Giuseppe Tartini ed il suo Trillo del diavolo la sua rivolta contro il Governo austriaco, quando nel 1894 le si voleva imporre il bilinguismo italiano-croato (all'epoca gli sloveni non c'erano ancora); le donne stesero un velo nero a lutto su ogni finestra e da ogni tetto si gettavano tegole e camini. Gli austriaci portarono 200 soldati e gendarmi ed una cannoniera davanti al porto, ma dovettero arrendersi all'italianità di Pirano.
L'esodo ha spopolato queste cittadine dagli italiani: oggi in gran parte le abita altra gente venuta da lontano, forse i più giovani nemmeno sanno che quelle case e quelle pietre erano d'italiani (esuli).
La questione dei beni degli esuli istriani, cacciati e depredati dalla Jugoslavia comunista, fu posta sul tappeto dal Governo Berlusconi, in particolare dall'allora ministro degli affari esteri, Martino, unitamente a quella generale del contrasto della legislazione slovena, che negava agli stranieri la possibilità di possedere beni immobili, con i principi europei.
Così il ministro Martino si rivolgeva alla Commissione affari esteri della Camera il 6 ottobre 1994: «Il 27 settembre scorso ho potuto incontrare a New York il mio collega sloveno Peterle. Con lui abbiamo convenuto che fosse nell'interesse di entrambi i paesi ridare slancio al negoziato, con un impegno politico che mettesse a fuoco il contenzioso nel quadro della cooperazione complessiva bilaterale, del contributo al rafforzamento ed alla stabilità dell'area della ex Iugoslavia e della costituzione dell'Europa. Per parte mia sono stato mosso dal convincimento

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che con un'impostazione del genere risulterà facilitato il soddisfacimento delle aspettative degli esuli, cui il Governo si sente moralmente impegnato.
Come ho accennato prima» - affermava ancora - «le questioni aperte non sono trascurabili e si caricano ovviamente di notevoli emozioni: esse riguardano in primo luogo la restituzione di immobili ancora in mano pubblica agli ex proprietari, che facevano parte della comunità italiana autoctona, o ai loro discendenti aventi diritto. Non è infatti contestabile l'aspirazione di costoro a giovarsi del passaggio della Slovenia al libero mercato. Per facilitare la soluzione di questo problema, abbiamo suggerito al Governo sloveno di soprassedere al pagamento della propria quota di indennizzi dovuti all'Italia dalla Federazione jugoslava ed ereditati dallo Stato sloveno assieme alla Croazia. Il valore degli immobili restituiti verrebbe infatti defalcato dall'ammontare finanziario che ci spetta. Con lo scambio di note del 31 luglio 1992, da parte slovena, del resto, erano state riconosciute le mutate circostanze politiche e sociali e la loro incidenza sul problema degli indennizzi, regolato in ben altro contesto storico con la Jugoslavia nel 1983.
La recente iniziativa slovena di aprire un conto bancario in Lussemburgo - con l'intento di procedere alla liquidazione di quanto ritenuto di sua competenza - non è in sintonia con il meccanismo sopra indicato, oltre a contravvenire alcuni principi di diritto che presuppongono per simili operazioni l'accordo di tutte le parti, Croazia compresa.
In merito all'accesso agli stranieri, l'annunciata riforma costituzionale slovena dovrebbe sopperire a questa esigenza, a mio avviso prioritaria, anche se va precisata nei tempi di attuazione e nell'ambito geografico, oltre che circondata di certezze di andare a buon fine».
La posizione di quel Governo, decisa ad affermare un principio di giustizia, diritti umani e dignità nazionale, fu dunque improntata ad una certa intransigenza, tanto che si parlò di «veto» italiano all'associazione della Slovenia all'Unione europea. È opportuno a questo punto precisare che nel novembre 1994, da fonte slovena, si venne a conoscenza che il censimento effettuato da Lubiana sui beni «nazionalizzati» agli italiani esuli dava il risultato di ben 7.172 edifici espropriati nei soli comuni istriani della lingua di terra oggi sotto sovranità slovena.
Il «veto» di Martino, passato anche attraverso le turbolenze dell'accordo-non accordo di Aquileia, fu parzialmente rimosso dal successivo Governo, quello presieduto dall'onorevole Dini, che con il ministro degli affari esteri, Susanna Agnelli, tenne un atteggiamento sì di apertura, ma con tutte le cautele del caso. Anzi, la difesa dei diritti nazionali e degli esuli fu tenuta in particolare considerazione, tanto che lo stesso ministro Agnelli ebbe ad affermare, nella seduta del 7 marzo 1995: «Ribadisco che tra i problemi del contenzioso abbiamo dato la massima priorità alla questione dei beni immobili già di proprietà di italiani in terra slovena. Non sfugge al Governo l'elevato valore morale della richiesta degli esuli istriani di potere recuperare nel territorio della nuova Slovenia quel radicamento che i fatti della storia hanno dolorosamente interrotto. Il soddisfacimento di questa legittima aspettativa resta la nostra preoccupazione prioritaria, specie in questo momento nel quale il Governo di Lubiana persegue l'obiettivo del progressivo avvicinamento della Slovenia all'Europa».
In particolare, il ministro Agnelli comunicava che «per la prima volta nei nostri negoziati bilaterali con la Slovenia, il Governo ed il Parlamento di Lubiana hanno avallato un testo (comunicato congiunto del 6 marzo 1995) da cui emerge chiaramente che l'opzione discussa in materia di mercato immobiliare è quella che, analogamente a quanto fatto a seguito dell'accordo di Roma del 1983, il Governo sloveno metta a disposizione degli ex proprietari, attualmente cittadini italiani, dei loro discendenti e successori, i loro immobili tuttora disponibili» e sottolineava inoltre come «per parte nostra

