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PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
MICHELE SAPONARA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 9 dicembre 1997 il GIP presso il tribunale di Taranto ha chiesto l'autorizzazione a procedere all'arresto dell'onorevole Giancarlo Cito in relazione al reato di concussione in quanto, in concorso con Campo Michele e con altre persone in corso di identificazione o nei confronti delle quali sono in corso indagini, il Cito abusando della qualità e dei poteri derivantigli dalla carica di sindaco di Taranto induceva Ildebrando De Franco e Gerard de Cervens dapprima a promettere loro una dazione di denaro per un importo di lire 240 milioni annui da versare in tre anni per complessivi 720 milioni e successivamente a dare loro la somma di lire 120 milioni, che veniva consegnata materialmente al Campo. Quest'ultimo, mediante la stipula di un contratto pubblicitario con l'emittente televisiva Super 7, faceva pervenire la suddetta somma al Cito, amministratore di fatto della citata emittente; ciò al fine di consentire l'approvazione da parte del comune di un progetto relativo alla realizzazione di un porto turistico in località San Vito di Taranto.
PRESIDENTE. La prima iscritta a parlare è l'onorevole Li Calzi. Ne ha facoltà.
MARIANNA LI CALZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, tratterò insieme le richieste di autorizzazione a procedere nei confronti dell'onorevole Cito pervenute l'11 novembre ed il 9 dicembre 1997 perché, in realtà, le argomentazioni da me proposte sono comuni ad entrambi i casi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Berselli. Ne ha facoltà.
FILIPPO BERSELLI. Signor Presidente, sarò brevissimo. Mi sembra che su questo caso vi possa essere un'ampia convergenza da parte di questa Assemblea del Parlamento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BONITO. Torniamo ad occuparci, signor Presidente e onorevoli colleghi, di una richiesta di autorizzazione all'arresto di un deputato. Questo è un fatto grave, che deve indurci ad una valutazione di grande prudenza ma, ciò nondimeno, scevra da qualsivoglia condizionamento
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Maiolo. Ne ha facoltà.
TIZIANA MAIOLO. Signor Presidente, signori deputati, mi pare che la Giunta abbia fatto un ottimo lavoro ed esprimerò quindi solo qualche concetto generale. Una volta il cittadino si rivolgeva al magistrato perché lo difendesse dal sovrano; mi pare che oggi la situazione si sia capovolta e che il cittadino sia costretto a rivolgersi al sovrano perché lo difenda dal magistrato che non gli dà giustizia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Meloni. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MELONI. Signor Presidente, verrebbe fatto di ricordare all'onorevole Maiolo che quando il cittadino si è rivolto al sovrano per essere difeso nei confronti dei magistrati, quando cioè il sovrano ha potuto decidere in luogo e al di sopra dei magistrati, si sono verificate ingiustizie clamorose. Quindi non credo che il punto di riferimento, per chi si batte per le garanzie dei cittadini, sia quello di pensare che occorre sovrapporre il sovrano al magistrato. Viviamo in un sistema giuridico nel quale il potere giudiziario è indipendente e non c'è sovrano al di sopra di quel potere, se non la legge.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.
SERGIO COLA. Signor Presidente, un relatore sullo stesso procedimento ha affermato che, secondo la dottrina, peraltro in fase di elaborazione, il fumus persecutionis imporrebbe di non entrare nel merito. Mi chiedo allora da cosa potremmo desumere la sussistenza del fu
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Abbate. Ne ha facoltà.
MICHELE ABBATE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, condivido i rilievi espressi dagli onorevoli Meloni e Bonito, i quali escludono nella maniera più assoluta che ci troviamo in presenza di una persecuzione dei giudici. Non concordo però allorché individuano nella persecuzione
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leone, al quale ricordo che dispone di cinque minuti. Ne ha facoltà.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, una vicenda come questa mi convince sempre di più che non avrei mai potuto fare il giudice. Avere per le mani la possibilità di privare della libertà un cittadino qualsiasi, non parlo di un collega, non fa per me. Tuttavia, quando ascolto interventi come quello del collega Meloni - che stimo fino a quando non parla di giustizia -, che sentenzia in quest'aula, arrivando praticamente a condannare un collega sulla scorta di una serie di atti che sono soltanto atti di indagine preliminare e non di un'approfondita ed accurata sentenza di un giudice che sarà poi chiamato a giudicare definitivamente, mi spavento. Non siamo oggi chiamati a stabilire se Cito sia colpevole o meno, noi oggi siamo chiamati a riequilibrare una volta per tutte quanto è sancito dall'articolo 68 della Costituzione; un riequilibrio tra poteri e tra organi del nostro Stato.
PRESIDENTE. Dovrebbe concludere, onorevole Leone. Il tempo a sua disposizione è esaurito.
ANTONIO LEONE. Grazie, Presidente. Concludo immediatamente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare a titolo personale l'onorevole Parrelli, il quale ha a disposizione quattro minuti. Ne ha facoltà.
ENNIO PARRELLI. Signor Presidente, le ragioni addotte dal giudice non sono né generiche né indeterminate. Sottolineo specificamente la posizione determinante e pervasiva del Cito nei confronti della situazione della città di Taranto ed in particolare dell'amministrazione comunale, nella quale detiene pervicacemente e solidamente il potere anche attraverso i legami familiari (Panico insegna).
PRESIDENTE. Onorevole Parrelli, il suo tempo è esaurito. Se vuole può consegnare il testo scritto delle sue ulteriori considerazioni.
ENNIO PARRELLI. Mi consenta un'ultima battuta.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Parrelli.
ENNIO PARRELLI. Il quadro che emerge è talmente pesante e corruttivo, non per gli ottanta milioni ma per il fatto che si tratta di un reato gravissimo, da evocare in me - e mi scuso della citazione, ma si attaglia al caso - Antonio Vieira il quale affermò: «Dicuntur satrapae quasi satis rapientes quia solent bona inferiorum rapere»; si chiamano satrapi perché sono soliti rubare assai.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bielli, al quale ricordo che ha quattro minuti di tempo. Ne ha facoltà.
VALTER BIELLI. Presidente, colleghi, l'accusa nei confronti di Cito è pesante e grave. Si parla di questo parlamentare come di un personaggio a capo di una
PRESIDENTE. Il suo tempo è esaurito, onorevole Bielli.
VALTER BIELLI. Ecco perché credo che, anche di fronte a questi fatti, si debba, con serenità, fare in modo che la richiesta del giudice possa essere accolta (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sgarbi. Ne ha facoltà.
VITTORIO SGARBI. Signor Presidente, se mi è consentito, vorrei preliminarmente fare un intervento in ordine al regolamento.
PRESIDENTE. Ha cinque minuti di tempo per un richiamo al regolamento.
VITTORIO SGARBI. Tenuto conto che questo non è l'intervento che svolgerò, vorrei sottolineare a tutti gli onorevoli colleghi che c'è un doppio elemento di sciatteria nel considerare parte di questi interventi a titolo personale. Lo dico con pieno rispetto del significato di questa formula, perché ogni intervento - come si è visto nelle variegate dichiarazioni di voto da parte di esponenti dell'Ulivo - su questioni che riguardano la libertà personale di un parlamentare è a titolo personale. Sarebbe veramente diabolico che fosse un gruppo a stabilire la volontà del singolo deputato in ordine all'arresto di
PRESIDENTE. Onorevole Sgarbi, mi permetta di chiarire. Naturalmente non è così; le cose sono diverse, nel senso che il tempo viene attribuito ai gruppi, non alla dichiarazione a nome del gruppo. Il tempo, lo ripeto, viene attribuito ai gruppi e ciascun componente del gruppo, naturalmente, dice ciò che vuole.
VITTORIO SGARBI. Ovviamente.
PRESIDENTE. Oltre al tempo dei gruppi, vi è poi un tempo personale per quei deputati che non hanno avuto dal proprio gruppo la possibilità di parlare. Questa questione, quindi, non riguarda il merito. Mi sono spiegato?
VITTORIO SGARBI. Infatti. Se lei, però, fa riferimento al caso specifico di chi le parla, che fa parte del gruppo misto, io non ho avuto alcuna trattativa - né per parlare a nome, né per parlare contro - con il gruppo misto. Io, cioè, parlo come componente del gruppo misto e mai a titolo personale. Intervengo come un politico che ha una precisa posizione che non è personale, ma è appunto politica e pretendo che questa sia tutelata in base a principi democratici, che sono poi quelli per i quali - secondo punto in ordine al regolamento - mi pare aberrante che questo Parlamento, con il nuovo regolamento, contingenti i tempi degli interventi come non è mai accaduto nelle precedenti legislature. Talché, in questa circostanza particolarmente delicata, lo stesso accusato, onorevole Cito, ha soltanto quindici minuti di tempo e chiunque di noi debba rappresentare la sua parte o la controparte ha cinque o dieci minuti di tempo, a seconda di quanto abbia contingentato un gruppo.
