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PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
FRANCESCO BONITO, Relatore. Onorevoli colleghi, la Camera dei deputati deve pronunciarsi ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione sulla seguente vicenda nella quale risulta coinvolto l'onorevole Umberto Bossi.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Manzione. Ne ha facoltà.
ROBERTO MANZIONE. Rinunzio ad intervenire, signor Presidente.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Manzione.
FILIPPO BERSELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo vi sia ben poco da aggiungere a quanto è stato detto dal relatore Bonito. Le frasi attribuite all'onorevole Bossi - che peraltro non ha mai smentito né ha affermato che quanto da lui detto sarebbe stato male interpretato - non hanno bisogno di commenti. Dire che «al momento giusto la lega andrà casa per casa a prenderli» riferendosi agli elettori di alleanza nazionale; aggiungere: «...li abbiamo già cacciati i fascisti dal nord, è guerra con i nemici»; e concludere dicendo: «su questo non scherzo» significa che ci troviamo di fronte - come ha ricordato l'onorevole Bonito - a qualcosa che esula dall'ambito di operatività del primo comma dell'articolo 68 della Costituzione. Non siamo di fronte né a voti dati né ad opinioni espresse da un parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni, né siamo in presenza dei reati classici per i quali spesso un parlamentare tende ad invocare lo scudo del primo comma dell'articolo 68. Qui si tratta di reati di diffamazione, di minaccia, di istigazione a delinquere. Come si possa pensare di far rientrare il reato di istigazione a delinquere nel contesto del primo comma dell'articolo 68, il quale con il termine «opinioni» prevede chiaramente ben altre fattispecie giuridiche, è cosa che francamente non riusciamo a comprendere.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghezio. Ne ha facoltà.
MARIO BORGHEZIO. Signor Presidente, colleghi, riteniamo che per una numerosa e consistente serie di ragioni di fatto e di diritto l'Assemblea dovrà dichiarare l'insindacabilità ai sensi dell'articolo 68 della Costituzione in relazione ai fatti per cui il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bergamo ha richiesto la deliberazione della Camera (reati di cui agli articoli 294, 414, 595 e 612 del codice penale, nonché di cui agli articoli 1 e 2 della legge 20 giugno 1952, n. 645).
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia! Onorevole Biondi, onorevole Pistone!
MARIO BORGHEZIO. Tale attività è assolutamente ricollegabile a quella svolta all'interno del Parlamento, che è coperta dalla garanzia costituzionale, essendo avvenuta nel quadro di un comizio pubblico da parte di un parlamentare per ragioni esclusivamente ed eminentemente politiche. Non mi pare possa essere considerato elemento costitutivo di reato la veemenza o la passionalità delle espressioni usate, anche se molto forti, come quelle riportate nella relazione. Ciò sia perché esse sono in grande evidenza frutto di quella forte passione politica e dell'indiscutibile tensione morale e politica che caratterizzano - com'è riconosciuto da tutti - la personalità dell'onorevole Bossi, sia anche perché veemenza e passionalità espressive si ricollegano alla migliore tradizione dell'oratoria politica dei tempi moderni.
FILIPPO BERSELLI. Non c'entra niente! Sbagli. Tu confondi questo procedimento con un altro!
MIRKO TREMAGLIA. Confondi con un altro procedimento!
PRESIDENTE. Onorevole Borghezio, sta parlando di un altro processo. Comunque, è un chiarimento generale.
MARIO BORGHEZIO. Chiedo scusa, Presidente. Ho inteso male: trattasi di altro documento... (Commenti). Non ha importanza.
PRESIDENTE. Colleghi, l'onorevole Borghezio dice che non ha importanza, quindi...
MARIO BORGHEZIO. Non ha importanza perché le considerazioni che ho svolto sono le stesse, infatti avevo preparato un intervento cumulativo con riferimento ai documenti n. 31 e n. 33-A, che verranno ripetute - o comunque acquisite - per quanto riguarda la discussione del documento n. 33-A. Non ci sono problemi.
PRESIDENTE. Sta bene.
MARIO BORGHEZIO. Il documento Doc. IV-ter n. 33-A concerne quindi le imputazioni per i reati di cui agli articoli 414, 595 e 612 del codice penale, cioè istigazione a delinquere, diffamazione e minaccia, che vengono formulate nei riguardi dell'onorevole Bossi, sempre dai giudici del tribunale di Bergamo in relazione a fatti che si riferiscono sempre ad espressioni usate nel corso di un comizio politico, tenutosi in occasione della festa della lega nord celebratasi ad Albano Sant'Alessandro, con l'indicazione a segnalare i nomi di coloro che avessero votato alleanza nazionale «perché al momento giusto la lega andrà casa per casa a prenderli; li abbiamo già cacciati i fascisti dal nord, è guerra contro i nemici (...)».
