Seduta n. 277 del 26/11/1997


(continuata nelle giornate di giovedì 27, venerdì 28 e sabato 29 novembre 1997)

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La seduta, sospesa alle 2,10 di venerdì 28 novembre 1997, è ripresa alle 3,10.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI PETRINI

PRESIDENTE. Riprendiamo le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.

PAOLO ARMAROLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

PAOLO ARMAROLI. Per un brevissimo richiamo al regolamento, precisamente in ordine alla pubblicità dei nostri lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLO ARMAROLI. Signor Presidente, non voglio riferirmi alla pubblicità ai sensi dell'articolo 63 del regolamento, ma alla pubblicità esterna.
Io credo che sia lei sia noi stiamo facendo, giorno e notte, il nostro dovere. La stampa, invece, fa deformazioni incredibili. Le segnalo brevemente - in un minuto - tre casi che hanno ad oggetto il maggior quotidiano nazionale, il Corriere della sera di oggi. Sono tre perle gravissime.
La prima: «Saranno usate tutte le armi possibili, compresa la richiesta continua di verifica del numero legale». Evidentemente, siccome non si vota, non vi è verifica del numero legale.

PRESIDENTE. Onorevole Armaroli, questo tema non è pertinente al nostro regolamento.
Io non sono responsabile di quello che viene pubblicato dai giornali...

PAOLO ARMAROLI. Certo, signor Presidente!

PRESIDENTE. ...ma solo della conduzione dei lavori dell'Assemblea.

PAOLO ARMAROLI. Gli altri due casi sono ancora più brevi.

PRESIDENTE. Concluda, la prego.

PAOLO ARMAROLI. Concludo, signor Presidente.
La seconda perla: «Domani sul problema delle sostituzioni deciderà la Conferenza dei capigruppo», anziché la Giunta per il regolamento.
La terza: «Un Presidente di turno non identificato ha minacciato di "espulgere" dall'aula un deputato».

PRESIDENTE. Forse è meglio dire espellere!

PAOLO ARMAROLI. Il Presidente non identificato è il Presidente Acquarone, che non mi risulta sia un UFO! Tutto si può dire del Presidente Acquarone, tranne che sia un UFO!

PRESIDENTE. Riprendiamo le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.

TEODORO BUONTEMPO. Credo che questo dibattito stia mettendo in evidenza un fatto estremamente importante, e cioè che abbiamo al Governo una sinistra del tutto intollerante alle regole della democrazia.
La decisione delle forze di maggioranza e del Presidente del Consiglio di indire una manifestazione con lo scopo di accusare l'opposizione di svolgere un ostruzionismo parlamentare che non ha l'obiettivo di difendere gli interessi dei cittadini, ma piuttosto quello di fare opposizione, è sul serio pericolosa.
La sinistra, infatti, voleva con quella iniziativa rivolgere un messaggio agli italiani di assoluta intolleranza verso le regole della democrazia. Questa battaglia viene combattuta dall'opposizione per difendere gli interessi di categorie produttive messe a rischio dai provvedimenti del


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Governo. Semmai c'è da chiedersi perché l'opposizione non abbia condotto prima, e su tutti i provvedimenti, un'analoga azione.
I partiti del Polo hanno dimostrato in più occasioni un alto senso di responsabilità e la sinistra, anziché ringraziarli per il modo responsabile in cui hanno fatto opposizione, ha ritenuto che in questo Parlamento non vi fosse più opposizione ed ha acquisito come diritto il fatto che essa fosse in alcuni casi debole, non adeguata al livello dello scontro che si svolge in Parlamento e nel paese.
Il fatto che l'opposizione abbia ritrovato grinta, capacità e determinazione per opporsi agli scellerati provvedimenti governativi avrebbe dovuto consigliare i partiti della maggioranza ed il Governo a trovare con essa un modo diverso di discutere e di confrontarsi. Invece abbiamo dovuto ascoltare l'intervento del capogruppo della sinistra democratica: un intervento carico di odio, di intolleranza e di faziosità. Sta riemergendo l'anima peggiore del comunismo italiano; sta riemergendo in queste ore ed in questi giorni una sinistra che è intollerante nel suo DNA. Non si tratta di una scelta tattica del momento: la sinistra non ammette l'opposizione, e quando essa c'è, anziché ritrovare le ragioni della governabilità del paese, cerca di mobilitare all'esterno un odio contro la stessa.
Ecco perché io credo che i partiti del Polo non si debbano limitare alla opposizione nei palazzi, alla Camera e al Senato, ma debbano portare lo sdegno verso il Governo e la sinistra all'esterno, nelle piazze, nelle fabbriche e nelle scuole, affinché si capisca che in Italia non è in gioco soltanto la sopravvivenza di alcune aziende, che verranno messe in ginocchio dalla scellerata politica fiscale di questo Governo, ma la libertà stessa.
Queste non sono parole retoriche o imputabili all'enfasi del dibattito parlamentare. Basta leggere i titoli dei giornali, basta ascoltare i resoconti delle radio, basta guardare i resoconti parlamentari mandati in onda dalla televisione di Stato per rendersi conto che la sinistra si sta preparando ad una ulteriore strozzatura della libertà.
Basta vedere l'atteggiamento che tiene in aula il Presidente Violante, il quale è ormai al servizio di un disegno preciso: ridurre gli spazi dell'opposizione. Io credo che per il Parlamento vi sia, tra le tante, l'emergenza Violante, il quale conduce i lavori dell'Assemblea e regola i rapporti tra i partiti come se si trovasse in un Parlamento comunista, come se presiedesse un Parlamento dove la ragione del partito-Stato è superiore alle ragioni dei cittadini.
Tra i provvedimenti che vengono adottati vi è un aumento dell'IVA dal 16 al 20 per cento per le attrezzature per la ricerca scientifica omologate dal Ministero della sanità. I cittadini non lo sanno, non ne sono informati perché la sinistra cerca di non far capire quali sono gli aumenti che ha introdotto e che si sta preparando ad introdurre nei prossimi mesi per mettere in ginocchio categorie che potenzialmente rappresentano un elettorato non conforme ai suoi disegni.
Nel nostro paese si cerca di piegare la ripresa economica delle piccole e medie imprese, dell'artigianato e del piccolo commercio. Questa sinistra ormai si è consegnata alle grandi famiglie, alle lobby affaristiche, al grande capitale. Si aumenta l'IVA per chi è impegnato nella produzione delle piccole imprese, ma ci si inginocchia davanti alla FIAT, alla quale si regalano la rottamazione e i sudori dei lavoratori con la cassa integrazione. Si è in ginocchio davanti alla FIAT perché essa, tra l'altro, regala giornali faziosi come La Stampa, che riporta resoconti faziosi sui lavori parlamentari, giornali come quelli romani, legati alle grandi imprese degli appalti edilizi, che ormai hanno incoronato la classe politica di sinistra perché regala loro i soldi della legge n.167 tramite la lega delle cooperative. È un modo di costruire ignobile: si costruiscono tipologie edilizie intensive con i soldi dello Stato! E il cittadino che invece la casa se la costruisce, se

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la suda, se la paga viene messo in ginocchio da tasse odiose, a cominciare dall'ICI!
Mi auguro che i partiti del Polo durante l'esame della finanziaria portino avanti una durissima battaglia, come quella che stiamo conducendo contro gli aumenti dell'IVA, per togliere le tasse sulla prima casa, che non produce reddito. Non è demagogia, questa, perché per rimettere in moto il mercato dell'edilizia non c'è bisogno di finanziare la lega delle cooperative. Basta defiscalizzare la prima casa, perché essa rappresenta un bene sociale, di sicurezza, che non produce reddito.
Ecco perché è necessario che l'opposizione in Parlamento rafforzi la determinazione della contrapposizione, per recuperare il diritto di comunicare ai cittadini la realtà di un Parlamento che oggi rischia di essere soffocato dai partiti della sinistra, dai partiti del Governo Prodi (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

ITALO BOCCHINO. Chiedo di parlare per un richiamo all'articolo 8 del regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ITALO BOCCHINO. Come è accaduto anche la scorsa notte, se non erro durante il suo turno di Presidenza, fino a questo momento i segretari sono stati assenti. Solo adesso uno di essi è entrato in aula...

PRESIDENTE. I deputati segretari sono presenti, onorevole Bocchino.

ITALO BOCCHINO. Dal momento che l'onorevole Buontempo ha svolto il suo intervento in assenza dei segretari, anche a tutela dei diritti dei colleghi, sarebbe opportuno che i segretari fossero presenti durante i nostri interventi.

PRESIDENTE. Va bene, onorevole Bocchino.

ROSANNA MORONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSANNA MORONI. Presidente, i deputati segretari di Presidenza si trovano qui a Montecitorio. Io sono presente in aula e l'onorevole Maiolo, dell'opposizione, è nel suo ufficio e basta chiamarla.

PRESIDENTE. La faremo chiamare.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sospiri. Ne ha facoltà.

GIORGIO REBUFFA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. L'ordine dei lavori è già stato stabilito, onorevole Rebuffa!
Parli pure, onorevole Sospiri.

GIORGIO REBUFFA. Chiedo di parlare sul richiamo al regolamento svolto poc'anzi.

PRESIDENTE. È già stato esaurito, onorevole Rebuffa.

GIORGIO REBUFFA. Se io chiedo di parlare, non può non darmi la parola!

PRESIDENTE. Onorevole Sospiri, il tempo a sua disposizione è già cominciato.

NINO SOSPIRI. No, Presidente, non è ancora cominciato! Mi perdoni, ma il regolamento fa riferimento ai segretari e non al segretario.

PRESIDENTE. Infatti ho fatto chiamare anche l'altro segretario (Commenti del deputato Armaroli). Onorevole Armaroli, la seduta non può essere sospesa per la mancanza di un segretario! Questo non


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ha alcuna logica! Onorevole Sospiri, svolga il suo intervento: il suo tempo è iniziato.

NINO SOSPIRI. Non vogliamo che la seduta sia sospesa, ma vogliamo attendere che arrivi l'altro segretario.

PRESIDENTE. Onorevole Sospiri, il tempo a sua disposizione è iniziato. La prego quindi di svolgere il suo intervento.

NINO SOSPIRI. Presidente, la prego di essere meno arrogante, altrimenti il mio tempo finirà per protrarsi per ore! Ha inteso, Presidente?

PRESIDENTE. Non intendo intendere le sue minacce!

NINO SOSPIRI. Non intende intendere? Lei mi deve richiamare all'ordine, Presidente! Non lo fa? Allora non compie il suo dovere! Io invece compio il mio.
Ormai ci avviamo, sia pure molto lentamente (e speriamo sempre più lentamente) verso l'epilogo di una vicenda parlamentare non esaltante per questa maggioranza e per questo Governo. Al di là delle interpretazioni diverse circa la data e l'ora di scadenza del decreto-legge in esame, credo che tutti, indistintamente, dobbiamo riconoscere che ciò che è accaduto negli ultimi giorni in quest'aula ha pochissimi precedenti.
Sono deputato da sei legislature e non ricordo nulla di simile, neppure rispetto alla conduzione dei lavori dell'Assemblea con riferimento all'atteggiamento che lei, Presidente, ha assunto poc'anzi. Voglio subito rivolgere un sentito ringraziamento all'onorevole Mussi che, dalla lettura delle bozze non corrette degli interventi sin qui svolti, risulta il più citato, il più stigmatizzato.

PAOLO ARMAROLI. Citato per danni!

NINO SOSPIRI. Esattamente. Danni al PDS e alla maggioranza di sinistra-centro!
Mussi è stato il più colpevolizzato; io invece ritengo che egli abbia offerto grandi possibilità all'opposizione. Con quella sua presunzione, con quella sua arroganza, con quel suo modo di fare, con quei suoi atteggiamenti, con quelle sue pretese ha letteralmente «impaludato» la maggioranza ed il Governo!
La manovra di bilancio soffre, molti decreti sono pendenti e si avviano verso la scadenza; il Comitato dei trenta annaspa. Tutto questo lo si deve all'indiscutibile intelligenza e alla lungimiranza del capogruppo del partito democratico della sinistra, il quale peraltro ha soltanto fatto da capofila rispetto agli atteggiamenti che sono stati assunti anche da altri deputati del centro-sinistra. Mi chiedo come sia possibile tollerare che prima si chieda il voto di fiducia, poi si chieda la seduta notturna e infine si deliberi la seduta fiume, e, una volta colti questi obiettivi, si diserti letteralmente l'aula.
La maggioranza si sottrae al confronto con l'opposizione, fugge, tace, non vuole ragionare, impone decisioni - questo sì - che offendono la democrazia, quella della quale spesso parla ma a sproposito. Deve essere chiaro che se l'opposizione ha trasformato il suo impegno in battaglia ostruzionistica questa responsabilità va unicamente ascritta ai tentativi di prevaricazione posti in essere dalla maggioranza, la quale, peraltro, quanto più è debole, tanto più cerca di essere prepotente.
Tutto questo, onorevole Presidente, non è certamente in linea, non ha nulla a che fare, potrei aggiungere, con quel paese «normale» che le sinistre dicevano di voler costruire in caso di vittoria alle ultime elezioni politiche. Ricordiamo tutti il segretario della quercia lanciare il messaggio «vogliamo un paese normale». A noi non sembra proprio che, nel momento in cui si procede come si sta procedendo, si possa parlare di un paese normale, di un Parlamento normale e di una democrazia sana.
Noi, comunque, abbiamo compiuto e continuiamo a compiere il nostro dovere, credo di poter dire con qualche risultato.


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Infatti, grazie al nostro impegno almeno gli italiani sapranno che questo Governo li sta rapinando di altri 6-7 mila miliardi. Se non ci fosse stata la nostra battaglia, ora divenuta ostruzionistica, queste misure sarebbero passate nel silenzio. Altro che provvedimento di razionalizzazione! Le aliquote IVA sono troppe, bisogna ridurle, bisogna accorparle, bisogna semplificare. Ma è uno strano modo di accorpare, di ridurre e di semplificare, considerato che questo intervento peserà sulle spalle del contribuente italiano per altri 6-7 mila miliardi. Diciamo la verità, è un imbroglio, è l'ennesimo imbroglio. Come l'IRAP, che dovrebbe sostituire altre imposte...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Sospiri.

NINO SOSPIRI. Sto concludendo, signor Presidente. E invece l'IRAP sarà superiore alla somma delle imposte che andrà a sostituire.

DANIELE FRANZ. Chiedo di parlare per un richiamo all'articolo 41 del regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DANIELE FRANZ. A proposito della vicenda riguardante i segretari, sulla quale non ritornerò, vorrei dire a titolo esemplificativo che lei non ha concesso la parola al collega onorevole Rebuffa. L'articolo 41 del regolamento prevede che «i richiami al regolamento» - cita poi altri casi - «hanno la precedenza sulla discussione principale». Fin qui, ci siamo. Continua poi: «In tali casi possono parlare dopo il proponente» - in questo caso, l'onorevole Bocchino - «soltanto un oratore contro e uno a favore per non più di cinque minuti ciascuno». In questo caso credo che l'onorevole Rebuffa potesse intervenire a favore o contro.

PRESIDENTE. No, il Presidente ha già comunicato che d'ora in poi i richiami al regolamento e gli interventi sull'ordine dei lavori dovranno rigidamente essere tenuti entro le regole di cui al parere emesso dalla Giunta per il regolamento all'unanimità. Le regole stabiliscono che si possa discutere qualora il Presidente ritenga proponibile la questione all'Assemblea.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armosino. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA ARMOSINO. Signor Presidente, colleghi, vi intratterrò su un fatto che mi ha sempre molto colpito e che si fonda sulla diversa interpretazione che dell'attività dell'opposizione viene data quando svolgo la mia attività di parlamentare nel collegio in cui sono stata eletta rispetto a quella che viene espressa dagli uomini della maggioranza in quest'aula.
Quando torno nel mio collegio le persone che incontro mi chiedono dov'è l'opposizione, come mai non si sente la sua voce sui giornali, alle TV; quasi dubitano che l'opposizione esista. Quando sono in quest'aula sento e vivo invece in prima persona che l'opposizione esiste nonostante il tentativo della maggioranza di coartarla fino a sopprimerla. È pazzesco ed è anche doloroso per chi crede nei valori della democrazia constatare che a voi della maggioranza gli strumenti democratici sono serviti per insediarvi al Governo e per alterare dall'interno, con tracotanza, le regole democratiche. Tracotanza che questo Governo manifesta ogni qualvolta, di fronte alla sua evidente incapacità di governare, pretende di addebitare - e rappresentare al paese - la responsabilità all'opposizione. Tracotanza che si manifesta quando, come nel caso di specie, dopo aver provveduto con decreto-legge ad un collegato alla finanziaria e non averne neppure saputo preventivare i tempi, si pretende di far tacere l'opposizione con sedute notturne come quella in corso. Ebbene, noi siamo qui comunque, alle quattro di mattina, a manifestare il nostro voto contrario su un provvedimento


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che indebolirà ulteriormente la nostra economia e creerà ulteriore disoccupazione.
Ci avete detto che questo provvedimento è indispensabile per entrare in Europa. Noi siamo qui a dirvi che vogliamo portare in Europa un paese vitale e competitivo mentre voi volete portare un cadavere. Il provvedimento in esame è contrario allo sviluppo in quanto l'aumento dell'IVA determinerà aumento dei costi e quindi contrazione dei consumi e conseguente recessione. Noi crediamo che solo dallo sviluppo si crei occupazione e benessere; voi state invece operando solo aumenti delle tasse. Così facendo distruggete l'economia ed impoverite le famiglie.
Voi state portando l'Italia in Europa con meri artifizi contabili e fingete di dimenticare che dopo occorrerà restarvi e che quindi servirà un'economia competitiva. Che cosa farete dopo per far restare l'Italia in Europa? Aumenterete ancora le tasse? Ma fino a quando pensate che il popolo italiano possa sopportare aumenti di tasse?
Ho già detto, intervenendo su questo provvedimento, come questo Governo abbia manifestato totale indifferenza, anzi peggio, volontà distruttiva nei confronti dell'agricoltura, che subirà l'aumento reale dell'11 per cento dell'IVA sul vino e l'ulteriore vessazione dell'IRAP. Voi avete dimostrato indifferenza verso questo mondo, dimenticando fra l'altro che i valori della ruralità sono i valori del dovere, della famiglia, della difesa del territorio in cui si vive e si opera. Avete dimostrato di ignorare o, peggio, di disattendere tutti questi valori, dei quali troppe volte avete detto di essere strenui tutori. In realtà voi non difendete questo mondo, voi difendete il grande capitale automobilistico, al quale avete regalato il provvedimento sulla rottamazione, e pretendete di dire che analogo provvedimento adotterete a favore dell'agricoltura.
Ma qualcuno di voi della maggioranza conosce il prezzo di un trattore? Sa qualcuno di voi che per acquistare un trattore chi lavora in agricoltura deve chiedere prestiti? No, non lo sa, oppure, sapendolo, ne è indifferente. Come potrebbe infatti, se fosse interessato al problema, introdurre l'IRAP e con essa l'indeducibilità degli interessi da corrispondere alle banche per l'acquisto dei beni strumentali? Come potrebbe pensare che la soluzione ai problemi dell'occupazione si ottenga con le 35 ore? Conosce qualcuno della maggioranza l'orario di lavoro che deve osservare chi opera in agricoltura (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)? Cosa fa questo Governo in sede europea? Sta scadendo l'esaennio con il 2000, quando andremo a riprogettare quanto l'Italia riuscirà ad ottenere dall'Europa come trasferimenti. Non una parola viene spesa sullo sviluppo rurale (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)! E noi abbiamo visto che la logica della perimetrazione delle aree di crisi nulla ha portato in Italia. È incapacità del ministro Pinto o incapacità di tutto quanto questo Governo? E qui stiamo parlando di una cosa che deve ancora venire. Indifferenza per l'agricoltura ma anche incapacità di progettare lo sviluppo rurale, che consentirebbe di trarre dall'Europa delle risorse sotto forma di trasferimenti.
Allora, continueremo a dirvi queste cose, continueremo a farlo nelle ore notturne, con i tempi che voi ci imponete. Continueremo a dire al paese che predicate in un modo e praticate in quello esattamente opposto. Ed è per questi motivi che ribadisco il nostro voto contrario su questo vostro provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fei. Ne ha facoltà.

SANDRA FEI. Il Presidente Prodi ha dichiarato, proprio ieri, perché ormai siamo intorno alle 4 del mattino, che


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porre la fiducia su questo provvedimento, per quanto ci riguarda, vessatorio per i cittadini e l'economia portante del nostro paese, è - cito testualmente - un «dovere nei confronti del paese» e ha avuto la faccia tosta di aggiungere che è un provvedimento utile all'Italia. La mia domanda è: considera forse il Presidente che l'Italia si riduca soltanto agli uffici contabili del Tesoro e delle finanze?
Una fiducia ogni dodici giorni non mi sembra una maniera corretta di governare. Una fiducia ogni dodici giorni indebolisce ancora di più un Governo che non riesce a praticare ciò che dichiara, che non riesce a portare avanti una politica chiara, trasparente, leale, democratica nei confronti dei suoi cittadini. Una fiducia ogni dodici giorni impedisce ai rappresentanti dei cittadini di esercitare il proprio ruolo di tutela e di stimolo, quello stesso stimolo che, attraverso i giornali controllati dalla maggioranza, tanto dice di auspicare la coalizione di sinistra. Titoli dei giornali di pochi giorni fa, nei cui articoli si rimpiangeva la destra che non c'era, in un atto di lutto che assumeva toni di grande commozione.
Governare a colpi di fiducia, cari signori del Governo, vi sta conducendo alla sfiducia. Un'autodichiarazione di sfiducia vera e propria, visto che non siete in grado di far fronte ad un dibattito aperto, trasparente, leale, democratico con l'opposizione; una sfiducia di chi tra i cittadini aveva osato - e con quale coraggio! - affidarsi a voi.
Il Presidente Prodi ha anche dichiarato, con espressione contrita, da «tenerone» serio, che se questo provvedimento non viene approvato l'entrata dell'Italia nell'euro - anzi, ha detto molto scorrettamente che l'Italia non è in Europa ed è un'espressione scorretta - è a rischio. Un po' di serietà, chiediamo! Gli italiani non sono stupidi e ormai sono stati costretti ad imparare a fare i conti. Hanno dovuto fare sacrifici enormi che in soldoni, per i conti di questo Governo, si sono tradotti in centinaia di migliaia di miliardi, molti dei quali mettendo mano ai propri risparmi, ai propri miseri guadagni, ai soldi che non entrano in cassa e neanche in casa. I 5.000 miliardi in più di IVA previsti in questo provvedimento sono una sciocchezza per i conti richiesti dai parametri di Maastricht e quindi tutti si chiedono che significato abbia tutto ciò. Forse i giochini contabili non hanno dato i risultati desiderati? O forse i calcoli sono stati completamente sbagliati, come quello della previsione di crescita? O forse nell'Unione europea qualcuno sta scoprendo il trucco che non si vede?
È ora di smetterla di abusare dell'Europa e del suo importante significato, del suo progetto. È ora di smetterla di confondere le idee ai cittadini. È veramente giunta l'ora di smettere di fare di tutto per perdere immagine e credibilità in seno all'Unione europea e quindi forza contrattuale, correndo in Francia a parlare di 35 ore, per tenere in piedi una coalizione di maggioranza che tale non è, e poi appellarsi alla flessibilità o ricevere - come oggi, come ieri, scusate - il primo ministro olandese a Bologna, perché illustri il modello del suo paese, che è lungi dall'essere sulla via delle 35 ore né dall'assomigliare a concetti antiliberali, costrizionistici o vessatori. L'Europa è una cosa seria, così come serio è il compito che questo Governo si è assunto, quello di governare gli italiani.
Il Presidente Prodi aveva detto in campagna elettorale che non avrebbe aumentato la pressione fiscale, ma noi abbiamo sempre saputo che è un bugiardo. D'altronde, rivendichiamo i diritti d'autore di «Prodi-Pinocchio».
Il Presidente Prodi e i suoi ministri declamano la diminuzione dell'inflazione. Già, l'inflazione si è stabilizzata, ma per una crescita vergognosa e ben al di sotto delle aspettative, persino del Governo. E non è colpa degli italiani: la realtà è che nessuno spende più. Mancano i soldi e mancano i posti di lavoro. C'è paura, c'è tristezza e squallore tra i cittadini. C'è sfiducia e sapete bene, signori del Governo, quanto grave sia per un paese perdere la fiducia.
In tutto questo quadro, cosa fa il Governo? Aumenta dalla sera alla mattina

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l'IVA. Tratta i cittadini da ignoranti, con frasi assurde, macchiando l'Europa di colpe che non ha, che sono vostre, signori del Governo. Sembra che non abbiate mai imparato a fare i conti e siete dei pessimi veggenti, oltre tutto, visto che vi affidate alle supposizioni. Ed è chiaro che non avete mai avuto il coraggio di affrontare con determinazione e chiarezza la riforma della pubblica amministrazione, che porterebbe ad un risparmio di spesa enorme e ormai indispensabile. Un risparmio che offrirebbe all'Italia l'unica vera grande possibilità di uscire dal pantano, quel pantano che oggi si sta trasformando in sabbie mobili.
Aumentate l'IVA e pretendete che il governatore Fazio, che qualche conticino lo sa fare, abbassi i tassi, nonostante il sicuro aumento dell'inflazione che il vostro provvedimento comporterà.
E poi un Governo di sinistra - di una sinistra che tanto si picca di essere portatrice di cultura, «della» cultura -, difensore dei beni culturali, che impone senza scrupoli in questo provvedimento un paragone, anzi una similitudine, tra scarpe e dischi, CD, videocassette e quant'altro attenga all'ordinamento dei diritti d'autore. Certo, in questo caso la sinistra, con la sua maggioranza, ha dimostrato coraggio con quell'indegno aumento dell'IVA su questi prodotti del 25 per cento! O forse anche qui possiamo parlare di faccia tosta? Vi è stato chiesto un impegno, che avete accolto, per una diminuzione che arrivi al 5 per cento, in Europa ed in Italia, sui prodotti che ho sopracitato. Ma intanto cosa faranno i nostri autori? Cosa ne sarà dei nostri beni culturali? E fino a quando dovranno scivolare gli autori nel precipizio senza possibilità di fermarsi? Volete forse costringerli a toccare il fondo?
Per tutte queste ragioni, signor Presidente, e per molte altre, comuni a tutti noi dell'opposizione, e che in dieci minuti, purtroppo, non possono essere citate al completo, con convinzione davvero profonda annuncio il mio voto contrario al provvedimento in questione (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Fei.

VINCENZO ZACCHEO. Chiedo di parlare, signor Presidente.

PRESIDENTE. A quale titolo?

VINCENZO ZACCHEO. Per un richiamo al regolamento.

PRESIDENTE. A quale articolo?

VINCENZO ZACCHEO. Articolo 8, commi 1 e 2.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VINCENZO ZACCHEO. Signor Presidente, l'articolo 8, commi 1 e 2, recita: «Il Presidente rappresenta la Camera. Assicura il buon andamento dei suoi lavori, facendo osservare il Regolamento, e dell'amministrazione interna...

PRESIDENTE. Non lo legga! Conosco l'argomento. Mi dica per quale motivo fa il richiamo a quest'articolo.

VINCENZO ZACCHEO. Evidentemente non lo conosce bene.

PRESIDENTE. Mi dica qual è il richiamo.

VINCENZO ZACCHEO. ...«Sovrintende a tal fine alle funzioni attribuite ai Questori e ai Segretari.
In applicazione delle norme del Regolamento, il Presidente dà la parola, dirige e modera la discussione, mantiene l'ordine, pone le questioni, stabilisce l'ordine delle votazioni, chiarisce il significato del voto e ne annunzia il risultato».
In quest'articolo, esattamente nei commi 1 e 2, non vi è scritto che il Presidente debba masticare la gomma americana. Quindi la pregherei di non masticare la gomma americana. La ringrazio.


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PRESIDENTE. Onorevole Zaccheo, non è pertinente!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fragalà. Ne ha facoltà.

VINCENZO FRAGALÀ. Signor Presidente, illustri colleghi, io intervengo in quest'aula alle 3,50 del mattino portando l'intento e rappresentando l'aspettativa di quegli italiani del sud, di quegli italiani della Sicilia, di quegli italiani di Palermo, che in questi giorni combattono una guerra di liberazione non soltanto per liberare l'Italia dal Governo delle sinistre, che in cinquecento giorni di vita ha procurato tanti danni all'economia, allo sviluppo ma soprattutto alla stessa speranza degli italiani, ma anche per liberare le maggiori città siciliane e per quanto riguarda la mia città, Palermo, per liberare la città da quel sindaco, il sindaco uscente, l'onorevole Orlando, che è stato un antesignano del Governo delle sinistre. Un antesignano perché a Palermo ha sviluppato quel sistema di Governo finto, di Governo che vuole rappresentare ai cittadini soltanto un aspetto esteriore, un belletto mentre la città, come sanno tutti gli italiani, crolla ogni giorno nei suoi edifici fatiscenti del centro storico e mentre la città «muore» per la disoccupazione, la mancanza di speranze e soprattutto per una condizione di avvilimento che ormai pervade tutti.
Signor Presidente, è questo il motivo che ha determinato 300 deputati di quest'aula (ed io sono appena l'ottantasettesimo) a gridare e a rappresentare la volontà degli italiani dinnanzi al decreto che scandalosamente aumenta le aliquote dell'IVA e viene in modo truffaldino contrabbandato come decreto per il riordino delle aliquote dell'IVA. Intendiamo rappresentare in quest'aula quegli italiani che non hanno ritenuto e non riterranno mai di saltare sul carro dei vincitori, di fare quell'operazione trasformistica, di cui lei, signor Presidente, è un intenditore, che ha consentito in questi mesi di vedere e di assistere nel Parlamento e nel paese al tentativo di soffocare la voce dell'opposizione, cioè di soffocare la voce di quegli italiani che intendono costruire una società non soltanto libera ma anche liberale sul piano economico. Una società in cui al posto di aumentare una pressione fiscale ormai insopportabile, si pensi finalmente a tagliare quei privilegi che hanno costruito, per quarant'anni, le clientele ed hanno nutrito, a Palermo come a Roma, quel sistema assistenzialistico, quel sistema che doveva consentire al regime della prima Repubblica di non morire mai perché si riteneva che la maggioranza degli italiani potessero essere arruolati come clienti o la maggioranza dei parlamentari potessero essere costretti con il bavaglio a non far sentire la propria voce, ma soprattutto a non far sentire la voce degli italiani liberi.
Ebbene, noi gridiamo la nostra opposizione contro il sistema sovietico di conduzione dei lavori di quest'Assemblea, che ha tentato in ogni modo di impedire che l'opposizione desse voce dentro al Parlamento a quella che è ormai una protesta dilagante in tutto il paese e che ieri ha portato gli allevatori e i coltivatori della zona di Vicenza ad esprimere il massimo dell'indignazione contro un Governo della sinistra che si è saputo esprimere soltanto attraverso i manganelli e delle azioni di intimidazione (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia); ciò è avvenuto addirittura nei confronti dei bambini, dei minori, delle donne che erano accampate in quel campo di protesta soltanto per assistere, sul piano del vettovagliamento, coloro che protestavano contro un'ulteriore operazione incredibile, del Governo delle sinistre, del Governo della fame, del Governo delle tasse, per strangolare a Vicenza quei coltivatori e quegli allevatori, e a Palermo e in Sicilia il comparto del commercio, il comparto dei servizi.
Con l'aumento delle aliquote dell'IVA in settori importanti come quelli dell'abbigliamento, delle calzature e dell'edilizia, si vuole trasformare il nostro in un paese di stampo sovietico.
Un paese in cui la libera iniziativa, la libera intrapresa, le piccole aziende e le medie imprese sono costrette alla fine a


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chiudere, perché è tale e tanta l'entità della pressione fiscale finalizzata a mantenere quei privilegi di cui parlavo poco fa che non si riesce a lavorare.
Allora, signor Presidente, per fortuna la maggioranza degli italiani non vuole saltare sul carro dei vincitori e per fortuna la gran parte dei parlamentari dell'opposizione, e credo anche una parte di quelli della maggioranza, non potranno essere ogni volta imbavagliati con il sistema della questione di fiducia che viene posta per impedire che vengano votati gli emendamenti migliorativi dell'opposizione. Si viene poi costretti nei propri collegi uninominali o nelle proprie zone di rappresentanza a spiegare agli elettori, ai coltivatori, agli agricoltori, agli imprenditori, ai professionisti e ai lavoratori autonomi per quale ragione non si sia ritenuto, per ordini di scuderia o di partito, di evitare che una ulteriore manovra fiscale strangolasse l'economia e la peggiorasse rendendola asfittica.
È scandaloso, signor Presidente, onorevoli colleghi, che il Governo per bocca del Presidente del Consiglio e degli esponenti della maggioranza abbia tentato di formulare un ricatto, dicendo che si interrompeva il cammino verso l'Europa e che l'esercizio dei diritti dell'opposizione avrebbe potuto arrestare tale cammino (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Franz. Ne ha facoltà.

DANIELE FRANZ. Signor Presidente, signor sottosegretario, è un po' che ci vediamo qui durante le sedute notturne e dopo tutto questo tempo comincio il mio intervento da dove ho terminato la mia precedente dichiarazione di voto.
Vorrei dire che la nostra posizione questa notte, come quella tenuta nelle notti precedenti, è certamente frutto di una volontà ostruzionistica, ma non di una volontà di chiusura indiscriminata e generalizzata nei confronti del Governo. La verità è che questo decreto a noi non piace non solo e non tanto perché lo avete scritto voi, anche se questo aiuta, ma perché lo consideriamo una vera e propria iattura per il sistema produttivo italiano, che a chiacchiere tutti vogliono difendere, mentre alla resa dei conti non tutti fanno seguire dei fatti concludenti alle chiacchiere sbandierate nella campagna elettorale, nei proclami sui giornali e nelle riunioni, che prima vengono annunciate in pompa magna e che poi vengono vieppiù ridotte fino a diventare un confronto fra i direttivi dei gruppi che hanno beneficiato del sommo onore di vedere partecipare ad un incontro teoricamente riservato anche il Presidente del Consiglio.
La maggioranza quindi ha compiuto una spudorata operazione, e non mi riferisco certo all'arroganza del capogruppo del PDS, onorevole Mussi, ma a tutte quelle chiacchiere che evocano fantasmi di euroscettici, i fantasmi di chi non vuole andare in Europa. Insomma, si fa del terrorismo psicologico ai danni dell'elettorato italiano con la complicità, ma anche questo ci lascia quasi del tutto indifferenti, di giornali e di organi di stampa di giorno in giorno e di ora in ora sempre più compiacenti nei confronti dei nuovi potenti di questa Italia.
Possiamo anche arrivare a tollerare tutto ciò e, con uno sforzo morale ed umano, possiamo anche riuscire a comprenderlo, ma non possiamo accettare che ciò venga fatto a spese degli italiani, colpendo l'unico settore che ancora oggi può garantirci una possibilità di ripresa: quello della piccola e media impresa produttiva.
Questa maggioranza ci insegna come, da un punto di vista propagandistico, sia fondamentale essere addirittura opposizione a se stessa; ma anche questo è un film già visto e che comincia a diventare ripetitivo. Ricordo che, quando ci fu la manifestazione dei sindacati - chiedo scusa per l'inciso - contro il Governo, fra gli augusti partecipanti ci fu anche il segretario generale del PDS, onorevole D'Alema. Ricordo altresì che questa è una maggioranza che fa caricare gli allevatori


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dalla polizia. Ebbene, credo che nessuno di noi, neanche per un attimo, abbia pensato di doversela prendere con qualche questore eccessivamente zelante o rampante, ma abbia subito capito, anche per la contestualità degli attacchi, che la regia non era stata fatta molto lontano da questo palazzo. Eppure oggi questa maggioranza riesce, guarda caso, sempre per bocca del segretario nazionale del PDS, onorevole D'Alema, a solidarizzare spudoratamente con gli allevatori e a denunciare i metodi repressivi della polizia.
Penso che la prossima volta l'onorevole D'Alema farà meglio a telefonare in via preventiva al compagno Napolitano, ricordandogli che non deve caricare gli allevatori e che, se non lo vuole fare per disciplina di Governo, non lo deve fare perlomeno per disciplina di partito. Ma questo non avviene, perché il vero nemico del Governo sta proprio in quel terziario, che non a caso l'esecutivo continua clamorosamente a bastonare.
La memoria molto spesso fa difetto in questi banchi, onorevoli colleghi, ma credo che nessuno di noi dimentichi le roboanti dichiarazioni del Presidente appena entrato in carica, Prodi, il quale, per la verità, aveva annunciato tutte queste cose con molta coerenza ed onestà. Era difficile coglierle, ma sono andato a rileggermi gli atti parlamentari di quei giorni e ho potuto vedere che, in mezzo allo sfavillio di strass, simili a diamanti, ma purtroppo solo strass, delle frasi propagandistiche pronunciate in quei giorni, tutte queste misure erano già state accennate. Prodi, infatti, aveva già parlato dell'IRAP addirittura durante la campagna elettorale; di ridiscutere l'assetto agricolo di questa nazione che, come tutti sanno, non è basato sulla grande proprietà, ma su quella piccola e media, Prodi aveva già parlato, anzi, per la verità, ne aveva parlato Pinto al posto di Prodi; così come aveva già parlato della famigerata e fantasiosa caccia all'evasore fiscale, che doveva essere necessariamente il barbiere di Napoli o il piccolo artigiano di Abbiategrasso e non invece qualche grosso industriale.
Tutto questo legiferare in materia fiscale altro non è, quindi, se non una logica conseguenza di una guerra dichiarata e ormai combattuta con una ferocia ed una spietatezza che solo la sinistra internazionale nel corso di questi quarantacinque anni ha insegnato al mondo intero. Si arriva addirittura all'apoteosi di questa guerra. Un Governo che non è nelle condizioni - e lo ha dichiarato più volte - di provvedere al rimborso IVA si permette di aumentare l'IVA stessa, andando incontro verosimilmente ad altri rimborsi che tra qualche anno non riuscirà a ripetere, il tutto per una volontà irremovibile di punire laddove si sarebbe dovuto sanare, di reprimere laddove invece si sarebbe dovuto lasciare le briglie sciolte, ovvero nell'unico comparto che è ancora nelle condizioni di crescere.
Sono orgoglioso di provenire da una regione come il Friuli Venezia-Giulia, che ha al suo interno - per ironia della sorte ora rientra nel mio collegio - il cosiddetto «triangolo della sedia». È un miracolo tutto italiano di 5.500 aziende che da sole producono il 75 per cento delle sedie nel mondo. Chiaramente, viste le ristrettezze del mercato italiano, si rivolgono tutte ad un mercato estero. Sono tutte aziende tarate sui quindici-venti dipendenti. Ebbene, ognuna di queste aziende di quindici-venti dipendenti vanta nei confronti del fisco italiano crediti che variano dai 750 milioni al miliardo e 200 milioni. Sono sei-sette-otto mesi, addirittura due anni che queste aziende aspettano che ciò che appartiene loro venga ad esse restituito. Ma l'opposizione capisce. L'opposizione non è nata per fare l'ostruzionismo e quindi ha proposto - nonostante non ne venga data notizia sulla stampa - soluzioni alternative.
Il Governo non può pagare, non dico «non vuole pagare»? Studiamo allora qualche altra forma, magari una forma di compensazione per cui tutti i crediti di imposta vengano defalcati dalle dichiarazioni. Neanche questo è stato possibile ottenere, signor sottosegretario, forse perché - mi consenta l'ardire - a questo Governo non interessa che le nostre imprese

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crescano, ma interessa liquidità per millantare un credito che millanta all'interno per questioni propagandistiche e che vuole millantare anche all'esterno, facendo finta di essere nelle condizioni di far competere questa nostra sventurata Italia, ancorché adorabile, con colossi che hanno avuto la fortuna di non essere mai stati governati con tanta ottusità, come è successo a questa Italia da oltre cinquant'anni, con una brevissima parentesi - peraltro voluta a furor di popolo - e terminata per la mancanza di respiro e di capacità politica di pochi che sono tra quelli che oggi ci affiancano in questa doverosa battaglia contro l'aumento delle aliquote IVA.
Voi pensavate che di fronte all'ennesima dimostrazione di arroganza, che si chiama questione di fiducia, l'opposizione avrebbe dovuto tacere, avrebbe dovuto scodinzolare passiva dicendo magari: che scalogna, viva l'Italia? Altro che ricerca di un ruolo, come qualche arrogante Solone della maggioranza si è permesso di scrivere oggi sui giornali! L'opposizione non ha bisogno di vedersi riconoscere il ruolo con battaglie ostruzionistiche; l'opposizione ha un suo ruolo, ne è conscia e non ha sempre fatto ricorso all'ostruzionismo, sfido chiunque a dimostrare il contrario. Questa volta non c'era altra via perché l'esempio vivente e fulgido di questa maggioranza è l'onorevole Mussi ed esempio fulgido e vivente sono le innumerevoli questioni di fiducia poste che non hanno lasciato all'opposizione altra via che quella di lanciarsi in una disperata battaglia contro il tempo nel tentativo, ormai inevitabile, di far decadere questo decreto che inizialmente l'opposizione voleva solamente contribuire a modificare nelle parti più ingiuste e vergognose. Colleghi, ci avete costretti voi a questo, con la vostra incapacità di accettare il dialogo, di accettare il confronto, con la vostra incapacità di far seguire i fatti a roboanti dichiarazioni di apertura, di disponibilità. D'altro canto...

PRESIDENTE. Deve concludere.

DANIELE FRANZ. ...la Commissione bicamerale ne è uno specchietto preciso, una cartina di tornasole: si finge in sede di Commissione bicamerale di essere tutti disposti a riformare quest'Italia, che di riforme ha bisogno come dell'aria, e poi il giorno dopo si cerca di disfare ciò che faticosamente si è raggiunto (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Franz.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Dell'Elce. Ne ha facoltà.

