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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della domanda di autorizzazione ad eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del deputato Cesare Previti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Trantino, al quale ricordo che ha undici minuti di tempo. Ne ha facoltà.
ENZO TRANTINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono costretto ad iniziare con una premessa morale, non perché la morale sia una costrizione, ma come chiave di lettura per intendere il resto del percorso.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Abbate. Ne ha facoltà.
MICHELE ABBATE. La solitudine politica nella quale mi relega la libertà di voto riconosciuta dal gruppo e dal partito popolare ai suoi deputati non indebolisce, né rende timido il convincimento che, come si dice, in scienza e coscienza ho maturato su questa vicenda. Un convincimento che si radica su un'analisi semplice ed insieme rigorosa degli aspetti per così dire tecnico-giuridici del caso, le cui innegabili suggestioni, che nascono - ben si intende - da una realtà processuale effettiva, rischiano di provocare ingannevoli sovrapposizioni di ambiti logico-giuridici diversi, condizionando di conseguenza valutazioni e giudizi.
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Abbate. Colleghi, per piacere...
MICHELE ABBATE. È rimasta anche priva di riscontri positivi, se non addirittura smentita, anche l'altra circostanza, pur essa strategica nel quadro dell'incolpazione, quella relativa all'asserita dazione di denaro da Previti a Squillante nei locali del circolo canottieri Lazio, nel quale la teste di accusa Ariosto non fu mai vista. Come concordare poi sul piano delle esigenze cautelari - siamo sempre in tema di contestazioni di cui al capo A) - con l'ipotesi cui il GIP, più per dovere di ufficio che per motivato convincimento, dedica soltanto tre righe del suo imponente documento giudiziario, ipotesi, peraltro in alcun modo ancorata a specifiche modalità del fatto, che l'incolpato possa in concreto, cioè realmente, reiterare azioni criminali del tipo di quelle in valutazione, se lo schema accusatorio proposto, cui va rapportata la previsione di reiterazione, è costruito sulla centralità funzionale di Renato Squillante, per l'elevato ruolo istituzionale ricoperto, uno Squillante però ormai, e direi finalmente, posto, vuoi per la sua uscita dalla magistratura vuoi per altre comprensibili ragioni, fuori dal gioco, cioè in condizioni di non nuocere?
PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è esaurito, onorevole Abbate.
MICHELE ABBATE. ...nella storia di questa vicenda processuale, discutibili ed interpretabili quanto si vuole, ma ormai inquinabili, perché fuori da qualsiasi dinamismo probatorio, cioè dal processo formativo della prova nel quale può annidarsi l'insidia.
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Abbate.
MICHELE ABBATE. ...e sarebbe sostanzialmente volta ad ottenere la sua confessione, il che è giuridicamente insostenibile.
PRESIDENTE. Onorevole Abbate, la ringrazio (Applausi di deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo).
ROBERTO MANZIONE. L'applauso era per il precedente intervento...
PRESIDENTE. Allora lei aspetti il suo turno!
ROBERTO MANZIONE. No, Presidente, non ci tengo, mai come in queste occasioni!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Orlando. Ne ha facoltà.
FEDERICO ORLANDO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, quell'aria di sacrestia dorotea che ha aleggiato ieri in tutti i settori di quest'aula ha accresciuto in me il disagio di far parte, sia pure molto marginalmente e molto provvisoriamente, della classe politica. Io credo che quando, dopo Tangentopoli, è emersa con il caso Previti la più grave di tutte le corruzioni, quella della magistratura, avremmo dovuto avere un sussulto di responsabilità e andare al cuore del problema, e cioè come possa salvarsi una democrazia quando sono in vendita non suoi ministri o deputati, ma suoi giudici, quelli cioè che dovrebbero giudicare della corruzione di tutti gli altri. Vogliamo dare nuove garanzie di indipendenza alla magistratura - perché questo è il problema - o vogliamo solo contestare i giudici che toccano la sacrestia della politica, come s'è fatto in bicamerale e abbiamo continuato a fare ieri in quest'aula?
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Orlando.
PIERO MELOGRANI. Signor Presidente, colleghi, ogni qualvolta la nostra Camera prende in esame le autorizzazioni in materia penale previste dall"articolo 68 della Costituzione accade che l'opinione pubblica, o almeno gran parte di essa, si turbi per il fatto che i deputati non siano trattati come tutti gli altri cittadini ma detengano alcune prerogative o privilegi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Acierno. Ne ha facoltà.
ALBERTO ACIERNO. Signor Presidente, è sempre difficile parlare, soprattutto quando lo si deve fare sulla libertà o sulla carcerazione non di un parlamentare, ma di un cittadino. Voterò «no», voterò contro la richiesta fatta nei confronti dell'onorevole Previti ma non perché sia convinto della sua innocenza piuttosto che della sua colpevolezza: io credo infatti che noi siamo chiamati a stabilire se, a nostro parere, gli estremi della custodia cautelare siano dovuti o no.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Saraceni. Ne ha facoltà.
LUIGI SARACENI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei partire da una premessa metodologica contenuta nella relazione dell'onorevole Carmelo Carrara.
PRESIDENTE. Il tempo, onorevole Saraceni.
LUIGI SARACENI. Concludo rapidamente, Presidente.
PRESIDENTE. Dovrebbe proprio concludere, onorevole Saraceni.
LUIGI SARACENI. Sì, Presidente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borrometi. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORROMETI. Intervengo per rassegnare all'Assemblea le ragioni che mi hanno convinto per il «no» all'arresto con vera libertà di coscienza, alla quale il mio gruppo - lo voglio sottolineare poiché mi sembra un fatto non trascurabile - ha affidato la decisione in una vicenda così delicata.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Novelli. Ne ha facoltà.
DIEGO NOVELLI. Chiedo scusa se parlo con qualche difficoltà, non dovuta all'argomento all'ordine del giorno, ma ad un fastidioso disturbo alla gola.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cananzi. Ne ha facoltà.
RAFFAELE CANANZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quella che dobbiamo decidere oggi è una questione di coscienza, nel senso che non possiamo tenere conto di baratti politici, non possiamo tenere conto di schieramenti politici, non possiamo tenere conto dell'emotività popolare. Si tratta di formarsi un sereno e retto giudizio per sostanziare un atto politico qual è l'autorizzazione richiesta dalla Costituzione per determinati atti del magistrato penale restrittivi della libertà personale del parlamentare, al fine di tutelarne la funzione nel quadro dell'autonomia delle istituzioni parlamentari. Ma la Camera, chiamata a pronunciarsi sull'autorizzazione, deve provvedere con la finalità di tutelare la propria funzione costituzionale, valutando se il magistrato intenda vulnerarla colpendo senza fondato motivo un proprio componente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Olivieri. Ne ha facoltà.
LUIGI OLIVIERI. Presidente, colleghi e colleghe, il dibattito di ieri e l'attenta lettura della relazione di maggioranza della Giunta per le autorizzazioni a procedere nonché della relazione di minoranza mi inducono a richiamare l'attenzione di noi tutti sui principi costituzionali che sorreggono la materia in esame.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Frattini. Ne ha facoltà.
FRANCO FRATTINI. Presidente, onorevoli colleghi, sulla decisione che ci apprestiamo a prendere pesa una serie di argomentazioni che desidero ancora elencare, nella fiducia che le ragioni poste a fondamento di ognuno dei nostri interventi siano ancora motivo per l'Assemblea di sincera e profonda riflessione. Il dibattito democratico, infatti, non sarebbe tale se il suo esito fosse in qualche modo predeterminato dalla logica della forza dei numeri. Le nostre parole apparirebbero allora vuote e vane, vittime di uno stanco rituale. Tra le argomentazioni che dobbiamo affrontare desidero enunciarne da subito una, che alcuni danno per scontata e che invece va rimossa e specificamente superata. Ancora si legge e si sente affermare in pubblici confronti che il Parlamento si appresterebbe a dare risposta oggi a qualche agguerrita procura circa la possibilità di proseguire o meno un lavoro di bonifica della politica che risale ai primi mesi del 1992. Non è così; non è così perché in questi anni si è fatta assai più restrittiva la legislazione sull'immunità parlamentare, dall'autorizzazione a procedere all'autorizzazione all'arresto, assai riducendo così, opportunamente, l'ambito della doppia tutela che ci è riconosciuta. Non è così, poi, perché noi non stiamo assolutamente prendendo una decisione di merito, né intendiamo sottrarre un membro del Parlamento al giudizio dell'organo preposto. È importante che questa constatazione della sensibile differenza con il passato si faccia consapevolezza comune e collettiva e che le questioni di giustizia siano rappresentate con scienza e coscienza alla pubblica opinione. Dobbiamo, soprattutto noi che siamo legislatori, temere confusione e manipolazione, che della giustizia sono spesso consapevoli nemiche.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Frattini.
CESARE PREVITI. Onorevoli colleghi, Presidente, desidero innanzitutto ringraziarvi tutti per il lavoro svolto nell'istruzione e nella discussione del mio caso. Tra poco una vostra decisione metterà la parola fine ad una vicenda che mi tocca profondamente e che tocca profondamente l'istituzione cui mi onoro di appartenere.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulla proposta della Giunta di negare l'autorizzazione ad eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti dell'onorevole Previti.
Ricordo che nella seduta di ieri è cominciata la discussione.
Dichiaro, sulla mia parola d'onore, che, se codesta vicenda riguardasse un uomo dell'Ulivo, io sosterrei le stesse ragioni che mi accingo a sostenere oggi. Quindi, non mi fa velo né il distintivo né l'appartenenza né il gruppo. Noi siamo di fronte ad oggettive certezze, contrariamente a quanto si presume, che dobbiamo approfonditamente chiarire.
