Seduta n. 299 del 20/1/1998

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(Difesa delle coste meridionali dai rischi dei trasporti dei rifiuti)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Olivo n. 2-00446 (vedi l'allegato A - Interpellanze ed interrogazioni sezione 3).


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L'onorevole Olivo ha facoltà di illustrarla.

ROSARIO OLIVO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, nella mia interpellanza, nel marzo scorso, richiamavo la forte preoccupazione suscitata tra le popolazioni calabresi dalla notizia della presenza nel nostro mare di navi affondate contenenti materiale radioattivo e, in altre aree della Calabria, di rifiuti tossici e nocivi.
Nel marzo 1994 le capitanerie di porto di mezza Italia ed in particolar modo quelle calabresi, venivano allertate per seguire gli strani spostamenti di una nave battente bandiera albanese, la Korabi Durres. Il viaggio dell'imbarcazione comincia il 1 marzo 1994 dal porto di Durazzo: il carico ufficialmente è denunciato come rottami di rame. Il 2 marzo la nave giunge nell'antiporto di Crotone e la locale capitaneria di porto, sospettando un trasporto illegale di clandestini, decide un'ispezione.
Nella stiva figurano, effettivamente, solo rottami di rame: 1.200 tonnellate di rottami gettati alla rinfusa. Nonostante tutto risulti apparentemente in ordine, da Crotone viene allertata la capitaneria di porto di Palermo, dove la Korabi arriva il 4 marzo. Qui le autorità marittime, oltre a ripetere i controlli già effettuati a Crotone, eseguono anche dei rilievi per rilevare eventuali tracce di radioattività nel carico. Il controllo dà esito positivo: l'attività radioattiva registrata risulta essere sensibilmente superiore ai limiti della legge. Alla Korabi viene negato il permesso di scaricare il proprio carico ed anche l'accesso al porto di Palermo.
Il 9 marzo, alle 11,30, la nave riparte dalla Sicilia con destinazione Durazzo. Il giorno seguente, il 10 marzo, viene avvistata nelle acque di Pentimele nei pressi di Reggio Calabria e qui c'è la sorpresa: le autorità marittime, infatti, effettuano nuovamente tutti i controlli, senza trovare però nel carico alcuna traccia di radioattività. Che cosa è successo in quei cinque giorni? È plausibile pensare che la Korabi abbia scaricato nel mare della Calabria il suo carico potenzialmente così pericoloso? Purtroppo sì.
Il susseguirsi di inchieste giudiziarie nel corso degli ultimi dieci anni rivela che l'episodio della Korabi Durres non è che un singolo episodio di una triste «telenovela» di traffici illegali di rifiuti tossici e radioattivi e di armi, organizzata da faccendieri senza scrupoli con la collaborazione interessata della criminalità internazionale.
Sempre in Calabria, ad esempio, qualche anno prima, precisamente nel dicembre 1990, la nave Rosso richiede assistenza perché si trova in difficoltà al largo di Vibo Valentia. Arenatasi a Capo Suvero viene ispezionata dalla capitaneria di porto. A bordo della nave, precipitosamente abbandonata dall'equipaggio, vengono trovati documenti definiti sospetti e che inducono la capitaneria a chiamare i vigili del fuoco per controllare la radioattività del carico. I documenti ritrovati a bordo, infatti, richiamano, in qualche modo, il trasporto di scorie radioattive, indicando i siti esatti di presunti autoaffondamenti di altre navi nel Mediterraneo, che sono oggetto di indagini in corso, soprattutto ad opera della magistratura di Reggio Calabria.
Le operazioni di recupero della Rosso durano due mesi, poi la nave viene rottamata in gran fretta. Una parte del carico, misteriosamente definita «materiale putrescente» dalle autorità, finisce nelle discariche calabresi.
La nave Rosso, tra l'altro, era già stata, con il nome di Jolly Rosso e insieme a Karin B, a Zanoobia, a Koko e a Jolly Rubino, una delle famigerate navi dei veleni, navi che nell'estate del 1988 vennero illecitamente inviate, cariche di migliaia di tonnellate di rifiuti nocivi da smaltire in paesi asiatici ed africani, come il Libano e la Nuova Guinea, da spregiudicati faccendieri italiani. Fu proprio in quella circostanza che emerse la percezione che l'Italia era al centro di attività illegali e di giri d'affari colossali nel settore dei rifiuti, come ha denunziato in questi anni in modo assai circostanziato e coraggioso Legambiente.


