Seduta n. 321 del 9/3/1998

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Discussione del disegno di legge: S. 2997 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 gennaio 1998, n. 1, recante disposizioni urgenti in materia di cooperazione tra Italia ed Albania nel settore della difesa, nonché proroga della permanenza di contingenti militari italiani in Bosnia Erzegovina (approvato dal Senato) (4570) (ore 15,13).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 gennaio 1998, n. 1, recante disposizioni urgenti in materia di cooperazione tra Italia ed Albania nel settore della difesa, nonché proroga della permanenza di contingenti militari italiani in Bosnia Erzegovina.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4570)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare di forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2, dell'articolo 83 del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Bova.

DOMENICO BOVA, Relatore. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi deputati, il disegno di legge: «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 gennaio 1998, n. 1, recante disposizioni urgenti in materia di cooperazione tra Italia ed Albania nel settore della difesa, nonché proroga della permanenza di contingenti militari italiani in Bosnia Erzegovina» si compone di cinque articoli.
Nel corso dell'esame presso il Senato è stato approvato un emendamento presentato dal Governo, che introduce un nuovo articolo (l'articolo 3-bis) volto a prorogare la permanenza del contingente militare a Hebron.
Il decreto-legge in esame contiene le norme che danno attuazione agli accordi di cooperazione in materia di difesa tra l'Italia e l'Albania e una serie di proroghe sulla permanenza dei militari italiani in missione internazionale.
Le norme corrispondono alla comune esigenza di garantire la partecipazione italiana ad operazioni internazionali per il mantenimento della pace e dell'ordine pubblico in aree investite da situazioni di instabilità come l'Albania, la Bosnia e i territori palestinesi; queste norme contribuiscono a sottolineare il ruolo che il


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nostro paese ha assunto nell'ambito della comunità internazionale in relazione a missioni del genere.
Il presente provvedimento legislativo si pone dunque come strumento normativo necessario a dare pratica attuazione all'attività di cooperazione e di assistenza definite dall'accordo esistente tra il Governo italiano e quello della Repubblica albanese sulla cooperazione bilaterale nel campo della difesa, allo scopo di offrire consulenza, assistenza tecnica, addestramento ed istruzioni, esercitazioni, addestramento operativo e materiali in tutta una serie di settori espressamente previsti; inoltre, visto l'accordo tra i ministri degli esteri dell'Italia e dell'Albania del 25 marzo 1997, firmato il 30 ottobre 1997, e il relativo protocollo tecnico firmato dai ministri della difesa dei due paesi, esso tende alla prevenzione di atti illeciti che ledono l'ordine giuridico nei due paesi, e all'immediato sostegno umanitario quando è messa a rischio la vita di coloro che tentano di lasciare l'Albania.
Il decreto-legge tende inoltre a dare attuazione alla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite n. 1088 del 12 dicembre 1996, che consente la continuazione da parte di un contingente italiano delle operazioni della NATO nei territori della Bosnia-Erzegovina in attuazione degli accordi militari relativi al piano di pace. Esso tende inoltre a dare attuazione alla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Organizzazioni delle Nazioni Unite n. 1144 del 1997 che proroga di sei mesi la partecipazione da parte di un contingente dell'Arma dei carabinieri alla forza di polizia internazionale nel quadro degli accordi di Dayton, nella giurisdizione della Bosnia-Erzegovina.
In particolare, l'articolo 1, ai commi 1 e 4, determina gli scopi della partecipazione italiana in Albania; determina i termini della cooperazione e dell'assistenza definendo come assistenza e cooperazione si sviluppino attraverso la costituzione di una delegazione italiana di esperti e l'intervento di un gruppo navale che opera all'interno delle acque territoriali albanesi, entro tre miglia dalla costa e di altre unità navali oltre tre miglia dalla costa.
Sempre all'articolo 1 (dal comma 5 al comma 13) si stabilisce il trattamento economico aggiuntivo del personale militare impegnato nel territorio e nelle acque territoriali albanesi; è attribuito il trattamento economico previsto dalla legge 8 luglio 1961, n. 642 al personale della delegazione italiana di esperti (la cosiddetta DIE) in quanto costituito in delegazione all'estero.
Al personale militare imbarcato sulle unità navali e al personale civile comunque impiegato in Albania è attribuito il trattamento previsto dal decreto-legge 24 aprile 1997, n. 108, convertito con modificazioni dalla legge 20 giugno 1997, n. 174 (cosiddetto «Alba 1») e dal decreto-legge 14 luglio 1997, n. 214, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 1997, n. 260 (cosiddetto «Alba 2»).
La copertura assicurativa a carico dell'amministrazione viene ribadita per il personale beneficiario del trattamento predetto mentre viene sospesa per il personale della delegazione italiana di esperti in costanza di trattamento ai sensi della legge n. 642 del 1961 in quanto tale forma assicurativa non è prevista dalla legge del 18 maggio 1992 per i componenti di una delegazione o rappresentanza militare all'estero.
Il decreto-legge n. 108 del 1997, convertito con modificazioni, regola e norma la parte riferita alla materia pensionistica, previdenziale e di giurisdizione penale.
Sono infine autorizzati, secondo quanto già disposto dall'articolo 3 del decreto-legge n. 108 del 1997, la cessione a titolo gratuito alle autorità albanesi di beni e servizi, nonché i lavori di riparazione sia delle unità navali albanesi che si trovano nella disponibilità delle autorità italiane sia dei fari e dei segnalamenti marittimi albanesi. Tali lavori potranno essere effettuati entro un limite massimo di spesa, nel primo caso, di un miliardo e 800 milioni e, nel secondo caso, di 500 milioni, secondo quanto previsto dai commi 11 e 12.