GIOVANNI DELL'ELCE. Signor Presidente, le devo dire che assistere a quest'ora, sono le 4,10 del mattino, ad una Presidenza arrogante nei confronti di quei parlamentari che stanno svolgendo il loro lavoro con orgoglio, con rabbia ma con molto entusiasmo non è assolutamente bello (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia)! Spero di vedere nel prosieguo dei lavori un'altra Presidenza, che sia diversa, che abbia maggiore dialogo con un'opposizione che è ferma, che sta «battagliando» su problemi veri che interessano migliaia di persone, su problemi che interessano tante aziende, tanti piccoli imprenditori. Per questo la richiamo ad un comportamento più idoneo.
La nostra opposizione, che ha deluso chi l'aveva data per scomparsa, nasce da una constatazione precisa e preoccupata. Il Governo dell'Ulivo, che non sta portando il paese in Europa, che sta facendo pagare un prezzo carissimo per un risanamento che è soltanto apparente, che non trova nessuna corrispondenza nell'economia reale, che si basa su provvedimenti tampone, come il decreto sull'IVA che stiamo discutendo in quest'aula. Tutto questo forse - e dico «forse» - servirà per raggiungere sulla carta le condizioni per entrare nella moneta unica, che pagheremo a caro prezzo anche negli anni futuri.
Se non si è in grado (ed il Governo Prodi dimostra di non esserlo) di risolvere


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i veri grandi nodi che gravano sul nostro sistema economico, se non si è in grado di proporre riforme strutturali, le tasse - IVA inclusa - non saranno soltanto inutili ma saranno anche dannose. Ottengono infatti il solo effetto di sottrarre risorse al risparmio e agli investimenti per trasferirle al sistema dei conti pubblici che continuano a divorare ricchezza. D'altra parte, un Governo che pretende di far convivere tecnocrati, come Ciampi e Dini, con un partito come quello di rifondazione comunista non può fare di più e di meglio.
Il fatto che oggi la grande stampa e molti autorevoli commentatori diano credito ai successi del Governo Prodi dimostra soltanto che conformismo e voglia di regime, tante volte denunciati, non sono frutto della nostra fantasia. Ogni italiano si rende conto tutti giorni quale sia la condizione dell'economia reale quando deve pagare le tasse, quando deve cercare un lavoro per i suoi figli, quando deve vendere - per le piccole aziende - beni e servizi a clienti che oggi, purtroppo grazie a questo Governo, non sono più in grado di pagare.
Un esempio di successo apparente di Prodi è proprio il livello dell'inflazione. Se quest'ultima si è ridotta perché i consumi sono strozzati, perché il denaro non circola, perché l'economia non funziona, il calo dell'inflazione non è un successo, è una sceneggiata. In questo contesto il Governo non trova di meglio che lanciare nuove imposte: oggi con l'aumento IVA, domani con l'IRAP, dopodomani con chissà quale altro balzello. Si colpiscono così le famiglie, chi crea ricchezza, chi crea lavoro; chi tenta di costruire qualcosa in Italia non viene premiato bensì punito dallo Stato.
Stiamo facendo dall'opposizione la nostra battaglia parlamentare per ottenere qualcosa di concreto. È del tutto evidente che questi provvedimenti aumentano l'area del sommerso, dell'elusione e dell'evasione. Esiste una soglia oltre la quale la pressione fiscale diventa intollerabile e rischia di non essere più sentita come lecita dai cittadini, anche perché lo Stato non si rende credibile quando deve dare, essendo invece molto rapace quando deve prendere.
Le vicende degli imprenditori alle prese con i rimborsi dell'IVA sono la migliore dimostrazione di quello che affermo. La nostra opposizione va contro una politica economica che va in un'altra direzione rispetto ai modelli europei. Per questo noi ci opponiamo ad un Governo che fa finta di operare risparmi ma non finge affatto di aumentare le imposte. Quando si parla di questi argomenti, si dimentica sullo sfondo un problema direttamente condizionato da questi provvedimenti, e cioè l'occupazione. In alcune aree del paese questa è una vera emergenza, perché questo paese sta bruciando un'intera generazione di giovani sull'altare di politiche economiche e sociali di conservazione acritica dell'esistente. L'occupazione non è una variabile indipendente dell'andamento economico del paese e, nonostante l'illusione della sinistra, non si risolve con politiche di sostegno che si traducono in sovvenzioni assistenziali che danno luogo a sprechi di risorse ai quali assistiamo ogni giorno e che ben conosciamo.
Per spezzare il circolo vizioso che fino ad oggi ha impedito di innestare un processo che favorisca la crescita del mercato, è necessario alleggerire il carico fiscale sulle attività produttive, per stimolare gli investimenti e quindi favorire la creazione di nuovi posti di lavoro. Si creerebbe così una nuova ricchezza, quindi un nuovo risparmio da destinare agli investimenti e nuovo gettito fiscale. Si dovrebbe quindi fare esattamente il contrario di quello che si ostina a proporre il Governo Prodi: l'aumento della pressione fiscale.
Esprimo queste preoccupazioni pensando al paese intero, ma anche alla regione che rappresento, l'Abruzzo, il cui tessuto produttivo è basato sulle piccole e medie aziende, sul terziario, sul turismo, che è stato un fattore di potente crescita della regione.
I provvedimenti che aumentano gli oneri fiscali colpiscono soprattutto questo

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tipo di realtà produttiva e le piccole e medie aziende, che sono l'ossatura della nostra regione.
Mi sia qui consentito aggiungere che il 16 novembre gli abruzzesi chiamati alle urne hanno lanciato un segnale politico molto incoraggiante per il centro-destra e molto significativo per la sinistra che governa in quella regione grazie alle disavventure giudiziarie di precedenti amministratori, ingiustamente colpevolizzati e solo da pochi mesi affrancati dalla accuse loro mosse.
Parlo di sinistra o non di centro-sinistra, come la maggioranza ama definirsi, perché in Abruzzo, come in campo nazionale, le componenti del centro moderato, cattoliche e laiche che hanno partecipato all'Ulivo dimostrano di non essere in grado di condizionare i comportamenti e le scelte del Governo.
Richiamo a questo proposito i malumori per le frustrazioni dei popolari sul provvedimento che riguarda l'IRAP. Il Governo, che è chiamato ad effettuare difficilissime scelte di risanamento economico, dipende dall'unica forza politica in Europa che continua a definirsi comunista. I risultati sono chiaramente visibili: si tenta un risanamento fittizio dei conti pubblici, soffocando i settori produttivi con una fiscalità eccessiva e punitiva, diretta conseguenza di una politica economica dirigista, centralista, punitiva verso il mercato, l'impresa e il lavoro.
Al risanamento fittizio ed alle operazioni di cosmesi contabile si accompagnano con puntualità svizzera interventi correttivi dei conti pubblici, gabellati come tappe di avvicinamento all'Europa, Europa che diventa sempre più occasione per l'ennesimo balzello piuttosto che essere una grande opportunità storica del nostro continente, del nostro paese. L'appuntamento con l'Europa non è solo la capacità di trovare espedienti contabili per mettersi in linea con i parametri di Maastricht, è anche la capacità di rimanerci nel prosieguo, quando i nodi verranno al pettine.
In realtà, mancare l'obiettivo del risanamento o realizzarlo fittiziamente non è grave solo per l'Europa, ma perché significa uscire da una realtà economica che avevamo sognato. Questo è esattamente ciò che sta avvenendo. Eppure, come era facile prevedere, il Governo Prodi - anche ma non solo per colpa di rifondazione comunista - non è in grado di operare queste scelte.
Per tutte queste ragioni e per la rabbia che ho portato in quest'aula anche da parte della mia regione, voterò, come altri colleghi, contro il questo provvedimento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Crimi. Ne ha facoltà.

ROCCO CRIMI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto sull'IVA, componente la manovra di finanza pubblica per il 1998, costituisce l'ennesimo esempio di quello che non si dovrebbe fare per risanare i conti dello Stato. Dietro la nostra opposizione, dietro l'opposizione del Polo e della lega, c'è un problema vero, grave e pericoloso: la marginalizzazione del Parlamento rispetto alle grandi scelte della politica di bilancio; la marginalizzazione del Parlamento rispetto al tema delle imposte, sul quale da sempre si sono misurate le democrazie più evolute.
L'esecutivo usa la fiducia come una clava e il regolamento come una ghigliottina e strepita contromanifestando al Capranica invece di stare al Parlamento. Dico «strepita» perché l'opposizione non ha il buon gusto né l'accortezza di essere come la maggioranza la vorrebbe: molle e cedevole come la marmellata. La stessa maggioranza, che fino a ieri ha sostenuto di sentirsi zoppa, senza avversari che le stimolassero i muscoli democratici, dovrebbe oggi esser contenta e non ricorrere a tutti i mezzi per negare all'opposizione gli spazi che dovrebbero esserle propri, innanzitutto il Parlamento.
La verità vera, onorevoli colleghi, è che questo Governo, fra solidarietà annunciate e servizi negati, vuole introitare circa 5.000 miliardi aumentando la pressione fiscale e pretendendo di usare l'IVA come un torchio per la spremitura. Siamo tutti


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sotto schiaffo, consumatori finali e famiglie; sono sotto schiaffo le imprese, quel tessuto diffuso di piccole e medie aziende che finora ha assorbito a fatica i molti colpi della congiuntura; è sotto schiaffo tutto il ceto medio produttivo e professionale; è sotto schiaffo tutta l'Italia produttiva che fra qualche giorno, fra eurotassa e acconti di varia natura, toccherà ancora con mano l'oppressione fiscale, che si aggiunge, in un vortice distruttivo, alla caduta degli investimenti in quasi tutti i settori.
Il mio pensiero va, cari colleghi, agli allevatori esasperati dai mancati rimborsi per le quote latte ed ai 500 mila agricoltori che in questo momento invadono le strade e le piazze di molte città italiane. Attento, onorevole Prodi: quello degli allevatori è il primo sintomo manifesto di un malessere generale. Attento, onorevole Prodi: non protesti contro il Polo, che fa quello che deve fare, che fa un'opposizione seria, costruttiva, leale con gli elettori e con il paese, un'opposizione che dice sempre le cose come stanno, per esempio - ed è vero, non è un elogio - che voi della maggioranza siete bravissimi ad occupare tutti i posti di potere: 1.936 nomine in 500 giorni (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia). State scientificamente occupando tutto il paese.
L'opposizione, allo stesso tempo, prende atto che siete la negazione dello sviluppo e dell'economia, e allora che fa? Fa le notti in Parlamento nella speranza di suggerirvi qualche ricetta. Quale ricetta? Per cominciare, meno tasse sull'impresa, sul lavoro, sugli utili da reinvestire. Se non l'avete ancora capito, meno tasse significa meno evasione; meno evasione significano più introiti per l'erario (ad aliquote giuste corrispondono contribuenti onesti); meno tasse significano anche più investimenti e più investimenti significano una maggiore competitività della nostra economia; una maggiore competitività significa più sviluppo e più occupazione; più sviluppo e più occupazione, ad aliquote giuste, significano maggiori entrate per l'erario. Questo è successo dovunque è stata seguita questa ricetta, nell'Inghilterra della signora Thatcher e nell'America del Presidente Reagan.
Maggiori entrate per l'erario significano maggiori possibilità di cambiare in meglio lo Stato sociale, che dovrà essere più equo e più amico, che non si dovrà occupare solo degli 800 mila dipendenti pubblici o degli 800 mila dipendenti della grande e media impresa, che non possono naturalmente mai essere licenziati, ma che pensi pure in eguale misura ai quasi 9 milioni di dipendenti di piccole e piccolissime imprese che invece rischiano di perdere il lavoro, soprattutto se le stesse sono costrette a chiudere.
Che pensi a chi prende di pensione soltanto 400 mila lire al mese, che è spesso l'unico introito della famiglia! Ma come si fa a vivere con 400 mila lire al mese? Il Governo, chiaramente, non può aumentare queste pensioni. Nega lo sviluppo, non fa le riforme; anzi, accetta i diktat di Bertinotti, prevedendo di abbassare a 35 ore l'orario di lavoro a parità di stipendio e di salario. Tutto questo che il Governo sta proponendo è un vero suicidio economico! Il conto, onorevoli colleghi, arriverà per tutti e quando questo accadrà non ci sarà possibilità di cambiare la situazione, anche quando si parlerà di quella solidarietà di cui questi signori della maggioranza si riempiono la bocca. La solidarietà vera, signori della maggioranza, si ottiene con più risorse. Questa è la ricetta di tutte le democrazie, di tutti gli Stati che vanno bene, che hanno molta meno disoccupazione di noi e che sviluppano il loro reddito nazionale tre volte il nostro: l'Inghilterra, ad esempio, ha uno sviluppo del 3,2 per cento. Nel 1996 noi ci siamo sviluppati dello 0,7 per cento; quest'anno non credo che raggiungeremo l'1 per cento.
Ricordo a questo Governo e a questa maggioranza che, quando il prodotto nazionale del paese si sviluppa sotto il 2 per cento, si perdono inesorabilmente posti di lavoro. Anche quest'anno, quindi, perderemo posti di lavoro!
Signori del Governo, non raccontate ai cittadini ciò che non corrisponde al vero.

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Signori del Governo, sospendete questo «Aventino» alla rovescia e abbandonate il «Capranica», luogo notoriamente di spettacolo, e tornate in Parlamento.
Signori della maggioranza, non entrate ed uscite dal Parlamento come si entra e si esce dalla porta di servizio.
Signori della maggioranza, abbiate rispetto per questa alta istituzione.
Signori della maggioranza, non fateci pensare che questo sia un brutto segno di regime (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Errigo. Ne ha facoltà.

DEMETRIO ERRIGO. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, sono un po' imbarazzato perché di solito non sono un «chiacchierone»; anzi, da filosofo della scienza e soprattutto da neurologo di robot, amo ascoltare e poi, magari con un po' di superbia, talvolta costruisco dei giudizi che subito, per mio timore o pudore innato o costruito, trattengo.
Vede, Presidente, la psicotronica è un'arte, paradossalmente tutta teorica, di ideare e simulare il «ciò che è» o, meglio, «ciò che sembra essere», paragonandolo costantemente ad un modello teorico del «dover essere» che, fortunatamente (ed insisto su questo termine), è solo ideale. Solitamente è un lavoro silenzioso, anche perché è un'arte particolare che incute appunto particolare rispetto da parte degli adepti.
Ecco perché questa notte sono un po' imbarazzato; ma lo sono anche per un altro motivo, magari assai ingenuo. Tra le varie cose che non ho studiato a fondo vi è il diritto costituzionale; quindi, il poco che so su questo tema, tuttora lo affido ad un ricordo non confuso ma certamente non esaustivo che mi deriva dalla educazione civica e da alcune letture di illuministi o preilluministi, e di alcuni altri. Però, anche se è passato molto tempo da allora, ricordo che la famosa distinzione dei ruoli e dei poteri mi ha sempre indotto la domanda sulla natura delle differenze sostanziali, al di là delle definizioni. Tanto per farle un esempio, così ci si capisce subito, io ho sempre pensato che fosse il Parlamento ad elaborare le leggi, soprattutto quelle di entrata e di spesa, stabilendone i criteri e che fosse poi compito del Governo indicare i modi ed i tempi della realizzazione, sullo spazio su cui insiste l'idea di Stato.
E tutto questo, in una visione strategica globale, quindi onnicomprensiva del futuro di una nazione, sotto la tutela della Costituzione che, per quanto stantia, è ancora quanto di meglio abbiamo, sotto la tutela della dottrina sociale della Chiesa, sotto la tutela di principi universali degni delle migliori democrazie, principi quali la libertà, l'uguaglianza, la fratellanza, l'equità e la tolleranza (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Il problema che mi sono sempre posto è stato quello di come poter realizzare un progetto che guarda avanti, non eliminando e neanche sottovalutando il fatto della necessità della gestione del potere, ma dando ad essa il vero significato di servizio. Il servizio che la classe politica e la burocrazia devono alla società civile che li ingloba e da cui essi derivano e che è la vera detentrice della sovranità. La società civile: il popolo, insomma; la gente comune e - perché no? - l'uomo qualunque.
Quando si cerca di ideare un sistema nervoso artificiale si cerca di copiare dalla natura e quindi dalla gente comune, che non rappresenta l'idealità ma la norma. Allora, per esempio, si scopre che la negazione di un concetto non è solo il concetto negato, ma anche l'insieme di tutti gli altri. Per esempio, l'opposto del concetto dell'atto di votare non è solo il concetto dell'atto di non votare, ma anche, per esempio, il concetto dell'atto di andare al mare; ed allora, il concetto di non votare ne diventa solo una conseguenza. Come a dire che, ad una tesi non corrisponde una sola antitesi ma un insieme, si spera numerabile, di antitesi.
E quindi, quante sintesi abbiamo?


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Ecco, per esempio, la gente comune ci insegna questo; e mi dispiace per il materialismo storico e per quello dialettico, ma è così!
E noi che siamo qui riuniti numerosi (si fa per dire!) e che dovremo portare avanti le istanze del popolo, ci troviamo invece a giocare con un veteromarxismo falsato alla base, non veritiero ed incapace, con il politichese ed il burocratichese e con le piccole bugie di un Governo - ahimé - nano, ma con il delirio di onnipotenza; un Governo che vive di alta finanza, di salotti, di giornali, di schiere di sindacalisti, di intellettuali e di opinionisti pronti comunque a calpestare il popolo in nome di ideali che fortunatamente almeno i robot - quelli che conosco io - non sono in grado di capire. I robot infatti sono ancora puri.
Insomma, è stato generato un sistema organizzato e coercitivo sul popolo, non solo su quello che lavora e che produce, ma su tutto: e questo sì che è grave! Un sistema basato sugli atti e sulle opinioni. Un sistema unidirezionato progressivo ed umiliante per gli spiriti nati liberi. Un sistema che alimenta l'odio di classe.
Ma perché chiamarle ancora classi? Questo termine è arcaico e riduttivo. Lo è anche perché pure i corpi dello Stato si stanno combattendo fra loro. Si tratta di un sistema che solo a parole ha rispetto del passato, l'anziano nel nostro presente, che solo a parole ha fiducia nel futuro, il giovane nel nostro presente, ma che nei fatti, nel presente, infanga fiscalmente ed in generale legislativamente, i diritti primi del popolo come la sanità, l'educazione e la sopravvivenza; ma soprattutto lo infanga in quello fondamentale che è il diritto alla felicità, con metodi ridicolmente dirigisti di infausta memoria, un sistema che ha trasformato uno Stato da entità astratta ad entità biologica, un sistema che alimenta l'istinto di sopravvivenza dei più forti. Marx a letto con Darwin: quale dolce connubio di fantascienza e di fantapolitica.
Io qui non vedo statisti, vedo politologi, vedo persone oneste, magari molte anche in buona fede, vedo buone intenzioni, ma non riesco a vedere futuro. E soprattutto, in queste condizioni di estrema difficoltà interpretativa, non riesco a vedere il nostro popolo in cammino.
E c'è ancora un'altra cosa. Vede, signor Presidente, la scienza ci ha insegnato che un sistema, cioè un insieme strutturato e quindi organizzato, può essere distrutto solo in due modi: o dall'esterno, ma rigorosamente dall'esterno, quindi senza alcun legame seppur remoto, o dall'interno. Le allora brigate rosse non ci sono riuscite, perché si erano sì poste all'esterno, ma di legami all'interno ne avevano e non erano neanche remoti. Diciamo che qualche terminale interno di quei legami c'è ancora, e magari anche ben posizionato. Ma l'esterno autentico è pericoloso, perché il vivere isolati porta inevitabilmente a costruirsi idealità avulse dalla società. Rimane l'interno, a mo' di cancro.
L'opposizione è tuttora ben radicata nell'interno del sistema e quindi dà molto fastidio. Da fastidio anche se non parla ma chiede solo che vengano seguite le regole. Dà fastidio se parla, e da allora la maggioranza vuole andare a piangere fuori ovvero cerca di barare, vedi i «pianisti» sul voto sugli ordini del giorno ed altre simpatiche quisquilie.
La maggioranza sa che non può asportarla chirurgicamente, anche se ci prova, vedi certa magistratura; allora ha pensato di costruire o di sfruttare anticorpi a fianco di quelle organizzazioni che ci supportano, vedi un mondo definito produttivo e certa informazione. Ma soprattutto creando un sistema antibiotico inserendo dappertutto uomini propri per gli anni presenti e futuri.
La prevenzione, la costituzione di un nuovo ordine, disordinatamente instabile. Ma se questo, al limite, è comprensibile, non sono giustificabili qualità negative quali la superbia, la supponenza, l'animata verbosità, l'arroganza, la preveggenza e il processo alle intenzioni come nel caso dell'ultimo ameno ricorso alla fiducia. Se assieme a tutte questa qualità e alla malcelata furbizia e alla distribuzione di privilegi ci fosse anche l'intelligenza

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politica, direi che allora saremmo proprio vicini ad un comportamento individuale e collettivo che potrebbe sfiorare il codice penale.
Signor Presidente, io non per natura ma per mia cultura non sono solito andare spesso oltre i limiti che mi vengono fissati o che mi fisso. Per quanto è possibile, cioè, cerco di non barare, soprattutto nei soliloqui come questo. Desidero solo che l'Assemblea venga informata che, come ho votato a favore degli ordini del giorno dell'opposizione, mi opporrò anche alla manovra sull'IVA per tutti i motivi che le ho addotto e per molti altri che se avrà pazienza un'altra volta le esporrò.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maiolo. Ne ha facoltà.

TIZIANA MAIOLO. Presidente e signori deputati, prima di dichiarare il mio voto contrario al decreto che stiamo discutendo (che oggi è un voto quanto mai politico, direi che è qualcosa di più di un voto contro la conversione di un decreto-legge, oggi diventa un vero e proprio pollice verso, una vera sfiducia contro questo Governo), prima di dichiarare il mio voto e i motivi che lo sostengono, devo concludere un discorso che mi è stato interrotto nel mio intervento di due giorni fa dal Presidente di turno, onorevole Acquarone, che mi ha tolto improvvisamente la parola e subito dopo si è trasformato in un pentito, facendo una chiamata di correità nei confronti di un commesso, come se i commessi potessero autonomamente togliere la parola ai deputati. Quindi, assolvo il commesso e punto il dito contro il Presidente.
Dicevo che stavo concludendo e mi mancava una sola parola, ed era la parola «debolezza». Stavo dicendo che questo Governo mostra ogni giorno di più la sua debolezza, perché è debole un Governo che ha bisogno continuamente di ricorrere allo strumento del decreto-legge e quindi dichiara di essere in emergenza permanente; è debole un Governo che, una volta emanati i propri decreti, non è in grado di farli convertire in legge, e quindi ha bisogno di ricorrere alla questione di fiducia per vederli convertiti. Anche questo vuol dire essere in emergenza permanente: qui non c'è più nulla di fisiologico, siamo alla patologia permanente.
È debole un Governo il cui Presidente del Consiglio ha fatto una campagna elettorale su e giù per l'Italia con un pullman, dicendo continuamente che mai avrebbe aumentato la pressione fiscale, e quando è stato nominato Presidente del Consiglio ha assunto un impegno formale. Qui non siamo di fronte soltanto ad un Pinocchio, siamo di fronte ad una persona che ha promesso sul suo onore e che ha disatteso questa parola d'onore.
È debole un Governo che ha bisogno continuo di ricorrere alle tasse e che si manifesta sempre di più come il Governo della disoccupazione, che non a caso è aumentata, e purtroppo anche della repressione, e questo forse i cittadini non se lo aspettavano, perché fa parte delle tante leggende il fatto che la sinistra sia di per sé più democratica, meno repressiva, anzi quella che solitamente ha combattuto contro la repressione. Io sono cresciuta sentendo parlare del ministro Scelba e del Governo Tambroni, e dei ragazzi con le magliette a strisce che scesero in piazza a Genova. Mi pare che abbiamo superato anche quei limiti. Questo Governo debolissimo ha bisogno di menare le mani per far vedere che esiste e per governare le piazze. Eppure, avevo l'impressione, cari colleghi della sinistra, che le piazze a voi piacessero moltissimo, soprattutto quando si trattava di riempire i pullman di poveri pensionati, di dar loro in mano quella che a Milano si chiama la schiscetta, cioè la merenda, di mandarli a protestare davanti a palazzo Chigi contro il Governo Berlusconi. Allora le piazze piacevano moltissimo, perché era molto utile riempirle contro il Governo avverso. Adesso, invece, c'è l'abitudine opposta: le piazze vanno riempite - e qui mi sembra di vedere un Governo peronista - di persone che devono manifestare a favore del Governo e osannare il suo leader.


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Vorrei ricordare, visto che avete tanto manifestato contro la brevissima stagione del Governo Berlusconi, che il ministro dell'interno dell'epoca, onorevole Maroni, non ha mai mandato la sua polizia nelle piazze a picchiare nessuno. E quello a cui abbiamo assistito in questi giorni è qualcosa di più che scandaloso, è qualcosa di veramente preoccupante, perché in piazza sono andati dei lavoratori, ma poiché non sono iscritti alla CGIL-CISL-UIL, inquadrati in qualche fabbrica, allora non sono lavoratori, sono fascisti, sono persone da picchiare. Addirittura, un poliziotto è stato visto - ma forse più di uno - mentre puntava la pistola ed è stata picchiata una bambina. Tutto questo è legittimo.
Inoltre, i manifestanti subiscono l'offesa - perché è veramente offensivo - di sentire che l'onorevole D'Alema, leader del maggior partito che sostiene il Governo, afferma, ovviamente in un comizio elettorale (per chi ha fatto del togliattismo la propria ragione di vita le verità e i linguaggi sono sempre due, per cui in campagna elettorale si dice ciò che non si direbbe mai altrove e soprattutto quello che poi non si fa), che la polizia non doveva caricare. Ma allora, onorevole D'Alema, ci deve dire se toglie la fiducia al ministro dell'interno del Governo che sta sostenendo. Non sarà molto contento il ministro Napolitano di leggere le dichiarazioni dell'onorevole D'Alema, che naturalmente i giornali lacchè del regime hanno piazzato già a nove colonne.
Dicevo che è un Governo debole, perché ha bisogno di menare le mani per governare le sue piazze, un Governo che non sa affrontare la conflittualità sociale. Eppure, ricordo di aver studiato che la conflittualità sociale è il sale della democrazia, che non esiste società libera, che non esiste società liberale, non esiste società democratica che non abbia al suo interno la conflittualità. Soltanto le società totali, quindi quelle dei paesi totalitari o anche non totalitari ma di qualche regione rossa, comprendono nel proprio ventre anche la conflittualità.
Questo Governo è debole perché non tollera neppure che le minoranze diventino opposizione. Per questo Governo, per questa maggioranza, le minoranze sono minoranze e non opposizione, mentre tutti comprendono che i due concetti sono molto diversi. Quindi, dà fastidio anche quello che stiamo compiendo in quest'aula. Infatti, aleggia insofferenza, nervosismo, e troppo spesso vi è una conduzione autoritaria dell'Assemblea e ciò non è tollerabile. Ovviamente, chi è aduso allo sberleffo, al sarcasmo perché non ha l'intelligenza di usare l'ironia - anche qui i due concetti sono molto diversi - ci ha irriso fino all'altro giorno perché eravamo deboli, perché eravamo minoranza e non sapevamo farci opposizione. Quando poi diventiamo opposizione, allora siamo estremisti, facciamo ostruzionismo, l'Aventino. Guardate, signori della maggioranza, noi non abbiamo bisogno di queste lezioni, fate il vostro dovere di maggioranza ed i governanti facciano il loro dovere di governanti forti, perché il paese chiede un Governo autorevole e non debole com'è il Governo Prodi. Dunque, invece di dare lezioncine all'opposizione, cercate di fare il vostro dovere.
Ed allora, anche se con un po' di anticipo, faccio alcuni auguri di buon Natale: buon Natale a tutti i tartassati d'Italia, a quelli che si vedono aumentare l'IVA e poi leggono sui giornali che si tratta di una semplice regolamentazione, di un aggiustamento; a tutti gli artigiani, ai commercianti, ai piccoli e medi imprenditori che sono la spina dorsale del paese e che la sinistra troppo spesso con disprezzo chiama «bottegai» o «padroncini» e che massacra prima con l'eurotassa poi con l'IVA, con l'IRAP e via dicendo sempre per sigle; a tutti gli imprenditori che oggi sono incentivati ad investire altrove, perché con questo sistema fiscale vedono diminuire la loro capacità produttiva; ai produttori di latte che non riescono ad incassare il loro credito e che vengono manganellati ed insultati; ai lavoratori dipendenti, ai quali viene nascosto il fatto che l'occupazione è

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diminuita; ai giovani ed ai disoccupati che saranno senza lavoro e senza pensione.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Maiolo.

TIZIANA MAIOLO. Ho concluso, signor Presidente, un secondo solo. La prego di non fare come il Presidente Acquarone.
Buon Natale agli studenti che protestano contro il ministro Berlinguer ed a tutti i tartassati d'Italia, ai quali prometto che saremo cattivissimi. Al Governo do un solo consiglio: portate i libri in tribunale (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zaccheo. Ne ha facoltà.

VINCENZO ZACCHEO. Signor Presidente, colleghi parlamentari, signor dormiente rappresentante del Governo...

PIERLUIGI CASTELLANI, Sottosegretario di Stato per le finanze. Non dormo, sono sveglio!

VINCENZO ZACCHEO. ...la situazione che la collega Maiolo ha rappresentato non è certamente delle migliori. È una situazione apocalittica e quindi, cara collega Maiolo, non devi fare gli auguri per il prossimo Natale, ma devi augurare un buon 2 novembre al popolo italiano.
Vorrei ora entrare nel merito del decreto-legge perché, come ho cercato di chiarire nell'intervento che ho svolto per motivare il mio voto a favore degli ordini del giorno presentati dai colleghi dell'opposizione, il provvedimento su cui dobbiamo esprimere il voto non realizza affatto - a differenza di quanto era stato annunciato - un'armonizzazione del sistema fiscale con quello di altri paesi dell'Unione europea. Esso invece inasprisce il prelievo fiscale e rende ancora più vessatori gli adempimenti ai quali i produttori sono costretti. Già questa sarebbe una ragione sufficiente per un deputato eletto in una zona caratterizzata da un'economia fondata sulle attività agricole e su imprese artigiane e commerciali di piccole dimensioni, per avversare con vigore un provvedimento che mortifica l'imprenditoria minore, premia il commercio clandestino e punisce quello in regola con la legge e con il fisco. Dunque, basterebbe prendere in considerazione gli effetti negativi che il provvedimento arreca agli agricoltori - ai quali va tutta la mia solidarietà per la sacrosanta battaglia di tutela dei propri diritti che stanno conducendo - agli artigiani, ai commercianti, ai piccoli imprenditori specie del settore edile, agli operatori del settore turistico ed ai pubblici esercenti per giustificare la mia avversione al decreto.
Abbiamo tentato invano di far ragionare il Governo ed una maggioranza arrogante, sordi alle esigenze di chi lavora e produce a proprio rischio, anzi rischiando, oltre alle proprie risorse, anche il futuro delle proprie famiglie. Ma il Governo si è sottratto al confronto.
Il provvedimento in esame colpisce il ceto medio, quel ceto produttivo che è l'asse portante dell'economia nazionale. Tale ceto produttivo è reo, secondo l'Ulivo, di non essere asservito allo strisciante sistema neobolscevico. Il provvedimento colpisce gli agonizzanti enti locali che, già in «profondo rosso», rischiano il collasso finanziario. Ma, cosa più grave, esso colpisce le fasce sociali più deboli; per esempio colpisce la terza età, tant'è che non è stato accolto l'ordine del giorno n.9/4297/42 che impegnava il Governo ad emanare un provvedimento volto a far rientrare le prestazioni dei servizi relativi al trasporto di persone di età superiore ai sessantacinque anni tra quelle esenti dall'IVA.
L'unica sensibilità, se così si può dire, mostrata dal Governo, si è manifestata nei confronti dei portatori di handicap. Infatti, è stato accolto l'ordine del giorno n.9/4297/41 a firma dei deputati Marengo, Carlo Pace, Giovanni Pace, Antonio Pepe, Giorgetti, Berselli e Contento.
Ebbene, colleghi parlamentari dell'Ulivo, dov'è andata a finire quell'anima solidale che avete strombazzato in campagna


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elettorale e che è naufragata miseramente con l'adozione di questo decreto-legge? Quale difesa state effettuando nei confronti delle fasce sociali più deboli?
Questo provvedimento non va incontro alla gravissima emergenza del sud, cioè l'occupazione. Ma assai grave, in questi giorni, è stato il tentativo di strumentalizzare una seria opposizione indicandola come lesiva delle istituzioni democratiche. In poche parole, i rappresentanti del Governo e dell'Ulivo ambirebbero ad una minoranza imbavagliata, così com'è nel loro sistema naturale alla Ceausescu. Si è cercato addirittura di intimorire l'opposizione, che svolgeva in aula il suo ruolo istituzionale, tentando di organizzare una manifestazione - poi annullata - in un teatro adiacente la Camera. Ebbene, onorevoli colleghi, questo è un segnale allarmante e sono preoccupato pensando al momento in cui in Parlamento si svolgerà la battaglia di opposizione ai futuri provvedimenti finanziari che il Governo dovrà presentare. Ho infatti il timore che il Parlamento possa essere circondato dai carri armati. Non credo di fare affermazioni sopra le righe; intendo, tuttavia, contenere il mio intervento nell'ambito della materia in discussione, svolgendo una riflessione. Se ai guasti, che l'aumento dell'IVA arreca alle attività produttive ed all'occupazione, si aggiunge il fatto che con ciò si tolgono soldi alle famiglie, si riduce la loro capacità di acquisto, si assottigliano i già magri bilanci di tante famiglie, non si riesce a comprendere come una coalizione di Governo, che si era presentata agli elettori promettendo equità e richiamandosi all'armonizzazione ed all'armonia, possa avere il coraggio di muoverci accuse di ostruzionismo, senza sentire il dovere di confessare la sua inadeguatezza e le sue colpe. Gli eccessivi sacrifici che i nostri cittadini sostengono rischiano di portare in Europa un corpo sociale in coma, non in grado di rimanerci né di avvalersi delle possibilità di lavoro e di prosperità che la realizzazione dell'unione economica dovrebbe riservarci.
Per questi motivi dichiaro il mio voto contrario alla conversione del decreto-legge in esame.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Martini. Ne ha facoltà.

LUIGI MARTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono anch'io mio malgrado costretto ad un'ora così insolita del mattino ad annoiarvi per illustrare questo decreto che modifica le aliquote IVA e che suscita almeno quattro ordini di critiche.
La prima riguarda la scelta che è stata fatta tra le varie alternative possibili. Pregevoli studi mostrano che si sarebbero potute esercitare varie opzioni. Non posso scendere nel dettaglio per motivi di tempo, ma una prima possibilità poteva consistere nel semplice adeguamento alla direttiva europea, il che avrebbe generato un gettito fiscale aggiuntivo di 4.000 mila miliardi, con un aumento dell'indice dei prezzi solo dello 0,45 per cento.
Una seconda possibilità avrebbe potuto avere come obiettivo quello di annullare qualsiasi impatto inflazionistico. In questo caso si sarebbe ottenuto un aumento del gettito pari a 2.900 miliardi, il tutto senza inflazione.
La terza possibilità è quella purtroppo seguita dal Governo. Essa ottiene un gettito fiscale ancora più alto delle precedenti (circa 6.000 miliardi), naturalmente con un impatto inflazionistico a sua volta più alto. Non a caso il Governo ha scelto questa terza possibilità. Il nostro, infatti, è un esecutivo vorace che antepone l'aumento del prelievo fiscale ad ogni altra considerazione, ma gli effetti macroeconomici di questa opzione scelta dal Governo sono molto preoccupanti. Al riguardo il Governo prevede un aumento dell'inflazione relativamente contenuto. Secondo le nostre valutazioni, invece questa manovra IVA, aggiungendosi al trend, potrebbe spingere l'inflazione nel 1998 ad oltre il 3 per cento, creando non pochi problemi di compatibilità con il resto dell'Europa.
Inoltre non è facile valutare l'impatto sulla domanda dei beni in termini reali.


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Sta di fatto che i rincari si registreranno proprio nei settori che hanno più sofferto della recente evoluzione congiunturale. Dunque, è probabile che l'aumento dei prezzi potrebbe riflettersi negativamente sulle quantità domandate dei beni e, quindi, sullo stesso sviluppo dell'economia.
La seconda valutazione negativa è correlata alla prima. Avremmo avuto maggiori margini di tempo per adeguarci alle direttive comunitarie ed invece avete anticipato i tempi realizzando l'adeguamento in un momento molto critico per la nostra economia. Perché l'avete fatto? La risposta è un'altra volta quella di assicurarvi altre entrate fiscali. Questo significa che l'adeguamento del bilancio pubblico al Trattato di Maastricht vi è apparso tuttora incerto e che comunque ad esso vengono sacrificate le prospettive di sviluppo e di stabilità monetaria della nostra economia.
La terza considerazione critica riguarda gli effetti sociali del vostro provvedimento. Avete detto che vi siete proposti di salvaguardare i consumi di natura prioritaria, ma avete colpito tra l'altro l'abbigliamento e le calzature; inoltre, con quei settori avete colpito produzioni che nel Mezzogiorno svolgono tuttora un ruolo importante in un panorama industriale già di per sé non certo rassicurante.
La quarta considerazione è che i 5.700 miliardi di maggior gettito si realizzeranno nel 1998, ma altri 1.900 miliardi dovrebbero conseguirsi nel 1997. Non è detto che queste previsioni si concretizzino. L'eventualità è incerta dati i contraccolpi negativi che si potrebbero avere sulla domanda e che ho già richiamato. Ammesso però che le previsioni si realizzino, il conto che avete preparato per le famiglie italiane è di 7.600 miliardi, quasi 400 mila lire per ogni famiglia. Un terzo di questo onere riguarderà l'abbigliamento e le calzature, un settore che dal 1992 ha già registrato una contrazione del 6,4 per cento. In altre parole, le imprese si troveranno di fronte ad una scelta di questo tipo: o tentare di trasferire sui prezzi l'intero incremento dell'IVA, con il rischio di registrare un'ulteriore flessione della domanda, o ridurre i prezzi dell'IVA, cioè contrarre i margini. Ecco la condizione alla quale l'impatto inflazionistico sarà più contenuto. In entrambi i casi, però, la produzione ne risentirà negativamente: in un caso, nell'immediato, data la minore domanda; nell'altro caso, nel medio periodo, dato che i minori margini significheranno minori investimenti e meno posti di lavoro. Poiché l'aumento dell'IVA già in atto non sembra essersi integralmente manifestato sui prezzi, è questo ciò che si sta verificando.
Questo insieme di effetti negativi mette in ancor maggior risalto l'errore di aver scelto tra le varie alternative possibili quella peggiore sotto il profilo sia della stabilità dei prezzi che dell'economia reale. La verità, dunque, sta nel fatto che il Governo ha problemi di cassa e vuole risolverli inseguendo le spese con l'aumento delle entrate fiscali, comunque individuabili. Il problema è che i 1.500 miliardi che si ricaveranno o che si intende ricavare da queste nuove entrate soltanto per l'ultimo trimestre del 1997 servono per tentare di raggiungere i 550 mila miliardi di entrate previste nel 1997. Siamo in deficit rispetto a questa previsione, se è vero che al 30 settembre le entrate realizzate sono state soltanto 370 mila miliardi.
Il Governo sostiene che nell'ultimo trimestre di quest'anno riuscirà ad incassare i 180 mila miliardi che mancano per garantire l'intero gettito previsto, ma su questo abbiamo forti perplessità, perché sappiamo che la media del gettito tributario è di 30-35 miliardi al mese, né è pensabile che l'incremento fisiologico che si realizza in dicembre garantisca da solo 100 mila miliardi. Altro, quindi, che armonia tra imposizione diretta ed indiretta. Rincorriamo le carenze di previsione con l'aumento delle imposte e certamente non è questa la filosofia dell'armonizzazione.
Ci è stata mossa anche l'accusa di non voler entrare in Europa affossando questo decreto. È vero, non vogliamo entrare in Europa con un paese morto, in cui tutti i cittadini perbene, che hanno voglia di

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lavorare siano già scappati in altri paesi, né vogliamo che il nostro paese risulti desertificato in termini produttivi come già avviene da due o tre anni. Chi ha occhi per vedere può constatare infatti che nell'area produttiva del nostro paese stanno già delocalizzando le loro fabbriche. A maggior ragione in futuro tutti gli imprenditori troveranno altre sedi amministrative in paesi europei in cui le aliquote fiscali siano meno oppressive. Pertanto, il nostro diventerà un paese legato unicamente al consumo; un paese in cui probabilmente anche la libertà già così incrinata potrà venire ulteriormente meno.
Quella che stiamo conducendo è una battaglia di libertà che stiamo combattendo per consentire a tutti i cittadini che vogliono continuare ad intraprendere liberamente ed individualmente in questa società delle attività produttive possano continuare a farlo. Ci pare che oggi ciò possa avvenire solo se si accetta di accorrere attorno al tavolo dei potenti, di raccogliere qualche briciola avanzata da quel tavolo e di entrare in quel sistema di cooperative economiche nella speranza che a queste arrivi qualcosa.
Ciò è facilmente dimostrabile proprio se si prendono in considerazione alcuni dei provvedimenti del Governo negli ultimi due anni come la linea telefonica 117, uno strumento per gli spioni ed i delatori istituito contro coloro che vogliono intraprendere delle attività produttive, che vengono spiati e sui quali vengono diffuse notizie spesso false e tendenziose: l'IRAP ed il redditometro.
Vogliamo anche dare libertà e prospettive a chi spera di entrare nel mondo del lavoro. Infatti, non si entra in quel mondo con delle carte o con dei decreti. Non è con la formalizzazione di un ente dello Stato che si creano posti di lavoro. Non è lo Stato che deve impiegare i nuovi posti di lavoro.
Vogliamo libertà per un paese in cui ci siano ancora prospettive di benessere ed in cui ci sia capacità competitiva in un mercato veramente paritario.
È per questi motivi che voterò contro il decreto-legge.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giudice. Ne ha facoltà.

GASPARE GIUDICE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, certamente se c'è un modo per non risanare i conti dello Stato è proprio il decreto sull'IVA, che rappresenta certo una componente caratterizzante della manovra della finanza pubblica per il 1998.
Questo Governo, nonostante i gravi segnali che vengono dal Mezzogiorno ed in particolare dalla Sicilia, dove la disoccupazione ha raggiunto limiti insopportabili, insiste nel percorrere fino alle estreme conseguenze la strada dell'aumento della pressione fiscale, essendo ormai chiara a tutti la sua incapacità di contenere in misura permanente e significativa la dinamica della spesa pubblica.
Forza Italia chiede da sempre interventi strutturali di razionalizzazione della spesa pubblica e non i soliti, semplici palliativi.
Questo Governo non ha voluto operare le necessarie modifiche strutturali nel perseguire l'obiettivo del risanamento della finanza pubblica. Questo Governo ha voluto, ancora una volta, assicurare solo nuove entrate, certe ed indispensabili per garantire la presenza del paese sul palcoscenico dell'Europa attraverso un costante e più che mai deleterio inasprimento della pressione fiscale.
Ma se è vero ed auspicabile che riusciremo ad entrare in Europa con questi provvedimenti, riusciremo anche a restarci? Se sì, per quanto tempo?
La direttiva CEE 77/92 aveva disposto l'avvicinamento delle aliquote previste nei diversi paesi in maniera tale da ridurre le stesse a tre soltanto: una ordinaria e due ridotte. Vi era, naturalmente, la possibilità di mantenere un regime diverso sino al 1998 in relazione alle norme transitorie di cui all'articolo 1, perciò non vi sarebbe stata assolutamente nessuna necessità, cari colleghi, di un intervento in materia


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di aliquote IVA. Evidentemente, se lo si è fatto, il Governo Prodi si è accorto di aver sbagliato i conti e, come al solito, continua a spremere gli italiani.
Colleghi, la cosa più grave è che i provvedimenti di cui stiamo discutendo, così come quella follia che si chiama IRAP, colpiscono soprattutto settori che in Sicilia sono trainanti per l'economia. Bene ha fatto il presidente della regione siciliana, forte dei poteri dello statuto speciale della Sicilia, a fare un ricorso alla Corte costituzionale contro questa tassa che i siciliani non applicheranno se avranno ragione.
Si colpiscono in maniera forte le regioni meridionali. Questo provvedimento attua un aumento della pressione fiscale in barba alle direttive comunitarie che suggeriscono, invece, un livellamento ed un abbassamento delle aliquote.
Il meridione, e in particolare la Sicilia, vive di agricoltura, di piccolo commercio, di artigianato, di piccola e media industria: settori che costituiscono l'asse portante residuo di una economia già in grandissima sofferenza. Il Governo delle sinistre con questo ulteriore provvedimento sta affondando una Sicilia che stentatamente stava riprendendosi.
Poi, signori colleghi, è importante essere chiari. Non crediate che la gente non comprenda: non si può, con la scusa di dover riordinare le aliquote IVA ed il loro allineamento alle aliquote europee, nascondere un'ulteriore manovra finanziaria per produrre un aumento complessivo della pressione fiscale di ben 5.100 miliardi all'anno.
E non appena noi tentiamo di esercitare correttamente, concretamente e costruttivamente il nostro diritto all'opposizione, giù con la mannaia della fiducia! Credo sia stata richiesta forse per mantenere la media mensile: non credo vi fossero altri legittimi motivi per farlo. Gli emendamenti si sarebbero potuti trattare: d'altra parte l'assenteismo dei parlamentari della maggioranza, impegnati in campagna elettorale, era sostanzialmente compensato dalla presenza dei parlamentari dell'opposizione, che responsabilmente continuavano a garantire il numero legale. Eppure non lo si è fatto e si è ritenuto di dover soffocare il corretto dibattito democratico. Perché?
Io credo, cari colleghi, che la motivazione non sia il timore che il provvedimento potesse decadere. Credo invece che si volesse evitare che noi dell'opposizione esponessimo le nostre ragioni critiche all'opinione pubblica. Credo si sia voluto evitare che attraverso i nostri emendamenti si tutelassero le categorie maggiormente colpite da questo vostro provvedimento: come ho detto, le piccole e medie imprese, gli agricoltori ed i commercianti.
Il Governo dell'Ulivo sta tutelando gli interessi dei grandi gruppi finanziari di questo paese, in stretta collaborazione, peraltro, con le forze sindacali tradizionali della triplice (la CISL, la CGIL e la UIL): ma in questo paese, come in nessuna parte del mondo era mai capitato che le forze sindacali abbiano curato gli interessi di un Governo ottuso con i bisogni del paese e della gente. Una forza sindacale che si rispetti non dovrebbe occuparsi solamente di chi lavora, dovrebbe anche e con maggiore spinta occuparsi di chi non lavora e di chi presto non lavorerà grazie alla grande politica dell'Ulivo, che vuole ad ogni costo portarci in un'Europa dove difficilmente potremo rimanere.
Presidente, cari colleghi, purtroppo il più grosso sindacato in Sicilia è il sindacato dei disoccupati, i cui interessi oggi sono difesi solo da noi del Polo per le libertà.
In occasione della campagna elettorale che si sta svolgendo in Sicilia, i sindaci dell'Ulivo - Bianco a Catania e Orlando a Palermo - vanno avanti con dispendiosi cocktail nei palazzi gentilizi delle due grandi città, incontrando quei poteri economici che tanti affari hanno fatto con la prima Repubblica, mentre i candidati del Polo - Miccichè a Palermo e Paolone a Catania - con vera passione politica camminano nei quartieri popolari tra la gente, tra i bisogni della gente.
Quante cose sono cambiate, quante ne cambieranno ancora! Ma la gente sta

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cominciando a comprendere da quale parte sta la verità. Gli agricoltori, i commercianti, i titolari di piccole imprese, i disoccupati, i settori più deboli del nostro paese stanno cominciano a capire. I giovani disoccupati, vero, grande potenziale della nostra società, hanno compreso da che parte sta la verità: basta guardare con attenzione le promesse fatte in campagna elettorale dall'onorevole Prodi e dall'Ulivo, vedere i risultati e tirare le somme.
In ultimo, signor Presidente, vorrei comprendere quanto gli italiani debbano ancora pagare per andare in Europa: prima la tassa - o, meglio, la tangente - per l'Europa, ora la demagogica affermazione che il Polo con la sua posizione sta strappando il passaporto per l'Europa. Cosa significa? In quest'aula da un po' di tempo tutto ciò che fa la maggioranza è per andare in Europa e tutto ciò che fa l'opposizione è perché in Europa non vuole andare. Credete forse che gli italiani siano stupidi o disattenti? No, cari colleghi della maggioranza, non è assolutamente così. La verità è che gli italiani non vogliono andare in Europa attraverso trucchi o artifizi contabili.
Come giustamente ha detto l'onorevole Marzano nella sua dichiarazione di voto martedì, non è così che gli italiani guardano l'Europa: essi la considerano un'opportunità di sviluppo, di occupazione e di benessere. Voi l'avete trasformata in una falsa occasione di sfruttamento fiscale, di impoverimento e di disoccupazione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nan. Ne ha facoltà.