PRESIDENTE. Onorevole Borghezio, erano stati definiti diversamente in altra fase!
PRIMO GALDELLI. E così si salvò Previti!
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Francesco Bonito.
Il 4 agosto 1995 in occasione della festa della lega nord celebratasi in Albano Sant'Alessandro, l'onorevole Bossi teneva un pubblico comizio, nel corso del quale invitava i partecipanti alla manifestazione a segnare i nomi di coloro che avessero votato alleanza nazionale «perché al momento giusto la lega andrà casa per casa a prenderli; li abbiamo già cacciati i fascisti dal nord, è guerra con i nemici (...) su questo non scherzo...».
Le affermazioni del parlamentare suscitarono vasta eco e provocarono altresì denunce di cittadini a cagione delle quali il pubblico ministero presso la procura della Repubblica di Bergamo dette corso alle indagini preliminari.
In sede di interrogatorio reso al pubblico ministero, l'onorevole Bossi eccepì la sussistenza, in relazione alla vicenda processuale, dei requisiti per l'applicazione al caso concreto dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, di guisa che da parte della stessa pubblica accusa veniva formulata richiesta al giudice per le indagini preliminari di trasmissione degli atti alla Camera dei deputati, richiesta accolta dal giudice con ordinanza del 25 giugno 1996.
Il caso è stato, quindi, sottoposto all'esame di questa Giunta, la quale, dopo approfondito esame degli atti si è espressa nel senso che i fatti per i quali è in corso il procedimento non concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, per le seguenti ragioni.
La norma di riferimento che la Camera è chiamata ad applicare, come è noto, afferma il principio in forza del quale il deputato non è perseguibile per i voti dati e per le opinioni espresse nell'esercizio delle sue funzioni.
I requisiti richiesti pertanto dalla disposizione costituzionale si concretizzano nella sussistenza di un voto ovvero di una opinione espressa, entrambi collegati all'esercizio della funzione parlamentare.
L'articolo 68 inoltre è stato costantemente interpretato dal Parlamento in sede di sua applicazione, nel senso che la tutela in favore del deputato e del senatore debba trovare applicazione non soltanto nella ipotesi in cui le opinioni vengono espresse in atti tipici di natura parlamentare, bensì anche in attività svolta extra moenia, purché riferibile e comunque annessa alla funzione.
Tanto premesso sul piano dei principi, è ora possibile l'induzione.
Nel caso in esame la Camera deve valutare - giacché questo soltanto è il punto in questione - se l'aver invitato i militanti del partito della lega nord a segnare i nomi di quanti avessero votato in favore del partito di alleanza nazionale e cioè a schedare l'elettorato avversario, finalizzando siffatta attività al proposito di andare poi, «al momento giusto ... casa per casa a prendere» tali avversari, giustificando l'azione così programmata con la constatazione che «è guerra con i nemici» e rafforzando - infine - il proclama con l'espressione «in questo non scherzo», costituisca o meno opinione espressa nell'esercizio della funzione parlamentare.
La risposta non può che essere negativa.
Nelle frasi infatti pronunciate dall'onorevole Bossi non è possibile individuare opinione alcuna, bensì una evidente istigazione a svolgere un'azione illegale in quanto tesa alla violazione delle norme e delle regole sulla pacifica convivenza tra i cittadini e sul corretto, pacifico ed ordinato funzionamento del sistema democratico.
Le espressioni attribuite all'onorevole Bossi esprimono, altresì, conclamato ed evidente, un proposito minaccioso e non v'è chi non veda che la minaccia è cosa diversa e distinta dall'espressione di un'opinione.
Quanto sin qui esposto conduce altresì ad un'ulteriore logica conseguenza, giacché non può rientrare nell'esercizio della funzione parlamentare l'istigazione a violare le leggi né il minacciare l'avversario politico, di guisa che l'onorevole Bossi, nel momento in cui pronunciava le frasi e la parola innanzi riportate non solo non esprimeva opinioni, ma neppure esercitava la funzione parlamentare.