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Gli atti adottati e le prestazioni effettuate nell'ambito degli interventi definiti dall'accordo sono conguagliati fino alla data di entrata in vigore del decreto.
L'articolo 2 proroga fino al 29 giugno 1998 la permanenza dei reparti militari italiani impegnati nella forza di stabilizzazione che opera nella ex Jugoslavia in attuazione delle risoluzioni ONU conseguenti agli accordi di Dayton del dicembre 1995, la cui attività era stata autorizzata fino al 31 dicembre 1997 dall'articolo 4 del decreto-legge del 31 gennaio 1997, n. 12, convertito dalla legge 25 marzo 1997, n. 72. Inoltre, tale articolo prevede l'applicazione della norma di cui all'articolo 2 della legge 18 dicembre 1997, n. 439, in relazione ai rischi connessi alla missione.
L'articolo 3 del decreto-legge dispone la proroga, con decorrenza dal 19 novembre 1997 fino al 29 giugno 1998, della permanenza nella località di Brcko in Bosnia-Erzegovina del contingente italiano che opera nell'ambito della forza di polizia internazionale, in attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n. 1144 del 1997. Con tale risoluzione è stata prolungata per un periodo di sei mesi la missione di polizia internazionale. C'è da aggiungere che la partecipazione italiana alla forza di polizia era stata precedentemente autorizzata dall'articolo 1 del decreto-legge del 5 giugno 1997, n. 144, convertito dalla legge 25 luglio 1997, n. 239, che aveva previsto l'invio, in funzione di osservatori, nella zona di Brcko di un reparto composto da 23 carabinieri per le finalità stabilite dalle risoluzioni ONU nn. 1035 e 1088 del 1996 e per un periodo di sei mesi a partire dal 23 maggio 1997, prorogabile su iniziativa dell'ONU. Anche in questo caso viene disposta l'applicazione contro i rischi connessi alla missione della norma di cui all'articolo 2 della legge 18 dicembre 1997, n. 439.
L'articolo 4 del decreto-legge reca la copertura finanziaria del provvedimento, al comma 1, con riferimento alla proroga della partecipazione alla missione in Bosnia, i cui oneri sono valutati in 78 miliardi. Prevede inoltre il ricorso alla procedura di cui all'articolo 9 della legge del 5 agosto 1978, n. 468, che ha istituito, nello stato di previsione del Ministero del tesoro, un fondo di riserva per le spese impreviste da utilizzare mediante decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero del tesoro per le missioni militari autorizzate dal Parlamento. Il comma 2 dell'articolo 4 in esame, con riferimento agli oneri derivanti dalla proroga della partecipazione alla Forza di polizia internazionale stimati in 820 milioni, contempla l'utilizzazione dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno finanziario 1998.
L'articolo 5 del decreto-legge contiene la norma relativa all'entrata in vigore del decreto-legge.
Infine, l'articolo 3-bis, introdotto dal Senato, proroga al 30 luglio 1998 il termine per la partecipazione del contingente militare italiano al gruppo di osservatori temporanei ad Hebron, che la legge del 18 dicembre 1997, n. 439, ha fissato al 31 gennaio 1998. A tale personale, pari a 31 unità, si applicano le disposizioni in tema di trattamento economico ed assicurativo dettate dall'articolo 2, commi 1 e 2, della citata legge n. 439. Al relativo onere quantitativo, pari a 2 miliardi e 261 milioni per il 1998, si provvede mediante ricorso all'unità previsionale di base «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, concludo auspicando un rapido esame del decreto-legge che conduca ad una tempestiva conversione in legge dello stesso, in modo da garantire tutela giuridica ai nostri militari impegnati in missioni internazionali.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIOVANNI RIVERA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.


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PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Giannattasio. Ne ha facoltà.

PIETRO GIANNATTASIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, gli aspetti connessi con la politica estera saranno messi in evidenza per il gruppo di forza Italia dall'onorevole Niccolini. Esiste però anche la politica militare, che viene sempre trascurata dal Governo al punto che mai in quest'aula si è potuti giungere ad una sua trattazione globale. Pertanto all'opposizione restano solo queste occasioni per rivalutarne l'importanza e soprattutto per controllare certe decisioni, adottate surrettiziamente o mediante trattati ed accordi internazionali a larga intelaiatura, veri contenitori nei quali il Governo giustifica tutto ed il contrario di tutto.
Per quanto concerne il decreto-legge in esame devo innanzitutto affermare che ci vuole molto senso dell'umorismo per accettare un simile zibaldone, in cui i capi degli uffici legislativi della difesa e degli affari esteri hanno toccato il fondo, meritando le osservazioni non certo esaltanti del Comitato per la legislazione: Albania, Bosnia-Erzegovina, Brcko e poi Hebron, dalla penisola balcanica alla Palestina, per un totale di 113.038 miliardi, alla faccia degli italiani che pagano le tasse e tirano la cinghia! Non si comprende infatti il legame tra la missione di cooperazione con l'Albania e la missione di pace a Sarajevo, né tanto meno con quella di polizia internazionale a Brcko e ad Hebron.
Ma andiamo per ordine. La cooperazione militare con l'Albania, secondo il trattati stipulati, tende a fornire consigli e mezzi per la ricostruzione delle forze di difesa albanesi e per consentire il pattugliamento navale dentro e fuori le acque territoriali albanesi, il tutto nel quadro della cooperazione - è scritto nel trattato - fornita allo stesso scopo dalla NATO e dai paesi dell'OSCE nell'ambito del partenariato per la pace. Tuttavia non si sa che cosa dobbiamo fare noi: abbiamo solo frasi generiche e titoli di capitoli; tutto è lasciato alle richieste del ministro della difesa albanese ed alle decisioni del capo della missione di esperti italiani, che potranno scendere nei particolari specifici e decidere, alla faccia del Parlamento.
Non solo: oggi siamo chiamati ad approvare l'estensione di una missione che dovrà fornire maggiore assistenza tecnica e collaborazione. Ciò vuol dire che già in passato, in virtù dell'accordo dell'ottobre 1995, abbiamo fornito collaborazione nel settore e ciò che dovremo fornire in futuro sarà definito dall'Alleanza atlantica nel quadro del partenariato per la pace. Che cosa abbiamo fornito in passato e che cosa definirà l'Alleanza atlantica? Il Parlamento, a dispetto della sua centralità, non sa nulla; il Governo non si è peritato di informarci su nulla; il ministro Andreatta tace e forse pensa, ma per noi non vi è alcuna comunicazione. E quanto ci è costata finora l'Albania? Altro grande mistero! Mentre la difesa italiana tira la cinghia ed il morale dei militari e dei civili è allo sbando il Governo spende miliardi in un settore, quello della difesa albanese, che non si capisce quale vantaggio procurerà alla sicurezza italiana. Capirei se lo sforzo fosse concentrato tutto sulla ricostituzione delle forze di polizia, ma l'assurdo è che in questi protocolli di intesa non si parla di polizia, ma solo di polizia militare, che è tutt'altra cosa, mentre esiste un altro protocollo dedicato alla sola polizia. Non sarebbe più chiaro se si unificasse il tutto?
Sappiamo solo, e l'ho constatato di persona nella mia recente visita a Tirana, che l'Unione europea occidentale ha impostato una «scuola filosofica sui diritti dell'uomo» alla quale noi collaboriamo con due colonnelli dei carabinieri ed un colonnello della Polizia di Stato: pura filosofia, come ho detto, e niente di concreto. Ma, assurdo nell'assurdo, è che senza alcun coordinamento, nello stesso tempo vi è un nucleo italiano di carabinieri, di ufficiali della Polizia di Stato e della Guardia di finanza che sta organizzando le centrali operative della polizia a Tirana ed a Durazzo. La prima e fondamentale


