![]() |
![]() |
![]() |
ENNIO PARRELLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ENNIO PARRELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei far presente che, nella precedente seduta in cui si discusse il caso Cito, venne fatto circolare un documento che rese necessario il rinvio alla Giunta degli atti per il riesame degli stessi, perché era doveroso prendere in
PRESIDENTE. Poiché lei sta chiedendo la restituzione in Giunta degli atti, vorrei sapere quale sia l'avviso del presidente della Giunta al riguardo.
IGNAZIO LA RUSSA, Presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio. Signor Presidente, onorevoli colleghi, effettivamente, dopo che la Giunta aveva espresso il proprio parere - come sapete, si trattava del secondo parere, perché alla Giunta erano stati restituiti gli atti dopo un voto dell'Assemblea in tal senso - sono arrivati degli ulteriori documenti che attengono ad un incidente probatorio, vale a dire ad una risposta del GIP ad una istanza dei difensori dell'onorevole Cito. Questa comunicazione è stata resa all'ufficio di presidenza della Giunta appositamente convocato. Per la verità - e mi rivolgo all'amico Parrelli - in quella sede non è stata avanzata alcuna richiesta di restituzione degli atti in Giunta, anche perché vi è già stato una sorta di ping-pong e continuare in tal senso non sembra particolarmente produttivo.
PRESIDENTE. Presidente La Russa, mi può chiarire un aspetto che non ho compreso, ma per mia défaillance: il documento è già all'attenzione della Giunta o no?
IGNAZIO LA RUSSA, Presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio. Sì, è già stato messo a disposizione dei componenti della Giunta. Ne sono stati informati i componenti dell'ufficio di presidenza con la preghiera di ragguagliare personalmente i colleghi al riguardo e comunque gli uffici ne hanno dato notizia.
PRESIDENTE. Onorevole Parrelli?
ENNIO PARRELLI. Posso accedere a questa richiesta perché vi è la necessità urgente di assumere una decisione, ma è certo che dobbiamo rivedere le regole.
PRESIDENTE. La questione che si pone al momento è la seguente: lei insiste, dopo l'intervento del presidente La Russa, nella richiesta di restituzione degli atti alla Giunta o no? Nel caso in cui insista, dovrei dare la parola ad un oratore e ad uno contro e poi sottoporre al voto la sua richiesta.
ENNIO PARRELLI. Signor Presidente, sono disposto a ritirare la mia richiesta, ma vorrei spiegarne il motivo. Il motivo è che, trattandosi di concedere l'autorizzazione all'arresto di un deputato, si pone la necessità di una decisione urgente; non posso però non sottolineare con forza che non possiamo continuare a lavorare con regole «ballerine», perché una volta si fa in un modo e un'altra volta si fa in un altro.
PRESIDENTE. Non è una questione di regole ma di deliberazioni dell'Assemblea. Una volta l'Assemblea ha deliberato in un modo e ora, se lei fa una richiesta formale, l'Assemblea è libera di deliberare anche in un altro modo. La regola sulla quale l'Assemblea delibera è sempre la stessa, anche se può decidere in un modo o in un altro. Questo rientra nell'ambito della politica e non nelle regole.
ENNIO PARRELLI. Va bene, signor Presidente. Per il superiore interesse dell'onorevole Cito, che ha diritto ad una decisione rapida, ritiro la mia richiesta.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Parrelli.
IGNAZIO LA RUSSA, Presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio. Credevo che fosse presente, per la verità.
PRESIDENTE. In genere i relatori dovrebbero essere presenti.
IGNAZIO LA RUSSA, Presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio. Non sono stato preavvisato della sua assenza.
GIOVANNI MARINO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARINO. Signor Presidente, è opportuno, a mio giudizio, che anche i deputati prendano visione di questo nuovo documento, di cui non sappiamo nulla.
PRESIDENTE. Sentiamo il presidente della Giunta.
IGNAZIO LA RUSSA, Presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il GIP presso il tribunale di Taranto, con nota del 6 novembre 1997, chiedeva al Presidente della Camera dei deputati di avviare la procedura per la concessione dell'autorizzazione a procedere all'arresto del deputato Giancarlo Cito.
PRESIDENTE. Continui lei, onorevole La Russa. Non si può infatti fare una «staffetta»; anche perché l'onorevole Berselli non saprebbe a che punto intervenire.
IGNAZIO LA RUSSA, Presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio. Occorre altresì rilevare che, allorché sarebbero intervenuti i fatti contestati e cioè nel 1996, l'onorevole Cito non era più sindaco di Taranto, perché sospeso da tale funzione fin dal 16 dicembre 1995 (cioè, quasi un anno prima), e quindi, al di là delle facili e strumentali illazioni, non aveva alcun effettivo potere per influire sulle determinazioni della locale amministrazione comunale.
PRESIDENTE. Onorevole La Russa, lei sta facendo uno sforzo notevole, ma devo avvisarla che il suo tempo è scaduto. Quindi valuti lei.
IGNAZIO LA RUSSA, Presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio. Non essendo relatore, Presidente, non mi sono permesso di tagliare alcunché della relazione scritta. La restante parte, di cui mi apprestavo a dare lettura, riguarda le circostanze che hanno dato luogo al rinvio alla Giunta: la vicenda è conosciuta dai colleghi.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole La Russa. La sua proposta, come al solito, è saggia.
FRANCESCO BONITO. Sì, signor Presidente.
PRESIDENTE. Sta bene.
FILIPPO BERSELLI. Signor Presidente, dopo che la Giunta si è espressa modificando la precedente decisione ed ha deciso di respingere la richiesta di autorizzazione all'arresto, sono pervenute ulteriori carte. Mi riferisco alla decisione del tribunale per il riesame, pronunciatosi su una impugnativa proposta dalla difesa dell'onorevole Cito avverso la decisione del GIP (il quale, lo ricordo nuovamente, aveva dichiarato inammissibile la richiesta di revoca della misura cautelare, ritenendosi spogliato della vicenda una volta incardinato il procedimento di fronte alla Camera dei deputati). Vi ricorderete che la questione era stata rinviata alla Giunta proprio in considerazione di questa abnorme decisione del giudice per le indagini preliminari. Da essa la Giunta ha tratto motivo ed argomento per dedurre quel fumus persecutionis che già appariva in qualche modo dalle altre carte entrate in possesso della Giunta stessa (la decisione del GIP di rimettere in libertà, a seguito dell'incidente probatorio, i due coimputati senza tuttavia revocare la misura cautelare nei confronti dell'onorevole Cito).
ANTONIO BORROMETI. Il problema è superato; stiamo discutendo nel merito.
FILIPPO BERSELLI. Appunto. È stato superato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bonito, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BONITO. Presidente, onorevoli colleghi, prendo la parola senza la passione che solitamente metto nei miei interventi. Dico questo perché ho l'impressione che vi sia un copione già scritto e che autorizzazioni all'arresto di un deputato rientrino ormai tra le cose impossibili.
PRESIDENTE. Onorevole Bonito, ha ancora mezzo minuto di tempo.
FRANCESCO BONITO. Non vedo quindi, su quale presupposto logico si possa arrivare alla conclusione che quell'atto procedimentale sia sintomo e prova di un particolare accanimento processuale.
PRESIDENTE. Onorevole Bonito, il suo tempo è esaurito.
FRANCESCO BONITO. Concludo pertanto che voterò contro la proposta del relatore, invitando l'Assemblea a fare altrettanto.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giuliano. Ne ha facoltà.
PASQUALE GIULIANO. La vicenda di cui ci occupiamo è già venuta all'esame di questa Assemblea qualche mese or sono.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Meloni. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MELONI. Presidente, anch'io, come ha detto poc'anzi l'onorevole Bonito, provo un certo disagio nell'intervenire su questa vicenda, non soltanto perché si ha la sensazione che vi sia un copione già scritto, ma perché sembra che in qualche modo questa Assemblea stia approfondendo il solco entro il quale sta stabilendo che non sono possibili richieste di autorizzazione all'arresto o ad altre misure nei confronti di un parlamentare.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.
SERGIO COLA. Signor Presidente, devo dare atto all'onorevole Bonito di aver cambiato opinione in ordine al concetto di fumus persecutionis. Egli ha riferito che
PRESIDENTE. Onorevole Cola, dovrebbe concludere, perché sta sottraendo tempo ai suoi colleghi.
SERGIO COLA. Ho finito, Presidente. L'ultima notazione è quella sul pericolo di reiterazione, che come motivazione è veramente ridicola. Non possiamo non entrare nel merito di questo discorso, che è di carattere prettamente politico. Il pericolo di reiterazione è connesso esclusivamente alla funzione politica e alla pregnanza politica che ha sul territorio tarantino Cito, per essere stato eletto prima sindaco e poi deputato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borrometi. Ne ha facoltà. Lei ha quindici minuti a sua disposizione.