In conclusione e per le ragioni rapidamente esposte le dichiarazioni attribuite all'onorevole Umberto Bossi e di cui alla presente procedura costituzionale devono essere dichiarate sindacabili ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della nostra Costituzione.
Questa è la proposta della Giunta.
Constato l'assenza degli onorevoli Li Calzi e Miraglia Del Giudice, iscritti a parlare: si intende che vi abbiano rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Berselli. Ne ha facoltà.
Il gruppo di alleanza nazionale confermerà pertanto il voto già espresso
nell'ambito della Giunta e si pronuncerà a favore dell'accoglimento della proposta formulata dal relatore Bonito, approvata peraltro a larghissima maggioranza nella Giunta. Siamo quindi per un'interpretazione che escluda la sussistenza dei requisiti di cui all'articolo 68 a favore dell'onorevole Bossi, poiché ci troviamo in un caso di evidente sindacabilità delle ipotesi contestate all'onorevole Bossi.
È da ritenersi stupefacente l'opinione espressa dalla Giunta, secondo cui le frasi attribuite all'onorevole Bossi sarebbero completamente svincolate dall'esercizio della funzione parlamentare e, come tali, non coperte dalla tutela costituzionale.
In effetti le frasi in questione, pronunciate nel corso di una riunione politica dall'onorevole Umberto Bossi (sempre secondo l'ipotesi accusatoria, che è tutta da verificare), furono di fatto espresse dal parlamentare nell'ambito dei suoi diritti-doveri di rappresentante del popolo e, segnatamente, nella sua qualità di segretario federale di un movimento politico rappresentato in entrambi i rami del Parlamento. Si tratta quindi di questione attinente alla libertà costituzionale del mandato parlamentare, che si incentra nella libertà di esprimere opinioni e giudizi.
È invece necessario - secondo noi - porre in rilievo il fatto che il parlamentare ha esercitato il suo diritto-dovere di critica e pertanto che il suo comportamento debba essere ritenuto senza dubbio coperto dalla tutela della funzione parlamentare che si estende - come tutti sappiamo - alle proiezioni esterne dell'esercizio del mandato elettivo, avendo efficacia anche in ordine all'attività politica svolta fuori dalle sedi strettamente parlamentari.
Non vi è dubbio, in sostanza, che nell'incandescente temperie politica che ha caratterizzato il momento storico in cui il fatto imputato all'onorevole Bossi sarebbe avvenuto - siamo nell'agosto del 1995 - le frasi contestate sono, con palmare evidenza, connesse funzionalmente all'attività politico-parlamentare dell'onorevole Bossi, anche in ragione del fatto che, data l'assoluta segretezza del voto politico, risulta evidente che nel caso di specie si tratta di una minaccia e di un reato impossibili, poiché negli intendimenti dell'onorevole Bossi non era allora, come non è adesso, realizzabile un comportamento persecutorio nei confronti delle persone a seconda della loro scelta segreta di voto.
Siamo, più semplicemente, di fronte ad una fattispecie di normale invettiva politica
e pertanto la tutela costituzionale prevista non può essere illanguidita od esclusa solo per il grado, anche molto forte, di passionalità che l'ha caratterizzata.
A parte tale considerazione, di carattere assorbente e risolutivo, i reati contestati all'onorevole Bossi paiono insussistenti, difettandone ogni estremo sia sotto il profilo materiale che sotto il profilo morale. L'accusa concernente la ricostituzione del partito fascista e l'istigazione a delinquere appare ridicola, grottesca, vista la personalità, gli ideali, l'estrazione e le battaglie che caratterizzano la vita e l'impegno politico dell'onorevole Bossi e del suo movimento, che ha avuto semmai proprio il merito di incanalare, entro confini leciti, una protesta ed un malessere potenzialmente eversivi. Si tratta di un movimento che, nonostante accuse infamanti e tendenziose, ha sempre aborrito l'uso della violenza, affidandosi invece al metodo democratico che si incentra sul libero consenso dei cittadini, raccolto intorno a quegli ideali rispettosi dei principi fondamentali di libertà, primo fra i quali la libertà di parola e di espressione.
Va detto che le frasi contestate dal GIP del tribunale di Bergamo vanno calate nel contesto politico del comizio elettorale in cui sarebbero state pronunciate e, con tutta evidenza, nel più ampio quadro del ragionamento che in quella sede stava svolgendo il parlamentare. Pertanto appare assurdo, ingiusto, illogico e del tutto ingiustificato estrapolare una frase dal contesto in cui è stata pronunciata, per farle poi assumere significati non voluti. Siamo di fronte al caso di scuola di cui ci parlava Voltaire quando affermava: «Datemi poche righe scritte da un imputato ed io sarò in grado di farlo impiccare per qualunque reato» (Commenti di deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).