ENNIO PARRELLI. Rispondevo polemicamente alla Maiolo.
VITTORIO SGARBI. Nella sostanza, però, il clima è il medesimo. Dobbiamo affrontare quello che si può configurare, caro onorevole Meloni, come «tipo d'autore». Noi abbiamo di fronte un criminale tipico, che è l'onorevole Cito: faccia da criminale, atteggiamento da criminale, occupazione criminale del territorio, talché con i soldi surrettiziamente presi attraverso queste tangenti egli è andato a fare la marcia con il grande treno contro la lega, la quale democraticamente non voterà contro di lui, avendo un concetto della democrazia più avanzato di quello che da alcune componenti dell'Ulivo ho sentito esprimere oggi.
PRESIDENTE. Onorevole Sgarbi, il tempo a sua disposizione è esaurito.
VITTORIO SGARBI. È esaurito il tempo, ma è anche esaurito il concetto ovvero non mi pare di dover aggiungere altro su questo punto, se non che forse è un'aggravante essere deputati, è un'aggravante essere leader di partito. Infatti il sindaco di Taranto, titolare della corruzione, è libero e pronto ad agire, mentre il signor Cito, accattone meridionale, deve essere mandato in galera perché agli ex comunisti piace punire in tal modo quelli che non fanno ciò che essi vogliono (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cito. Ne ha facoltà.
GIANCARLO CITO. Sono abituato a non usare mai alcuna forma di vittimismo, perché non è un ruolo che riesco a ricoprire. Ho un caratteraccio, me ne rendo conto, certe volte aggredisco a parole anche il mio avversario politico, ma questo non significa che sono un delinquente. Al limite, posso essere trattato nello stesso modo a parole, ma non posso essere giudicato un delinquente. Questo mi dà terribilmente fastidio.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Saponara.
Tra gli elementi a sostegno dell'accusa e quindi della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il giudice allega, oltre alla denuncia del De Franco, anche alcune risultanze delle indagini riguardanti trasferimenti di denaro dall'MDM al De Franco e da questi al Campo, nonché copia dei contratti pubblicitari e delle relative fatture, tra la società del Campo e l'emittente Super 7.
In quanto alle esigenze cautelari, la prima concerne l'inquinamento probatorio individuato nell'influenza che lo stesso onorevole Cito è in grado di esercitare presso la detta amministrazione, pur non ricoprendo cariche pubbliche. Invece, il pericolo di reiterazione dei reati è così individuato: «Stante l'enorme ascendente che il Cito esercita sulla compagine che attualmente amministra il comune di Taranto, sussiste il grave, attuale pericolo che le attività imprenditoriali che vengano in contatto con quella pubblica amministrazione possano essere destinatarie di azioni concussive».
La Giunta ha ascoltato il deputato Cito, che ha parlato di un costante atteggiamento persecutorio da parte dell'autorità giudiziaria di Taranto. Cito ha inoltre comunicato che il coimputato Campo, che nel frattempo era stato arrestato, era stato successivamente scarcerato.
Orbene, la lettura dell'ordinanza suscita qualche perplessità. A parte la sussistenza
o meno dei gravi indizi di colpevolezza, si può anche dubitare dell'esatta qualificazione giuridica dei fatti. Si potrebbe infatti ipotizzare più fondatamente il reato di corruzione anziché quello di concussione. Ciò anche in considerazione della personalità del denunziante che, fra l'altro, nelle azioni civili avviate prima della presentazione della denunzia, ha parlato di un prestito senza mai accennare a fatti concussivi o di corruzione.
Non minori perplessità derivano dagli argomenti posti a fondamento delle esigenze cautelari. Il pericolo di inquinamento probatorio nonché di reiterazione dei reati, deve fondarsi su fatti concreti e non già su affermazioni generiche quali quelle relative alla personalità del Cito il quale, essendo fra l'altro leader del raggruppamento politico, ha certamente influenza sui militanti di quel movimento.
Infine, il coindagato Campo è stato scarcerato definitivamente il 22 gennaio 1998 dal tribunale della libertà che, con un'ordinanza motivatissima, getta non pochi dubbi sull'attendibilità del De Franco e comunque chiarisce che non vi è alcun pericolo di inquinamento probatorio per De Franco; né, aggiungiamo noi, per Cito.
Leggo l'ordinanza che parla di questo argomento: «Per quel che concerne infatti il supposto pericolo di inquinamento probatorio e in primis per quanto attiene all'individuazione delle specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, deve osservarsi che l'indagine è ormai in corso da più di un anno ed ha registrato l'audizione di numerose persone informate dei fatti, l'interrogatorio degli indagati ed il sequestro di tutta la documentazione amministrativa connessa al progetto del porto nonché di pressoché tutta la documentazione contabile della Super 7 attinente ai fatti in causa. Sicché, allo stato, le uniche esigenze ragionevolmente ravvisabili paiono connesse alla conservazione della genuinità delle fonti di prova orale già esaminate ed all'acquisizione della testimonianza di nuovi soggetti».
Ciò è quanto dice l'ordinanza a proposito di De Franco e noi affermiamo che tale osservazione sia estensibile al Cito circa l'acquisizione di tutti gli elementi documentali che hanno cristallizzato tutta la vicenda.
Ecco perché la Giunta ha ritenuto di proporre a maggioranza il diniego dell'autorizzazione a procedere all'arresto nei confronti dell'onorevole Cito, le cui responsabilità saranno eventualmente accertate in un regolare processo, che si auspica venga celebrato al più presto.
Ritengo in via preliminare di dover ribadire l'irritualità di entrambe le richieste di autorizzazione ad eseguire, a norma dell'articolo 68 della Costituzione, misure cautelari e di custodia in carcere nei confronti del deputato Giancarlo Cito, trasmesse dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Taranto. A mio avviso - ma non soltanto - si tratta di richieste proceduralmente non corrette e quindi viziate. In proposito non posso non ribadire quanto ho avuto modo di sostenere in seno alla Giunta per le autorizzazioni a procedere ed in questa stessa aula per casi analoghi a quelli oggi in esame.
La mancata conversione dei decreti di attuazione dell'articolo 68 della Costituzione non ha determinato una situazione per cui il giudice per le indagini preliminari è investito della potestà di richiedere al Parlamento l'autorizzazione a sottoporre un suo membro a misure coercitive e limitative della libertà. Tale richiesta permane, ai sensi dell'articolo 343 e 344 del codice di procedura penale, nella responsabilità dell'ufficio del pubblico ministero che ha promosso l'azione penale,
una volta che il giudice per le indagini preliminari si sia pronunciato sulla sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l'applicazione della misura di custodia cautelare in carcere.
Su questo vizio di forma nelle richieste di autorizzazione che pervengono alla Camera ha autorevolmente concordato, ad esempio, anche il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Milano in merito al caso dell'onorevole Previti. In entrambi i casi ora al nostro esame la Giunta per le autorizzazioni a procedere ha ritenuto di poter superare lo scoglio procedurale. Dunque, la Camera oggi è chiamata a pronunciarsi sull'applicabilità delle ordinanze che dispongono la detenzione cautelare in carcere del deputato Cito.
La Camera ha avuto modo di recente di riflettere ampiamente sulla natura e sui limiti del suo sindacato in materia, escludendo che si possa entrare nel merito dell'accusa elevata dalla magistratura e riaffermando che si tratta di stabilire la sussistenza o meno di un eventuale fumus persecutionis nei confronti del parlamentare chiamato in causa, e sulle correlate esigenze di applicazione a suo carico delle misure cautelari previste dalla legge. Non è dunque il caso di tornarvi sopra, così come è superfluo ribadire che la decisione della Camera di appartenenza non possa orientarsi esclusivamente sulla prevalenza della tutela del suo plenum, per tutte le ragioni che sono state esposte e per la corretta interpretazione che deve essere applicata alle guarentigie dei parlamentari, previste dall'articolo 68 della Costituzione.
Mi sembra invece il caso di tornare su una considerazione di ordine generale che ho avuto modo di illustrare durante la discussione della richiesta di custodia cautelare in carcere a carico dell'onorevole Previti e cioè l'intempestività delle decisioni della Giunta per le autorizzazioni a procedere e conseguentemente di quest'Assemblea in quanto Camera di appartenenza del deputato al cui carico viene avanzata la richiesta di autorizzazione di custodia cautelare in carcere.