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abbiamo sempre fatto presente che le questioni che abbiamo sollevato con la Slovenia non si esauriscono nella dimensione bilaterale, ma investano un ambito di diritti umani e di trattamento delle minoranze codificato nel quadro europeo (...) Sarà sempre possibile per il Governo italiano riconsiderare la propria posizione a cominciare dalla firma dell'accordo di associazione nell'eventualità che si manifesti scarsa apertura da parte della Slovenia sul piano bilaterale».
Nel frattempo, è opportuno rammentarlo, mentre si discuteva della restituzione dei beni agli esuli, da parte slovena si ponevano in essere tutte le azioni utili a precostituire il fatto compiuto dell'impossibilità di procedere eventualmente alla stessa.
Qui mi sia consentita un'autocitazione, quando, nella stessa seduta del 7 marzo 1995, mi rivolgevo al ministro Agnelli, dicendo: «Lei sa che svolgendo un censimento dei beni (...) gli sloveni hanno accertato che tre anni fa - ossia all'epoca del nostro riconoscimento gratuito - le proprietà disponibili (i beni immobili) erano oltre settemila? Ma, nel volgere di tre anni, hanno venduto praticamente tutto! Un mese fa costoro hanno chiesto: 'Italiani, perché vi accalorate per 400 case?'. Signor ministro, si è accorta che nell'ultimo mese queste case sono diventate 300? E il motivo del contendere cesserà presto, perché sono truffaldini». Due mesi dopo, il 17 maggio 1995, citavo presso la stessa Commissione il giornale in lingua italiana stampato a Fiume, La voce del popolo: «Nuovo raffreddamento nei rapporti tra Slovenia e Italia. I fiduciari governativi che si sono incontrati due settimane fa a Roma non sono riusciti a trovare un'intesa sulla lista degli immobili ancora disponibili. Dei 300 di cui si parlava all'epoca del Governo Berlusconi ora sembra ne siano rimasti disponibili soltanto 70». E poi, La Stampa di Torino: «La Slovenia conferma la negoziazione relativa a tale restituzione, si tratta di una settantina di immobili, ma precisa che il tutto deve essere interpretato come gesto umanitario, al quale, come affermato nei giorni scorsi dallo stesso ministro degli esteri Zoran Thaler, Lubiana attribuisce un valore di reciprocità». La reciprocità andava intesa nella richiesta di fornire alla minoranza slovena in Friuli-Venezia Giulia una ventina di edifici e nella richiesta di una legge di tutela globale per la stessa, che prevede anche un impensabile, irrealizzabile ed offensivo bilinguismo italo-sloveno a Trieste e Gorizia. È da ricordare anche come all'atto del riconoscimento italiano - chissà perché gratuito e a cuor leggero - della Slovenia fu stipulato un memorandum d'intesa sulle minoranze italo-sloveno-croate, del 15 gennaio 1992, che la Slovenia non ha voluto firmare, pur impegnandosi a rispettarne i contenuti con una lettera dell'allora ministro degli esteri Rupel.
Ci si incamminava insomma verso una strada di non ritorno, ove, da una parte, stava l'arroganza tipica dei balcanici del Governo di Lubiana e, dall'altra, la sostanziale arrendevolezza di Roma, anche perché il «piano Solana», del cosiddetto «doppio binario», presentato nel 1995 dalla Presidenza spagnola dell'Unione europea (soluzione separata, pur se concorrente, degli aspetti plurilaterali e bilaterali, ovvero: da una parte, la rimozione delle discriminazioni di trattamento a carico di cittadini europei in materia di acquisto di beni immobiliari e conformazione agli standard delle legislazioni europee in materia e, dall'altra, una soluzione soddisfacente della questione dei beni degli esuli italiani) si rivelava una truffa ai danni degli esuli istriani e dei diritti di ordine morale, storico, nazionale connessi alla questione.
All'indomani delle elezioni politiche dell'aprile 1996 e dell'insediamento del Governo dell'Ulivo, prima ancora che esso ricevesse la fiducia dalla Camera, il sottosegretario agli esteri Fassino si recava a Lubiana per dare il «disco verde» all'associazione della Slovenia all'Unione europea. Il 10 giugno si è giunti alla firma dell'accordo di associazione tra la Slovenia e l'Unione europea, ritenendo l'Italia sbloccata la questione delle proprietà degli esuli italiani dell'Istria dalla scambio di

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lettere, divenuto parte integrante dell'accordo (allegato XIII), con il quale la Slovenia si impegnava a modificare la norma costituzionale che impediva l'acquisto di beni immobili agli stranieri. La modifica è effettivamente avvenuta con legge costituzionale votata il 14 luglio 1997 e riserva una corsia preferenziale per i cittadini membri dell'Unione europea che possano dimostrare di aver risieduto nell'attuale territorio della Repubblica di Slovenia per un periodo di almeno tre anni e dunque si applica de facto agli esuli italiani dall'Istria.
Il Governo italiano ha sbandierato come grande vittoria questo compromesso da due lire, sostenendo in particolare due aspetti, quello della prelazione come unico mezzo possibile per gli italiani di riavere le loro proprietà e quello della promessa di un indennizzo equo, definitivo e a prezzo di mercato che gli esuli potranno ricevere per intercessione del Governo e della maggioranza dell'Ulivo.
In pratica, invece, sotto il primo profilo, il Governo non ha fatto altro che sancire il principio, antigiuridico e paradossale, che il derubato può - con diritto di prelazione - ricomprare dal ladro quanto gli è stato indebitamente sottratto. La questione è ancora più assurda se si pensa che la Slovenia ha già provveduto con legge a reintegrare nel diritto di proprietà coloro che ne erano stati spogliati dallo Stato comunista, riservando però questo trattamento ai cittadini sloveni ex iugoslavi. La legge slovena del 20 novembre 1991 sulla denazionalizzazione prevede infatti la restituzione del patrimonio confiscato dallo Stato secondo il seguente ordine di priorità: restitutio in integrum, oppure - ove questa non fosse possibile - messa a disposizione di un bene di pari qualità e pari valore da parte dello Stato, oppure in ultima istanza indennizzo a prezzo di mercato. L'articolo 3 della stessa legge indica però negli aventi diritto solo «coloro che al momento della nazionalizzazione erano cittadini iugoslavi».
Ecco dunque la prova palese che da parte della nostra diplomazia sarebbe stato agevole pretendere l'applicazione di tali norme anche per i cittadini italiani sul presupposto di principio - civile ed europeo -della non discriminazione su base etnica o nazionale, che invece - evidentemente - tuttora sussiste in Slovenia.
Sotto il secondo profilo, invece, bisogna smentire quanto affermano il sottosegretario Fassino e la compagine di maggioranza.
Proprio l'onorevole Fassino, in occasione di un pubblico dibattito a Trieste con le associazioni degli esuli, presentò formalmente quella che veniva presentata come l'alternativa sua e del Governo alla restituzione dei beni da parte slovena.
Sarà il Governo di Roma - egli assicurava - a provvedere a dare giustizia agli esuli, corrispondendo loro quell'indennizzo «equo e definitivo» già previsto dalla proposta di legge, firmata a suo tempo dallo stesso Fassino e attualmente sottoscritta da vari esponenti dell'Ulivo, tra questi il senatore triestino Camerini.
A chi gli faceva osservare: «Ci vogliono 5 mila miliardi!» l'onorevole Fassino rispondeva: «Quando si vuole, i soldi si trovano». In realtà, nello scorso mese di giugno, in sede di Commissione bilancio della Camera, il rappresentante del Governo dichiarava che la disponibilità economica per gli indennizzi era di zero lire.
È singolare notare che quanto verrà poi posto in bilancio corrisponde al cambio della cifra che la Slovenia ha depositato sul famoso conto lussemburghese, di cui si parlava prima, e cioè 23 milioni di dollari, che è la cifra che Lubiana si accolla del debito di 110 milioni che la Iugoslavia non aveva mai pagato all'Italia.
Da ultimo, il ministro degli esteri Dini ha dichiarato di essere favorevole all'acquisizione dei soldi depositati, a Lubiana, in questo conto.
Tutto questo, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, ci lascia perplessi. È vero che da ultimo la collaborazione tra i due paesi si è intensificata: l'Italia ha avviato rapporti di stretta cooperazione e di integrazione commerciale con la Slovenia; il Presidente della Repubblica Scàlfaro, in visita ufficiale a