ANTONIO BORROMETI. Sarò certamente più breve. Questa vicenda presenta alcune singolarità, poiché dopo l'iniziale valutazione che ne ha fatto la Giunta si è inserito un fatto nuovo, che a mio modo di vedere ha radicalmente mutato la situazione nella quale la Giunta aveva espresso il suo iniziale parere. Si tratta di una modifica significativa, costituita dalla circostanza che tutti i coimputati dell'onorevole Cito sono stati scarcerati ed è cambiato totalmente il quadro processuale esaminato inizialmente dalla Giunta, specie ove si consideri la motivazione con la quale il GIP ha disposto la revoca dell'ordinanza di custodia cautelare nei confronti degli altri coimputati. Si legge testualmente in questa ordinanza che: «non esistono più pericoli in ordine all'acquisizione e genuinità della prova, costituita peraltro da un considerevole supporto documentale». Questa è la frase usata dal GIP del tribunale di Taranto. Ebbene, proprio tale motivazione, a mio avviso, rende palesemente inutile il provvedimento di custodia cautelare nei confronti dell'onorevole Cito, perché essa si riferisce ad un fatto per il quale il giudice che aveva disposto il provvedimento non ritiene più alterabile il materiale probatorio agli atti. Viene in buona sostanza a
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Veltri, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
MICHELE SAPONARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel momento in cui si sta scrivendo una nuova Costituzione faticosamente e certamente anche attraverso compromessi e non attraverso ricatti (come è stato detto e che spero non rimanga impunito) è doloroso constatare che quella attualmente in vigore è apertamente violata. Mi riferisco agli articoli 27 e 13 della Carta costituzionale. L'articolo 27 recita: «L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva», mentre l'articolo 13 prevede la privazione della libertà personale soltanto con atto motivato ed in determinati casi e nei soli casi e modi previsti dalla legge. Nonostante questo, oggi si chiede l'arresto di Giancarlo Cito e si ignora il discorso elevatissimo che ha pronunziato il Presidente Scàlfaro a fine anno, discorso che ha riscosso grandi applausi e solo qualche personale ed interessato dissenso. Si ignora, inoltre, l'ammonimento del Presidente Violante secondo il quale bisogna rispettare il plenum dell'Assemblea e procedere all'arresto di un parlamentare solo in casi eccezionali e in casi ritenuti assolutamente necessari.
PRESIDENTE. Onorevole Saponara, il tempo a sua disposizione è terminato.
MICHELE SAPONARA. Concludo dicendo che mi associo, ovviamente, alla proposta della Giunta di respingere l'istanza di arresto per Giancarlo Cito (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Sgarbi (capisco che l'ora è «mattutina»...), iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
VALTER BIELLI. Signor Presidente, colleghi, già qualche altro collega ha evidenziato il fatto che forse ci troviamo di fronte ad una decisione già assunta. Mi auguro che non sia così, soprattutto perché credo che debbano essere gli atti e i fatti a far assumere ai deputati una decisione conseguente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marino, al quale ricordo che dispone di tre minuti. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prendo brevemente la parola per richiamare l'attenzione dell'Assemblea sul fatto che a mio giudizio non sussistono le esigenze di misure cautelari rispetto alle quali, pertanto, è opportuno svolgere qualche altra riflessione. Faccio riferimento in particolare alle circostanze sopravvenute all'ordinanza di custodia cautelare, vale a dire, onorevoli colleghi, all'incidente probatorio del 19 dicembre 1997, alla conseguente revoca dell'ordinanza di custodia cautelare e alla successiva istanza dell'onorevole Cito per chiedere la revoca dell'ordinanza di custodia cautelare, e da ultimo - la sorpresa - l'ordinanza del tribunale della libertà.
GIOVANNI MARINO. L'istanza di revoca dell'onorevole Cito è stata rigettata dallo stesso GIP con una motivazione semplicemente aberrante: egli ha scritto in sostanza che l'onorevole Cito non aveva interesse a chiedere la revoca di una misura cautelare in itinere perché la Camera non si era ancora pronunciata. In pratica l'onorevole Cito, secondo questo giudice, avrebbe desiderato di varcare la soglia del carcere per poi essere liberato: una cosa veramente incredibile, aberrante. Non è stato difficile per il tribunale della libertà dimostrare l'erroneità e l'infondatezza dell'argomentazione del GIP.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Iacobellis. Ne ha facoltà.
ERMANNO IACOBELLIS. Signor Presidente, quando ieri - dopo una estenuante discussione su un analogo caso concernente il collega Cito - ci si avviava alla votazione, vista l'aria che spirava all'interno del mio gruppo ho pensato ad un «commodus discessus»: non ho votato e sono andato al cinema.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cito, al quale ricordo che ha quindici minuti di tempo. Ne ha facoltà.
GIANCARLO CITO. Nella mia vita non ho mai preteso nulla ed anche nelle presenti circostanze ho solo cercato di esporre quanto mi sta accadendo. Come ho detto ieri, ripeto anche oggi che non riesco a ricoprire il ruolo della vittima. Quando chiedo un parere, cerco di rivolgermi ad una persona più competente di me; ed infatti, la persona di cui sto parlando è un tecnico del diritto. E gli ho chiesto: fammi il piacere, cerca di risolvere il problema per qualcosa che non ho fatto o per qualcosa che ho fatto.
PRESIDENTE. Colleghi, per favore!
GIANCARLO CITO. Alla fine, sono state arrestate tre persone per lo stesso reato e sono state in galera per 45 giorni. Poi sono state messe in libertà il giorno successivo all'incidente probatorio.
PRESIDENTE. Colleghi, per favore!
GIANCARLO CITO. L'onorevole Bonito ha dichiarato che ci sono le prove del fatto che sono stati dati i soldi, che c'è il controllo delle banche. Non è che si fa come si è fatto ieri, quando un collega che è intervenuto ha fatto la distinzione tra il terzo ed il primo piano, ma in realtà non c'è nessuna prova perché la palazzina è unica in quanto i piani sono collegati con una scala a chiocciola e non esiste una porta che divide un piano dall'altro? Lei, onorevole Bonito, mi dovrebbe spiegare con la massima umiltà da quali conti ha dedotto che il reato sia stato commesso. C'è soltanto la dichiarazione a senso unico di un signore, che deve spiegare alla città di Taranto e all'Italia intera (visto che stiamo in Parlamento) perché non ha registrato le parole di Giancarlo Cito quando è venuto al mio domicilio! Non lo ha dichiarato nemmeno nell'incidente probatorio; ha detto soltanto che non portava con sé il registratore perché, se me ne fossi accorto, lo avrei ammazzato. Questa è la scusa che ha sostenuto davanti al GIP che stava conducendo l'incidente probatorio!
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
considerazione quel documento, che risultava favorevole all'onorevole Cito, e perché la Camera non poteva deliberare senza il parere compiuto della Giunta medesima.
Si verifica oggi la situazione opposta: il tribunale della libertà, pronunciandosi sul ricorso dell'onorevole Cito rispetto al provvedimento del giudice per le indagini preliminari che aveva determinato il rinvio alla Giunta, ha dichiarato ammissibile il ricorso contro la restrizione della libertà personale dell'onorevole Cito ed è entrato nel merito della stessa.
Il fatto importante è che ci troviamo di fronte ad un nuovo documento, sia pure di segno opposto rispetto all'altro. Ne consegue, a mio avviso, che le regole debbono essere uguali per tutti in tutti i tempi ed in ogni caso. Pertanto, se nel caso precedente siamo tornati in Giunta, anche in questo caso, a mio avviso, abbiamo il dovere di rinviare gli atti alla Giunta.
A questo punto il relatore può tener conto di questo nuovo documento, così come l'Assemblea, nel corso della discussione.
Invito l'onorevole Parrelli a rivedere la propria richiesta in modo che non si arrivi ad un voto perché non credo che la Giunta si sia espressa nella direzione da lui indicata.
Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Berselli...
Onorevole presidente della Giunta, vuole sostituire il collega relatore?
Onorevole La Russa, ha facoltà di parlare.
L'ordinanza di custodia cautelare allegata alla richiesta riguarda, per i capi di imputazione che ci interessano, il deputato Cito, il signor Giuseppe Panico, cognato dell'onorevole Cito, ed il signor Gaetano De Cosmo, sindaco del comune di Taranto.
In sostanza, l'onorevole Cito è indagato, in concorso con Panico e De Cosmo, nel reato di concussione continuata per aver indotto Domenico Illiano, gestore di una ditta di traslochi di cui è titolare la moglie Rosa Cervelli, a corrispondere la somma di lire 50 milioni, versata direttamente e materialmente dall'Illiano al Panico, al fine di concedere alla ditta Cervelli il rinnovo di altri due anni di un contratto di appalto già stipulato con il comune di Taranto per il servizio di fornitura, manovalanza e mezzi di trasporto, rinnovo avvenuto con delibera n. 87 del 19 gennaio 1996, emanata dalla giunta comunale presieduta dal sindaco De Cosmo; nonché a corrispondere la somma di lire 30 milioni, materialmente consegnata al Panico, per garantire la effettiva esecuzione dei lavori previsti dal contratto di facchinaggio e trasporto stipulato tra il comune di Taranto e la ditta Cervelli in data 9 febbraio 1996.
La Giunta, nella seduta del 10 dicembre 1997, a maggioranza si esprimeva per la concessione dell'autorizzazione all'arresto dell'onorevole Cito, mentre l'Assemblea, il 14 gennaio 1998, decideva per la restituzione degli atti alla Giunta medesima la quale, in data 11 febbraio 1998, si esprimeva questa volta per il diniego dell'autorizzazione all'arresto del suddetto parlamentare.
L'articolo 273 del codice di procedura penale prevede, al primo comma, che «nessuno può essere sottoposto a misure
cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza». Occorre quindi preliminarmente verificare se gli indizi a carico dell'onorevole Cito siano così gravi da giustificare il suo arresto.
Alla pagina 5 dell'ordinanza del GIP si legge testualmente che «la parte lesa - cioè l'Illiano - unitamente alla denuncia ha depositato 5 audio cassette relative ai colloqui avuti con il Panico Giuseppe dal febbraio al maggio 1996 e ad una conversazione telefonica relativa al febbraio dello stesso anno».
Ebbene, in tali registrazioni non compaiono mai la voce dell'onorevole Cito e quella del De Cosmo, che non possono quindi venire in modo alcuno coinvolti da colloqui intervenuti tra terzi.