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I tanti affondamenti sospetti - circa 40 negli ultimi dieci anni - hanno evidenziato come lo smaltimento dei rifiuti tossici avvenga talvolta mediante l'affondamento di navi cosiddette «a perdere», cariche di scorie radioattive, nel Mediterraneo. Si pensi agli affondamenti delle motonavi maltesi Anni ed Euroriver, a quello emblematico per la quantità di illegalità commesse dagli armatori della Rigel e ancora a quello della Marco Polo, della Koraline e della Four Star, che hanno fatto rilevare concentrazioni di torio 234 nel mare circostante di dieci volte superiore alla media.
A questo fenomeno, secondo una denunzia dei Lloyd's di Londra, si accompagnerebbero anche una serie di truffe alle principali compagnie assicurative, perpetrate con la riscossione dei premi assicurativi relativi ai sinistri marittimi in questione. E, come dice la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, «appare allo stato anche verosimile una relazione tra il traffico dei rifiuti radioattivi e il fenomeno del commercio di alcune tecnologie militari avanzate, tecnologie che, per la loro configurazione, potrebbero essere utili al duplice scopo militare e di inabissamento di rifiuti radioattivi», come nel caso dei siluri detti «penetratori».
E non è tutto. Secondo la ricostruzione fornita da alcune indagini, prima di essere usate come «tombe» per i rifiuti nucleari, alcune di queste navi sono servite al trasporto di altri rifiuti tossici e radioattivi in paesi del terzo mondo, che li smaltivano illegalmente in cambio di armi. Singolare, a questo proposito, è rilevare come uno dei siti per lo smaltimento di rifiuti nocivi in cambio di armi sia stato individuato in Somalia, nei pressi di Bosaso, proprio nell'area in cui la giornalista televisiva Ilaria Alpi svolgeva un'inchiesta su di un presunto traffico di armi tra l'Italia e la Somalia prima di essere assassinata insieme al cameraman Hrovatin. La Commissione d'inchiesta sulla cooperazione con i paesi in ritardo di sviluppo nella passata legislatura ha acquisito elementi importanti su tale delitto, che proprio in questi giorni è tornato alla ribalta (se ne sta occupando la commissione Gallo).
Per avere un quadro appena completo occorre far luce ancora sul ruolo che in molti degli episodi citati hanno avuto alcune società che operano sul piano internazionale nel campo dello smaltimento dei rifiuti nucleari: nei documenti sequestrati ad alcune di queste società infatti sono state trovate mappe relative al Mediterraneo, con segnalati i siti maggiormente adatti allo smaltimento dei rifiuti radioattivi, tra i quali alcuni corrispondono alle coordinate di effettivi inabissamenti delle navi «a perdere» cui ho accennato. Così pure bisognerà non sottovalutare la pesante ingerenza esercitata dalle «ecomafie» sullo smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi in generale, le quali stanno trasformando un'operazione di sicurezza sanitaria ed ambientale in un business illegale e molto pericoloso per la salute dell'uomo.
Emblematico è il caso dei due pescatori calabresi che casualmente hanno recuperato una scoria radioattiva incappata nelle loro reti durante una battuta di pesca, i quali si sono ammalati di leucemia mieloide.
Quanto finora detto, che rappresenta solo una breve ed incompleta descrizione dei colossali affari della «Ecomafia Spa», ci induce a chiedere con forza nuovamente al Governo di fare massima chiarezza sull'accaduto, adottando provvedimenti a livello nazionale ed internazionale per contrastare il business del riciclaggio illegale, ed intanto l'adozione di iniziative che consentano una rapida bonifica dei pericolosissimi relitti che giacciono sul fondo del nostro mare.
Tre anni fa l'allora sottosegretario di Stato per la difesa Silvestri dichiarò nella Commissione competente la nostra impreparazione al riguardo, dicendo che non eravamo attrezzati per questa complessa opera di recupero, che richiede attrezzature altamente sofisticate e navi adatte allo scopo. Sono state superate queste difficoltà? Siamo riusciti a dotarci di tutto