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osservazione che vorrei fare è quindi riferita al fatto che noi siamo chiamati ad estendere la validità di un decreto emanato dal Governo circa 60 giorni orsono senza sapere che cosa è stato fatto, cosa ci viene richiesto dagli albanesi nello specifico settore e cosa viene fatto contemporaneamente per il raggiungimento dello stesso obiettivo dall'Alleanza atlantica e dai paesi dell'OSCE, in particolare la Grecia. Il relatore, collega Bova, queste cose non ce le spiega; né il ministro della difesa né il ministro degli affari esteri, principale tutore della politica di relazione con gli altri paesi.
Ma proprio in questo momento il ministro Dini dovrebbe dire la sua: nel Kossovo è stata accesa una miccia che sta bruciando verso il detonatore. Il ministro della difesa albanese ha posto l'esercito in stato di massimo allerta ed ha schierato le truppe alla frontiera. Il Governo in esilio del Kossovo libero ha chiesto aiuto all'Italia.
Cosa fa la nostra delegazione italiana di esperti? È semplicemente paralizzata, oppure in base all'articolo 2 del protocollo d'intesa, firmato il 20 agosto 1997, fornisce collaborazione nella pianificazione della difesa albanese? È opportuno politicamente questo supporto italiano all'Albania in un settore tanto delicato ed in un momento così critico, in un'area tanto esplosiva? Condizioni politiche di tempo e di spazio invitano alla riflessione.
Il generale Pedone, comandante della delegazione di esperti, e il suo staff operano nei locali del Ministero della difesa albanese, come è auspicato nell'articolo 10 del protocollo di intesa?
Non corriamo il rischio di altre perdite di vite umane? La morte del sottotenente di vascello Lorenzo Lazzareschi nei fondali dell'isola di Saseno è ancora avvolta nel mistero. Non possiamo affidarci all'imperizia e alle decisioni di alcuni superiori che non considerano i pericoli nelle immersioni subacquee. L'ufficiale stava lavorando in coppia, come si insegna anche nei corsi dei civili, oppure era solo? Perché queste operazioni di bonifica non vengono affidate alle ditte civili?
Nel protocollo di intesa non risultano operazioni di bonifica portuale a carico della marina militare. Alla mia interrogazione parlamentare del 12 febbraio 1998 non è stata fornita alcuna risposta.
Passiamo all'articolo 2 relativo al contingente italiano a Sarajevo. Sarei grato al Governo se precisasse quale dicastero si deve accollare la spesa dei 78 miliardi. I richiami legislativi citati nell'articolato rinviano alla legge 28 dicembre 1995, n. 549, che parla di un rendiconto allegato allo stato di previsione del Ministero degli affari esteri; mentre il decreto-legge del 1 luglio 1996, n. 346, coordinato con la legge di conversione 8 agosto 1996, n. 428, all'articolo 5 tira in ballo l'accisa sulla benzina verde che fu aumentata di 19 lire al litro fino al 31 dicembre 1996; ma in realtà fu mantenuta definitivamente.
Allora, chi paga e quanto ci viene rimborsato dall'ONU? Il Parlamento ha diritto di saperlo: tutto ciò è stato richiesto al Governo con l'ordine del giorno n. 9/4299/1 approvato dall'intero Parlamento nella seduta del 14 gennaio 1998. Il Governo, però, non ci dice nulla!
Per la missione a Brcko, e cioè quanto trattato all'articolo 3 del provvedimento, vi è da osservare - come d'altro canto ha fatto il Comitato per la legislazione - che vi sono parole in libertà e senza alcun contenuto normativo. Pertanto, le parole «eventualmente prorogabili» sono da cancellare! Dico questo tanto per richiamare alla memoria le capacità dell'ufficio legislativo del Ministero della difesa e l'attenzione del ministro all'operato degli uffici del suo gabinetto.
Quando si mettono a confronto i costi di questi 23 carabinieri a Brcko, pari a 820 milioni per sei mesi (e quindi pari a 5,9 milioni al mese per carabiniere), con quelli relativi ai 31 carabinieri localizzati a Hebron, pari a 2 miliardi e 261 milioni fino al 30 luglio, cioè per sette mesi, e quindi di 10 milioni al mese per carabiniere si scopre che le unità localizzate ad Hebron costano quasi il doppio di quelle che sono a Brcko. Anche su questo argomento vi è bisogno di chiarezza.