È peraltro davvero assai strano che, mentre sostiene di aver avuto incontri con l'onorevole Cito e con il sindaco De Cosmo, l'Illiano, così esperto in registrazioni (ne ha fatte cinque nei confronti del terzo imputato), non abbia registrato mai le suddette pretese conversazioni, così come invece aveva fatto con il Panico.
Signor Presidente, essendo giunto in aula il relatore sul documento IV, n. 9-AR, onorevole Berselli, preferisce che prosegua io nella lettura della relazione della Giunta?
In sostanza, davanti alla negativa dell'onorevole Cito restano soltanto le affermazioni dell'Illiano non suffragate da alcun serio e concreto elemento di effettivo riscontro.
Il Panico ha peraltro ammesso le proprie responsabilità, inquadrandole però in un quadro corruttivo e non concussivo, e ribadendo l'assoluta estraneità alla vicenda dell'onorevole Cito e del De Cosmo.
L'onorevole Cito ha ricordato che i propri rapporti con il cognato Panico (preciso, una volta per tutte, che si usa l'espressione «cognato», che è quella utilizzata dai magistrati. In realtà, il Panico non è il cognato di Cito, ma è un affine; anzi, non è neanche un affine: adfine inter se non sunt adfines. Quindi, in sostanza, non è neanche un parente, ma per comodità utilizziamo la stessa terminologia un po' stranamente usata dai magistrati) non erano mai stati buoni e che nel 1991 era stato da lui aggredito e che solo recentemente essi si erano riconciliati per accontentare il suocero.
L'onorevole Cito non si è limitato a sostenere la propria estraneità ai fatti contestategli, ma in data 11 novembre 1997 ha presentato alla procura della Repubblica presso il tribunale di Taranto una circostanziata denuncia nei confronti dell'Illiano per il reato di calunnia.
L'onorevole Cito sostiene di essere vittima di una vera e propria persecuzione da parte dei magistrati di Taranto ed ha prodotto i seguenti esposti con cui, in epoca non sospetta, aveva denunciato la situazione che si era creata in suo danno e che venissero disposte ispezioni alla procura della Repubblica presso il tribunale di Taranto (nella relazione, per errore, si fa riferimento al tribunale di Catania).
In primo luogo, ha presentato un esposto il 19 dicembre 1995 al Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Lamberto Dini, all'epoca ministro di grazia e giustizia ad interim, ed al Consiglio superiore della magistratura.
In secondo luogo, ha presentato un esposto il 3 gennaio 1996 al Presidente del Consiglio dei ministri onorevole Lamberto Dini, all'epoca ministro di grazia e giustizia ad interim.
In terzo luogo, ha presentato un esposto il 18 gennaio 1996 al Presidente della Repubblica nella sua qualità di Presidente del CSM, allo stesso Consiglio superiore della magistratura, al Presidente del Consiglio dei ministri onorevole Dini, nella sua qualità di ministro di grazia e giustizia ad interim, ed al procuratore generale presso la Corte di cassazione.
In quarto luogo ha presentato un esposto il 9 marzo 1996 al Presidente della Repubblica nella sua qualità di Presidente del CSM, al Consiglio superiore della magistratura stesso e via dicendo.
In quinto luogo ha presentato un esposto il 23 giugno 1997 al Presidente della Camera dei deputati ed al ministro di grazia e giustizia.
In sesto luogo, infine, ha presentato un esposto il 1 luglio 1997 sempre al Presidente della Camera dei deputati ed al ministro di grazia e giustizia.
Non solo, ma quale deputato l'onorevole Cito ha presentato numerose interrogazioni al ministro di grazia e giustizia denunciando anche in quella sede quelle che lui riteneva fossero delle persecuzioni che erano state poste in essere nei suoi confronti e chiedendo che fossero disposte ispezioni alla procura della Repubblica presso il tribunale di Taranto. Si tratta di numerose interrogazioni, ma tra esse il relatore ne segnala una presentata il 29 maggio 1996 ed altre due presentate rispettivamente il 2 luglio ed il 10 ottobre del 1996.
Il vecchio codice di procedura penale prevedeva la necessità di «sufficienti» indizi di colpevolezza per l'adozione di misure cautelari mentre, come si è visto, per quello attualmente in vigore gli indizi non devono essere più sufficienti ma «gravi» e cioè indizi di indubbia maggiore consistenza. Un indizio può essere «sufficiente» per sostenere l'accusa, ma non per poter disporre la custodia cautelare.
Per la Suprema Corte «gli indizi debbono essere tali che consentano di pervenire ad un giudizio di alta probabilità di commissione del reato e di attribuibilità all'indagato».
Occorre pertanto, così come insegna la Suprema Corte, un prudente apprezzamento del magistrato. Noi non crediamo alla congiura prospettata dall'onorevole Cito ed in qualche misura documentata con esposti ed interrogazioni, ma è certo che da parte della magistratura tarantina sia mancato proprio quel «prudente apprezzamento» che ha finito per risolversi in un vero e proprio accanimento giudiziario nei suoi confronti, con cui si sono trasformati semplici indizi in gravi indizi, tali da determinare la richiesta della di lui custodia cautelare.
Il GIP assume che nella specie le esigenze cautelari sarebbero quelle previste dalla lettera a) (pericolo di inquinamento delle prove) e dalla lettera c) (pericolo di reiterazione dei reati) dell'articolo 274 del codice di procedura penale.
Per quanto riguarda il pericolo di inquinamento probatorio, il GIP ne sostiene la sussistenza sul presupposto che sarebbero necessarie ulteriori indagini per individuare responsabilità di altri dipendenti del comune di Taranto e di altri imprenditori coinvolti in altre vicende. Secondo il GIP «l'ascolto dei predetti potrebbe essere gravemente pregiudicato dalla permanenza in libertà di Cito Giancarlo, De Cosmo Gaetano e Panico Giuseppe i quali (...) possono fare il bello e cattivo tempo e che per i rispettivi ruoli hanno dimostrato di avere enorme influenza nei confronti dei dipendenti comunali costretti a sottostare al loro volere anche quando riscontravano l'illegittimità delle procedure (denuncia Illiano)».
In sostanza, il GIP fa discendere il pericolo di inquinamento delle prove non da elementi concreti, ma unicamente da quanto riferito dall'Illiano nella propria denuncia e non confermato da alcuno, tant'è che il GIP, come si è visto, per argomentare il pericolo di inquinamento probatorio fa riferimento sempre e soltanto al denunciante.
La Corte di cassazione ha statuito che «in tema di misure cautelari il pericolo per l'acquisizione e la genuinità della prova deve essere concreto e va identificato
in tutte quelle situazioni in cui si possa desumere secondo la regola dell'id quod prerumque accidit, che l'indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti. È necessario che il giudice indichi con riferimento all'indagato le specifiche circostanze di fatto con le quali ha desunto e fornisca sul punto adeguata e logica motivazione».
Tutto ciò nel caso dell'onorevole Cito non è però accaduto. Il precedente relatore di maggioranza, onorevole Silvana Dameri, nelle ultime righe della pagina 3 della propria relazione, quella precedente al rinvio in Giunta, scriveva: «non può tacersi infine - con riferimento al pericolo di inquinamento delle prove - il fatto che l'Illiano ha subito un grave attentato dinamitardo alle sue attrezzature di lavoro. Non vi sono elementi per collegare tale attentato alla sua testimonianza: esso è tuttavia un indice del clima complessivo nel quale l'intera vicenda si svolge».
O si hanno elementi per sostenere che tale preteso attentato sia riferibile alla vicenda che ci interessa, e allora è giusto richiamare tale episodio, ma se essi mancano (e mancano clamorosamente) allora certe cose è opportuno non dirle e non scriverle.
Per quanto riguarda il pericolo di reiterazione di reati da parte dell'onorevole Cito, ribadiamo che quest'ultimo non solo non è più sindaco di Taranto, ma non riveste più alcuna carica presso quella amministrazione comunale e non si trova quindi in una posizione tale da poter svolgere ulteriori attività concussive, sempre che in passato egli le abbia davvero poste in essere.
Per concludere, gli indizi non sono gravi, vi è solo la denuncia dell'Illiano, denunciato a sua volta per il reato di calunnia dall'onorevole Cito. Non sussistono in concreto pericoli di inquinamento delle prove o di reiterazione di reati, anche perché dai fatti contestati ad oggi sono trascorsi circa due anni. Recentemente sono emerse peraltro due circostanze decisive per escludere il permanere di esigenze cautelari, sempre che in passato esse ci fossero state.
Davanti al GIP presso il tribunale di Taranto il 19 dicembre 1997 si è tenuto un incidente probatorio che ha rappresentato un significativo momento di confronto tra denunciante ed indagati.
A seguito di ciò, in data 20 dicembre 1997 il GIP, dottoressa Santella, ha revocato l'ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei coindagati Panico Giuseppe e De Cosmo Gaetano, sul presupposto che non esistevano più pericoli connessi all'acquisizione delle prove od alla reiterazione di reati, anche in funzione dell'«acquisizione di un considerevole supporto documentale».
Successivamente, dopo il provvedimento apodittico (mi permetto di definirlo così) in base al quale il magistrato dichiarava di ritenersi incompetente ad esaminare la richiesta di revoca della misura cautelare nei confronti dell'onorevole Cito, la Giunta si è riunita ed ha modificato il proprio parere, risolvendosi a proporre all'Assemblea di non accogliere la richiesta di arresto nei confronti dello stesso onorevole Cito. Subito dopo è pervenuta un'ulteriore documentazione. Ma poiché, come lei ha ricordato, Presidente, il mio tempo è scaduto, di questo argomento potrebbe occuparsi l'onorevole Berselli se lei volesse dargli la parola come primo oratore nella successiva discussione; in questo modo l'onorevole Berselli potrebbe indirettamente completare la relazione utilizzando il tempo a sua disposizione.
Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Bonito. Consente questo scambio, onorevole Bonito?
È iscritto a parlare l'onorevole Berselli. Ne ha facoltà.
La decisione del tribunale conferma che il giudice per le indagini preliminari aveva assolutamente la competenza a decidere in ordine alla richiesta di revoca della custodia cautelare in carcere, poiché una decisione in tal senso deve essere assunta in qualunque momento in cui la misura stessa non si appalesi più necessaria. Pertanto la decisione del GIP - il quale aveva ritenuto inammissibile la richiesta, sul presupposto che si sarebbe trovato spogliato della vicenda - è stata censurata dal tribunale in sede di impugnativa.
Ora si dice, però, che il tribunale - entrando nel merito - avrebbe ritenuto ancora necessario mantenere il provvedimento di custodia cautelare in carcere nei confronti del Cito. Questa circostanza assume un rilievo tale da dover riportare nuovamente la vicenda all'esame della Giunta per le autorizzazioni a procedere? Ad avviso di questo relatore, no.
Il citato orientamento rappresenta semplicemente una decisione del tribunale in sede di riesame: dell'opportunità (o meno) di mantenere la misura della custodia cautelare si dà una valutazione che a noi non interessa. Non siamo qui ad esaminare se il giudice del tribunale del riesame avesse o meno un motivo per confermare la sussistenza di elementi a favore del mantenimento o della revoca della misura cautelare. Qui noi dobbiamo stabilire se da parte della magistratura di Taranto vi fosse non tanto una persecuzione (che questo relatore esclude), ma un certo accanimento nei confronti del Cito: prima, infatti, viene richiesta la custodia cautelare; poi la stessa non viene revocata nel momento in cui interviene la decisione di scarcerazione nei confronti dei coimputati; infine, di fronte ad un'ulteriore richiesta, il giudice si dichiara incompetente e quindi considera inammissibile la nuova richiesta.
Noi ribadiamo un concetto: proprio la decisione del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Taranto, che aveva dichiarato inammissibile una richiesta che invece ammissibile era, è la prova provata - non voglio andare oltre i limiti della mia relazione - non di una persecuzione nei confronti dell'onorevole Cito, ma certamente di un evidente accanimento. Infatti, definire inammissibile
una richiesta di revoca di custodia cautelare come quella avanzata dai legali dell'onorevole Cito è incomprensibile dal punto di vista giuridico e quindi tale da poter essere interpretato, se non come persecuzione, certamente come accanimento giudiziario.
Per questi motivi ritengo che il nuovo documento, vale a dire la decisione del tribunale del riesame, non rilevi ai fini della decisione che dobbiamo adottare in questa sede.
Ho affermato nella relazione scritta che meglio avrebbe fatto l'onorevole Cito, la volta scorsa, ad informare la Camera dei deputati dell'esistenza di quella decisione del giudice per le indagini preliminari che aveva ritenuto inammissibile la richiesta di revoca della custodia cautelare, poiché avrebbe consentito a questa Assemblea di decidere sulla base di quel nuovo provvedimento. A questo punto, però, disponiamo del provvedimento del giudice per le indagini preliminari, che aveva dichiarato inammissibile una richiesta che tale non era, e di una decisione del tribunale del riesame che ribadisce il fatto che quell'istanza era inammissibile. Questo è il punto, a nostro giudizio, fondamentale per poter decidere in ordine alla richiesta di autorizzazione all'arresto.
La Giunta aveva già affermato che quella richiesta non era inammissibile; il tribunale del riesame ha confermato l'ammissibilità di quell'istanza. Pertanto, proprio in ragione di questa ulteriore decisione in materia, ritengo che la richiesta di autorizzazione all'arresto debba essere respinta.
Mi riporto, infine, alle conclusioni cui è pervenuta la Giunta nella sua ultima seduta.
Ciò non di meno, ritengo sia un mio preciso dovere intervenire comunque, giacché sono assolutamente convinto delle tesi che ho sostenuto ieri e che oggi ripropongo, considerato che i due casi all'esame della Camera sono analoghi e molto vicini nei contenuti e nei presupposti giuridici.
L'onorevole Cola ieri mi ricordava opportunamente che è comunque necessario, allorché si va a delibare una richiesta di autorizzazione all'arresto di un deputato, entrare nel merito delle vicende ancorché - e sono assolutamente d'accordo con lui - ciò debba avvenire negli stretti limiti di necessità al fine di valutare la sussistenza o meno di quell'ormai tante volte evocato fumus persecutionis. Tutto questo è giusto, tuttavia ciò che ieri ho rilevato è che l'esame nel merito è stato effettuato senza tenere minimamente conto delle risultanze processuali. Ieri, si è sostenuto che l'unico elemento di accusa fosse fornito dalle dichiarazioni della parte lesa; niente di più falso o quanto meno niente di più inesatto. Vi erano certo le dichiarazioni della parte lesa, che sono importanti, ma vi erano anche accertamenti bancari e documentali nonché perizie che provavano in modo inconfutabile, al di fuori di ogni ragionevole dubbio, che 120 milioni - somma concussa - erano entrati nella disponibilità di un'emittente che era nell'esclusiva disponibilità dell'onorevole Cito; 720 milioni sono diventati 120. Allora, se si deve entrare nel merito lo si faccia, ancorché nei limiti che ho prima detto, con correttezza e mi auguro che questa volta, allorché si andranno ad evocare le carte processuali, lo si faccia con l'onestà intellettuale che ci contraddistingue sempre e, quindi, con assoluta precisione e con grande esattezza di dati, perché non si può disinformare l'Assemblea per arrivare poi a delle conclusioni. L'Assemblea è libera di valutare come meglio crederà, ma le informazioni ed i dati debbono essere esatti.
Ebbene, da che cosa l'onorevole Berselli deduce l'assoluta mancanza nel caso di specie del fumus persecutionis? Perché non sarebbe state prudentemente apprezzate le risultanze probatorie e perché - ce lo ha spiegato poco fa - ci sarebbe stata l'ordinanza del GIP, assolutamente infondata in diritto.
Sull'apprezzamento probatorio non so francamente che cosa dire, se non che le prove ci sono, sono molte e concordanti, al di fuori di ogni possibile e ragionevole discussione.
Sull'ordinanza osservo che il GIP di Taranto non ha fatto null'altro che adottare un pronunciamento procedurale di natura processuale, affermando che il ricorso difensivo non era ammissibile, ma non è entrato nel merito e non ha recato danno alcuno alla posizione dell'imputato e dell'istante. Non vedo quindi su quale presupposto logico... Presidente, il mio tempo è già terminato?
Visto che ho pochissimo tempo, voglio ricordare che anche in questo caso c'è la pronuncia di altri tre giudici, diversi da quelli di eri; è un altro tribunale della libertà ad affermare sul caso: «Quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, l'espletato incidente probatorio se da un lato ha consentito di chiarire e consolidare la posizione dei coindagati, dall'altro ha evidenziato elementi e circostanze che aggravano il quadro indiziario a carico di Cito Giancarlo». Non ci venite quindi a dire che non ci sono le prove. Si citano quindi tutte le fonti nuove. Si continua poi: «Non può condividersi l'assunto difensivo secondo cui i gravi indizi di colpevolezza a carico dell'indagato sono gravemente indubbiati dalle dichiarazioni confessorie di Panico Giuseppe. Al contrario, l'incidente probatorio ha smentito la versione dei fatti fornita dallo stesso Panico nell'immediatezza dell'arresto ed ha forzato l'ipotesi accusatoria in ordine alla posizione di intermediario assunta da quest'ultimo. Cito Giancarlo è posto al vertice del sistema di illiceità diffusa di cui parla espressamente il GIP nell'ordinanza impositiva della misura cautelare, sistema che costringe gli imprenditori ad operare secondo metodi imposti a pena dell'esclusione dal mercato.
Tale modus operandi si attua da parte del Cito attraverso l'uso di un potere che egli, pur non rivestendo formalmente alcuna carica all'interno del comune» - quindi, sgombriamo anche questo argomento dal campo di indagine - «non ha mai smesso di esercitare su tutti i dipendenti dell'amministrazione ed in particolare sull'ufficio del sindaco, anche durante il periodo della detenzione in carcere di De Cosmo Gaetano (si vedano le dichiarazioni di Monfredi Cosimo, documentazione relativa al comportamento tenuto in occasione dell'arresto dei coindagati e del periodo successivo). Se a queste circostanze si aggiungono anche i numerosi precedenti penali ed i procedimenti pendenti anche per i reati della stessa specie di quella per cui si procede, può concludersi che esiste ed è ancora attuale il pericolo di reiterazione delle medesime condotte criminose da parte dell'indagato Cito Giancarlo».
Onorevole Giuliano, le ricordo che lei ha cinque minuti di tempo.
Forse tale vicenda ha elementi maggiori di quelli che abbiamo esaminato ieri e dimostra anch'essa, direi in maniera esemplare e scolastica, l'esistenza di tutti quegli aspetti che caratterizzano il fumus persecutionis.
Cito, insieme al cosiddetto cognato (parlo di «cosiddetto cognato» perché, in effetti, si tratta di un affine; anche qui c'è confusione da parte del giudice, il quale usa una terminologia giuridica con molta disinvoltura) ed al De Cosmo, è indagato per aver costretto tale Illiano al pagamento di una somma per assicurarsi dei contratti di trasporto con il comune di Taranto.
Il GIP, ritenendo la sussistenza di indizi gravi e di esigenze cautelari, ha richiesto l'autorizzazione all'arresto del Cito.