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il necessario per quest'opera di bonifica così urgente ed importante? Cosa stiamo facendo per controllare meglio le nostre coste, che si sviluppano per migliaia di chilometri? Solo nella mia regione, la Calabria, ce ne sono 800 chilometri. Si tratta - è vero - di un lavoro estremamente difficile ma del tutto necessario. È stata messa in atto una strategia di coordinamento a livello internazionale?
Una maggiore e più intensa cooperazione sul piano almeno europeo è indispensabile ed urgente per bloccare in maniera particolare i traffici di scorie radioattive, che negli anni scorsi provenivano soprattutto dai paesi dell'ex Unione Sovietica e si sviluppavano attraverso la ex Jugoslavia e l'Albania, avendo come destinazione alcune regioni italiane, tra cui la Calabria.
La mafia ha assunto in maniera stabile il controllo del traffico dei rifiuti tossici e nocivi ed è diventato economicamente conveniente in carenza delle normative vigenti. Se si riesce a smaltire senza rispettare le varie prescrizioni sulle discariche controllate, il margine di utile è altissimo per chi smaltisce. È chiaro che non si può smaltire in zone dove vi è un controllo del territorio elevato, una presenza di popolazione diffusa, un insediamento diffuso (la pianura padana, le grandi città e così via), per cui la criminalità va alla ricerca di siti poco esposti e in località già sotto il controllo della delinquenza organizzata. Perciò le aree più a rischio sono le zone a forte insediamento mafioso, in località già tradizionalmente sotto il controllo della delinquenza (le cave e le grotte, ad esempio). Questo traffico colpisce aree che non hanno una grande presenza abitativa, quindi quelle di pregio ambientale, tra cui il parco naturale dell'Aspromonte, che rischia di divenire in tal modo luogo di utilizzo permanente di sostanze tanto pericolose.
La valorizzazione del parco dell'Aspromonte diventa quindi un obiettivo prioritario, perché esso non può più essere abbandonato alle cosche. Si deve invece innescare un processo che veda le stesse popolazioni interessate alla tutela del territorio, quindi attive in una azione di contrasto alla mafia e ai suoi loschi traffici.
Occorre ribadire con forza che intorno alla tutela dell'ambiente si può costruire in Calabria e in tante altre regioni una politica di sviluppo che parta dalle grandi risorse esistenti e che sia capace di creare il vuoto intorno alle associazioni criminali. È evidente che anche il mare calabrese, per lo stesso motivo cui facevo prima riferimento, proprio perché privo di consistenti traffici commerciali e di un sistema portuale diffuso che anche in inverno garantisca un controllo continuo, diventa la tomba ideale di navi che trasportano veleni. La grande estensione delle coste calabresi e la molteplicità di impegni delle scarse capitanerie di porto escludono che si possa fare riferimento solo a queste strutture per il controllo del mare. Infatti, d'estate il pattugliamento avviene anche con gli elicotteri e i mezzi navali delle tre armi. C'è da chiedersi, allora, se non sia il caso di verificare l'opportunità di un controllo attraverso la rete satellitare e se, in un prossimo futuro, si possa pensare ad un sistema di questo genere.
È necessario inoltre un rafforzamento delle capitanerie di porto ed un coordinamento non solo nei mesi estivi di tutte le forze di polizia per assicurare un controllo più efficace delle coste e del traffico marittimo in generale. Occorre altresì un rafforzamento ed una specializzazione delle strutture di indagine sul settore specifico del traffico dei rifiuti tossici e nocivi, che richiede competenze specifiche e di alta professionalità. Devo ricordare che un ottimo lavoro viene già svolto dal NOE, il nucleo operativo ecologico dei carabinieri. Da una relazione del colonnello Raggetti abbiamo appreso che solo nel 1997 sono stati accertati circa 30 mila reati di natura ambientale. L'Arma dei carabinieri, quindi, sta svolgendo un ottimo lavoro e di questo gliene siamo grati.
Torno a ribadire che un confronto con altre esperienze internazionali è utile ed

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urgente al fine di procedere alla rimozione delle situazioni di pericolo già individuate, in una logica di maggiore cooperazione internazionale, anche perché, soprattutto lungo le coste, sono molti i paesi interessati. Lo stesso discorso vale per il controllo del mare, che però va inquadrato in una logica di tutela dell'intero bacino del Mediterraneo. Da qui la necessità di una maggiore cooperazione, soprattutto con i paesi che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo.
Concludo ricordando che presso il Ministero dell'ambiente esiste una commissione al cui lavoro il sottosegretario Calzolaio ha dato un grande impulso e che ha predisposto proposte di inserimento nel nostro codice penale di reati di natura ambientale. Credo che tale commissione abbia concluso i suoi lavori e che i relativi risultati siano stati inviati al Ministero di grazia e giustizia. È auspicabile un rapido iter di approvazione di questi provvedimenti; sono certo che il sottosegretario Calzolaio si adopererà con il suo solito appassionato impegno affinché misure così urgenti ed importanti siano varate al più presto.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente ha facoltà di rispondere.