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Lubiana, ha sostenuto la candidatura della Slovenia all'ingresso nell'alleanza atlantica. Nei colloqui italo-sloveni si sono registrati progressi sulla questione delle minoranze (in particolare dopo la visita di Scàlfaro, gli italiani d'Isola del 24 gennaio 1998); da parte slovena si è accennato ad un'unica comunità italiana in Slovenia e Croazia, venendo così incontro alle richieste della minoranza italiana nei due paesi di istituzioni comuni di rappresentanza.
Interessante è quanto si fa in termini di cooperazione transfrontaliera, ad esempio con il progetto prima citato di Gorizia-Nova Gorica, volto alla riconversione economica del confine italo-sloveno, anche per ammortizzare i possibili effetti negativi dell'ingresso sloveno nell'Unione europea.
Di recente è stato firmato un accordo di collaborazione nel campo della difesa (anche di questo si è fatto cenno nella relazione di maggioranza).
Altri accordi sono stati recentemente firmati dai due paesi e riguardano i trasporti, la creazione del corridoio intermodale Trieste-Lubiana-Budapest-Kiev (il famoso corridoio n. 5), la sistemazione delle sepolture di guerra e una convenzione in materia di sicurezza sociale.
L'Italia ha poi anche lanciato una strategia di dialogo trilaterale con la Slovenia e l'Ungheria, che si sostanzia in una cooperazione rafforzata tra i tre paesi, orientata alla stabilità e sicurezza dell'area nonché a porre le basi per un futuro sviluppo comune.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole collega, perché siamo molto al di là...!

ROBERTO MENIA, Relatore di minoranza. In questo panorama, a testimonianza della contraddittorietà della situazione, si è inserita, da ultimo, quell'incredibile intervista con l'ambasciatore sloveno in Italia, nella quale l'ambasciatore ha affermato che non esistono le condizioni per una riappacificazione tra l'Italia e la Slovenia, essendoci nel suo paese ancora un «forte clima anti-italiano»; ha sostenuto inoltre che «le foibe non sono mai state un fenomeno sloveno ed anzi i primi a far uso delle foibe furono i militari italiani» ed ancora, in merito agli italiani esuli dall'Istria, che «coloro che si definiscono esuli in realtà erano contadini che fuggivano dalla povertà».
In conclusione, penso di aver chiarito quali siano le circostanze oggettive che, a nostro modo di vedere, ci inducono a porci in senso negativo nei confronti della ratifica dell'associazione della Slovenia all'Unione europea.
Abbiamo chiarito che non si tratta di un atteggiamento preconcetto, anzi è certo che, guardando al futuro, avere la Slovenia nell'Unione europea vuol dire evitare alle nostre frontiere orientali un tappo, un blocco per i nostri commerci verso l'Europa centro-orientale. Il riferimento è proprio a Trieste e alla Regione Friuli-Venezia Giulia: se da una parte, nell'immediato, riceveranno e già stanno risentendo di taluni effetti negativi, dall'altro saranno i principali beneficiari di tutti gli aspetti in positivo che verranno a prodursi nell'ambito della nuova Europa.
Peraltro non potremo negare l'importanza dei contenuti stessi dell'accordo nell'ottica di un progressivo processo di integrazione politico-economica della Slovenia nell'Unione europea.
Ricordo che esistono degli impegni assunti nell'ambito del CSCE; sto parlando degli accordi GATT nonché degli obiettivi comuni, soprattutto rispetto alla cooperazione economica.
Ci si occupa del dialogo politico volto ad avvicinare le posizioni delle parti tanto nel settore economico che nel campo della politica estera. Deve inoltre richiamarsi, come positivo, l'aspetto relativo alla libera circolazione delle merci o alla rimozione dei dazi e dei contingentamenti, nonché la graduale armonizzazione dei regimi tariffari e delle legislazioni fiscali, anche se la liberalizzazione sarà più rapida da parte della Comunità che da parte slovena per tenere conto, almeno in parte, dei diversi livelli di sviluppo.
L'ultima riflessione che svolgo è di ordine morale prima ancora che politico. È giusto che questioni inerenti al riconoscimento


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dei diritti umani, prima ancora che di giustizia, di riparazione di grandi tragedie della storia pagate con il sangue e la perdita di case, terre, cimiteri ed identità siano subordinate agli interessi dell'economia? Ritengo in fondo di no. Per noi un fatto oggettivo è fondamentale: la tutela della memoria storica e della dignità nazionale, non solo degli italiani dell'Istria, ma anche degli italiani tutti (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