Non voglio esaminare i fatti nel merito e quindi mi limito a verificare la sussistenza delle esigenze cautelari che sono state invocate.
Il giudice fa riferimento alle esigenze di cui alle lettere a) e c) dell'articolo 274 del codice di procedura penale e, segnatamente, al pericolo di inquinamento delle prove e alla necessità di preservare la genuinità delle stesse, nonché al pericolo di reiterazione dei reati.
Dimentica però quel GIP che in data 24 dicembre 1997 si è verificato un incidente probatorio, che ha costituito un momento di confronto importante tra il Cito ed il suo accusatore, quell'Illiano che ha dato inizio al procedimento e che ha ritenuto di suffragare la sua accusa anche con registrazioni foniche. Si è trattato di un momento procedimentale che può essere di grande aiuto, in quanto ha cristallizzato determinate posizioni, e che può essere usato in piena autonomia anche in fase dibattimentale.
Dimentica ancora quel GIP che, oltre a questo incidente probatorio, si è verificata la scarcerazione dei due coindagati, vale a dire di De Cosmo e di Panico. Se dunque nei confronti di questi due sono venute meno quelle esigenze cautelari, non si capisce perché le medesime debbano ritenersi ancora sussistenti nei confronti del Cito.
Ma vi è di più: il GIP è autore di quella famosa ordinanza che merita di entrare nel museo degli orrori giurisprudenziali. Egli ha affermato che l'istanza tesa alla revoca dell'ordinanza custodiale era inammissibile perché era necessario che essa venisse prima posta in esecuzione. Secondo una filosofia di greve giustizialismo, dunque, prima si entra nella casa circondariale e poi si può parlare di libertà!
Ebbene, tale ordinanza ha indubbiamente segnato una tappa fondamentale per delineare non dico una volontà precisa di vessare, ma per lo meno un accanimento nei confronti del Cito, in quanto è norma imperante - si tratta di materia di libertà personale - che, in qualsiasi momento del procedimento vengano meno gli elementi che hanno consigliato l'emissione della misura custodiale, in quello stesso momento la misura deve essere revocata. È lo stesso GIP che viene poi smentito dal tribunale dello stesso ufficio giudiziario.
Di fronte a questi elementi bisogna veramente riflettere ed occorre chiedersi perché si insista ancora con la misura custodiale: un incidente probatorio che è agli atti e che assicura la verità di certi comportamenti e di certe condotte; la scarcerazione del De Cosmo e del Panico; l'inammissibilità dichiarata di quella istanza di revoca e, soprattutto - altra cosa che sicuramente non è corretta - il mancato invio di tutti questi atti all'Assemblea perché ne prendesse conoscenza, un mancato invio che la costrinse nella precedente occasione a rinviare gli atti alla Giunta.
Se a questo si aggiungono la serie di esposti, di richieste, di interrogazioni e di interpellanze presentati dal Cito nei confronti di quell'ufficio giudiziario, si ha il quadro completo dell' accanimento nei suoi confronti. Si badi, qui non si fa un problema, onorevole Bonito, di colpevolezza, quanto piuttosto un problema di opportunità e di necessità che il processo si svolga con il Cito in stato di detenzione.
Si accerti, eventualmente, la responsabilità del Cito, ma la si accerti mentre lui è a piede libero, in quanto non sussiste alcuna necessità di privarlo della libertà. Quando è in gioco quest'ultima, è noto, bisogna ricorrere a criteri equilibrati: deve essere l'extrema ratio. Qui, invece, tutti questi elementi fanno concludere che vi è un accanimento nei confronti del deputato Cito. Perciò io sono contrario alla richiesta del GIP di Taranto e mi esprimo per il rigetto della richiesta di autorizzazione a procedere all'arresto nei confronti del deputato Cito (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Questa sensazione, che pesa molto, è notevolmente acuita dal fatto che, come credo possiamo tutti constatare, la discussione si sta manifestando come una discussione tipica non di un'aula parlamentare ma di un'aula di tribunale. Sentiamo infatti risuonare quelle che potrebbero essere ottime argomentazioni portate dalla difesa dell'onorevole Cito, ma che mi sembra niente o quasi niente abbiano a che vedere con la funzione che dobbiamo svolgere in questa sede, quella di tutela della funzione parlamentare.
Ieri ho ascoltato con molta attenzione l'intervento dell'onorevole Leone, il quale, dopo aver dichiarato di non voler fare il giudice, ha compiuto un'operazione con cui ha derubricato il reato, ha valutato le prove, ha ritenuto inconsistente l'accusa e ha dato una valutazione complessiva del processo. L'onorevole Leone afferma che non vuole fare il giudice, ma poi si sostituisce interamente ai magistrati! Voglio peraltro ringraziarlo per aver espresso stima nei miei confronti a condizione che non mi occupi dei problemi della giustizia. Posso dire di essere molto più generoso di lui, perché esprimo stima nei suoi confronti malgrado si occupi dei problemi della giustizia.
Oggi la discussione si atteggia in modo non dissimile, perché anche le argomentazioni che poc'anzi ha usato l'onorevole Giuliano sono tipicamente difensive e non hanno niente a che fare con la nostra funzione. Le sue, onorevole Giuliano, sono argomentazioni tipicamente difensive e inesatte, perché la vicenda che abbiamo di fronte è curiosa. Spiegherò brevemente il perché.
La Giunta per le autorizzazioni a procedere in una prima fase aveva deciso di accettare la richiesta della procura di Taranto. La pratica fu rinviata in Giunta perché nel frattempo venne fatta conoscere all'Assemblea l'abnorme ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Taranto. Orbene, qui vi è qualcosa di strano perché, nel momento in cui la pratica venne rimandata alla Giunta (e ciò a causa dell'esistenza dell'ordinanza citata), sarebbe stato opportuno, onorevole Giuliano, che la Giunta stessa venisse a conoscenza degli atti sottostanti a quell'ordinanza. In Giunta io avanzai una richiesta in questo senso, ma la maggioranza della Giunta stessa rifiutò di chiedere quegli atti e si limitò ad assumere una decisione motivandola con la presenza di quella ordinanza abnorme. Questo è assolutamente strano, perché non capisco quale diversità di posizione si sarebbe potuta indurre dall'esistenza della suddetta ordinanza. Si dice: il fumus persecutionis. Vediamo.
Tuttavia nel frattempo che cosa è successo? È successo che tutti gli atti relativi all'incidente probatorio sono stati rinviati alla Giunta, compresa l'ordinanza con cui il tribunale della libertà afferma sostanzialmente due cose (e non una, onorevole Berselli). La prima è quella che lei ha puntualmente riportato con dovizia di particolari e cioè che il tribunale della
libertà ha dichiarato abnorme quell'ordinanza, affermando che non poteva essere in alcun modo sostenuta perché c'era la possibilità da parte del giudice in qualsiasi momento di verificare l'istanza di revoca della misura custodiale, cosa che il giudice si rifiuta di fare. Come però ha già detto nel suo intervento l'onorevole Bonito, l'ordinanza contiene ben altro, entra nel merito ed afferma: vi è stato l'incidente probatorio, sulla base di esso sono stati scarcerati alcuni coimputati, a fronte della richiesta di non incarcerare l'onorevole Cito, la risposta è «no» non sulla base di quell'ordinanza abnorme, ma perché l'incidente probatorio ha aggravato la posizione dell'onorevole Cito.
Non ripeto frasi che sono state già dette dall'onorevole Bonito e che credo tutti abbiano sentito. La sostanza è che il tribunale della libertà ha fatto un'operazione che già avevamo ipotizzato nella precedente discussione. Se il GIP aveva provveduto, nel momento in cui era stato eseguito l'incidente probatorio, a scarcerare alcuni coimputati ed a non revocare l'ordinanza custodiale nei confronti dell'onorevole Cito, la valutazione delle posizioni era diversa. Così infatti afferma puntualmente l'ordinanza del tribunale della libertà.
Non riesco allora a capire, colleghi, come si possa, basandosi sull'emissione da parte del GIP di un'ordinanza errata, che peraltro oggi non esiste più perché interamente cassata dal tribunale della libertà, sostenere che quell'ordinanza sia il segno del fumus persecutionis. Se si sostiene questo, infatti, ossia se si sostiene che artatamente il giudice ha sbagliato quell'ordinanza (in quanto ha questo intento persecutorio), bisogna allora anche concludere che lo stesso intento persecutorio è del tribunale della libertà, il quale esamina nel merito la richiesta di revoca del provvedimento custodiale e lo rigetta, parlando anzi di un aggravamento della situazione.
Ricadiamo allora in una situazione che ritengo sempre più pericolosa, quella di descrivere le procure e i giudici di questo paese come intenti ad ordire complotti nei confronti del potere legislativo e dei parlamentari. Non ho qui sentito, al di là di pregevoli arringhe difensive, alcun collegamento tra atti compiuti nel momento delle indagini da parte della procura, le valutazioni del GIP e le valutazioni del tribunale della libertà; nessuna valutazione che dica che vi è un atto in qualche modo abnorme, sbagliato esagerato o accanito, che denuncia l'esistenza del fumus persecutionis. Non si riesce a ritrovare niente di tutto questo. L'unica cosa che si fa è entrare nel merito del processo trasformando quest'aula, impropriamente, in un'aula di tribunale ed assumendo argomentazioni di tipo difensivo che ciascuno di noi potrebbe assumere tranquillamente: ma non è questa la funzione alla quale dobbiamo oggi qui rispondere.