Mi intratterrò solo su un tema, il fumus persecutionis. Per individuare un concetto che sembra difficile, cerco di definire il fumus come il clima che circonda una vicenda, quando essa è all'esame della Camera, in tema di richiesta della restrizione della libertà.
Si afferma che nella storia di Previti non vi sia persecuzione; è analfabetismo giuridico. Nessuno si è mai permesso di parlare di persecuzione. La persecuzione è un fatto doloso; il fumus persecutionis è un fatto colposo che deriva - proprio perché il fumus questo è - da una serie di omissioni, di errori, di interpretazioni soggettive.
Mi do carico di dimostrare le cose che sto premettendo, dimostrando che nel caso di specie sono state provate tutte.
Che fine ha fatto la richiesta dei pubblici ministeri? È stata caducata perché i pubblici ministeri non erano legittimati a richiedere l'arresto. Eppure, era un'autorità legittima dello Stato che l'aveva richiesta. Quindi, vi è stato un eccesso d'opera, un errore che è stato perpetrato in nome di un'autorità, toccando la quale si rischia la delegittimazione. Allora, abbiamo già un primo elemento di giudizio al nostro esame per dimostrare che si è verificato un incidente di percorso dovuto a colpa.
Nel primo provvedimento, quello caducato, quello dei pubblici ministeri per intenderci, si parlava di pericolo di fuga. Che fine ha fatto il pericolo di fuga nel secondo provvedimento? Ciò significa che vi era, nel primo provvedimento, un eccesso da parte non di parlamentari ma di magistrati della Repubblica. Se c'era codesto eccesso, non si valuta come esso abbia dilatazione ulteriore ora che si avvicina la decisione, per cui la fuga poteva essere intrapresa utilmente da chi invece, a giudizio del GIP, non è più in condizione di intraprenderla, tant'è vero che è stato eliminato il pericolo di fuga. Se allora non c'è più, abbiamo un ulteriore elemento per la valutazione arbitraria.
Come si può affermare che nel caso di specie vi sia il timore di manomissione della prova, quando lo stesso GIP si dà carico di dimostrare (pagina 142 dell'ordinanza) che sono state portate via da una società di Ginevra documentazioni? Cito testualmente: «si ignora il contenuto di tale documentazione, tuttavia desta sospetti il fatto che il ritiro della documentazione sia avvenuto nel vivo delle indagini sui conti esteri». Quindi, non so chi tu sia, ma per me sei un nemico. Il che significa che il giudice confessa di non sapere, e tuttavia ammette che, pur non sapendo, contrariamente al principio del dubbio, egli volge tutto a favore della fiscalizzazione. E continua ulteriormente a proposito di Efibanca: «Sul punto non vi è né una totale conferma delle dichiarazioni dell'Ariosto» (i greci erano saggi, giudicavano l'omega l'ultima lettera dell'alfabeto) «né smentita». Ed ancora: «Non confermata è l'esistenza di un fondo presso Efibanca destinato alla corruzione di magistrati né, però, una totale smentita». Cioè: «Io non so se è vero o non è vero, ma propendo a sospettare» - attenzione - «che sia vero». Si continua: «Tutto ciò, se non costituisce diretto riscontro delle dichiarazioni dell'Ariosto (i dati riferiti infatti riguardano un'epoca successiva a quella nella quale si sono svolti i fatti in contestazione) è tuttavia confermativo del quadro indiziario emergente dalla dichiarazione della signora». Siamo al trionfo di Erasmo da Rotterdam; siamo alla pazzia dell'argomento.
Che significa? La signora è smentita, però è come se fosse confermata. Tutte codeste indicazioni che mi sto permettendo di svolgere non attengono al merito della questione, ma proprio al fumus persecutionis, vale a dire all'errore umano del giudice, il quale proprio nell'errore umano può incorrere, perché la dimensione
della nostra fragilità, anche quando si è giudici, a questo porta, lì con conseguenze devastanti.
Ci permettiamo allora di domandare se c'è un pericolo di manomissione e, se c'è tale pericolo, al signor GIP, il quale ha richiesto l'arresto, chiediamo: perché mai hai speso circa quattro mesi prima del secondo provvedimento? Per dare ulteriore possibilità all'onorevole Previti di manomettere quelle prove che si temi siano manomesse? O si vuole che Previti contribuisca con la sua condotta in un incidente di percorso per dimostrare quello che ancora non è dimostrato, quasi un principio unico e perverso di solidarietà giudiziaria: io imputato, cioè, ti dimostro quello che tu giudice non sei nelle condizioni di dimostrare, cioè ti offro la mannaia per usarla contro di me!...
E non è ingiusto l'arresto, nel momento in cui abbiamo visto che le dichiarazioni del giudice vertono tra il fatto ignoto ed il fatto dubbio, che in tutte le legislazioni comporta un favore per il reo?
Queste circostanze che abbiamo individuato sono esigenze, sì come vuole la norma per la privazione della libertà, od opinioni? Noi ci permettiamo di dimostrare, sul secondo versante, che sono opinioni, senza dire poi che un provvedimento di arresto condizionerebbe in via radicale il giudizio, perché di due cose sono certo: dell'esistenza di Dio e dell'assedio che sarebbe posto ai magistrati della giudicante di Milano davanti ad una concessione di arresto di quest'aula, nel timore di quel termine tremendo che oggi giustifica o squalifica tutto che è la cosiddetta «delegittimazione».
Qualcuno ha detto: «Ma voi siete un supertribunale del riesame?» Ignoranza giuridica. Noi siamo istituto di rango diverso, perché il problema è di rango diverso, ed il rango consiste nel vulnus al plenum. Quindi, le cautele non sono per un privilegio all'imputato nei confronti del comune cittadino. Quest'ultimo ha una storia individuale, mentre qui si tratta di una storia che rappresenta tante storie, vale a dire quelle degli elettori, i quali hanno affidato consenso ed il vulnus comporta la privazione di un componente di codesto plenum che, posso permettermi di dire (ed è la sola annotazione di carattere pragmatico), in una maggioranza così risicata, potrebbe essere anche determinante o decisiva.
Se noi allora siamo davanti alla definizione di fumus e ci stiamo attivando in tentativi, andiamo ad una fonte sicuramente prestigiosa ed autorevole: il presidente Caianiello, già presidente della Corte costituzionale e ministro del Governo Dini, quindi oggettivamente lontano da noi: «Si può infatti essere intimamente convinti della colpevolezza del parlamentare inquisito e dire comunque "no" al suo arresto».
«La decisione del Parlamento - occorre ricordarlo - è assolutamente neutra rispetto all'esito del giudizio. Quel che va esaminato, infatti, tenendo conto dell'esigenza primaria di preservare l'integrità e l'autonomia dell'Assemblea è se esistano effettivamente i requisiti per chiedere l'arresto (pericolo di fuga, di inquinamento della prova e reiterazione del reato), o se siano dubbi, nel qual caso è legittimo presumere che vi sia il pericolo di fumus persecutionis e respingere la richiesta».
«Il fumus non è, appunto, un fatto accertato o la prova di un intento persecutorio; è una congettura che si deduce dall'esame della richiesta d'arresto e delle sue motivazioni, una valutazione unilaterale del Parlamento. Ogni singolo deputato - dice il costituzionalista - può respingere l'arresto perché ha il sospetto che l'intento ci sia, vista l'insufficienza della motivazione».
Qui la motivazione è apparente più che insufficiente. Quindi viene a cementarsi tutta la teoria del presidente Caianiello come nel caso non esista complotto, ma vi siano insufficienze non convincenti, discutibili, errate.
Quindi, dimostrati dubbi e forzature, discende la domanda: ma pool e GIP
parlano ex cathedra? Sono dogmaticamente infallibili? Esistono eccessi di pochi?
Chiamo a testimoni gli insospettabili, o neutri o di bandiera diversa. Comincio con Francesco Carrara che circa un secolo fa diceva ai pubblici ministeri di esser cauti, «di non iscambiare lo zelo per la condanna con lo zelo per la giustizia», per continuare con il presidente della corte d'appello di Lugano, Michele Rusca: «Che la vita giudiziaria italiana sia molto politicizzata è sotto gli occhi di tutti». Proseguo con il consigliere di magistratura democratica Pivetti e con Sabino Cassese, «magistrati rientrati nei ranghi», per continuare con Emanuele Macaluso, voce di chi non ha voce, e quindi con Giuliano Pisapia. Qui il discorso si fa amaro e difficile: non può dire Giuliano Pisapia - ed egli conosce i sentimenti di stima che mi legano a lui - che egli è sofferente per l'arresto, come il giovane Werther. Si potrebbe essere sofferenti, semmai, nel conflitto tra la coscienza, da un lato, e la disciplina di partito, dall'altro, quando si fa prevalere la prima sulla seconda.
Per eliminare le citazioni di coloro i quali chiamo a testimoni, voglio riferirmi all'ultima testimonianza, credo la più autorevole, quella del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Carlo Federico Grosso: «Quel che non si giustifica nei magistrati è l'intervento aggressivo, la pressione nei confronti delle istituzioni politiche dello Stato. Nel nostro recente passato abbiamo, invece, avuto episodi di pressione di singoli o di gruppi di magistrati che avevano valenza prettamente politica: ad esempio quando, all'epoca del decreto Biondi, Di Pietro ed altri PM del pool apparvero in televisione per bloccare quel provvedimento. All'epoca ero dalla loro parte e con moltissimi altri applaudii quel gesto, che mi sembrò a garanzia dell'indipendenza della magistratura. Oggi, a distanza di qualche anno, mi rendo conto che quell'intervento era prettamente politico e che un tipo di gesto così non può essere accettato».