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Sorge pertanto spontanea la seguente domanda: forse fischiano più le pallottole a Hebron che a Brcko?
La conclusione più ovvia sarebbe quella di bocciare l'intero provvedimento, sia per la forma, sia per i contenuti; ma con lo stesso spirito che ci guidò nell'aprile dello scorso anno, quando votammo a favore della spedizione in Albania a tutela dell'immagine internazionale dell'Italia, ci limiteremo a presentare emendamenti ed ordini del giorno, richiamando l'attenzione del Parlamento su quanto sta accadendo a pochi passi dall'Italia e sulla necessità di evitare la concessione di aiuti che mettano in difficoltà la sicurezza dei nostri uomini e che vadano a scapito della nostra difesa (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calzavara. Ne ha facoltà.

FABIO CALZAVARA. Signor Presidente, questo provvedimento riguarda quattro problematiche affini, ma diverse, e questo la dice lunga sul modus operandi del Governo italiano, che non riesce, attraverso le procedure legislative ad individuare, a collegare e ad esaminare provvedimenti singoli, considerato che si tratta di materie in un certo senso a se stanti.
Credo sia obbligato un passaggio sulla situazione del Kossovo, visti gli evidenti collegamenti che presentano le materie oggetto del provvedimento in esame. Si tratta di collegamenti politici, in quanto le forze militari e civili impegnate sono dislocate tutte attorno al Kossovo, anzi la Kossova, come ci ha insegnato il presidente Jbrahim Rugova (è questa infatti la denominazione originaria della regione in lingua albanese, mentre Kossovo è la denominazione in lingua serba ed anche in questo senso vi è una dimostrazione di oppressione culturale), quindi si possono avere ripercussioni immediate impensabili. La Kossova è popolata per il 92 per cento da albanesi ed è controllata dal regime militare serbo, il cui capo, Milosevic, ha tolto alla regione, nel 1993, qualsiasi forma di autonomia reale. Certo, i serbi reclamano diritti storici sul territorio della Kossova, ma non per questo devono rifiutare il diritto di autogoverno agli albanesi ivi residenti.
Lo scorso anno in Commissione esteri abbiamo ascoltato il presidente eletto, non ufficializzato, Jbrahim Rugova, il quale ci ha spiegato la situazione del suo popolo, penosissima e assolutamente determinata da una politica centralistica e monopartitica del governo serbo. Egli ci ha pertanto sollecitato ad intervenire presso Belgrado per risolvere questa situazione pesantissima, i cui esiti possono essere pericolosissimi per l'Europa. Quel popolo, infatti, si trova in un sistema coloniale ed in Commissione abbiano assicurato il nostro appoggio, anche considerato che la lotta politica di Rugova e del suo movimento si basa sulla democrazia e sull'autodeterminazione non violenta, pacifica, finalizzata alla libertà del suo popolo.
In questo momento di belligeranza, di pulizia etnica, di incidenti, di omicidi, di assalti militari, è dunque giunta per noi l'ora di mantenere quella promessa, internazionalizzando, se non è possibile in altri modi, la questione della Kossova e facendo pressioni sul Governo di Belgrado affinché risolva democraticamente questo gravissimo problema europeo, restituendo immediatamente l'autonomia agli albanesi, altrimenti anche il loro diritto di autodeterminazione sarà inevitabile. Come saranno inevitabili e gravissime, se non vi sarà una preoccupazione forte di tutta l'Europa e soprattutto del Governo italiano che si è preso carico della situazione albanese in prima persona, le ripercussioni anche nelle vicine Repubbliche di Macedonia, Montenegro, oltre che in Albania, con possibili evidenti effetti devastanti in tutta l'area balcanica, come tutti possiamo comprendere.
Per tornare al disegno di legge di conversione in discussione, non possiamo far altro che rilevare l'approssimazione degli obiettivi politici e tecnici, e, vista l'approssimazione della stessa relazione e del testo a nostra disposizione, vista infine