Se ci incanalassimo in questo solco davvero tradiremmo a mio avviso la funzione che ci è demandata. Certo, ci potrà essere - sarebbe fin troppo facile - la tentazione da parte dei giudici che si vedessero respinta con queste argomentazioni la richiesta, di sollevare conflitto di attribuzione, perché il fatto che noi ci sostituiamo a giudici e tribunali è un fatto straordinariamente enorme e pericoloso.
Per questo credo che la proposta della Giunta debba essere respinta, che si debba tornare alla valutazione che era stata data dalla Giunta stessa nella prima fase, che l'esistenza di quell'ordinanza abnorme non cambi assolutamente nulla, che per rientrare nelle regole che noi dobbiamo rispettare dobbiamo accettare la richiesta che ci viene avanzata dal giudice per le indagini preliminari di Taranto (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).
Il suo gruppo ha ancora a disposizione, complessivamente, nove minuti, onorevole Cola.
non si può assolutamente prescindere dal merito, in quanto solo da questo possono essere rivelati i sintomi del fumus persecutionis.
Non posso assolutamente condividere l'impostazione dell'onorevole Meloni che, per la verità, non ha ancora detto cosa dobbiamo fare, in quest'aula, nel momento in cui dobbiamo verificare la sussistenza o meno del fumus persecutionis, se non operare attraverso l'indagine sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sulle esigenze cautelari e sul pericolo di reiterazione. Ma vi è di più. Vorrei chiedere, all'onorevole Meloni: ove mai noi constatassimo, attenendoci rigorosamente al fumus persecutionis, che l'ordinanza di cui ci occupiamo presenta delle anomalie, ovvero se constatassimo, come nel caso che ci impegna, che nelle more si sono verificati accadimenti che sconvolgono la precedente ipotesi accusatoria e fanno venir meno la fondatezza della stessa, che cosa dovremmo fare, onorevole Meloni? Forse dovremmo affermare che, non essendoci il fumus persecutionis, bisogna arrestare l'onorevole Cito? Questo non è assolutamente un modo di ragionare corretto.
Allora io dimostrerò, caro Meloni, che nelle more si sono verificati accadimenti che fanno venir meno la fondatezza e che poi costituiscono il substrato per ritenere, a livello sintomatico, la sussistenza del fumus persecutionis. Lo dimostrerò da qui a un momento. L'ordinanza cautelare reca, se non sbaglio, la data dei primi di novembre del 1997. Ebbene, il giudice per le indagini preliminari così si esprime, testualmente: «La cautela probatoria si impone inoltre per consentire l'acquisizione delle dichiarazioni accusatorie dell'Illiano già nella fase delle indagini preliminari nelle forme previste dal codice di procedura penale». Il richiamo è all'articolo 392, relativo all'incidente probatorio. Egli aggiunge: «Questi del resto ha dimostrato di aver avuto per un certo periodo un rapporto di totale sudditanza verso l'onorevole Cito ed il sindaco De Cosmo (...) e potrebbe pertanto essere gravemente minacciato al fine di ritrattare le pesanti accuse». Ebbene, l'Assemblea sa meglio di me che in data 19 dicembre 1997 si è tenuto il famoso incidente probatorio.
Vorrei dire all'onorevole Veltri, che non è presente: è vero che la prova si forma nel dibattimento, ma è anche vero che la cautela ai fini della custodia cautelare è diretta a tutelare la genuina acquisizione della prova, che è cosa diversa dalla formazione della prova. Vorrei anche ricordare - per chi non lo sa - che l'incidente probatorio è una forma ante acta di formazione di prova nella fase delle indagini preliminari e non ci sarebbe neanche bisogno di citare il testimone nel dibattimento, perché la prova è formata nella maniera più totale. Allora, se all'incidente probatorio, che ha eliminato il pericolo rappresentato in maniera testuale dal giudice per le indagini preliminari, si è aggiunta l'ulteriore fase della revoca dell'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Panico e di De Cosmo, proprio perché non sussistevano più esigenze cautelari connesse all'acquisizione della prova e proprio perché non esisteva più il pericolo di reiterazione del reato, chiedo all'Assemblea se tale accadimento non faccia venir meno la fondatezza della domanda di autorizzazione a procedere all'arresto di Cito. Che cosa rimane più, se non il fumo, nel vero senso della parola, oppure il fumus persecutionis che è riscontrabile e deducibile dai provvedimenti? Allora, volendo essere precisi ed attenendoci alle carte processuali, senza fare voli pindarici, che cosa dovremmo esaminare? Dovremmo richiamare l'ordinanza in cui si afferma che egli è il leader di questo assetto concussorio che vi è a Taranto? Se noi volessimo recepire qui questa affermazione così generica, che naturalmente è ispirata alla sola cultura del sospetto, non faremmo assolutamente il nostro dovere. Piuttosto, per fare il nostro dovere, noi dovremmo richiamare altri due aspetti, quello dell'articolo 273, i gravi indizi di colpevolezza, e quello del pericolo di reiterazione.
Pare che mi si conceda qualche altro minuto e allora mi soffermo sul primo di questi aspetti: l'unicità della fonte accusatoria,
l'Illiano. Non dimentichiamoci che Illiano è parente di tal Modeo, uno dei più grandi mafiosi delle Puglie e tutto questo è documentato. E come si può aver fiducia in un'autorità giudiziaria che afferma testualmente che l'attentato dinamitardo possa essere posto in connessione ad un'attività del Cito, a livello di sospetto, e non prospetta invece l'ipotesi alternativa che siccome Illiano è parente di Modeo possa essere stato oggetto di una vendetta trasversale? Come si fa a sostenere un provvedimento così grave, che riguarda la libertà, attraverso il «fumo», attraverso il sospetto, attraverso le congetture? No, questo non lo possiamo assolutamente ammettere! E questa non è invasione del campo dei magistrati, dell'autorità giudiziaria: è il nostro preciso dovere quello di constatare e di verificare o meno la sussistenza del fumus persecutionis. E come si può in proposito non dire che, a livello di riscontro su questa poco attendibile fonte probatoria, vi sono le parole del Panico, il quale afferma di essere stato lui autore di questa trattativa, di aver millantato credito e che il Cito non c'entra proprio? Questo non è un altro elemento che vi fa sospettare sull'effettiva responsabilità del Cito e sulla conseguente mancanza di gravi indizi di colpevolezza? E come non si può rilevare che l'Illiano, che ha esibito quattro cassette attraverso cui ha registrato i colloqui avuti con il Panico, non ha fatto lo stesso in quell'unico colloquio che ha avuto con Cito? Quindi, Cito non compare assolutamente come interlocutore ed è solo l'oggetto delle attenzioni del signor Illiano e delle attenzioni anche dell'autorità giudiziaria di Taranto.
Ed allora, se abbiamo il sacrosanto dovere di entrare nel merito, onde riscontrare o meno la sussistenza del fumus persecutionis, non possiamo che concludere per il «sì» alla proposta della Giunta. Un «no» significherebbe veramente metterci in contrasto con la civiltà giuridica, di cui noi diciamo essere assertori e custodi solo a chiacchiere (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
cadere, quindi, la ragione fondamentale per la quale nei confronti del Cito e dei suoi coimputati era stato disposto l'arresto.
D'altra parte proprio il GIP, a seguito dell'istanza presentata dall'onorevole Cito, con l'ordinanza diffusa in aula durante la precedente discussione su questo caso ed ormai a tutti nota, un'ordinanza per tanti versi discutibile, si è pronunziato rigettando tale istanza sostanzialmente perché riteneva di essersi spogliato della questione, essendone ormai investito il Parlamento, e non perché la ritenesse infondata nel merito.
Quando il provvedimento del GIP è stato inizialmente esaminato dalla Giunta, la situazione era totalmente diversa. Le esigenze per la misura cautelare ricorrevano perché eravamo all'inizio dell'inchiesta, con l'indubbia necessità di formare ed anche di tutelare un quadro probatorio già consistente, ma ancora non definito ed in qualche modo a rischio, il che avrebbe potuto oggettivamente mettere in forse la genuinità della prova gli atti. Ora invece, secondo quello che non noi ma il GIP asserisce, la prova non solo può dirsi raggiunta, ma è ormai fissata in modo da non poter essere più alterata. Vengono allora meno le ragioni per le quali la Giunta aveva ritenuto di concedere l'autorizzazione né può farsi questione di reiterazione della condotta delittuosa - come pure viene detto nell'ordinanza del tribunale della libertà di Taranto, della quale soltanto in questi giorni abbiamo preso visione e che peraltro è stata da più parti richiamata negli interventi che hanno preceduto il mio - innanzitutto perché l'ordinanza di custodia cautelare per il GIP e, più ancora, il primo provvedimento autorizzatorio della Giunta, così come evidenziato nella relazione della collega Dameri, sono opportunamente costruiti sul pericolo dell'inquinamento delle prove e sulla sussistenza di gravi indizi, mentre non parlano in alcun modo della possibilità di reiterazione dei reati che nella relazione non è neppure citata. Ciò, io credo, non è avvenuto a caso, perché per uno come Cito, che non è più sindaco e che non riveste alcuna altra carica nel comune di Taranto, veramente non vedo come possa ipotizzarsi la reiterazione di reati che queste qualità presuppongono.
Si dice nell'ordinanza del tribunale del riesame, e lo ribadiva poc'anzi l'onorevole Bonito, che il Cito manterrebbe un'influenza, per così dire, indiretta sull'ambiente tramite i suoi amici. Francamente mi pare eccessivo che l'antidoto all'elezione degli attuali amministratori di Taranto possa essere l'arresto dell'onorevole Cito.