Allora io concludo, per stare nei tempi, ricordando Biagi, persona lontana dalle parti: è vero o non è vero che in Italia gli imputati eccellenti più che cercarli si scelgono? (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia - Molte congratulazioni).
Da ciò nasce forte l'esigenza, credo comune a tutta l'Assemblea, di dare indicazioni di chiarezza al paese, nel senso che in quest'aula non saranno pronunziate assoluzioni o condanne dell'imputato, che lo status del parlamentare e la sua elevatezza costituzionale non pongono in discussione il principio della parità legale e che la verifica cui siamo chiamati assolve alla sola finalità, pur essa di straordinaria importanza, di concedere o negare l'autorizzazione all'arresto di uno di noi.
Se sapremo fare questo, se sapremo cioè fare chiarezza, non vi è pericolo, quale possa essere l'esito del voto, che la classe politica veda compromessa la sua difficile centralità democratica, legandosi invece il rischio di delegittimazione, da taluni pure paventato, solo a quello che potrebbe definirsi un, a mio avviso modesto, pavido e consapevole sviamento dei peculiari fini dell'atto politico e cioè una sostanziale abdicazione del Parlamento ai suoi doveri.
Perché voto «no» all'arresto di Previti? Il tempo concessomi non mi consente
diffuse spiegazioni, cui pur sento di essere tenuto; devo però dire anzitutto che tra le opzioni culturali possibili di lettura degli atti - opzioni intese quali strumenti logico-giuridici di ricerca delle ragioni del contemperamento dei due valori costituzionali in campo: la tutela della completezza del plenum e la necessità dell'accertamento giudiziario - ho scelto quella del cosiddetto giusto processo. La tesi della preordinata volontà di nuocere da parte del giudice, dell'imboscata persecutoria e mistificante del giudice, che addirittura dovrebbe far ricorso alla falsificazione dell'accusa quale situazione ostativa alla concessione dell'autorizzazione richiesta si affida ad una patologia estremizzante, indicativa di comportamenti latu sensu eversivi piuttosto che alla verifica della legittimità e perciò della necessità dell'arresto.
Assai inquietante appare poi a mio avviso anche la tesi dell'opportunità politica delle scelte del Parlamento, specie se esse dovessero condurre all'ingiusta o comunque non processualmente indispensabile privazione della libertà personale di un rappresentante del popolo. Il criterio del giusto processo, invece, in quanto teso al riscontro di eventuali anomalie processuali o di eccessi logici nella lettura e nell'interpretazione delle circostanze di fatto e delle norme sostanziali e processuali, mi sembra ragionevole ed equilibrato, filtrato - come deve essere - attraverso un irrinunciabile e sereno esame del merito, cui peraltro si è fatto ricorso anche nelle altre fattispecie già sottoposte in passato all'esame di questo Parlamento. Comprendo i rischi ed anche le difficoltà di siffatto approccio al problema, ma non mi riesce di immaginare strumenti diversi che riescano a dare effettivi contenuti e valori al provvedimento autorizzatorio che l'articolo 68 della Costituzione affida in questa materia al Parlamento.
Ora, se questo è il corretto criterio di valutazione, e per me lo è, come non riconoscere - ed entro nel merito - la mancanza di indizi gravi di colpevolezza, quali ipotizzati nell'articolo 273, cioè un'indicazione altamente, se non addirittura univocamente, prognostica della colpevolezza del giudicabile in ordine all'accusa ipotizzata al capo A) della contestazione? Ciò a parte la disarmante genericità: chi furono i giudici corrotti, quali e quanti furono gli atti giudiziari rimasti sviati dalle loro finalità ontologiche ed istituzionali, come e quando si sostanziò l'attività corruttiva rispetto alla quale è venuto meno - si noti, non è rimasto soltanto privo di riscontri - il nodo cruciale dell'ipotesi accusatoria, cioè l'esistenza di un conto corrente con provvista illimitata costituito presso l'Efibanca dal quale Previti avrebbe attinto...
Prego, onorevole Abbate.
La residua esigenza del pericolo di inquinamento della prova, della quale il GIP ha fatto coincidere la durata con la
chiusura delle indagini preliminari, è ormai fuori tutela, per così dire, per scadenza del termine, onde la misura in ordine al capo A) sarebbe estinta, ai sensi dell'articolo 301 del codice di procedura penale.
La contestazione di cui al capo B) dell'accusa, quella legata alla vicenda IMI-Rovelli, è costruita su fatti e circostanze certamente indicativi sia della gravità delle condotte sia della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza che, come si sa, costituiscono il presupposto normativo della misura della custodia cautelare in carcere. Eppure, anche in ordine a tale ipotesi, la quale, in relazione al tempo del commesso reato, cioè alla conclusione dell'accordo corruttivo, non si sottrae ad una revisione critica perché l'ultimo atto del complesso iter corruttivo, quello della scomparsa della procura (gennaio 1992), non può sul piano logico non essere stato successivo all'accordo, sicché diventa difficilmente sostenibile la punibilità del Previti quale corruttore in atti giudiziari, visto che la speciale punizione del corruttore, ai sensi degli articoli 319-ter e 321, è stata introdotta solo con la legge del febbraio 1992; eppure, dicevo, anche in ordine a questa ipotesi la prospettata esigenza della potenzialità inquinante delle prove non sembra sussistere. Come è noto, siffatta esigenza può essere presa in considerazione solo quando lo stato di libertà dell'accusato può rappresentare un ostacolo al corretto evolversi del processo formativo della prova e della sua conservazione.
È evidente che tale esigenza va correlata ai capisaldi dell'accusa, perché è in relazione ad essi che si dispiega l'attività di indagine, di acquisizione e di conservazione della prova, con la conseguenza che, se i presupposti dell'accusa, cioè questi capisaldi, risultano acquisiti in maniera certa ed insieme protetti dal pericolo dell'inquinamento, l'esigenza non può sussistere.
Ebbene, i fatti sui quali è fondata l'accusa relativa alla vicenda IMI-Rovelli sono riassuntivamente indicati alla pagina 126 dell'ordinanza del GIP, il quale (sono parole sue) «ne attesta l'avvenuta loro storica documentazione». I fatti sono i seguenti: pagamento di una somma di denaro da parte degli eredi Rovelli, insanabile contrasto in ordine alla causale della dazione tra Previti e gli eredi Rovelli, uso del fondo di Pitara Trust per effettuare il pagamento (sono tutte circostanze documentate in atti), contatti telefonici, vicenda negoziale e processuale con rilevanti anomalie, la vicenda del presidente del tribunale di Roma, del presidente della Corte di cassazione, e via dicendo. Come si comprende agevolmente, trattasi di fatti ormai per così dire storicizzati, cristallizzati cioè...
Né può venire in considerazione - sto per concludere - ed essere risolutiva sul punto l'ipotesi, pur essa molto suggestiva, che l'esigenza in parola sarebbe finalizzata all'acquisizione di notizie relative all'identificazione dei destinatari dei flussi in uscita dai conti esteri di Previti. Le modalità di accertamento, essenzialmente, forse esclusivamente documentali di tali fatti ne pongono al riparo da possibile inquinamento l'acquisizione, sicché la finalità strumentale della misura in siffatta ipotesi trarrebbe causa dal solo rifiuto, certamente odioso e sprezzante, dell'indagato di fare...
Queste le ragioni, signor Presidente, per le quali esprimo il mio «no» all'arresto
di Previti, tuttavia senza riconoscermi nelle indicazioni della relazione di maggioranza. Nel mio argomentare non vi sono tesi di complotto, non vi sono tesi di accanimento intenzionale...
È iscritto a parlare l'onorevole Manzione. Ne ha facoltà.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, in un dibattito come quello che ci vede impegnati in questa sede diventa difficile l'approccio, il taglio da dare alla nostra discussione. Ho seguito con attenzione gli interventi che si sono succeduti per cercare di comprendere, sia razionalmente sia emotivamente, le motivazioni che spingevano i colleghi ad operare scelte, a volte tutte astrattamente sostenibili, anche se di segno opposto. Ho deciso allora di rivendicare, come spero accada nella sostanza per tutti i gruppi e per tutti i colleghi, quel diritto di libertà di coscienza che sempre deve ispirare il nostro comportamento.
Dirò con estrema chiarezza che non condivido l'ipotesi della premeditata macchinazione ai danni dell'onorevole Previti e del gruppo di forza Italia, giacché credo fondamentalmente nella giustizia e di non poter avere diritto di cittadinanza in un paese che riesca pur soltanto ad immaginare che i giudici, anziché applicare la legge, precostituiscano gli elementi, addomestichino le prove e concorrano nel disegno scellerato di prevaricare, annientare e distruggere presunti avversari politici e non. Credo però che ognuno di noi abbia l'obbligo di non fidarsi acriticamente delle decisioni assunte da altri nel momento in cui una responsabilità diretta involge e consegue ad una valutazione che non può essere distante, lontana ed asettica.
Come ho detto all'inizio del mio intervento, tutti hanno messo in campo suggestioni, argomenti coinvolgenti e principi astratti abilmente ripiegati e condizionati da convincimenti preventivamente assunti. Guai però ad affrontare ogni decisione con l'animo di chi, invece di percorrere con attenzione e responsabilità il complesso ed impervio cammino storico dell'arida cronologia dei fatti, tenti di ripiegare gli stessi ad un convincimento predeterminato e preconcetto.