La mia osservazione sulla oggettiva vanificazione del carattere eccezionale del provvedimento di custodia cautelare in carcere a causa dei nostri tempi di decisione è stata ripresa ed allargata a tutto l'articolo 68 della Costituzione dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano Francesco Saverio Borrelli.
Il capo della procura di Milano coglie una contraddizione nell'articolo 68 della Costituzione, perché vi sarebbe un salto logico tra ciò che è previsto in teoria e ciò che si può fare in realtà.
Così esemplifica il dottor Borrelli: «Se un'autorità giudiziaria ritiene necessario intercettare un telefono, sequestrare un conto o arrestare un indagato per evitare inquinamenti di prove, è fondamentale l'elemento sorpresa. Ma, nel caso di un parlamentare, tra la richiesta di autorizzazione ed il voto in aula passano settimane o mesi ed è naturale che in tutto questo tempo chi doveva fare le telefonate o distruggere le carte avrebbe comunque potuto farlo comodamente».
Per parte mia, mentre ribadisco che la presenza delle guarentigie parlamentari in tutte le democrazie mi sembra che testimoni della loro non esaurita funzione, non posso non convenire sul problema dei tempi delle nostre decisioni, che io stessa ho più volte sollevato.
La tempestività delle nostre decisioni, probabilmente non eliminerebbe del tutto i problemi posti dal dottor Borrelli, ma di certo li attenuerebbe, almeno per quanto riguarda i provvedimenti più gravi e delicati come la richiesta di custodia cautelare in carcere.
Le domande di autorizzazione a procedere avanzate dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto a carico del deputato Giancarlo Cito - tanto quella che ci è pervenuta il 9 dicembre, alla quale si riferisce la relazione che abbiamo adesso ascoltato, quanto quella che ci è pervenuta l'11 novembre, che si riferisce alla relazione che ascolteremo successivamente - sono entrambe dello scorso anno. La Camera sta decidendo dopo che sono trascorsi alcuni mesi.
Nel frattempo i principali presunti coimputati del deputato Cito sono stati scarcerati, ovviamente perché il giudice del riesame ha ritenuto non sufficientemente fondate ovvero venute meno le esigenze di custodia cautelare in carcere.
Nel valutare i due specifici casi, allora, non può essere irrilevante il fatto che i coimputati, che secondo l'accusa avrebbero materialmente consumato i reati ascritti a titolo di concorso anche al deputato Cito, già sottoposti a misura di custodia cautelare in carcere, siano stati successivamente rilasciati.
Questi sono, quindi, gli elementi di cui dispone la Camera, affinché ciascun deputato si formi in piena libertà un sereno ed equo convincimento sui casi specifici che coinvolgono il deputato Cito ed assuma quindi la sua decisione.
Il reato che è stato formalmente contestato sarebbe quello di concussione, ma in realtà non vi è elemento alcuno per sostenere una imputazione di tal genere. Tutt'al più potrebbe trattarsi di corruzione, mai di concussione.
Voglio rilevare, peraltro, che Campo Michele, coimputato con Cito per il reato contestato, è stato scarcerato. Questo è un elemento assorbente circa la nostra decisione: se non sussistono più i presupposti per tenere in carcere Campo, non si vede per quale motivo si voglia procedere all'arresto del deputato Cito.
Se per Campo non esistono pericoli di inquinamento probatorio, non si vede perché dovrebbero esservi per Cito, nel momento in cui, peraltro, quest'ultimo non riveste alcuna carica e non svolge alcun ruolo all'interno dell'amministrazione comunale di Taranto: non è sindaco, non è assessore, non è nulla! Non siriesce dunque a comprendere come potrebbe reiterare i reati che si assume avere commesso, né si comprende in alcun modo quale inquinamento probatorio possa porre in essere.
Voglio ricordare che Cito è vittima di una vera e propria persecuzione da parte della magistratura di Taranto. Egli ha presentato sei circostanziati esposti anche al Presidente di questo ramo del Parlamento per denunciare la situazione che si era venuta a creare in quella città e per chiedere una ispezione presso la magistratura tarantina. Non solo. Ha presentato numerose interrogazioni parlamentari per sollecitare il ministro di grazia e giustizia affinché si attivasse per disporre ispezioni presso la magistratura di Taranto. Vi è quindi un contesto particolarmente inquietante, che vede il collega Cito non nel ruolo di concussore, ma purtroppo in quello di vera e propria vittima della magistratura tarantina.
Voglio ricordare che nella storia del Parlamento italiano autorizzazioni all'arresto sono state concesse soltanto in casi eccezionali, che non voglio richiamare perché sono noti a tutti. Si è trattato di casi eccezionalmente gravi, che non avevano nulla a che vedere con il reato contestato all'onorevole Cito. Nei casi precedenti si parlava di reati di sangue, di particolarissima gravità; in questo caso siamo completamente fuori da quelle ipotesi.
Per questo motivo, chiedo all'Assemblea di uniformarsi al giudizio espresso dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere, cioè di respingere la richiesta di arresto dell'onorevole Cito.
che non sia quello del doveroso rispetto dei limiti imposti dal dettato costituzionale. Tutela delle prerogative, dunque, ma rifiuto netto di ogni atteggiamento che possa pur larvatamente apparire come un cedimento verso una concezione della condizione del parlamentare quale condizione di privilegio.
Nel caso che oggi occupa l'Assemblea l'onorevole Cito è accusato di gravi fatti concussivi; precisamente, di aver indotto Ildebrando De Franco e Gerard de Cervens dapprima a promettere loro una dazione di denaro per un importo di 240 milioni annui da versare in tre anni per complessivi 720 milioni, e successivamente a dare loro la somma di lire 120 milioni al fine di consentire l'approvazione da parte del comune di un progetto relativo alla realizzazione di un porto turistico in località San Vito di Taranto.
Rispetto a queste accuse, che io considero assolutamente gravi, il relatore Saponara ha ritenuto, rappresentando la maggioranza della Giunta, di pervenire ad una proposta di non autorizzazione dell'arresto ragionando - mi consentirà l'amico e collega Saponara - in modo causidico, come ha fatto testé anche il collega Berselli, cercando di sostenere che nel caso in specie non vi sarebbe una concussione, bensì una corruzione, che non vi sarebbe un quadro probatorio adeguato, che mancherebbero le esigenze cautelari e che comunque sarebbe dirimente e decisiva la circostanza che un coimputato è stato posto in libertà. Tutto questo sarebbe il presupposto di un presunto accanimento processuale, che indurrebbe la Giunta e il relatore alle conclusioni alle quali prima accennavo.
Vorrei invitare il relatore e tutta l'Assemblea a prendere visione della documentatissima ordinanza (sono 31 pagine fittissime) con la quale il tribunale della libertà di Taranto ha accolto il gravame presentato dal coimputato per porlo in libertà, ma al tempo stesso ha affrontato (perché doveva farlo) la posizione dell'onorevole Cito, rappresentando un quadro probatorio assolutamente indiscutibile (ci sono perizie, dichiarazioni di parti lese, documentazioni bancarie) e soprattutto sottolineando come l'onorevole Cito sia posto al vertice di un sistema di illiceità diffusa. Sistema che, come afferma espressamente nell'ordinanza il GIP, «costringe gli imprenditori ad operare secondo metodi imposti a pena dell'esclusione dal mercato». Questo afferma la seconda sezione del tribunale di Taranto e analoghe espressioni usa la prima sezione dello stesso tribunale allorché si occupa, come tribunale della libertà, del caso che esamineremo di qui a poco. Abbiamo quindi due GIP distinti, due collegi di tribunali della libertà: otto magistrati che dicono esattamente le stesse cose e che sono magistrati terzi, secondo le valutazioni istituzionali corrette. Questa è la situazione e vorrei sapere sulla base di quale altra valutazione possiamo ritenere che esista nel caso di specie un fumus persecutionis. Abbiamo casi gravissimi, milioni che corrono, milioni che vengono concussi; abbiamo quadri probatori assolutamente indiscutibili, altro che quadri indiziari! Abbiamo otto magistrati che sostengono con atti documentati e motivati, con atti giurisdizionali, che Cito può reiterare i comportamenti delittuosi perché, come ho già detto, è a capo di un sistema di illiceità diffusa. Di fronte a tutto questo non capisco quale possa essere, se non quella che io propongo personalmente, la conclusione della Camera.