VALERIO CALZOLAIO, Sottosegretario di Stato per l'ambiente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con riferimento alle questioni sollevate dagli onorevoli Olivo, Bova, Oliverio, Romano Carratelli e Brancati, concernenti il traffico dei rifiuti radioattivi in acque calabresi e siciliane, risulta che le indagini su tali rifiuti hanno avuto inizio immediatamente dopo che la procura della Repubblica (come ha ricordato illustrando l'interpellanza l'onorevole Olivo) fu informata della presenza, nel marzo 1994, della motonave Korabi, battente bandiera albanese, con un probabile carico di scorie di rame e materiale radioattivo.
Successivamente, il fascicolo processuale veniva trasferito per competenza alla direzione distrettuale antimafia. Poiché le indagini sono coperte dal segreto istruttorio, elementi di conoscenza definitivi potranno essere stabiliti solo alla fine del processo.
Comunque, in quel contesto, il magistrato inquirente avanzò richiesta di assistenza al Ministero dell'ambiente ed alla presidenza dell'ANPA (Agenzia nazionale per l'ambiente), al fine di ottenere le risorse ed i mezzi necessari per il recupero dei rifiuti giacenti in mare, ottenendone la disponibiltà.
L'ispettorato centrale per la difesa del mare (servizio del Ministero dell'ambiente) ha provveduto a richiamare l'attenzione dell'ANPA e dell'ICRAM (Istituto centrale per le ricerche sull'ambiente marino) su questa situazione. Sono state effettuate indagini nell'estate 1995 e nel maggio-giugno 1996. Da tali indagini, svolte dall'ANPA, è emerso un quadro completo e integrato sulla situazione della contaminazione radioattiva; è emerso anche che non sono stati rilevati radionuclidi di origine antropica nella catena trofica dell'ambiente marino calabrese, fatta eccezione per il Cesio 137, radionuclide oggi ubiquitario dell'ambiente marino, rilevato a livelli tali da non destare preoccupazioni ai fini della salvaguardia complessiva dell'ecosistema marino e della salute pubblica.
Aggiungo che nei mesi di maggio e giugno 1997 l'ANPA, per mantenere sotto controllo la situazione e per individuare tempestivamente eventuali mutamenti anomali della radioattività ambientale, ha ripetuto l'indagine; essa è stata inoltre estesa alle coste della Basilicata, essendo anche tale regione esposta alle eventuali conseguenze della contaminazione. I risultati hanno confermato, almeno per ora, l'assenza di radioattività artificiale.
Questo per quanto riguarda il caso specifico ma mi sembra che sia l'interpellanza sia l'illustrazione svolta dall'onorevole Olivo chiamino in causa una questione più generale. Gli aspetti della prevenzione e la loro urgenza sono stati ampiamente illustrati e documentati poco fa dal collega Olivo. Un contributo in tale direzione, da lui sollecitato, potrà venire dalla convenzione internazionale sui rifiuti


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radioattivi il cui testo, dopo due anni di lavori preparatori, è stato definito il 6 settembre 1997 (quattro mesi fa), al termine di una apposita conferenza diplomatica che si è svolta a Vienna. Al di là dei contenuti tecnici della convenzione, con essa la gestione dei rifiuti radioattivi cesserà di costituire un esclusivo fatto interno di ciascun paese e diverrà oggetto di obblighi giuridici di diritto internazionale, in base ai quali i paesi firmatari potranno richiedere a ciascun partner dimostrazione della correttezza delle attività svolte. Sotto questo profilo sarà importante che, dopo la sottoscrizione della convenzione, il Parlamento proceda in tempi brevi alla necessaria ratifica.
Dovremo tornare ancora, in altra sede, su molte delle questioni esposte nell'illustrazione dal collega Olivo. Come è ovvio, la complessità e la rilevanza delle questioni sollevate dagli interpellanti non possono esaurirsi in un atto di sindacato ispettivo e in una breve risposta. Ho cercato tuttavia di precisare il contributo specifico di attività svolte già dal Ministero dell'ambiente sul caso sollevato e di segnalare un'iniziativa modesta, ma concreta e prioritaria, nazionale e internazionale, nel contesto di una nuova politica di sviluppo sostenibile. Nelle occasioni segnalate anche dall'onorevole Olivo sarà possibile entrare nel merito delle altre iniziative che vanno avviate con interventi rigorosi sulle questioni esposte dagli interpellanti.