Ho sentito dotte esternazioni in merito al famoso fumus persecutionis, sulla sua valenza, sulla necessità di riscontrarlo attraverso un esame di legittimità del provvedimento emesso o invece sull'opportunità di valutarlo rispetto a canoni meno tecnici e più esterni; quasi fosse possibile delimitare l'ambito di un'analisi che deve non solo verificare l'impostazione eventualmente preconcetta del provvedimento custodiale, ma anche ricercare le motivazioni profonde di un rigore ingiustificato o di supposte ragioni politiche. Occorre allora secondo me operare una valutazione del quadro indiziario prospettato e delle esigenze cautelari paventate, certamente non tecnica ma neanche superficiale. Questo nella consapevolezza che l'eventuale intento persecutorio non debba essere per forza doloso, ma possa anche essere dovuto ad errore o a negligenza.
Come ho già detto, mi rifiuto di credere che esista una volontà ferma e predeterminata, lucida e perfettamente consapevole, intenzionata a colpire per fini diversi da quelli per i quali l'azione penale debba essere promossa ed il provvedimento custodiale possa essere richiesto e concesso. È stato abile il relatore di minoranza, il collega Bonito, ad enfatizzare la supposta macchinazione per portarci a scegliere fra la volontà di ribadire la credibilità della magistratura e quella di assumere decisioni che, secondo il suo assunto, apparirebbero destabilizzanti e
delegittimanti dell'intero ordine giudiziario. Collega Bonito, noi non vogliamo processare la magistratura, né vogliamo destabilizzare il sistema di garanzie che, pur abbisognevole di ritocchi (ci auguriamo che con la riforma della Costituzione tali ritocchi intervengano), sostanzialmente ancora ci convince.
Per accelerare questa scelta di campo, con fare suggestivo, l'altro relatore di minoranza, il collega Meloni, arrivava incidentalmente a ricordarci che altri coimputati sono stati arrestati e che una decisione favorevole a Previti aumenterebbe quella differenza, amplierebbe quel solco che esiste già nell'immaginario collettivo fra i deputati, i parlamentari e tutti gli altri. Diceva bene, in proposito, il collega Carotti, quando sottolineava il disagio che proprio i parlamentari responsabili avvertono, legato al fatto che l'essere membro del Parlamento può, in alcuni momenti storici, essere addirittura una specie di handicap giuridico. I relatori di minoranza, però, pur essendo stati bravi a spostare i termini della questione, non hanno espresso alcuna valutazione in merito alla reale consistenza del quadro indiziario e all'effettiva sussistenza delle esigenze cautelari. In particolare, il collega Bonito si è limitato all'enunciazione impressionante di una serie di cifre, decine e decine di miliardi, che attraversano trasversalmente, a suo dire, i conti di Rovelli, Pacifico, Previti, Verde e Squillante. Grande effetto, grande suggestione, ma se questo denaro è realmente il prezzo della corruzione nel processo IMI-SIR, perché gli altri giudici non sono coinvolti nel processo? Perché nessuno degli altri componenti delle due sezioni del tribunale di Roma, della Corte d'appello di Roma e della Corte di cassazione è coinvolto nelle indagini? O ci si vuole far credere che un uomo solo - il dottor Filippo Verde, ad esempio - avrebbe potuto architettare, gestire e determinare le sorti di una vertenza così complessa? Che si indaghi sul trasferimento sospetto di fondi, ma si arrivi a determinare un quadro indiziario più completo e più credibile, anche perché certi flussi finanziari - non lo neghiamo - sono senz'altro inquietanti.
Lo stesso dicasi per le contestazioni e le ricostruzioni relative al primo capo di imputazione, mi si consenta, più vicino ad una sceneggiatura di un romanzo, ad un legal thriller che ad un atto tecnicamente realmente idoneo a radicare la responsabilità penale.
E non voglio parlare dei problemi relativi alla competenza territoriale, che a mio avviso non poteva che essere radicata presso il tribunale di Perugia, né della paventata possibile prescrizione dei reati.
Serie perplessità, oltre che sul quadro indiziario, permangono poi rispetto al quadro cautelare. Al riguardo, sono d'accordo con la collega Li Calzi quando afferma che l'attualità - altro dato essenziale - delle esigenze cautelari non opera più rispetto al capo A) delle contestazioni, essendo stato chiesto il rinvio a giudizio, segno dell'evidente conclusione delle indagini e del venir meno di ogni possibile attuale capacità di inquinamento probatorio. Lo stesso dicasi per il capo B), atteso che anche la rogatoria internazionale relativa al conto «Mercier», espressamente indicata dal GIP, si è allo stato conclusa. Senza considerare che, a parte la valenza qualitativa, la mole quantitativa delle attività investigative e probatorie assunte appare più che considerevole.
Nulla appare opportuno affermare, infine, in merito al pericolo di reiterazione, essendo debole, per la verità, la motivazione addotta dal GIP sul punto.
Ed allora devo confessare che il mio pensiero in questo momento è diretto ai coimputati, giacché, come sono convinto che non esistono gli estremi per l'arresto dell'onorevole Previti, così sono convinto che, se la custodia rimane un'eccezione nel nostro ordinamento processuale e non può e non deve essere usata - come dice anche il Capo dello Stato - per estorcere confessioni, neanche gli altri imputati avrebbero dovuto essere oggetto di ulteriori provvedimenti custodiali, anche se attenuati, nella considerazione che, in assenza di reali esigenze cautelari, la
privazione della libertà personale non possa che conseguire ad una sentenza di condanna dopo un giusto processo (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD e di forza Italia).
Questo, ripeto, è il problema che il caso Previti ci poneva e che la Camera mi sembra abbia eluso. E non ditemi che qui c'è da parlare solo di fumus persecutionis, perché si è parlato di tutto, con sfoggio di cultura giuridica processuale e sostanziale, ma nessuno ha ancora detto come sopravviva una Repubblica democratica se i suoi giudici possono venire comprati, condizione necessaria e sufficiente anche del golpismo. Perciò io non pronuncerò una requisitoria contro il presunto corruttore dei giudici e nemmeno un'arringa a sua difesa, avendo a ciò già provveduto il relatore per la maggioranza nella inedita veste di «giudice dei giudici» o, se preferite, di avvocato parlamentare.
Non mi piace né il «tintinnar di manette» né il tintinnar di ...rosari o di parcelle, mi interessa ben altro: mi interessa la difesa delle istituzioni liberaldemocratiche minacciate dal mercimonio nel più delicato dei tre poteri dello Stato, quello giudiziario.
Mi limiterò a ricordare ciò che tutti i colleghi sanno benissimo e cioè che la nostra democrazia, attraverso lo Statuto albertino e poi la Costituzione repubblicana, ha accolto dal Parlamento inglese l'immunità per le idee e i voti espressi dai parlamentari, e dall'assemblea rivoluzionaria francese l'immunità dall'arresto: due immunità volte a tutelare i rappresentanti del popolo dagli arbitri dei re. Ma noi abbiamo umiliato l'immunità per le opinioni fino a coprire con essa l'oltraggio e l'ingiuria a danno di indifesi cittadini e abbiamo trasformato il sospetto verso i moschettieri del re in sospetto verso i magistrati del pubblico ministero, snaturando la garanzia per i deputati della rivoluzione in privilegio per i deputati di Tangentopoli.
È vero che l'onorevole Previti ha posto come distico ad un suo libro sulla giustizia - che ho letto con attenzione - uno sfiduciato pensiero di Leonardo Sciascia, e cioè che non esistono uomini giusti nella giustizia, ma è altrettanto vero che i giudici non giusti, come la vicenda forse dimostra, allignano più nei tribunali frequentati dall'onorevole Previti che non nelle procure da cui egli si difende.
Signor Presidente, ieri il procuratore generale della Corte dei conti ha denunciato che Tangentopoli continua, anzi dilaga. A questo morbo che potrebbe uccidere la nostra democrazia, snaturando la sete di giustizia dei cittadini nell'illiberale giustizialismo per cui l'indagato è già colpevole, noi abbiamo risposto con un emendamento, venerdì scorso, che esclude dalle nuove norme anticorruzione il 99 per cento del personale politico amministrativo.
Abbiamo ripristinato con tecnica dorotea il finanziamento dei partiti; stiamo per concedere denaro pubblico a giornali privati che si autoproclamano organo di partiti virtuali; stiamo per decidere su una
vicenda infinitamente più grande dell'onorevole Previti con una visione ultrariduttiva del problema.
Questo accumularsi di nostre responsabilità di fronte ai cittadini, signor Presidente della Camera, rende prevenuti i cittadini verso di noi e rende perciò meno libero ciascuno di noi nel voto di questa sera. Viene prima la tutela corporativa del parlamentare o la credibilità del Parlamento, che non è minacciata da una procura della Repubblica ma dalla rivolta morale del paese contro quello che facciamo, o, peggio, dalla sua sprezzante indifferenza per tutti noi? Come liberale non ho dubbi sul principio: prima la condanna, poi la pena!
Però questo Parlamento ha fatto e fa di tutto - e me ne dispiace - per renderne difficile la coerente applicazione (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Melograni. Ne ha facoltà.
I turbamenti dell'opinione pubblica sono stati così forti da indurre il Parlamento nel 1993 a modificare l'articolo 68 della Costituzione per restringerne la portata.