È mia ferma convinzione che in questo caso la Camera dei deputati non abbia ragione alcuna per negare l'autorizzazione all'arresto chiesta dal giudice di Taranto in danno dell'onorevole Cito. Credo che la Camera non abbia alcuna ragione per derogare al principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. L'onorevole Cito non è un perseguitato politico, né in suo danno risulta registrato un particolare accanimento giudiziario. Vi è soltanto un'accusa pesante, circostanziata ed ampiamente provata di concussione, vi è soltanto il pericolo - evocato e motivato da parte dell'autorità giudiziaria a più voci - che egli possa continuare a realizzare condotte gravemente criminose.
Non è questione politica questa, quindi. Lasciamo allora che se occupi il giudice competente, quello ordinario, e non altri.
Sono queste le ragioni per le quali voterò contro le conclusioni e la proposta del relatore e per le quali invito i colleghi a fare altrettanto (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).
Vorrei ricordare che la Costituzione del 1948 aveva istituito l'immunità del Parlamento proprio come contrappeso rispetto all'autonomia ed all'indipendenza della magistratura. Oggi l'immunità non c'è più e penso che occorra grandissima prudenza prima di decidere di privare un deputato della sua libertà personale. Ricordo anche che l'immunità riguardava il Parlamento e non era certo nella disponibilità del singolo deputato o senatore; era una garanzia per l'integrità del Parlamento ed è questa che oggi siamo chiamati a difendere. A maggior ragione oggi, in un momento in cui il Parlamento viene attaccato da una parte, per fortuna minoritaria, della magistratura. Abbiamo addirittura sentito un procuratore capo che, mentre il Parlamento si accingeva a decidere su un'altra richiesta di arresto, ha affermato: «Dovete dare una prova di moralità politica». Ebbene, vorrei sapere cosa significa per noi oggi dare una prova di moralità politica. Oggi che un sostituto procuratore ha dichiarato che in questo Parlamento ci sono ricattatori e ricattati.
Ho apprezzato una dichiarazione del capogruppo del PDS in Senato, il quale ha affermato di essere spaventato all'idea del cittadino che capiti nelle mani di quel sostituto procuratore. Il senatore Salvi ha dimenticato che molti cittadini sono capitati e oggi sono ancora nelle mani, non so quanto giuste, di quel sostituto procuratore. Mi domando se il caso dell'onorevole Cito sia davvero così diverso, se diversa sia la filosofia procedurale e giudiziaria che muove la procura della Repubblica (ed anche l'ufficio del GIP, ma sappiamo che troppo spesso gli uffici dei GIP sono un po' subalterni alle procure della Repubblica) da quella che muove ed anima il cosiddetto pool di Milano. Non dimentichiamo che l'onorevole Cito ha svolto più volte interrogazioni nei confronti della procura della Repubblica di Taranto denunciando la sua attività di tipo politico, nonché fatti che molti di noi conoscono molto bene, come il caso del pubblico ministero che entra in camera di consiglio (molti di noi che hanno frequentato i palazzi di giustizia credo abbiano assistito purtroppo a fenomeni degenerativi di questo tipo). Mi sembra che la filosofia sia sempre quella del «non poteva non sapere».
In fondo, infatti, l'onorevole Cito è chiamato a rispondere del fatto che, essendo un leader politico, potrebbe avere influenza su un'amministrazione di cui, comunque, non fa parte. Mi sembra sia questo il nodo principale delle richieste di arresto. Se a ciò aggiungiamo che è stato vittima di perquisizioni illegali e che, come giustamente ha detto il relatore, non ci sono elementi concreti e determinanti - quelli richiesti dall'articolo 274 - perché si possa disporre una misura cautelare, nonché il fatto che il suo coimputato è stato scarcerato (per cui ci si domanda quale cautela si debba adottare per poter arrestare l'onorevole Cito), allora io affermo che il Parlamento oggi, con un moto di orgoglio, deve dire a voce alta «no» a questa richiesta di arresto. In questo modo daremo, sì, una vera prova di moralità politica e saremo utili all'orgoglio del Parlamento, ma anche ai diritti di tutti i cittadini, quei cittadini che oggi sono costretti a rivolgersi al sovrano
perché li difenda dalla magistratura (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Prima di entrare nel merito delle questioni, a me sembra che vada però sottolineata una preoccupazione che, man mano che passa il tempo e che si affrontano queste discussioni, in me cresce in modo notevole. Volendo assumere ancora come esempio (ma verrò poi alle cose che diceva il relatore) l'intervento dell'onorevole Maiolo, direi che ci troviamo di fronte ad un quadro che viene sostanzialmente descritto così: dalla procura di Milano alla procura di Taranto e - perché no? - a tante altre procure, ci troviamo di fronte ad una serie di magistrati i quali sono tutti intenti a cercare di indebolire e ad attentare alle prerogative parlamentari. Vi è una volontà di persecuzione che viene individuata ogni volta che un magistrato eleva un'accusa nei confronti di un deputato. Io non ho sentito, onorevole Saponara, una sola ragione, che non sia una ragione difensiva - peraltro perfettamente legittima -, sulla base della quale noi dovremmo rigettare la richiesta dei magistrati di Taranto. Perché vi fosse, infatti, questa ragione, noi dovremmo convincerci che vi sia da parte di questi magistrati un intento persecutorio e non c'è una dimostrazione di questo intento, né il relatore ha potuto su questo punto dilungarsi. Lo stesso accenno fatto poc'anzi dall'onorevole Berselli, il quale ha affermato che sussiste l'intento persecutorio perché l'onorevole Cito ha presentato ben sei esposti contro la magistratura di Taranto, mi ricorda un po' quell'osservazione che faceva un grande combattente per i diritti civili negli Stati Uniti, il quale affermava che i bianchi americani relegano i negri nella condizione di lustrascarpe e da qui deducono che sono adatti soltanto a fare i lustrascarpe. È abbastanza facile, nel momento in cui ci si trova di fronte a procedimenti penali che si moltiplicano, accusare coloro che compiono il loro dovere di voler perseguitare: l'imputato dirà molto facilmente di essere perseguitato. Ci vuole però qualcosa che dimostri la persecuzione.
Da tale punto di vista, vorrei porre ai colleghi una domanda. Ci troviamo di fronte ad un insieme di giudici che hanno tutti, in qualche modo, espresso la loro opinione su questo argomento, un'opinione che è coerente e costante. Tutti questi giudici fanno parte del complotto? È possibile che al tribunale di Taranto, dai procuratori ai giudici per le indagini preliminari, al collegio che compone il tribunale per la libertà, tutti abbiano indistintamente lo stesso obiettivo?
Badate, a me non pare vero, come l'onorevole Saponara ha sostenuto, che l'ordinanza del tribunale della libertà che dispone la scarcerazione di Campo, uno dei coimputati, si possa in qualche modo estendere all'onorevole Cito. Non è vero perché quell'ordinanza - onorevole Saponara, ella lo sa bene perché l'ha letta con attenzione ed è intelligente lettore di questi atti - è costruita sul contrappunto tra la figura del Cito e quella del Campo. Si dice del Campo che non si possono trasferire su di lui le attitudini del Cito di inquinare le prove o di reiterare il reato.
Voglio leggervi quanto detto dal giudice, perché non ci siano dubbi sul ragionamento che egli produce. Egli dice giustamente che non è possibile far discendere su Campo le valutazioni che possono essere date su Cito. Quali sono queste valutazioni?
L'ordinanza afferma: «Nei confronti del Cito appare effettivamente sussistere, sulla scorta degli elementi in atti, un pericolo di inquinamento probatorio particolarmente elevato, concreto ed attuale. Agli elementi già indicati dal pubblico ministero» - continua il tribunale delle libertà - «nella richiesta di misura cautelare e valorizzati dal giudice per le indagini preliminari nell'ordinanza impositiva (opposizione pretestuosa dell'inviolabilità di domicilio di parlamentare ex articolo 68, onnipresenza agli atti di perquisizione e sequestro negli studi di Super Sette, sparizione e successiva ricomparsa, ma su indicazione e per volontà dello stesso Cito, di quaranta contratti pubblicitari dell'emittente Super Sette) devono infatti aggiungersi quelli sopravvenuti e addotti dal pubblico ministero nella presente procedura ed afferenti alle pubbliche minacce nei confronti del Monfredi, nonché soprattutto all'inquietante episodio denunciato in data 12 dicembre 1997 dal De Franco, secondo il quale, nella notte di quello stesso giorno, alle ore 1,32, e nella prima mattina, alle 9,30-10, egli veniva contattato da tale Gino, poi identificato per Galasso Luigi, il quale, affermando di parlare su incarico del Cito, gli offriva del denaro per convincerlo a dichiarare che nella vicenda del porto non aveva preso soldi o ad allontanarsi da Taranto».