ENRICO NAN. Presidente, onorevoli colleghi, nonostante il Governo abbia cercato con acrobazie tecnico-giuridiche di spiegare agli italiani che questo provvedimento si inserisce nel quadro di una legislazione europea e non comporta un aumento delle imposte, credo che nessuno questa volta l'abbia bevuta.
È da ormai un paio d'anni, dal Governo Dini in poi, che ci vengono dette certe cose ma poi i risultati sono diversi. Credo che ormai il cittadino abbia aperto gli occhi e abbia capito che troppo spesso, così come è avvenuto con il provvedimento in esame, il Governo dice delle cose e poi ne fa delle altre.
Credo allora che veramente questa sia un'occasione per fare il punto della situazione sotto il profilo politico. Lascia perplessi lo sdegno che si è manifestato in più occasioni sfruttando i mass media, i giornali, le televisioni, in relazione, una volta tanto, all'apertura di un legittimo e democratico dibattito che la minoranza ha preteso ed ha finalmente portato in quest'aula. Non ci si è rassegnati fino ad oggi sulle trenta deleghe; il Governo non disdegna di predisporre provvedimenti che con le deleghe e le richieste di fiducia esautorano il dibattito parlamentare. Credo che oggi, con questo provvedimento, si sia raggiunta quella punta dell'iceberg che consente di fare il punto della situazione sotto il profilo tecnico-giuridico e sotto quello politico.
Ci troviamo in sostanza all'epilogo di una serie di bugie elettorali che si sono di fatto concretizzate in provvedimenti che vanno in una direzione diversa da quella che era stata promessa, una direzione politica certamente non liberale, accentratrice, statalista, che non risolve i problemi dello sviluppo ma impoverisce il portafoglio dei cittadini. Siamo di fronte ad una serie di provvedimenti in cui si dicono alcune cose e se ne fanno delle altre. Per quanto riguarda la scuola, per esempio, si parla di parità tra scuola pubblica e privata; sappiamo invece che la scuola privata è stata sempre più prevaricata. Si parla di una legge che regola l'immigrazione in Italia, ma sappiamo che ben difficilmente poteva essere concepita una legge così contraria ai principi europei. Si parla di una legge Bassanini che va nella direzione del federalismo, ma sappiamo bene che i problemi del federalismo sono tutt'altra cosa, perché investono l'imposizione fiscale a livello locale senza lasciare quella centralizzata, come invece accade.
Ora viene predisposto un provvedimento che si muove ancora nella direzione di un aumento fiscale. Si tratta,


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come dicevo, di un disegno ben preciso, che rientra in una logica politica marcatamente di sinistra. Dini ha iniziato ad aumentare le imposte dirette; la finanziaria dello scorso anno ha aumentato ulteriormente le imposte, quest'anno abbiamo l'IRAP ed ora l'IVA, che rappresenta un meccanismo iniquo di aumento delle imposte fiscali che grava soprattutto sul ceto medio. L'IVA è un provvedimento iniquo dal punto di vista sia formale sia sostanziale.
È iniquo dal punto di vista formale per il metodo con cui si è proceduto: un decreto che improvvisamente ribalta le procedure fiscali che tutti i commercianti, gli artigiani ed i professionisti devono affrontare quotidianamente. Ma è un provvedimento iniquo anche dal punto di vista del contenuto, perché colpisce soprattutto i ceti medi, la classe più produttiva in Italia, cioè quei privati che non possono scaricare l'IVA. Si tratta di un provvedimento che sicuramente non colpisce le grandi fabbriche come la FIAT né i grandi interessi bancari; esso non va certamente contro la volontà dei sindacati, ma colpisce soprattutto i lavoratori autonomi, quei commercianti, quegli artigiani, quei liberi professionisti che oggi sono quelli che lavorano di più. È ora di finirla col dire che solo le tute blu lavorano! Chi rischia in proprio, oggi, sono in misura maggiore i lavoratori autonomi.
Il Governo, ormai succube di rifondazione comunista, ha calato un ulteriore velo, ha dimostrato ancora una volta che non ha interesse a tutelare i nostri cittadini che, per esempio, nel mondo dell'agricoltura sono già da troppo tempo penalizzati in Europa con le quote latte, con una iniqua tassa sul gasolio che li rende non competitivi rispetto agli altri paesi europei. Viene aumentata l'IVA e così si colpisce ulteriormente un settore, quello del mondo agricolo, che avrebbe dovuto essere tutelato più degli altri.
La risposta data da Massimo D'Alema alla Coldiretti è che il problema va affrontato a livello di Governo e che egli ha chiesto di aprire un tavolo delle trattative. Questo atteggiamento è quello di manifestare contro se stessi, di fare delle politiche di facciata e poi, dal punto di vista concreto, seguire strade e logiche diverse. Siamo di fronte ormai alla logica dell'aumento indiscriminato dell'imposizione fiscale. La prossima legge finanziaria andrà addirittura a colpire maggiormente i contratti di locazione, danneggiando quindi i proprietari, gli inquilini, il turismo, il commercio. Provvedimenti come quello che aggrava il costo dei contratti di locazione sono certamente contrari alla logica dello sviluppo. Mi auguro che su questo punto vi sia un ripensamento da parte del Governo.
Il fatto più negativo che si registra con questo provvedimento è che, aumentando l'IVA, che non viene scaricata dai privati, si va nella direzione dell'aumento dell'inflazione. È ovvio infatti che il professionista, che può aumentare le parcelle, sarà costretto, per sopperire ad un maggior costo dell'IVA, ad aumentare le proprie prestazioni professionali, con una conseguente ricaduta sull'utente e sull'inflazione, nonché con un aumento dei costi. A fronte di questo, il Governo risponde affermando che, se non si approverà il provvedimento in esame, non entreremo in Europa, come se, per entrare in Europa, l'unico stratagemma fosse quello di far pagare l'eurotassa ai cittadini e di far gravare su di essi il maggiore costo dell'IVA.
Dico a questo Governo: un po' di fantasia per entrare in Europa! Chi non sarebbe capace di trovare una soluzione economica che fa gravare le imposte sul portafoglio dei cittadini?

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Baccini. Ne ha facoltà.

MARIO BACCINI. Signor Presidente, ho aspettato con grande passione di intervenire in questo dibattito perché è molto particolare. Credo sia un primato per un parlamentare della Repubblica riuscire a parlare alle 5,25 di mattina per testimoniare l'acredine nei confronti di questo Governo e di questa maggioranza,


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che non sono in grado di governare il paese e di gestire i problemi che essi stessi stanno aprendo.
Ci siamo avvicinati alla stagione delle riforme, abbiamo visto con quanta attenzione si è tentato di dimostrare che le riforme potevano essere la soluzione, ma abbiamo scoperto che anche quello è stato solo il palcoscenico per la pubblicità di qualche politico più o meno di rango di questo Parlamento. Alla luce di queste considerazioni e dell'atteggiamento del Governo che intende impedire all'opposizione di intervenire sui provvedimenti per migliorarli, soprattutto nel caso di inasprimenti fiscali, il gruppo del centro cristiano democratico vuole testimoniare la propria ferma difesa di quei valori che riteniamo essere il fondamento di una Repubblica democratica. Proprio perché queste fondamenta vengono minate da un simile atteggiamento questa mattina, assieme agli altri colleghi dei gruppi del Polo, vogliamo alzare la bandiera della protesta, una protesta vibrata, una protesta forte che si unisce a quelle di queste ore degli allevatori, dei produttori di latte, degli studenti, di tutti coloro che non si ritrovano in una cultura che è al di fuori delle regole del gioco democratico. Vogliamo riportare il dibattito in Parlamento perché qui, in assenza completa di qualsiasi forma di dialogo e di una cultura di Governo, vogliamo portare il nostro contributo di democrazia per evitare che il dibattito si svolga fuori dalle mura di un Parlamento democraticamente eletto.
L'ostinazione a chiedere il voto di fiducia sui provvedimenti nasce dalla paura del confronto, dalla paura che ogni parlamentare eletto, indipendentemente dal fatto che appartenga all'opposizione o alla maggioranza, possa esprimere il proprio consenso o dissenso, possa presentare emendamenti e contribuire alla stesura di una legge. Tutto questo viene negato soprattutto per l'arroganza del potere; il potere, infatti, in questo anno di Governo, ha dato alla testa al Presidente del Consiglio e ai suoi ministri.
Vogliamo dire all'intero paese che la nostra non è un'opposizione sterile. Siamo qui a difendere i diritti dei cittadini e la rappresentanza del popolo italiano. Quando si parla di IVA, di prelievi, di Europa, non comprendiamo. In Europa ci vogliono andare tutti, ma la strada tracciata dal Governo va al di là del nostro pensiero ed anche quando si chiedono prelievi fiscali ai cittadini italiani con interventi che vengono spacciati per grande ingegneria politica, dubitiamo. La nostra Europa non è l'Europa delle banche, l'Europa dell'alta finanza, magari assistita. Vogliamo l'Europa della solidarietà, l'Europa dei popoli, l'Europa della politica. Questa è l'Europa alla quale noi del centro-destra ci riferiamo affinché non si predispongano provvedimenti capestro, ma si parli anche dell'infanzia, di quale tipo di cultura dare alle future generazioni. Se invece la cultura che volete è questa, scenderemo in campo con forza perché si sta stravolgendo tutto, dalla riforma della scuola alla riforma dello Stato anagrafico. State tentando di sconvolgere le radici di questo paese sulla base di un modello che noi contestiamo. È questo uno dei motivi di fondo della diversità che c'è tra noi e voi della sinistra.
Signori del Governo, signor Presidente, la nostra posizione deve essere compresa fino in fondo e, visto l'ostracismo presente nei nostri confronti per far giungere il segnale delle differenze che ci contraddistinguono, utilizzeremo ogni strumento, per evitare che nel paese vi sia ancora gente che pensi che tanto siamo tutti uguali. No, non siamo uguali. Siamo diversi per impostazione culturale. Vogliamo confrontarci e voi ce lo impedite; vogliamo far comprendere le differenze per poi far scegliere democraticamente alla gente, ma voi ce lo impedite; vogliamo portare su questi banchi la nostra cultura, il nostro modello di vita per le future generazioni e voi ce lo state impedendo. Questa non è democrazia. Ci stiamo avvicinando ad un sistema totalitario che non consente la libera espressione delle voci, non consente di manifestare i propri pensieri, non consente di ragionare sulle cose concrete.

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Voglio ricordare, tra tante citazioni che vengono fatte in questo Parlamento, un poeta che tanto amo ma che la critica contemporanea non tiene nella dovuta considerazione. Ci ricordava Eliot che esiste solo la lotta per riconquistare ciò che si è perduto, trovato e riperduto senza fine. Oggi le condizioni non sembrano a noi favorevoli. Forse non ci guadagneremo né ci perderemo, ma a noi non resta che tentare, il resto non ci riguarda. Con queste citazioni vogliamo far capire che le differenze sono profonde e voi tentate di coprirle con il gioco dell'alta finanza, con i decreti sulla rottamazione. La differenza che c'è tra il popolo e le istituzioni è sempre più ampia, è una differenza che vogliamo colmare con il consenso della gente. Vogliamo colmare il solco che state aprendo con questi provvedimenti, con gli inasprimenti fiscali, con gli stravolgimenti del nostro sistema politico, democratico e sociale facendo solo del becero clientelismo e fornendo solo contributi di Stato a tutti coloro che chiedono. E poi, il voto di scambio presente nel volontariato, in tutto l'associazionismo. Su queste basi vi combatteremo. Vi combatteremo perché vogliamo il diritto di parlare e staremo qui non solo questa sera ma anche domani e dopodomani, nei giorni che verranno. Vogliamo far capire a chi ci ascolta questa sera che la nostra non è una voce nel vuoto ma una voce di libertà; la libertà, che voi volete sottrarci, di parlare a testa alta in un Parlamento democratico. Vi sfidiamo a dimostrare che esiste una cultura vera, di Governo, in questa maggioranza, che non sia di occupazione del potere. La vostra corsa è solo all'occupazione del potere, degli spazi di potere per gestirlo e non per fornire un servizio alla collettività.
Amici della maggioranza, perché non vi confrontate sui provvedimenti? Perché non accettate gli emendamenti? Perché non cercate di batterci sugli aspetti concreti e di indirizzo? Non lo fate perché siete deboli, perché la vostra maggioranza è tutto e il contrario di tutto, è il grande mercato degli affari che avete costruito con l'ingegneria di D'Alema, il grande scienziato di questo Parlamento che ha costruito la destra e la sinistra che non ha posto in essere il bipolarismo. Per bipolarismo lui intende quello che, nell'Ulivo, va da rifondazione al partito di Dini. È questo un bipolarismo falsato.
Concludo lasciando la nostra testimonianza agli atti perché riteniamo che il futuro sarà un futuro migliore.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO BACCINI. Grazie, Presidente, per questa possibilità. Il gruppo del centro cristiano democratico continuerà la sua battaglia per questa libertà di informazione (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD e di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ostillio. Ne ha facoltà.

MASSIMO OSTILLIO. Consentitemi innanzitutto di augurarmi che la lettura che il rappresentante del Governo sta facendo di un certo volume da qualche decina di minuti sia almeno piacevole...

PIERLUIGI CASTELLANI, Sottosegretario di Stato per le finanze. Senz'altro!

MASSIMO OSTILLIO. Questo, se non altro, ci ristora rispetto al lavoro che stiamo svolgendo che, per quanto possa esserne estraneo il rappresentante del Governo, appartiene alla nostra cultura di gruppi di opposizione in questa legislatura, gruppi che si impegnano in battaglie di libertà come queste.

Battaglie di libertà per quanto attiene alla forma, con il filibustering che stiamo attuando, ma che ci serve per ricordare in quest'aula e al paese i contenuti di un provvedimento che riteniamo altamente lesivo degli interessi economici di ampie categorie di cittadini e che riteniamo lesivo anche per l'economia di tante famiglie italiane. È una battaglia di libertà in cui ci viene negato - e lo dimostra la


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presenza del solo collega Carli sui banchi dell'opposizione - persino il confronto sulle tesi.

CARLO CARLI. Ce ne sono anche altri.

MASSIMO OSTILLIO. In questo momento, onorevole Carli, sono fuori da quest'aula. Un confronto negato, sia nelle aule sia sui temi e sui contenuti del provvedimento, nel momento in cui il Governo ha scelto di procedere con un voto di fiducia, eliminando qualsiasi possibilità di limare e di migliorare il provvedimento stesso.
È d'altra parte anche una battaglia di libertà, perché riteniamo che il paese debba poter apprezzare, debba poter valutare il lavoro che si svolge in Parlamento, perché crediamo che in questa società della comunicazione anche dall'immagine di ciò che avviene in quest'aula, anche dall'immagine che deriva dai programmi politici e dalle proposte che i partiti svolgono in Parlamento non possa che trarre beneficio chi ritiene, come noi, partiti dell'opposizione, di svolgere una battaglia su temi giusti, che riteniamo colgano in pieno le attese della nostra gente.
Su alcuni giornali - non so più se quelli di ieri o di oggi, perché a quest'ora del mattino si affastellano anche i ricordi di quanto si è letto durante la notte in attesa dell'intervento - ho notato una preoccupazione da parte di ambienti della maggioranza e da parte dello stesso Presidente del Consiglio sul fatto che ci possa essere in questo confronto tra maggioranza e opposizione una vittima illustre, che è la finanziaria. Non ho colto, non sono riuscito a capire se la preoccupazione del Governo e della maggioranza dell'Ulivo sia quella di portare a casa la finanziaria entro il termine del 31 dicembre oppure se vittima illustre, più che la finanziaria entro il 31 dicembre, possa essere invece il dibattito, che come al solito anche in quell'occasione mancherà in quest'aula e quindi non si riuscirà a fare quel dovuto approfondimento di tematiche pure tanto importanti quali sono quelle riportate nella finanziaria e nella legge di accompagnamento.
Mi sembra che altro tema preoccupante per tutti noi possa essere quello relativo agli ordini del giorno, che pure spesso raccolgono una larga maggioranza (mi pare che su alcuni ordini del giorno ciò sia accaduto anche nelle votazioni che abbiamo tenuto ieri). Ebbene, spesso e volentieri il Governo non tiene da conto neppure quanto viene previsto negli ordini del giorno pure approvati dall'Assemblea o accolti dal Governo stesso. Credo che tutto ciò sia quanto meno preoccupante per quel che attiene alla democrazia nel nostro paese, ove per democrazia si intenda uno scambio di opinioni libero e franco che possa portare ad un miglioramento dei provvedimenti all'esame del Parlamento.
In questo caso, sul provvedimento recante disposizioni tributarie urgenti, i segnali che abbiamo colto nel corso del dibattito che si è svolto - dibattito con le categorie sociali e non, come ho detto prima, in quest'aula - su parecchi di questi argomenti sono gravi, pericolosi, negativi, soprattutto per il sud del paese. Mentre tentiamo disperatamente di pensare a un ingresso in Europa - che è sempre più vicino, ma atterrisce sempre di più, se si pensa a quanti problemi rimarranno irrisolti pur con l'ingresso in Europa - i problemi che abbiamo nel nostro paese, soprattutto per quanto riguarda il tessuto economico, sono ancora molti e irrisolti. E il Governo non pensa altro che a tartassare le categorie produttive con una serie di provvedimenti, come questo, quello sulla semplificazione e diminuzione delle aliquote fiscali (che poi di fatto si traducono in aumento del prelievo fiscale), oppure come l'IRAP, che è stata introdotta e sulla quale ci aspettiamo e speriamo che il Governo riveda in parte le sue posizioni. Credo che tutto questo non vada certo in direzione della auspicata e adeguata semplificazione fiscale, che noi avremmo voluto e che avrebbe dovuto fare il pari con un freno sensibile alla spesa pubblica, con la sua razionalizzazione. Invece, come ho detto poc'anzi, ci


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troviamo di fronte a riduzioni di aliquote che però nascondono un vero e proprio aumento del prelievo. Insomma, quella intrapresa dal Governo è una strada opposta a quanto pure aveva promesso in campagna elettorale e durante i primi mesi del Governo Prodi.
Con questo provvedimento si arriva sostanzialmente a un drenaggio di 5.700 miliardi di lire: tutte le famiglie italiane saranno più povere con questo provvedimento, perché imposte di questo genere non colpiscono solo alcune fasce sociali e non altre, ma indistintamente tutti. Ho provato a fare un elenco di tutto ciò che viene ad essere colpito in negativo da questo provvedimento. Vi è il trasporto pubblico urbano, addirittura gli scuola-bus ed anche quanto attiene al trasporto dei disabili. Vengono poi colpite le subforniture, il settore edilizio, il settore calzaturiero. A questo proposito, vorrei ricordare a me stesso e a quest'aula il fatto che proprio in Puglia, nel nostro Mezzogiorno, nella mia zona di origine, vi sono importanti nodi calzaturieri, nel sud e nel nord di quella regione, che saranno certamente colpiti da questo aggravio dell'IVA e tale provvedimento certamente non fa il bene né del meridione né dello stesso settore calzaturiero.
Sul materiale edile c'è da dire che l'aumento dell'IVA va in controtendenza rispetto pure a quanto il Governo aveva immaginato di poter fare a favore di questo importante settore. Mentre il Governo immagina di poter alleviare con sgravi questo settore e quanti intraprendono un'opera edilizia in termini di manutenzione e ristrutturazione, dall'altra parte drena ulteriore denaro attraverso l'aumento dell'IVA sul materiale edile.
Vi è poi un aggravio sensibile sulle tariffe di gestione dei rifiuti urbani.
Credo che invece sarebbe stato più opportuno rispetto a tutto questo operare nel campo della repressione dei fenomeni di elusione dell'IVA e intervenire sui tanti settori che oggi sfuggono al controllo delle strutture pubbliche per quanto attiene, appunto, il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto.
Ritengo che tutto questo dimostri quanto sia pericoloso il cammino che ha intrapreso il Governo. Questo percorso non ci porterà lontano e non ve lo dice solo un parlamentare dell'opposizione, ma su Il Messaggero di oggi c'è la notizia di uno scontro molto forte fra Visco e i commercialisti. Si parla di una polemica dai toni insolitamente aspri sulla semplificazione tributaria - dice questo il giornale, ma a me sembra che semplificazione tributaria proprio non sia - e sul peso della nuova tassazione delle auto: «Per i commercialisti la semplificazione promessa da Visco resta sulla carta e a farne le spese sono soprattutto i ceti medi. Con la denuncia viene lanciato un information point per aiutare operatori e imprese a districarsi in questa vera e propria giungla dell'Italia».
Ecco, credo di aver introdotto qualche ulteriore tema...

PRESIDENTE. Deve concludere.

MASSIMO OSTILLIO. Concludo dicendo che il gruppo del CCD e in particolare il sottoscritto voterà contro questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo del CCD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lucchese. Ne ha facoltà.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, la nostra giusta e legittima avversione a questa ennesima torchiatura fiscale è avvalorata dalla disperazione di tutto il popolo italiano: dalle Alpi alla Sicilia, il popolo italiano non ne può più di pagare tasse. La gente non ha più quattrini, non sa cosa fare, molti sono costretti, per pagare le varie imposte, a ricorrere a prestiti, addirittura all'usura.
In nessun paese del mondo si è tartassati come in Italia; non è più possibile mantenere alcuna attività, poiché il peso fiscale è avvilente. Questa è la vera tragedia che stiamo vivendo nel nostro tempo.


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Questa nostra giusta posizione di avversione a questo decreto ed alla fiscalità del Governo è condivisa dalla stragrande maggioranza del popolo italiano e noi tuteliamo con la nostra battaglia anche gli interessi di tanta gente, anche di quella che, sbagliando, ha votato per l'Ulivo.
Voi sapete che la gente ha paura di investire per le tasse, che nessuno vuole iniziare un'attività perché gli piovono addosso, subito, richieste di soldi a non finire. Infatti, molte attività commerciali, artigianali, medie e piccole imprese hanno chiuso i battenti negli ultimi anni, specie nel sud ed in Sicilia ed è aumentata la disoccupazione; è aumentata la percentuale dei giovani che non lavorano; è aumentata la gente che emigra dal sud verso il nord lasciando le famiglie al sud.
Con l'entrata in vigore dell'IRAP, che è una tassa che va a colpire il lavoro, ci saranno altre imprese che chiuderanno ed altri disoccupati si aggiungeranno a quelli già esistenti; altri emigranti saranno costretti a lasciare le famiglie al sud per andare a lavorare al nord.
La regione siciliana ha impugnato l'IRAP e bene ha fatto a non applicarla, perché questa famigerata IRAP non consente di investire, non consente cioè che i capitali vengano investiti nel sud, soprattutto in Sicilia.
Per acquistare una casa si pagano imposte dell'ordine del 10 per cento; trattasi di milioni che bisogna sborsare subito; molti hanno dovuto sottoscrivere elevati mutui bancari anche per far fronte a queste spese. Ma com'è pensabile aumentare l'IVA sui prodotti di largo consumo quando già nelle famiglie vi è il problema di come comprare un paio di scarpe, un vestito o una camicia ai figli?
Certo, voi del Governo dispensate miliardi ai vostri manager pubblici e non potete capire cosa significhi vivere con un reddito familiare di un milione e mezzo al mese. A voi interessano i grandi industriali, i grossi finanzieri e vi accanite contro il piccolo imprenditore, il piccolo esercente, il modesto professionista, il lavoratore autonomo, l'agricoltore e il coltivatore diretto.
Questo Governo con la sua continua ed aberrante politica fiscale ha portato avvilimento e sconforto nelle famiglie, ha fatto fuggire i sani investitori (infatti questi non chiedono contributi statali per rottamazione!).
Ormai vi è la legittima paura del «mostro tasse», dell'aberrante imposizione, della persecuzione di un fisco famelico e diabolico. Siamo tornati ai tempi dell'imposta sul macinato! Signori governanti, tassate tutto, anche l'aria che si respira (che tra l'altro non è più pura ma insalubre per l'inquinamento costante).
Questo Governo non ha avuto e non ha il coraggio di procedere a tagli seri alla spesa pubblica ed allora torchia questo popolo. Non si vogliono eliminare le spese improduttive, i contributi a pioggia, l'erogazione di denari ad apparati vari. Ed allora si ha bisogno sempre di soldi, ed ecco la «macchina mostro» del fisco famelico che entra nelle case e turba la serenità delle famiglie.
In tante famiglie vi è disperazione; vi sono pensionati che non riescono a pagare l'ICI ed hanno posto in vendita la propria casa, frutto di sacrifici e di privazioni (mentre i grossi enti forniscono e danno case in affitto a poco prezzo a grossi esponenti di regime che non conoscono cosa sia l'imposta sulla casa).
I piccoli esercenti di negozi vengono costantemente perseguitati da questo fisco che vuole soldi anche da chi ha grossi debiti e non riesce ad ottenere un utile. La forte imposizione degli oneri sociali scoraggia l'assunzione di nuove leve, così i giovani rimangono a spasso senza lavoro, senza avvenire e senza speranza.
La macrocriminalità, la mafia, la microcriminalità imperversano nelle nostre contrade del sud, con atti vandalici, bruciando le macchine e le abitazioni dei cittadini, bruciando i magazzini delle imprese artigiane, commerciali ed industriali, rubando i trattori e gli attrezzi agricoli agli agricoltori.
In proposito ho presentato diverse interrogazioni, diversi atti parlamentari ma

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non ho avuto risposta; il Governo è assente e lo è soprattutto al sud dove imperversa la malavita organizzata.
Malgrado le vostre statistiche, alle quali noi non crediamo, i consumi reali sono diminuiti; vi è poco denaro in giro, mentre è abbondante quello dei vostri manager e degli addetti ai vostri apparati.
L'inflazione diminuisce perché non si consuma o si consuma poco; la gente consuma talmente poco che sembra che anche i rifiuti solidi urbani siano diminuiti. Mi viene in mente quel tizio che voleva abituare il suo asino a stare digiuno, ma quando quest'ultimo si era abituato poi morì. Voi volete che i cittadini vadano a morire, questi infatti tartassati dalle tasse non possono sopravvivere.
Questo non è il modo per entrare in Europa; in Europa non si può entrare tramortiti, sarebbe come fare entrare l'asino per la coda mentre sappiamo che l'asino entra per la testa!
Bisogna quindi che il Governo intervenga in modo serio e concreto, soprattutto ponendo mano a tre importanti emergenze: l'emergenza lavoro per i giovani; l'emergenza ordine pubblico; l'emergenza fisco e la revisione di tutte le leggi di spesa. Il Governo deve concretamente intervenire con un progetto di immediata applicazione.
In ordine alla prima emergenza, bisogna dare lavoro a tutti i giovani con il part time, anche stabilendo una remunerazione minima per alcuni anni. Il collocamento dovrebbe avvenire presso i privati, con contributo dello Stato per gli oneri sociali ed altre forme di agevolazione fiscale, e nel settore pubblico, ove vi è necessità, soprattutto nei servizi. Non bisogna intervenire con dei palliativi, con i lavori socialmente utili, con i lavori di pubblica utilità, con le borse di lavoro o con i piani di inserimento! Questi infatti sono tutti palliativi che prendono in giro i nostri giovani.
Si è parlato dei patti territoriali. Questi dovrebbero essere una cosa seria ma ci sono molte lungaggini burocratiche, molte complicazioni che non consentono di portare a termine questo progetto che è stato strombazzato in lungo ed in largo.
Relativamente alla seconda emergenza, bisogna intervenire drasticamente per dare tranquillità ai cittadini con la mobilitazione di tutte le forze dell'ordine, con il controllo costante del territorio, con la lotta assidua alla criminalità e alla microcriminalità; bisogna revisionare gli organici delle forze dell'ordine ed assicurare una presenza dello Stato sul territorio, come ho detto poc'anzi.
Quanto alla terza emergenza, è necessario un abbattimento delle aliquote fiscali, abolire le imposte della casa in cui si abita (ossia della prima casa); occorre fare poi un'accurata revisione di tutte le leggi di spesa, abolire i contributi ad associazioni ed enti vari, cancellare la cassa integrazione, vietare il lavoro straordinario ed eliminare le consulenze nella pubblica amministrazione. Occorre inoltre dimezzare le spese nelle ambasciate e negli istituti di cultura all'estero con diminuzione anche del personale.
È necessario poi che il servizio di leva venga svolto solo da 50 mila volontari e questo per diminuire le spese inutili; bisogna vendere le caserme site nei centri delle grandi città, al fine di recuperare denaro fresco; bisogna poi bloccare gli arredi per uffici nella pubblica amministrazione, abolire le auto di servizio che ancora scorazzano (che sono al servizio dei vari capi ripartizione, dei vari dirigenti dei ministeri), lasciandole solo per i ministri, per il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, per i dirigenti di partito e per i presidenti di regione. Per tutti gli altri, lo ripeto, occorre togliere le macchine di servizio.
Occorre poi una revisione seria della giungla retributiva ed un'eliminazione dei superstipendi e delle superliquidazioni, un dimezzamento delle retribuzioni ai manager di enti e società pubblici.
Per tutti questi motivi siamo contrari a tale decreto e voteremo contro, perché con esso - lo ripetiamo - non si entra in Europa. In Europa bisogna entrarci con la

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piena coscienza di poter affrontare il futuro e con piena tranquillità per i nostri cittadini.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rebuffa. Ne ha facoltà.

GIORGIO REBUFFA. Gentile signor Presidente, cari e stimatissimi colleghi, voglio cominciare con una notazione personale di apprezzamento, per la neutralità, per la capacità di lavoro e di assistenza all'Ufficio di Presidenza e a tutta la Camera, in queste giornate certamente difficoltose, nei confronti dei funzionari della Camera dei deputati. Ci tengo molto perché si tratta di un lavoro che, se non ha a che fare direttamente con la dialettica politica, è però un supporto indispensabile della dialettica politica stessa, senza il quale noi certamente non riusciremmo ad operare.
Nella mia dichiarazione di voto vorrei illustrare le ragioni di merito e politiche per le quali questa maggioranza non merita che si voti a favore della conversione in legge del decreto-legge. Questa è stata da molti punti di vista una settimana-chiave per la politica italiana. Forse non sono completamente visibili i fattori decisivi di questa settimana e vorrei cercare, naturalmente con la pochezza di mezzi di cui dispongo, di illustrarli.
Il primo fattore è rappresentato dalla trentesima fiducia. Sia chiaro, io penso che il ricorso al voto di fiducia non sia soltanto una manifestazione di arroganza, che è senza dubbio un termine metaforico, ma sia anche la manifestazione di una difficoltà politica ed istituzionale connessa ad un mutamento. È certamente vero che il ricorso al voto di fiducia è determinato dalla nota sentenza della Corte costituzionale che impedisce la reiterazione dei decreti-legge e che, quindi, mette la maggioranza e il Governo di fronte alla necessità di fare delle scelte che abbreviano i tempi della tradizionale dialettica politica che questo Parlamento e questo sistema politico hanno conosciuto. Quindi, la trentesima fiducia chiesta dal Governo è il sintomo di una difficoltà.
In questa settimana-chiave si è avuta una serie di fenomeni parlamentari che sono stati descritti come una violazione delle regole. Mi limito ad elencarli. Il primo fenomeno è stato rilevato dal collega Vito in uno degli interventi di questi giorni ed io vorrei richiamarlo per ricordare quanto sia stato importante. Noi abbiamo introdotto il cosiddetto Premier question time, vale a dire un istituto che mette il Presidente del Consiglio di fronte alle interrogazioni parlamentari in modo immediato e senza rete. Ebbene, la prima volta che questo istituto doveva essere sperimentato, lo abbiamo evitato. Si faccia attenzione, la seduta fiume non giustifica questa scelta, perché il question time rivolto al Presidente del Consiglio ha una funzione parlamentare che è certamente più rilevante della seduta fiume. Quindi, ci siamo trovati di fronte ad una prima violazione delle regole.
La seconda violazione delle regole si è avuta ieri. Mi riferisco al tentativo un po' maldestro e un po' goffo, e alla fine censurato da uno stesso esponente della maggioranza, con il solito imbarazzo che prende il collega Mussi quando non si ricorda più se ha torto o ha ragione, di cambiare le regole del gioco dell'ostruzionismo - chiamiamolo così - in corso d'opera. Non so quali origini abbia avuto questo tentativo, probabilmente ha avuto la stessa origine di quell'altra violazione delle regole tentata - la triste disavventura rientrata anche quella - ieri pomeriggio con questa grande assemblea della maggioranza che, per ragioni tecniche, si sarebbe dovuta svolgere in una sede esterna al Parlamento. Questa vicenda mi ha fatto venire in mente quello che era accaduto alcuni mesi fa, quando un illustre personaggio della politica internazionale, il Presidente della Bielorussia, mi pare, ha chiuso il Parlamento di quel paese per effettuare dei lavori di ristrutturazione nel palazzo in cui esso aveva sede. Lo dico perché il povero Presidente della Bielorussia era un personaggio simpatico e decisionista e forse non si era accorto di quello che stava combinando.


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Un'ulteriore violazione delle regole è rappresentata da questo ritorno davvero curioso di un certo uso dell'ordine pubblico nei confronti di manifestazioni di piazza. A tale riguardo i giornali di oggi contengono dettagliate descrizioni. Il collega Guerra probabilmente ha il cuore che sanguina, perché si sente dall'altra parte di una barricata dietro la quale si è trovato per tanti anni. Ed io, pensando che il collega Guerra ha il cuore che sanguina, sono contento e quindi non faccio nient'altro se non ricordargli che si trova nella medesima posizione di quelle persone che - immagino - lui ha tante volte stigmatizzato e contro le quali ha protestato.
La cosa grave è però la mancata presenza del ministro dell'interno per spiegare in Parlamento quanto è accaduto a Vicenza. Sono rimasto stupito, anzi addolorato, nel vedere che i giornali di oggi riportano dichiarazioni del ministro dell'interno relative a valutazioni su quegli avvenimenti. Ma come? I giornali riportano le opinioni del ministro dell'interno e le sue valutazioni ed io, povero parlamentare, insieme a voi, altrettanto poveri parlamentari, non ho ricevuto alcuna comunicazione al riguardo, anzi mi è stato detto che non si poteva avere il piacere di sentire il ministro dell'interno? È un fatto di estrema gravità, perché riferire su fatti che turbano l'opinione pubblica è uno dei doveri principali di una compagine ministeriale ed è uno dei compiti principali di un Parlamento. Il fatto che ciò non sia avvenuto è l'elemento di maggiore preoccupazione che, alla fine di questa giornata, nutro.
Si è trattato, quindi, di un insieme di violazioni delle regole che, siccome non penso mai che qualcuno violi le regole intenzionalmente, ma ritengo che ciò avvenga perché si viene trascinati, disegna un quadro della maggioranza che, senza essere né drammatico né retorico, vorrei chiamare di dissoluzione. Di solito il termine dissoluzione ha un significato negativo, ma io cercherò di dargli il semplice significato descrittivo. Non mi riferisco al fatto fisico dell'inesistenza della maggioranza, perché sono comprensivo verso le esigenze notturne delle maggioranze di Governo e di tutto il paese, ma parlo del fatto politico.
Torno quindi alla posizione della questione di fiducia. Questa non è stata posta perché c'era l'ostruzionismo preconcetto dell'opposizione, perché sappiamo tutti che non è vero. Non è stata posta perché bisognava assolutamente convertire il decreto nei termini prescritti dalla Costituzione, perché abbiamo perso più tempo. È ovvio invece, almeno per me, che la questione di fiducia è stata posta perché molto probabilmente alcune componenti della maggioranza avrebbero concordato con l'opposizione delle modifiche a quel decreto che ad altre componenti della maggioranza non erano gradite. Questa è stata probabilmente la ragione della posizione della questione di fiducia. Ed è bastata la paura che ciò avvenisse. Se le cose stanno così, lo stesso Presidente del Consiglio, in un intervento che ho sentito alla radio, ha disegnato il quadro di una maggioranza virtuale. Più volte, infatti, nel suo intervento all'assemblea dei gruppi della maggioranza ha detto: stiamo costruendo la maggioranza. Questa espressione del Presidente del Consiglio, che è certo un uomo intelligente, mi ha colpito. Se il Presidente del Consiglio dice: stiamo costruendo la maggioranza, vuol dire che la maggioranza che regge questo Governo è una maggioranza virtuale. E la ragione per cui svolgiamo il lavoro che stiamo facendo è diretto a portare la virtualità alla realtà (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e del CCD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nocera. Ne ha facoltà.

LUIGI NOCERA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge in esame viene presentato come un riordino urgente dei conti tributari di fronte al quale l'opposizione da alcuni giorni cerca, in modo civile e democratico, sulla base e con l'ausilio degli strumenti consentiti dal regolamento, di esercitare lo strumento


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dell'ostruzionismo, secondo la pratica in vigore in tutte le democrazie occidentali.
In una agenzia di oggi il Vicepresidente del Consiglio afferma, invece, che l'ostruzionismo deve essere utilizzato solo in circostanze drammatiche. Desta stupore il fatto che tali affermazioni provengano da chi, per decenni, ha utilizzato il sistema ostruzionistico in moltissime occasioni e per vicende meno drammatiche di questa e sicuramente più legate agli interessi prima del partito comunista italiano e poi del PDS.
Il sottoscritto può affermare con certezza che l'approvazione di questo decreto porterà effetti dannosi all'economia nazionale e ad un generale impoverimento del ceto medio e alla compressione di tutte le attività produttive ed imprenditoriali che rappresentano la forza viva del nostro paese. Se il Vicepresidente del Consiglio, l'onorevole Veltroni, considera questo ennesimo provvedimento di inasprimento fiscale alla stregua di un evento non drammatico, vuol dire che ci troviamo in un paese non più democratico e nemmeno normale, come vorrebbe far credere il segretario del PDS, onorevole Massimo D'Alema. Mi limito perciò a compiere alcune brevi osservazioni sugli effetti disastrosi che l'approvazione di questo decreto provocherà.
In primo luogo nel settore dell'edilizia, che è sempre stato uno dei settori portanti della nostra economia, l'aumento dell'IVA ovvero la mancata riduzione delle aliquote che il Governo vorrebbe operare provocherà un ulteriore blocco della già drammatica situazione occupazionale e conseguentemente una riduzione di posti di lavoro e dello sviluppo economico. Tale problematica certamente non interessa questo Governo e soprattutto non sembra interessare i tanti colleghi meridionali della maggioranza che hanno votato ciecamente, e che voteranno ciecamente, ma anche irresponsabilmente, la fiducia su questo provvedimento, senza considerare minimamente che con questa scellerata iniziativa non si fa altro che colpire, ancora una volta, in modo particolare proprio il meridione d'Italia, che finisce sempre per pagare in prima battuta sotto il profilo sociale, prima che economico, il prezzo degli inasprimenti fiscali.
Passo alla seconda osservazione. La filosofia politica ed economica di questa maggioranza mortifica, attraverso l'inasprimento dell'imposta dell'IVA, tutto il mondo dell'imprenditorialità e della produzione italiana, una politica economica sventatamente antieconomica che colpisce duramente anche il mondo dell'agricoltura italiana. A questo proposito non dobbiamo dimenticare che tale settore si colloca, nonostante questo Governo e i ministri Ciampi e Pinto, al primo posto in Europa.
L'agricoltura italiana ha saputo esprimere comunque, contro tutto e tutti, la vitalità e l'impegno degli investimenti nella produzione e nella qualità che la collocano in posizione di tutto rispetto nello scenario internazionale. Non accenna però ad essere superato il contrasto tra il valore dimostrato dal settore agricolo e le prospettive non entusiasmanti del mercato, perché l'impegno degli agricoltori, la loro dedizione e le loro capacità non bastano per superare le situazioni di difficoltà e le risposte negative che puntualmente arrivano dal Governo, come dimostrano le tensioni e gli incidenti di queste ore tra i produttori di latte e le forze dell'ordine. Vediamo un Governo incapace di ascoltare e di affrontare le vere problematiche, che preferisce piuttosto «manganellare» i pacifici manifestanti e mettere a tacere qualsiasi voce che non canti nel coro dell'esaltazione dell'Ulivo.
Terza osservazione: questo decreto colpisce il settore del tessile e delle calzature che rappresenta una realtà importante e trainante dell'economia italiana. L'aumento dell'IVA determinerà un aumento dei prezzi al consumo che, come conseguenza, porterà immancabilmente alla diminuzione del potere d'acquisto e a un forte fenomeno di recessione economica. Unico effetto prevedibile, anzi certo, è la chiusura di tante altre migliaia di piccole imprese che non reggeranno il carico di questo nuovo, inopinato peso fiscale. Tutto ciò comporterà la diminuzione del

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lavoro, anziché il suo rilancio, con la scusa risibile della necessità di questo provvedimento per poter entrare in Europa. Con esso il Governo dimostra di muoversi sul piano economico senza conoscere effettivamente la realtà economica italiana: non capisce infatti ciò che è evidente a tutti, anche ad ampi strati della stessa maggioranza, che tacciono però per quieto vivere, se non per viltà. Questo provvedimento non sosterrà lo sviluppo e l'occupazione - è chiaro - ma il Governo insiste nel percorrere la strada dell'aumento della pressione fiscale, dimostrandosi però incapace di contenere la dinamica della spesa pubblica. Con questo modo di agire deprimerà la domanda interna e allontanerà sempre di più la ripresa produttiva ed occupazionale.
Ricordo all'onorevole Prodi e a questa maggioranza l'impegno assunto davanti agli elettori italiani, un impegno preciso e chiaro sulla base del quale hanno raccolto voti e consensi: in caso di vittoria elettorale assicuravano che non avrebbero inasprito la pressione fiscale e avrebbero allo stesso tempo favorito la ripresa e l'occupazione. Queste sono state fino ad ora promesse da marinaio, inganni puri e semplici dei quali i cittadini devono conoscere l'imbarazzante grandezza. Se ne sono già accorte le nostre imprese, sempre più gravate da oneri fiscali di gran lunga superiori a quelli degli altri paesi europei, e per tale motivo si trovano sempre più in difficoltà nel fronteggiare la concorrenza estera, con l'effetto di dover far fronte anche ad un altro imbarazzante fenomeno, quello della delocalizzazione degli stabilimenti italiani in paesi esteri che hanno, al contrario del nostro, sistemi fiscali sopportabili.
Il Governo Prodi ha deciso, con questa manovra, di sacrificare ancora una volta lo sviluppo del paese e dell'occupazione. Il sistema fiscale non può essere utilizzato per opprimere, non può essere usato per stroncare la produttività del paese; deve essere bensì usato per sostenere, non per vessare le categorie interessate ponendo fine alla chiusura di tante piccole e medie imprese che costituiscono l'orgoglio e l'ossatura del nostro sistema produttivo.
Onorevole Presidente del Consiglio, parlo a nome di tanti giovani disoccupati e di tanti operatori economici del meridione, nonché di tutti i cittadini italiani che si auguravano una condizione migliore, in un paese normale, secondo il «D'Alema pensiero», dove vivere nella speranza di migliorare le proprie condizioni socio-economiche senza avere, come unica alternativa quella di espatriare o di chiudere bottega. Con questo provvedimento lei, signor Presidente, toglie anche la speranza a questo paese con l'alibi di offrirgli il biglietto per l'Europa; stacca invece il tagliando per il crack economico. È per queste condizioni, che determinano soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia poche speranze di ripresa, è per questo che, insieme a milioni di italiani delusi e incattiviti per essere stati presi in giro da un Governo insensibile ai veri problemi della società civile, esprimo il mio voto contrario (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fronzuti. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FRONZUTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, in questa atmosfera surreale, in quest'aula quasi vuota, priva del solito chiaccherio e della solita animazione, mi accingo a prendere la parola per esprimere le mie osservazioni e le mie riflessioni.
Quanto sta accadendo in quest'aula e, con le sue amplificazioni, nel paese, sta generando una sorta di falso allarme e preoccupazione tra i cittadini. Si sta tentando addirittura di fare del terrorismo politico, avvelenando la pubblica opinione e riversando sulle forze di opposizione responsabilità e colpe solo perché ci si ribella, in modo civile e democratico, ad un progetto governativo che se passerà, e noi speriamo di no, produrrà ulteriori danni all'economia e allo sviluppo produttivo del paese.