Io stesso, entrando a far parte di questa Assemblea nel maggio del 1996, mi chiesi se fosse equo che possedessi, alla pari degli altri miei colleghi, tale protezione giuridica. Sono quindi andato a guardarne la storia per trovarne le ragioni e vi esporrò qui le cinque conclusioni alle quali sono giunto.
L'origine delle prerogative, innanzitutto, si trova nella origine stessa dei parlamenti e dunque del Parlamento inglese, il quale addirittura sei secoli fa ottenne che fosse solennemente riconosciuta ai deputati la libertà di parola e che il re non potesse ingerirsi nelle attività parlamentari. Da allora in poi, in tutti gli Stati aperti alla democrazia, i membri dei parlamenti sono stati protetti da norme speciali.
La prima conclusione è dunque la seguente: benché le prerogative parlamentari esistano da secoli, la pubblica opinione può ancora rifiutarle se il rapporto tra la politica e la società si incrina e dunque se i politici non sanno comunicare e giustificare di fronte alla nazione le ragioni profonde del loro status giuridico speciale.
La seconda conclusione è che i deputati hanno cominciato a disporre di speciali prerogative secoli or sono perché il loro compito è, o almeno dovrebbe essere, quello di essere liberi di criticare il potere, di attaccare i potenti quando commettono spropositi, di porsi in urto con chi detiene le chiavi delle prigioni o intimorisce i cittadini facendo udire il tintinnio delle manette. Si può ben capire come, fin dal 1789, la camera elettiva dei rivoluzionari francesi sancisse l'inviolabilità della persona di ciascun deputato. Inviolabile fino ad allora era stato il sovrano; la nazione, rivendicando per se stessa la sovranità, ne trasferiva i privilegi anche ai suoi rappresentanti.
Chi conosce la storia sa molto bene, tuttavia, che, nonostante le prerogative, la situazione francese degenerò e che la testa fu tagliata sia al re sia ai deputati, perfino a Danton e a Robespierre. All'epoca del terrore, il 13 novembre 1793, il deputato Barère si spinse fino al punto di negare che i deputati suoi colleghi avessero diritto di esporre le loro ragioni a difesa. Questo diritto, secondo Barère, avrebbe violato i sacri principi dell'eguaglianza, dato che gli altri cittadini non possedevano più, neppure essi, la potestà di difendersi.
L'esperienza rivoluzionaria francese ci conduce alla nostra terza conclusione, vale a dire alla constatazione del fatto che le assemblee parlamentari, lungi dal proteggere
sempre e comunque i propri membri dagli abusi della giustizia, possono tutto al contrario porsi al servizio di quegli abusi. Il fenomeno è molto più diffuso di quanto non si creda. Nella nostra stessa Italia accadde una settantina di anni or sono che 120 deputati, tutti ovviamente dell'opposizione, fossero puniti dai loro colleghi con la perdita del mandato parlamentare e quindi con la perdita delle relative prerogative previste dagli articoli 45 e 46 dello Statuto albertino.
L'articolo 68 della Costituzione, nella prima versione voluta dai costituenti, ampliava le prerogative già previste dallo Statuto albertino e in ogni caso assicurava ai deputati una protezione più vasta di quella fornita oggi dopo le modifiche apportate nel 1993.
L'autorizzazione a procedere, infatti, era prevista per tutti i reati senza specificare che essa dovesse riguardare le sole opinioni o i soli voti espressi nell'esercizio delle funzioni parlamentari, com'è oggi. La protezione più estesa, vale a dire quella accordata ai deputati anche nei procedimenti penali relativi ad imputazioni non politiche, mirava a bloccare ogni atto dell'autorità giudiziaria e di polizia che potesse comunque ispirarsi a motivazioni politiche o che potesse comunque determinare conseguenze politiche più gravi della mancata punibilità dell'imputato.
Quanto appena detto si giustifica con quella che possiamo definire la nostra quarta conclusione, vale a dire che ai deputati viene riconosciuto un trattamento speciale per il semplice fatto che, a causa della loro funzione rappresentativa, sono molto più esposti ad eventuali abusi di quanto possa accadere ai cittadini qualunque.
Taluno potrebbe obiettare a questo punto come non sia corretto insistere sugli eventuali abusi della giustizia poiché quest'ultima, per definizione, dovrebbe collocarsi al di sopra di ogni sospetto. Sappiamo invece che purtroppo, in Italia, è in atto una gravissima crisi del sistema giudiziario, denunciata anche dai suoi maggiori esponenti; sappiamo altresì che tale crisi è parallela alle profonde difficoltà della società politica in fase di passaggio tra la prima e la seconda Repubblica. Il complesso rapporto tra magistrati e politici assume connotazioni addirittura drammatiche, con un indebolimento generale della classe politica di cui la modifica apportata all'articolo 68 della Costituzione rappresenta soltanto una delle manifestazioni. Dunque la quinta, ed ultima, conclusione alla quale arriviamo è che, soprattutto in un momento come questo, la classe politica dovrebbe garantire il suo ruolo interrompendo ogni interferenza la quale possa, sia pur minimamente, indurre in sospetto.
Nel caso dell'onorevole Cesare Previti, oltre tutto, non è minimamente posta in discussione la facoltà di processarlo e, se del caso, di condannarlo ma soltanto quella di sottoporlo a carcerazione preventiva. Le considerazioni fin qui svolte mi inducono pertanto a votare e a suggerire di votare contro questa carcerazione (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Ho letto le carte che sono state inviate alla Camera e che motivano tale richiesta.
Senza voler entrare nel merito di un futuro processo - perché io non sono né un avvocato, né un ex magistrato -, credo comunque che una cosa sia certa: vi è un'accusa che è convinta della colpevolezza dell'onorevole Previti; e lo è partendo da alcuni movimenti di denaro (e ci ha fornito dati relativi a somme, a versamenti,
a numeri di conto corrente e a valute). Forse ha ragione o ha torto, ma quello è un problema che non potremo risolvere noi in questo Parlamento. Vi sarà un processo; speriamo che si svolga nel più breve tempo possibile e che faccia chiarezza!
In questo caso, il problema è un altro: il GIP sostiene che l'onorevole Previti deve andare in galera perché può inquinare le prove. Ma sono le stesse carte che ha fornito il GIP a questo Parlamento a dire esattamente il contrario! A meno che l'onorevole Previti non sia in grado di andare a cancellare movimenti di denaro e di entrare nelle contabilità dei grossi istituti bancari svizzeri per cancellare transazioni di miliardi. Io non credo che l'onorevole Previti abbia questo potere! Non ho quindi nessunissima perplessità a ribadire che non vi sono le motivazioni sulla base delle quali l'onorevole Previti debba andare in galera.
Ma nel caso di specie vi è un problema ben diverso: questo Parlamento con il voto che esprimerà oggi, al termine del dibattito, darà un ulteriore segnale al paese: questo è un Parlamento che vuole andare verso il terzo millennio; e allora vuole rimettere in chiaro la posizione delle Camere rispetto a chi amministra le giustizia nel nostro paese.
Signori colleghi, vi è troppa confusione: non possiamo più permettere la mortificazione della politica, del Parlamento e delle istituzioni dando modo a pochi (per fortuna!) magistrati di continuare a perseguire fini che sono troppo lontani dalla giustizia, pur di finire sulle pagine dei giornali (Applausi dei deputati dei gruppi misto-patto Segni-liberali, di forza Italia e di alleanza nazionale).
Il Parlamento - dice la relazione - non deve rivisitare la decisione dell'organo giudiziario; non ha cioè il potere-dovere di una rivalutazione di dettaglio del provvedimento giudiziario, ma deve sottoporre ad autonoma valutazione la rispondenza della richiesta misura cautelare ai suoi archetipi legali. Questa è la condivisibile premessa metodologica di quella relazione la quale, a mio avviso, definisce la natura e il tipo della decisione del Parlamento, nonché i limiti della sua cognizione.
Questa premessa metodologica, a mio avviso, trova un riscontro puntuale nella prassi parlamentare: mi riferisco al fatto che, secondo una consolidata prassi, i deputati non appartenenti alla Giunta non hanno accesso indiscriminato e generale agli atti del procedimento, non sono ammessi cioè alla lettura delle carte processuali. Se noi riconosciamo legittima questa prassi - che a me pare del tutto coerente con la natura e la composizione dell'organo parlamentare - ne dobbiamo trarre il necessario corollario, che è imposto dalla correlazione (che non deve mai far difetto) fra i limiti della cognizione e i limiti della decisione di un organo; dobbiamo riconoscere, cioè, che l'autonoma valutazione del Parlamento non può scendere nei dettagli del provvedimento giudiziario (come farebbero un GIP, un giudice del riesame o la Corte di cassazione). Mi pare, però, che questa premessa metodologica della relazione non sia rispettata nel concreto e che sia, anzi, tradita tutte le volte - e sono tante! - in cui la relazione stessa scende nel dettaglio della ricostruzione in fatto o delle dispute in diritto sulle questioni che la vicenda propone.
Prendiamo ad esempio la questione della prescrizione, sulla quale la relazione si intrattiene diffusamente e lungamente. Ora, se fosse manifesto che i reati addebitati all'onorevole Previti fossero prescritti, senza alcun dubbio la misura cautelare sarebbe ingiustificata; infatti è palesemente ingiustificata una misura cautelare a fronte di un reato già estinto o destinato all'estinzione. Ma può la discussione in quest'aula trasformarsi in un dibattimento giudiziario sulle complicate e - per la verità - assai opinabili implicazioni
in fatto e in diritto sulla questione della prescrizione? Io credo sia assolutamente improponibile ed impossibile, non solo per mancanza di tempo ma anche proprio per la struttura dell'organo, che non è deputato a ciò.