Voglio mettere in evidenza, cari colleghi, che l'ordinanza del tribunale della libertà mette in evidenza la profonda differenza esistente tra la posizione di Campo, la sua capacità di inquinare le prove, e la posizione di Cito. Pertanto, se si richiama tale ordinanza, la quale fa sistematico riferimento all'esistenza a Taranto di un sistema di corruttela, bisogna citarla in modo corretto e dire che il giudice perviene al provvedimento che scarcera Campo soltanto perché contrappone questa figura a quella di Cito, che viene individuata nel modo che ho detto.
Vi è un'altra argomentazione addotta dal collega Berselli che mi colpisce. Egli afferma che il provvedimento di arresto, fino ad oggi, sarebbe stato concesso solo per reati di estrema gravità, per reati di sangue. Onorevole Berselli, mi viene da chiedere se vi sia qualcosa di più grave del fatto che un reato di concussione venga contestato ad un parlamentare. Proprio in relazione alla funzione di parlamentare c'è qualcosa che possa essere considerato più grave del reato di concussione e di corruzione? Se non individuiamo delle ragioni che inducano a sostenere che i giudici stanno tentando di violare la funzione parlamentare, bisogna concludere che è necessario dare risposta affermativa a tale domanda, perché non vi è alcuna dimostrazione che questi magistrati stiano perseguitando un membro del Parlamento.
Ci troviamo di fronte ad una esigenza cautelare che è stata più volte ribadita, come vedremo esaminando l'ordinanza relativa all'altro caso. Come tutti sanno, non è su questa che siamo chiamati a decidere, perché non siamo chiamati a decidere se ci sia o no l'opportunità di adottare questa misura, ma siamo esclusivamente chiamati a stabilire se tale misura sia stata o no ispirata a motivi di persecuzione nei confronti di un membro del Parlamento. Se non si dimostra questo, bisogna riconoscere che negare l'autorizzazione significherebbe semplicemente avvalersi di un odioso privilegio perché ci fa comodo. Tuttavia, così procedendo, non possiamo poi lamentarci se qualche cittadino, indipendentemente dal fatto che vesta o no la toga di giudice, rimprovera al Parlamento di arroccarsi dietro a posizioni che dovrebbero essere maggiormente chiare (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti e di deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).
mus persecutionis se non attraverso la disamina del merito.
Per la verità, non ho apprezzato la affermazione di Bonito, quando ha asserito che la relazione di Saponara avrebbe del causidico, perché nel momento in cui egli si è richiamato alla ordinanza di riesame del tribunale, ha fatto anche lui riferimenti causidici, così come riferimenti causidici sono stati fatti dall'onorevole Meloni.
Se non abbiamo neanche la facoltà di entrare nel merito per verificare se esista o no il fumus persecutionis e se non abbiamo la facoltà di entrare nel merito per rilevare, ad esempio, la sussistenza di anomalie nel provvedimento custodiale, è inutile stare qui: diamo l'autorizzazione all'arresto e non ne parliamo più! Ma siccome per rilevare il fumus persecutionis è necessario ed opportuno entrare nel merito, noi vi entreremo nei limiti dei tre minuti di cui ancora disponiamo.
Si parla di gravi indizi di colpevolezza in riferimento all'articolo 273 del codice di procedura penale, di gravi esigenze cautelari e del pericolo di reiterazione del reato in relazione all'articolo 274 del codice di procedura penale. Si parla quindi di gravi esigenze cautelari e di gravi indizi di colpevolezza. L'accusa si fonda solo sulle dichiarazioni di De Franco. Ma vogliamo verificare se tali dichiarazioni, sotto il profilo intrinseco, siano o no attendibili? De Franco è un riconosciuto faccendiere internazionale, che è stato maltrattato da Cito (fatto, questo, riconosciuto); De Franco ha interesse al recupero di 120 milioni di lire dati a Campo.
Nell'ordinanza si afferma che l'attendibilità del De Franco è assoluta, affermazione che non trova riscontro in un'attenta disamina delle carte processuali. Quanto ai riscontri, questi non esistono assolutamente rispetto a Cito, ma solo nei confronti di Campo, il quale offre giustificazioni più che attendibili.
Circa le esigenze cautelari, di cui all'articolo 274, ritengo che l'onorevole Meloni e l'onorevole Bonito abbiano fatto i causidici nel vero senso della parola, perché bisogna chiarire quali indagini preliminari occorra ancora compiere per affermare che non sono terminate le esigenze cautelari connesse all'acquisizione della prova. Vi è una denuncia, vi è una conferma della denuncia e sono state espletate indagini documentali tese ad acquisire l'esborso di 100 milioni che sarebbero stati offerti a Campo. È tutto completo. Mi si vuole dire in che cosa potrebbe consistere l'inquinamento della prova? Mi sembra che tutto questo sia sintomatico di un fumus persecutionis. A me cosa interessa che dieci, trenta o quaranta magistrati abbiano affermato le stesse cose, se queste non hanno alcun fondamento sotto il profilo giuridico?
Quanto al pericolo di reiterazione del reato, mi sembra che ci troviamo in una situazione allucinante, perché arriviamo a sostenere una determinata ipotesi accusatoria sulla cultura del sospetto. Come si fa ad affermare che Cito è il capo di un'organizzazione tesa alla concussione, se gli episodi di cui ci stiamo interessando sono solamente due, i quali peraltro suscitano gravi perplessità in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza?
Come si fa ad affermare con tanta facilità che vi è pericolo di reiterazione del reato, affermando che Cito è il leader occulto di questa situazione? È la cultura del sospetto che si sostituisce all'esigenza di una prova granitica. No, assolutamente no, soprattutto quando tutto ciò deve sposarsi ad una tutela del più grande dei diritti, dell'inalienabile diritto della libertà del cittadino. Ed è per questi motivi che a mio parere deve essere approvata la proposta dell'onorevole Saponara.
l'unica condizione ostativa per negare l'arresto né sono d'accordo quando essi rifiutano la sfida sul merito della vicenda e poi in effetti esaminano il merito della vicenda. Tutto ciò mi consente di ritenere che il problema posto alla base del caso di cui ci occupiamo, cioè l'individuazione dei poteri della Camera di fronte ad una richiesta di questo genere, è tutt'altro che semplice. Per negare l'arresto dobbiamo per forza essere in presenza di un atto preordinato e malizioso del giudice che vuol nuocere all'imputato? Di una persecuzione preordinata, addirittura di una falsificazione dell'impostazione dell'accusa, come da taluno si vorrebbe? O forse, come io credo, è sufficiente quella che il relatore indica come una persecuzione oggettiva? Mi riferisco alla presenza di anomalie di ordine sostanziale o processuale, che possono farci ritenere che non esistano le condizioni per farsi luogo all'arresto. Pur comprendendo i rischi di una siffatta impostazione, tuttavia avverto i colleghi del pericolo a cui conduce una rinuncia a capire. Noi dovremmo quindi, in assenza di un palese atto di inimicizia del giudice verso l'imputato o di un conclamato atto di persecuzione del giudice, arrenderci e rinunziare a conoscere i fatti; eppure, si tratta di fatti che conducono all'arresto di un rappresentante del popolo!
Io propendo, quindi, per la tesi della ricerca di segnali, di anomalie, che in qualche modo possano orientarci in questo compito non facile.
In questo caso di anomalie ne colgo più di una.
La prima. Il collega Meloni non è d'accordo, ma credo che riesce difficile avere qualche dubbio sulla correttezza giuridica dell'accusa contestata: ci troviamo, cioè, veramente di fronte ad un reato di concussione gravissimo, oppure invece ad un reato meno grave, vale a dire ad un reato di corruzione (intendiamoci: anch'esso è allarmante, ma è certamente meno grave della concussione)? Dagli atti non vi è una indicazione o un fatto che possano farci ritenere che Cito abbia indotto, in qualche modo concusso; vi è, anzi, una indicazione di tutta un'attività volta a piegare Cito a questa ipotesi legata alla realizzazione del porto di Taranto.
I colleghi che hanno letto l'incartamento ricorderanno che una prima volta Cito, avvicinato dal denunziante, lo cacciò fuori in malo modo, che questi tentò per vie traverse di avvicinarsi e che la questione (che peraltro non sorgeva allora per la prima volta) fu discussa in presenza di tante altre persone.
Si è affermato che questa indagine non ci dovrebbe riguardare e che competerebbe al giudice. Se ci venisse presentata una richiesta di autorizzazione all'arresto per un'ipotesi di omicidio e noi poi scoprissimo che la parte lesa è soltanto ferita, non ci dovremmo occupare neppure di questo?