Affinché possano ricorrere i reati in esame, è necessaria la sussistenza di alcuni elementi paradigmatici che, nel caso di specie, a nostro avviso, difettano in maniera assoluta. Per quanto riguarda il reato di ricostituzione del partito fascista, il suo fondamento ideologico si riferisce al metodo di lotta attuato sia dall'agente sia dal movimento politico da lui rappresentato, in quanto praticato o come praticato nel corso degli anni e culminato con fatti eversivi della democrazia e con l'annullamento di ogni libertà politica. Per integrare la fattispecie penale de quo deve quindi trattarsi di azioni che si estrinsechino in una vera e propria attività concreta di riorganizzazione del partito fascista, con il ricorso alla violenza contro avversari politici e che implichi il pericolo della sua ricostituzione, caratterizzata dagli stessi metodi e dagli stessi scopi.
In definitiva, l'azione dovrebbe essere diretta con fatti concreti, adeguati allo scopo, a costituire un partito o movimento politico che abbia la stessa ideologia del partito fascista, come storicamente si è realizzato, con le sue caratteristiche e con i suoi metodi. È evidente che tutto ciò non può dirsi realizzato dalle poche frasi attribuite all'onorevole Bossi, né dal partito politico che egli rappresenta, i quali aborriscono l'uso della violenza e si affidano al metodo democratico, che si incentra sul libero consenso dei cittadini.
Mi pare questo un caso di specie di fumus persecutionis. Nella seduta di oggi si è parlato a lungo sui fondamenti, sul concetto, sul contenuto, sui requisiti, sull'impalpabilità del fumus persecutionis ed ora attribuire, sulla base di poche frasi, alla personalità dell'onorevole Bossi, a tutti nota, un reato di questo genere manifesta sicuramente la volontà persecutoria dei magistrati nei confronti dello stesso onorevole Umberto Bossi.
Infatti, la stessa azione che si dice posta in essere da Bossi non è altro che l'espressione della libera manifestazione di pensiero, resa certamente aspra nella tensione politica del momento, ma che mai può essere considerata un tipo di condotta prevista dall'articolo 1 della legge n. 645 del 1952.
Proprio a queste espressioni si riferiva la parte iniziale del mio intervento, non evidentemente quella riguardante la ricostituzione del partito fascista.
Insussistente a questi fini mi pare, evidentemente, il contenuto dei rilievi mossi all'onorevole Bossi, nei confronti del quale viene proposta dai giudici del tribunale di Bergamo un'accusa palesemente infondata, perché basata su un reato impossibile. Si tratta, in tutta evidenza, di una espressione usata nella proiezione esterna dell'attività del parlamentare, assolutamente ed indubbiamente coperta dalla tutela costituzionale prevista dall'articolo 68.
Credo non occorrano molte parole dopo l'intervento dell'onorevole Comino, che poco fa ha motivato politicamente il voto espresso dai deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania su una fattispecie molto diversa da quella di cui stiamo parlando e che si riferisce a reati che non hanno nessuna parentela con quelli rappresentati da espressioni offensive e minacciose, che vengono imputate all'onorevole Bossi nell'esercizio della sua attività politica comiziale di parlamentare.
L'onorevole Comino ha detto con molta chiarezza che quel voto politico era una risposta di libertà alle provocazioni, agli atteggiamenti persecutori, alla serie infinita di accuse infamanti coordinate e dirette da numerose sedi giudiziarie nei confronti del nostro movimento politico e, segnatamente, dato il numero delle imputazioni e dei procedimenti incardinati in varie procure, nei confronti del segretario, onorevole Bossi.
A questo fine, quindi, mi pare inutile aggiungere ulteriori motivazioni di carattere tecnico-giuridico alle osservazioni fondamentali che ho svolto nella prima parte del mio intervento. Mi pare evidentemente provata nei confronti di chi abbia occhi per vedere l'infondatezza delle accuse mosse ed il fumus persecutionis che si manifesta in questa fattispecie nei confronti dell'onorevole Bossi e, senza tanto fumus, come vera e propria persecuzione nei confronti di tutti coloro che in Padania lottano per la libertà (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania), alcuni dei quali detenuti, innocenti e patrioti, nelle
galere dello Stato italiano (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)!