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Il Governo, preoccupato di portare avanti una linea di politica dirigista e sordo ad ogni sollecitazione e suggerimento del Polo e della lega nord, sta per varare un provvedimento che scipperà altri 5.000 miliardi dalle tasche degli italiani. Siamo in trincea per tutelare, difendere e garantire non solo quella parte del paese che lavora e produce, ma soprattutto le fasce deboli della popolazione, che inevitabilmente pagheranno il più alto prezzo per questo tipo di operazioni che, alla lunga, produrranno danni ed effetti contrari a quelli desiderati.
È totalmente inaccettabile che questo Governo rifiuti il confronto, il dialogo con il Parlamento e voglia far assumere a quest'ultimo le funzioni di notaio delle sue arroganti scelte. Da queste nostre ferme, decise e determinate lotte speriamo di promuovere un cambiamento di atteggiamento della maggioranza, che non può, così come sta facendo, che condurci ad una specie di regime in cui le decisioni vengono prese e imposte dall'alto senza quel necessario e proficuo dibattito che è l'essenza della democrazia. Siamo molto inclini ad assumere comportamenti critici e censori nei confronti di altri paesi quando questi, ancorché retti da giovani democrazie, danno talvolta esempio di decisioni etichettate come autoritarie e dispotiche.
A questo punto è d'obbligo interrogarsi: possiamo seriamente proporci come esempio del modello di democrazia se in questa occasione, come in tante altre, la maggioranza blocca, strozza e mortifica il libero confronto con le forze dell'opposizione? Signor Presidente, onorevoli colleghi, quest'aula chiede di riappropriarsi del ruolo e delle funzioni che spettano ad un libero Parlamento, altrimenti finiremo un giorno per essere additati come un Parlamento ingessato ed imbavagliato.
Stiamo vivendo un momento veramente drammatico della nostra democrazia. Le sinistre, che per decenni in quest'aula hanno combattuto e condannato Governi adusi a ricorrere a metodi poco ortodossi secondo i loro punti di vista, per la velocità e snellezza che davano al proprio lavoro, con il ricorso continuo alla decretazione d'urgenza creano le medesime situazioni. Ora che si trovano dall'altra parte della barricata, immemori della loro storia e della loro origine politica, ripetono senza scrupoli quei comportamenti da loro sempre biasimati.
Noi lottiamo con accanimento e con passione questa battaglia, perché desideriamo far giungere questo grido di allarme e di denuncia anche fuori dal Parlamento, al fine di evidenziare le macroscopiche contraddizioni di questo Governo che, impegnato com'è a potenziare e a conservare il monopolio del potere, non riesce ad aprire un pur minimo dialogo con le opposizioni per la ricerca e l'accettazione di quel contributo propositivo e migliorativo, attraverso la formulazione di emendamenti e di richieste aggiuntive per rendere il testo in esame sempre più aderente ai bisogni dei cittadini.
Noi del Polo facciamo quadrato e ci compiaciamo di essere insieme ai colleghi deputati della lega nord per portare avanti questa sfida al potere centrale nel nome di quel grande e insostituibile bene che è la libertà. Siamo consapevoli che il provvedimento in discussione ha obiettivi e finalità di cui non disconosciamo l'importanza. Non riusciamo però a comprendere il rifiuto di ogni contributo dialettico che proviene dai banchi dell'opposizione. Non ci preoccupa il coro di critiche e di condanne che i partiti della maggioranza non si stancano di elevare contro di noi, ma siamo responsabilmente attenti a non tradire le ragioni e le aspettative di tanti cittadini, operatori commerciali, piccoli imprenditori, artigiani, coltivatori diretti, che con queste proposte di prelievo selvaggio vedono vanificati tanti loro disegni, tanti loro progetti (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD e di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Manzione. Ne ha facoltà.

ROBERTO MANZIONE. Signor Presidente, sento innanzitutto il dovere di ringraziare i funzionari ed il personale


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tutto dell'aula e del palazzo per la grandissima professionalità dimostrata. Un grazie va a loro, perché l'opposizione ha bisogno di muoversi e di esistere comunque, grazie agli strumenti che loro continuano a fornirci.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, riprende una traccia già parzialmente svolta il 26 novembre, anche al fine di lasciare agli atti una memoria storica indelebile delle motivazioni, politiche e di merito, che hanno indotto l'opposizione tutta a decidere di reagire all'ennesima violenta provocazione messa in atto da un Governo e da una maggioranza, peraltro chiaramente sfilacciata, arrogante ed inutilmente muscolare. Con il mio intervento, voglio cercare di illustrare all'opinione pubblica e ai tanti e attenti cittadini che, grazie a Radio radicale, ci ascoltano, le motivazioni reali che ci hanno indotto ad avversare il provvedimento attualmente all'esame - e mi auguro che l'esame continui ancora a lungo - dell'Assemblea.
Ho già detto nell'intervento dell'altro giorno che il Governo, contrabbandando la necessità di recepire nell'ordinamento interno talune disposizioni della normativa comunitaria, ha voluto invece mettere in essere una vera e propria manovra che, per l'ultimo trimestre del corrente anno, è stata qualificata in 1.500 miliardi. È bene dirlo con vigore, affinché l'opinione pubblica prenda coscienza dei comportamenti di un Governo che continua in una politica tesa al risanamento dei conti dello Stato soltanto inasprendo al pressione fiscale; e tanto accade benché il Presidente del Consiglio Prodi abbia più volte dichiarato di volere contenere la pressione fiscale.
Quando nell'immaginario collettivo e nella satira più benevola il Presidente del Consiglio veniva paragonato a Pinocchio, probabilmente si determinava una semplificazione impropria. Ormai non esistono più le bugie benevole, ma esiste la falsificazione della realtà, una mistificazione quotidiana che vuole impedire alla gente di comprendere nell'immediato quello che realmente accade.
La gente invece, purtroppo, comprenderà benissimo il senso delle scelte economico-finanziarie del Governo quando, fra qualche mese, potrà collegare a questo provvedimento, e ad altri quali quello sull'IRAP e la legge finanziaria che tra qualche giorno arriverà in aula, l'innegabile effetto inflazionistico congiunturale che verrà prodotto.
Anziché intervenire in maniera strutturale con misure di razionalizzazione sella spesa pubblica - come più volte chiesto anche dal centro cristiano-democratico - questo Governo continua a determinare pesanti incrementi degli oneri fiscali e parafiscali, già assolutamente insostenibili, vanificando ancora di più ogni ipotesi di ripresa occupazionale e produttiva.
Quella che viene fatta passare come una riduzione fiscale da realizzarsi con la riduzione delle aliquote IVA (che passano da quattro a tre), nasconde invece un subdolo inasprimento di imposta su alcuni generi che determinerà una ulteriore flessione del PIL. In particolare molti beni, già rientranti nell'aliquota del 16 per cento, passeranno a quella del 20 per cento: mi riferisco alle calzature, ai prodotti tessili, all'abbigliamento, ai materiali dell'edilizia, al legno, ai saponi comuni ed alle apparecchiature scientifiche. Altre prestazioni invece (mi riferisco ad esempio al trasporto pubblico urbano) passeranno dal regime di esenzione all'aliquota del 10 per cento; se si considera poi che l'aliquota del 19 per cento passa al 20 per cento per moltissimi beni, si comprenderà facilmente quali potranno essere gli effetti reali del provvedimento, si comprenderà che, in poche parole, verrà determinato un corposo aumento del costo della vita.
E questa scelta di politica fiscale è ancora più grave se adottata in un paese come l'Italia, dove esistono 5 milioni di partite IVA, quale testimonianza inconfutabile di una massiccia presenza di una imprenditorialità piccola e media che verrà ancora una volta penalizzata da un inasprimento fiscale che non potrà non essere poi trasferito sui beni finali con un aggravio tutto a carico dei consumatori.

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Ed in questa logica, con questo genere di provvedimenti, ancora facciamo finta di meravigliarci se molti imprenditori preferiscono delocalizzare gli insediamenti produttivi e trasferirsi all'estero?
Ed ancora: il Governo è veramente convinto che questa mistificata semplificazione delle aliquote fiscali comporterà maggiori entrate di circa 1.500 miliardi nel 1997 e di quasi 6 mila miliardi nel 1998, o non considera invece che la conseguente stretta congiunturale, riducendo il ciclo economico e quindi i consumi, ridurrà automaticamente il gettito?
Ci sarebbe tanto da dire sul provvedimento in esame ma non ne avrò il tempo, voglio però evidenziare, a vantaggio dei tanti colleghi della maggioranza che provengono dalle regioni a statuto speciale o dalle province autonome, che l'articolo 7 del provvedimento prevede, tra l'altro, una riserva assoluta in favore dell'erario di tutte le maggiori entrate derivanti dalle disposizioni contenute nel decreto-legge in esame.
Alle regioni a statuto speciale e alle province autonome spettano, infatti - sulla scorta di quanto stabilito dagli statuti -, l'intero gettito o quota parte di essa rispetto alle entrate riscosse sul rispettivo territorio.
Questo Governo, in barba ad ogni federalismo fiscale, ed in aperta violazione delle disposizioni statutarie, con la disposizione di legge sopra menzionata intende assicurarsi l'intero gettito.
Sono consapevoli di questo i parlamentari dell'Ulivo?
E cosa risponderanno quando nelle sedi locali questa abnorme prevaricazione verrà loro contestata?
Contro questa protervia, contro questa falsità, contro questa mistificazione noi ci battiamo; ed è per questo che faremo tutto ciò che possiamo per impedire che il decreto-legge possa essere tempestivamente convertito in legge.
Proprio in merito a questo ultimo aspetto e, cioè, proprio quello della tempestività della conversione in legge, intendo spendere due parole, le ultime che mi auguro mi voglia consentire in questa occasione un Presidente non tiranno.
Non sono un costituzionalista - e lo dichiaro subito - però non posso condividere semplicisticamente l'opinione di quanti (compresa l'informazione di regime) ritengono con una certezza proterva che il decreto possa essere convertito in legge entro le ore 24 di sabato prossimo.
Il precetto costituzionale, consacrato nell'articolo 77, terzo comma, prevede che ogni decreto-legge perde efficacia se non convertito entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. Essendo stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30 settembre 1997, al fine di stabilire il termine ultimo utile per la conversione, è stato sostenuto da alcuni che occorra fare riferimento alla disciplina civilistica ricavabile dal combinato disposto degli articoli 2963 del codice civile e 155 del codice di procedura civile, con la logica conseguenza che, applicando così il principio del dies a quo non computatur in termino, non dovrebbe essere conteggiato il giorno di pubblicazione e quindi la conversione sarebbe possibile fino alle ore 24 di sabato 29 novembre.
La mia modestissima opinione, invece, è che il dubbio appaia legittimo e che occorra riflettere se conteggiare anche il giorno di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Se si aderisse alla tesi propugnata dagli autorevoli professori dell'Ulivo, infatti, ci troveremmo di fronte ad un provvedimento che dispiegherebbe la sua efficacia fino al 28 novembre (l'articolo 8 del decreto-legge 29 settembre 1997, n.328, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 settembre specifica, infatti, che «il presente decreto entra in vigore» - e dispiega quindi la sua efficacia - «il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale»); mentre ai fini della conversione in legge il termine ultimo - applicando appunto il principio del dies a quo - sarebbe di sessantuno giorni e cadrebbe il 29 novembre. Essendo però il precetto costituzionale espressamente collegato all'efficacia del decreto (decadenza), appare inimmaginabile prevedere un termine

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di conversione non coincidente con quello proprio di sopravvivenza dell'atto normativo. Come dicevo, quindi, il dubbio è legittimo!
Ed allora, ecco perché noi continuiamo questa nostra staffetta per la libertà del contribuente italiano, consapevoli che, se scambiandoci il testimone, riusciremo a tagliare il traguardo ideale delle ore 24 di oggi, venerdì 28 novembre, avremo reso un servizio utile alla nazione.
Ed ecco perché io, a nome del mio gruppo, annuncio il mio voto contrario sul provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD e di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Peretti. Ne ha facoltà.

ETTORE PERETTI. Non è mia abitudine intervenire in circostanze come questa, nelle quali forse è più importante il tempo speso a parlare che la qualità di quello che si dice. E comunque il mio intervento non sarebbe tanto diverso da una normale dichiarazione di voto. Nonostante che le parole in politica siano come pietre, riconosco che in questo caso la battaglia ostruzionistica ha un valore profondo: politico in via generale, ma anche pratico per gli effetti che ne potrebbero derivare.
Non so se al termine di questa maratona, di questa seduta fiume, saremo riusciti a far decadere il decreto-legge in esame. Non sono particolarmente appassionato alla diatriba sulla effettiva data di scadenza di questo decreto-legge; anche se un giorno in più o in meno di pagamento delle tasse - soprattutto se queste sono ingiuste - per noi fa grande differenza.
Quello che invece mi sembra importante è che questo decreto-legge debba decadere proprio per le ragioni per le quali la maggioranza chiede che venga assolutamente approvato. Mi spiego: alcuni esponenti della maggioranza hanno affermato che la mancata approvazione di questo decreto-legge metterebbe a rischio la possibilità per l'Italia di partecipare alla moneta unica fin dall'inizio; con ciò sottolineando l'irresponsabilità dell'opposizione nel provocare tutto questo. Ora, poiché questo decreto-legge prevede un aumento delle entrate IVA stimate in 1.500 miliardi di lire per il 1997 (anno sul quale viene valutato il rispetto o meno del requisito del 3 per cento del rapporto tra deficit e PIL, fondamentale per entrare nella moneta unica) significa che l'entrata nella moneta unica dipende - almeno da ciò che dice la maggioranza - da questi 1.500 miliardi; su un totale del bilancio dello Stato che si aggira attorno ai 700 mila miliardi. E tutto questo quando il requisito del 3 per cento è minacciato dalla presenza nel bilancio dello Stato di quasi 300 mila miliardi di lire di residui passivi, cioè di somme stanziate nel bilancio che hanno già dato origine a decisioni politiche di spesa, non ancora effettivamente spese e che potrebbero essere spese in qualsiasi momento. È una valanga che potrebbe abbattersi in qualsiasi momento e travolgere il fragile argine del fatidico rapporto del 3 per cento.
Penso quindi che l'irresponsabilità stia tutta in questo Governo che non ha la maggioranza per rimuovere, con misure strutturali, questa bomba potenziale che potrebbe fare esplodere i conti pubblici.
Ecco, la mancata conversione in legge di questo decreto-legge, permetterebbe di far venire allo scoperto questa situazione, che è tenuta invece coperta fino a questo momento dalla volontà pervicace del ministro Ciampi di restringere i cordoni della borsa. Ciò permetterebbe di evitare che, una volta entrati nella moneta unica, il prezzo pagato per restarci diventi insopportabile.
Ma la mancata conversione di questo provvedimento, permette anche di mettere a nudo il grande tentativo di mistificazione della realtà portato avanti dal Governo Prodi, che cerca di occultare, complice un sistema dell'informazione compiacente, la vera natura degli atti legislativi che porta.
Faccio alcuni esempi. Le quote latte. Al di là del vergognoso atteggiamento del Governo sul fronte dell'ordine pubblico, il problema delle quote latte è, per questo


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Governo, a leggere il decreto-legge ritirato dal ministro Pinto la scorsa settimana, un problema di ripristino di liquidità, quando invece sappiamo che quel decreto-legge tratta della restituzione di somme indebitamente percepite dallo Stato, che ha comminato agli allevatori delle multe per infrazioni che non hanno commesso.
Seconda mistificazione. Il provvedimento collegato porta un titolo suggestivo: misure per la stabilizzazione della finanza pubblica. In realtà, a leggerlo bene articolo per articolo, si scopre che per metà tratta di argomenti che nulla hanno a che vedere con la legge finanziaria e che non hanno effetto sui saldi, come anche il Presidente Violante ha ritenuto di sottolineare. In secondo luogo, secondo autorevoli centri di studi economici vicini alla sinistra come il CER, si manifestano perplessità sull'effettiva capacità di queste misure di produrre gli effetti sperati. Sarebbe cioè un provvedimento non in grado di far conseguire l'obiettivo del contenimento del deficit nella cifra preventivata nel documento di programmazione economico finanziaria. Quindi, se di stabilizzazione si tratta, è soltanto quella della maggioranza di Governo, che ancora una volta ha allontanato il momento delle scelte difficili, scelte sulle quali la maggioranza uscirebbe completamente a pezzi, visto che risulta irrimediabilmente divisa su tutte le grandi questioni sociali ed economiche, come il lavoro, l'occupazione, il risanamento, la riforma dello Stato sociale e via di seguito.
Terza mistificazione. Nel provvedimento collegato sono sbandierate misure di incentivo e di promozione dell'economia: andiamo a vedere, per esempio, l'articolo 13, che ha un titolo accattivante come «promozione del turismo». La norma prevede il trasferimento all'ENIT di somme non utilizzate pari a 10 miliardi nel triennio. Avete capito bene, 10 miliardi nel triennio, per un settore che da solo contribuisce al saldo della bilancia commerciale per decine e decine di migliaia di miliardi.
Ma c'è una quarta mistificazione, più subdola ed ancora meno accettabile. Il Governo decide quanto togliere, lo raddoppia, finge la concertazione per ammorbidirlo e poi presenta la misura finale come il successo della concertazione e del buon senso. In realtà, il prodotto finale è uguale alla decisione iniziale. Questo è successo sulla riforma delle pensioni per gli autonomi, ma anche sull'introduzione dell'IRAP e sulla modifica delle aliquote IRPEF. Su queste ultime c'è anche una variante in più, che è poi la finta disposizione di qualche partito della maggioranza; ad esempio, il partito popolare sembra aver preso le distanze sia dall'IRAP sia dall'IRPEF. È troppo comodo essere nella maggioranza e far credere di fare opposizione dopo aver capito il tenore della protesta e la giusta critica sui provvedimenti sbagliati. Però questo è uno sport molto in voga nell'Ulivo.
Ricordo che l'onorevole D'Alema, leader del maggior partito della maggioranza di Governo, è andato a marciare a fianco degli operai nella manifestazione che denunciava l'inerzia e l'inefficienza del Governo sul tema dell'occupazione. Non so se questo possa essere considerato un sintomo della volontà di creare un regime. È senz'altro un segno di rozza arroganza, di una presa in giro dei cittadini elettori portata con freddo cinismo. Un vero leader che ha la propria forza politica con responsabilità di Governo non ostenta marce di protesta contro il Governo, ma espone le sue ricette per risolvere i problemi. La realtà è che questa maggioranza ha una politica economica impresentabile. Ciampi l'ha definita una stupidaggine economica, perché è una sciocchezza irresponsabile ricomporre una crisi di Governo con l'accordo sulle 35 ore e spostare 500 miliardi togliendoli dalla riforma del sistema previdenziale per aggiungerli alla lotta all'evasione.
L'accordo di maggioranza è fondato sulla stupidaggine economica. Questo Governo ha una politica economica impresentabile, e poiché questa è anche una politica di rassegnazione e di rinunzia ad una nuova stagione di sviluppo economico, diventa impresentabile anche la sua politica sociale, che finora è riuscita solo

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a tutelare, con provvedimenti corporativi, parte del lavoro dipendente ed il grande capitalismo finanziario. Questo, signor Presidente, è il contesto politico in cui si svolge la discussione della legge finanziaria per il 1998 ed in particolare anche di questo decreto-legge di presunto riordino delle aliquote IVA, che è collegato anch'esso alla finanziaria.
È un provvedimento che è stato presentato come la norma di armonizzazione ad una direttiva economica dell'Unione europea...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Peretti.

ETTORE PERETTI. Concludo subito, signor Presidente. Dicevo che la direttiva comunitaria prevede un regime transitorio con delle aliquote normali non inferiori al 15 per cento, una o due aliquote ridotte non inferiori al 5 per cento ed un regime definitivo con un'aliquote unica ordinaria non inferiore al 15 per cento (Applausi dei deputati del gruppo del CCD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fabris. Ne ha facoltà.

MAURO FABRIS. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, a me dispiace particolarmente dover utilizzare questo tempo prezioso in cui avrei dovuto illustrare le ragioni della nostra opposizione al decreto in esame per dover intervenire sui gravissimi fatti che sono capitati nella mia provincia, a pochissima distanza da dove risiedo, e che hanno coinvolto le forze dell'ordine e i produttori impegnati da più di un anno nella giusta lotta per ottenere ciò che a loro spetta. Mi dispiace che l'organizzazione coatta dei nostri lavori e l'insensibilità del Governo di fronte a fatti ed episodi gravissimi mi costringa a fare questo, ma non ho altra possibilità di esprimere ancora una volta l'indignazione e la condanna per ciò che è capitato.
Proprio perché vivo nella zona dove c'è questo presidio forte, organizzato, di produttori, fin dal primo momento non solo ho espresso solidarietà alle giuste ragioni della lotta di quelle persone, ma ho anche detto che non si doveva cedere né da una parte né dall'altra. Per questo ho evitato, a differenza di qualche altro collega, di strumentalizzare la protesta di questi produttori. Però non si possono tacere le cose gravi che sono capitate e le responsabilità evidenti, determinanti, negli accadimenti che poi si sono succeduti, del Ministero dell'interno, di chi ha coordinato le forze dell'ordine da una settimana a questa parte lungo l'autostrada Serenissima.
Non si possono tacere perché è stato proprio questo tipo di comportamento a generare non solo la violenza gratuita, stupida, cieca delle forze dell'ordine contro i produttori che protestavano e anche le persone di passaggio; il ferimento di una donna e del suo bambino accaduto ieri, come so per conoscenza diretta, perché persone a me vicine che erano presenti mi hanno riferito quanto stava accadendo, dimostra che si è colpito in maniera cieca, violenta, senza alcuna ragione, anche chi non aveva alcuna responsabilità in episodi che io per primo avevo denunciato, cioè episodi che limitano la libertà di altre persone quando si interrompe la circolazione, quando si interrompe l'autostrada, quando si rallenta il traffico nelle arterie di scorrimento attorno all'autostrada stessa. Ma la cosa grave non è tanto e solo questa, e non è nemmeno l'insipienza del ministro Pinto.

PRESIDENTE. Onorevole Fabris, a norma dell'articolo 39, comma 3, del regolamento, lei non può discostarsi dal merito della questione. L'ho lasciata parlare perché i fatti sono senz'altro gravi e meritano una menzione, ma non vada oltre. Grazie.

MAURO FABRIS. Certo. Non voglio banalizzare rispondendole che poi avrei parlato dell'IVA sul latte. Le vorrei solo dire che ad un parlamentare che vive in quelle zone e che sa realmente cosa sta capitando non è data alcuna possibilità di esprimere la propria indignazione e di


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portare a conoscenza della Camera vicende che essa purtroppo non può conoscere, perché non ci sarà modo, sino a sabato prossimo, di sapere cosa sta capitando in questo paese. Poiché è stata messa la museruola ad un certo tipo di informazione, anche se fortunatamente esistono almeno le immagini che hanno fatto emergere le responsabilità di qualche membro della maggioranza, di tali vicende non si può tacere.
Ciò detto, signor Presidente, giacché da parte mia e del mio gruppo vi è sempre il rispetto delle leggi e delle norme che regolano la civile convivenza, entrerò nel merito del tema oggetto del nostro dibattito, non senza aver prima ricordato che abbiamo chiesto le dimissioni del ministro dell'interno. Esiste infatti da tempo in Veneto una strategia pericolosa ed inquietante che - secondo noi - vede complice il Ministero dell'interno.
Come ho detto all'inizio del mio intervento, mi è dispiaciuto perdere qualche minuto prezioso e sottrarre tempo alle riflessioni sul contenuto del decreto-legge. Avrei infatti voluto poter parlare delle inique proposte oggi al nostro esame. Si tratta di iniquità, perché non vi è alcuna selezione nelle proposte di aumento delle aliquote IVA effettuato con il provvedimento. Eppure, sarebbe stato necessario farlo, poiché non è possibile, solo per esigenze di cassa, solo per raggranellare alcune risorse, colpire indiscriminatamente settori produttivi e di servizi che avrebbero invece bisogno di un sostegno.
Ricordo al sottosegretario, che è sempre molto attento e responsabile nei suoi interventi, che vi è una sorta di schizofrenia nella politica del Governo. Mi riferisco per esempio all'edilizia residenziale, settore verso il quale da mesi il Governo sbandiera questioni concernenti le abitazioni con espressioni del tipo «rottamiamo le case» ed «imbianchiamo l'Italia». Ciò è, infatti, quanto da mesi state promettendo al paese. Poi invece aumentate l'IVA sui materiali edili, senza dire una parola sul fatto che dal 1 gennaio si applicherà l'aliquota del 20 per cento sulle manutenzioni straordinarie. Avete promesso, in maniera demagogica e propagandistica, che con il prossimo anno il cittadino potrà detrarre il 41 per cento delle spese per la manutenzione straordinaria dalla denuncia dei redditi. Avete però dimenticato di contenere il ritorno dell'IVA al 20 per cento, senza contare appunto che tale aumento riguarda anche i materiali edili.
Tutto ciò, signor sottosegretario, significa che quel provvedimento, che condividiamo nelle sue finalità, non potrà raggiungere i suoi scopi. Siamo ancora una volta di fronte alla politica dell'annuncio, delle aspettative, che è la cosa peggiore per settori strategici del nostro paese. L'economia vive di aspettative; ma se voi create false possibilità, la gente non potrà più fidarsi ad investire in certi comparti (ho fatto l'esempio delle abitazioni), non avrà più certezze.
Le ricordo inoltre, signor sottosegretario, affinché lo segnali al ministro Costa, che il 31 gennaio prossimo scade l'ennesima proroga degli sfratti. Pertanto, ci troveremo ancora una volta a dover affrontare un'emergenza in cui tante famiglie si trovano. Il ministro aveva promesso una legge dal lontano giugno 1996; invece, ci troviamo ancora con le proroghe. Le segnalo tale fatto, perché poi verrete in Assemblea a dirci che vi è la scadenza e che, quindi, bisognerà necessariamente operare un'altra proroga oppure accontentarsi delle poche lire che avete previsto nella legge finanziaria per il sostegno ai ceti meno abbienti, per il rilancio - il mitico progetto del quale parlate da mesi - delle abitazioni del nostro paese.
Sono tutti fattori che un'opposizione responsabile deve indicare al paese e, se è possibile, se avrete la bontà di ascoltarci, anche al Governo. Lo facciamo nell'interesse non di una parte, ma in vista di quegli obiettivi che voi per primi dichiarate di voler perseguire. Su questa strada non si crea nulla, si determinano solo aspettative tra loro contrastanti.
Potrei continuare con altri esempi relativi ai settori toccati dal provvedimento. Tuttavia la questione dell'edilizia, dal mio punto di vista, è la più emblematica,

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perché viene penalizzato un settore che, in questi anni, ha perso decine di migliaia di posti di lavoro, un settore in cui non riuscite a far emergere tutto quel sommerso che colpisce l'economia sana e le casse dello Stato. Questo è l'altro aspetto, che non avete compreso, della nostra protesta. Non siamo contrari al fatto che ciascuno paghi in rapporto alle proprie disponibilità. Questo è un discorso che ci viene continuamente contestato dalla sinistra. Non si tratta di questo; non comprendete che più l'inasprimento fiscale è iniquo e non consente di aumentare la produzione e la ricchezza del nostro paese, più l'Italia rischierà di impoverirsi e di non disporre delle risorse che servono non solo per sostenere le spese dello Stato, ma anche per tutelare le fasce più deboli della popolazione (il cosiddetto Stato sociale). Quando voi aumentate l'IVA in molti settori che non lo meriterebbero, non facilitate - è sempre il caso del comparto edile - la riemersione di quei redditi che volete recuperare.
Queste sono le ragioni per cui personalmente ed a nome del mio gruppo esprimerò un voto contrario sul provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD e di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Follini. Ne ha facoltà.

MARCO FOLLINI. Presidente, colleghi, il nostro gruppo ha manifestato una forte contrarietà nei confronti di questo decreto-legge e del Governo, e credo che il dibattito di queste ore abbia posto in adeguata evidenza le ragioni della nostra opposizione.
Prima di entrare nel merito di tali motivazioni, vorrei cercare di sciogliere due nodi che minacciano di soffocare il nostro dibattito. Il primo riguarda la natura del Governo; il secondo concerne il rapporto con l'opposizione, che si è rivelato, in questo frangente, assai difficile e, per qualche verso, tempestoso.
La natura del Governo - com'è stato rilevato da molti osservatori - è quella di esprimere una vocazione onnicomprensiva. La cronaca della vita politica di questi mesi ha messo in luce la propensione del Governo ad occupare tutti gli spazi, a recitare tutte le parti. Credo che alcuni aspetti della sua politica economica, sociale e fiscale rientrino in tale disegno.
L'onorevole Giovanardi, presidente del nostro gruppo parlamentare, ricorda spesso l'intervento con cui il Presidente del Consiglio presentò alla Camera il suo Governo. Si trattò di una rappresentazione, molto ottimistica, indulgente e generosa con se stesso, con cui il Presidente Prodi volle descrivere la maggioranza, ma sarebbe meglio dire una sorta di arca di Noè, nella quale avevano trovato posto tutte le specie della politica italiana e nella quale si radunava il meglio - così affermò allora il Presidente del Consiglio - della tradizione cattolico-democratica, repubblicana, riformatrice e chi più ne ha più ne metta. Sembrava quasi che fuori dal cerchio magico di questa maggioranza ci fossero i barbari (che poi saremmo noi), costretti all'opposizione.
A partire da quel discorso, abbiamo visto progredire tale singolare teoria politica. Abbiamo visto il partito della sinistra, che nelle condizioni normali - uso l'aggettivo che piace tanto al segretario del PDS - dovrebbe svolgere un ruolo socialdemocratico, assumere invece vesti del tutto diverse. Abbiamo assistito ad una singolare campagna acquisti ed all'approdo di Di Pietro nella maggioranza. Insomma, per dirla con le parole del senatore Cossiga, abbiamo visto costituirsi una coalizione di sinistra-centro-destra che tutto è fuorché normale.
Mentre però questa vocazione politica ad essere onnicomprensivi ha fatto qualche progresso in questi mesi, credo che se noi analizziamo i dati della politica economica e sociale balza all'occhio come questo Governo, questa maggioranza sia una coalizione di parte, che organizza e tutela alcuni interessi, alcuni segmenti della società e li organizza e li tutela contro altri interessi ed altri segmenti della società.


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Questo è un Governo singolarmente sollecito verso le grandi confederazioni sindacali, fino quasi all'ossequio verso alcuni settori industriali; è un Governo disattento verso chiunque si trovi all'esterno di questo cerchio magico della concertazione, che sembra un po' la bandiera laburista del Governo dell'Ulivo.
Voglio ricordare - ma questo dibattito lo ha messo sufficientemente in risalto - che fuori da questo cerchio magico si trovano i ceti medi, si trova il popolo delle partite IVA, quelle 5 milioni di attività e di persone cui faceva riferimento poco fa l'onorevole Manzione; fuori da questo cerchio magico si trova la piccola e media impresa che sarà esposta sempre più al vento gelido di una concorrenza che nei prossimi anni dovrà affrontare senza la risorsa di un rapporto di cambio favorevole; soprattutto fuori da questo cerchio magico si trovano tutti coloro che non sono garantiti dal patto sociale che si è stretto intorno al Governo. Credo che l'immagine di una sinistra-centro-destra che abbraccia un po' tutti viene dissolta non appena si passa ad esaminare la politica fiscale e le proposte del Governo sullo Stato sociale ed assistenziale, sulla rigidità del lavoro, su tutto quello che scava una differenza forte tra il Governo stesso e l'opposizione.
Il secondo nodo è appunto quello dei rapporti tra questo Governo, questa maggioranza, questo Parlamento e, per quanto ci riguarda, questa opposizione.
Abbiamo visto affiorare pericolosamente in queste ore una concezione sbrigativa, insofferente e decisionista da parte del Governo. La sola idea che si potessero radunare i parlamentari amici in un cinema della capitale nelle stesse ore in cui l'Assemblea era impegnata a discutere in tempi forzati un decreto di questa portata dà l'idea di un conto che non torna nel rapporto tra l'esecutivo e il Parlamento.
Sono tra quelli che considerano con qualche perplessità la scelta che un anno fa ci trovammo costretti a prendere e che fu, con qualche forzatura del linguaggio, ribattezzata una scelta aventiniana sulla finanziaria. Ma se quello fu un errore - diciamo un errore umano per stare al proverbio - credo che 30 fiducie una sull'altra chieste al Parlamento siano una perseveratio diabolica e che l'Aventino della maggioranza - se di questo si tratta - rappresenta un ulteriore strumento del diavolo.
Siamo impegnati per la nostra parte a sostenere un dialogo istituzionale, ma lo vediamo vanificato in passaggi come questi, perché ci sembra che la vera competizione che avviene in queste ore in Parlamento sia quella tra due forme diverse e diversamente legittime di ostruzionismo. C'è un ostruzionismo del Governo contro il Parlamento e la richiesta di fiducia è in primo luogo un'arma puntata contro il dissenso che può nascere all'interno della maggioranza. C'è poi una forma di ostruzionismo che assomiglia per qualche verso ad una legittima difesa dell'opposizione contro il Governo. Credo ci sia un forte sapore di integralismo in questa posizione del Governo, nella sua propensione a farsi potere e a celebrarsi e a venire celebrato come verità. La nostra battaglia parlamentare vuole anche togliere di mezzo questa propensione che è gravida di rischi.
A chi nei giorni scorsi si interrogava sulla sorte dell'opposizione abbiamo cercato di offrire l'esempio di una battaglia limpida e severa, che crediamo valga a fugare il dubbio su un'opposizione a corto di idee e di argomenti e priva di forza e di convinzione.
Debbo dire che le ragioni che il Governo ha portato a sostegno di questo decreto non ci hanno convinto. Il Governo afferma che questo provvedimento sull'IVA è l'adeguamento ad una normativa fiscale ed europea. Ricordo qui le considerazioni che su questo tema hanno svolto nel dibattito generale, prima che si passasse all'esame degli ordini del giorno, alcuni amici dei nostri gruppi, in particolare gli onorevoli Peretti e Volonté. Si è ricordato che la sfida europea è stata addotta per introdurre 18 provvedimenti delegati che riformano globalmente il sistema fiscale italiano con il fine non

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dichiarato di attuare un'ulteriore manovra finanziaria. Il Governo batte cassa e l'unico modo per garantirsi introiti sicuri è quello di aumentare le tasse. Il provvedimento aumenta le aliquote con la scusa di ridurne il numero producendo un effetto duplice: da un lato quello di colpire i beni di largo consumo; dall'altro quello di accrescere la sperequazione tra imposizione diretta ed indiretta a danno di quest'ultima (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD e di forza Italia).

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Follini.

MARCO FOLLINI. Presidente, non ho tenuto il conto, ma non credo...

PRESIDENTE. Sono già passati venti secondi oltre il suo tempo.
Grazie, onorevole Follini.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Angeloni. Ne ha facoltà.

VINCENZO BERARDINO ANGELONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quello su cui il Polo e la lega incalzano un Governo protervo, sorretto da una maggioranza sfilacciata, è uno di quei temi classici sui quali si misurano da tempo le democrazie nel bipolarismo, quello delle imposte.
L'esecutivo, tra solidarietà annunciate e servizi negati, con questo decreto vuole di nuovo, in un paese esausto, aumentare la pressione fiscale di 5 mila miliardi e pretende di usare lo strumento dell'IVA come un torchio per la spremitura. Siamo tutti sotto schiaffo: consumatori finali e famiglie.
Il nuovo contesto tributario minaccia le imprese e, soprattutto, quel tessuto di piccole e medie aziende che fino ad ora hanno assorbito i molti colpi della congiuntura; minaccia l'Italia urbana, quella rurale, quella marinara e quella montana; tema forte questo che salda oggettivamente gli umori dei ceti medi e del mondo produttivo all'unica opposizione esistente.
C'è un vasto settore del paese che è stanco di subire, di essere spremuto a favore della rottamazione e di altro e c'è un solo schieramento politico che lo rappresenta validamente, cioè il Polo per le libertà e la lega nord per l'indipendenza della Padania. Offendendo noi per il tipo di opposizione che stiamo facendo, voi colleghi dell'Ulivo, voi del Governo, offendete quella maggioranza numerica che ha votato il 21 aprile e che per una strampalata legge elettorale voi oggi governate.
L'opposizione dà battaglia al Governo, cerca di contrastare il sistematico ricorso al voto di fiducia (per l'appunto la trentesima); lo fa il Parlamento con un'energia che stupisce tutti gli illustri clinici che già ci davano per spacciati.
Il Polo e la lega hanno infatti deciso di coalizzarsi contro l'arroganza dell'esecutivo. Stiamo cercando di far decadere il decreto sull'IVA, che per rimanere in vigore deve essere assolutamente approvato entro la mezzanotte del giorno che fa comodo al Governo.
Abbiamo detto, signor Presidente, che non abbiamo mai creduto all'affermazione del Governo secondo la quale questo provvedimento tende a realizzare un più marcato allineamento alle direttive comunitarie. Certo, esiste una direttiva europea ed è altrettanto certo che ad essa, come a tutte le altre ci dobbiamo adeguare. Siamo europeisti convinti; lo abbiamo detto e lo abbiamo dimostrato più volte qui in aula con il nostro atteggiamento. Ricordiamo che nel regime transitorio l'aliquota IVA normale non deve essere inferiore al 15 per cento. Questo è un dato di fatto, ma nessuno ha detto che debba necessariamente ed obbligatoriamente attestarsi al 20 per cento. Così facendo l'Italia si pone, rispetto agli altri paesi comunitari, tra i più esosi in materia di IVA. Per impedire questo la nostra azione si protrarrà fino all'ultimo secondo utile per far decadere il decreto.
Il signor Presidente del Consiglio si dice preoccupato per il nostro atteggiamento ed agita lo spauracchio dell'ingresso in Europa, dicendo che la mancata approvazione del decreto farebbe saltare


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tutti i conti del Governo, che sarebbe costretto a rinunciare a più di 5 mila miliardi di entrate.
Non condividiamo tale preoccupazione e poi le diciamo, signor Presidente del Consiglio, che se si preoccupa di perdere tale entrata, dovrebbe a maggior ragione preoccuparsi per il mancato introito fiscale dovuto dalla Philip Morris, pari a 22 mila miliardi che, sommati agli interessi e alle multe, diventano circa 60 mila miliardi, un'intera manovra finanziaria.
Se ella ed il suo ministro vi foste preoccupati di accelerare i tempi di recupero di tale evasione fiscale a danno dello Stato, oggi noi dell'opposizione non staremmo qui a quest'ora per impedire un nuovo inasprimento fiscale contro tutto il tessuto produttivo, ma ringrazieremmo lei ed il suo ministro per aver recuperato quel denaro che non avrebbe fatto pesare sulle spalle degli italiani onesti questo nuovo inasprimento fiscale.
La maggioranza dovrebbe essere felice, dato che fino a ieri ci ha sfinito sostenendo che si sentiva zoppa, perché senza avversari che la stimolassero. Ora che è il momento del confronto in aula loro, gli unti del Signore, non esultano, anzi se ne vanno in un cinema per criticare l'opposizione.
Cari colleghi dell'Ulivo, ricorrete a tutti i mezzi per negare a noi dell'opposizione ogni diritto, ma questo non ci stupisce, perché sappiamo bene che nella cultura politica delle sinistre le opposizioni, quando ne permettete l'esistenza, devono pensarla sempre come la maggioranza.
L'esecutivo usa la fiducia come un clava e strepita quando l'opposizione non ha la finezza, la delicatezza di essere come lui la vuole.
Quindi siamo ancora in quest'aula per difendere tutti quegli italiani che non possono reagire, in quanto abbandonati anche dai sindacati che una volta erano controllori degli atti governativi ed oggi sono i notai della logica di questo regime. Siamo qui soprattutto per dimostrare che l'opposizione c'è, si vede ed è viva (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD e di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Galati. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE GALATI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge sull'accorpamento delle aliquote IVA rappresenta, ancora una volta, in maniera simbolica un chiaro esempio di quello che sarebbe preferibile non fare per risanare i conti dello Stato.
Questo Governo, violando le regole di una sana democrazia, rifuggendo il contraddittorio, ha deciso di continuare nella logia perversa di incremento della pressione fiscale, dimostrando ancora una volta la sua incapacità di contenere e controllare la dinamica della spesa pubblica.
Questo modo anomalo di procedere è stato contestato dal centro cristiano democratico e dalle altre opposizioni. Vi era la necessità di predisporre interventi reali, strutturali, di razionalizzazione della spesa pubblica. Invece si rischia di allontanare in maniera irreversibile la ripresa occupazionale e produttiva.
Le imprese operanti nel nostro paese, gravate da questi oneri fiscali, finiranno per scegliere altri territori ed altre nazioni per esplicare la propria attività produttiva.
Queste ragioni e questa tardiva consapevolezza di ciò che potremmo definire come l'ennesimo buco di cassa hanno indotto il Governo ad introdurre un aumento delle aliquote IVA.
Non avremmo voluto che un dibattito tanto importante finisse in questa maniera, visto che si tratta di disposizioni tributarie urgenti.
In quest'aula con il dibattito che si è svolto nelle ore notturne la vera grande sconfitta è la moderazione, cui la maggioranza si sarebbe dovuta attenere, dando ascolto alle proposte dell'opposizione. Invece, ancora una volta, la richiesta del voto di fiducia e la volontà di non discutere indicano anche le grandi difficoltà che si avvertono all'interno dell'Ulivo per le grandi promesse che erano state fatte durante la campagna elettorale. Si


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parlava di minore pressione fiscale, di ulteriori sforzi per assicurare un periodo felice alle famiglie e alla ripresa economica. Questo provvedimento dovrebbe portare nelle casse dello Stato 7 mila 500 miliardi. Invece si sarebbe dovuta fare una razionalizzazione della spesa pubblica, che ancora oggi non è nell'agenda del Governo.
Si è depressa l'economia del paese e si rischia di allontanare giovani da una volontà di ripresa. Si sarebbe dovuta fare un'adeguata semplificazione fiscale, che è cosa diversa da questa comoda riduzione del numero delle aliquote.
Dopo l'attacco al ceto medio condotto con le modifiche al sistema pensionistico arrivano ora questi aumenti dell'IVA, che rischiano di deprimere le famiglie più povere e le classi medie del paese.
Ancora una volta, non prendendo in considerazione le proposte dell'opposizione, si cerca di comprimere il nerbo vitale di questo paese, la piccola e media impresa, dimenticando che essa produce il 60 per cento del prodotto interno lordo e dunque non può essere penalizzata con una politica fiscale e tributaria assolutamente incomprensibile.
Eppure l'opposizione con emendamenti tecnici diretti a salvaguardare il complesso delle aziende su cui si basa la nostra economia aveva cercato di rendere possibile un aggiustamento delle disposizioni tributarie.
Il Governo, invece di ascoltare ed accettare il consiglio dell'opposizione, di questa opposizione che rappresenta larghe fasce del paese, ha posto ancora una volta la questione di fiducia. E siamo stati costretti a questa forma di ostruzionismo parlamentare per rivendicare diritti che, invece, un sano dibattito ed una sana discussione avrebbero potuto tutelare nell'interesse complessivo del paese.
Si tratta di un decreto con il quale si colpisce la piccola e media impresa, soprattutto meridionale, che viene chiamata in causa, ma per la cui ripresa questo Governo non ha ancora fornito significativi indirizzi.
Il Governo penalizza, dunque, chi lavora, chi produce, chi vuole offrire ai giovani disoccupati una speranza ed un futuro.
Su queste materie sarebbe stato necessario un dibattito, invece l'arroganza della maggioranza, che ha blindato il provvedimento, rischia di fare in modo che buona parte del popolo italiano non sia rappresentata in questa discussione.
Credo che porre la questione di fiducia su una materia così importante fosse l'ultima delle soluzioni possibili. Con questa forma di ostruzionismo ci troviamo a rappresentare gli interessi del paese. Credo che chi ci ascolta sarà in grado di capire la nostra lotta politica (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD e di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo dibattito si svolge in un clima politico abbastanza teso ed è difficile per un'opposizione rapportarsi con questo tipo di maggioranza, con questo Governo sostenuto da partiti che, quando per decenni sono stati, a loro volta, all'opposizione, erano ipersensibili sulle questioni che riguardavano i regolamenti delle Camere e su quelle di tipo morale, ma una volta che hanno assunto il governo del paese certamente non brillano per il rispetto di principi di libertà e di spazio per le opposizioni e neppure per l'attenzione alle questioni morali ed economiche.
Mi viene in mente che tutte le mattine su Canale 5 va in onda un spot televisivo, dove un sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale, l'ineffabile presidente della Federcasalinghe, si fa propaganda, invitando le donne ad iscriversi alla sua associazione. Poi compaiono i logos delle banche e del Ministero del tesoro, che evidentemente hanno una relazione con quella campagna pubblicitaria che costa mezzo miliardo (sì, mezzo miliardo!). C'è da chiedersi come faccia il


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Tesoro a pagare una campagna del sottosegretario. Questi sono problemi oggetto di interpellanze, sui quali il Governo glissa, come se si trattasse di questioni secondarie per la trasparenza e la moralità della vita pubblica del paese.
In ordine al decreto al nostro esame si ripete, ancora una volta, in questo contesto, una sceneggiata: il Governo dice che ci porterà in Europa con i conti in regola ed invece ha costruito artifici contabili.
Queste cose sono state dette, scritte e dimostrate, anche sulla prima pagina del Corriere della sera e riprese dal professor Giavazzi l'altro giorno. Le avevamo dette anche noi, modestamente, quando dopo la crisi di Governo siamo riusciti ad avere la trimestrale di cassa. Probabilmente ricorderete che io denunciai in quest'aula l'ultimo giorno della crisi di Governo l'impossibilità per i parlamentari di vedere i dati della trimestrale: sono arrivati, dopo la conclusione della crisi, ed hanno dimostrato quello che era difficile immaginare, e cioè che la politica di cosmesi di questo Governo è impressionante.