Personalmente penso che quella eccezione di prescrizione sia infondata. Ma ciò non conta, quale che sia il giudizio di ognuno di noi: è sufficiente che la questione sia problematica per escludere che possa essere assunta come indice di indebita persecuzione da parte dell'autorità giudiziaria.
Credo che lo stesso discorso si possa fare sulla questione della competenza. Non c'è dubbio che l'usurpazione della competenza da parte di un'autorità giudiziaria possa essere legittimamente assunta come indice significativo di una persecuzione indebita. Anche in questo caso non può rilevare il giudizio personale che può trarne ciascuno di noi. Per quanto mi riguarda, sono convinto che la competenza dell'autorità giudiziaria milanese sia quanto meno assai dubbia. Ma anche in questo caso non possiamo disconoscere che la questione sia quanto meno problematica. In sostanza non possiamo assumere l'incompetenza problematica (o la competenza, a seconda del punto di vista) come indice di un intento persecutorio, cioè di un'oggettiva situazione di indebita persecuzione.
Ciò basta, quindi, per eliminare quel carattere di persecutorietà che assegna la relazione, peraltro con argomento a mio avviso debole e non pertinente. In particolare, voglio tuttavia spendere una parola sulla famosa questione della intercettazione o pseudo-intercettazione nel bar Mandara, un episodio certamente grave; ancora più grave, a mio avviso, è che quell'episodio sia rimasto privo di sanzione nelle sedi proprie, processuale o disciplinare. Quell'episodio avrebbe avuto bisogno di una risposta, poiché - ripeto - è piuttosto grave. Tuttavia, con la pretesa ed indebita persecuzione dell'onorevole Previti quel deprecabile episodio non ha assolutamente nulla a che vedere, per la semplice ragione che si è verificato quando l'onorevole Previti era del tutto estraneo all'orizzonte dell'indagine. È quindi meramente arbitrario ed eccessivo addebitare a quei magistrati un intento persecutorio verso una persona che non si trovava per nulla nell'orizzonte delle indagini. Quindi il ruolo, peraltro del tutto marginale, che la relazione assegna alla pretesa usurpazione della competenza non ha assolutamente nulla a che vedere con l'ipotesi di un esercizio arbitrario e persecutorio dell'azione penale nei riguardi dell'onorevole Previti. È una critica alla relazione, che forse - qualora ve ne fosse il tempo - meriterebbe critiche di dettaglio ancora più profonde su alcune affermazioni palesemente non pertinenti al fine del nostro decidere.
Dirò ora in estrema sintesi come a mio avviso andrebbe impostata la questione e quali sono le ragioni del mio «no» alla proposta della Giunta, con il relativo «sì» alla autorizzazione.
Secondo me per quanto riguarda il capo A) non si può riconoscere la necessità della custodia cautelare per la semplice ragione che l'esigenza della tutela delle indagini (l'unica che può giustificare siffatta misura) è superata essendo scaduti i termini dell'indagine. Su questo la relazione ha ragione.
Dicevo che su questo la relazione ha ragione. Non è così, però, per il capo B). L'autorità giudiziaria ci propone una necessità di carattere istruttorio: sono in corso rogatorie; non preoccupa la possibilità di inquinamento per quanto concerne i documenti, ma vi è un rischio concreto, un pericolo concreto che possano essere manipolati i destinatari e la causale. Credo che ciò sia plausibile. Qui
non dobbiamo emettere una pronuncia di condanna, ma un giudizio di plausibilità sulla richiesta dell'autorità giudiziaria. È il ruolo ed il limite del Parlamento. Credo che dire di no a questa sollecitazione sarebbe una prevaricazione del nostro ruolo (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).
Dico subito che non concordo sulla tesi ribadita nella relazione di minoranza dai colleghi Meloni e Bonito, basate esclusivamente sul fumus persecutionis che si fa coincidere con il dolo del magistrato. Questo fumus, per così dire soggettivo, scatterebbe solo in presenza di una volontà persecutoria dell'autorità giudiziaria nei riguardi di un parlamentare, in mancanza della quale l'autorizzazione dovrebbe essere sempre concessa. Tale assunto è palesemente erroneo come risulta anche dal fatto che è statisticamente irrilevante, poiché quasi mai è stata negata l'autorizzazione per questo motivo. Inoltre, porta alla conseguenza che ad ogni richiesta di arresto conseguirebbe un procedimento nei confronti del magistrato richiedente; il che non è mai accaduto.
Credo invece che, per una corretta decisione, la Camera debba valutare comparativamente i diversi e contrapposti interessi costituzionalmente protetti, sui quali viene ad incidere la misura cautelare nei confronti di un parlamentare: da una parte quello del processo e di assicurare alla giustizia il presunto autore di un reato; dall'altra la libertà personale dell'imputato con la presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva e soprattutto, per ciò che ci interessa, l'integrità della composizione della Camera così come voluta dal corpo elettorale. Il rispetto del plenum non è un fatto esclusivamente numerico, giacché non si tratta di fare in modo che siano presenti tutti i deputati, cosa che del resto non accade quasi mai. D'altra parte, l'articolo 64 della Costituzione non richiede, per la validità delle deliberazioni dell'Assemblea, la presenza di tutti i suoi membri. Tale esigenza, invece, si correla alla sovranità popolare, alla quale direttamente consegue, e garantisce la corrispondenza della composizione complessiva del Parlamento con la volontà espressa dall'elettorato, che verrebbe meno nel caso in cui forzatamente mancasse qualcuno dei suoi membri.
Mentre nel caso di condanna passata in giudicato il legislatore costituzionale, nella riforma nel 1993, ha ritenuto che essa debba prevalere rispetto a qualsiasi altro interesse e vada eseguita senza bisogno di autorizzazione, nel caso di richiesta di arresto cautelare l'esecuzione va raffrontata al valore costituzionale dell'integrità dell'Assemblea. E per fare ciò vi è un'unica possibilità: delibare il merito del provvedimento per valutarne la fondatezza in forza dei criteri e delle condizioni previsti dal codice, come d'altra parte si è sempre fatto in passato. L'eventuale infondatezza del provvedimento, non dolosa ma colposa, non soggettiva ma anche oggettiva e cioè posta in essere dal giudice che pure agisca con assoluta serenità nei confronti del parlamentare, concretizza il fumus persecutionis, che deriva da un'applicazione errata dei criteri previsti dal codice e quindi determina la prevalenza del valore collegato alla sovranità parlamentare, cioè l'integrità della composizione della Camera, rispetto all'esecuzione di un provvedimento che si ritiene infondato o comunque privo dei necessari requisiti. Questo è il percorso che il Parlamento deve seguire in ogni caso di richiesta di arresto ed anche nella fattispecie in esame, che presenta due distinte ipotesi di reato, che per questo vanno affrontate separatamente.
Per la prima è di tutta evidenza la mancanza dei gravi indizi di colpevolezza
richiesti dall'articolo 273 del codice di procedura penale per l'applicazione di qualsiasi misura cautelare personale. La genericità dell'accusa nei confronti di Previti, per il quale nel periodo in questione nel capo A) non viene indicato un solo episodio di corruzione in atti giudiziari, non può condurre ad altre conclusioni. Ma vi è il fatto, che chiude definitivamente il discorso sul punto, costituito dallo spirare del termine delle indagini preliminari, che secondo il GIP costituisce il limite temporale di applicazione di tale misura e la stessa, poiché non è stata rinnovata, per l'articolo 301 del codice di procedura penale, si è definitivamente estinta. Credo non sia il caso di aggiungere altro per un capo di imputazione per il quale la misura cautelare è scaduta e si è, quindi, esaurita.
Discorso diverso va fatto invece per il secondo capo di imputazione, perché agli atti è disegnato uno scenario di indubbia, particolare gravità, sia per la pesantezza del complessivo quadro indiziario che lo supporta, sia per la portata del fatto in sé.
Non credo alla tesi del complotto ordito da più parti contro Previti, nella quale - neanche a dirlo - si affacciano pure i servizi segreti, tesi che considero risibile. Dissento anche dall'impostazione del relatore per la maggioranza, perché non enfatizzo l'accanimento contro Previti dei giudici milanesi, non potendosi trasformare questa vicenda in un giudizio pro o contro i giudici stessi, i quali comunque hanno inciso un bubbone, ricostruendo nella vicenda IMI-SIR uno scenario a dir poco inquietante, con un quadro probatorio rilevante che certo dovrà essere verificato dal dibattimento. Dico però che nella sostanza si tratta di fatti, anche documentalmente ricostruiti, per i quali c'è solo da celebrare il processo, e che non possono ritenersi sussistenti le esigenze richieste dal codice per l'arresto: non quella di cui alla lettera b), esclusa dallo stesso GIP, né quella di cui alla lettera c), perché non si vede come l'onorevole Previti, la cui vicenda processuale è ormai nota a tutti, potrebbe anche soltanto tentare di compiere negli ambienti giudiziari gli stessi reati che gli vengono addebitati per il passato.
Quanto alla conservazione della prova, dopo il notevole lasso di tempo trascorso dall'inizio delle indagini, il provvedimento non giustifica la singolare possibilità, adombrata dal giudice, dell'inquinamento interpretativo delle prove documentali raccolte - ed è proprio questo il punto - e documentalmente acquisite al processo. In esso è ormai fissato il movimento dei conti correnti di Previti, così come sono parimenti consegnati al processo e - lo si diceva bene prima - storicizzati tutti gli altri elementi che formano il complessivo quadro indiziario del secondo capo di imputazione, per il quale non è ipotizzabile (e non viene per la verità neppure indicata) alcuna possibilità di alterazione, almeno nella sua concretezza, così come pretende il codice.