Nella situazione precedente l'assoluta linearità dell'ipotesi accusatoria, con la conseguente richiesta di misura cautelare, escludeva qualsiasi possibilità di fumus e conseguentemente ci eravamo orientati per concedere l'autorizzazione all'arresto, ma nel mutato quadro processuale, così come non viene da noi dedotto, bensì viene descritto dallo stesso GIP che quel provvedimento aveva formulato, ritengo non ci siano più, perché venute meno, le condizioni dell'arresto che conseguentemente non può essere autorizzato.
Non è il caso in questa sede, ancora una volta, di ribadire le considerazioni più volte formulate in ordine alla comparazione dei diversi interessi costituzionalmente protetti sui quali interferisce la misura cautelare nei confronti di un parlamentare: da una parte, l'integrità della composizione della Camera, così come voluta dal corpo elettorale, e quindi, in definitiva il rispetto della volontà espressa dall'elettorato, e, dall'altra, l'esigenza di assicurare alla giustizia il presunto autore di un reato per decidere quale interesse debba prevalere. È indispensabile una ancorché sommaria delibazione nel merito del provvedimento per verificarne l'eventuale infondatezza, non solo dolosa, ma anche colposa, non solo soggettiva, ma anche oggettiva e cioè posta in essere da un giudice che pure agisca con assoluta serenità e che però sbaglia.
Questa situazione, a mio avviso, del pari concretizza nei confronti del parlamentare quel fumus persecutionis sostanzialmente derivante da una applicazione errata e quindi non condivisibile dei
criteri del codice e che fa prevalere, nella comparazione di cui parlavamo prima, il valore collegato alla sovranità popolare.
L'opposta tesi, peraltro ancora questa mattina richiamata, porterebbe a ritenere che solo un fatto persecutorio, dolosamente preordinato dal magistrato, determinerebbe la mancata autorizzazione all'arresto (il che francamente mi pare davvero eccessivo). Nella fattispecie, quale risultante dai fatti nuovi emersi ormai a tutti noti, perché da tutti richiamati, così come corretta era stata la prima decisione di autorizzazione all'arresto in quella situazione, allo stesso modo corretta e per certi versi dovuta, è la nuova valutazione, la nuova decisione conseguente alle nuove emergenze processuali che, anche per la necessità di valutare unitariamente il quadro probatorio nei confronti di tutti i coimputati, impone che venga denegata l'autorizzazione alla misura cautelare richiesta. Ciò tanto più che siamo di fronte a fatti che, se pur presentano un titolo di reato obiettivamente grave, quale la concussione, sono di rilievo patrimoniale certamente non ingente, il che ulteriormente induce a pronunciarsi per il rigetto dell'autorizzazione.
Per queste ragioni dissento dalla proposta di arresto del deputato Cito ed esprimo il mio voto a favore della proposta della Giunta (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Saponara, al quale ricordo che ha cinque minuti. Ne ha facoltà.
Nella seduta di ieri l'onorevole Meloni mi rivolgeva un complimento ed un rimprovero nello stesso tempo. Mi diceva che ero stato causidico e quindi che avevo fatto l'avvocato (spero bene); e mi rimproverava di non essere riuscito ad individuare il fumus persecutionis che dovrebbe essere alla base dell'applicazione dell'articolo 68 della Costituzione. Onorevoli colleghi, mi ripugna pensare che in uno Stato di diritto dei magistrati possano perseguitare un cittadino; né sempre accade che dei magistrati confessino davanti ad un tribunale che uno di loro un giorno si lasciò andare ad un brutale proposito persecutorio («io quello lì lo sfascio») nei confronti di un deputato indagato.
Ed allora, non avendo la fortuna sempre di disporre della prova documentale, noi dobbiamo accontentarci di indizi dai quali si possa indirettamente inferire l'esistenza del famoso fumus.
Quali sono gli indizi, onorevoli colleghi?
L'articolo 13 della Costituzione prevede che si possa privare della libertà personale solo «per un atto motivato dell'autorità giudiziaria». La motivazione deve essere quindi seria, idonea e convincente. E noi, colleghi deputati, nell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Taranto emessa a carico di Cito non troviamo una motivazione convincente,
seria, aderente alle risultanze processuali e soprattutto al contesto nel quale i fatti si sono verificati.
Dubito che vi siano gravi indizi di colpevolezza. Vi è una denuncia presentata a distanza di un anno, in un contesto di rancori politici. Vi sono somme versate solo a Panico, lontano parente, o affine che sia, di Cito, e mai a quest'ultimo. Vi sono registrazioni di telefonate (è una cassetta di telefonate di intercettazioni) tra Panico e Illiano. E quando quest'ultimo afferma di aver voluto verificare la conoscenza a parte del Cito di questa situazione, in quell'occasione egli avrebbe dovuto premunirsi di una registrazione perché cercava di constatare se fosse o meno oggetto di truffa.
Signori deputati, non sussiste neppure l'inquinamento probatorio. Vi sono le registrazioni e gli accertamenti bancari; e poi sono stati liberati Panico e De Cosmo, i quali hanno reso i loro interrogatori: sono stati quindi ascoltati i testimoni. Ma oltre alle denunce presentate da Illiano - che sono state verificate - vi è stato un incidente probatorio. Il giudice ha ritenuto di acquisire la prova di quello che affermava Illiano, onde evitare che si potesse minacciare...
È iscritto a parlare l'onorevole Bielli, al quale ricordo che dispone di tre minuti. Ne ha facoltà.
Mi permetto di fare alcune considerazioni. Innanzitutto il presidente della Giunta, onorevole La Russa, a più riprese ha insistito nel dire che questa Assemblea l'autorizzazione alla custodia cautelare l'ha data solamente in tre casi. Credo che abbia fatto bene, riportando in modo giusto quello che è accaduto; tuttavia, vorrei che provassimo a riflettere se questo è un merito o se in alcuni casi ha evidenziato una difficoltà del Parlamento a non sentirsi una casta e a tutelare anche posizioni che erano indifendibili.
Dico questo perché credo che in riferimento alla questione in oggetto non possiamo pensare, come a più riprese qualche collega ha fatto, che essa sia riferita al dato numerico (una volta si tratta di 50 milioni, un'altra di 120 milioni, poi si scopre che queste cifre sono moltiplicate per anni), ritenendo che poiché l'entità patrimoniale è esigua non ricorrono le esigenze di custodia cautelare. È questo un modo non serio di affrontare la questione.
Il modo serio è invece quello di prendere atto che non siamo di fronte ad un atteggiamento persecutorio, perché in tal caso saremmo di fronte ad una battaglia politica contro il Cito; non si tratta di un personaggio politico che ha di fronte a sé un tribunale, una magistratura che combatte contro quelle posizioni politiche, perché così non è. Siamo invece di fronte al fatto che in una realtà, come quella di Taranto, emerge un sistema diffuso di illiceità, di corruzione e di concussione, che ha bisogno di essere rimosso, e questo sistema ha sicuramente nell'onorevole Cito un punto di riferimento. Se le cose stanno così, credo che dovremmo allora cercare di ragionare con obiettività e serenità.
Concludo con un'ultima considerazione, che voglio sottolineare sapendo di risultare un po' noioso soprattutto per coloro che hanno ascoltato il dibattito in quest'aula. La Giunta si è espressa la
prima volta dando l'autorizzazione con un voto di maggioranza, ma portando in quest'aula un voto che era favorevole alle posizioni assunte dal GIP. È poi arrivata una novità e siamo stati giustamente costretti a tornare in Giunta per verificare quanto fosse rilevante rispetto al procedimento. In quella sede cambiamo quindi opinione perché la novità ci pare rilevante ed arriva un'ulteriore novità data dal fatto che l'istanza presentata dal Cito al tribunale della libertà viene negata, in quanto si dice con forza che l'incidente probatorio crea ulteriori problemi alla posizione del Cito stesso, e si fa finta di niente ritenendo che questi fatti siano insussistenti.
Sottolineo questi aspetti rivolgendomi soprattutto a coloro che in precedenza avevano votato per l'autorizzazione a procedere. Lo stesso atteggiamento coerente vorrebbe che oggi, rispetto alla decisione assunta, si continui su quella strada. Mi auguro che l'Assemblea tenga conto di tutto questo.
Con l'incidente probatorio sono stati acquisiti ulteriori elementi, sicché il GIP ritenne di poter revocare la precedente ordinanza di custodia cautelare. E badate che tra gli arrestati c'era addirittura il sindaco della città, che venne rimesso in libertà e che ovviamente, per la carica che ricopriva, e che credo ancora ricopra, poteva più efficacemente dell'onorevole Cito influire sull'amministrazione comunale.
Oggi si dice che l'ordinanza del tribunale della libertà ha confermato la necessità della custodia cautelare facendo riferimento a determinate esigenze. Onorevoli colleghi, vi prego di leggere attentamente l'ordinanza del tribunale della libertà: per ben tre pagine il giudice si occupa dell'assurdità della decisione del GIP, il quale aveva dichiarato inammissibile l'istanza dell'onorevole Cito, mentre soltanto con poche sbrigative righe ribadisce il concetto che sussistono le esigenze cautelari, senza comunque un'autentica motivazione.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, mi pare che fondare un giudizio negativo nei confronti dell'onorevole Cito sull'ordinanza del tribunale della libertà sia assolutamente sbagliato. Credo che in questa particolare vicenda, ancor più che in quella affrontata ieri sera, ricorrano elementi che devono spingere la Camera a rigettare la richiesta.