È impressionante come, pur avendo stanziato somme, esse non siano state pagate: da 99 mila miliardi a 33 mila miliardi non trasferiti ai beneficiari con la scusa che intanto l'AIMA, i comuni, le regioni, possono utilizzare le disponibilità di cassa. Ma non sono state modificate le leggi di spesa, quindi questa montagna di pagamenti prima o poi dovrà essere pagata, così come i debiti dello Stato per l'IRPEF e per l'IVA, che lo Stato non paga, prima o poi dovranno essere pagati. Purtroppo per tantissime aziende sarà tardi, perché in nome di questo falso risanamento non solo non si spendono più i soldi che sono stati stanziati, ma non si restituiscono neanche ai cittadini e alle imprese quelle somme che hanno anticipato allo Stato da anni e che hanno diritto di riavere. Nei paesi europei ciò avviene in un mese, mentre da noi non avviene né in un anno, né in due anni, né in tre anni, perché il Governo, appositamente, non paga le somme che deve pagare. E a poco servono le proteste dei produttori, delle associazioni di categoria, delle stesse famiglie, che avrebbero il diritto di riavere indietro le somme di IRPEF che hanno anticipato allo Stato, che non sono dovute ma non vengono restituite.
Questo è il meccanismo che fa apparire un bilancio risanato, ma che in realtà non fa altro che spostare i problemi in avanti. E i problemi diventeranno sempre più drammatici perché il Governo non è stato capace di toccare il meccanismo della spesa pubblica, di porre mano a quelle riforme strutturali che avrebbero veramente ridotto la spesa pubblica. E non perché lo abbiamo detto noi, ma perché il signor Prodi, al tempo della riforma pensionistica di Berlusconi, lo attaccò duramente affermando che era insufficiente. Ricordo le frasi esatte che usò dopo l'accordo tra il governo Berlusconi ed i sindacati: il cinico Berlusconi fa pagare ai giovani, alle nuove generazioni questo patto egoistico con i cinquantenni, disse Romano Prodi. E, diventato Presidente del Consiglio, ha fatto esattamente il rovescio, arrivando persino a contraddire i risultati della Commissione che aveva insediato.
Nessuna riforma strutturale, quindi, ma artifici contabili, maquillage, con i problemi che non solo non sono stati risolti, ma si aggraveranno, nell'ambito di un paese che, se entrerà in Europa, lo farà in queste condizioni e dovrà poi fare i conti con l'impossibilità di rimanervi perché la spesa pubblica non è stata messa sotto controllo. Il decreto-legge in esame si muove in questa linea: altri 5 mila miliardi di prelievo, un altro inasprimento che riguarda direttamente le aziende, le imprese, il mondo che lavora e i cittadini che ne pagheranno le conseguenze, sulla linea di un avventurismo economico che spaventa e di una certezza (lo dico anche in ordine ai tempi di questo dibattito) che, se facessi parte del Governo, non mi farebbe stare tanto tranquillo.
Come ha detto il collega Manzione, questo decreto scade stanotte, a mezzanotte, non domani. È entrato in vigore eccezionalmente (lo dice l'articolo 8) il giorno stesso della sua pubblicazione; è

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una norma-catenaccio in materia fiscale, deroga al codice civile, tant'è vero che, anche se pubblicato alle 23,55, gli effetti retroagiscono fino alla mezzanotte e un minuto di quello stesso giorno. Questo anche se i cittadini non ne hanno avuto conoscenza; e non potevano averne, perché, se la Gazzetta Ufficiale viene pubblicata la sera, quelle norme hanno effetto fin dal mattino perché sono norme fiscali. È sempre stato usato questo metodo «catenaccio» per evitare speculazioni in una materia delicata come quella fiscale.
Applicando l'eliminazione del dies a quo, vorrebbe dire che il decreto quel giorno non ha avuto effetto. Ci sarebbero decreti che hanno effetto per 60 giorni ed altri che hanno effetto per 61 giorni: 60 giorni i decreti normali, che entrano in vigore il giorno dopo la pubblicazione, e allora il dies a quo non si computa, perché nel dies a quo quel decreto non aveva nessun effetto. In questo caso eccezionale di norma fiscale, norma-catenaccio l'effetto è immediato fin dal 30 novembre. Quando il costituente ha parlato di 60 giorni, si è riferito al fatto che i provvedimenti di necessità e di urgenza del Governo dovevano essere limitati in modo preciso, anche nei loro effetti. Non può essere che vi siano vigenze di provvedimenti non convertiti di 60 giorni e vigenze di 61 giorni, a seconda che l'effetto sia immediato o che, come è nella regola, fuori dalle eccezioni abbia vigore dal giorno dopo.
Per tale questione investiremo del problema la Corte costituzionale, non perché siamo degli sprovveduti, ma perché abbiamo già interpellato la migliore dottrina costituzionalistica, gli esperti in materia, gli operatori del Parlamento, e abbiamo avuto una risposta univoca: o il decreto scade questa sera a mezzanotte oppure il problema è serio e va approfondito. Si è parlato di precedenti, ma io non ho visto la Presidenza della Camera fornire alcun precedente di un decreto-catenaccio in materia fiscale convertito il sessantunesimo giorno. Se ci fossero stati precedenti, sarebbero stati prodotti.
Si assiste anche in questo caso ad una disinvoltura disarmante, che incide su una materia delicata come quella di rango costituzionale, dando per certo e per scontato quello che certo e scontato non è. Ciò che spaventa è che non si viene neanche sfiorati dal dubbio che esista un problema serio rispetto a questa coperta che si vuole tirare da una parte o dall'altra e che, comunque la si tiri, lascia scoperta non una norma di tipo procedurale, perché i termini del codice di procedura civile sono termini ordinatori o perentori che riguardano le procedure e non la sostanza, il merito di un problema delicato come quello della vigenza di un decreto-legge.
Per tutte queste ragioni confermiamo la nostra opposizione al decreto-legge in esame e continueremo una battaglia che riteniamo di aver condotto in questo Parlamento in difesa della democrazia (Applausi dei deputati del gruppo CCD).

RAFFAELE COSTA. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELE COSTA. Presidente, il regolamento, secondo l'interpretazione corrente, stabilisce che quando l'Ufficio di Presidenza o il Presidente danno indicazioni circa la presenza del Governo in aula e circa la presenza del ministro dell'interno per rispondere ad interrogazioni o per dare chiarimenti su fatti gravi avvenuti nel paese, tale presenza debba verificarsi. Non ritengo che ci siano state date indicazioni sufficienti circa la mancanza dello stesso ministro questa mattina.
Io mi sono alzato alle 3,30 (fatto quasi unico nella mia vita) per venire in quest'aula ad ascoltare il ministro dell'interno che alle 4 avrebbe dovuto riferire sui fatti di Vicenza. Stranamente, stiamo qui ad aspettare, ma sono passate tre ore e mezzo e il ministro ancora non è arrivato. Vorrei un chiarimento da parte della Presidenza e vorrei che a questo proposito i colleghi potessero esprimere la loro


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opinione, perché si tratta di una situazione difficile. Vi è stato uno scontro tra le forze di polizia, che facevano il loro lavoro, per carità, e i dimostranti che manifestavano per le note ragioni. Su questo vi è stato un intervento anche ripetuto da parte dei sindacati di polizia e, prima che faccia giorno, si attende una parola chiarificatrice da parte del Governo. Diversamente, gli animi potrebbero essere ancora esacerbati proprio da una mancata risposta da parte del Governo.

PRESIDENTE. Riguardo a questo problema, onorevole Costa, ha già riferito il Presidente della Camera stabilendo, come risulta dai resoconti, che le comunicazioni del Governo sugli scontri tra polizia ed allevatori avranno luogo al termine della seduta fiume.

RAFFAELE COSTA. Mi permetta solo una parola!

PRESIDENTE. Questo è quanto ha comunicato il Presidente ed è ciò che posso risponderle.

RAFFAELE COSTA. Non voglio far perdere tempo, Presidente, ma solo segnalare che la seduta fiume si ritiene possa concludersi nella giornata di domani. Che significato avrebbe che il ministro dell'interno venga a riferire nella giornata di domani se gli incidenti si sarebbero conclusi almeno 48 ore prima (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)? Questa mi sembra veramente una stranezza! C'è quindi un Governo inadempiente ed un ministro dell'interno anch'esso inadempiente rispetto ai suoi doveri.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Garra. Ne ha facoltà.

MAURO FABRIS. Stato di polizia avrebbero detto in altri tempi! Quando tiravano le molotov!

PRESIDENTE. Onorevole Fabris, per favore! La richiamo all'ordine, onorevole Fabris.
Parli pure, onorevole Garra.

GIACOMO GARRA. Presidente, spero che detrarrà i secondi perduti. Questa è un'ora in cui la stragrande maggioranza degli italiani ha finito di dormire; vi è però un buon numero di italiani che sta ancora dormendo. Parlerò dunque di un sogno in cui il passato, il presente e il futuro si intersecano, proprio come avviene nei sogni.
Il mio sogno riguarda il fatto che i miei nipoti, che ora hanno 4 e 2 anni sono diventati nel sogno uno imprenditore e l'altro professionista, vengono a trovarmi - io non sono più giovanissimo - e mi chiedono come mai il Governo ha aumentato l'imposta generale sull'entrata dal 3 al 4 per cento e come mai è prevista, ad opera dei comuni, una torchiatura delle imposte di consumo che arreca ai contribuenti nuovi aggravi. Come ho detto nel sogno presente, passato e futuro si intersecano e con i ricordi sono andato ai tempi in cui l'IGE (imposta generale sull'entrata) subì un aumento dal 3 al 3,5 per cento. Ricordo un manifesto del partito della destra di allora il cui titolo era «L'arciladro Governo». Ora l'IVA è tendenzialmente tutta al 20 per cento. Non si chiama dunque più imposta sul valore aggiunto, ma imposta vampiro (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)! Non è infatti possibile ipotizzare che un valore aggiunto che negli anni '60 e fino alla riforma del 1972 si aggirava intorno al 3-4 per cento e che con l'inclusione della quota di imposta di consumo poteva arrivare al 7-8 per cento rappresenti ora un quinto, il 20 per cento.
Quella del prelievo fiscale è una locomotiva che corre follemente e che rischia di fermarsi solo quando avrà consumato tutto il carburante che la spinge. No, signor Presidente, questo decreto-legge, questa manovra, che secondo le dichiarazioni del Governo è necessaria perché si conservi il passaporto per entrare in Europa, è il pretesto che si ripeterà, come negli anni della prima Repubblica, ogni 4-5 mesi. Con il pretesto di conservare in tasca il portafoglio per l'Europa, state


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tranquilli che avremo una manovrina ogni 3, 4 o 6 mesi; l'avremo certamente, tant'è che la stampa di ieri era già preoccupata di un buco di 5 mila miliardi. Quando si comincia a parlare di un buco del genere per calcoli fatti male in sede di collegato e di finanziaria, state tranquilli che incombe nell'aria un'ennesima manovrina.
Signor Presidente, ho fatto il magistrato e ora faccio il deputato, ma ho un hobby, quello della filologia. Mi affascina comprendere il significato, l'etimologia delle parole, i loro sinonimi. Mi chiedo se sia un dispregiativo di fisco la parola fiscalità o fiscalismo; mi chiedo se dispregiativo della locuzione fisco sia il nome Visco; mi chiedo se dopo l'abuso del termine fiscalità non possa nascere il neologismo «viscalità» e così via. Mi riprometto una ricerca filologica sulla parola «stupidaggine», utilizzata dal ministro tuttologo, niente di meno che il superministro Ciampi. Qual è la spiegazione di siffatta locuzione? E, soprattutto, chi è il destinatario della locuzione stupidaggine? Apparentemente il destinatario di tale locuzione sarebbe il solito Bertinotti. E no, signor Presidente! Dal momento in cui Prodi ha fatto proprio il programma delle 35 ore, inizialmente partito da Bertinotti e da rifondazione comunista, se l'affermazione di Prodi è la stessa di Bertinotti la «stupidaggine» si riferisce proprio al Presidente del Consiglio dei ministri. Siamo quindi in un'Italia in cui non sono solo le bande dei magistrati siciliani a combattersi tra di loro in maniera indecorosa, tale da far perdere ai cittadini la fiducia nello Stato; siamo anche alle lotte in punta di penna, quelle cardinalizie all'interno dei palazzi dove Ciampi può dire che una scelta del Governo è una stupidaggine. Ma quanti governi abbiamo in Italia, vi chiedo? Mi riservo comunque di tornare sull'argomento e sulla ricerca filologica che ho poc'anzi enunciato.
Parliamo ora delle conseguenze degli aggravi di IVA, per esempio sul vino. Si tratta di un aggravio dell'11 per cento che giustamente preoccupa i produttori del settore della viticoltura, tenuto conto che il nostro vino è in difficoltà sui mercati mondiali perché altri prodotti offerti sono largamente concorrenziali. Comprenderete come un aggravio dell'11 per cento finisca con il porre fuori mercato la nostra esportazione di vini oltre a comportare una contrazione dei consumi interni, per esempio a vantaggio di altre bevande come la birra o la Coca-Cola.
Vi sono poi gli effetti dell'aggravio sui materiali edilizi. Signori colleghi deputati, il Governo aveva preannunciato benefici per l'edilizia che sono suscettibili di rappresentare una misura antidisoccupazione. È noto infatti che quello dell'edilizia è un settore caratterizzato da una larghissima espulsione di unità lavorative. Orbene, contrariamente all'annuncio di alcuni mesi fa si aggrava l'IVA sui materiali edilizi. Vorrei ricordare come si comporta lo Stato nei confronti dei creditori per partite IVA non rimborsate. Lo ha detto ieri a Catania Silvio Berlusconi nel corso di un affollato comizio mettendo in evidenza l'aggravio per i ceti medi, per gli artigiani, per i commercianti. Allorché infatti lo Stato si rende inadempiente nel rimborso dell'IVA ci troviamo in presenza di imprenditori, di commercianti, di agricoltori costretti a rivolgersi alle banche. E alle banche si pagano fior di interessi. Come si fa a non comprendere che se lo Stato con un artificio aggiusta il proprio bilancio finisce con l'inguaiare i bilanci di milioni di italiani?
L'ultimo dato statistico è proprio di questa mattina. Leggo su La Stampa a proposito dell'occupazione «Meno 3,7 in otto mesi». Il Presidente mi interrompe perché sono giunto al termine del tempo a mia disposizione, ma questo dato la dice lunga sull'incremento della disoccupazione in Italia. Questo è un Governo inetto, un Governo che sta infierendo sui ceti produttivi. Questo è un Governo che ci porta sicuramente al fallimento (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bergamo. Ne ha facoltà.


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ALESSANDRO BERGAMO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, intendo immediatamente ed ovviamente precisare che il mio voto sarà contrario alla conversione del decreto-legge n.328 che aumenta le aliquote IVA. Il mio intervento non sarà sulle questioni tecniche e sulle implicazioni negative che il provvedimento produrrà sull'economia italiana. Di tali problematiche ho parlato nei cinque minuti concessi dal regolamento della Camera in sede di dichiarazione di voto sul complesso degli ordini del giorno. I danni che queste misure apporteranno ai ceti produttivi, già penalizzati dalla furia fiscale di Visco e Prodi, sono stati peraltro esaurientemente argomentati e chiariti dai professori Martino e Marzano, di forza Italia, e dagli altri parlamentari del Polo per le libertà e della lega nord.
Il mio intervento, signor Presidente, sarà improntato essenzialmente sul mio ringraziamento all'onorevole Mussi ed alla maggioranza in generale, perché lo sferzante, provocatorio intervento dell'altro giorno del presidente Mussi ha consentito il ricompattamento della nostra parte politica in quest'aula, contro questa maggioranza, contro le inique vessazioni di questo pericoloso esecutivo nei confronti del ceto produttivo del nostro paese.
Io mi sento caricato di tantissime energie. Ho ritrovato quell'entusiasmo nel combattere questo assurdo Governo e queste antistoriche sinistre che francamente non pensavo potesse accadere in questo modo, con questa forza. E non è questo, secondo me, un fatto isolato, cioè che riguarda solo me, perché da qualche giorno vedo che anche tra gli altri deputati dell'opposizione, del Polo vi è quella vigoria importante per affrontare queste impegnative giornate e nottate. Grazie al presidente Mussi si è rigenerato quell'entusiasmo e quella determinazione che ci ha visti trionfare nel marzo 1994 e che ora ci trova schierati e forti per contrastare le scellerate scelte di questo Governo.
È stato quindi ritrovato il magico spirito di appartenenza della nostra classe politica, vale a dire del nuovo modo di fare politica che l'onorevole Berlusconi ha insegnato e che rivendichiamo con forza. Io sono orgoglioso di far parte di questa grande squadra che, giorno dopo giorno, mese dopo mese, di elezione in elezione fiorisce ed è presente nei consigli comunali, provinciali, regionali, ma anche nelle altre istituzioni, nelle circoscrizioni, in tutte quelle piccole realtà formate da migliaia di comuni italiani e via via fino al Parlamento europeo, passando per questa Camera e il Senato della Repubblica. Noi siamo consapevoli e orgogliosi di rappresentare quella parte della società civile che lavora e che produce che è stata capace di creare il grande miracolo italiano.
Noi riteniamo che la condizione dei ceti meno abbienti, delle fasce sociali più deboli non possa prescindere dalla sopravvivenza tranquilla delle piccole e medie imprese italiane. Questo, Presidente, è uno dei tanti nostri impegni che, con tenacia e costanza, cerchiamo di assolvere, anche se non è stato possibile da parte del Polo governare direttamente questa nazione. Noi manterremo fede alla promessa, a quel contratto stipulato con la gente che ci ha inviato qui per difenderla, per evitarle ulteriori penalizzazioni da parte della feroce politica economica dei comunisti governativi. Questa è la ragione della nostra presenza questa notte e le altre notti in quest'aula, che è l'istituzione massima in cui sono rappresentati tutti gli italiani, anche quelli che ingenuamente hanno votato l'Ulivo, sperando nelle promesse della bugiarda campagna elettorale di D'Alema, Prodi e compagni.
Ecco i motivi della nostra determinazione, della volontà ferma di continuare e di andare fino in fondo nella nostra opera ostruzionistica. I nostri parlamentari, che hanno lasciato le cattedre delle università italiane, le loro industrie, i loro affermati studi professionali per dare un contributo sostanziale, serio al loro paese vogliono garantire al loro elettorato la difesa dei diritti, che sono essenzialmente quelli di continuare a vivere in libertà e a lavorare in uno Stato che non può e non deve


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essere il loro nemico. Siamo qui ad assolvere ad un dovere preciso, che è allo stesso tempo di difesa di migliaia di imprese che generano lavoro e ricchezza e di testimonianza di una presenza motiva. Ciò avviene, sta avvenendo con successo, nonostante il fatto che non siamo adusi a questo tipo di tecnica parlamentare, almeno la maggior parte di noi, perché non appartiene al nostro DNA distruggere, ma costruire, anche se di fatto stiamo cercando di evitare la distruzione di tante imprese italiane. Quindi, oggi è il tempo di distruggere quest'altra tassa. Ormai è risaputo che la maggioranza che sostiene questo confuso Governo ci ha impedito di discutere e di migliorare il provvedimento, anche attraverso gli ordini del giorno presentati da tutti i parlamentari dell'opposizione.
Tutto ciò è stato necessario ed opportuno ed abbiamo imparato anche un altro modo per contrastare la follia omicida della economia italiana da parte del Governo e di questo altro insegnamento devo essere personalmente grato all'onorevole Mussi. Il mandato parlamentare, Presidente, ci obbliga - e ne siamo ben lieti - a difendere milioni di nostri elettori che sono da noi rappresentati in Parlamento. Il mio ringraziamento va a tutti i colleghi parlamentari del Polo per questa grande e significativa vivacità e capacità di stringersi attorno al proprio elettorato e a tutti i lavoratori che questo Governo massacra quasi quotidianamente. Permettetemi di ringraziare i colleghi amici parlamentari del mio gruppo politico, forza Italia, quelli della prima ora, del 1994, e quella parte eletta nell'aprile 1996, perché hanno mostrato in questa occasione, per l'ennesima volta, intelligenza, carattere e dignità.
Torno a ringraziare l'onorevole Mussi anche perché la sua arroganza mi ha consentito di riprendere a osservare i deputati della lega nord nella stessa maniera in cui facevo nei primi mesi del Governo del presidente Berlusconi, dopo i tanti scontri di questi anni.
In conclusione, intendo ribadire la grave situazione della disoccupazione italiana e meridionale in particolare a causa della sciagurata politica economica del Governo Prodi. Per quanto mi sforzi, non riesco a comprendere da dove il Presidente del Consiglio tiri fuori quell'ottimismo e anche un ignobile sarcasmo e cinismo, quando va in giro a raccontare le favole della ripresa economica, che non c'è! È il solito atteggiamento parolaio, vuoto, da perenne propaganda elettorale, per sostenere, aiutato dai servi del potere, che tutto va bene. Gli illusionisti, i nostri ministri, molto preparati e attenti solo agli interessi di bottega, non sembrano e non vogliono rendersi conto della reale situazione in cui versa questa povera Italia e il suo meridione. È un paese dilaniato dagli scioperi in tutti i settori, dai disservizi, che comunque ancora desta meraviglia all'estero, perché riesce comunque a sopravvivere nonostante il pesante apparato statale che risponde solo a sé stesso e al protagonista del momento.
Una maggioranza, quella che sostiene l'esecutivo, che è capace esclusivamente di saper vendere il suo prodotto, con sapiente retorica e con parole farcite di fumo, senza calarsi nelle realtà che dicono di difendere, ma solo come tesi di principio. Il complotto Governo-sindacato ai danni dei lavoratori si perpetua, si esalta ed arriva perfino a sublimarsi nei vertici ministeriali ed internazionali per il lavoro, nei convegni dove si assumono impegni, dove in pompa magna si sottoscrivono patti che non producono nulla, se non di far dormire serenamente quelle stolte coscienze, perché le dichiarazioni...

PRESIDENTE. Onorevole Bergamo, deve concludere.

ALESSANDRO BERGAMO. Sì, Presidente, concludo. Il 66,6 per cento dei giovani campani è disoccupato; il 65,3 per cento (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)...

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Bergamo.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Frattini. Ne ha facoltà.


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FRANCO FRATTINI. Presidente, colleghi, siamo alle battute finali di questo provvedimento fiscale del Governo che aumenta oggi l'IVA anche sui beni e servizi di prima necessità per i cittadini e che farà aumentare certamente anche l'inflazione.
Abbiamo spiegato al Governo che non avremmo potuto condividere questo ulteriore aumento della pressione fiscale che si nasconde dietro il pretesto europeo di accorpamento delle aliquote. Abbiamo proposto modifiche, abbiamo chiesto di esaminare nel merito emendamenti che non erano certo pretestuosi ovvero ostruzionistici. La nuova ennesima fiducia opposta dinnanzi alla nostra richiesta di un dialogo costruttivo ha reso necessaria un'azione democratica nella sede propria del Parlamento, di contrasto al decreto che deprime il tessuto produttivo italiano, colpisce i ceti medi, contribuisce a peggiorare la situazione congiunturale, crea ulteriori presupposti per una manovra aggiuntiva di primavera che si renderà necessaria allorché si scoprirà che il gettito sarà inferiore alle previsioni perché inferiore sarà il prodotto industriale nel paese.
La maggioranza se davvero avesse desiderato un dialogo costruttivo avrebbe dovuto e facilmente potuto trovare con le proposte più moderate dell'opposizione un percorso di modifica equilibrata. È evidente che di fronte al diniego anche alle richieste più tecniche e appunto moderate di emendamento, l'opposizione ha dovuto alzare la voce. Non si può pretendere che in questo paese vi sia una maggioranza di volta in volta disponibile a far germogliare al suo interno opposizioni di maniera pronte però a ricompattarsi quando la sirena del potere chiama a raccolta.
Noi siamo l'opposizione democratica nel Parlamento e nel paese. Il Polo per le libertà e la lega rappresentano l'Italia che lavora e che produce, gli italiani che non ne possono più della pressione fiscale intollerabile e della inefficienza delle pubbliche amministrazioni che pesano sui cittadini e sulle imprese come una tassa occulta sulla qualità della vita.
Rappresentiamo gli italiani che non vogliono corrotti e corruttori, non vogliono dipendenti pubblici inefficienti, non vogliono falsi invalidi che restano al loro posto mentre i veri invalidi restano disoccupati. È l'opposizione liberaldemocratica e cattolica, è l'opposizione del riformismo vero, che non può tollerare il sacrificio dei valori del socialismo europeo ed italiano da parte di neocomunisti e postcomunisti che hanno più volte, anche di recente, chiesto l'abiura e la penitenza pubblica a chi si definiva socialista.
Siamo qui a fare il nostro dovere in un'aula semideserta, confortati solo dalla cortesia di pochi colleghi e dalla solerte, preziosa e sempre puntuale presenza dei funzionari e di tutto il personale preposto all'Assemblea di cui è bene non dimenticare, durante queste faticose sedute notturne, l'indispensabile contributo (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Sono queste opposizioni, queste opposizioni presentabili certamente e forti nei loro valori che oggi cercano di evitare al paese una ulteriore stangata fiscale da autunno. Opposizioni che daranno tutto il loro contributo, anzitutto positivo perché l'Italia entri in Europa ma soprattutto perché possa restarci all'altezza degli altri partner europei.
I colleghi tutti sanno, debbono sapere, anzitutto quelli della maggioranza, che il dovere di un Governo e di una maggioranza è di vivere in un Parlamento in cui un'opposizione esiste ed ha la possibilità di esprimere liberamente le sue opinioni. In una democrazia, come è stato detto anche ieri, dall'onorevole Martino, ciò che è più importante, il succo di una democrazia, è la presenza di un'opposizione libera. Quello che distingue la democrazia dal regime è un paese in cui le opposizioni hanno il diritto libero e democratico di parlare nelle forme che vogliono. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Baiamonte. Ne ha facoltà.


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GIACOMO BAIAMONTE. Signor Presidente, colleghi, il Governo sostiene che se cade il decreto in discussione sull'IVA corriamo il pericolo di non entrare in Europa. È qui, cari colleghi, il nocciolo della questione!
Il Governo e l'attuale maggioranza vogliono bilanciare i conti dello Stato aumentando la pressione fiscale. Noi invece diciamo: meno tasse sull'impresa, meno tasse sul lavoro, anche quello dipendente, perché se il lavoro dipendente viene gravato da troppe tasse e da troppi contributi, si alza il costo del prodotto finale e non siamo competitivi in Europa.
In alcune zone del sud la disoccupazione dei giovani raggiunge punte del 24 per cento; nella mia terra, in Sicilia, tale percentuale è abbondantemente superata. Tutto questo si risolve soltanto riformando il mercato del lavoro, non come fa l'attuale Governo con il «pacchetto Treu», creando cento mila posti di lavoro mediante il precariato e con il lavoro socialmente utile.
Dobbiamo permettere la detassazione degli utili da impresa, già prevista dal «pacchetto Tremonti» durante il Governo Berlusconi. Ci vuole dunque meno evasione ma ciò si ottiene soltanto riportando le aliquote, ivi compresa l'IVA di cui stiamo discutendo, al sentimento di giustizia che è proprio di ciascuno di noi. Statene certi, cari colleghi della maggioranza e signori del Governo: ad aliquote giuste corrispondono contribuenti onesti!
La questione di fiducia posta dal Governo sul decreto IVA ha bloccato gli emendamenti presentati dal Polo e dalla lega nord, che avevano il solo ed unico scopo di migliorare il provvedimento.
Uno degli obiettivi che si era posto il ministro delle finanze era quello della semplificazione. Pura demagogia, cari colleghi! La metodica è sempre la stessa: vedete l'IRAP! Il Governo sostiene di introdurre meno tasse accorpandole, ma guarda caso gli italiani pagano sempre di più. Evviva la parola data dal Presidente Prodi, che, allorquando si è insediato, disse: non aumenteremo le tasse!
Ritornando all'IVA, dicevo che scopo del ministro delle finanze era quello di semplificare tale imposta portandola da quattro a tre aliquote. Tale semplificazione è stata realizzata passando molti beni dall'aliquota del 4 per cento a quella del 10 per cento, facendo sparire l'aliquota del 16 per cento, ma passando quasi tutti i beni di tale aliquota a quella del 20 per cento (essendo intanto passata la precedente massima aliquota dal 19 al 20 per cento).
Cari colleghi, signori del Governo, se questa è semplificazione, allora essa sarà pagata a caro prezzo dopo il maggio 1998. Infatti a tale data l'aliquota IVA si dovrà portare a quella suggerita dalla Commissione europea, che è del 15 per cento. Ed allora quali provvedimenti si dovranno attuare? Sicuramente il Governo pensa già, per mantenere costante il gettito di tale imposta, di elevare progressivamente le aliquote del 4 e del 10 per cento verso il 15 per cento, facendo a sua volta scendere l'aliquota del 20 per cento al 15 per cento. Conseguenza di tutto questo, essendo i beni collocati nell'aliquota del 4 per cento quelli previsti nell'indice ISTAT per il costo medio della vita, sarà quella di un aumento del costo della vita. Ecco, cari colleghi, la politica dissennata di questo Governo!
Nel nostro paese esistono 5 milioni di partite IVA e ciò a dimostrazione che la presenza delle numerose medie e piccole imprese porta ad una diffusione del meccanismo attraverso il quale si calcola tale imposta, la si scomputa e la si trasferisce nei beni finali a carico dei consumatori, che sono il terminale. Pertanto è importante la scelta delle aliquote.
Il ministro delle finanze si è creato l'illusione di aumentarne il gettito fino ad arrivare ai 6 mila miliardi e passa alla fine del 1998, ma poiché l'IVA è l'imposta più sensibile alla congiuntura, non è affatto detto aprioristicamente che tale gettito si verificherà, visto che tutto dipende dal ciclo economico.
E riprendendo il concetto iniziale in cui sostenevo che meno tasse sull'impresa, meno tasse sul lavoro con adeguate e


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razionali riforme portano in un paese moderno e civile e ad una maggiore competitività economica, aggiungo che più competitività significa più sviluppo, più occupazione, maggiori entrate per l'erario, maggiori possibilità di cambiare in meglio lo Stato sociale.
Cari colleghi della maggioranza, la vera solidarietà di cui tanto parlate - ma non sapete crearne i presupposti - si fa creando più risorse, più sviluppo, più competitività, più occupazione, più gettito, più Stato sociale. È questa la ricetta di tutte le moderne democrazie che hanno meno disoccupazione, meno tasse e più risorse.
Aver posto la fiducia, bloccando gli emendamenti dell'opposizione sul decreto-legge sull'IVA, è stata un'ulteriore dimostrazione della politica miope di questo Governo e della attuale maggioranza. Ma statene certi, tutto ciò si ritorcerà senza alcun dubbio su di voi. Gli italiani se ne sono già accorti ed è per questo che voteremo contro questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cosentino. Ne ha facoltà.

NICOLA COSENTINO. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, il decreto sull'armonizzazione delle aliquote IVA costituisce l'ultimo dei provvedimenti di una politica economica e finanziaria del Governo che si sta dimostrando sempre più inadeguata alla gravità dei problemi.
All'azione coordinata per il conseguimento dei diversi obiettivi di politica economica si sono sostituite iniziative episodiche, frammentarie e spesso fra loro contrastanti, rivolte solo a fronteggiare le scadenze più urgenti, senza alcuna considerazione delle loro ripercussioni sull'equilibrio generale del sistema economico.
Alla predisposizione degli indispensabili strumenti operativi idonei ad assicurare efficacia all'azione dello Stato, si è preferita l'emanazione di provvedimenti di facciata che lasciano irrisolti ed anzi aggravano i problemi reali del paese. Alle decisioni nette, intese ad avviare su una strada ben determinata l'azione del Parlamento e del Governo, si sono spesso preferiti faticosi compromessi nel tentativo di non scontentare nessuna delle parti in contrasto. Come risultato l'attività del Governo ha assunto un andamento oscillante sotto la pressione delle diverse forze sociali, quando non è rimasta addirittura completamente paralizzata.
Purtroppo il Governo, con il solo apparente intento di riordinare le aliquote, con il presente decreto ha nella sostanza inferto un ulteriore colpo ai consumi già bassi dei cittadini, sui quali si scarica totalmente il peso dell'imposta.
Sappiamo bene quali risultati produrrà il provvedimento in esame: un sacrificio, anzi un ulteriore sacrificio a carico delle famiglie per un ammontare di circa 7 mila miliardi. Abbiamo parlato di un ulteriore sacrificio perché questo va ad aggiungersi a tutti gli altri: eurotassa, aumento dell'ICI, addizionale IRPEF e via continuando. Sono tutti pesi che il Governo ha messo a carico degli italiani. In termini concreti tale sacrificio ammonta a circa 400 mila lire a famiglia.
Abbiamo parlato di Europa perché abbiamo tutti la vocazione europeista. In altre parole, vogliamo entrare in Europa e crediamo oltre tutto di volerci restare. Tuttavia, per attuare un simile progetto - bisogna capirlo una volta per tutte - dobbiamo avere una economia solida e competitiva, una economia in grado di reggere il confronto con quelle degli altri paesi. Una economia solida e competitiva parte da un presupposto ineluttabile: dalla sua capacità di evolversi, di svilupparsi continuamente, perché è lo sviluppo che genera sviluppo, altro sviluppo ed ulteriore sviluppo, in un processo reiterativo. Tale processo inevitabilmente porta con sé capacità di competizione.
Ci siamo mai chiesti quali siano le ragioni della divergenza che sussiste tra i dati della nostra economia rispetto a quelli dei paesi cosiddetti più evoluti? Ci


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siamo mai chiesti cioè perché noi, a parità di popolazione e di prodotto interno lordo, rispetto ad altri paesi abbiamo un peso fiscale molto più elevato? C'è una sola risposta: perché c'è molta evasione e molto lavoro sommerso e il nostro Governo continua a percorrere la strada sbagliata, fronteggiando simili problemi con un continuo innalzamento della pressione fiscale, che è oramai giunta ad un livello che va ben oltre la misura ammessa da quel sentimento di giustizia che anima ciascuno di noi.
Pertanto, noi non possiamo dire altro se non basta. Non si può proseguire su questa strada; l'Europa è tutta da un'altra parte. In Europa si arriva attraverso lo sviluppo, uno sviluppo che presuppone un peso della pressione fiscale molto più contenuto per rendere la nostra economia realmente competitiva rispetto a quella degli altri paesi.
La situazione generale del paese prospetta al Governo e al Parlamento la necessità di procedere ad un severo riesame del passato ed impone la ricerca di nuovi orientamenti e metodi nella politica economica, tali da consentire l'avvio di una vera fase di sviluppo per l'economia italiana.
Mi sia consentito, infine, di sollevare alcune obiezioni di carattere politico all'operato del Governo. Il ricorso sempre più frequente al voto di fiducia sta provocando, da un lato, una grave marginalizzazione del Parlamento rispetto alle grandi scelte della politica di bilancio e, dall'altro lato, l'impossibilità per la minoranza e per l'opposizione di svolgere adeguatamente la funzione di controllo, costituzionalmente tutelata.
Il continuo sottrarsi del Governo al confronto parlamentare sta producendo un lento, progressivo e pericoloso snaturamento delle istituzioni che introduce interessanti e preoccupanti spunti di riflessione in una fase come quella attuale di revisione costituzionale; mi riferisco alla cosiddetta centralità del Parlamento, tanto cara a vasti settori della maggioranza, la quale, viceversa, in questa stagione parlamentare troppo spesso dimostra di ignorarla.
Vorrei ricordare a me stesso e all'Assemblea un insegnamento che probabilmente è sempre attuale, quello di Luigi Einaudi secondo il quale la virtù dei Parlamenti consiste non solo nel legiferare, ma anche nel discutere.

Discutendo si vede che, nove volte su dieci, le idee e le proposte sono erronee, sono riproduzioni di vecchi errori e di vecchie esperienze; la discussione ne mette in luce l'inconsistenza e le fa andare a fondo. La virtù dei Parlamenti non si misura dal numero delle leggi approvate, bensì dal numero delle proposte di legge abortite lungo il faticoso cammino della pubblica discussione.
In conclusione facciamo recuperare tutti insieme al Parlamento la sua funzione primaria di luogo di incontro e di discussione (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Calderisi. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CALDERISI. Signor Presidente, mi sia consentito innanzi tutto rivolgere un ringraziamento a tutti i funzionari della Camera per la capacità che hanno dimostrato, anche in questa occasione di difficile gestione dal punto di vista politico-parlamentare, di saper servire non questa o quella parte politica ma il Parlamento nel suo complesso.
Signor Presidente, ci sono ragioni politiche, istituzionali ed economiche che stanno alla base della nostra iniziativa - del Polo e della lega - su questo decreto e che ci portano a votare «no». Voglio sottolineare innanzitutto alcune ragioni di carattere istituzionale che riguardano anche i rapporti politici ed istituzionali tra maggioranza ed opposizione, perché c'è una cosa inquietante che viene ancor prima della questione di fiducia posta in modo assolutamente infondato, come ora ricorderò, lunedì scorso. Dicevo che c'è una questione che viene ancora prima, si


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tratta del modo con cui quasi sistematicamente, da parte della maggioranza e del Governo, si portano alla discussione dell'Assemblea provvedimenti come i decreti-legge che hanno una scadenza. La tendenza è quella di portarli all'ultimo momento utile, mentre si potrebbe benissimo fare un'altra scelta: per esempio, questo decreto avrebbe potuto essere discusso in aula la settimana scorsa dal momento che non c'era nessuna ragione per esaminare la settimana scorsa il provvedimento sull'immigrazione (il cui esame il Senato deve ancora affrontare e non sappiamo quando inizierà) per il quale non era prevista alcuna scadenza specifica. Invece no, la maggioranza ha voluto inserire in calendario questo decreto soltanto pochi giorni prima della sua scadenza. Si tratta di una scelta che il Governo compie in modo sistematico per moltissimi altri provvedimenti e che sta a dimostrare la volontà ben precisa della maggioranza e del Governo di sfuggire al confronto parlamentare di merito sui provvedimenti cercando pretesti per poter liquidare ogni discussione, ogni dibattito nel merito, ponendo la questione di fiducia.
Il numero di fiducie che è stato posto è rivelatore di tale situazione perché, cari colleghi della maggioranza, quando vengono sottoposti al dibattito e al voto dell'Assemblea 85 emendamenti, non si può affermare che è una forma di ostruzionismo. Quando il Polo e la lega hanno contrastato l'impostazione di fondo della politica economica del Governo e presentato emendamenti di mera correzione del provvedimento, poiché ci sono modi diversi per attuare la stessa armonizzazione delle aliquote IVA, per correggere gli interventi in alcuni settori economici particolari, è stato rifiutato ogni confronto e, a pochi giorni dalla sua scadenza, il provvedimento è stato inserito in calendario proprio per impedire ogni discussione. Si dimostra quasi un fastidio per il dibattito di merito sui vari provvedimenti. Si tratta di un fatto estremamente inquietante.
Come dicevo, lunedì scorso è stata posta la questione di fiducia dopo il voto di soli 14 emendamenti, quando si stava procedendo (è stato già ricordato) ad una media di 4 minuti ad emendamento, per cui la discussione e la votazione di quegli emendamenti sarebbe terminata molto prima del voto di fiducia che è stato dato martedì sera. Come dicevo, è una questione inquietante che denota una debolezza di fondo della maggioranza sul merito della propria politica economica e fiscale, in modo particolare.
È davvero stupefacente assistere a dichiarazioni del ministro del tesoro, come quelle che sono state rese a Bruxelles l'altro giorno, secondo cui l'ipotesi di arrivare a 35 ore settimanali per tutti rappresenta una stupidaggine economica. Ma come, proprio su quella questione che ha rappresentato il momento nevralgico della crisi di governo, il ministro del tesoro ha affermato che quella impostazione rappresenta una stupidaggine economica e, conseguentemente, anche politica? È la dimostrazione emblematica delle contraddizioni che la maggioranza ed il Governo hanno al proprio interno per le scelte di fondo che il paese deve operare. Questa maggioranza si dimostra incapace di ristrutturare la spesa pubblica, lo Stato sociale: avrebbe dovuto fare una manovra di 9 mila miliardi su questo versante e invece si limita a farla per 2.750 miliardi e, non a caso, torna a gravare sulla pressione fiscale con il pretesto della armonizzazione.
Come abbiamo detto più volte nel corso del dibattito, qui sono in gioco scelte di fondo circa le impostazioni alternative di politica economica e credo che la nostra opposizione abbia il diritto ed il dovere di rappresentare al paese tali scelte alternative; ha il diritto-dovere di correggere i provvedimenti della maggioranza, cosa che viene impedita attraverso l'uso sistematico della fiducia sui provvedimenti; ha anche però il diritto-dovere di indicare al paese che esistono strade diverse, le stesse seguite da altri paesi, come l'Inghilterra e gli Stati Uniti, i quali hanno dimostrato negli anni passati la propria capacità di scegliere un indirizzo alternativo, opposto a quello perseguito

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non solo dal nostro paese ma in parte anche dalla Germania e dalla Francia. Mi riferisco alla scelta alternativa di ridurre la spesa pubblica e la pressione fiscale, individuando in ciò la leva per favorire lo sviluppo economico necessario per guardare al futuro. Ciò che ci inquieta e ci preoccupa è l'incapacità dimostrata dalla maggioranza di fronteggiare la situazione, di evitare l'aumento della pressione fiscale, di risolvere il problema della disoccupazione, creando una nuova frattura fra nord e sud del paese, di placare un conflitto esplosivo di tipo generazionale (i dati che vengono forniti sulla situazione previdenziale dovrebbero indurci alla riflessione). Ebbene, signor Presidente, questa nostra iniziativa, questa lunga maratona parlamentare sta raggiungendo alcuni risultati: stiamo recuperando alcune prerogative dell'opposizione che il comportamento della maggioranza avrebbe voluto calpestare e conculcare. Credo che qualcosa nel paese, nonostante l'ostracismo di molti mezzi di informazione, stia raggiungendo i cittadini italiani i quali sono stati posti così di fronte ad un minimo di consapevolezza di quello che stanno proponendo questa maggioranza e questo Governo. Questi ultimi sembrano del tutto incuranti di quanto sta avvenendo, sembrano attenti solo alle questioni di potere che invece accendono molto gli animi nella maggioranza fra postcomunisti e postdemocristiani che vediamo litigare per questioni di potere relative alla Telecom, alla RAI, alle autorità per le telecomunicazioni, alla ristrutturazione degli apparati di sicurezza. Sono tutte questioni, evidentemente, sulle quali si sofferma in maniera diversa l'attenzione della maggioranza, che invece è incapace di offrire a questo paese una soluzione per risolvere la crisi economica. Questo paese, infatti, rischia di svegliarsi un giorno scoprendo che non basta soltanto aggiustare i conti con qualche trucco contabile per rispettare qualche parametro - soltanto qualcuno - per il raggiungimento dell'obiettivo della moneta unica; ma poi, deve scoprire che bisogna anche rimanere in Europa e, per far ciò, occorre procedere a quelle riforme strutturali che questa maggioranza e questo Governo si dimostrano sempre più incapaci di realizzare.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Calderisi.

GIUSEPPE CALDERISI. Signor Presidente, queste sono le ragioni di fondo che ci spingono a votare contro questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pagliuca. Ne ha facoltà.