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l'assenza di informazioni precise su quanto è stato deciso e speso nelle quattro situazioni di cui ho parlato, abbiamo parecchie domande da rivolgere al rappresentante del Governo.
Comincerò dall'articolo 1, il quale prevede una delegazione di esperti (DIE), composta di 60 membri, ai quali è stata data la possibilità di essere accompagnati dai familiari. Poiché dai documenti in nostro possesso non emergono informazioni al riguardo, vogliamo sapere quanti di questi familiari si siano aggregati alla delegazione e su chi graveranno le spese di vitto, alloggio e viaggio.
Anche l'intervento navale non è precisato, in quanto è autorizzato l'impiego del gruppo navale di Durazzo e di unità navali operanti in acque internazionali. Chiediamo di sapere precisamente quante navi opereranno e quale sia effettivamente la ripartizione dei compiti tra i due gruppi navali. Vorremmo poi chiarimenti in merito alla questione assicurativa del personale italiano; in particolare il personale militare è assoggettato alla legge 18 maggio 1982, n. 301, la quale prevede l'assicurazione per servizi in conto dell'ONU, ma la missione in Albania non si svolge sotto l'egida di tale organismo, come quelle in Bosnia-Erzegovina ed Hebron.
Ci chiediamo come mai venga data priorità alla rinascita dell'esercito, quando tutta la situazione politica ed anche la strategia politica doveva essere improntata - secondo noi - alla ricostituzione innanzitutto delle forze di polizia, visto che esiste una questione di ordine interno e non una guerra, un'invasione o un conflitto tra diversi Stati.
Vi è poi un'altra richiesta, che vogliamo rivolgere al rappresentante del Governo, a nostro avviso utile per avere informazioni circa la spesa prevista di 500 milioni sul ripristino dei fari e delle postazioni di segnalazione costiera. Per la loro ricostruzione, deve intervenire personale italiano o albanese? Chi dovrà eseguire i lavori?
Per essere precisi, nel provvedimento mancano i dati relativi al termine di durata della missione, il che ci preoccupa un po', perché nel trattato base prima richiamato, il periodo previsto è di dieci anni. Riteniamo quindi giusto avere le idee chiare su cosa si ripromette il Governo circa i tempi di tale operazione, anche per inquadrare l'entità della spesa che dovremo affrontare ed i benefici che ne potrebbero derivare.
Anche riguardo ai benefici, non vi è alcuna spiegazione e ci siamo domandati inutilmente quale potrebbe essere il vantaggio per l'Italia. Per cortesia, vi chiediamo di spiegarcelo chiaramente, perché non è stato possibile saperlo.
L'articolo 2, che dovrebbe riguardare non la ex Jugoslavia, ma la Bosnia-Erzegovina, visto che sono due entità individuate, prevede il rinnovo della proroga dopo tre mesi; si tratta di un ritardo inspiegabile, perché relativo a situazioni pregresse per cui si dovevano agevolmente prevedere i tempi del rinnovo. Sono impegnati 1.700 uomini con una spesa, piuttosto ingente, di 78 miliardi. Chiediamo pertanto, visto che la situazione non è più critica come nei primi tempi, perché non è stata rivista la nostra quota di partecipazione per quanto riguarda sia il numero di militari sia, di conseguenza, la spesa. Ciò in funzione di una diminuzione di questo impegno e di un utilizzo delle risorse e degli uomini dove in questo periodo sarebbe maggiormente necessario impiegarli, cioè lungo i nostri confini che continuano ad essere confini «colabrodo» - a cominciare dalla Puglia per arrivare alle frontiere del Veneto o del Friuli-Venezia Giulia -, oppure nelle zone del paese che lo Stato italiano non riesce a controllare, per esempio a Napoli e dintorni. Questo tipo di impiego sarebbe stato secondo noi più utile e più fruttuoso, con effetti più chiari ed immediati.
Anche a proposito dell'articolo 3, relativo a Brcko, si riscontra un ritardo di quattro mesi ed in tutto questo tempo si registra una indeterminatezza nella quantificazione della spesa. Chiediamo allora quanto ci sia costata in totale, in tutti questi anni, questa missione.

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L'articolo 3-bis, relativo ad Hebron, approvato dal Senato, suscita dubbi e perplessità su cui chiediamo spiegazioni. Infatti, si era previsto che il trattato in vigore dal 20 giugno 1994 fosse rinnovabile di tre mesi in tre mesi, mentre ora si è passati a sei mesi. A questo riguardo, vorremmo avere qualche spiegazione, perché questo passaggio non ci risulta autorizzato.
Il decreto-legge 20 giugno 1994, n. 397, prevede inoltre l'impiego di 35 unità tra militari ed esperti di cooperazione e sviluppo, facenti parte del gruppo internazionale di osservazione temporanea. Vorremmo capire allora perché adesso, anziché 35, si prevedono 31 elementi. Anche a questo proposito non abbiamo elementi giustificativi per capire le ragioni di questa modifica. Vorremo sapere, peraltro, con quali criteri e da chi questi elementi siano stati selezionati, perché anche questo ci sembra un dato significativo per giustificare questa importante missione. Anche noi abbiamo rilevato, infatti, come poc'anzi ha fatto l'onorevole Giannattasio, un'incongruenza in ordine alla spesa. Infatti, raffrontando la spesa, piuttosto elevata, di due miliardi per 35 unità, portata nel 1998 a due miliardi e 261 milioni (a fronte dell'impiego, però, di 31 unità e quindi di 4 unità di meno), agli 820 milioni previsti per gli oneri derivanti dall'attuazione dell'articolo 3, salta all'occhio che c'è un aumento di spese che non è stato spiegato. Vorremo pertanto capire meglio anche questo aspetto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mitolo. Ne ha facoltà.

PIETRO MITOLO. Signor Presidente, signor sottosegretario, anche noi rileviamo che il decreto in esame non è del tutto soddisfacente e condividiamo talune delle osservazioni già esposte dal collega Giannattasio. Ricordiamo però che, indubbiamente, l'Italia è impegnata da accordi e decisioni di carattere internazionale, non solo dell'ONU e dell'OSCE. Non dimentichiamo neppure che questo decreto-legge si riferisce ad uno precedente con il quale il Parlamento italiano ha deciso di intervenire nella situazione albanese e in Bosnia-Erzegovina. In quella occasione abbiamo espresso un voto favorevole, sottolineando le conseguenze che sarebbero derivate da tale decisione e gli obblighi che essa avrebbe comportato per l'Italia in una situazione particolare, che è tuttora delicata e difficile.
Non si può certo ritenere che, trascorso il periodo di tempo nel quale l'Italia si è impegnata, la situazione sia definitivamente chiarita e risolta: sono tuttora necessari interventi per cercare di aiutare quelle popolazioni a tornare ad una vita normale, in particolare in Albania, dove abbiamo convenuto di inviare un gruppo di esperti per sostenere il ripristino del funzionamento dell'esercito e della polizia, in modo da far fronte ad una situazione sempre più delicata e difficile, conseguente al precedente dissolvimento delle stesse forze militari e di polizia.
Certo, non ci nascondiamo le difficoltà che possono intervenire. Abbiamo convenuto di costituire una commissione con il compito di fornire consulenza ed assistenza.
La situazione dopo questi interventi non è ancora soddisfacente, tant'è che si è prospettata l'esigenza di prorogare il nostro intervento di sei mesi, se non vado errato.
Non credo, signor sottosegretario, che in questi sei mesi riusciremo a condurre a termine il lavoro che ci siamo prefissi. Credo che dovremo tornare ancora a svolgere una funzione di sostegno soprattutto all'Albania e credo anche che vi siano ragioni per organizzare un intervento in Puglia, visto che tale regione deve fronteggiare il problema degli sbarchi clandestini e numerose altre difficoltà che indubbiamente incidono sulla situazione interna.
Tale regione, ben a proposito, chiede di essere considerata regione di frontiera, con uno status particolare ed il ministro Napolitano ed il Presidente del Consiglio mi pare abbiano promesso in Senato un intervento in tal senso. Non se n'è fatto