PIERO FASSINO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, ringrazio il relatore per la maggioranza, le cui considerazioni condivido in larga misura, e ringrazio anche il relatore di minoranza, onorevole Menia. Ritengo che giustamente sia l'onorevole Di Bisceglie sia l'onorevole Menia abbiano messo in evidenza l'importanza di questa ratifica e di questo accordo, che non può essere accomunato a molti di quelli che abbiamo esaminato oggi, che sono di più ordinaria amministrazione.
Vorrei interloquire soffermandomi su quanto ho ascoltato, proprio perché non credo che l'attività di ratifica sia burocratica. Vorrei pertanto iniziare il mio intervento chiedendo all'onorevole Menia: tutti i rapporti positivi che l'onorevole Menia, con un'onestà intellettuale di cui lo ringrazio, ha riconosciuto essere intervenuti tra Italia e Slovenia avrebbero luogo se aprissimo un fronte permanentemente conflittuale con la Slovenia? Infatti, tra i due aspetti vi è una relazione. Non si può ritenere giusto stabilire una stretta cooperazione economica e militare, battersi per l'ingresso della Slovenia nella NATO, reputare giusto e corrispondente ai nostri interessi allargare l'Unione europea ai paesi dell'Europa centrale, giudicare un bene la stipula di un accordo sulla sepoltura dei caduti di guerra né si può sottoscrivere una serie di altri accordi e poi sostenere che si debba rimettere in causa il nostro rapporto con la Slovenia. Tra le due questioni non vi è rapporto ed esse non stanno insieme.
La stessa minoranza italiana che vive oggi in Slovenia, che sta a cuore al Governo come al partito di alleanza nazionale, non sarebbe maggiormente e meglio tutelata se tra Italia e Slovenia ci fosse un clima di conflitto e di contrapposizione, al contrario.

MIRKO TREMAGLIA. È l'ambasciatore che dice che c'è un clima di conflitto!

PIERO FASSINO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Lasciamo perdere la posizione dell'ambasciatore, il quale ha smentito talune dichiarazioni, sostenendo che esse non corrisponderebbero al suo pensiero, del che devo prendere atto. Ad ogni modo, l'intervista sbagliata non esime dal considerare quanto sto dicendo. Quella intervista, peraltro smentita (che, quand'anche non fosse stata smentita, sarebbe comunque sbagliata ed inopportuna - il mio giudizio al riguardo è chiarissimo -) non ha niente a che vedere con il ragionamento che sto svolgendo e con il dibattito fra di noi.
L'accordo di associazione con la Slovenia è un atto significativo ed importante proprio per la rilevanza che ha questo paese per l'Italia. Tale accordo è tanto più importante per una ragione, che non credo debba essere omessa. L'accordo di associazione non è un atto che riguarda le relazioni bilaterali tra Italia e Slovenia, perché ci stiamo occupando di un accordo di associazione tra la Slovenia e l'Unione europea. Credo, pertanto, debba essere sottolineata l'importanza politica di un accordo di associazione con un paese che, tra l'altro, nel frattempo non solo ha posto la domanda di adesione ma è stato addirittura riconosciuto dalla Commissione tra i paesi che hanno accumulato maggiori requisiti per aprire il negoziato per l'adesione. Come tutti sappiamo, il 30 ed il 31 marzo prossimi, a Bruxelles, si avvieranno i negoziati per l'allargamento dell'Unione europea, avviando prima, il 30 marzo, la riunione di inquadramento con gli 11 paesi candidati e il 31 marzo


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l'apertura dei negoziati veri e propri con il primo gruppo di 6 paesi su cui la Commissione ha espresso un avis positivo; tra questi 6 paesi c'è la Slovenia.
Quindi ratificare il trattato di associazione ha un valore che supera l'aspetto bilaterale dei rapporti per sostenere e rafforzare la strategia di allargamento dell'Unione europea in una fase in cui tale strategia decolla verso il paese che riteniamo essenziale integrare nell'istituzione euroatlantica, sia per favorirne ulteriormente lo sviluppo ed il consolidamento sia per concorrere alla stabilità della regione. Sottolineo questo aspetto perché non è utile ricondurre la ratifica del trattato soltanto alla bilateralità delle relazioni poiché esso presenta un carattere di multilateralità di rapporti che rafforza il processo di allargamento dell'Unione europea.
Non sfugge a nessuno che si tratta di un paese confinante e che alle nostre spalle vi è una storia complessa e travagliata (richiamata dai colleghi Di Bisceglie e Menia), per cui la ratifica del trattato assume un significato particolare per l'Italia e reciprocamente anche per la Slovenia.
In questi due anni ci siamo mossi con l'obiettivo di favorire la più ampia integrazione della Slovenia nelle istituzioni euroatlantiche, considerando che tale integrazione è il contesto più favorevole al massimo sviluppo delle relazioni bilaterali, al superamento delle divisioni e delle contrapposizioni del passato e alla risoluzione dei residui contenziosi che ci derivano dall'eredità della storia. Proprio partendo da questa impostazione, nel luglio dello scorso anno, cioè poche settimane dopo l'insediamento del Governo, decidemmo di mettere fine ad una contrapposizione frontale che i Governi precedenti, in particolare quello presieduto da Berlusconi, avevano manifestato nei confronti della Slovenia bloccando il processo di associazione e subordinandolo alla risoluzione del contenzioso del passato.
Noi abbiamo assunto una impostazione del tutto diversa, considerando che l'associazione della Slovenia all'Unione europea e la sua progressiva e sempre più organica integrazione nelle istituzioni europee fossero il contesto più favorevole e più utile anche per risolvere i problemi derivanti dal passato. Per questo rimuovemmo la pregiudiziale opposizione che il Governo Berlusconi fino a quel momento aveva frapposto alla conclusione del trattato di associazione e chiedemmo alla Slovenia di sottoscrivere un accordo - il cosiddetto compromesso Solana, dal nome del leader politico che lo propose - che riconosce ai cittadini italiani che cinquant'anni fa vissero per almeno tre anni nei territori attualmente sotto la giurisdizione e la potestà slovena un diritto di accesso immobiliare anticipato e prioritario, riaffermando con ciò un diritto maturato dagli esuli nei confronti di cittadini europei che esuli non furono.
So bene che questo compromesso Solana, che costituisce parte integrante del trattato di associazione (tant'è vero che è annesso al trattato, la cui ratifica implica anche quella del compromesso Solana), non soddisfa pienamente aspirazioni e desideri di una parte dei nostri esuli, i quali avrebbero voluto che, accanto all'accesso immobiliare privilegiato, vi fosse anche la restituzione di beni immobili in disponibilità. Lo so bene per aver mantenuto continui e costanti rapporti con le associazioni degli esuli.
So anche che il compromesso Solana poteva essere sottoscritto all'interno del trattato di associazione perché si trattava appunto di un accordo che la Slovenia veniva assumendo nei confronti dell'Unione europea in una sede multilaterale; mentre, invece, una eventuale restituzione di beni avrebbe assunto un carattere bilaterale non riconducibile al trattato di associazione. E quindi il massimo di acquisizione che si poteva avere, nel momento in cui si sottoscriveva il trattato di associazione, poteva essere quello che abbiamo acquisito, cioè: una norma di carattere giuridico, sottoscritta tra la Slovenia e l'Unione (e non tra la Slovenia e l'Italia!), che riconosce a tutti i cittadini che hanno risieduto cinquant'anni