Il provvedimento non può neanche giustificarsi con il fatto che non sono stati individuati tutti i movimenti dei conti correnti sequestrati per l'astratta ipotesi di un raccordo tra coimputati, che potrebbe - lo si diceva prima - interferire su tale individuazione, raccordo che, se del caso, in oltre due anni di indagine già c'è stato e che, semmai, proprio ora, in questa fase, sarebbe oltremodo problematico, a meno che - come anche veniva poc'anzi evidenziato - non ci sia un retropensiero che sottende il provvedimento, ossia che lo si vuole utilizzare per indurre Previti a riferire sui fatti e, quindi, sui movimenti e sui destinatari non individuati dei suoi conti correnti.
Ciò certamente non può essere avallato dal Parlamento, se è sincero il plauso da tutti fatto al discorso di fine anno del Presidente della Repubblica.
Concludo, Presidente. Il provvedimento d'arresto anche per il secondo capo d'imputazione difetta delle necessarie, indispensabili condizioni di legge ed è per questa ragione, giusta le considerazioni prima svolte, che io ritengo non possa essere autorizzato da questo ramo del Parlamento.
All'inizio della X legislatura uno sparuto gruppo di deputati neoeletti avviava, alla luce di quanto stava accadendo nel paese, un discorso critico sull'istituto dell'immunità parlamentare, proponendo di separare nettamente i reati di opinione da quelli cosiddetti comuni.
Eravamo nel 1987 e l'opinione pubblica dall'inizio degli anni ottanta era continuamente scossa da episodi di malcostume, di corruzione, di malaffare, come mai era accaduto in passato. Episodi che vedevano coinvolti uomini politici, parlamentari, pubbliche amministrazioni centrali e periferiche dello Stato. I palazzi del potere, le segreterie dei partiti, le sedi istituzionali erano impermeabili ad ogni richiamo a ciò che stava accadendo nel paese, considerando i singoli episodi di malaffare che venivano denunciati come incidenti di percorso.
La difesa dell'immunità parlamentare anche per i reati comuni trovava in quest'aula una maggioranza blindata, non solo per bloccare ogni eventuale modifica costituzionale, ma soprattutto per respingere le richieste di autorizzazione a procedere e di arresto che andavano di mese in mese crescendo.
Il tempo non mi permette di elencare i casi più clamorosi di diniego alle richieste dei magistrati da parte di questa Assemblea. Per un malinteso senso di difesa delle prerogative dei parlamentari venivano non solo difesi ma protetti fior di mascalzoni che usavano la politica e le istituzioni per i loro affari privati, corrompendo e lasciandosi corrompere.
Un nostro collega, illustre storico del pensiero politico, Luigi Firpo, scriveva in uno dei suoi graffianti «Cattivi pensieri» nel giugno 1988, sotto il titolo «Onorevoli alla luce del sole», a sostegno di questa nostra piccola battaglia per la revisione dell'immunità: «Guai se si diffonde l'opinione che nel sacrario della democrazia possa essersi instaurato un principio di omertà come nel gioco delle tre scimmie, che non guardano, non vedono e non parlano».
Purtroppo negli anni che seguirono si è abusato di quel gioco, poiché l'immunità parlamentare si è difatti tramutata in impunità parlamentare. Come siano andate a finire le cose è noto a tutti.
Già allora, però, noi c'eravamo posti, in caso di arresto, il problema del plenum dell'Assemblea, da qualche collega trattato in questo dibattito. La soluzione era stata indicata con l'introduzione del supplente in caso di impedimento fisico del parlamentare, non soltanto per ragioni giudiziarie.
Purtroppo, nelle Commissioni bicamerali preposte alla revisione costituzionale il problema non è mai stato preso in considerazione.
Questa riflessione sul plenum, che avevo sviluppato nelle scorse settimane in un articolo pubblicato dal settimanale Avvenimenti, mi valse la collocazione tra i dubbiosi circa la richiesta oggi al nostro esame. Ho letto con attenzione, come penso tutti voi, i documenti e la motivazione del grave provvedimento: onestamente mi è parso più che giustificato il rischio dell'inquinamento delle prove che i magistrati intendono ancora produrre, considerati i comportamenti dell'inquisito, ampiamente documentati. A maggior conforto di questa mia decisione sono venute la deposizione resa dall'interessato di fronte alla Giunta e le sue comparse televisive.
Signor Presidente, anche per queste ragioni, per consentire agli inquirenti di fare completa luce non solo sulle questioni che riguardano l'avvocato Previti ma anche, in modo particolare, su quello che avevamo chiamato non a caso non molti anni fa il «porto delle nebbie», il palazzo di giustizia di Roma, ricordo a lei e a tutti noi che sulla vicenda IMI-SIR-Rovelli-magistratura romana presentammo interrogazioni sin dal giugno 1993, senza ricevere alcuna risposta, come ha documentato l'Adusbef, l'associazione per la difesa
degli utenti, che per prima ha denunciato lo scandalo dei mille miliardi versati dall'IMI, a quanto pare ingiustamente, agli eredi Rovelli; sono quattrini della collettività, di tutti gli italiani, e quei soldi credo vadano restituiti. Se scandali ci sono, come consiglia il Vangelo, è meglio portarli alla luce (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo e di deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo).
Si dice in dottrina che oggetto della valutazione è il fumus persecutionis; v'è comunque concordanza in dottrina che mai la Camera può svolgere quello che è il compito costituzionale della magistratura. L'esame della Camera non può trasformarsi in un accertamento della sussistenza del reato e della colpevolezza del deputato imputato, e tanto meno in un accertamento dei presupposti di legge per l'applicazione della misura restrittiva della libertà personale. Questo è incontestabile, perché tocca il fondamento della democrazia, l'equilibrio e l'autonomia, senza invasione di campo e senza sviamento di alcun potere costituzionale.
La Camera non è, rispetto al GIP, il tribunale della libertà, e l'onorevole Previti l'ha perfettamente ritenuto; la sua tesi difensiva di fondo è il complotto, come la tesi di fondo del relatore per la maggioranza della Giunta è l'intento persecutorio. Però, onorevoli colleghi, perché intento persecutorio ci sia occorre che l'impianto accusatorio sia ictu oculi distorto, intento persecutorio evidente ovvero inconsistente, intento persecutorio latente. Ma quando, come nella specie, i capi di imputazione (che sono due e non dieci; sarebbe questa un'altra sfaccettatura possibile dell'intento persecutorio, la quantità dei capi di imputazione) o almeno uno dei due è certamente corroborato da un complesso probatorio convincente e si tratta di un reato grave, che per giunta nulla ha a che fare con la funzione politica, non spetta a noi valutare se ci siano le condizioni o meno per la custodia cautelare e se sia ancora possibile l'inquinamento della prova. Solo il giudice, che è nel processo, può stabilire se vi sia la necessità della custodia cautelare. La misura penale è attribuita solo al giudice; questo è compito esclusivo e peculiare del giudice di primo grado e di quello di seconda e di terza istanza per l'ipotesi di impugnazione.
Escluso l'intento persecutorio per l'esistenza di indizi ragionevolmente sufficienti a sostenere e sostanziare un impianto accusatorio, l'autorizzazione non può non essere concessa, proprio per quel giudizio della coscienza che a questo punto del discorso diventa profondo rispetto delle autonomie istituzionali e paladino della ricerca della verità, ricerca da consentire a tutto campo e con gli ordinari strumenti previsti dalla legge a chi la Costituzione la affida, cioè a giudici sereni e imparziali, che perciò devono, prima della condanna, limitare le libertà del cittadino solo se necessario, se questa necessità è suffragata dalla legge, dai presupposti e dalle condizioni che essa pone.
La nostra coscienza, signor Presidente e colleghi, è serena. Se il nostro resta un giudizio politico e non l'esercizio di un
potere giurisdizionale, che non ci compete, l'augurio è che chi questo potere giurisdizionale deve esercitare lo eserciti con grande competenza e con illuminata coscienza. L'autorizzazione, nel rimuovere un ostacolo che incide sul processo, non solo non rimuove l'esclusiva responsabilità dei giudici, ma responsabilizza ancor più la magistratura. Il Parlamento crede nella magistratura. La magistratura sappia rendersi sempre credibile di fronte al popolo e al Parlamento (Applausi di deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo, della sinistra democratica-l'Ulivo e di rinnovamento italiano).
Preliminarmente, però, non posso non evidenziare un profondo disagio nel momento in cui ho ultimato la lettura della relazione di maggioranza. Ho visto e risentito cose che mi richiamavano letture fatte precedentemente; con grande costernazione ho potuto verificare, signor Presidente, che circa i due terzi della relazione di maggioranza erano copiati in modo pedissequo dalla memoria difensiva dell'onorevole Previti. Ho una sensazione: non so se questo Parlamento sta discutendo su una relazione di maggioranza della Giunta per le autorizzazioni a procedere oppure su un atto difensivo, il che non fa sicuramente onore a noi tutti parlamentari della Repubblica italiana.
Nel sistema parlamentare delineato dalla Costituzione repubblicana l'autorizzazione a procedere non si configura come un diritto soggettivo del singolo parlamentare, ma come una prerogativa propria del Parlamento nella sua collegialità, il quale può concederla o meno sulla base di una valutazione politica che attiene soltanto all'esistenza del fumus persecutionis. Questa interpretazione funzionale dell'immunità parlamentare consente peraltro di escludere recisamente che essa costituisca una sorta di intollerabile privilegio di ceto politico e d'altra parte consente di motivare il fatto che l'immunità non può formare oggetto di rinuncia da parte del singolo parlamentare, poiché si tratta di una prerogativa di cui non dispone.