Il quadro degli elementi che giustificano l'emissione del provvedimento cautelare, che si considerano gravi, gravissimi, mi pare invece piuttosto problematico, anziché caratterizzato da una univocità di indicazioni. Tutti sanno quali siano le condizioni sulla base delle quali un quadro probatorio possa essere definito grave: a me pare che si tratti invece di un quadro probatorio piuttosto problematico, che nasce da una dazione indiretta costruita su un contratto. Intendiamoci: questa non è ipotesi estranea in astratto al fatto del quale ci occupiamo, ma nasce così una dazione indiretta. La parte lesa non ha mai avuto rapporti con Cito: li ha avuti tramite Campo; è legata quindi ad un contratto di fornitura di trasmissioni televisive.
Anche sul punto non mancano problemi, perché la pretesa illiceità della causa viene costruita sulla base di accertamenti peritali che dimostrerebbero l'esosità della dazione rispetto all'entità della prestazione. Da tutto ciò emerge quindi un quadro che, sul piano della univocità, è tutt'altro che univoco! È probabile che sia stato così, ma la probabilità è circostanza, valutazione e concetto lontano dalla gravità degli indizi.
L'esigenza delle cautele processuali: il documento che orienta il mio intervento è l'atto del GIP. Ebbene, colleghi, vi invito a
leggere quell'atto del GIP. Dalla lettura di tale atto trarreste la convinzione che in effetti l'esigenza di cautela processuale è legata ad una ipotesi accusatoria non attuale, al di là da venire. Questo è un quadro nel quale sono vicine una componente politica e una componente tecnica. Ebbene, l'esigenza di cautela è legata alla componente tecnica, con la quale Cito non ha mai avuto a che fare; è un'indagine che non è mai ancora sorta: si tratta quindi di un'esigenza cautelare eventualmente legata ad una ipotesi tutt'altro che certa.
L'ultima annotazione la rilevo dal documento del GIP che attiene alla possibilità che Cito reiteri azioni criminose del tipo di quelle delle quali ci occupiamo. Intendiamoci, non ho affatto simpatia per un imputato che commette azioni di questo genere e non mi fa velo la mia condizione di esprimere una riprovazione forte, ma questo non mi esime dal porre l'accento sull'esigenza, costruita nel documento del quale ci occupiamo, di evitare il «pericolo che le attività imprenditoriali che vengano in contatto con quella pubblica amministrazione possano essere destinatarie di azioni concussive». Mi sembra eccessivo: l'arresto di Cito, costruito come una sorta di vaccino contro questo malanno che affligge Taranto!
Sono queste le ragioni, signor Presidente, onorevoli colleghi, per le quali esprimo il mio dissenso all'arresto del deputato Cito (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo, di alleanza nazionale e di forza Italia).
Qual è la ratio dell'articolo 68? Non è certo quella di creare un'impunità per i parlamentari, ma è quella di evitare che un organo dello Stato possa creare un conflitto, sì da mettere un altro organo dello Stato, superiore, in uno stato - scusatemi il bisticcio di parole - che può arrivare poi ad un conflitto vero e proprio nel momento in cui si tenda, o si possa tendere, ad un'eliminazione «quasi fisica» di un parlamentare per evitare che possa far parte di un plenum, quale deve essere quest'Assemblea.
Questa è la ratio dell'articolo 68, non c'è altro, perché non si può ipotizzare che chi ha concepito questo articolo, anche se modificato in un'epoca successiva, possa aver deciso di creare un'impunità per il parlamentare. Se un parlamentare è colpevole lo stabilirà poi la giustizia, un giudice che sarà chiamato a valutare le carte in contestazione! Quello che ha detto l'onorevole Cola nel momento in cui ha analizzato correttamente gli atti sottoposti all'attenzione prima della Giunta, poi di questa Assemblea, è esatto. Se si parla di inquinamento delle prove, se si parla di pericolo di fuga, se si parla di reiterazione del reato, allora tutto ciò deve essere dimostrato. Ma a noi non interessa, noi dobbiamo mettere sul piatto della bilancia l'azione, l'attività giudiziaria rispetto a quanto che il Parlamento deve invece prendere in seria considerazione.
Parlavamo di fumus persecutionis; non si tratta di questo perché il fumus persecutionis può essere quasi una prova diabolica: non si può stabilire il momento in
cui e come viene effettuato. Infatti, nel momento in cui il giudice che ha deliberato di scarcerare un coimputato in concorso con il Cito, non provveda a revocare quella sua ordinanza di misura cautelare, allora si potrebbe ipotizzare un fumus persecutionis; nel momento in cui si dà tutto per scontato può diventare un fumus persecutionis.
E allora, perché non dire ai colleghi che stiamo parlando di una vicenda giudiziaria basata solo e soltanto sulle dichiarazioni di una parte offesa che tende a riportare nella sua disponibilità 120 milioni, che non ha dato al Cito ed ha promosso un'azione civile per il recupero di quei 120 milioni? Non si può portare in quest'aula una vicenda basata solo e soltanto sulla dichiarazione di un cittadino qualsiasi, il quale può aggredire un altro cittadino qualsiasi che in questo momento riveste l'incarico di parlamentare.
Sulla reiterazione sono state svolte giuste considerazioni sia dal relatore sia da chi - come gli onorevoli Bonito e Meloni - ha inteso riportare la questione in altro ambito. La reiterazione non è possibile da parte del Cito, perché non vi è la prova che questi abbia ancora nella sua disponibilità la possibilità di accesso al comune di Taranto attraverso decisioni da lui stesso assunte. Soprattutto, però, di reiterazione non si può parlare nel momento in cui il giudice ha deciso di non tenere nel debito conto le misure cautelari emesse nei confronti di un coimputato; infatti vengono meno gli elementi che sono stati posti alla base della richiesta di misura cautelare.
Si pone quindi un problema di riequilibrio e non di preminenza fra gli organi dello Stato: dobbiamo domandarci se quest'aula, che ha già deciso in altre epoche e su altri parlamentari in una maniera differente da quella prospettata dai colleghi poc'anzi intervenuti, debba perseguire un riequilibrio definitivo con altri organi dello Stato. Ne va della nostra libertà politica. Chiamatelo come volete: fumus persecutionis o accanimento. Dagli atti, per la verità, il fumus persecutionis o l'accanimento possono essere evidenziati tranquillamente: basta leggere attentamente la documentazione posta alla base della richiesta. Il fumus persecutionis, però, potrebbe non avere valore rispetto all'elemento che sto sottoponendo all'attenzione dei colleghi.
Quanto stiamo decidendo nei confronti del collega Cito assume oggi grande importanza anche sulla scorta delle dichiarazioni rilasciate recentemente da qualche pubblico ministero, il quale ha inteso mettere nel nulla...
Invito pertanto i colleghi a prendere attentamente in considerazione gli argomenti che sono stati addotti contro la richiesta di arresto di Cito. È questa, sicuramente, la posizione del gruppo di forza Italia (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Il relatore ha dedotto al riguardo il singolare argomento che il leader di un raggruppamento politico non avrebbe alcun peso rispetto agli amministratori comunali o ai gruppi amministrativi ai quali essi appartengono in tutto o in parte, per cui sarebbe ben strano addebitare al leader - sia pure nell'ambito territoriale di una città - il peso e l'influenza negli
affari cittadini tramite i suoi affiliati. L'argomento non ha pregio e non è nemmeno suggestivo, perché - e valga per tutti gli argomenti contra - sarebbe come dire che per esempio gli onorevoli Berlusconi, Fini e D'Alema non hanno alcuna influenza sul comportamento dei deputati dei rispettivi gruppi. Penso che la vis difensiva del collega relatore - notoriamente vocato a funzioni difensive, appunto - lo abbia tradito fino al punto di considerare la disposta scarcerazione del coimputato come un elemento in grado di fare venir meno i motivi posti alla base dell'ordinanza di custodia cautelare nei confronti dell'indagato, onorevole Cito. In ciò evidentemente il relatore dimentica la diversificazione delle posizioni soggettive, al punto da equiparare - per esempio - le responsabilità di un militare semplice a quelle di un generale nella conduzione della battaglia.
Ma la sublimazione dell'impeto difensivo viene raggiunta allorquando si sostiene l'esistenza di un fumus persecutionis oggettivo, non derivante nemmeno da un accanimento fazioso, ma piuttosto da una serie di circostanze processuali che si sarebbero potute valutare diversamente. Ciò significa che si vuole introdurre al rovescio il principio della responsabilità oggettiva. Insomma, se uno si trova vicino al luogo di un delitto, è oggettivamente responsabile dello stesso.