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fa in Slovenia analogo diritto (in concreto, poi, la stragrande maggioranza sono italiani; ma teoricamente quel diritto è stato riconosciuto anche a chi non era italiano) di accesso prioritario.
Credo che nel trattato di associazione questo era il massimo che si poteva ottenere.
Sottolineo poi il fatto (all'onorevole Menia ed agli altri membri della Commissione esteri) che nulla di analogo è stato inserito in alcun trattato di associazione di altri paesi dell'Europa centrale, che pure non hanno conosciuto esodi meno dolorosi di popolazioni alla fine della seconda guerra mondiale.
Sottolineo inoltre che il trattato di associazione tra l'Unione europea e la Polonia, ad esempio, non prevede alcuna clausola analoga a quella del compromesso Solana per i migliaia e migliaia di cittadini tedeschi della Slesia che lasciarono quella regione nel momento in cui fu inglobata nella Polonia in virtù degli accordi di Yalta.
Sottolineo altresì che a nessuno dei 2 milioni e mezzo dei tedeschi dei Sudeti, che nell'immediato dopoguerra furono costretti ad evacuare la loro terra in una settimana e con centinaia di migliaia di morti, fu riconosciuto alcun diritto di questo genere nel trattato di associazione tra l'Unione e la Repubblica ceca.
Ciò detto, credo che noi abbiamo acquisito una condizione di miglior favore rispetto ad altre situazioni, che penso non sia disprezzabile e che rappresenti la dimostrazione per un verso di un atto di responsabilità del governo sloveno - che noi abbiamo apprezzato ed apprezziamo - e, per l'altro verso, di una capacità negoziale dell'Italia che non deve essere sottovalutata.
Credo inoltre che debba essere sottolineato anche un altro aspetto: il trattato di associazione è stato ratificato dal parlamento sloveno, il quale ha modificato l'articolo 68 che prevede il recepimento immediato ed automatico dei trattati internazionali nella legislazione (e quindi il compromesso Solana, che è parte integrante del trattato, con la modifica dell'articolo 68 della costituzione slovena viene recepito nell'ordinamento legislativo); il governo sloveno sta predisponendo il decreto attuativo e ne ha già rimesso un testo per l'esame alla comitato giuridico della commissione di Bruxelles, che ha mosso alcuni rilievi non sostanziali ma formali (il governo sloveno dovrà peraltro tener conto di questi ultimi).
Ho richiamato tutti questi aspetti della questione per sottolineare come il compromesso Solana non sia soltanto un accordo di principio, ma è un accordo che, pur partendo negato dal trattato di associazione, ha poi trovato una puntuale applicazione fino adesso dal punto di vista legislativo da parte delle autorità slovene. Naturalmente, la sua «operatività» non potrà che entrare in vigore quando le ratifiche del trattato di associazione verranno esaurite da parte di tutti e quindici i paesi membri (questo è un fatto obiettivo, nel quale è contenuto un elemento di base giuridica che non può essere modificato in altro modo). Resta il fatto che io credo che noi, e la commissione per prima (trattandosi di un rapporto sottoscritto con la stessa commissione) abbiamo agito e continuiamo ad agire in modo che il Trattato di associazione venga applicato nei rapporti con la Slovenia in tutte le sue parti, ivi compreso il compromesso Solana.
Perché ho richiamato questi elementi? L'ho fatto non solo per interloquire con gli onorevoli Di Bisceglie e Menia ma anche per sottolineare come, nel momento in cui abbiamo rimosso un pregiudizio (non solo difendo il nostro operato, ma ne rivendico anche la giustezza) che era stato precedentemente espresso per favorire una più rapida, più forte ed organica integrazione della Slovenia nell'Unione europea, non lo abbiamo fatto dimenticando che vi erano problemi aperti che erano un'eredità del passato ed abbiamo cercato di percorrere una strada che rendesse compatibile la tutela delle aspettative degli esuli con una strategia politica che tendesse a determinare con la Slovenia non una condizione di conflitto, ma una politica di cooperazione e di integrazione.