In ordine ai criteri elaborati in sede di prassi parlamentare nell'esame delle domande di autorizzazione a procedere, giova segnalare che in passato, all'inizio di ogni legislatura, si era posto all'attenzione della Giunta di entrambi i rami del Parlamento il problema di determinare taluni principi informatori dell'attività di questi collegi. In particolare, il 1 e il 28 ottobre 1992 presso la Giunta per le autorizzazioni a procedere di questa Camera si è svolto un ampio dibattito in materia, nel corso del quale è stata parzialmente rielaborata la costruzione giurisprudenziale solitamente seguita in passato. La Giunta, infatti, si è andata orientando nel senso che il diniego all'autorizzazione a procedere in giudizio non possa essere proposto al di fuori dei casi in cui sussista un fumus persecutionis. La stessa cosa è avvenuta da parte dell'altro ramo del Parlamento, il Senato, che nella seduta del 16 luglio 1988, con votazione unanime, ha assunto una deliberazione che ancora oggi intendo sicuramente come guida per le nostre determinazioni e che riporto testualmente: «La Giunta, nell'esaminare i criteri interpretativi del secondo comma dell'articolo 68, alla luce della prassi parlamentare e della concreta esperienza dell'avvio dell'attività della X legislatura ha riaffermato il principio del fumus persecutionis come filtro fondamentale attraverso il quale viene condotto l'esame delle autorizzazioni a procedere». La giurisprudenza, ma ancor più la dottrina, ha poi definito cosa sia il fumus persecutionis e lo ha posto come riferimento a tutti quegli elementi e indizi che possono far ritenere che l'imputazione sia stata elevata falsamente contro il parlamentare
per colpirlo nella sua attività politica, o che comunque si proceda contro di lui con un rigore ingiustificato o dovuto a ragioni politiche.
Ebbene, i richiami svolti ci permettono di argomentare con scienza e coscienza sull'autorizzazione all'arresto all'ordine del giorno. A tale proposito affermo di non condividere la decisione della Giunta per le autorizzazioni a procedere né tanto meno la relazione di maggioranza, che si configura come un'invasione della sfera propria dell'autorità giudiziaria, sostanziandosi come un processo all'ordinanza di custodia cautelare del GIP del tribunale di Milano. In base alla Costituzione i poteri dello Stato sono organizzati secondo un modello di pluralismo istituzionale nel quale il principio della separazione dei poteri è corretto con quello del controllo e del reciproco bilanciamento.
A tal uopo, quindi, ritengo che l'articolo 68 della Costituzione sia una garanzia e non un privilegio per il parlamentare. Non vi è persecuzione politica e quindi l'onorevole Previti diventa un cittadino come tutti gli altri, ha i medesimi diritti e i medesimi doveri di tutti gli altri cittadini. Per questo elementare principio di uguaglianza voterò in senso contrario alla proposta della Giunta e quindi «sì» all'arresto dell'onorevole Previti.
Consapevolezza tanto più importante soprattutto quando il Parlamento si appresta a riscrivere la seconda parte della nostra Carta fondamentale proprio in materia di giustizia, affermando in maniera solenne la cultura delle garanzie, nel segno di un riequilibrio tra accusa e difesa. All'insegna di quale coerenza il nuovo spirito costituente potrebbe infatti coesistere oggi, a distanza di pochi giorni dalle nuove deliberazioni, con una decisione in qualche modo figlia delle emozioni e del calcolo politico? Queste nuove regole intendono infatti correggere le storture e le forzature che hanno condotto negli anni la pubblica accusa ad affievolire la cultura delle garanzie, al punto da sollecitare le più autorevoli preoccupazioni e prese di posizione politiche ed istituzionali. Le nuove regole tendono giustamente a ripristinare il potere di un giudice terzo, indipendente, anche contro le tentazioni di un giudizio preventivo, fondato spesso sulla presunzione di colpevolezza,
pronunciato in tutti i luoghi, dalla televisione alle piazze, tranne che in quello deputato, l'aula di giustizia.
Riflettiamo allora prima di decidere. Attorno a questo dibattito ruotano calcoli politici che rischiano di essere assai più figli delle distorsioni che ci apprestiamo a correggere che non della cultura liberale che ci apprestiamo ad affermare; una cultura che impone alla coscienza la più costosa delle libertà, quella di decidere non secondo il proprio tornaconto, secondo gusti e ostacoli, ma ponendoci in una condizione di ignoranza rispetto agli effetti della decisione, senza considerare quegli aspetti che metterebbero in difficoltà gli uni e spingerebbero gli altri a sfruttare a proprio vantaggio le circostanze.
Siamo convinti che in definitiva siamo tenuti a trattarci tutti come concittadini di un medesimo pianeta giustizia. Ed è per questo che noi non siamo a fronteggiare il torrente di chi invoca, anche con sincerità, una giustizia altrimenti tradita. A costoro dobbiamo dire che la giustizia che si fa da sola, la giustizia del «veniamo al sodo» è una forma di imbarbarimento che in politica trasforma l'avversario leale in un nemico. E neppure fronteggiamo la giusta ribellione contro il privilegio di qualcuno. La situazione che affrontiamo sia occasione di educazione civica. Il collega Mancuso ha spiegato in quest'aula ragioni e situazioni che prevedono una doppia tutela; oggi lo ha rispiegato assai bene il collega Melograni.
Qui dobbiamo valutare in modo sereno, secondo coscienza e diritto: può l'onorevole Previti inquinare le prove dell'accusa, sottraendole al leale confronto con la difesa, che - lo diciamo con chiarezza - al tribunale di Milano dovrà esserci, in un processo senza ritardi né incertezze? Può l'inquinamento toccare elementi di prova documentale già raccolti e nelle mani della procura che, su tale base, ha chiesto il rinvio a giudizio, chiudendo l'istruttoria? È fuori dalla logica e dalle norme la considerazione formulata dal GIP secondo cui la possibile alterazione riguarderebbe non i documenti, che sono agli atti, ma l'interpretazione dei rapporti bancari cui gli stessi documenti si riferiscono. Vi sarebbe allora un pericolo di inquinare le interpretazioni, cui si deve porre riparo con l'arresto. A chi abbia a cuore la verità e il rispetto delle regole non può sfuggire che solo atti e documenti si possono alterare; le interpretazioni si possono sostenere o confutare e se ciò avviene in un processo da parte della difesa, essa esercita un suo diritto fondamentale previsto dalla Costituzione. A parte poi la considerazione specifica che il giudice tutela la prova e non il libero apprezzamento che di essa ha formulato la parte accusatrice!
Infine occorre chiedersi se vi sia oggi l'esigenza di preservare la prova osservando che la richiesta di arresto è nota all'onorevole Previti da alcuni mesi, ben prima della richiesta di rinvio, e che i fatti risalgono al 1986. Noi riteniamo che la risposta sia negativa, come dovrebbe esserlo se la richiesta di arresto in tali condizioni riguardasse chiunque, ogni cittadino, tutti coloro verso cui purtroppo si è abusato della custodia cautelare. Sarebbe aberrante che l'uso distorto della carcerazione preventiva in violazione della legge assumesse il ruolo di parametro di riferimento; commetteremmo così una doppia ingiustizia.
Signor Presidente, colleghi, noi voteremo quindi «sì» alla proposta della Giunta di negare l'autorizzazione all'arresto. La dignità e l'alta funzione del Parlamento sono alla prova; rivendichiamo il dovere di applicare le regole senza imperativi politici né diffide strumentali, in nome non dell'onorevole Previti ma di ciascun cittadino, di quelli che hanno vissuto o potrebbero vivere il dramma, pur se ignoto ai media, di un arresto non giustificato dalle regole dell'ordinamento: la più devastante offesa al caposaldo costituzionale della libertà della persona! Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
È iscritto a parlare l'onorevole Previti. Ne ha facoltà.
Quale che sia la vostra decisione, onorevoli colleghi, ne assicuro naturalmente il mio personale ed intimo rispetto; non intendo qui ed ora fare riferimento a specifici argomenti di sostegno della mia situazione personale. Ma quello della custodia cautelare resta problema che riguarda la cultura giuridica del nostro paese ed il ruolo della principale e decisiva istituzione di garanzia che è la magistratura inquirente e requirente. È problema quindi di rilievo costituzionale per tutti i cittadini.
Accetterò con dignità personale e politica l'odierno passaggio parlamentare e il procedimento a mio carico con tutte le sue conseguenze, anche nella dolorosa ipotesi di una privazione della libertà personale. Ho cercato a mezzo di memorie scritte e di audizioni alla Camera, oltre che con le dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria, di chiarire la mia posizione che ho tutelato e tutelerò come quella di un non colpevole. Ho esercitato con onore, per quarant'anni, la mia professione di avvocato, una professione appassionante e al tempo stesso delicata e difficile, mai abusandone per compiere o favorire attività indegne di essa.
Davanti a voi, mentre continuo a coltivare in tutte le sedi le mie difese di fatto e di diritto, oggi sento di poter ribadire la fiducia nelle mie ragioni che voi già conoscete e al tempo stesso di rinnovare il senso della mia remissione alla vostra valutazione che farete sul piano politico-costituzionale, nonché la mia fiducia nella giustizia imparziale e in un processo giusto. Vi ringrazio (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia e di alleanza nazionale).