Al versato difensore questo di certo ripugna quanto il principio del fumus persecutionis che i giuristi traducono nell'ombra di persecuzione, in analogia con l'ombra del buon diritto che viene individuata nel fumus boni iuris. In questo caso l'ombra oggettiva della persecuzione approda piuttosto a quelle che ricordano l'Ade, dove le vane ombre si aggirano vacue.
Né ha maggiore pregio invocare il principio della valutazione bilanciata dei valori costituzionali che è alla base dell'articolo 68, cioè la tutela del plenum dell'Assemblea rispetto alle esigenze proprie del procedimento penale, pur di elevato valore costituzionale. E ciò perché, se così fosse, l'articolo 68 della Carta costituzionale sarebbe un vaniloquio in quanto ed invece in sé contiene il principio opposto che consente la vulnerazione del plenum assembleare, altrimenti non prevederebbe la possibilità dell'arresto del parlamentare.
Infine, in quanto qui non è in gioco solo e per contro l'elevato valore costituzionale del procedimento penale, ma anche e soprattutto il fatto che i parlamentari non hanno diritto ad una tutela assoluta ed inconsiderata e la loro libertà, come valore assoluto, in nulla differisce da quella del più umile cittadino se non per la specificità della tutela insita nella procedura che stiamo espletando, le cui guarentigie non possono assurgere ad un mero e tracotante privilegio.
È vero, vi sono gli esposti di Cito ed una serie di interpellanze; tuttavia, se fosse vera la tesi degli esposti...
struttura piena di illiceità diffusa e continuativa. Qualcuno ha affermato che quando si pone il problema della custodia cautelare dovremmo essere di fronte ad accadimenti e fatti gravissimi. Questo a me sembra un fatto grave che necessita di essere valutato con serenità, con oggettività ma anche con la consapevolezza che di fronte a fatti gravi come questo di illiceità diffusa, che richiamano Tangentopoli ed i reati di concussione e corruzione, già in passato il Parlamento ha sbagliato e non credo sia giusto ripetere errori compiuti in altre occasioni.
Ci troviamo ad affrontare una vicenda pesante in cui si sono evidenziati fatti che meriterebbero ben altra attenzione rispetto a quella mostrata dal relatore. Mi riferisco al fatto che nei confronti di questa vicenda - come ha già sottolineato il collega Bonito - sarebbe opportuno verificare il contenuto dell'appello del Campo (si è passati dalla custodia cautelare alla custodia domiciliare), in relazione al quale emerge un dato rilevante: per il Campo non è più possibile reiterare il reato mentre, per quel che concerne Cito, l'accusa è più pesante e la si evidenzia proprio in ragione del provvedimento assunto nei confronti del Campo. Qui nessuno di noi è giustizialista né credo abbia mente all'importanza ed al valore che assume la necessità della difesa del Parlamento e del parlamentare. Credo però che, parlando di questa questione, non sarebbe male riprendere un altro elemento a cui ha fatto riferimento la collega Maiolo, alla quale fa sempre difetto il dato della parzialità ed il fatto di non conoscere mai le carte.
Mi riferisco al fatto che, quando si parla di perquisizioni illegali od illegittime, collega Maiolo, vada a leggersi le lettere che sono intercorse tra la Presidenza di questa Camera e la Guardia di finanza, nelle quali si scoprirà un dato, ossia che la denuncia fatta da Cito sulle perquisizioni illegali è altra cosa rispetto all'evidenza dei fatti. Lo è al punto tale che l'onorevole Cito, per evitare una perquisizione all'interno dell'ambiente in cui ci sono le due società, adduce il fatto di avere il domicilio in tale sede. Ciò per impedire che si vada ad effettuare la verifica. L'onorevole Cito ha il proprio domicilio all'ultimo piano, mentre le due società sono ai piani inferiori.
Qualora passasse questa interpretazione, tutti noi potremmo impedire che vengano svolte perquisizioni e controlli nelle nostre società o nelle nostre aziende.
Onorevole Sgarbi, lei ha quattro minuti di tempo.
Presidente, ho posto una domanda. Ho chiesto di parlare in ordine al regolamento, al di fuori però dei quattro minuti.
Prego, onorevole Sgarbi.
un collega (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale). Non mi pare quindi che funzioni quella sciatta denominazione che vuole il mio intervento, come quelli degli onorevoli Bielli e degli altri colleghi che sono testé intervenuti, a titolo personale.
Nessuno parla a nome del gruppo. È quest'ultimo che attribuisce a ciascuno il tempo ad esso assegnato. Coloro i quali non hanno alcun tempo a disposizione, l'attingono dal tempo per gli interventi a titolo personale.
Le mie due obiezioni sul regolamento sono in ordine alla misura dei tempi ed in ordine all'intervento a titolo personale che, anche ove corrisponda a quanto lei mi ha spiegato, non è certamente concordato con le parti che costituiscono, almeno nel mio caso, il gruppo misto.
Non ho parlato con nessun presidente del gruppo che mi abbia detto: intervieni per me o contro di me. Ecco perché l'intervento a titolo personale mi sembra, comunque, ove vada accolta tale formula, la condizione naturale, senza contingentamento dei tempi limitato ai gruppi. Ritengo peraltro che esso vada esteso come modo di essere di ogni parlamentare per cui, se è a titolo personale ed è per tutti, ognuno abbia il tempo che ritiene opportuno per intervenire.
Questo per quanto riguarda l'intervento sul regolamento. Da qui in poi - si può cominciare a conteggiare il tempo - parlerò della questione specifica.
Non vorrei, come è capitato all'amico onorevole Parrelli, parlare della seconda domanda di autorizzazione a procedere, bensì della prima.
Lo dico a chi ricordi il fondo de l'Unità nel quale si faceva riferimento a Previti-Cito, mettendo in collegamento le due vicende ed evidenziando una difesa dell'onorevole Previti che è stata poi fatta dalla maggioranza di questo Parlamento. Sarebbe per la sinistra un messaggio particolarmente grave che prendessero il primo accattone e lo dessero in mano ai magistrati dopo che il Parlamento - non sappiamo con quale colore, perché alcuni anche nell'Ulivo hanno votato per l'onorevole Previti - ha fatto la scelta precedente.
Allora mi dico: siamo di fronte ad un reato - ammettendo che sia giusta la ricostruzione - di 120 milioni. Sono venti milioni al mese dati per la pubblicità di una televisione nell'arco di tre anni! È un finanziamento perfettamente corrispondente a qualunque pubblicità su una rete televisiva.
Sono dunque propenso a credere che quei soldi siano andati in quella direzione. Leggo, invece, che i querelanti, quelli che chiedono il danno, lo chiedono soltanto nel momento in cui il fine per il quale avevano effettuato la dazione non avrebbe potuto essere perseguito. Ma bravi, simpatici personaggi! È un insieme di truffatori e di accattoni, i quali truffatori si lamentano degli accattoni solo quando non hanno l'appalto per cui hanno pagato!
E come prendevano l'appalto? Guardate un po', cari colleghi: su banche liberiane, ginevrine e panamensi! Si tratta dunque di evasori fiscali che nulla hanno a che fare con lo Stato italiano, che danno soldi per la pubblicità dalle banche di Panama, di Ginevra e della Liberia al signor Cito! Allora guardiamo che faccia hanno questi signori che si chiamano Ildebrando De Franco, vivo, e Gerard De Cervens, morto: morto mentre deponeva. Si è preoccupato, ha sofferto ed è morto! È morto mentre rivelava di aver subito l'estorsione di venti milioni al mese per tre anni, pensando di realizzare, mentre evadeva il fisco, un porto turistico che non gli è stato fatto fare!
Ma allora guardiamo se quelli non siano veramente corruttori, cioè persone che non lavorano sul territorio nazionale pagando le tasse allo Stato, ma che invece evadono sistematicamente, avendo conti all'estero! E voi, invece di moralizzare queste finte ditte di appalto, andate a prendere l'accattone Cito per mandarlo in pasto ai magistrati! Allora io mi auguro che egli venga arrestato perché il popolo di Taranto si ribelli contro l'atteggiamento discriminatorio nei confronti di un signore che non è sindaco, ma è semplicemente proprietario di una televisione: è un mini-Berlusconi tarantino, il quale ha preso i danari della pubblicità e deve pagare per conto degli evasori fiscali che finalmente lo denunciano quando l'appalto non c'è più!
Questa è la dinamica! Ora io spero...