NICOLA PAGLIUCA. Presidente, vorrei innanzitutto far mettere a verbale che, nell'ultimo intervento che ho svolto l'altro ieri, anziché il mio nome, Nicola, è stato scritto Gabriele. Quindi, a scanso di equivoci, volevo sottolineare che mi chiamo Nicola!
Vorrei ora motivare le ragioni del mio voto contrario sul provvedimento in materia di IVA, che stiamo discutendo da un paio di giorni.
Perché un voto contrario? Perché questo provvedimento, chiaramente, viene fuori dopo tutta una serie di altri provvedimenti e di altre questioni che questo Governo ci ha proposto. Questo Governo ha svolto una campagna elettorale nel 1996 proponendo di cambiare questo paese e di trasformarlo in un paese normale. Ebbene, il «paese normale», amici e colleghi, è sotto gli occhi di tutti: è un paese che vede ormai scendere in piazza quotidianamente varie categorie di persone che scioperano. Nonostante questo, il Parlamento ignora le proteste degli agricoltori davanti al palazzo di Montecitorio. È un paese che ignora che vi sono ormai studenti barricati nelle scuole: è un paese quindi che è riuscito realmente, attraverso questo Governo, a creare una situazione di fibrillazione che tutto è fuorché normalità. E questo credo sia ormai sotto gli occhi di tutti. Quindi,


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continuare ad ignorarlo, significa davvero volersi coprire gli occhi con il prosciutto (come si diceva una volta).
Noi, ora, dobbiamo assolutamente cambiare questa situazione. Forse, quindi, la carica, la sveglia che stiamo cercando di dare all'Assemblea, nonostante l'ora mattutina, è determinata proprio dal fatto di voler rappresentare anche all'esterno ciò che si sta verificando: è una realtà totalmente diversa rispetto a quella che viene rappresentata! I media cominciano oggi a prendere coscienza dell'esistenza di un'opposizione che sta dicendo all'esterno delle cose, che per gli altri sono però palesi. Stiamoci quindi attenti, amici. Nonostante tutto - dicevo - vi è una volontà di rappresentare situazioni che sono assolutamente diverse rispetto a quello che realmente avviene.
Gli agricoltori sono in piazza - perché lo sono! - solamente per le quote latte e per la restituzione dei soldi anticipati? Io non credo! Credo che ormai la disattenzione che questo Governo ha saputo mostrare nei loro riguardi è arrivata veramente al culmine.
La battaglia che abbiamo già iniziato l'anno scorso - credo che forse tanti la ricorderanno, ma qualcuno fa finta di ignorarla - cominciò durante la discussione della legge finanziaria quando, con provvedimenti iniqui, questo Governo, ignorando quindi che quella era una categoria già vessata, ha praticamente incrementato del 25 per cento la tassazione a carico degli agricoltori! Queste cose le abbiamo denunciate! Ricordo che quell'aumento della tassazione era partito dal 7 per cento; per poi passare al 15 ed al 25 per cento! Si è quindi - lo ripeto - tartassata una categoria che già di fatto dà un contributo fortissimo al mantenimento del paese. Non solo, ma si è andati in quella direzione perché forse quella categoria era più debole e meno organizzata delle altre; o forse perché pensavano che le organizzazioni agricole - così come erano costituite un tempo - fossero ancora le «truppe cammellate» che pure avevano reso forti i governi del passato. Ebbene, questo oggi non è più vero!
Quindi, anche la Coldiretti - quella massa enorme di piccoli agricoltori che confluirono in quella organizzazione sindacale - è oggi scesa in piazza, con forza e determinazione, a gridare il proprio dissenso rispetto ad una politica che va assolutamente in altra direzione rispetto a quella che vi sarebbe dovuta essere (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Questo, chiaramente, è stato solo l'inizio, perché poi si è verificato che, con l'introduzione dell'IRAP (cose che noi sostenevamo già l'anno scorso, anticipandole), si vessava ulteriormente quella categoria costringendo tutti, di fatto, ad avere una contabilità ordinaria: un fatto, questo, non previsto nella legislazione corrente; ma in tal modo, si è imposto anche a questa categoria - che di fatto godeva ancora della possibilità di poter determinare in maniera diversa il proprio reddito - di dover comunque procedere ad una serie di adempimenti burocratici, che sono quelli che hanno costretto moltissime piccole imprese - operanti in altri settori come l'artigianato e il commercio - ad abbassare le saracinesche! Ebbene, forse vogliamo anche questo, ma non ci rendiamo conto che agricoltura significa non solamente produzione e possibilità di sviluppo per il paese, ma anche mantenimento dell'ambiente, controllo del territorio, protezione civile e tutta una serie di questioni che questo paese dice di volersi impegnare ad affrontare, ma poi invece di fatto - ancora una volta - le dimentica! Ricordo, da una parte, le grandi dichiarazioni del Ministero dell'ambiente quando si verificano i grandi problemi di dissesto idrogeologico e, dall'altra parte, si evidenzia invece una notevole protervia che va nella direzione di «massacrare» questa popolazione che lavora.
Ed allora, queste cose non possono andare bene!
Si registra inoltre - nella stessa categoria - una disattenzione assoluta per i problemi del settore della cereagricoltura e per tutto ciò che si verifica per coloro che nel passato operavano in maniera virtuosa nel cosiddetto «campo dell'oro

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rosso», il pomodoro. E poi, invece, grazie a quella privatizzazione scellerata - che pure ha visto interessato il nostro Presidente del Consiglio - della quale nulla si dice e rispetto alla quale ancora non si approfondiscono le questioni legate ai rapporti con la FISVI (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia), che ormai aveva determinato in maniera chiara quali fossero le proprie possibilità e volontà. Si è verificata quindi la chiusura di grandi stabilimenti e di intere aree produttive, nonché investimenti che sono andati alla malora e che ancora oggi vengono finanziati con i soldi dello Stato. Ricordo inoltre lo schema idrico che viene fatto e la costruzione di nuove dighe per sistemi di irrigazione: perché si sono attuati questi progetti? Una politica agricola che assolutamente non esiste!
Tutto ciò passa nell'assoluta indifferenza di chi oggi governa questo paese e nell'assoluta incapacità di un ministro a presentarsi a queste Camere per dare le proprie dimissioni. Delle dimissioni che ormai credo non siano più attese, alla luce di ciò che abbiamo visto ieri!
Voi dell'Ulivo, che pure avete iniziato sotto il «bagno di fiori» - come diceva qualche mio amico poco fa - oggi siete finiti sotto un bagno Non vorrei usare un termine forte, ma sicuramente potrei dirlo: sotto un bagno di merda!

PRESIDENTE. Onorevole Pagliuca, la prego di usare termini più consoni!

NICOLA PAGLIUCA. Mi scusi per il termine che ho usato, Presidente.

PRESIDENTE. E poi la richiamo per la prima volta ad attenersi all'argomento in questione!

NICOLA PAGLIUCA. Sto parlando dell'IVA, Presidente.

PRESIDENTE. La prossima volta le toglierò la parola.

NICOLA PAGLIUCA. Presidente, sto parlando dell'IVA sul mondo agricolo, che ha fortemente penalizzato questo settore. Un'IVA che oggi serve a questo Governo per poter sopperire a mancate entrate che vi sono state. Un'IVA che viene quindi incrementata con un decreto-legge che oggi - come vediamo - alla fine ha difficoltà ad essere convertito in legge: ma questo è un bene, perché tale provvedimento introduce ulteriori vessazioni nei confronti in particolare di una categoria.
Questo Governo, che pure si è impegnato attraverso una serie di manovre a voler dare all'esterno una sensazione di normalità, di un paese in crescita e che doveva riuscire a creare anche occupazione con il pacchetto Treu, che cosa è riuscito a fare? A racimolare qualche lira con provvedimenti che non vanno nella direzione di sviluppare il lavoro della piccola impresa, perché sia le borse lavoro che i lavori di pubblica utilità sono di fatto strumenti che non sono a disposizione delle piccole imprese. Le borse lavoro perché di fatto vanno a beneficio di imprenditori che hanno già un minimo di due dipendenti: e noi sappiamo che la stragrande maggioranza di piccoli imprenditori, artigiani e commercianti, sono posizionati al di sotto di questa soglia di unità dette; mentre i lavori di pubblica utilità, per l'astrusità del concetto, che vede poi gli enti locali nella incapacità di affrontare e creare nuovi posti di lavoro in un ramo produttivo nel quale bisognerebbe essere competitori, con quello che già l'imprenditoria normalmente riesce a fare. Anche qui si registra, quindi, una incapacità assoluta!
Nonostante tutto e nonostante un'attenzione che dovrebbe essere rivolta alla grande industria e alla grande impresa - con i provvedimenti sulla rottamazione e quanti altri -, che cosa leggiamo oggi sui giornali? Che addirittura nel settore della grande impresa l'occupazione scende del 3,4 per cento! Sappiamo già che cosa significa questo dato: che tutti gli sforzi che abbiamo fatto sono andati forse nella direzione di arricchire qualcuno, ma non nella direzione di recuperare quel gap disoccupazionale, che pure in Italia oggi vi è ed è forte. E significa ancora andare, a


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questo punto, a creare maggiori appesantimenti per le casse dell'INPS perché, se tanto mi dà tanto, se c'è disoccupazione e se si sono persi posti di lavoro, significa che sono scattati quei meccanismi infernali - come la cassa integrazione - che pure esistono e che garantiscono ad alcune frange di lavoratori, ma che poi finiscono con il ritorcersi in maniera negativa sui conti dello Stato. E quindi richiederanno sì ulteriori interventi! Quegli ulteriori interventi che sono determinati da chi, essendo incapace di allargare la base imponibile e di creare nuova ricchezza, alla fine poi è costretto a chiedere a coloro i quali già producono un sacrificio in più.
Ed è questo il tenore ed il significato del provvedimento che oggi ci si sta chiedendo di approvare: un provvedimento che va nella direzione di chiedere ancora di più ai cittadini - quindi a coloro che sono gli ultimi e che non possono più rifarsi - un'ulteriore iniqua tassazione ed un ulteriore iniquo contributo. Un contributo che finisce per determinare maggiore contrazione dei consumi, minore capacità di sviluppare il mercato interno e quindi accompagnare i progressi della nostra industria.
Credo che queste cose non possano più essere tollerate e quindi bene ha fatto il Polo per le libertà, con la lega nord, a creare un livello molto alto di confronto, utilizzando anche la tecnica dell'ostruzionismo.
Sono veramente tanti 5.700 miliardi e sappiamo cosa è accaduto nel 1995, con il Governo Dini, quando fu approvata una manovra che tendeva ad incrementare l'IVA: è aumentata l'inflazione, sono diminuiti i consumi e la produzione, è aumentata la disoccupazione. Oggi stiamo ripetendo lo stesso schema. Cose già viste!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo. Ne ha facoltà.

PAOLO RUSSO. Signor Presidente, eravamo abituati ad assistere ad un certo decisionismo peronista del Governo; ci eravamo abituati a questo atteggiamento nel leggere gli atti di un anno triste di Governo: richieste continue di fiducia, tentativi di sopprimere più volte il ragionamento nelle aule parlamentari, le vicissitudini relative alla legge finanziaria dello scorso anno, le deleghe improprie ed improvvide che hanno caratterizzato l'azione del Governo.
Credevamo però, e crediamo, che in quest'aula si potesse ragionare con spirito sereno, sulla base di un ruolo alternativo di maggioranza e di opposizione, con tutte le forze politiche. Mai avremmo immaginato che il presidente del maggiore gruppo che sostiene questo Governo delle sinistre avrebbe assunto un atteggiamento di tale arroganza e protervia, quasi a rimarcare un esercizio autoritario del potere, un'occupazione fin troppo militare del potere.
Abbiamo assistito, proprio in quest'aula, ad uno sprezzante intervento, che non ricorda le ragioni della democrazia o della civile capacità di dibattere proprio in questo alto consesso. È irresponsabilità istituzionale? Può darsi, ma deriva soprattutto da altro, signor Presidente, cioè dalla necessità che hanno questa maggioranza e questo Governo di evitare puntualmente che si entri nel merito, che si ragioni della vicenda specifica, che si affronti il tema in oggetto, perché altrimenti ci si accorge in aula e nel paese che le posizioni del Polo prevalgono per ragionevolezza, per equilibrio, per lungimiranza politica e soprattutto per attenzione ai bisogni della gente.
Bisogna allora evitare a tutti i costi che si ragioni nel merito e, per evitarlo, occorre trovare ogni scusa per comprimere il dibattito e per accedere ad un ragionamento sofista in base al quale quando si vuole discutere troppo non si deve assolutamente discutere. E puntualmente arriva la richiesta pronta, ormai rituale per alcuni aspetti, stantia per altri, del voto di fiducia.
È questa una logica perversa che porta ad una considerazione che poi è quella che faceva Mussi dicendo: «Cara opposizione, vi dico come dovete svolgere il


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vostro ruolo», quasi a celebrare ruoli opposti attraverso un'azione infingarda, un duplice ruolo di maggioranza e di opposizione, legati con il medesimo filo che è quello utilmente consociativo dei trascorsi anni.
Quando ci si è trovati di fronte ad una condizione politica nella quale il Polo svolgeva un'opposizione nel merito, lo si è accusato a volte di non fare un'opposizione severa e dura ma, quando quest'opposizione di merito ci è stata sottratta e siamo stati costretti ad un'opposizione di metodo, si è detto che la nostra scelta era eccessivamente dura e ostruzionistica.
Noi abbiamo un solo metro, un solo parametro da seguire, quello delle istanze della gente, delle legittime aspirazioni che promanano da un tessuto sì mutevole, che è il nostro territorio, ma palpitante, fatto di gente che ha bisogno.
Si tenta di coniugare, attraverso una saldatura, una serie di poteri tutti largamente schierati su posizioni di sinistra, attraverso un'azione di indottrinamento nelle scuole, attraverso l'utilizzazione dei sindacati di regime. Certo, tutto questo «fa logica» anche nel discorso di Mussi, il quale giustamente ci spiegava come si fa l'opposizione, così come i sindacati fanno i sindacati (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia). Quella è la condizione in base alla quale complessivamente si può stare tutti insieme, determinando condizioni formali di maggioranza e di opposizione. Noi invece vogliamo continuare a svolgere un'azione di opposizione di merito.
Ecco il senso di questa «staffetta» di democrazia, di questa «staffetta» di libertà, di civiltà democratica, di iniziativa politica. È un bagliore, è un faro forte che parte dal Parlamento e dalle posizioni del Polo per giungere in tutto il paese e per dare la sensazione vibrante e forte che questo faro di luce può illuminare ancora il nostro paese e può farlo soprattutto sapendo che vi è una certezza, quella di alcuni obiettivi che vanno raggiunti.
Caro Governo e cara maggioranza, avete avuto la capacità di far considerare l'Europa come una fattura. Quando si parla di Europa ormai è naturalmente accomunata l'idea delle tasse; avete avuto questa capacità, punto dopo punto, avendo fatto una promessa nel corso della campagna elettorale. Guardate, la promessa sull'onore è una cosa grave e quando è celebrata da colui il quale diviene Presidente del Consiglio è ancor più grave il determinarsi di un nocumento evidente, un danno palpabile all'istituto del voto, cioè l'espressione di fiducia verso chi dice bla bla e poi opera puntualmente in modo difforme e contrario. Il pinocchietto Prodi è stato ripetutamente sbugiardato e dal canto nostro non potevamo sottrarci ad un'azione ostruzionistica che ci consente di far capire alla gente che anche rispetto all'IVA si è tentata un'operazione che non è di semplificazione, di razionalizzazione, uniformante rispetto a parametri europei, ma soltanto un goffo e malcelato tentativo di aumentare la pressione fiscale. Gli italiani lo hanno capito, ma più di tutti lo stanno comprendendo i cittadini del Mezzogiorno i quali si trovano in una condizione di assoluto disagio che promana dalle difficoltà che l'attuale Governo e l'attuale maggioranza stanno determinando in quella realtà.
Guardate che il 63 per cento dei giovani vi ritiene poco credibili; il 29 per cento, del tutto incredibili: sono i giovani che mostrano particolare attenzione a ciò che fate e hanno ben compreso ciò che non fate (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lorusso. Ne ha facoltà.

ANTONIO LORUSSO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, premesso che la direttiva CEE 92/77 aveva disposto l'avvicinamento delle aliquote IVA nei vari paesi europei al fine di ridurle a tre (una ordinaria e due ridotte) e che la stessa direttiva dava la possibilità di mantenere, attraverso una norma transitoria, un diverso regime fino a tutto il 1998, non si comprende la necessità di intervento in materia di aliquote IVA da parte del


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Governo. Ciò nonostante esso è intervenuto in quanto si è reso conto che le entrate dello Stato non erano sufficienti a coprire quanto previsto per il 1997. Infatti al 30 settembre scorso le entrate ammontavano a 370 mila miliardi e dunque fortemente in ritardo rispetto ai previsti 550 mila miliardi per l'intero anno. Né il Governo può sostenere che nei mesi che restano per chiudere il 1997 riuscirà ad incassare i 180 mila miliardi che mancano per raggiungere la cifra fissata.
Il conto è presto fatto. Si ritiene che la media del gettito tributario non superi i 35 mila miliardi al mese, ma il Governo è fiducioso e ritiene di raggiungere l'obiettivo e per garantirsi un ulteriore introito ha pensato bene di aumentare le aliquote IVA. Noi siamo nettamente contrari a tale aumento per svariati motivi. Contestiamo innanzitutto la scelta compiuta tra le varie possibilità che vi erano in campo. Ci si poteva, ad esempio, semplicemente adeguare alla direttiva europea aumentando dal 4 al 5 per cento l'aliquota ridotta ed elevando dal 16 al 19 per cento quella transitoria. Così facendo si avrebbe avuto un'entrata aggiuntiva di 4 mila miliardi, con un accettabile aumento dell'indice dei prezzi non superiore allo 0,45 per cento. Si poteva mirare con più determinazione all'annullamento dell'effetto inflazionistico, riducendo le aliquote dal 19 al 10 per cento per alcune categorie ed aumentandole dal 10 al 19 per cento per altre, ottenendo così un aumento delle entrate pari a 2.900 miliardi, senza tuttavia determinare alcun impatto inflazionistico.
Cosa fa invece il Governo? Segue la terza strada; ottiene, cioè, maggiori entrate per 6 mila miliardi ignorando o, meglio, negando che l'effetto immediato sarà una forte inflazione. Tutto questo perché chi ci governa oggi guarda solo ed esclusivamente al maggior prelievo fiscale, al di là di ogni altra considerazione, senza preoccuparsi minimamente dei conseguenti dannosi effetti per l'economia. Il Governo afferma che l'inflazione non aumenterà oltre lo 0,7 per cento; noi riteniamo che per il solo 1998 si corre il rischio di raggiungere il 3 per cento. Cosa accadrà a noi che ci accingiamo ad entrare in Europa? Come potremo rendere compatibile la nostra presenza insieme ad altri paesi europei che hanno agito e stanno agendo in maniera molto più coerente con i parametri europei?
Il Governo avrebbe potuto utilizzare margini di tempo superiori per adeguarsi alle direttive comunitarie. Portando in aula il provvedimento in esame ha invece deciso di accelerare questi tempi. La motivazione è da ricercare ancora una volta nell'unico obiettivo di questo Governo: assicurarsi altre entrate fiscali. Il prezzo per questa scelta verrà pagato ancora una volta sacrificando lo sviluppo del nostro paese, l'occupazione e la stabilità monetaria della nostra già malridotta economia. Il Governo ha dichiarato di aver voluto tutelare tutti i consumi di natura prioritaria. Con questo provvedimento, invece, si colpiscono, ad esempio, settori come quelli dell'abbigliamento e delle calzature che producono sicuramente beni di natura prioritaria e che in buona parte del nostro paese svolgono un importantissimo ruolo in un momento così difficile come quello che stiamo vivendo.
Quanto più volte asserito dall'attuale Governo e dai partiti che lo sostengono circa l'emergenza occupazionale, quale punto centrale del proprio programma, va in netta contrapposizione con i provvedimenti assunti dallo stesso esecutivo. Infatti soltanto un programma di governo che riordini il sistema fiscale, riducendo nel contempo il prelievo, in sintonia con la media europea, e quindi destinando una parte del PIL agli investimenti, può contare in uno sviluppo che comporti la creazione di posti di lavoro.
La politica fiscale di questo Governo incentiva invece il sommerso e l'evasione fiscale poiché è assurdo che l'artigiano, fornitore di servizi, debba applicare l'aliquota IVA al 20 per cento ponendo all'utente la scelta di ridurre il proprio esborso in modo significativo, pagando perciò in nero.
Che dire poi dell'aliquota del 20 per cento sull'edilizia? Sappiamo che il settore

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versa in una crisi gravissima. Ebbene, questo aggravio fiscale lo affosserà definitivamente. La nostra parte politica chiede da sempre interventi strutturali di razionalizzazione della spesa pubblica e non di semplici palliativi. L'attuale Governo non ha inteso operare le necessarie modifiche strutturali nel perseguire l'obiettivo del risanamento della finanza pubblica; esso ha voluto ancora una volta assicurare nuove entrate, certe ed indispensabili, volte a garantire la presenza del paese sul palcoscenico dell'Europa attraverso un costante e sempre più deleterio inasprimento della pressione fiscale. Ma se è vero ed auspicabile che riusciremo ad entrare in Europa, con provvedimenti come quello oggi in discussione riusciremo anche a restarci? E per quanto tempo? Per questi motivi sono contrario al decreto-legge al nostro esame (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fratta Pasini. Ne ha facoltà.

PIERALFONSO FRATTA PASINI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, intervenendo per dichiarazione di voto sugli ordini del giorno avevo già sottolineato il rischio che il Governo, con le sue scelte di politica fiscale, riaccendesse una spirale inflazionistica che negli ultimi anni si è raffreddata. Tale risultato è stato sbandierato come uno dei successi del Governo Prodi, mentre in realtà è uno degli esempi di come il conformismo diffuso distorca le situazioni reali. Se in Italia i prezzi non salgono, questo non è l'effetto benefico di una politica economica che abbia imboccato la strada del risanamento; è piuttosto la conseguenza delle difficoltà e delle incertezze dei cittadini, dei lavoratori, delle famiglie che non spendono perché non hanno risorse né certezze per il futuro. Però, il raffreddamento della domanda interna non è certo un indice di benessere; al contrario, è al tempo stesso sintomo e causa di una malattia. È sintomo perché significa che i cittadini non hanno risorse o temono di perderle; è causa in quanto fa diminuire i profitti per i produttori ed i commercianti e limita la creazione di nuovi posti di lavoro attraverso una spirale negativa della quale non si intravvede l'uscita.
Partendo da queste premesse, l'ultima cosa al mondo che qualunque Governo responsabile potrebbe pensare di fare sarebbe introdurre provvedimenti che determinassero un ulteriore calo della domanda. Il Governo Prodi sta riuscendo in un capolavoro che giustifica appieno la nostra battaglia parlamentare: adottare provvedimenti che contemporaneamente colpiscono i consumi e rischiano di riaccendere l'inflazione. In altri tempi, uno degli slogan più amati dalla sinistra era quello della difesa del potere d'acquisto dei salari dei lavoratori. Oggi di salari non parla più nessuno, non soltanto perché è un linguaggio superato, ma perché evidentemente non importa a nessuno, in questa sinistra, neppure dei lavoratori e dei loro destini. Altrimenti, non si spiegherebbe tanta determinazione da parte della maggioranza - che, lo ricordo, comprende anche rifondazione comunista - nel voler portare ad approvazione un provvedimento che produrrà un aumento dei prezzi e, quindi, una diminuzione della possibilità per ciascuno di acquistare generi che non sono affatto di lusso. Ci ripetiamo, ma va sempre detto: le calzature, l'abbigliamento, il vino sono tre esempi di prodotti che pagheremo più cari grazie al Governo Prodi. E si sa che sono proprio i ceti più deboli quelli per i quali tale aumento di prezzi ha effetti più gravi ed immediati.
Analogamente, sono sempre i ceti più deboli quelli che vedranno erosi stipendi e risparmi a causa del riaccendersi dell'inflazione. Tutto questo, però, al primo Governo delle sinistre non sembra interessare. Interessa soltanto mantenere fermo un approccio ideologico vecchio e di sostanziale continuità con i logori sistemi della prima Repubblica. È un approccio secondo il quale la strada da percorrere è quella di continuare ad


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inseguire la spesa pubblica, che comunque non si riesce a controllare, con l'incremento della pressione fiscale ai danni soprattutto di chi lavora e di chi produce.
Anche se il leader del maggior partito della sinistra, in campagna elettorale, rivolge un invito agli imprenditori a far crescere il fatturato delle loro aziende ed insieme i posti di lavoro, le scelte del Governo sono, come spesso avviene, incoerenti con questi impegni. Ora con l'aumento dell'IVA, e fra poco con l'IRAP, chi produce ricchezza e posti di lavoro, invece di essere incentivato, viene perseguitato in ogni modo. Tutto questo è comprensibile per un partito che ancora oggi si chiama comunista: non fa che applicare una rovinosa dottrina economica che ha prodotto miseria per decenni in molti paesi del mondo. È meno comprensibile però da parte di uomini che rappresentano - o dicono di rappresentare - il centro, che si dicono di scuola liberaldemocratica ma che oggi fanno parte, senza scrupoli e senza imbarazzi, di questo Governo. Mi riferisco ad uomini di alto prestigio intellettuale come Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini e Antonio Maccanico. Non hanno imbarazzi a sedere sui banchi di un Governo che è capace soltanto di colpire le imprese ed il ceto medio e, così facendo, di conseguenza tutti i cittadini, i lavoratori, i giovani in cerca di prima occupazione.
Se la maggioranza riuscirà ad operare questa forzatura, se le nuove aliquote IVA saranno approvate, un altro duro colpo verrà inferto a coloro che nonostante tutto lavorano, tengono in piedi le loro aziende ed i loro commerci, così facendo il proprio interesse ed insieme anche quello della collettività.
Non si faccia però illusioni il Governo Prodi che ha già clamorosamente fallito le previsioni sul gettito fiscale del 1997: quanto più si impoveriscono i cittadini, diminuiscono le attività imprenditoriali, si perdono posti di lavoro, tanto più diminuisce il reddito tassabile. Vi è infatti una soglia oltre la quale incrementare le imposte non solo rischia di favorire l'esplosione dell'evasione fiscale ma cessa di portare con sé un ulteriore incremento del gettito fiscale.
Signor rappresentante del Governo, tentando di impedire all'esecutivo, che lei qui rappresenta, di commettere un errore così grave, l'opposizione non fa il proprio interesse che sarebbe sicuramente quello di lasciarvi andare fino in fondo nei vostri errori, per godere poi degli effetti socioeconomici negativi che essi comporteranno. Verrà un momento in cui neppure la stampa più conformista potrà continuare a fingere che tutto vada bene e che l'Italia sia effettivamente risanata senza pagarne un prezzo.
Per noi di forza Italia e per tutta l'opposizione, però, il primo problema è rappresentato dagli interessi del paese; interessi che ciascuno di noi ha il diritto e il dovere di tutelare proprio perché ognuno di noi rappresenta la collettività nazionale nel suo insieme.
Questo lungo ed estenuante dibattito è faticoso, signor Presidente, signor rappresentante del Governo. Lo è per voi e per ciascuno di noi, ma se alla fine servirà ad evitare l'approvazione di un provvedimento tanto infelice, il nostro tempo e la nostra fatica non saranno stati spesi invano. Al contrario, potremo dire di aver onorato, in queste difficili giornate forse più che in altre occasioni, il mandato degli elettori e la funzione del Parlamento; quel Parlamento, colleghi e signori del Governo e della maggioranza, che avete tentato di svilire e di ridurre a luogo di ratifica delle vostre infelici decisioni assunte in tutt'altre sedi (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovine. Ne ha facoltà.

UMBERTO GIOVINE. Sull'incapacità e sull'inadeguatezza di questo Governo ad affrontare un momento molto critico per gli italiani abbiamo udito da questi banchi - i banchi dell'opposizione - numerose ed esaurienti testimonianze. Sull'iniqua politica fiscale di questo esecutivo non


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abbiamo bisogno di soffermarci, tante sono le denunce, tanto diffuse e tanto motivate.
Desidero perciò ora attirare la vostra attenzione, nell'annunciare la mia opposizione al provvedimento in esame, sulla gestione e sulla destinazione dei fondi sottratti dal Governo al risparmio privato ed alla pubblica prosperità; forse tale gestione è più scandalosa ancora dell'insopportabile pressione fiscale cui i cittadini italiani sono sottoposti. Infatti, caro Presidente, caro professor Marongiu, colleghi, mentre l'esazione raggiunge vette abissali mai prima toccate, il cattivo uso del pubblico denaro procede come prima, più di prima.
È giunto il momento di sollevarsi non solo contro un fisco iniquo, senza eguali in Europa, ma anche contro la sommaria amministrazione di quanto viene così crudelmente sottratto alla produzione, alla ripresa dell'economia, al benessere degli italiani. Nel mio intervento dell'altra sera a sostegno degli ordini del giorno della lega e del Polo, denunciai la politica dell'accumulo dei residui passivi - argomento molto trattato in questi giorni ma poco compreso - da parte del tesoro e che consiste nel taglio dei trasferimenti in luogo del taglio della spesa. Sull'entità di tali residui passivi e sulla loro validità - con ciò sommariamente definendola - la discussione è in corso. Tuttavia, sappiamo che si tratta di centinaia di migliaia di miliardi di lire. La politica della lesina praticata dal ministro del tesoro ha come risultato l'accumulo di residui passivi trattenuti dal Governo e non incanalati verso le destinazioni indicate da leggi e decreti, allo scopo di tenere artificialmente basso il parametro di Maastricht.

Il rapporto del 3 per cento è quello attorno al quale sembra ormai dover ruotare l'intera economia italiana e da cui pare dipendere la nostra futura dignità di europei ed anche la nostra passata dignità di italiani.
Il Governo accumula residui per fare cassa, sottraendo l'equivalente alle casse dell'economia privata e pubblica, dei servizi nazionali e locali. Come, quando, a chi saranno erogati questi fondi, se servono a mascherare la desolante assenza delle grandi riforme strutturali e l'inadeguatezza - quella sì strutturale - del Governo Prodi? Quanto costerà ai legittimi destinatari di risorse assegnate da legge dello Stato, la lunga e forse inutile attesa di quanto loro spetta? Come potranno enti pubblici e società private realizzare i loro piani in assenza di un minimo di certezza, di un minimo di correttezza da parte di un Governo che è cliente infedele, padrone protervo, mezzadro neghittoso, debitore latitante?
La grande ammucchiata dei residui passivi non serve soltanto a mascherare agli italiani e ai partner stranieri il fallimento del cosiddetto riformismo governativo. Queste centinaia di migliaia di miliardi di lire servono anche a garantire al Governo totale discrezionalità sui tempi, sui modi, sui destinatari dei fondi di competenza. Il Governo, infatti, dopo aver accumulato in un unico grande serbatoio tutto quanto dovrebbe invece essere immediatamente speso, si riserva di aprire i rubinetti che vuole, quando vuole, quanto vuole a sua pressoché totale discrezione, con l'esclusivo criterio della compressione della spesa per conformarsi ai parametri di Maastricht.
Con questi sistemi, colleghi, l'adesione ai parametri di Maastricht rischia di essere altrettanto effimera, inefficace e letale della famigerata quota novanta che il regime fascista impose come una camicia di forza agli italiani. Ed è ancora più insopportabile camicia di forza quella che il Governo cerca di imporre all'Italia, da una parte sottraendo con il fisco, dall'altra lesinando con la politica dei residui passivi.
In questo desolante panorama il precipitoso, avventato decreto IVA aggiunge una pennellata grigio-scura. Un giornale di questa mattina, Il Giornale appunto, si pone anche la domanda sul fenomeno di questi residui passivi, consistente al punto da non essere addirittura spiegabile. Ho cercato di dare solo alcuni elementi che sono di comune conoscenza, ma vorrei aggiungere un elemento strutturalmente

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ancora più grave a quelli contabili che ho appena detto. Non c'è solo questo; gran parte dei fondi che vengono assegnati dallo Stato finisce presso enti che non sono in grado di programmare e di progettare quanto è previsto venga finanziato dai fondi. Intendo dire che per una quantità, che valuterei al 60 per cento, l'indisponibilità di questi fondi è dovuta al fatto che i destinatari - questa volta non è il Ministero del tesoro, il quale è tuttavia colpevole ugualmente per le ragioni che dirò in conclusione - non sono in grado di produrre i progetti esecutivi per i quali i fondi vengono dati. E che colpa se ne può fare - si potrebbe dire - al Governo? Certo che gliene si può fare una colpa perché in questa stessa aula un anno fa il ministro Ciampi, denunciando il mancato uso di fondi strutturali da parte di numerose regioni italiane specialmente del sud, annunciò delle misure per sostituirsi a queste regioni con progetti multiregionali che avrebbero consentito l'utilizzo di questi fondi attraverso il cofinanziamento del Governo. Tutto ciò non è avvenuto: il Governo prima ha negato il cofinanziamento, poi si è appropriato e si sta di fatto appropriando dei fondi strutturali; sta ora ponendo le tagliole in modo che, passata una certa data, i fondi, sia quelli strutturali, sia - che è il peggio - quelli nazionali, non possano venire usati dagli enti locali.
Questa mancanza di progettualità, colleghi, questa mancanza di capacità di progettazione da parte di enti locali è dovuta alla mancata azione dello Stato. Questo Governo che doveva lanciare il New deal degli anni novanta non sa neanche che cos'era il New deal: una grande ondata di progettazione che ha attraversato gli Stati Uniti sulla spinta della crisi del 1929. Niente di tutto ciò troviamo nel desolante panorama, dove nessun progetto viene fatto, nessun progetto viene aiutato dal Governo.
Allora, si capisce come degli enti, messi improvvisamente di fronte ad incombenze che non sono in grado di assolvere, cadano facilmente nella trappola del Ministero del tesoro, il quale altro non vuole che essi non siano capaci di spendere, in modo da aumentare la montagna dei residui passivi, senza la quale il 3 per cento già oggi schizzerebbe al 3,8 e a fine anno supererebbe il 4 per cento.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LORENZO ACQUARONE (ore 9,05)

UMBERTO GIOVINE. Questa è la realtà, il resto sono chiacchiere. La contabilità dello Stato fatta in questo modo è un doloroso imbroglio, una crudele beffa agli italiani. E non importa essere dei profeti per capire che presto i nodi verranno al pettine; questo gioco verrà scoperto ed è un gioco che è tutto fatto contro gli interessi dell'Italia, contro gli interessi degli italiani, quelli che noi siamo qui a difendere malgrado una maggioranza e un Governo che ci impediscono di farlo, malgrado un Governo che non si presenta nemmeno in quest'aula a spiegare l'inaudito comportamento di ieri delle forze di polizia. Lo aspetteremo chissà quanto nella persona del ministro dell'interno perché venga a spiegarci cosa è successo, per quale motivo è successo e se succederà ancora, perché il clima è tale da far temere tutto ciò.
Torno al tema, Presidente, per dire che quando si parla di federalismo e ci si trova di fronte a questo uso perverso del centralismo, vuol dire che stiamo scherzando, stiamo di nuovo scherzando crudelmente, perché federalismo vuol dire mettere gli enti locali in grado di progettare, aiutandoli quando non possono farlo, non sottraendo loro le risorse e godendo se non riescono a raggiungere il livello di progettualità indispensabile. Il federalismo significa che gli enti più forti devono aiutare i più deboli, non che il Governo deve essere un Robin Hood al rovescio, il quale prende a chi non è capace per dare a chi vuole lui, quando vuole lui.
Signor Presidente, è con sgomento che assistiamo al procedere del Governo su una strada che non porta all'Europa dello


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sviluppo e dell'integrazione, ma all'Europa della disoccupazione, delle dismissioni, delle quote e delle multe. Come potremo approvare questi provvedimenti? Come possiamo accettare tale normativa? Non possiamo, dunque, e non vogliamo votarla; per tre giorni e due notti non l'abbiamo votata. Siamo contrari (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Giovine.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rossetto. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE ROSSETTO. Signor Presidente, il decreto sull'IVA, che rappresenta una componente caratterizzante della manovra di finanza pubblica per il 1998, costituisce il classico esempio di quello che non si dovrebbe fare per risanare i conti dello Stato. Questo Governo insiste nel percorrere fino alle estreme conseguenze la strada dell'aumento della pressione fiscale, essendo manifestamente incapace di contenere in misura permanente e significativa la dinamica della spesa pubblica. Questo modo di procedere deprimerà sicuramente la domanda interna ed allontanerà la ripresa produttiva ed occupazionale. Le nostre imprese sono sempre più gravate da oneri fiscali e parafiscali, oneri che sono superiori a quelli degli altri paesi europei e dei paesi limitrofi, anche non europei; per questo motivo si troveranno sempre più in difficoltà a fronteggiare la concorrenza internazionale e saranno sempre più indotte a localizzare gli stabilimenti fuori dall'Italia, spostandoli naturalmente in paesi che siano meno rapaci sotto il profilo fiscale.
La direttiva CEE n.77 del 1992 aveva disposto l'avvicinamento delle aliquote IVA nei vari paesi europei al fine di ridurle a tre (una ordinaria e due ridotte). La stessa direttiva dava la possibilità di mantenere attraverso una norma transitoria un diverso regime sino a tutto il 1998. Non c'era dunque alcuna necessità di intervento in materia di aliquote IVA da parte di questo Governo; ciononostante è intervenuto, perché si è reso conto che le entrate dello Stato non erano sufficienti a coprire quanto era stato previsto per l'intero 1997. Infatti il 30 settembre scorso le entrate erano state calcolate per 370 mila miliardi, erano comunque fortemente in ritardo rispetto ai previsti 550 mila per l'intero anno. Né il Governo può sostenere che nei tre mesi che restano per chiudere il 1997 riuscirà ad incassare il 180 mila miliardi che mancano per coprire le previsioni; il conto è presto fatto se si pensa che la media del gettito tributario non supera i 35 mila miliardi al mese. Ma il Governo è fiducioso, ritiene di raggiungere l'obiettivo e per garantire un'ulteriore introito ha pensato bene di introdurre questa modifica in aumento delle aliquote IVA. Sono contrario a queste modifiche, contrario in particolare all'aumento delle aliquote IVA, per un notevole numero di motivi. Anzitutto, non condivido la scelta effettuata dal Governo tra varie possibilità che pure potevano essere considerate. Ad esempio, l'adeguamento alla direttiva europea si sarebbe potuto realizzare aumentando dal 4 al 5 per cento l'aliquota ridotta - quella riferita, ad esempio, ai libri - e dal 16 al 19 per cento l'aliquota transitoria. Così facendo, avremmo conseguito una entrata aggiuntiva di 4 mila miliardi, con un accettabile aumento dei prezzi non superiore allo 0,4 per cento.
Inoltre, si sarebbe potuto mirare con maggiore determinazione all'annullamento dell'effetto inflazionistico riducendo le aliquote dal 19 al 10 per cento per alcune categorie ed aumentandole dal 10 al 19 per altre, così ottenendo un aumento delle entrate pari a 2.900 miliardi, ma senza impatto inflazionistico.
Cosa ha fatto, invece, il Governo? Ha seguito una nuova strada, per cui ottiene maggiori entrate (6 mila miliardi), ignorando - o, meglio, negando - che l'effetto immediato sarà rappresentato da una inflazione forte o comunque significativa. Tutto questo si verifica perché chi ci governa oggi guarda soltanto ed esclusivamente al maggior prelievo fiscale, al di là di ogni altra considerazione, senza


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preoccuparsi minimamente degli effetti di medio e lungo periodo sull'economia.
Il Governo dichiara che l'inflazione non aumenterà oltre lo 0,7 per cento; in realtà, molti indicatori ci segnalano un rischio del 3 per cento. Cosa accadrà allora a noi, che ci accingiamo ad entrare in Europa? Come potremo rendere compatibile la nostra presenza insieme ad altri paesi europei che hanno agito e stanno agendo in maniera molto più coerente con i parametri europei?
Il Governo avrebbe potuto utilizzare margini di tempo superiori per adeguarsi alle direttive comunitarie; portando in aula questo provvedimento, ha invece deciso di accelerare i tempi. Ancora una volta, la motivazione è da ricercare nell'unico obiettivo di questo Governo: assicurarsi altre entrate fiscali. Il prezzo di questa scelta sarà pagato, ancora una volta, sacrificando lo sviluppo del nostro paese, l'occupazione e la stabilità monetaria della nostra malridotta economia.
Il Governo ha dichiarato di aver voluto tutelare i consumi di natura prioritaria; in realtà, con questo provvedimento si colpiscono settori chiave (abbigliamento, calzature, motociclette) che producono sicuramente beni di natura prioritaria e che, in buona parte, svolgono un ruolo importantissimo in un difficile momento economico quale quello che stiamo vivendo.
La nostra parte politica chiede da sempre interventi strutturali, di razionalizzazione della spesa pubblica, e non semplici palliativi.
Questo Governo non ha voluto operare le necessarie modifiche strutturali nel perseguire l'obiettivo del risanamento della finanza pubblica. Questo Governo, ancora una volta, ha voluto soltanto assicurare nuove entrate certe ed indispensabili, con una logica di brevissimo periodo, per garantire la presenza del paese sul palcoscenico dell'Europa, attraverso un deleterio inasprimento della pressione fiscale.
Da tutto questo risulta evidente lo stato di confusione del Governo e della maggioranza; anzi, più che di confusione, parlerei di incapacità di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale e anche subito dopo l'insediamento del Presidente Prodi. Se si sia trattato di malafede o di incapacità sopravvenuta, non lo so e, anzi, direi che questo è un dato che non appare utile conoscere. Il vero problema è sempre - si tratta di un aspetto che intendo sottolineare ancora una volta - quello della confusione, una confusione nella testa dei cittadini, i quali non trovano sintonia tra le promesse dell'Ulivo e la realtà che l'Ulivo rappresenta. Tutto ciò nonostante un armonico, morbido ed asservito sistema dei media, che distorce qualsiasi cosa questo Governo faccia e lo fa in termini positivi per il Governo stesso.
In definitiva, i cittadini leggono e guardano una realtà virtuale, guardano programmi lontani dai loro problemi fisici. Questo, però, fa crescere la mancanza di chiarezza perché tra quello che il Governo promette e ciò che realmente fa, troppo spesso vi sono distanze abissali e troppo frequentemente si sfiora il ridicolo.
A tale proposito vorrei ricordare un caso, tra tanti, sempre a proposito dell'IVA. Mi riferisco, in particolare, all'aliquota posta sulle pay-tv. Tale argomento è stato affrontato molte volte sia in aula, in occasione della discussione di numerosi provvedimenti legislativi, sia nelle Commissioni competenti. Su questo settore sono stati realizzati interventi francamente risibili: è stata applicata un'aliquota IVA del 4 per cento che poi si è pensato di elevare al 10 per cento; successivamente la si è ridotta nuovamente al 4 per cento, attraverso un provvedimento che riguardava il riordino di tutto il sistema radiotelevisivo e l'istituzione dell'autorità garante per le comunicazioni, licenziato il 31 luglio 1997. Ripeto: stiamo parlando di una legge del 31 luglio 1997, cioè risalente a pochi mesi fa.
Come dicevo, era stato realizzato un intervento per la riduzione dell'aliquota IVA dal 10 al 4 per cento; improvvisamente, a distanza di soli tre mesi, si ritorna sull'argomento, si cancella l'agevolazione del 4 per cento e si riporta l'aliquota al 10 per cento, così come era

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previsto nella legge del luglio scorso e, addirittura, lo si fa per i settori direttamente collegati alle pay-tv ed alle televisioni via satellite, per i quali era prevista una ulteriore agevolazione per la sistemazione degli impianti, anche nelle abitazioni, e per i decorders, sottoposti ad un'aliquota elevata al 20 per cento.
Un ulteriore episodio assolutamente condannabile per la sua incoerenza vede come protagonista il vice primo ministro onorevole Veltroni, ed è anch'esso strettamente connesso all'aumento delle aliquote IVA, tema che stiamo dibattendo in quest'aula. Risale a pochi giorni fa una dichiarazione di Veltroni, non certo la prima della serie, sull'opportunità di diminuire l'IVA sui dischi dal 20 al 4 per cento. Potrebbe sembrare una proposta di grande democrazia, di illuminata visione culturale, anche perché la motivazione è che il disco è cultura, per cui l'IVA potrebbe - anzi dovrebbe - essere uguale a quella prevista per i libri. Altro punto cardine di questa magnifica idea del vice primo ministro, peraltro non nuovo ad iniziative ultra demagogiche di assoluto non rilievo dal punto di vista dei risultati (ricordo, ad esempio, la diminuzione del prezzo dei biglietti per assistere alle rappresentazioni cinematografiche pomeridiane, che non ha portato nemmeno uno spettatore in più nelle sale), è la lotta al mercato nero: un'idea eccellente! Con la diminuzione dell'aliquota IVA, secondo Veltroni, lo Stato si dovrebbe fare carico del decremento del prezzo di un prodotto, abbassando di 16 punti l'IVA. Mi chiedo: chi si intende tutelare con questa iniziativa? I redditi di 3 o 4 multinazionali delle telecomunicazioni che controllano il mercato della musica ed i redditi personali di una ventina o trentina di miliardari, che sono i cantanti, i quali rischiano la povertà a causa del mercato nero! Certo, in cambio di questo piccolo favore, i signori della canzone popolare sono pronti a scattare sull'attenti quando l'Ulivo chiama. Cantanti ed attori, anch'essi beneficiati a piene mani da Veltroni con i miliardi pubblici, quelli del fondo unico dello spettacolo, come un sol uomo, contribuiscono alla creazione dell'ologramma di un paese «normale», un paese dove, per propri interessi di potere, si cerca di stabilire per legge che il disco è un prodotto di cultura. Credo che questo... (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Grazie onorevole Rossetto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Casini. Ne ha facoltà.

PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, credo sia chiaro a tutti, soprattutto a coloro i quali assistono ai lavori del Parlamento e seguono questa discussione, come da parte nostra, da parte dell'opposizione, non si stia cercando di perdere tempo, utilizzando espedienti per evitare la conversione del decreto-legge in esame. Se questo fosse l'obiettivo, sarebbe sicuramente assai limitato e potrebbe essere visto soltanto in negativo. In realtà, la nostra è una posizione più complessa, una posizione che tende a recuperare le ragioni primarie della centralità del Parlamento nel dibattito sulle grandi scelte economiche e finanziarie di questo paese.
In questi ultimi periodi, tutti protesi, come giustamente siamo, all'ingresso in Europa, abbiamo forse trascurato un approfondimento sul tentativo che il Governo aveva posto al centro del suo programma di intervento sugli squilibri strutturali della spesa pubblica italiana. Il Presidente Prodi e i suoi ministri si sono impegnati di più a cercare di rientrare nei parametri di Maastricht, ricorrendo a qualche operazione di plastica facciale, piuttosto che ad intervenire, come sarebbe stato assolutamente necessario, sugli squilibri strutturali della spesa pubblica italiana. Infatti, siamo andati avanti a base di tamponi o tamponcini ed il Governo è intervenuto con l'eurotassa e con le modifiche delle aliquote IRPEF; ora stiamo preparandoci ad una IRAP che colpirà soprattutto il ceto medio produttivo. In tale contesto, però, manca un disegno. Manca la capacità di intervento sugli


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squilibri strutturali che sono maturati in questi anni nella spesa pubblica italiana; manca la possibilità di creare le condizioni perché l'aggancio del nostro paese con l'Europa non sia astratto nei parametri, ma ci consenta duraturamente, nei prossimi anni, di rimanere attaccati al convoglio europeo.
Noi, come opposizione, temiamo - e lo temiamo con estrema lealtà e sincerità: esprimiamo questa considerazione scevra dall'attualità del dibattito politico - che una volta raggiunti i parametri di Maastricht, in realtà per l'Italia sia molto difficile rimanere agganciati al carro europeo e che si debba pagare un costo sociale molto forte, poiché il Governo che oggi dirige il nostro paese ha rinunciato a porsi obiettivi di più alto respiro. Perché ha rinunciato a porsi questi obiettivi? Perché ha rinunciato a fare una politica. Perché ha rinunciato a fare una politica? Perché non può farla, in quanto la maggioranza che lo sostiene è così eterogenea e così pesantemente coinvolta dall'impostazione dirigista ideologica statalista della sinistra di rifondazione comunista che non riesce a spiccare il volo nelle scelte che pure enuncia di mese in mese e poi puntualmente rinvia. Lo abbiamo visto in occasione, ad esempio, della manovra preannunciata, strombazzata più volte dal Governo, sullo Stato sociale: una riduzione di 9 mila miliardi, un intervento di 9 mila miliardi, una crisi politica seguita a questo annuncio che ha finito per ridurre l'intervento del Governo a 2.750 miliardi. La differenza di 6 mila miliardi all'anno non è cosa da poco: non solo è tanto per l'entità della cifra, ma anche perché è lo specchio di una rinuncia a colmare quello squilibrio strutturale nel sistema previdenziale italiano che finirà per gravare inevitabilmente sulle prossime giovani generazioni.
Se si fosse realizzato, col presidente Berlusconi e con il ministro del lavoro Mastella, un intervento sulla previdenza come si era ipotizzato, avremmo rinunciato ad intervenire... (Applausi del deputato Armani e dei deputati del gruppo di forza Italia). Avremmo certamente realizzato una riforma con un costo sociale limitato, e per quest'anno ci saremmo potuti risparmiare l'eurotassa, perché già in questo esercizio finanziario le entrate sarebbero potute aumentare di una cifra assai consistente.
Questo Governo ci obbliga a vivacchiare; entrerà nei parametri di Maastricht, ma ci renderà assai difficile la permanenza senza costi sociali enormi. Qualcuno dice che questo Governo trucca i conti. Non voglio arrivare a definire falsari coloro che hanno la responsabilità primaria dei conti dello Stato, ma basta essere nelle condizioni, come molti imprenditori, di chiedere un rimborso all'ufficio IVA per capire che entreremo nei parametri di Maastricht anche con metodi sleali, ad esempio congelando i rimborsi che si dovrebbero dare ai cittadini destinatari a tutti gli effetti degli stessi. Esiste sostanzialmente un'incapacità di affrontare i nodi ed esiste un impegno a tutti i livelli per fare questa grande operazione cosmetica di plastica facciale.
Davanti ad una situazione di questo tipo, l'opposizione fa il suo dovere, cerca di emendare e migliorare; non può privarsi del diritto-dovere di una proposta alternativa. Perché l'opposizione è spinta a forme di impegno in quest'aula che possono rasentare l'ostruzionismo? Signor Presidente, non sfugge che se l'opposizione conduce una battaglia parlamentare aspra come questa, lo fa perché non vi è da parte del Governo alcuna disponibilità ad accettare un confronto leale.
La posizione del Governo appare chiara dalla vicenda che abbiamo approfondito con il decreto-legge sull'IVA. L'opposizione ha presentato degli emendamenti, ma vi era stato anche un impegno alla conversione. Questi emendamenti non si vogliono discutere; il Governo appone continuamente la fiducia. Quanta ipocrisia vi è stata nei mesi scorsi quando si parlava degli impegni che il Governo assumeva per non porre sistematicamente la questione di fiducia! Ricordo che vi sono state trenta fiducie in poco più di 500 giorni. La maggioranza è stretta tra le contraddizioni di chi sostiene il Governo,

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per cui viene spinta a non accettare un confronto parlamentare che porti a modifiche. A quel punto si chiude sistematicamente nel suo fortilizio, non accetta modifiche, non accetta che vengano presentati emendamenti, non accetta che si discuta liberamente in quest'aula ed è in corso un'operazione di espropriazione vera e propria del Parlamento.
Quando sento l'onorevole Mussi che dice che noi vogliamo impedire, con la bocciatura del decreto-legge in esame o prendendo tempo, l'ingresso dell'Italia in Europa, si assume una responsabilità molto forte, perché l'aggancio in Europa il Governo deve assicurarlo sulle cose che contano, sulla manovra strutturale che non è mai riuscito a completare. Su questo decreto-legge il Governo doveva fare una sola cosa: accettare liberamente il confronto parlamentare in quest'aula, perché l'opposizione non si può sistematicamente piegare (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Prestigiacomo. Ne ha facoltà.

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Presidente, colleghi, purtroppo stiamo assistendo in queste ore fuori da questo palazzo ad una grande manovra di mistificazione della verità, una manovra che vede collegati in un abbraccio da un lato il Governo e le forze della coalizione dell'Ulivo e dall'altro parte della grande stampa, che assieme stanno minimizzando e stravolgendo il senso e le ragioni della nostra opposizione parlamentare.
Questo disegno, caro sottosegretario, che segue pratiche - ci dispiace doverlo ripetere ma è la verità - tipiche dei regimi illiberali, è diventato a questo punto necessario per riuscire a mantenere la falsa immagine positiva del Governo Prodi. Ciò che sta accadendo in quest'aula con mezzo Parlamento che si sottopone a ritmi di lavoro massacranti, pur di ostacolare l'adozione di un provvedimento ritenuto vessatorio nei confronti dei cittadini e dannoso per la nostra economia, è infatti prova e testimonianza che nell'epoca dell'Ulivo le cose non vanno nel modo roseo ed idilliaco rappresentato dai mass-media legati al potere dell'Ulivo.
Se infatti nel nostro paese va tutto bene, se tutti gli indicatori economici sono a posto, se le porte dell'Europa sono spalancate, se tutti i paesi del continente ci guardano ammirati, perché questo Governo illuminato continua a tartassare i cittadini con nuove tasse? Come è possibile che ieri con l'IRAP e oggi con l'IVA questo Governo sappia mettere in campo solo misure di questo tipo? Come è possibile che questa sorta di dream team della pubblica amministrazione sappia pensare e attuare a colpi di fiducia provvedimenti per risanare i nostri conti? Non avevate parlato voi di ridurre le spese? Non avevate parlato di dover operare tagli per 9 mila miliardi? Che fine hanno fatto il rigore, la trasparenza, la lotta agli abusi e alle disparità di trattamento? Che fine ha fatto la battaglia alle cresciute rendite delle categorie, la battaglia contro quelle rendite parassitarie che sono cresciute all'ombra della prima Repubblica e a spese dello Stato?
Il Governo sta gettando la maschera, ma gli italiani non devono saperlo. E allora, con le penne amiche, sempre pronte al panegirico, quelle che si stanno alternando in editoriali che raccontano la dissoluzione del Polo, si costruisce una realtà virtuale e la si propina agli italiani quale fosse la verità. E tutto ciò senza pudore e senza ritegno.
La verità virtuale che si sta cercando di vendere agli italiani è quella di una opposizione rissosa, insonne, che, probabilmente, per mascherare i propri problemi interni, ha cercato un futile pretesto per un ostruzionismo finalizzato soltanto ad ottenere una visibilità politica. La realtà che si sta cercando di trasmettere all'esterno è quella che l'opposizione sta esercitando un suo diritto, cioè quello di fare l'ostruzionismo, contro un provvedimento di riordino dell'IVA, contro un'operazione di razionalizzazione della finanza pubblica, così caotica e diseguale. Scusate,


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ma questo è falso! Perché bisogna parlare di ostruzionismo contro un provvedimento di riordino? Perché il Polo dovrebbe essere contrario ad un provvedimento di riordino del sistema dell'IVA nel nostro paese? No, la verità è che noi stiamo esercitando un ostruzionismo contro un aumento delle aliquote dell'IVA, e questo è molto, molto diverso.
Accrescere le tasse oggi, da parte di questo Governo, significa, sinceramente, essere politicamente disarmati, incapaci di contrastare con le armi della moderna programmazione economica le tendenze conservatrici della coalizione di Governo. E se i conservatori del 2000, i neocomunisti, le centrali sindacali impongono a Prodi di non tagliare le spese, soprattutto quelle inutili, se impongono a Prodi di non risanare eliminando gli sprechi, se impongono a Prodi soprattutto di non intervenire sui fattori strutturali di incremento della spesa pensionistica, l'unica alternativa per il Governo è quella di aumentare le tasse per tutti, al fine di difendere privilegi e situazioni acquisiti di pochi. E se si aumentano le tasse sotto il camuffamento delle riorganizzazioni e della razionalizzazione, come è accaduto con l'IRAP e come sta accadendo oggi con l'IVA, il risultato è quello di deprimere l'economia e le imprese, quello di ricacciare indietro le speranze di una crescita dei livelli occupazionali. Ma in Italia Prodi - ormai si è capito - gli unici posti di lavoro che è in grado di creare sono quelli assistenziali e clientelari dei lavori socialmente utili e delle borse di lavoro.
Ancora ieri sera, il Presidente del Consiglio ha lanciato l'immancabile grido d'allarme, intimidatorio sul nostro ingresso in Europa, evidenziando i pericoli che il processo di risanamento dei conti pubblici possa essere rallentato e, quindi, paventando che si possa nuovamente allontanare il traguardo dell'integrazione continentale. Onorevole Prodi - direbbe Totò - ci faccia il piacere! Vuole far credere alla nazione che il nostro ingresso in Europa, quello che, a seconda delle convenienze del momento, è già acquisito o ancora lungo da venire, dipenda dalla battaglia dell'opposizione contro l'aumento dell'IVA? Forse farebbe meglio ad evitare di spingersi a tali, grossolane inesattezze il Presidente del Consiglio. La questione, come lei, onorevole Prodi, che si intende di economia, ben sa, è un'altra: la questione è che lei ha dovuto cambiare in corsa la sua finanziaria già inadeguata, e questo per soggiacere al compromesso con rifondazione comunista; la questione è che lei ha dovuto e voluto adottare una politica che, calando l'acceleratore sulla pressione fiscale, deprimerà la nostra economia, non consentirà di ottenere i tassi di sviluppo programmati, accrescerà la disoccupazione.
Il Presidente del Consiglio ha ragione quando dice che la strada verso l'Europa è ancora difficile. Ciò che l'onorevole Prodi non dice, e che pochi si preoccupano di fargli rilevare, è che le responsabilità di questa incertezza sono tutte del Governo. Ciò che non dice è che gli indicatori dell'economia non segnalano una reale ripresa produttiva, non segnalano una crescita degli investimenti, non segnalano un incremento degli occupati. Gli indicatori che segnalano la salute di un paese noi li abbiamo in rosso, perché le misure che questo esecutivo sta adottando sono misure depressive. I conti dello Stato si vogliono risanare aumentando l'IVA, tartassando ulteriormente i ceti medi produttivi, togliendo dalle tasche degli italiani che lavorano gli ultimi denari per versarli nelle casse di uno Stato incapace di fare pulizia al suo interno, incapace di scalfire le rendite di posizione che consentono soltanto a poche lobby di perseguire con successo il dissesto delle pubbliche amministrazioni.
Per concludere, io voglio dire solo questo: noi abbiamo affrontato con grandissima serietà e con grandissimo senso di responsabilità il lavoro duro di queste due lunghe giornate e due lunghe nottate in questo Parlamento. Vorremmo anche che da parte degli organi di informazione (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)...

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PRESIDENTE. Grazie, onorevole Prestigiacomo.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gastaldi. Ne ha facoltà.

LUIGI GASTALDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, intervengo per dichiarazione di voto finale sul decreto sull'IVA che vede Polo e lega accumunati in una giusta battaglia a difesa degli interessi del loro elettorato, che sono in larga misura convergenti, per quanto riguarda le istanze di politica economica e fiscale. L'ammodernamento ed efficienza dell'apparato pubblico centrale e locale, la riduzione della spesa pubblica, la riduzione della pressione fiscale, la valorizzazione della media, piccola e piccolissima impresa, dell'artigianato, del commercio, dell'agricoltura e del lavoro autonomo e la riduzione della presenza dello Stato nell'economia riflettono il pensiero comune di quel blocco sociale che fa riferimento a Polo e a lega, lo stesso blocco sociale che il Governo e il suo ministro delle finanze stanno penalizzando con questo decreto sull'IVA e che verrà ulteriormente e pesantemente penalizzato dall'introduzione dell'IRAP. Il fatto che Polo e lega si trovino oggi schierati dalla stessa parte della loro azione di critica ferma e dura nei confronti del Governo, apre concrete prospettive di convergenza per una opposizione capace di contrastare la crescente egemonia dell'Ulivo e del Governo da esso espresso.
Come deputato dell'Oltrepò pavese che mi onoro di rappresentare, che ha un'economia prevalentemente basata sulla vitivinicoltura, non posso non evidenziare il grave impatto che avrà l'aumento dell'IVA sul vino dal 9 al 20 per cento. Verranno sottratti oltre 300 miliardi ai nostri vitivinicoltori in un comparto che sta incontrando grosse difficoltà e che rappresenta uno dei settori produttivi più importanti per l'agricoltura italiana. Il settore vitivinicolo deve confrontarsi con una concorrenza estera, soprattutto quella comunitaria, i cui governi applicano, contrariamente al nostro, politiche di sostegno, di protezione e di promozione dell'immagine.
Con questo provvedimento si penalizzano le piccole aziende agricole a conduzione familiare che non hanno rivendicato quasi mai nulla, che hanno sempre duramente lavorato, che hanno raggiunto un importante risultato per valore esportato e che danno lavoro a molte centinaia di migliaia di addetti. Se il Governo ed il suo ministro fantasma proseguiranno su questa strada di assoluta insensibilità verso il settore primario, si uccideranno tante piccole imprese agricole e si creeranno altre perdite di posti di lavoro.
Voglio adesso ritornare, dopo un mio precedente intervento, sulla filiera economica legno-arredo, che è tra le più consistenti nel nostro paese. L'ultimo censimento industriale ha registrato circa 100 mila unità locali con un totale di oltre 428 mila addetti: questi dati attengono esclusivamente ai settori legno, mobile e illuminazione, senza tenere conto delle altre produzioni disperse nelle aggregazioni statistiche aventi per destinazione finale la casa, l'ufficio e gli spazi urbani e senza altresì tenere conto del vasto indotto sviluppato da queste produzioni nell'ambito sia del manifatturiero, sia dei servizi. Fanno parte del settore legno-arredo il 17 per cento del totale delle unità produttive di tutto il settore manifatturiero, con una numerosità seconda solo al tessile-abbigliamento.
Nel 1996, i risultati in termini di fatturato netto industriale si stimano in oltre 61 mila miliardi di lire, di cui 18 mila provenienti dalle esportazioni. Il saldo commerciale normalizzato del settore legno-arredo è secondo solo al settore meccanico in tutta l'industria manifatturiera. L'affermazione in campo internazionale, secondo i dati 1995 dell'International trade statistics year book dell'ONU, l'Italia è il primo esportatore mondiale di mobili e questa posizione è stata conquistata grazie alla qualità e all'alto contenuto di design dei prodotti, all'innovazione dei processi produttivi e alla specializzazione della manodopera. Nonostante la forte rivalutazione della lira nell'ultimo anno, si è osservata un'ulteriore espansione delle quote di mercato dei prodotti


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italiani del legno-arredo. Questo dato risulta in controtendenza rispetto a quello per l'Italia in generale, che ha mostrato invece nel 1996 una diminuzione delle quantità esportate.
L'aumento delle esportazioni ha evitato finora crisi dagli effetti dirompenti, nonostante che dal 1992 perduri la flessione della domanda interna che, oltre al calo generale dei consumi delle famiglie, ha subito nel 1997 la pesante distorsione conseguente al vantaggio dato al settore dell'auto e del motociclo attraverso gli incentivi alla rottamazione. Negli ultimi cinque anni la domanda interna di mobili a prezzi costanti si è ridotta del 30 per cento e non mostra segni di inversione; di conseguenza, gli operatori del settore stanno chiedendo da tempo una serie di misure che consentano di contrastare la congiuntura negativa, nella consapevolezza che la rivendicazione riguarda non semplici prodotti di consumo, ma beni la cui disponibilità condiziona direttamente il tema dell'economia e la qualità della vita.
Alla prova dei fatti, anziché vedere attuati provvedimenti capaci di agevolare e indirizzare la decisione di spesa di famiglie e di imprese, si deve constatare che l'attesa di applicazione dei provvedimenti per la ristrutturazione e la manutenzione edilizia ha determinato il rinvio delle decisioni d'acquisto, particolarmente grave per quanto attiene alla domanda nel sistema dell'edilizia. L'aumento delle aliquote IVA introdotto per decreto-legge dal 1 ottobre danneggia il complesso della filiera legno-arredo, in quanto costituisce un ulteriore disincentivo al consumo di prodotti per l'edilizia e l'arredamento. Il settore arredamento e mobili per ufficio risulta al momento escluso dalle misure di rilancio per l'edilizia, di cui sono parte essenziale per garantire funzionalità e benessere all'individuo: una casa, un ufficio, una città con le componenti e gli arredi giusti contribuiscono in maniera decisiva al benessere psicofisico dell'individuo; viceversa ambienti costruiti alla perfezione, ma dotati di arredamento inadeguato, non sono completamente confortevoli e funzionali.
L'imminente introduzione dei decreti attuativi della normativa Ronchi sui limiti alle emissioni in atmosfera, determina uno svantaggio competitivo delle nostre industrie rispetto a quelle dei principali paesi concorrenti e pone le imprese di fronte a vincoli tecnici praticamente non risolvibili, in quanto producono costi non sostenibili dai conti economici aziendali. Perché le diverse componenti del settore possano tornare ad operare in un contesto di mercato nazionale avviato verso la ripresa della domanda, si rende necessaria la riduzione dell'IVA per legno, sughero, semilavorati industriali, pavimenti dal 20 al 10 per cento, nella consapevolezza che il minore introito per unità di vendita sarà recuperato grazie alla maggiore quantità di transazioni ufficiali in un comparto che costituisce la base di una lunga catena di successive lavorazioni industriali. Va inoltre prevista la riduzione delle aliquote IVA dal 20 al 4 per cento per gli acquisti di arredamento e complementi d'arredo alle famiglie neo costituite.
La mia parte politica chiede da sempre interventi strutturali e non continui inasprimenti fiscali. Per questi motivi - concludo, signor Presidente - dichiaro il mio voto contrario al provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

RAFFAELE COSTA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELE COSTA. Signor Presidente, devo lamentare il fatto che il ministro dell'interno, diversamente da quanto era già stato annunciato...

PRESIDENTE. Onorevole Costa, mi scusi...

RAFFAELE COSTA. Non le faccio perdere tempo! Sono venuto stamattina alle


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4 meno un quarto per sentire il ministro dell'interno, che non è ancora venuto! Abbia pazienza! (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Onorevole Costa, devo far rispettare il regolamento e la prego di comprendere, per la sua esperienza parlamentare, che gli interventi incidentali sono ammissibili soltanto quando i richiami sono volti in modo diretto ed univoco allo svolgimento e alle modalità della discussione in corso. Siccome il suo intervento non è attinente al decreto sulle disposizioni tributarie, non le posso dare la parola.

RAFFAELE COSTA. Vorrei sapere quando viene il ministro! È accaduto un fatto grave! Non è pensabile che venga alla fine della discussione, che si protrarrà oltre la giornata di oggi!

PRESIDENTE. Onorevole Costa, la richiamo all'ordine!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Palumbo. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE PALUMBO. Signor Presidente, la ringrazio per avermi dato la parola, ma non posso che associarmi alla protesta dell'onorevole Costa perché anch'io sono qui da stanotte alle 3 in attesa che il ministro Napolitano venga a riferire in quest'aula, ma il ministro non è venuto; siamo rimasti tutta la notte ad aspettare, non in attesa degli interventi che erano spostati in avanti, ma purtroppo il ministro non ha ritenuto opportuno presentarsi in quest'aula, non sappiamo perché. Comprendo anche la stanchezza del sottosegretario Marongiu, che mi ricorda i padri che passeggiano in attesa davanti alle sale parto; capisco che il figlio non è suo, però lei fa parte di questo Governo, per cui noi ci assumiamo la nostra parte e lei deve assumersi la sua!
Con il mio intervento, come quello dei colleghi che mi hanno preceduto, intendo dichiarare un voto contrario sul provvedimento in materia di IVA. In questo particolare momento, in cui noi parlamentari siciliani ci troviamo in piena campagna elettorale per le elezioni amministrative, il cui primo turno si svolgerà domenica prossima, devo dire che, in un certo senso, con questo provvedimento il Governo ci ha dato una mano, perché ci ha permesso di mettere ancora una volta in evidenza le sue gravissime inadempienze nei confronti del Meridione e soprattutto della Sicilia. Questo Governo continua a percorrere fino alle estreme conseguenze la strada dell'aumento della pressione fiscale, non essendo capace di contenere veramente la spesa pubblica. Quando in campagna elettorale...

PRESIDENTE. Onorevole Prestigiacomo, per cortesia, non dia le spalle alla Presidenza! (Commenti di deputati del gruppo di forza Italia).
Prego, onorevole Palumbo.

GIUSEPPE PALUMBO. Quando in campagna elettorale ho chiarito agli elettori siciliani in cosa consista questo decreto IVA, nonché la nuova imposta IRAP (che, come sapete, il nostro governo regionale sta cercando di non attuare nell'autonomia del suo statuto), il disappunto della gente del sud è stato veramente grandissimo. Direi che si è arrivati all'indignazione ed alla protesta più forti che a stento sono state trattenute.
Questo Governo - così lungimirante e così attento - ha capito di avere un grosso buco di bilancio (5-6 mila miliardi) per il 1997 probabilmente dovuto ad una diminuzione degli introiti inizialmente previsti. Evidentemente per riparare a questa situazione ha ritenuto opportuno fare qualcosa di nuovo, cioè aumentare nuovamente le tasse.
La direttiva comunitaria 92/77 aveva disposto l'avvicinamento delle aliquote IVA nei vari paesi europei al fine di ridurle a tre: una ordinaria e due ridotte. La stessa direttiva dava però la possibilità di mantenere attraverso una norma transitoria un diverso regime fino a tutto il 1998.
Ciò nonostante il Governo ha deciso di intervenire, essendosi reso conto - come


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ho detto - che le entrate dello Stato erano deficitarie. Infatti, fino al 30 settembre scorso sono stati incassati circa 370 mila miliardi: ciò significava un forte ritardo rispetto ai previsti 550 mila miliardi per l'intero anno 1997. Né il Governo può pensare - o ci può far credere - che nei tre mesi restanti riesca ad incassare i 180 mila miliardi mancanti per coprire le previsioni. Il conto, dunque, è presto fatto, se si pensa che la media del gettito tributario non supera normalmente i 35 mila miliardi al mese.
Ma il Governo - fiducioso ed attento - ritiene di raggiungere l'obiettivo. Per garantirsi un ulteriore introito ha pensato bene di introdurre questa modifica in aumento delle aliquote IVA. Noi contestiamo la scelta, per diversi motivi.
Innanzitutto, si sarebbe potuto - per esempio - adeguare semplicemente la struttura IVA secondo i dettami della direttiva europea, aumentando l'aliquota ridotta dal 4 al 5 per cento e l'aliquota transitoria dal 16 al 19 per cento. Così facendo si sarebbe ottenuta una entrata aggiuntiva di 4 mila miliardi con un aumento dell'indice dei prezzi accettabile, cioè non superiore allo 0,45 per cento. Inoltre, si sarebbe potuto mirare con più attenzione all'annullamento dell'effetto inflazionistico, riducendo l'aliquota dal 19 al 10 per cento per alcune categorie ed aumentandola per altre; si sarebbe ottenuto un aumento delle entrate pari a 2.900 miliardi, senza l'impatto inflazionistico che sicuramente questa manovra produrrà. Il Governo dice che l'inflazione non aumenterà e si manterrà all'1,7 per cento. Noi riteniamo invece che nel 1998 l'inflazione rischi di raggiungere il 3 per cento.
Cosa succederà allora al paese, che ci accinge ad entrare in Europa? Tutta la manovra è stata effettuata e giustificata dal Governo per l'ingresso in Europa. Ma quante volte dobbiamo pagare questo benedetto biglietto di ingresso? Per l'ingresso in Europa abbiamo già pagato una tassa; ed il ministro Ciampi in questi giorni si è affrettato a dire che non ci sarà mai restituita (non era neanche una promessa sicuramente gli italiani non la vedranno rimborsata).
La verità è che questo Governo non riesce in alcun modo a fare ciò che sarebbe necessario, cioè le riforme più importanti. Fortunatamente la gente se ne sta accorgendo. Anche se i mass media e le televisioni - asservite al potere - non mettono in evidenza quello che succede attualmente nel paese, vediamo che il ministro Pinto è stato coperto di letame dai produttori di latte, i coltivatori diretti sono continuamente in protesta davanti al Parlamento, la prossima settimana entreranno in sciopero migliaia di medici specializzandi delle varie università per rivendicare i loro problemi, successivamente entreranno in sciopero moltissimi professori universitari per la mancata approvazione della riforma ed altrettanto pare sia in programma per molti medici a causa di tutte le belle cose che il ministro Bindi propone nell'attuale finanziaria nei confronti della categoria. Noi medici, poi, siamo particolarmente attenti all'aspetto dell'IVA, perché la paghiamo ma non possiamo mai riscuoterla; dunque è un'imposta che ci viene caricata completamente.
La manovra rappresenta allora l'ennesima determinazione di finanza pubblica che si riversa - come al solito - su chi lavora e produce, cioè sulle persone che danno il maggiore contributo produttivo all'Italia. La manovra colpisce generi di prima necessità, gravando sull'industria calzaturiera e manifatturiera oltre che su uno dei settori produttivi più importanti per il sud, come l'edilizia. Da un lato il Governo ha previsto facilitazioni per la ristrutturazione delle case, dall'altro ha inciso su tutti i prodotti che vengono utilizzati nell'edilizia con l'effetto di incrementare i costi delle ristrutturazioni stesse. La verità è che il Governo non riesce a realizzare quelle serie riforme che sono necessarie per portare avanti l'economia e lo sviluppo di questo nostro disastrato paese.
Nessuna seria riforma è stata fino ad oggi...

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PRESIDENTE. Il tempo, onorevole Palumbo.

GIUSEPPE PALUMBO. Abbiamo già finito, Presidente?

PRESIDENTE. La avvertivo che le restano a disposizione trenta secondi.

GIUSEPPE PALUMBO. Grazie.
Dicevo, Presidente, che nessuna seria riforma è stata fino ad oggi portata avanti da questo Governo nei campi universitario, sanitario e scolastico. È ora di smetterla con situazioni come quella che subiscono i cittadini del sud: oltre il 24 per cento di disoccupazione giovanile. Gente che si deve bruciare viva per sollevare il problema del proprio lavoro o che deve uscire per mare in condizioni terribili per cercare di guadagnarsi il pane (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Romani. Ne ha facoltà.

ALBERTO DI LUCA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ho già dato la parola all'onorevole Romani. Successivamente potrà intervenire, onorevole Di Luca

PAOLO ROMANI. Presidente, confermo che il collega Di Luca ha chiesto la parola prima di me.

PRESIDENTE. Mi scusi, ma le ho già dato la parola. Mi lasci condurre i lavori dell'aula per favore (Commenti del deputato Vincenzo Bianchi).
Prego, onorevole Romani.

PAOLO ROMANI. Presidente, sottosegretario Marongiu (penso che sia al suo terzo cappuccino, perché lo vediamo qui dalla scorsa notte...), colleghi della maggioranza e dell'opposizione, nella prima Repubblica il meccanismo elettorale non garantiva un principio di alternanza. Chi era all'opposizione tendenzialmente vi rimaneva anche dopo una consultazione elettorale e lo stesso accadeva alla maggioranza: chi era al Governo con larghissima probabilità sarebbe rimasto in carica anche successivamente. Dopo ogni consultazione elettorale ciascun partito si affrettava a vantare vittoria, pochissimi ammettevano una sconfitta; in realtà si registravano lievissime differenze percentuali rispetto ai risultati precedenti. In sostanza esisteva una «rendita di opposizione», perché chi si trovava in minoranza sapeva che avrebbe potuto sostenere cose assolutamente irragionevoli; tanto sarebbe rimasto all'opposizione a lungo. Vi era poi il tipico meccanismo della consociazione indotto da quel sistema: una sorta di correzione e di corruzione del principio della non-alternanza.
Con il sistema maggioritario, grazie al cielo, tutto questo è cambiato. La vittoria viene assegnata con chiarezza ad uno dei due schieramenti. Lo schieramento che perde diventa opposizione ma nel contempo si propone come maggioranza per la volta successiva. Il Governo propone provvedimenti legislativi; la minoranza si oppone, ma a sua volta deve avanzare proposte che abbiano senso e che siano condivisibili da parte della pubblica opinione. Perciò non esiste più la rendita di posizione dell'opposizione, ed in ogni momento vi è la necessità di una presenza politica. Nel dibattito parlamentare si verificano così nuovi comportamenti e si pongono nuove responsabilità, che devono essere assunte anche dall'opposizione.
Pur essendo fermamente contrari a questo Governo ed ai provvedimenti che sono stati presentati in aula, abbiamo partecipato e condiviso insieme con il Governo diverse proposte. Abbiamo partecipato ad un percorso bicamerale, con qualche mal di pancia all'inizio; tuttavia abbiamo partecipato. Abbiamo proposto, e condiviso, insieme ad importanti gruppi della maggioranza (abbiamo elaborato un testo che adesso verrà presentato in aula), un provvedimento che una parte della maggioranza non intendeva condividere, quello sull'Albania, e l'opposizione si è assunta la responsabilità di non far fare


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una figuraccia al nostro paese nelle sedi internazionali. Non è più possibile però il metodo consociativo: la trattativa è aperta, è chiara, è trasparente. Il Governo fa una proposta, l'opposizione si oppone, fa un'altra proposta e poi il Governo può decidere se accettarla nella sua interezza o solo in una parte. Comunque, è un meccanismo di scontro-incontro che si svolge con chiarezza e con trasparenza nelle aree parlamentari; ovviamente, laddove il Governo decida che la proposta dell'opposizione non sia congruente con le proprie aspettative, il livello di conflittualità fra maggioranza e minoranza si alza e ci si ritrova ad utilizzare anche i metodi più estremi. Il metodo più estremo che appartiene alla maggioranza parlamentare e al Governo è il voto di fiducia; ovviamente, laddove si continui a non immaginare che anche l'opposizione possa avere voce in capitolo, nel senso che possa avanzare delle proposte che abbiano senso, anche l'opposizione è costretta a ricorrere a strumenti estremi, in questo caso all'ostruzionismo.
Vedo che il rappresentante del Governo è distratto e forse un po' arrabbiato; pregherei il sottosegretario Marongiu di essere più sereno. Forse possiamo essergli utili; non so, si vuole spostare da questa parte, sottosegretario? Vuole chiedere la parola?

GIANNI MARONGIU, Sottosegretario di Stato per le finanze. Assolutamente no.

RAFFAELE COSTA. Perché sempre il sottosegretario Marongiu? Non ci sono altri sottosegretari?

PAOLO ROMANI. Comunque, l'impressione generale è che l'arroganza di questa maggioranza spinga il Governo a scegliere sempre e solo una strada, quella del voto di fiducia. E se l'opposizione non vuole scomparire, se non vuole essere abrogata culturalmente e politicamente, deve opporsi con tutti i mezzi a sua disposizione.
Accanto a questo comportamento è stato attivato un altro meccanismo, un meccanismo infernale, quello del controllo dei mezzi di comunicazione, nella fattispecie del servizio pubblico radiotelevisivo. Perciò la battaglia della nostra parte politica è una battaglia sacrosanta, che si deve fare in nome dei diritti dell'opposizione; quando il 40 per cento del paese ha vinto e ha espresso un Governo, ma tende a prevaricare il 60 per cento che ha perso (ma solo per il meccanismo elettorale) la battaglia sui contenuti si trasforma in una battaglia sui principi.
Ho trovato una citazione di un grande spirito liberale, John Stuart Mill, scritta molti anni fa, ma che probabilmente è molto attuale: «Il male più temibile non è il violento conflitto fra parti diverse nella verità, ma la silenziosa soppressione di una sua metà. Finché la gente è costretta ad ascoltare le due opinioni opposte c'è sempre speranza; è quando ne ascolta una sola che gli errori si cristallizzano in pregiudizi e la verità stessa cessa di avere effetto, perché l'esagerazione la rende falsa. Questa disciplina è così essenziale ad una reale comprensione delle questioni reali ed umane che se una verità fondamentale non trova oppositori è indispensabile inventarli e munirli dei più validi argomenti che il più astuto avvocato del diavolo riesce ad inventare».
Ora, la soppressione di una delle due parti politiche, in una moderna società della comunicazione, avviene ovviamente occupando i mass media, facendoli diventare casse di amplificazione del Governo e della sua maggioranza. La RAI in questi ultimi tempi non ha più garantito soprattutto l'equilibrio delle parti politiche: basta ricordare cosa è accaduto durante la recente crisi di Governo; basta ricordare quel famoso lunedì dove, in sedici minuti, il TG3 è riuscito a collegarsi con gli operai di Brescia, con gli operai dei cantieri navali, con le donne dell'Ulivo, in un meccanismo, in un'apoteosi, in una celebrazione della maggioranza ulivista e, dopo il collegamento con il Quirinale, ci si è ricollegati con i cantieri navali: si stappavano bottiglie di champagne per l'avvenuta ricomposizione della maggioranza


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di Governo. È questo il livello di informazione esistente nel servizio pubblico.
Da questa maggioranza si guarda al servizio pubblico come ad uno strumento di orientamento della pubblica opinione. Per questi signori esiste un sillogismo ferreo: se la comunicazione serve principalmente a determinare il modo di pensare dei cittadini, si tratta in primo luogo di garantirsi che questo procedimento non avvenga ai danni della propria parte politica e culturale. Di qui l'insopprimibile esigenza di occupare la RAI in tutte le sue possibili articolazioni; è una visione pedagogica che si ha della televisione, e porta inevitabilmente ed inesorabilmente ad un asservimento politico di quest'ultima. Da essa discende quindi il tentativo di condizionarne gli operatori; da qui discende il meccanismo classico della lottizzazione, ma in questo caso si tratta non più di lottizzazione ma di occupazione. Al contrario, se ci si ponesse dalla parte del cittadino, la questione dovrebbe cambiare radicalmente. La richiesta perciò che noi rivolgiamo al servizio pubblico non è quella di orientare o di essere orientati nelle nostre scelte politiche o culturali; noi chiediamo che, attraverso il video, passi la più vasta gamma possibile di informazione, di idee, di stimoli culturali, di moduli di intrattenimento. Non è più sufficiente che il servizio pubblico sia corretto ed imparziale; l'importante è che il compito del servizio pubblico non sia quello di una corretta e al tempo stesso passiva rappresentazione dell'esistente, secondo le ideologie e le culture egemoni; il problema della televisione non è quindi quello del controllo che esercita sui cittadini né del controllo che su di essa si esercita da parte delle forze politiche. Vogliamo convincere la maggioranza a guardare finalmente al servizio pubblico come ad uno strumento non di orientamento della pubblica opinione ma di libertà per i cittadini.
Ho quasi concluso. Al riguardo, un grosso lavoro è stato fatto, devo dire anche con alcune parti più liberali e più libere della maggioranza, in Commissione parlamentare di vigilanza; alcuni passi avanti sono stati fatti. Però attenzione, cari colleghi della maggioranza: una società laica, liberale, riformista deve avere delle regole, che non possono essere modificate o forzate a seconda della convenienza politica (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Luca. Ne ha facoltà.

ALBERTO DI LUCA. Grazie, Presidente. Ci sono casi in cui il paese necessita di decreti; sono i casi in cui un decreto ha contenuti alti e nobili, sono i casi in cui questi decreti hanno requisiti, quelli che anche al nostro interno, nella Commissione affari costituzionali, valutiamo immediatamente nell'iter parlamentare, cioè quelli di necessità ed urgenza. Ora, mi chiedo, ma soprattutto vi chiedo, se il decreto relativo alle modificazioni alle disposizioni concernenti l'IVA era necessario e, se sì, a chi era necessario: era necessario a Herr Fisco e a Prodi o alle famiglie italiane? Era urgente: urgente per chi? Per risanare le casse di Herr Fisco e di Prodi o per le famiglie italiane (dico di nuovo)?
Voi maggioranza, peraltro poco consistente - siete qua in una dozzina e mezza, ma va bene, questa è la vostra partecipazione al problema...

MAURO PAISSAN. Voi quanti?

ALBERTO DI LUCA. Dicevo, voi maggioranza, una dozzina e mezza, Paissan, e voi Governo, vi siete mai chiesti cosa ne pensano le famiglie italiane di questo decreto e se a loro serve?

MAURO PAISSAN. L'hanno detto con il voto!

PRESIDENTE. Onorevole Paissan, la richiamo all'ordine. (Commenti di deputati del gruppo di forza Italia).


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ALBERTO DI LUCA. Bravo! È una continua interruzione! Paissan è il solito intollerante. Signor Presidente, chiedo il recupero del tempo che Paissan mi ha fatto perdere. Questo atteggiamento è indegno e vergognoso! Non ho parole (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia). Grazie ai colleghi per la solidarietà. Sono indignato.
Tutto questo discorso lo state mascherando dietro un interesse più alto, quello dell'Europa; un aumento dell'IVA che Prodi dice servire per l'Europa ed allora, per l'Europa, bisogna secondo voi aumentare dal pane al panfilo. Occorre riconoscere che in questo avete applicato una specie di par condicio perché volete colpire tutti. Ma avete valutato che colpite anche quella povera pensionata che deve sopravvivere con 400 mila lire al mese? Sapete che questa vostra indegna manovra costerà a quella pensionata giustappunto 400 mila lire l'anno? Sapete che le state portando via la tredicesima (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)? Non ci vuole un economista: basta un ragioniere per fare questi conti, ma a voi ciò non interessa (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
E così mettete la maschera, che si chiama trentesima fiducia. Ma dite un po': come si può chiamare fiducia un'operazione del genere? Ma come ci si può fidare di voi? Uno dei vostri uomini migliori, il ministro Ciampi, nei giorni scorsi, parlando della restituzione dell'eurotassa, ha detto che questo era (cito le parole esatte) «un impegno morale e non giuridico». Voi state dicendo agli italiani che per questo Governo la morale non conta se non c'è una legge. Ora capisco perché Bertinotti ha avuto dei momenti di crisi con Prodi: evidentemente anche lui diffida della morale del Governo.
E allora, di nuovo pensando a Ciampi ed alle dichiarazioni dei giorni scorsi relative alle 35 ore: altro che impegno morale; mai sarà legge: è una stupidaggine! Sia ben chiaro che su questo concordiamo pienamente: le 35 ore - ha ragione Ciampi - sono una stupidaggine e noi di forza Italia concordiamo con lui. Ma sempre in termini di morale, come si può convincere una parte della maggioranza che la crisi-farsa è risolta puntando su un argomento che pochi giorni dopo invece uno stesso autorevole membro del Governo disconosce? Peraltro è un problema che riguarderà Bertinotti e la sua eventuale decisione di votare o meno la finanziaria: a noi non riguarda.
Certo è che la morale che traiamo da questa settimana è una sola: questo Governo è senza morale e senza fiducia, nonostante abbia posto la trentesima questione di fiducia. In più ci tocca anche subire le prediche irritate ed irritanti di «baffone» figlio di «baffino», che viene qui a dirci che è meglio prevenire che curare; è la solita predica opportunistica che, a seconda dei momenti, «baffone» figlio di «baffino» sceglie come collocare.
Noi volevamo prevenire; avevamo presentato degli emendamenti, pochi ma costruttivi. Volevamo migliorare questo decreto perché anche noi siamo convinti che sia meglio prevenire. Ma voi non ci avete lasciato fare questo passaggio. E così, tra questo decreto ignobile soprattutto per le famiglie italiane e un decreto che poteva essere migliore per il paese, senza disturbare monsieur de La Palisse, va da sé che sarebbe stato meglio accettare quei pochi emendamenti che volevamo proporre.
Per di più, avete mancato una volta ancora alla parola. Il ministro per i rapporti con il Parlamento Bogi aveva detto: non porremo la fiducia. Ed invece eccoci qua: l'avete puntualmente posta. Abbiamo cercato poi di discutere ordini del giorno che volevano entrare nel merito; ci avete sbattuto la porta in faccia un'altra volta. Se emendiamo, voi, le vostre televisioni, i vostri numerosi giornali di partito, ci dite che non facciamo opposizione; se presentiamo ordini del giorno per cercare comunque di riportare la questione in termini propositivi, ci dite che facciamo ostruzionismo.
A questo punto ho un dubbio. Assodato, sulla base dell'esempio di molti altri paesi, che l'unico modo per dare uno sviluppo vero ad un paese in termini di occupazione e di ricchezza che permetterebbe


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l'esistenza di un vero Stato sociale, è agire in senso esattamente opposto al vostro, la domanda che mi pongo e vi pongo è questa: non lo sapete veramente o siete in malafede? Non lo so; so che oggi siamo qui a parlare di IVA. Cos'è l'IVA? «Italiani, Visco aumenta»: cosa aumenta? L'IVA, l'IRAP, i balzelli, i lacci e i lacciuoli e tutto quello che serve a rallentare lo sviluppo dell'economia e dell'occupazione in questo paese (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)! Altro che Italia in Europa! Noi di forza Italia in Europa ci vogliamo andare, ma vorremmo anche rimanerci: non vogliamo entrarci attraverso i trucchi contabili che state proponendo con la complicità, invero, di altri paesi europei. Noi in Europa vogliamo andarci e vorremmo rimanerci: ecco perché siamo assolutamente preoccupati per quello che state facendo.
Sapete quello che state facendo: non state portando l'Italia in Europa; state invece portando gli imprenditori in Europa e negli altri paesi (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)! Voglio farvi vedere uno dei vostri giornali di partito, che oggi, in prima pagina, dice: «Andremo all'estero». Ecco il risultato delle vostre manovre: i nostri imprenditori saranno costretti a scappare da questo paese! Vergogna (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marotta. Ne ha facoltà.