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nulla, però, e noi rileviamo questa mancata osservanza di un impegno assunto pubblicamente. Raccomandiamo che nel più breve tempo possibile si tenga conto della necessità di provvedere al riguardo. Peraltro, anche la conferenza dei poteri locali del Parlamento europeo, che ha visitato la Puglia, si è espressa in senso favorevole a tale soluzione e credo che l'occasione sia propizia per impegnare il Governo ad assumere un provvedimento ad hoc nel più breve tempo possibile.
Noi non possiamo sottovalutare l'importanza della missione italiana anche con riferimento ai paesi nominati nel decreto-legge, cioè Brcko e Hebron, in quanto si tratta di contingenti che, pur essendo modesti, comportano oneri di non poca rilevanza, sui quali si sono soffermati già altri colleghi.
La discrepanza di trattamento tra le due situazioni di Brcko e di Hebron non è a nostro avviso giustificabile. Tutto ciò lascia pensare che vi sia una certa disfunzione e sicuramente un trattamento non omogeneo, che deriva da considerazioni che non riusciamo a giustificare e che non sono state giustificate neppure nel corso del dibattito svoltosi in Commissione. Terremo certamente conto di quello che è stato il nostro atteggiamento nella fase iniziale di tali provvedimenti; vogliamo peraltro richiamare il Governo a fornire informazioni puntuali e precise non solo in Commissione ma anche in quest'aula. Ci permettiamo di richiamare il Governo in questo momento in cui sta scoppiando la mina del Kossovo. Non credo sia questa la sede più appropriata per parlare di tale problema; speriamo di potercene occupare sulla base di informazioni più precise che mi auguro il Governo vorrà fornirci dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni. La situazione dei Balcani, comunque, continua ad essere assai precaria, delicata e difficile e noi dobbiamo agire con il massimo senso di responsabilità e con cautela, non solo nell'interesse di quelle popolazioni ma in modo precipuo nell'interesse della nostra popolazione e delle Forze armate che impegniamo in missioni tanto onerose.
Mi riservo di indicare in sede di dichiarazione di voto il nostro atteggiamento dopo aver ascoltato le risposte del Governo e dopo l'esame degli articoli e dei relativi emendamenti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Teresio Delfino. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, il decreto-legge in esame offre l'occasione per avviare un dibattito sull'azione del Governo in politica estera ed ha anche evidenti implicazioni per quanto riguarda la politica militare.
È a nostro avviso necessaria una riflessione profonda sulla collaborazione italiana con l'Albania, perché riteniamo che sia quel martoriato paese sia le altre realtà cui si riferisce il provvedimento (cioè la Bosnia e i territori dell'autonomia palestinese) abbiano l'esigenza di un rapporto serio, concreto, pieno rispetto all'azione che abbiamo condotto assieme ad altri paesi nell'ambito delle risoluzioni dell'ONU. È evidente, infatti, che il Parlamento ha bisogno di comprendere fino in fondo quale sia il ruolo che il nostro paese gioca nelle realtà considerate, quali siano gli obblighi derivanti da accordi internazionali che ci eravamo assunti e, rispetto a tali obblighi, quali siano i risultati e gli elementi evolutivi e quali le motivazioni (che dalla lettura del provvedimento non emergono in termini puntuali) che sono alla base delle proroghe richieste.
Siamo quindi in linea generale disponibili al rispetto da parte del nostro paese degli accordi internazionali sottoscritti; richiediamo però al Governo di offrire al Parlamento un quadro politico-economico aggiornato e complessivo sulla nostra presenza in Albania, in Bosnia e in Hebron.
Riteniamo che su questo versante ci sia nel nostro paese troppa disattenzione; la nostra autorevolezza è ancora inadeguata rispetto alle operazioni, alle missioni umanitarie e di pace cui in queste realtà siamo chiamati a contribuire. Crediamo vi sia dunque davvero la necessità di disporre