Non voglio fare del vittimismo, perché dovrei parlare per ore. Potrei infatti tranquillamente dimostrare che fino all'età di 45 anni sono stato una persona perbene e che dal 1990 ad oggi sono diventato un delinquente comune. Basta che andiate a vedere le sentenze e le cause che mi riguardano e vi renderete conto (lo dico con il massimo rispetto, signori della maggioranza) che la persecuzione nei confronti di Giancarlo Cito è iniziata nel 1990, quando ho ottenuto il primo 14 per cento di voti con 7 consiglieri comunali e 2 consiglieri provinciali.
L'onorevole Abbate ha detto che ho cacciato il denunciante: le posso assicurare, onorevole Abbate, che io non ho soltanto cacciato questa persona. Dovete tenere presente, colleghi, che il porto turistico della cui costruzione si doveva iniziare a discutere aveva un costo di 500 miliardi. A questo signore, che sapevo essere un faccendiere internazionale che è stato in diverse patrie galere del mondo, dissi che avrei chiamato i carabinieri per farlo arrestare. Queste mie parole sono agli atti presso il comune di Taranto e si riferiscono all'epoca in cui ero sindaco di quella città. Nell'unico incontro che ho avuto con questo individuo (mi fa rabbia chiamarlo signore) ho parlato di questo e poi, dal dicembre 1995, non sono stato più sindaco per la disavventura che sono stato processato (il processo sta per finire) per associazione esterna. Dal 1990 ho subito anche un processo per concorso in omicidio; sono stato prosciolto dal GUP, sono stato prosciolto in secondo grado e sono stato prosciolto dalla Cassazione: però ho avuto un processo e l'ho fatto! La stampa tuttavia non dice che alla fine Giancarlo Cito è uscito pulito, che non ha fatto niente.
Gli accertamenti peritali. Un perito non può essere la persona più intelligente del mondo e non può dire se una società che deve vendere degli spot pubblicitari fissi un prezzo congruo o meno per quella tale società. Una società può dire un prezzo e un'altra ne può dire uno diverso; la Fininvest o Mediaset possono dire che il costo di uno spot nazionale ammonta ad una certa somma e la RAI può chiedere ben altra somma, e viceversa. Il perito, allora, entra in discussione su quello che potrebbe essere lo spot pubblicitario e sulla sua quantificazione economica.
L'onorevole Bonito (lo dico con il massimo rispetto per il collega) ha detto che sono accusato di gravi fatti concussivi. Se per essere accusato di gravi fatti concussivi deve verificarsi, a senso unico, che un cittadino qualsiasi si alzi la mattina e denunci determinati fatti, io penso, e me ne deve dare atto il collega Bonito, che almeno una sola prova ci debba essere per poter dire che una persona è un concusso e che è stato concusso da quel cittadino. Non si può attribuire una responsabilità soltanto perché un delinquente - perché è delinquente! - non ha ottenuto quello che poteva ottenere. Non a caso, infatti, gli dissi che lo avrei fatto arrestare e che avrei chiamato l'Arma dei carabinieri se non fosse uscito da quella sala.
Regolare processo. Mi consenta, onorevole Bonito. Io non dovrei proprio andare sotto processo, perché per poter mandare qualcuno sotto processo almeno una sola prova bisogna pur trovarla - una sola! -, per poter fare il raffronto e capire se quello che sta dicendo il denunciante risponda al vero o sia invece un atto di calunnia. Rispetterò naturalmente il voto dell'aula, sia esso favorevole o contrario; voi state giudicando un collega, ma poniamo il caso che un domani questo collega venga assolto e prosciolto: cosa avete fatto? Moralmente siete responsabili. Lo dico con il massimo rispetto e non sto contestando quale che possa essere il vostro voto - me ne guarderei bene -; resta però il fatto che solo perché una persona... Discuteremo poi del primo caso, perché questo è il secondo e sono uno più aberrante dell'altro.
Si dice «il Cito ha costretto il De Franco e il de Cervens». Se lei ha letto le carte - come senz'altro ha fatto - si renderà conto che il De Franco ha detto di aver prestato al Campo 100-120 milioni. Il De Franco ha fatto una citazione civilistica per chiedere al Campo che gli
venisse restituita tale somma. Come è possibile pensare - e creare - un «castello» Giancarlo Cito? Non è amministratore della società, non è socio della società... Se poi essere amico di una società significa essere amministratore di fatto ed andare addirittura a finire in galera... A questo punto non so se sia corretto o meno fare simili affermazioni.
De Franco e de Cervens. Purtroppo de Cervens non potrà più parlare perché l'ingegner de Cervens - l'unica persona che è stata truffata realmente -, una bravissima persona, è morto. Nel corso dell'interrogatorio si è sentito male, è caduto a terra ed è stato portato in ospedale. Dopo 48 ore è morto e non potremo più ascoltare il francese ingegner de Cervens.
Quando l'onorevole Bielli dice... Presidente, mi creda, dovrò scriverle un'altra lettera per dimostrarle quello che dico, anche con le foto (le ho in valigia e se vuole posso portargliele fra poco). Lei mi ha scritto che il comando generale (non me la prendo con il comando perché ad esso è stato riferito, come il comando stesso ha riferito a lei)... Quando si asserisce che l'emittente Super Sette aveva le serrande chiuse, mi creda sulla parola, Presidente - ho le foto e gliele farò vedere - se le dico che non esistono serrande alla società; c'è una porta di vetro e non esiste serranda. E non è vero quanto il collega afferma. Lo dico con il massimo rispetto, perché spero che non sia venuto nel mio domicilio per vedere com'è, perché si sarebbe reso conto che quanto ha detto oggi non risponde al vero. Non è vero che io sono al terzo piano e che al primo piano e al piano terra ci sono le due società. No! Quella è una struttura unica, di tre piani, con una scala a chiocciola che va dal piano terra al terzo piano! La società Super Sette è ben altra cosa, onorevole Bielli! Quindi, come si fa ad asserire che la Guardia di finanza... La prima volta che venne la Guardia di finanza, la prima volta che venne il capitano fu persona gentilissima. Gli dissi - se non sbaglio ho messo anche per iscritto questo fatto - che se voleva visitare il mio domicilio non avevo nulla in contrario a farglielo visitare, ma che se doveva visitarlo per forza per una perquisizione, gli avrei detto di no.
Il capitano fu gentile e fu anche astuto, in un certo senso. Disse: «Va bene, allora andiamo a vedere». Venne a vedere il domicilio e la storia finì là. Ma quando venne il tenente, per farlo uscire dovetti chiamare i carabinieri e la polizia, perché voleva perquisire il mio domicilio!
Non le sto dicendo il falso, Presidente, mi creda, perché quando le farò visionare le foto lei si renderà conto che il comando generale ha detto un'inesattezza e che al comando generale gliel'hanno data da Taranto l'informazione inesatta: infatti non sono venuti a Taranto a controllare se l'immobile fosse così o meno. Sono due strutture separate, una è una cosa e una è un'altra: dove c'è Super Sette ci sono otto piani, mentre nel domicilio dell'onorevole Cito ci sono tre piani.
Chiedo scusa se nel parlare alzo la voce, ma è il mio carattere. Non alzo la voce per volontà di offendere qualcuno, ma credetemi, c'è tanta di quella rabbia...
Un porto turistico che costa 500 miliardi! Mai dato un pezzo di carta, né io, come sindaco, né, subito dopo di me, il sindaco attuale, che è in quest'aula questa sera e sta assistendo al modo in cui si deve mandare in galera il suo amico! Un porto turistico da 500 miliardi, e uno non ha dato niente! Ma lo sapete che per le pratiche amministrative e dare l'okay alla costruzione di un porto occorrono le autorizzazioni di mezzo mondo, comprese quelle della sovrintendenza alle belle arti e della capitaneria di porto! Come si fa a pensare a una cosa del genere?
Il Campo prende un prestito, fa la pubblicità su Super Sette e, di conseguenza, è un teorema che Giancarlo Cito ha preso... Sarebbe bastato, onorevole Abbate, fare una perizia sui due bilanci, per verificare questo: alla fine, quest'azienda ha un attivo di bilancio di 70, 80 o 100 milioni? Nel momento in cui non ha quest'attivo, dove li prende i soldi da dare all'onorevole Cito?
Concludo chiedendovi scusa per aver alzato la voce, ma non è possibile subire un linciaggio morale soltanto perché, a senso unico, una persona, amica dello stesso De Franco, dice nell'interrogatorio (onorevole Meloni, con il massimo rispetto per quello che ha detto): «Nell'occasione, dopo aver accennato ai problemi sorti per il porto turistico, mi riferì che era sua intenzione estorcere dei soldi a Cito». Questa è la verità. Voleva estorcere, perché il porto non si poteva fare con un delinquente!
Grazie e chiedo scusa (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale, del CCD e misto-CDU).