PRESIDENTE. L'onorevole Olivo ha facoltà di replicare per la sua interpellanza n. 2-00446.

ROSARIO OLIVO. Mi dichiaro soddisfatto per la risposta del sottosegretario Calzolaio; una risposta che egli ha svolto per estrema sintesi, ma in modo efficace. Ha dato notizie rassicuranti ed ha introdotto alcuni stimoli di discussione che avremo altre occasioni di riprendere insieme.
È in corso - diceva l'onorevole Calzolaio - l'indagine della procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria; un'indagine naturalmente coperta dal segreto istruttorio. Ci affidiamo completamente all'attività importante della procura della Repubblica di Reggio Calabria. Conosciamo quei magistrati, la severità delle loro indagini ed anche la grande passione civile che li anima, soprattutto in un campo nuovo che suscita tanto allarme nelle nostre popolazioni. Quindi, restiamo in fiduciosa attesa di queste indagini; anzi, ci dichiariamo completamente disponibili, come parlamentari, per la parte che mi riguarda anche come membro della Commissione parlamentare antimafia, a sostenere l'impegno e lo sforzo importante dei magistrati di Reggio Calabria.
Le indagini dell'ANPA, così come ha ricordato poc'anzi l'onorevole Calzolaio, ci rassicurano, almeno per l'immediato. I rilievi fatti non presentano situazioni di pericolo per il nostro mare e quindi per la salute dei cittadini. Questo è un fatto importante, considerato naturalmente che il turismo è una delle poche attività che dà ossigeno all'economia della nostra regione. Ho appreso con grande soddisfazione le notizie che ci ha dato poc'anzi l'onorevole Calzolaio. Sono notizie rassicuranti per i calabresi, ma anche per i grandi flussi turistici italiani, europei e internazionali che ogni anno nei mesi estivi, ma anche prima, individuano le coste calabresi per le loro vacanze. Gli italiani e tanti turisti stranieri trovano quindi ancora un mare pulito, fruibile, godibile; possono ancora scegliere la nostra regione per la bellezza del suo mare, che è ancora un mare sicuro, e anche per tante altre cose, per la vacanza intelligente che essi possono godere in tanti mesi dell'anno, considerato che la nostra è una regione di grandi civiltà, che ha beni culturali immensi, un patrimonio enorme che si può associare al fatto ricreativo del godimento del mare.
Ecco, mi piace sottolineare particolarmente questo dato che ci ha fornito poc'anzi l'onorevole Calzolaio, in riferimento all'allarmismo di tante notizie di stampa, spesso orchestrate alla vigilia delle stagioni estive. Nei mesi di marzo, aprile e maggio certa stampa nazionale ed


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internazionale volentieri diffonde queste notizie allarmistiche per indurre tanti turisti a non venire nella nostra regione. I risultati di questa indagine rigorosa dell'ANPA, che ci dà oggi l'onorevole Calzolaio, sono invece rassicuranti: per l'immediato noi non corriamo assolutamente nessun rischio e il nostro resta uno dei più bei mari, uno dei mari più puliti del nostro paese, del Mediterraneo e del mondo.
Ma in prospettiva ci dobbiamo porre questo problema, non possiamo restarcene in pantofole. Dobbiamo sviluppare una strategia di coordinamento sul piano internazionale; non possiamo affrontare singolarmente, come paesi, l'aggressione che ci viene dalla ecomafia, dai trafficanti di queste sostanze altamente nocive e pericolose. Dobbiamo attrezzarci sulla base degli elementi di rischio e di pericolo che abbiamo registrato negli anni passati.
Quanto è accaduto, lo ripeto, è un campanello d'allarme che ci deve indurre a raccordarci intorno ad una maggiore cooperazione sul piano internazionale (la convenzione di Vienna è un grande passo in avanti in questa direzione, sulla strada cioè di una maggiore cooperazione sul piano internazionale), in modo tale che i vari paesi interessati possano affrontare con una strategia di contrasto più efficace questo grande rischio.
Concludo sottolineando la positività della risposta del sottosegretario Calzolaio e soprattutto l'impegno del Ministero dell'ambiente a vigilare, a guardare a tali questioni con una rinnovata attenzione e con un nuovo impegno.

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