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Ricordo, peraltro, che a questa linea di favorire con la Slovenia le migliori relazioni ci siamo ispirati sia sul piano multilaterale sia sul piano bilaterale. Abbiamo sostenuto e stiamo sostenendo con molta forza l'integrazione della Slovenia nell'Unione europea; abbiamo sostenuto e stiamo sostenendo con molta determinazione l'allargamento della NATO alla Slovenia; abbiamo operato perché l'iniziativa centro-europea, la più vasta istituzione di cooperazione regionale, rafforzasse la sua attività, coinvolgendo la Slovenia come uno dei paesi più impegnati in questa direzione. Considero importante, inoltre, che da qualche mese il nuovo segretariato esecutivo dell'iniziativa centro-europea di Trieste abbia, accanto ad un vicedirettore generale italiano (il direttore generale è austriaco), anche un vicedirettore generale sloveno; il che significa un coinvolgimento maggiore della Slovenia in questa istituzione di cooperazione regionale di stabilità.
Abbiamo operato, e ci siamo rallegrati che sia stata fatta questa scelta, perché la Slovenia partecipasse alla forza multinazionale di protezione in Albania, in un intervento di stabilizzazione della regione, convinti come siamo che un paese è tanto più autorevole e tanto più ha diritto di integrarsi nelle istituzioni euroatlantiche in quanto non sia soltanto «consumatore», ma anche «produttore» di sicurezza. Nel momento in cui la Slovenia, giustamente, aspira ad integrarsi nell'Unione europea e nella NATO è tanto più importante che sia capace di assumersi responsabilità, come fanno altri paesi, della stabilità della regione, ed abbiamo valutato positivamente da questo punto di vista la partecipazione della Slovenia con un suo contingente alla missione in Albania.
Abbiamo agito - non lo dico io, è un dato acquisito, ci sono riconoscimenti pubblici formali - perché un'iniziativa di cooperazione rafforzata, la trilaterale italo-slovena-ungherese che ormai è riconosciuta in Europa come un modello di cooperazione rafforzata e che ha ispirato altre cooperazioni di questo tipo, diventasse un'esperienza che si allargasse via via a sempre più larghi campi di cooperazione: dalla realizzazione del corridoio n. 5, alla brigata trilaterale per azioni di peace keeping, alla cooperazione in materia universitaria. È di questi giorni l'avvio di una cooperazione tra i tre incubatori di tecnologie per le piccole e medie imprese dei tre paesi a sostegno dello sviluppo delle piccole e medie imprese; è di questi giorni la definizione dell'incontro fra i tre ministri degli interni per andare avanti nella cooperazione trilaterale in materia migratoria e così via.
Riteniamo che questa sia una politica giusta, che corrisponde agli interessi dell'Italia e della Slovenia. È una politica che favorisce l'integrazione euroatlantica di questo paese e determina una sempre maggiore cooperazione e integrazione.
Analogamente abbiamo agito sul piano bilaterale, con moltissimi accordi sottoscritti in ogni campo. Ricordo quelli a favore degli investimenti, per il superamento della doppia imposizione fiscale, in materia sociale, in materia di trasporti, in materia di politica portuale, e anche in riferimento alla storia passata (per esempio l'accordo per le salme di guerra), che tendono, accanto al livello multilaterale, a far crescere anche su quello bilaterale una politica di reciproca fiducia e di reciproca integrazione.
Noi riteniamo che questo contesto sia importante anche per la tutela delle minoranze. C'è una minoranza italiana in Slovenia di circa tremila connazionali, come c'è una minoranza slovena in Italia di decine di migliaia di sloveni. Credo che il contesto migliore per tutelare le minoranze sia quello della cooperazione tra i paesi a cui le minoranze appartengono.

ROBERTO MENIA, Relatore di minoranza. Non regalateci il bilinguismo a Trieste!

PIERO FASSINO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Credo che quanto più saremo capaci di realizzare una politica di tutela delle minoranze, tanto più saremo capaci di creare le


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condizioni perché rispettivamente ciascuna minoranza nell'altro paese sia rispettata e tutelata. Vorrei ricordare che abbiamo agito e agiamo continuamente per garantire alla minoranza italiana tutti gli elementi di tutela che gli sono propri, non soltanto in termini di diritto, perché in effetti la legislazione slovena, sia sul piano costituzionale sia su quello ordinamentale, riconosce gli standard tipici in Europa della tutela delle minoranze. La nostra azione è costantemente volta a garantire che ci sia de facto l'esercizio di quei diritti che sono già riconosciuti de iure. Per converso, riteniamo che si debbano porre in essere misure di tutela e di riconoscimento della minoranza slovena in Italia e ci siamo mossi per risolvere annose questioni che si trascinavano da lunghissimo tempo, come quella del riconoscimento del valore giuridico dei titoli di studio della scuola slovena di San Pietro al Natisone, come il problema di garantire la deroga al dimensionamento delle classi per tenere conto della questione delle minoranze, o come l'esigenza di porre rimedio all'annoso problema del conservatorio sloveno di Trieste, cui stiamo cercando di dare una soluzione coerente con la legislazione sui conservatori che vige in Italia; così come, infine, stiamo facendo con la legge per la minoranza slovena, in questo momento all'esame della Commissione affari costituzionali.
Il trattato di associazione, quindi, si iscrive in una politica, in una strategia che mira alla creazione delle migliori condizioni di cooperazione, di collaborazione e di integrazione tra l'Italia e la Slovenia. Riteniamo che tutto questo rappresenti anche il contesto migliore per non disperdere la memoria del passato.
Vorrei dire all'onorevole Menia che credo che da parte di tutte le forze politiche italiane ci debba essere una grande attenzione a non disperdere la memoria storica del passato e credo si possa dire in Parlamento che l'esodo di decine di migliaia di nostri connazionali, prima alla fine della guerra e poi nel 1954, costituisce una pagina dolorosa della storia nazionale, sulla quale spesso si è operata una rimozione cui è tempo di mettere fine.
Lei sa, onorevole Menia, che questo Governo ha dichiarato più volte, attraverso me, ma anche tramite altri esponenti, che consideravamo un dovere morale, prima ancora che politico, restituire a quella tragedia dignità e verità storica e siamo impegnati a farlo con gesti di valore simbolico. È di qualche settimana fa l'emissione di un francobollo delle poste italiane che ricorda l'esito degli istriani. È sempre di qualche settimana fa un incontro - questo è un fatto meno simbolico e più sostanziale - tra le associazioni degli esuli ed il ministro della pubblica istruzione Berlinguer per verificare come nei programmi didattici e nell'attività della scuola questa pagina della nostra storia possa ritrovare una giusta collocazione.
Stiamo inoltre lavorando per vedere come sia compatibile con le esigenze di bilancio una legge sulla rivalutazione degli indennizzi che corrisponda alle aspettative di chi ha perso dei beni. Stiamo inoltre effettuando delle verifiche per dare corso ad una normativa di cui lei, onorevole Menia, è stato proponente, cioè il riconoscimento, ai fini previdenziali, degli anni di lavoro precedenti all'esodo. Sono questi tutti atti concreti, che testimoniano sul piano simbolico, morale, politico e materiale, dell'assoluto riconoscimento che il paese deve dare ad una pagina della nostra storia. Riteniamo che in questo modo non solo non si cancella la memoria, ma si riconosce anche una vicenda che appartiene a tutto tondo alla storia dell'Italia. Ciò non può però tradursi in una reminiscenza nostalgica; soprattutto non può tradursi nel contrapporre il passato al presente ed al futuro.
Conoscere e ricordare il proprio passato, averne memoria è condizione per non più riproporre e ripetere pagine dolorose e sofferenze che nel passato hanno lacerato famiglie e comunità, contrapposto popoli e nazioni. Noi non sentiamo, quindi, alcuna contraddizione tra l'avere da un lato coscienza dell'importanza che ha la memoria storica e dare un