Sia chiaro, onorevole Presidente: non si tratta di impedire che l'onorevole Cito sia processato. Ecco la confusione in cui
qualcuno è incorso. Occorre invece tener presente che in uno Stato di diritto la libertà è la regola, mentre la custodia cautelare è l'eccezione. Si tratta in questo caso di difendere non soltanto la libertà del cittadino deputato, onorevole Cito, ma le prerogative e la libertà stessa del Parlamento, nonché i valori della democrazia (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Questa mattina non ho potuto fare altrettanto nel caso «Cito 2». Infatti ho esaminato le carte relative al procedimento in questione ancor prima che fossero trasmesse alla Giunta. Ho letto attentamente, parola per parola, ciò che era stato scritto dai due giudici di Taranto ed ho messo alcuni asterischi, come per dire «hic sunt leones», «qui troverò l'errore». Devo dire, invece, che proseguendo nella lettura ho verificato che il ragionamento dei giudici era logico e giuridicamente ineccepibile (ho una certa infarinatura di diritto anch'io). Mi è stato poi chiesto cosa avrei potuto dire all'onorevole Cito (che, peraltro, è personaggio simpatico e pittoresco e persegue un suo discorso politico che non è assolutamente oggetto della mia ostilità). Gli avrei detto: «Trovati un buon avvocato, perché ne hai bisogno».
Oggi, il discorso sull'articolo 68 si sta spostando in termini tali da concretizzare un chiaro straripamento di poteri. Ho l'impressione, signor Presidente, che si stia come scavando un cunicolo tra piazza Cavour e piazza Montecitorio; sembra che siamo diventati tutti giudici della Cassazione ed esperti di diritto. Questa è un'offesa nei confronti di quei colleghi che non sono giuristi, che non hanno una competenza in materia, dal momento che si richiedono loro nozioni così specifiche e tecniche. Secondo l'articolo 68, noi dobbiamo solo stabilire se vi è persecuzione da parte dei giudici; ebbene, tale persecuzione non è emersa dal dibattito che si è svolto alla Camera solo perché non esiste. Si tratta di giudici che hanno trattato Cito come qualsiasi altro cittadino. Mi dispiace per il collega, ma Cito, oltre a fruire di tutte le prerogative che spettano a qualsiasi cittadino, in più può avvalersi della discussione che oggi giustamente stiamo svolgendo. Ma non può pretendere di più; altrimenti recheremmo offesa a tutti i cittadini e, per quanto mi riguarda, anche a me stesso, alla mia professione ed ai quasi trentacinque anni di attività in magistratura, attività che ho portato avanti con dignità (Applausi di deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Non sono un professore, né un magistrato e nemmeno un avvocato, sono un semplice geometra; cerco però di farmi una cultura e me la sto procurando sulla mia pelle. L'onorevole Parrelli ha richiamato il tribunale della libertà; ebbene, cosa avrebbe detto il tribunale della libertà? Chiariamo una volta per tutte che la persona che ha denunciato il deputato Cito, chi vi sta parlando, ha avuto la possibilità di registrare cinque cassette, ma in esse non vi è una sola parola né a
proposito di Giancarlo Cito né a proposito del sindaco di Taranto.
Signori, pur non essendo un professore di diritto, penso che l'incidente probatorio serva anche a chiarire i fatti, per esempio ciò che è accaduto nel territorio di Taranto. In tale circostanza è sempre la stessa persona a parlare, quella che mi avrebbe accusato, cioè la stessa che, circa due anni prima, sarebbe stata protagonista di un tentativo o di un episodio di concussione.
Un anno e mezzo dopo la presunta concussione questo signore si reca dall'autorità giudiziaria a denunciarmi. Dico questo perché nel frattempo non ero più sindaco della città e dopo un paio di mesi che gli hanno rinnovato il contratto si sarebbe tenuta una gara d'appalto e si prevedevano elezioni circoscrizionali. Questo signore, a quanto mi risulta, pretendeva che quella gara di appalto non dovesse svolgersi e che dovesse essere lui ad espletare il mandato. Poteva recarsi anche in quella circostanza dal magistrato a dichiarare di aver subito una concussione ed un tentativo di fargli sborsare soldi, od un eventuale esborso, cosa che invece non ha fatto; lo ha fatto dopo un anno e mezzo. Ciò perché a distanza di pochi mesi da questa denuncia, non presentata inizialmente e poi fatta dopo un anno e mezzo, c'era una nuova gara d'appalto, signor Presidente.
Ecco perché ho denunciato questo signore per calunnia. Non è forse un tentativo di estorsione nei confronti del sindaco, il quale voleva fare le cose come si deve? Non risponde a verità quanto dice questo calunniatore di professione, perché in quest'aula non è stata portata una sola prova. Per dimostrare il fumus persecutionis bisogna inevitabilmente entrare nel merito, che compete alla magistratura. Qui non si sta mettendo in dubbio ciò che sostiene la magistratura, la quale ha degli atti e deve porre in essere gli atti consequenti.
Ebbene, nel momento in cui viene fatto l'incidente probatorio sono stati fissati i punti cardine. Il tribunale della libertà parla - preannuncio un ricorso alla suprema Corte di cassazione, come preannuncio la richiesta di trasferire i miei processi da Taranto per incompatibilità ambientale - dell'incidente probatorio, ma sempre a senso unico: come si dice, se la canta e se la suona.
In questa circostanza c'è anche un reo confesso. Perché quest'ultimo non deve essere creduto, mentre deve essere creduto un calunniatore? Eppure, se li dobbiamo mettere sulla stessa bilancia dobbiamo credere all'uno, ma anche all'altro. Non è possibile che questo Illiano dica la verità e tutti gli altri affermino il falso, compreso il reo confesso.
Che cosa è accaduto nel frattempo, oltre all'incidente probatorio? Io, signor Presidente, il 19 dicembre, il giorno prima dell'incidente probatorio, tenni un comizio. Ho fatto delle dichiarazioni in piazza, sulla base delle quali un cittadino, consigliere comunale, ha ritenuto di affermare che il sottoscritto, durante la carcerazione del sindaco, andava tutti i giorni nel suo ufficio a condizionare impiegati e dirigenti. Ciò è falso. Non ho potuto farlo prima, perché avrei dovuto avere il tempo ed il responso del tribunale della libertà è stato adottato solo il 13 febbraio, ma devo denunciare quella persona per calunnia, perché dovrà dimostrare davanti ad un tribunale quando ha visto Giancarlo Cito nell'ufficio del sindaco. Questo basta per poter concedere un'eventuale autorizzazione all'arresto di Giancarlo Cito? Sono tre le possibilità perché una persona non inquini le indagini.
La prima: dovrei pregare il sindaco di Taranto di dare le dimissioni e dovrei anche pregare Dio che gli avversari politici vincano le elezioni in modo che lui non sia più sindaco ed io non possa più inquinare le prove! La seconda: dovrei andare in galera a vita, perché altrimenti
potrei sempre inquinare le prove! La terza: dovrei trasferirmi all'estero da dove non potrei inquinare le prove!
Nel comizio che feci - quando c'è la malafede! - dissi ad un assessore di Taranto (vi è la registrazione): caro Girolamo Cellammare - un uomo che è stato per 28 anni nella Polizia di Stato e che adesso è assessore -, mi devi spiegare che senso ha la scorta. Ebbene, signori miei, quando ho preso le carte del pubblico ministero, invece di trovare il riferimento a Girolamo Cellammare, lo trovo al Presidente Violante! Tirano in ballo Violante che non c'entra niente! (Commenti).
È la mia voce, colleghi. Vi chiedo scusa, ma è la mia voce. C'è anche tanta rabbia: me lo dovete consentire!
Dico che vi è fumus persecutionis: la settimana scorsa in aula vi era la discussione delle domande di autorizzazione a procedere nei confronti dei colleghi Tiziana Parenti e Bossi. Avrei voluto partecipare a quel dibattito, perché non condividevo quello che era stato fatto ai due colleghi. Tuttavia mi trovavo in tribunale per una causa nella quale erano coinvolte le stesse persone (quanto meno due su tre): non è solo per questo, però, che chiederò che i processi si celebrino in altra sede per incompatibilità ambientale. Nonostante io abbia inviato al magistrato la documentazione del mio impedimento a partecipare al processo, dipendente dalla necessità di essere presente in aula, il processo si è svolto ugualmente e sono stato condannato ad otto mesi di reclusione!
Mi dovete consentire, in otto secondi, di spiegarvi le ragioni di questi otto mesi di reclusione (sono stato condannato per diffamazione). Un cittadino di Taranto si recò ad una puntata del Maurizio Costanzo show, trasmissione di Canale 5, per parlare di un suo libro nel quale dichiarava, senza avere alcuna prova delle sue affermazioni - quindi mi stava diffamando - che io avrei detto che Mussolini era un grande statistico, invece di dire che era un grande statista! Tutta la platea rideva di me, così come tutti i cittadini italiani che guardavano la trasmissione!
Dopo otto mesi da questo episodio, in un comizio, senza citare il nome di questa persona, che nessuno conosce, trattandosi di un giornalista di provincia, dichiarai che quando si accoppia l'idiota e il cretino si crea un idiota cretino. Non citai, lo ripeto, il nome della persona.
Ebbene, signor Presidente, nonostante fosse documentata la mia presenza in aula, dove ho partecipato al voto, questi signori se ne sono infischiati ed hanno ugualmente celebrato il processo: sono due dei tre magistrati che hanno proceduto alla revisione della decisione del tribunale della libertà!
Voglio concludere chiedendo scusa - il chiedere scusa non è un atto di viltà, quanto piuttosto un atto di umiltà - se ho alzato la voce. Non è però possibile procedere senza una prova!
Concludo, rimettendomi nelle vostre mani, colleghi. Un fatto è certo: ho la coscienza tranquilla. Non ho concusso, non sto commettendo nessun reato oggi e non commetterò mai nessun reato domani! Mi si potrà dire soltanto che ho la voce alta, ma purtroppo è un dono che ho avuto dal Padreterno e non certo qualcosa per offendere coloro che mi ascoltano.