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anche in questa occasione, magari nel corso di altri dibattiti parlamentari, del conforto di un'ampia disamina delle ragioni, delle azioni, delle iniziative che portiamo avanti nell'ambito delle risoluzioni ONU per contribuire a sviluppare i processi di pace in queste martoriate aree interessate dal provvedimento in discussione. È il momento di verificare quale sia l'influenza, il ruolo del nostro paese nell'area dei Balcani; quale sia la nostra capacità di contribuire a soluzioni che riconoscano i diritti delle popolazioni e vadano nella direzione auspicata dal Parlamento quando in passato ha contribuito a rendere possibile lo svolgersi delle missioni umanitarie e di pace.
Siamo preoccupati non perché, come abbiamo sentito dire oggi, sopportiamo delle spese (anche se esse comunque pesano su un bilancio statale assai scarno di risorse, tutte piegate alle esigenze dei parametri di Maastricht), ma perché non conosciamo la reale evoluzione del processo di pacificazione, non conosciamo i risultati della nostra presenza né sappiamo quale sia l'incidenza e l'efficacia dei nostri interventi di tutela dei diritti umani laddove operano i nostri contingenti militari. Anche l'attuale drammatica crisi del Kossovo (la provincia jugoslava a maggioranza albanese teatro di sanguinosi scontri tra la polizia di Belgrado e i secessionisti) evidenzia la necessità che il Governo sviluppi un forte e convinto coinvolgimento dell'intera Unione europea. Credo non siano sufficienti, signor sottosegretario, i pur nobili auspici del Presidente del Consiglio Prodi (riportati anche dalla stampa questa mattina oltre che nei giorni scorsi), quando dice che l'Europa deve intervenire come espressione unitaria dell'Unione europea. Al di là di questo vogliamo avere risposte più puntuali e più stringenti circa l'azione condotta dal nostro paese per smuovere la Comunità europea ad un'iniziativa politica capace di rafforzare i processi democratici in Albania come in Bosnia, capace di evitare che il Kossovo precipiti drammaticamente in una spirale di violenza sempre più tragica.
Rispetto poi a quanto previsto dall'articolo 3-bis, vale a dire le missioni in Hebron, riteniamo che la posizione europea sia molto timida e contraddittoria rispetto all'esigenza di sbloccare finalmente il grave stallo nei negoziati tra Israele e Autorità nazionale palestinese.
L'Unione europea, nei confronti di quell'area, dello stato di Israele e del complesso della situazione mediorientale, ha anche una capacità autonoma, una possibilità di iniziativa forte, sotto il profilo politico ed economico, che io credo non abbia finora speso in maniera unitaria, in maniera decisa. Chiunque sia in grado di recarsi in quelle aree può verificare come le tensioni esistenti non possano non essere superate da un autentico processo di pace tra Israele ed autorità palestinese; ma noi - sono stato recentemente in quel paese - non constatiamo in quella sede un ruolo autonomo dell'Unione europea, che sia in grado di rendere effettivamente più significative, più redditizie, più efficaci l'azione e la presenza dei nostri contingenti militari tramite le missioni di pace. Al di là, quindi, signor sottosegretario, dell'ottemperanza ad obblighi derivanti da accordi internazionali ai quali il nostro paese non può certamente esimersi di partecipare, non sono sufficienti questi provvedimenti di proroga delle nostre missioni. L'azione deve essere sviluppata e noi vogliamo ricevere dal Governo informazioni sia in ordine ai costi sia, soprattutto, in ordine all'iniziativa politica, affinché il processo di pace in quelle aree possa compiere veramente dei passi avanti, sul piano concreto delle azioni diplomatiche.
Venendo ancora più specificamente al provvedimento in esame, concordiamo con alcune osservazioni che sono state fatte circa la sua disomogeneità, ma di questo non ci scandalizziamo perché, pur nella diversificazione territoriale, gli obiettivi di fondo sono comuni e sotto questo profilo non credo che ci si possa esercitare nella critica tendente a richiedere provvedimenti differenziati. Tuttavia noi riteniamo che, qualora le risoluzioni lo avessero consentito - non ho qui con me i documenti -,

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sarebbe stato forse preferibile unificare le date di queste proroghe, evitando di approvare provvedimenti con efficacia retroattiva, riferiti a scadenze ormai già consumate.
Desidero anche rinnovare due nostre richieste al Governo, che possono essere ormai considerate antiche. La prima è volta a ricevere dal Governo (e so che la materia è stata anche oggetto di dibattito in sede di Commissione difesa) una risposta precisa sulla proposta di costituire un fondo apposito, nel bilancio del Ministero della difesa, per finanziare le missioni delle forze armate italiane all'estero. Riteniamo che in tal modo si renderebbe più leggibile il bilancio. Anche la V Commissione, a suo tempo, aveva evidenziato l'opportunità di creare un'apposita voce, che consentisse di conoscere quale sia la spesa complessiva che lo Stato italiano sopporta per il suo contributo - che io ritengo necessario - alle missioni umanitarie e di pace.
La nostra seconda richiesta riguardava un'altra questione fondamentale, ossia quella di definire una normativa che regolamenti in termini generali l'intervento dei militari italiani all'estero. Vediamo, infatti, che sovente nei decreti-legge si è costretti ad entrare nel dettaglio del trattamento economico e di tutta una serie di questioni che, a nostro giudizio, dovrebbero essere impostate e risolte in termini generali e non costituire, di volta in volta, materia di legislazione specifica.
Ho così esaurito la breve serie di riflessioni che intendevamo svolgere sulla materia, ferma restando, evidentemente, il nostro pieno sostegno all'azione dei nostri militari impegnati in queste missioni all'estero. Si tratta di missioni rischiose, per cui credo che i nostri ragazzi, i nostri concittadini, abbiano diritto ad avere tutto il supporto e tutta la partecipazione del Parlamento italiano. Ciò, tuttavia, non ci esime, signor Presidente, signor sottosegretario, dal chiedere al Governo di rispondere puntualmente alle questioni che abbiamo sollevato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Niccolini. Ne ha facoltà.

GUALBERTO NICCOLINI. L'occasione di esaminare e di approvare questo disegno di legge, che è già passato attraverso le Commissioni competenti, è un'occasione particolare, che ci costringe a parlare di politica estera. Ogni volta che parliamo dei problemi della Bosnia, dell'Albania, anche se trattiamo argomenti quasi burocratico-amministrativi in questo momento, non si può non sollecitare un discorso di politica estera, anche perché il teatro cui si riferiscono questi provvedimenti è sempre lo stesso.
Vorrei brevissimamente ricordare come fummo colti quasi di sorpresa quando la Slovenia volle distaccarsi dall'ex Jugoslavia: ci fu una guerra durata tre giorni, mi pare con due morti vicino a Gorizia e un morto vicino a Trieste, poi lo sgombero dell'esercito jugoslavo-serbo e la pace tornò. L'Italia, l'Europa, tutti dissero: «benissimo, meglio di così non poteva andare». Qualcuno disse: «state attenti perché il focolaio continua» e di fatti poi abbiamo avuto la tragedia della Bosnia, con i massacri in Croazia, in Serbia e in Bosnia e ancora una volta fummo quasi colti di sorpresa. Poi, lo scoppio del problema albanese e fummo colti di sorpresa. Oggi si parla del Kossovo (o della Kossova, a seconda delle interpretazioni linguistico-letterarie) e pare che ancora una volta mezzo mondo, ma soprattutto l'Italia, che è a pochi chilometri, venga colta quasi di sorpresa. E allora giustamente qualcuno dice: «stiamo attenti perché ci sono ancora la Macedonia ed il Montenegro», solo per restare sempre nello stesso quadrante.
Allora, credo che ad un certo momento dovremmo ipotizzare il problema balcanico non come una sommatoria di piccoli problemi regionali, etnici, locali, ma come un grande problema unico, perché gli attori gira e volta sono sempre gli stessi e quindi le motivazioni storiche a monte delle situazioni che si verificano oggi sono sempre le stesse. Di conseguenza, il discorso di politica estera non può essere