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pieno riconoscimento di ciò che è accaduto in quelle terre 40-50 anni fa e, dall'altro, agire perché mai più quelle tragedie si ripetano. Riteniamo che il modo migliore per far ciò sia costruire le condizioni di una politica di cooperazione, di reciproca fiducia che garantisca un'integrazione sempre maggiore, tanto più in un contesto europeo che va integrandosi su scala continentale, della Slovenia.
Sono queste le ragioni per cui condivido tutte le valutazioni espresse dall'onorevole Di Bisceglie, ed anch'io chiedo la ratifica del trattato, mentre non posso condividere le valutazioni dell'onorevole Menia, né le sue conclusioni. Tuttavia spero con questo mio intervento di avere interloquito con quelle valutazioni, rendendo chiaro quale sia l'approccio del Governo su tale materia.

PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Calzavara. Ne ha facoltà.

FABIO CALZAVARA. Per mancanza di democrazia sono costretto a rinunciare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Niccolini. Ne ha facoltà.

GUALBERTO NICCOLINI. Già otto giorni fa in quest'aula ho accennato al fatto che certi problemi pesanti, quali sono quelli della politica estera, che coinvolgono il paese nella sua totalità, anche negli aspetti che possono sembrare minori, vengono seguiti da 14-15 parlamentari, compreso il Presidente ed i sottosegretari di Stato.

ANGELO SANZA. Diciassette!

GUALBERTO NICCOLINI. Sono presenti alcuni amici consiglieri, alcuni commessi; in totale una trentina di persone seguono un importante dibattito di politica estera e non so peraltro se la seduta sia trasmessa da radio radicale o dalla rete parlamentare.
Abbiamo eseguito una serie di ratifiche, alcune più importanti altre meno e siamo arrivati a quella in esame che, a nostro avviso, riguardando il famoso confine orientale, tanto evocato in quest'ultimo periodo, essa è una ratifica particolarmente significativa, perché segna un momento storico.
Signor sottosegretario Fassino, la ringrazio per le considerazioni che ha svolto (peraltro condivido gran parte di quanto lei ha detto, come ho già fatto in Commissione), ma mi pongo e le pongo una domanda. Lei ha detto che dobbiamo guardare avanti per non ripetere gli errori del passato, conservare la memoria, ricordare gli avvenimenti e cercare di non ripeterli più. Ha detto, ripeto, di andare avanti con il massimo della collaborazione, perché in questo modo tuteliamo meglio i nostri interessi e quelli dei concittadini rimasti oltreconfine.
Non è forse che cinquant'anni di storia coperta, di storia nascosta, di pagine che non si sono volute leggere, del mancato riconoscimento di certe situazioni, tutto ciò ha esacerbato gli animi di gran parte di quella popolazione che ancora oggi chiede parole di giustizia prima ancora che accordi commerciali e politici?
Qualche giorno fa, signor sottosegretario Fassino, a Roma un ufficiale tedesco è stato condannato all'ergastolo per un delitto commesso cinquant'anni fa. La signora Tullia Zevi, che sicuramente non è vicina a Priebke, ha dichiarato che giustizia è stata fatta e che egli, dopo la condanna all'ergastolo, poteva anche andare a casa. Questo significa che non veniva chiesto l'ergastolo, come dimostrano le parole di Tullia Zevi, un personaggio importante della comunità ebraica italiana, né veniva chiesto che Priebke rimanesse in galera fino al momento della sua morte (forse anche presto), ma si voleva che fosse fatta giustizia, almeno nei termini ideali di chi aspetta una sanzione definitiva per chiudere una pagina di storia.
Questo è venuto a mancare alle popolazioni dell'Istria, di Trieste e della Venezia Giulia: è mancata una parola chiara, di giustizia, che chiudesse la vicenda.


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Sabato, a Trieste, abbiamo vissuto una giornata storica, perché due personaggi che discendono da storie diverse, da esperienze, da culture diverse e, quindi, probabilmente anche con sentimenti contrastanti, hanno fatto alcune dichiarazioni. Entrambi rivestono posizioni importanti nel nostro paese, uno è una figura istituzionale, essendo il Presidente della Camera, l'altro è il presidente di un partito che si richiama ad una certa tradizione e che, con la svolta del congresso di Fiuggi e di Verona, è entrato nel cosiddetto arco costituzionale, legittimato a tutti gli effetti.
Questi due personaggi sono venuti a ricordare e a hanno ricordato, parlando agli studenti della facoltà di Scienze politiche dell'università di Trieste, riunitisi in uno storico teatro cittadino, il valore della memoria e della storia, riconoscendo che le memorie sono fatti personali, privati, nostri, che ci portiamo dentro e che la storia mediamente è un qualcosa che ricomprende tutto.
Proprio l'onorevole Violante, che andrebbe ringraziato per questo, ha ricordato che quel periodo della storia d'Italia è stato per lungo tempo appannaggio di una sola parte politica, che ne ha condizionato la scrittura ed il riconoscimento. Sono passati cinquant'anni!
Tale mancato riconoscimento, che peraltro arriva solo oggi - e non credo per motivi strumentali, ma forse a seguito dell'evoluzione, della caduta del muro di Berlino e per altri eventi -, ha esacerbato gli animi ed ha creato situazioni di tensione e di difficoltà in chi per troppo tempo non ha potuto portare i fiori sulle proprie tombe e oggi, se non paga le tasse, non le trova più. Vi è tutta una serie di situazioni che vanno comprese.
Non dico che settanta, cento o mille case di esuli possano condizionare un grande accordo europeo: per l'amor del cielo! Dico però che l'Italia si sveglia madre di queste persone cinquant'anni dopo: si sveglia dunque nonna o bisnonna... Qualche passo va dunque fatto.
Lei mi dice, signor sottosegretario, che l'intervista è stata smentita. Per la verità io ho letto smentite molto tiepide, anche perché il giornalista asseriva di avere la registrazione di quanto è stato dichiarato. Io non sono più né direttore né giornalista e quindi mi devo appellare a quello che sento. Dico solo che le frasi che ho letto sono gravissime perché cambiano completamento il senso del discorso che lei ha fatto anche in questa sede.
Il 5 marzo avevo presentato su tale materia una interrogazione urgente, proprio perché sapevo che la discussione del disegno di legge recante la ratifica di questo trattato sarebbe giunta all'esame della Camera. Si tratta di un tema che ritengo scottante.
Come dicevo, non abbiamo avuto una smentita ferma ed ufficiale del Governo di Lubiana.

PIERO FASSINO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Sì che c'è stata!

GUALBERTO NICCOLINI. Io non l'ho letta da nessuna parte, signor sottosegretario, e non ho ancora saputo se quell'ambasciatore sia stato punito o meno. So che è stato richiamato a Lubiana, ma poi non ho altre notizie.
Senz'altro tra di voi vi sono stati dei chiarimenti, ma essi non devono limitarsi all'ambito quasi privato...

PIERO FASSINO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Ma era su tutti i giornali!

GUALBERTO NICCOLINI. ...devono essere chiari e precisi. Vi deve essere una punizione per l'ambasciatore oppure un cambiamento della nostra linea politica. Non possiamo sentir dire con leggerezza che le foibe non sono un fenomeno sloveno. Certo, non sono un fenomeno degli sloveni di oggi: su questo siamo d'accordo...

FILIPPO MANCUSO. Sono un fenomeno comunista!

GUALBERTO NICCOLINI. Però neanche la risiera è un fenomeno dei triestini di oggi!


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Sono fenomeni nazisti e comunisti che si sono verificati, però qualcuno deve chiedere scusa a qualcun altro! Ho già detto in Commissione che non chiediamo la luna, ma solo gesti simbolici, come l'ergastolo di Priebke, che è più simbolico che reale, perché probabilmente morirà molto presto.

FILIPPO MANCUSO. Pena di morte, non ergastolo: è stato catturato dal ministro della giustizia!

GUALBERTO NICCOLINI. Noi, dunque, chiediamo gesti simbolici perché è anche di essi che la storia di quelle terre ha bisogno.
Lei, signor sottosegretario, ha sostenuto che con il clima favorevole che si è creato si riescono a tutelare meglio anche gli italiani della Slovenia. Sono d'accordo, ma le sue parole mi ricordano un po' quel signore che dichiarava di andare d'accordissimo con la moglie: le dava sempre ragione e aveva risolto il problema! Non vorrei che dopo aver offerto gratis Osimo, dopo aver offerto gratis e in fretta e furia il riconoscimento della Slovenia, dopo aver offerto gratis l'adesione della Slovenia all'Unione europea, continuassimo ad offrire tutto gratis, perché questo è l'unico modo di andare d'accordo. Credo che tra alleati, tra partner, tra soci ciascuno debba pagare un biglietto per stare insieme.
Si dice: tuteliamo le minoranze. Siamo d'accordo e pensiamo altresì che la legislazione sulla tutela della minoranza slovena in Italia sia talmente complicata che prima di affrontarne una nuova dovremmo riordinare tutte le norme già in vigore. Andrebbe dunque fatto un testo unico di tutti i provvedimenti esistenti. Solo a seguito di ciò potremo vedere se realmente manca qualcosa.
C'è un provvedimento all'esame della Commissione che, nell'ambito degli stanziamenti del Ministero degli affari esteri, attribuisce 8 miliardi alla minoranza italiana in Slovenia e 8 miliardi a quella slovena in Italia.

PIERO FASSINO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Da anni!

GUALBERTO NICCOLINI. Lo so, ma non posso comunque non avvertire qualche perplessità. Ciò anzitutto perché attribuirei simbolicamente un qualcosa in più agli italiani che sono al di là del confine, ai quali il Governo di Lubiana non dà alcunché (mentre noi diamo qualcosa a loro). Si tratta, allora, di aumentare lo stanziamento a favore degli italiani in Slovenia.
Sono questi i segnali che ci aspettiamo non dal Governo italiano ma da quello di Lubiana, sono questi i segnali che il nostro Governo deve sollecitare al Governo di Lubiana, pur nel contesto di un clima positivo - esigenza, credo, riconosciuta da tutti - che comunque può essere ottenuto - ripeto - o dicendo sempre yes oppure in un contesto di posizioni di fermezza in discussione: due alleati, due soci, dei quali ognuno paga la propria quota, chi più chi meno (noi siamo più grandi, siamo 50 milioni, loro soltanto due milioni).
L'importante è che di questo problema se ne parli chiaramente una volta per tutte. Scrolliamoci di dosso i complessi che ci stiamo portando dietro da 50 anni. D'accordo, l'Italia è stato l'aggressore, ma ha perso la guerra e ha pagato. Ora non dobbiamo più avere complessi nei loro confronti né essi possono più chiederci di averne. Possiamo metterci d'accordo: andiamo sulle foibe dove sono morti gli italiani e chiediamo scusa e nei luoghi dove sono morti gli sloveni, anche in questo caso chiedendo scusa. Ma finiamola una volta per tutte, chiudiamo la vicenda con un riconoscimento per quegli esuli che sicuramente erano persone le quali fuggivano non dalla miseria ma dalla dittatura comunista (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CDU-CDR).

PRESIDENTE. Non vi sono più iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.


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FABIO CALZAVARA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

FABIO CALZAVARA. Per preannunciare la presentazione di un ordine del giorno, molto breve e sintetico, che impegna il Governo ad adoperarsi per risolvere le ingiustizie perpetrate nei confronti degli esuli istriani e dalmati, con l'auspicio che quest'esigenza sia condivisa da tutti i partiti.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Calzavara. L'ordine del giorno sarà posto in votazione nel corso della seduta di domani.

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