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finalizzato a mandare 52 soldati a Sarajevo o 37 a Pristina o 42 in Albania, perché occorre fare un ragionamento molto più ampio. Visto che l'Europa è sorda, è divisa, è ancora frenata da vecchi condizionamenti del passato, per cui avevamo la Germania più amica della Croazia e la Francia più amica della Serbia, con la conseguente difficoltà di metterle insieme a trattare, tocca a noi, tocca all'Italia farsi capofila di questo discorso in Europa. Tocca all'Italia, anche pensando al fatto che gli Stati Uniti d'America - la signora Albright è stata qui fino a quarantotto ore fa - prima o poi scaricheranno questo problema e lo scaricheranno sull'Europa e l'Italia, che è il più vicino paese di questo teatro di fuoco, è chiaramente la più coinvolta, quella che più ha bisogno di essere coinvolta nel portare avanti un discorso unitario.
Che un giorno saremmo dovuti arrivare a discutere di queste proroghe lo sapevamo già, tant'è vero che oggi siamo in marzo e discutiamo di prolungare la scadenza di questa proroga, già scaduta a novembre, fino al mese di giugno, ma sappiamo che fra venti giorni o un mese discuteremo di una prossima proroga da giugno in poi. Checché se ne dica, il fallimento di Dayton era nei fatti: chi è stato in quelle zone lo sapeva, lo dicevano tutti, anche gli osservatori americani ed europei che erano presenti a Sarajevo. Quindi, una soluzione diversa da quella studiata e imposta in quel momento a bosniaci, serbi e croati era inevitabile. Però, mi pare che finora su questo piano non ci siamo mossi. Non si è mosso nessuno; sappiamo che dovremmo fare qualcosa, ma non si è mosso nessuno. Continuiamo così a rifinanziare missioni. Per carità, è giusto farlo, anzi sappiamo già che questa proroga al 29 giugno non basta, che ci vorrà ancora un anno o due. Ma sappiamo soprattutto che ci vorrà un'altra impostazione e ritengo che il «fuoco» del Kossovo rappresenti un segnale molto serio perché è una derivazione della vicenda della Bosnia.
Non so se sia stata un'autonoma iniziativa della signora Albright o una spinta del Governo l'omaggio alla Comunità di sant'Egidio: una degnissima comunità alla quale diamo tutti riconoscimenti ma ho la sensazione che spesso la diplomazia italiana «scarichi» su di essa una diplomazia parallela per alcune operazioni che o non sappiamo o non vogliamo fare.
Purtroppo la Comunità di sant'Egidio - benemerita in tante situazioni - mi pare che sul piano diplomatico, relativamente alla vicenda algerina, abbia dimostrato alcuni limiti ben precisi. Ricordo la vicenda algerina perché in essa si inserisce quella concernente l'Islam. Ebbene quest'ultimo costituisce un elemento determinante ed importantissimo nella vicenda balcanica. Non vedo quindi come sia possibile «scaricare» su una comunità (peraltro degna e bravissima in un certo tipo di attività e di grande solidarietà umana) un tipo di iniziative diplomatiche che invece richiedono altri mezzi, misure, uomini e forze.
L'Islam è presente in Bosnia, in Albania e quindi nel Kossovo; ma ci sono altre presenze inquietanti: non sappiamo, o meglio sappiamo, quanto abbia manovrato la Grecia nella vicenda albanese, quanto abbiano manovrato la Turchia e i paesi islamici nella vicenda bosniaca. Mi pare dunque che il quadro sia estremamente complesso però - guarda caso - ha un unico grande riferimento.
Come diceva il collega Giannattasio (il quale ha fatto delle osservazioni di carattere burocratico-amministrativo mentre io ne faccio alcune di politica estera), senz'altro noi daremo la nostra approvazione a questo provvedimento di legge però riteniamo che non sia possibile fermarci qui; non possiamo darci un altro appuntamento al prossimo provvedimento di legge uguale a questo, tra alcuni mesi, perché pensiamo che un grande dibattito di politica estera concernente il teatro balcanico vada impostato in Parlamento, sperando magari che in aula vi sia qualcuno in più... Anzi, a proposito di questo, Presidente, tranquillo perché quando esco spengo la luce anch'io!

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PRESIDENTE. Non è un suo compito!

GUALBERTO NICCOLINI. Si tratta di un provvedimento «drammatico» pensando non ai quaranta, ai cinquanta o ai cento soldati ma a ciò che può avvenire. Vorremmo intanto proporre al Governo, in termini informali riservandoci poi di presentare degli ordini del giorno e delle mozioni, di farsi capofila di un grande tavolo balcanico a cui partecipino l'Europa, la Serbia, la Bosnia, la Croazia, la Grecia, l'Albania, la Turchia e i rappresentanti dell'Islam: tutti presenti ad un'unica grande conferenza finalizzata al problema balcanico che non è ... cento ma uno pur con varie sfaccettature, una è più pericolosa dell'altra.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Nardini, iscritta a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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