RAFFAELE MAROTTA. Signor Presidente, signor rappresentate del Governo, illustri colleghe e colleghi, prendo la parola per dichiarare il mio voto contrario alla conversione in legge del decreto-legge n.328 del 29 settembre 1997, recante disposizioni tributarie urgenti (riordino dell'IVA).
Non parlerò della legittimità o meno dell'apposizione della questione di fiducia e delle implicazioni conseguenti; mi limiterò a cercare di spiegare le ragioni del mio dissenso, ribadendo quanto già ebbi a dire nel dibattito sugli ordini del giorno. Mi limiterò a considerazioni di carattere generale, avendo colleghi molto più bravi di me in questa materia spiegato le ragioni specifiche del nostro dissenso.
Le ragioni di fondo del mio dissenso risiedono - come dirò da qui a breve - nel fatto che il provvedimento in discussione va esattamente nel senso opposto alle nostre convinzioni liberali e liberiste in materia di economia e di fisco. Debbo però dire una cosa: quand'anche volessi accedere, in via del tutto subordinata, ad un approccio meno ostile nei confronti di questo decreto, del pari non potrei approvarlo. Il motivo - questo lo ammettono tutti - è che esso aveva bisogno di profonde e più incisive modifiche, le quali purtroppo non si sono apportate e non si potevano apportare. Dobbiamo dire le cose come stanno, al di là di ogni considerazione ipocrita: il provvedimento è arrivato al nostro esame blindato e immodificabile perché è giunto pochi giorni prima della scadenza del termine di validità ed un rinvio al Senato in tempi utili per la sua approvazione non era neppure ipotizzabile.
Non discuto e non discuterò del termine di decadenza di questo provvedimento; forse se ne potrà parlare successivamente nelle sedi più competenti.
Quali sono le ragioni del mio dissenso da questo provvedimento? Esso ubbidisce ad una filosofia, ad una logica che è esattamente l'opposto delle nostre convinzioni liberali e liberiste in materia di economia e di imposizione fiscale. Parliamoci chiaro: questo provvedimento costituisce l'ennesima dimostrazione dell'uso smodato, spregiudicato, che il Governo fa dell'imposizione fiscale per far quadrare i conti dello Stato. Esso, lungi dal rappresentare un allineamento a direttive della Comunità europea (si è andati ben oltre, si poteva rinviare), contiene un serio inasprimento fiscale, aggrava la pressione fiscale, già intollerabile, a carico delle piccole e medie imprese, impedisce lo sviluppo, impedisce gli investimenti, impedisce la creazione di nuovi posti di lavoro. La cosa è tanto più grave se si pensa che il provvedimento investe settori


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trainanti della nostra economia, quali l'edilizia, l'agricoltura, l'industria calzaturiera, l'abbigliamento, i beni di largo consumo e di prima necessità, contribuendo quindi ad aggravare oltre modo il bilancio delle famiglie.
Veniamo al punto più dolente, rappresentato dalla disoccupazione. Al riguardo ripeterò quanto ho già detto, ma repetita iuvant. Qual è il problema più grave che affligge oggi l'Italia? È quello della disoccupazione, lo dicono tutti. Questa disoccupazione in alcune zone del Mezzogiorno ha assunto proporzioni drammatiche, insopportabili, come sappiamo tutti e come sa meglio chi come me proviene da zone disastrate. Io vengo dal profondo sud, dalla provincia di Salerno, dal Cilento, non quello costiero ma quello interno. Guardate, noi non dobbiamo ragionare ex analogia; noi stiamo bene, siamo ben pagati, non conosciamo ristrettezze per le nostre famiglie. Ripeto, la situazione del sud però è drammatica.
Che cosa si è fatto per l'occupazione? Niente. Un anno e mezzo di Governo: niente o quasi niente. Ma questo chi lo dice? Lo dicono i dati statistici, lo dice una forza che appoggia il Governo, rifondazione comunista. L'onorevole Bertinotti ha provocato una crisi su questo presupposto. Non si è fatto niente per il lavoro, si è pensato di aver risolto o di risolvere il problema con le 35 ore; non si farà niente e questo lo si capirà tra breve. E pensare, ripeto, che si è addebitato al Governo Berlusconi, con espressioni quasi di dileggio, il fatto che in cinque mesi - perché tanti furono - di effettivo Governo non si fosse creato nessun posto di lavoro.
Ma allora che cosa si deve fare per l'occupazione? Si deve fare l'esatto contrario di quello che ha fatto o sta facendo il Governo con gli inasprimenti fiscali, con la politica di imposizione fiscale. E perché? Come ho già avuto modo di dire, la concezione miracolistica del collettivismo è crollata miseramente; la sfida che il collettivismo lanciò all'impresa privata è stata vinta da quest'ultima, c'è poco da fare. Oggi si parla di privatizzare e la cosa strana è che a provvedere alle privatizzazioni debbano essere quelle forze politiche che da decenni, da sempre hanno sostenuto l'esatto contrario. Come è possibile? Sì, tutti possiamo modificare le nostre concezioni, ma non possiamo modificarle a tal punto da trasformarle nel nostro contrario, perché in questo modo non saremmo più quelli, saremmo un'altra cosa e quindi non si capirebbe questa avversione della cosiddetta nuova sinistra nei confronti del centro e della destra, se la battaglia è stata vinta proprio dal liberalismo su questo punto (non quello selvaggio, siamo d'accordo, ma questa è la realtà).
Se è così, bisogna partire da questo punto, da questa premessa perché, parliamoci chiaro, le cose si vendicano. Io non sono idealista al punto da concepire e da ritenere che l'oggetto sia una proiezione del soggetto; no, le cose e le situazioni esistono obiettivamente e si vendicano. Cosa si deve fare allora? Si deve praticare una politica di sviluppo, di espansione. E come si fa la politica di sviluppo? Favorendo, incentivando la piccola e media industria, che costituisce l'ossatura, la struttura portante della nostra economia. Bisogna liberalizzare il mercato, bisogna renderlo competitivo, bisogna creare ricchezze, perché per distribuire ricchezze bisogna prima crearle. E la storia ha dimostrato che a creare le ricchezze è l'impresa privata e non certamente l'impresa collettivizzata, statizzata, centralizzata.
Che si deve fare? L'esatto contrario di quello che questo Governo ha fatto. Creando le ricchezze si creano posti di lavoro e si rende possibile un'imposizione fiscale meno aggressiva. La cosa è molto ovvia. Signor Presidente, mi appresto a concludere per evitare che lei mi tolga la parola. Bisogna capovolgere questa impostazione. Potremmo pure entrare in Europa, Presidente, con questi accorgimenti del Governo, ma vi entreremo stremati al punto tale che rimanerci sarà un'impresa difficile.
Queste sono le ragioni per le quali... (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

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PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Marotta.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Taborelli.

ALBERTO DI LUCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. L'argomento è attinente a questa discussione?

ALBERTO DI LUCA. Sì, Presidente, attinente al decreto IVA. In particolare, il comma 16 dell'articolo 1...

PRESIDENTE. No, lei deve fare un richiamo alle procedure, non al contenuto.

ALBERTO DI LUCA. Mi rifaccio all'articolo 116 del regolamento. L'articolo 1, comma 16, di questo decreto prevede l'aumento delle prestazioni di trasporto di persone e dei rispettivi bagagli. Allora, Presidente, vorrei sapere da lei se il ministro Napolitano non viene perché vittima dell'aumento dei costi dei trasporti o per quale altra ragione il ministro dell'interno ci dice che viene in aula e poi non lo vediamo.

FRANCO GERARDINI. Smettila, ridicolo!

PRESIDENTE. Onorevole Di Luca, sono costretto a richiamarla all'ordine...

ALBERTO DI LUCA. Perché?

SALVATORE CICU. Perché, Presidente?

PRESIDENTE. ...in quanto tale questione è già stata risolta dal Presidente della Camera, il quale ha detto che il ministro Napolitano verrà un aula al termine della seduta, ragione per cui questo è un irriguardoso comportamento nei confronti della Presidenza, che ha risposto già tre volte sulla stessa questione.
Ha facoltà di parlare l'onorevole Taborelli (Commenti dei deputati del gruppo di forza Italia).

MARIO ALBERTO TABORELLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, vi sono molte ragioni per non accettare un decreto come questo sull'IVA, ragioni di metodo e ragioni di merito che altri colleghi hanno illustrato ed illustreranno successivamente nei loro diversi aspetti. Da parte mia, preferisco basare questo ragionamento su considerazioni di carattere più generale.
Non è da oggi che critichiamo l'eccessivo ricorso alla leva fiscale, che penalizza il sistema economico e soffoca lo sviluppo. Ma tra le diverse forme di prelievo debbo dire che il ricorso all'incremento della tassazione indiretta è quella che considero più negativa e più censurabile. Le imposte dirette, se non altro, hanno il pregio della trasparenza; il cittadino sa esattamente quanto deve pagare allo Stato in cambio dei servizi che lo Stato gli rende; può quindi giudicare il Governo che gli impone queste tasse e decidere di premiarlo o punirlo alle elezioni. L'imposizione indiretta, invece, come le ritenute alla fonte, costituisce tasse che definirei invisibili, tasse che in verità il commerciante, costretto ad applicarle, avverte benissimo e che è costretto a scaricare sul prodotto finito. Dal punto di vista del consumatore, del cittadino comune l'incremento dei prezzi al consumo di alcuni prodotti non è così facilmente collegabile al meccanismo fiscale. Il Governo, così facendo, tende a nascondere ai cittadini il costo della propria politica sulla finanza pubblica. Malgrado tutto questo, se ci trovassimo di fronte ad uno spostamento del carico impositivo dall'imposizione diretta, che colpisce il reddito, a quella indiretta, che colpisce i consumi, il giudizio potrebbe essere in qualche misura più favorevole. Infatti, tassando i consumi si incentiverebbe la propensione al risparmio e, quindi, agli investimenti. In determinati cicli economici ciò potrebbe portare anche effetti positivi, ma non è certo questo il caso di cui ci stiamo occupando, innanzitutto perché si tratta non di un trasferimento di carichi impositivi, ma semplicemente di un incremento.


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Vi sono peraltro altre due ragioni che ritengo molto serie. In questa fase economica, caratterizzata da un andamento favorevole solo in termini contabili, ma di grave compressione del tenore di vita dei cittadini, dove anche la bassa inflazione è un sintomo di ristagno piuttosto che di risanamento, colpire ulteriormente i consumi non sembra una determinazione particolarmente saggia. La seconda considerazione è che, ancora una volta, questi provvedimenti colpiscono categorie di cittadini, come i commercianti, già gravemente penalizzati sotto molteplici aspetti, proprio per una politica fiscale che in verità non è stata seguita solo dal Governo Prodi, ma è stata una costante negli anni, tranne pochissime eccezioni, tra cui il Governo Berlusconi, da parte di quelli che si sono succeduti nel tempo in Italia.
Anche per queste ragioni le misure previste dal decreto-legge sull'IVA non sono accettabili e costituiscono un segnale di continuità su una strada imboccata da tempo rispetto alla quale il Governo Prodi dimostra di non avere capacità o volontà di cambiamento.
Abbiamo sempre sostenuto che questo è il Governo della continuità con la parte peggiore della cosiddetta prima Repubblica. D'altra parte, tali considerazioni investono soltanto un aspetto del problema, quello dell'approccio del Governo Prodi alla materia fiscale, che noi consideriamo gravemente deleterio. Vi è tuttavia un altro aspetto di ordine generale e non meno importante sul quale molte volte abbiamo richiamato l'attenzione: l'abuso dello strumento della fiducia. Ci domandiamo se gli organi di garanzia dell'equilibrio istituzionale, a partire dal Capo dello Stato, non debbano far sentire la loro voce per quanto riguarda l'abuso sistematico nell'utilizzo di uno strumento nato con tutt'altra finalità. Il voto di fiducia, infatti, serve alla verifica della sopravvivenza del rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo su una materia che quest'ultimo considera decisiva ai fini del compimento del proprio programma e dei propri indirizzi. È del tutto evidente che si tratta di uno strumento eccezionale e che il suo impiego quotidiano o settimanale, come fa il Governo Prodi, su ogni provvedimento di qualche rilievo, costituisce una strumentalizzazione inaccettabile, che ne stravolge il significato.
Il Parlamento è tale proprio perché l'azione legislativa si basa comunque e sempre sul dibattito, sull'emendabilità dei provvedimenti, sulla oralità della discussione: se tutto questo viene meno sistematicamente, viene meno la funzione stessa del parlamentare, una funzione che, invece, va rivendicata con forza, non per le nostre persone, ma per gli elettori che ciascuno di noi rappresenta.
Il Parlamento è il luogo della sovranità popolare che si esercita attraverso i suoi rappresentanti. Oggi vi sono spinte già fin troppo qualunquistiche ed antiparlamentari; è grave inoltre che sia proprio il Governo ad accentuare e ad aggravare questa tendenza, ignorando il ruolo del Parlamento. È grave anche che sui banchi della maggioranza, dove siedono molti parlamentari convinti, non si colga il fatto che si va stravolgendo progressivamente un principio che è alla base stessa del nostro ordinamento democratico. D'altra parte, in passato, ai tempi dei governi pentapartito, era proprio l'opposizione di sinistra a protestare con forza contro l'abuso dello strumento del voto di fiducia, considerato non soltanto come una limitazione della libertà dei parlamentari, ma anche come un segno di incipiente debolezza e contraddizione del Governo. In passato, i governi costretti a procedere a colpi di fiducia erano considerati destinati ad una vita breve: chissà che lo stesso destino non colpisca, in un prossimo futuro, il Governo Prodi e la sua maggioranza; chissà che le contraddizioni interne non siano destinate ad esplodere di nuovo, come è già avvenuto in un passato recente. Sarebbe tanto di guadagnato per il nostro paese, come sarebbe tanto di guadagnato se il decreto-legge sull'IVA fosse destinato alla fine ingloriosa che merita per i suoi contenuti e le sue caratteristiche. Se così non sarà, se ancora una volta dovesse passare una linea economica che colpisce soprattutto il mondo del lavoro, si

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avrà l'ennesima dimostrazione del fatto, come sosteniamo da tempo, che il Governo Prodi non è in grado di pensare, né di governare in termini europei.
Chi vi parla è stato eletto deputato in un collegio del nord, quel nord Italia fatto di un tessuto produttivo di piccole e medie aziende, di artigianato e di commercio, una realtà che conosco bene e che si confronta ogni giorno con una agguerrita concorrenza da parte dell'Europa, vicina anche geograficamente. È assai vivo, e per loro drammatico, il raffronto tra le condizioni nelle quali sono costrette ad operare le aziende in Italia e quelle delle loro omologhe nei principali paesi europei. Sono condizioni di inferiorità sul piano delle infrastrutture, dei servizi, dei collegamenti; sul piano della rispondenza della macchina pubblica e della burocrazia; sul piano della flessibilità e, infine, su quello, ma non è certo l'ultimo problema, dei carichi fiscali. L'errore che oggi rischiamo di commettere è da attribuire alla pervicace ostinazione della maggioranza, un errore di tipo anche sociologico. Sappiamo che il modello produttivo non soltanto di alcune regioni, ma, sebbene in modi diversi, dell'intero paese, è basato per una quota rilevante proprio su questo tipo di tessuto di microimprenditorialità. Esso ha garantito la fantasia, la flessibilità, la capacità di adattamento del sistema paese nel suo complesso, ma in questa maggioranza deve esserci un atteggiamento poco responsabile alle esigenze di tale mondo, perché con l'IRAP e con l'attuale decreto-legge si colpisce la produzione e la circolazione della ricchezza.
Signor Presidente, faccio fatica a credere che il pregiudizio ideologico possa far seguire con tanta pervicacia questo tipo di strada. Se questo è il prezzo dell'accordo con il partito di rifondazione comunista concluso nelle scorse settimana, allora dobbiamo constatare due fatti: innanzitutto che la qualità dell'azione di Governo di questo esecutivo è ulteriormente peggiorata; la seconda è che ai cosiddetti centristi della maggioranza, almeno finora, di ciò non importa proprio nulla. Poco fa mi sono rivolto a loro con una sorta di appello al senso di responsabilità, ma se non dovesse essere raccolto, testimonierebbe l'ulteriore conferma del fatto che siamo di fronte ad una maggioranza e ad un Governo che si basano non sulla cultura economica di Ciampi e di Dini, ma su quella di Bertinotti e di Cossutta (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Onorevole Pisanu, vuole essere così cortese da dire all'onorevole Massidda che farebbe cosa buona e giusta a non dare le spalle alla Presidenza?

PIERGIORGIO MASSIDDA. Le chiedo scusa, Presidente.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gazzilli.
Ne ha facoltà.

MARIO GAZZILLI. Signor Presidente, signor rappresentante...

PRESIDENTE. Onorevole Burani Procaccini, può venire al banco della Presidenza per il suo turno?

MARIA BURANI PROCACCINI. Arrivo.

PRESIDENTE. La ringrazio. Prosegua, onorevole Gazzilli.

MARIO GAZZILLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, preannuncio il mio voto contrario sulla conversione in legge del decreto-legge n.328 del 1997, recante disposizioni tributarie urgenti, adottato per fronteggiare il fabbisogno finanziario dello Stato; tali disposizioni, come è noto, consistono sostanzialmente nell'aumento dell'imposta sul valore aggiunto. Si tratta di un provvedimento che, senza dubbio, costituisce una componente importante, direi anzi essenziale della manovra di finanza pubblica per il 1998 e che tuttavia non può essere condiviso per alcuni profili di illegittimità costituzionale correlate al criterio di progressività. Infatti, nel momento in cui si accorpa l'imposta sul


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valore aggiunto riguardante fasce di prodotti che possono essere acquisiti tanto dalle classi deboli quanto da quelle meno deboli o dalle classi ricche della popolazione italiana, si viola il richiamato principio costituzionale e si assoggettano i ceti meno abbienti ad un prelievo in eccesso rispetto alla loro effettiva capacità contributiva.
Proprio per eliminare i cennati profili di incostituzionalità erano stati presentati alcuni emendamenti, che non è stato possibile esaminare, discutere ed eventualmente approvare per effetto della posizione della questione di fiducia sul provvedimento da parte del Governo. Pertanto, si è reso necessario trasfondere gli emendamenti in numerosi ordini del giorno, i quali, nonostante l'amplissimo dibattito e la dovizia di argomentazioni a sostegno, sono stati quasi integralmente respinti, così vanificando tutto il pregevole lavoro svolto sin dalla discussione generale, lavoro che ha messo in luce l'esistenza di motivi forti per migliorare il provvedimento a causa delle enormità giuridiche che ne inficiano il contenuto.
Basterà, a titolo di esempio, richiamare quel provvedimento che riguarda il concordato preventivo, che non si può applicare perché si assegnano trenta giorni di tempo al commissario giudiziale o alla ditta debitrice per andare a pagare le imposte, trenta giorni dalla data di omologazione della sentenza che accoglie la richiesta di concordato. E quando c'è un concordato per cessione di beni, quei trenta giorni non servono a nulla; essi, infatti, non possono essere utili per realizzare l'attivo. E se nell'attivo, in caso di concordato preventivo per cessione di beni, non esiste denaro, ed è questa la maggior parte dei casi, non si può procedere nel termine di trenta giorni dalla data di omologa della sentenza al pagamento dei creditori, cioè del fisco.
D'altronde non è revocabile il dubbio che il decreto-legge al nostro esame contribuisca ad incrementare la pressione fiscale, già particolarmente elevata, ed a strozzare le nostre imprese. Le imprese italiane, in verità, sono sempre più gravate da oneri fiscali e parafiscali che, nel complesso, risultano superiori a quelli vigenti negli altri paesi europei, di guisa che è presumibile che nel prossimo futuro la concorrenza estera riuscirà a prevalere.
È appena il caso di sottolineare la gravità degli effetti che si verificheranno sull'economia in generale e sul livello di occupazione in particolare. È fortemente probabile, anzi assolutamente certa, l'ulteriore contrazione del numero delle piccole e medie imprese, dalle quali dipende in buona parte l'avvenire del paese. D'altro canto, non può sottacersi che, pur essendo perfettamente consapevole delle conseguenze disastrose che andranno a colpire la produzione, la maggioranza non è riuscita ad individuare altre strade ed ha scelto la via rappresentata da un indiscriminato aumento della pressione fiscale, che attinge anche a categorie e settori che sarebbero, invece, meritevoli di tutela.
Eppure, il Governo disponeva di varie alternative. Una prima opzione poteva consistere nel semplice adeguamento alla direttiva europea, dal quale sarebbe scaturito un gettito fiscale aggiuntivo di 4 mila miliardi, con un aumento dell'indice dei prezzi dello 0,45 per cento. Una seconda possibilità avrebbe potuto avere come obiettivo quello di annullare qualsiasi impatto inflazionistico; in questo caso, senza entrare nei dettagli, si sarebbe ottenuto un aumento del gettito pari a 2.900 miliardi, senza inflazione. Il Governo, invece, ha preferito seguire la terza possibilità, che porta ad un gettito fiscale ancora più alto delle precedenti, circa 6 mila miliardi, ma, come è intuitivo, con un impatto inflazionistico ancora più alto. Ciò è frutto di una precisa scelta del Governo, il quale ha anteposto l'aumento del prelievo fiscale ad ogni altra considerazione, senza preoccuparsi affatto degli effetti macroeconomici negativi che inevitabilmente ne deriveranno.
In proposito, il Governo prevede un aumento dell'inflazione relativamente contenuto, mentre questa manovra IVA, secondo altre e più attendibili valutazioni, potrebbe spingere l'inflazione nel 1998 ad

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oltre il 3 per cento, creando seri problemi di compatibilità con il resto dell'Europa.
Ardua appare altresì la valutazione dell'impatto della manovra sulla domanda dei beni in termini reali, pur dovendosi dare atto del fatto che i rincari si registreranno nei settori che più hanno sofferto nella recente evoluzioni congiunturale. In altri termini, è probabile che l'aumento dei prezzi possa riflettersi negativamente sulle quantità domandate dei beni e quindi sul tasso di sviluppo dell'economia. Per di più, a questo provvedimento seguiranno effetti sociali perniciosi, perché, sebbene si vogliano, almeno asseritamente, salvaguardare i consumi di natura prioritaria, sono stati colpiti l'abbigliamento e le calzature, trascurando che ormai da decenni gli italiani non camminano più scalzi né si dilettano ad andare in giro svestiti. Inoltre, con quei settori sono state colpite produzioni che nel Mezzogiorno svolgono tuttora un ruolo importante, in un panorama industriale già di per sé non certo rassicurante.
Il conto che è stato preparato per le famiglie italiane ammonta a circa 400 mila lire per ogni famiglia, per complessivi 7.600 miliardi circa. Un terzo di quest'onere colpirà l'abbigliamento e le calzature, cioè settori che sin dal 1992 hanno registrato una contrazione del 6,4 per cento. Dunque, le imprese si troveranno di fronte ad un bivio: o tentare di trasferire sui prezzi l'intero incremento dell'IVA, con il rischio di registrare un'ulteriore flessione della domanda, o ridurre i prezzi prima dell'IVA, cioè contrarre i margini. In entrambi i casi, però, la produzione subirà ripercussioni negative, vuoi per la minore domanda, vuoi, nel medio periodo, per la riduzione degli investimenti e dei posti di lavoro. Se poi si considera che, oltre ai settori dell'abbigliamento e delle calzature, sono particolarmente colpiti il comparto vitivinicolo e quello edile, risulta chiaro che la possibilità di incrementare l'occupazione resta definitivamente pregiudicata, in quanto questa ennesima penalizzazione riguarda settori produttivi che già soffrono a causa di una concorrenza estera fortissima e di una elevata incidenza di manodopera.
Sotto questo profilo, particolarmente gravi sarebbero i risultati del decreto per la gestione ordinaria degli enti locali qualora, come il Governo intende fare, venisse stravolta l'aliquota originariamente prevista nei quadri economici delle opere pubbliche definite in sede di approvazione del progetto. Invero, con l'immediato aumento dell'aliquota IVA si avrebbe la completa alterazione del quadro economico originario e la conseguente necessità di procedere al rifinanziamento delle opere ed occorrerebbe, inoltre, deliberare nuovamente, dopo aver reperito - tra ovvie difficoltà - nuove e diverse risorse finanziarie. Da ciò deriverà un prevedibile esito, ovvero il protrarsi della paralisi che da tempo soffoca il settore delle opere pubbliche, quindi il persistere o, meglio, l'aggravarsi della disoccupazione, specialmente nelle regioni meridionali nelle quali, al contrario, si attende con ansia lo sblocco dei lavori pubblici non ancora ultimati e completamente fermi sin dall'epoca di Tangentopoli.
Il mio voto contrario intende richiamare l'attenzione di tutta la popolazione, e segnatamente quella dei cittadini residenti nelle regioni meridionali, sulla portata assolutamente negativa di questo improvvido decreto, che, giova ripeterlo, intendevamo opportunamente migliorare attraverso l'apporto di alcuni, puntuali emendamenti. L'inattesa posizione della questione di fiducia ci ha impedito di svolgere questa funzione e di evitare che quei pochi imprenditori, che ancora cercano di offrire occupazione e di reinvestire gli utili nel nostro paese, si determinino ad emigrare e ad investire altrove. È questo il modo di rispondere alla vibrata domanda di lavoro che si leva pressante nel sud del paese? Non è questo provvedimento altamente demolitivo delle istanze provenienti diffusamente dal territorio e indirizzate, come è stato detto, a creare le condizioni perché si possa realmente concretizzare quella rinascita, quella ripresa e quella vivificazione dell'economia?

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(Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole collega.

CESARE RIZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

CESARE RIZZI. Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CESARE RIZZI. Signor Presidente, mi appello a lei e alla legge n.626, che recepisce una direttiva CEE, perché a mio avviso nell'aula c'è un cattivo odore...

DANIELE ROSCIA. Ci sono i topi che girano tra i banchi. Bisogna derattizzare. I questori non sanno niente.

PRESIDENTE. Onorevole Rizzi...

CESARE RIZZI. No, no, signor Presidente. Non è stata fatta la pulizia nell'aula.

PRESIDENTE. Onorevole, se ci riesce, cerchi qualche volta di essere serio.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.

PIETRO ARMANI. Dopo la sfida che ci ha lanciato l'onorevole Mussi all'inizio di questa settimana con la sua arrogante provocazione, noi stiamo svolgendo una salutare azione ostruzionistica per far decadere questo sciagurato decreto. Ma l'onorevole Mussi, allora, ci ha accusato di non consentire all'Italia di avere il passaporto per l'Europa.
Questa affermazione, passata attraverso i media anch'essi notoriamente asserviti, è assolutamente inesatta. Si sarebbe potuto adeguare l'IVA alla direttiva comunitaria stabilendo il passaggio di numerosi beni e servizi dall'aliquota del 4 al 10 per cento o dal 10 al 20 per cento oppure con il passaggio della abolita aliquota del 16 al 20 per cento, specie se si pensa che l'aliquota normale, suggerita dall'Unione europea, è pari non al 20 per cento - qual è la percentuale da noi prescelta - bensì al 15 per cento; ad essa ci dovremo adeguare nell'arco dei prossimi anni, soprattutto dopo l'ingresso nell'euro. Dunque non corrisponde al vero la ragione in base alla quale si doveva per forza aumentare il gettito dell'IVA per avere il cosiddetto passaporto per l'Europa che, una volta ottenuto, va mantenuto, perché i passaporti scadono...
Signor Presidente, è già finito il tempo a mia disposizione?

PRESIDENTE. Volevo invitare l'onorevole Campatelli a non disturbare. Prego, onorevole Armani.

PIETRO ARMANI. Grazie, Presidente, lei è sempre molto cortese.

DANIELE ROSCIA. Disturbatore!

PRESIDENTE. Onorevole Roscia, la richiamo all'ordine.

IGNAZIO LA RUSSA. Che cosa ha fatto Roscia?

DANIELE ROSCIA. Richiami Campatelli, allora!

PRESIDENTE. Onorevole Armani, il tempo scorre, vada avanti.

PIETRO ARMANI. No, signor Presidente, mi scusi...

PRESIDENTE. Onorevole Armani, continui il suo intervento perché il tempo scorre.

PIETRO ARMANI. Presidente, lei ha rimproverato l'onorevole Campatelli perché non mi faceva parlare, vorrei che i miei colleghi mi consentissero di proseguire l'intervento.
Dunque, si poteva anche non aumentare il gettito dell'IVA per rispettare la


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direttiva comunitaria oppure sostituire - e si potrebbe fare qualora il decreto-legge decadesse, come ci auguriamo - il gettito perduto dell'IVA con il famoso taglio dei residui passivi propri, cancellando impegni di spesa per circa 8 mila miliardi, non ancora andati a pagamento. I dati che gli organi di stampa hanno riportato ieri, relativamente all'andamento dei residui passivi nel 1997...

PRESIDENTE. Onorevole Selva, la richiamo all'ordine. Per piacere sia educato!

GUSTAVO SELVA. Io sono educatissimo.

ALESSANDRO CÈ. Gli sono caduti dei fogli.

PIETRO ARMANI. Presidente, non posso parlare con questo clima.

PRESIDENTE. Prosegua, onorevole Armani.

PIETRO ARMANI. Dicevo che si potrebbe ricorrere al taglio dei residui passivi, specie considerando che il CER, istituto presieduto da un economista di sinistra come il professor Spaventa, ha denunciato il raddoppio dei residui passivi tra il 1996 e il 1997. Ella ricorderà che il Polo, durante l'esame della legge finanziaria dello scorso anno, propose un emendamento per il taglio dei residui passivi, ai fini anche di una pulizia di bilancio.
La decadenza del decreto-legge sull'IVA non creerebbe alcun problema al Governo, tanto più alla luce della considerazione che l'esecutivo ha compiuto una operazione che persino la Germania si vergognerebbe di fare: mi riferisco alla rivalutazione delle riserve auree dell'Istituto italiano dei cambi acquistate dalla Banca d'Italia con relative plusvalenze e con il pagamento di ben 7 mila miliardi di imposte allo Stato, ivi compresa l'IRPEG. Ripeto, un'operazione che Bundesbank si è vergognata di compiere e che Theo Weigel, ministro delle finanze tedesco, ha rinunciato a fare! Tutto sommato la decadenza del decreto-legge non è un problema, visto che nei trucchi di bilancio il Governo Prodi è maestro e che - come è noto - la finanziaria del 1998, al nostro esame tra qualche giorno, contiene ulteriormente i tiraggi di tesoreria oltre a differire le spese con un aumento dei residui passivi; ripeto, tutto sommato la decadenza di questo decreto-legge non costituisce un problema!
Tra l'altro, avete pensato che se decadesse il decreto-legge e non si acquisisse il maggior gettito atteso per il 1998, si registrerebbe un contraccolpo positivo sul lato dei prezzi? In questo caso, non si avrebbe l'aumento dei prezzi che lo stesso Governo ha dovuto riconoscere, sia pur in dimensioni inferiori perché è noto che i conti dell'ISTAT sono truccati. Il rinnovato presidente dell'ISTAT, Zuliani, è personaggio talmente intrinseco alla maggioranza che non può non prendere direttive dalla stessa maggioranza e truccare i conti.
Al di là di questo, ripeto, si avrebbe un effetto sui prezzi e sulla congiuntura economica, che non mi pare riveli un andamento positivo. Purtroppo mi devo riferire soltanto ai dati dell'ISTAT - posto che in Italia non esistono statistiche più o meno attendibili - secondo cui nel periodo gennaio-settembre 1997, in rapporto allo stesso periodo del 1996, vi sarebbe una crescita della produzione industriale dell'1,1 per cento. Mentre per il comparto automobilistico - la famosa rottamazione su cui tanto si è discusso - si prevede una crescita pari all'8,4 per cento, si registreranno riduzioni nella produzione industriale, e specificatamente nel campo dell'industria conciaria (il cuoio e dunque le calzature colpite dall'aumento al 20 per cento dell'aliquota IVA), del legno, dei minerali non metaniferi, dei metalli, delle macchine e degli apparecchi meccanici, delle macchine elettriche, ottiche, eccetera. Questi comparti registreranno una crescita negativa, con il segno meno davanti, a fronte dell'8,4 per cento in più del settore dei mezzi di trasporto.


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Quindi la produzione industriale che cresce di un modesto 1,1 per cento da gennaio a settembre, potrebbe avere un riflesso positivo.
Un riflesso positivo potrebbe determinarsi considerato anche il drammatico andamento della disoccupazione. È un dato disponibile da oggi, dal momento che i documenti dell'ISTAT sono arrivati ieri: gli occupati alle dipendenze, al lordo della cassa integrazione, colleghi, nel periodo gennaio-agosto 1997 (la produzione industriale si riferisce al periodo gennaio-settembre mentre l'occupazione riguarda gennaio-agosto) rispetto allo stesso arco di tempo del 1996 è diminuita del 3,7 per cento al lordo della cassa integrazione e del 2,8 per cento al netto della cassa integrazione. Quindi, la decadenza del decreto-legge in esame rappresenterebbe per il paese una boccata di ossigeno sul piano dei prezzi e dell'occupazione.
Presidente, concludo con l'invito a tutti i colleghi del Polo ad attivarsi affinché il decreto-legge decada: riducendo la pressione fiscale si solleva l'economia, anziché deprimerla (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania).

GUSTAVO SELVA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GUSTAVO SELVA. Chiedo di parlare sull'ordine degli ordinati lavori. L'ordine riguarda non solo le parole, ma anche l'ambiente nel quale lavoriamo. Lei, Presidente, ha visto che mi sono dedicato un po' alla pulizia del mio tavolo...

PRESIDENTE. Onorevole Selva, ho visto che lei ostentatamente buttava dei fogli nel corridoio.

ALESSANDRO CÈ. Lo faccia parlare!

SALVATORE CICU. Lasci finire!

VASCO GIANNOTTI. Non siamo in un bivacco!

DANIELE ROSCIA. È un bivacco di manigoldi!

GUSTAVO SELVA. Presidente, questa è un'interpretazione sua, di cui se ne assume tutta la responsabilità!

PRESIDENTE. Ripeto, ostentatamente.

GUSTAVO SELVA. Niente ostentatamente. Era soltanto un invito plasticamente espresso, glielo consento, di determinare un po' di pulizia qui dentro, perché mi pare che l'ambiente...

PRESIDENTE. Proseguiamo i nostri lavori. Cerchiamo di essere seri.
Onorevole La Russa, intende prendere la parola?

IGNAZIO LA RUSSA. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, l'articolo 59 del regolamento recita: «Se un deputato pronuncia parole sconvenienti oppure turba col suo contegno la liberà delle discussioni o l'ordine della seduta, il Presidente lo richiama nominandolo. Ciascun deputato che sia richiamato all'ordine, qualora intenda dare spiegazioni del suo atto o delle sue espressioni, può avere la parola, alla fine della seduta, o anche subito, a giudizio del Presidente».
Intendo soffermarmi brevissimamente sul primo comma. Lei sa, Presidente, quale rispetto e quale stima abbia per lei, una stima sincera (Commenti). È vero. Sta svolgendo un ruolo difficile; sempre quando è in corso il filibustering si è costretti ad assumere atteggiamenti che sicuramente, se fossimo insieme a pranzo al ristorante, lei non avrebbe. Ma proprio perché si tratta di filibustering, proprio perché lei è tenuto con sacrificio a farci rispettare nei dettagli il regolamento, deve


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tener presente che le regole del gioco valgono anche per lei. Neanch'io al ristorante direi una cosa simile al mio Vicepresidente preferito (Applausi), ma in questo caso ho la necessità di rammentarle che, qualora lei ritenga come ha ritenuto, nei confronti per esempio dell'onorevole Rizzi della lega nord, che le parole che questi stava in quel momento pronunciando non attenessero ai lavori o non fossero tali da comportare un intervento sull'ordine dei lavori, lo può richiamare, come dice testualmente l'articolo 59 del regolamento, nominandolo. Non può, secondo le regole del gioco, sostenere che sta dicendo cose stupide. Le regole del gioco valgono per noi in questo caso, ma valgono anche per il Vicepresidente. Purtroppo è così; lo so - anch'io ho svolto quella funzione per il brevissimo periodo di una mezza legislatura -, qualche volta è difficile. E tuttavia sono costretto ad intervenire, anche perché questo magari ci risparmierà nel prosieguo qui pro quo tra l'Assemblea e il Vicepresidente, cui va tutta la nostra stima e il nostro rispetto, che sarà bene evitare (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia e della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cavanna Scirea. Ne ha facoltà.

MARIELLA CAVANNA SCIREA. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, nell'esprimere voto contrario al decreto sull'IVA vorrei ringraziare questo Governo perché finalmente non si dirà più che l'opposizione in questo paese non esiste (Applausi). L'opposizione esiste e si fa sentire, non con metodi aventiniani, ma con le regole che le sono concesse dal regolamento.
In questo paese non c'è una maggioranza bulgara ed è quindi giusto che chi dissente abbia la possibilità di esprimere il proprio dissenso, quanto meno in quest'aula magari assonnata, magari vuota, ma certamente convinta della necessità di far sapere ai cittadini di chi è la responsabilità del prelievo fiscale, ormai da vampiri, che questo Governo di sinistra sta attuando nei loro confronti.
Questo Governo ci ha turlupinato, facendoci credere che per entrare e restare in Europa c'era bisogno di adeguare le aliquote IVA a tre (una intera e due ridotte), mentre tutti sappiamo - e chi non lo sa, deve sapere - che la direttiva CEE, da molti ricordata in quest'aula, non obbliga per l'anno 1998 all'applicazione. Ma questo Governo che si vanta di salvaguardare i lavoratori, di garantire i ceti medi, di favorire anche gli imprenditori, ha pensato bene che un inasprimento fiscale attraverso le aliquote IVA non poteva che giovare alle casse dello Stato. Questa miopia politica ha fatto perdere di vista la vera situazione del paese che vive un momento generale di recessione. Quindi, sia il ministro delle finanze, sia il Presidente del Consiglio non capiscono che così agendo si complicano ancor più le possibilità delle imprese di creare lavoro, quindi occupazione e benessere per la nazione.
Molti hanno ricordato gli effetti negativi dell'aumento delle aliquote IVA sul settore dell'edilizia, dell'artigianato, dell'agricoltura, sull'imprenditoria in generale. Ma come fate, colleghi della maggioranza, a tentare di convincerci e di convincere i vostri elettori ed i cittadini che tutto ciò non è dettato dalla sola volontà di incassare qualche miliardo in più che non serve per entrare in Europa, non è ancora una volta il pagamento di un prezzo elevato che sacrifica il nostro paese, non aumenta l'occupazione e non dà stabilità monetaria alla nostra stagnante, malridotta economia?
Abbiamo chiesto da sempre, noi del Polo ed in particolare noi di forza Italia, interventi strutturali di razionalizzazione della spesa pubblica. Abbiamo un'economia ammalata gravemente e questo Governo le offre i famosi pannicelli caldi. Non ha voluto affrontare il problema con le necessarie misure, ma, pur di continuare a soffiare sul fuoco dell'Europa, ha


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propinato qualsiasi cosa agli italiani attraverso un costante e deleterio inasprimento fiscale.
Ma se è vero - e noi siamo i primi a volerlo - entreremo in Europa. Vi siete chiesti, signori del Governo e colleghi della maggioranza, a quale prezzo ci entreremo? Riusciremo a restarci e per quanto tempo? Come faranno le nostre imprese ad essere concorrenziali con le altre imprese europee? Vi siete mai chiesti se, così agendo, i nostri giovani troveranno occupazione e chi ha già un'occupazione non perderà il proprio posto di lavoro? Pensate forse di salvare la nostra economia attraverso i lavori detti socialmente utili?
Questo paese ha già sbagliato credendo di salvaguardare l'economia e l'occupazione attraverso la famosa cassa integrazione. Ebbene, ci siamo accorti - ahimè, troppo tardi - dell'errore, ma oggi, cambiando il nome in lavori socialmente utili, questo Governo crede di tacitare la legittima richiesta che arriva da tutti, quella della creazione di posti di lavoro.
Ma come farete voi signori del Governo se strozzate l'economia e le imprese con provvedimenti come quelli delle aliquote IVA? Avete dichiarato in maniera falsa che volete tutelare i consumi di natura prioritaria, ma secondo voi la casa, l'abbigliamento, le calzature non sono prioritari? Le imprese ad essi collegate non producono beni di natura prioritaria? Ebbene, sì, il Governo ci sta facendo capire che detterà per breve tempo, magari in allegato alla prossima finanziaria, quali sono secondo il suo giudizio i beni di natura primaria a cui la nazione dovrà adeguarsi; però non ci vengano a dire che dobbiamo entrare in Europa scalzi e nudi.
Vorrei inoltre chiedere all'onorevole Mussi di essere meno drammatico; certo, il suo modo sanguigno e pungente di affrontare la politica e le problematiche ad essa collegate lo portano a volte ad esagerare. Io non credo, onorevole Mussi, che la nostra azione legittima di contrastare un provvedimento che riteniamo vessatorio nei confronti di chi lo applica, significhi stracciare il passaporto per l'Europa. No, questa è solo propaganda, perché tutti sanno che alla fine la forza dei numeri prevarrà e voi, purtroppo per noi, siete la maggioranza.
A noi tocca far sapere al paese, magari attraverso quest'aula, da che parte sta il Governo. Vorrei una volta per tutte che la maggioranza si decidesse; sono d'accordo con Salvatore Scarpino, il quale in un articolo pubblicato su il Giornale sostiene che finalmente la maggioranza dovrebbe essere felice, dato che fino a ieri si sentiva zoppa perché senza avversari che ne stimolassero i muscoli democratici; oggi però si lamenta e fa ricorso a tutti gli espedienti per bloccare questa agguerrita opposizione.
Ma decidetevi! Dettate un decreto su come l'opposizione dovrà comportarsi - magari se ne faccia argomento da trattare in Commissione bicamerale - e così finalmente avrete ottenuto quello che è sempre stato l'aspirazione della sinistra: fare la maggioranza e contemporaneamente l'opposizione; d'altronde, non dovrebbe essere difficile perché quando era all'opposizione agiva in regime di consociativismo con i vecchi governi.
Voi non ci farete passare come coloro che non vogliono entrare in Europa. Il nostro paese lo vogliamo agganciare da subito all'Europa, mantenendo le promesse fatte e scritte nei programmi. Al contrario, l'onorevole Prodi, l'Ulivo, dovranno un giorno spiegare cosa intendevano dire agli elettori quando promettevano che non avrebbero aumentato le tasse. Il ministro Ciampi dovrà un giorno spiegare, non soltanto agli elettori dell'Ulivo ma a tutti gli italiani, cosa voleva dire quando prometteva che l'eurotassa sarebbe stata restituita, mentre oggi dice che non si tratta di una cambiale.
Eppure, onorevoli colleghi, noi dell'opposizione siamo accusati di essere poco seri. Ma se c'è qualcuno cui riferirsi in tal modo, è questo Governo, che prende in giro i cittadini, che gabella recessioni come una vittoria del risanamento, che definisce la riduzione del tasso di inflazione il fiore all'occhiello della sua gestione. Lo vada a dire alla massaia,

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all'operaio, al lavoratore, all'imprenditore e chieda loro se vivono meglio oggi, con un'inflazione all'1,7 per cento, oppure ieri! Alla gente non interessano i trucchi contabili; la gente fa i conti, giorno per giorno, con il proprio salario e con le proprie possibilità.
Questo vogliamo dire e avremmo voluto dirlo quando chiedevamo non di fare l'ostruzionismo, ma di cambiare in meglio il decreto. Siamo qui a contrastare in maniera democratica, quindi con il confronto parlamentare, un metodo di Governo, un sistema di gestione che è offensivo anche per la maggioranza. È vero, state usando la fiducia, signori del Governo, come una clava ed il regolamento come una ghigliottina, così come li ha definiti - e mi piace citarlo ancora una volta - il giornalista Scarpino.
Infine, vorrei richiamare un'espressione del collega Masi, il quale certamente non fa parte di questa opposizione: il Polo ha tutto il diritto di fare ostruzionismo contro comportamenti...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Cavanna Scirea (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale, del CCD e misto-CDU - Congratulazioni).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Neri. Ne ha facoltà.

SEBASTIANO NERI. Presidente, a distanza di un anno dalla discussione sulla precedente legge finanziaria, ci ritroviamo a parlare di tasse introdotte da un Governo che non mi pare faccia grossi sforzi di fantasia per riuscire a far quadrare i conti di bilancio. Resta da stabilire se, oltre all'incapacità di concepire metodologie nuove, che non mortifichino l'economia e la capacità di sviluppo del paese, i conti quadrino davvero.
Nel momento in cui si assume - peraltro si tratta di un falso, perché basta fare la spesa nei supermercati per rendersi conto della palese falsità del dato - che l'inflazione è attestata all'1,6-1,7 per cento, mi domando se qualcuno tra i tanti scienziati in materia economica che albergano nel Governo si sia posto il problema di rileggersi qualche testo di economia politica, così ricordando che tra un'inflazione bassa ed una recessione - o deflazione, come scolasticamente si usava dire un tempo - c'è una notevole differenza. Un'inflazione bassa presuppone che il sistema produttivo ed il sistema economico del paese siano saldi, presuppone quindi che vi sia la capacità di produrre e di creare ricchezza, senza che tale capacità sfoci in un aumento dei prezzi, con uno stimolo drogato dei consumi.
I dati dei consumi di energia elettrica in questo paese dimostrano quanto oggi la produzione sia stimolata: siamo in piena recessione! In questo paese una fascia pari ad un terzo della popolazione vive sotto la soglia dei 2 milioni e mezzo di reddito mensile considerata, con riferimento a nuclei familiari di 4 persone, dagli organi di ricerca e di statistica, certamente non di parte, la soglia di povertà. In questo paese abbiamo oggi una incapacità di spesa derivante da una mancanza di reddito, esattamente corrispettiva alla pressione fiscale più elevata nel contesto europeo.
Il dato sull'inflazione - ripeto - è assolutamente falso: basta effettuare una scelta oculata, così come avviene, dei prodotti inseriti nel paniere di calcolo dell'inflazione per mantenere bassi i dati; basta considerare prodotti che nessuno vuole, perché l'inflazione scenda anche a livelli bassissimi. Di fronte a questo dato falso, abbiamo un paese in ginocchio, un paese che non ha più risorse da destinare al consumo, un paese che non riesce a sostenere un minimo di domanda, presupposto indispensabile per gioire di una presunta situazione positiva sotto il profilo inflazionistico.
In tale contesto, ci dobbiamo interrogare sul significato di un decreto in materia di IVA che, puntando al riassetto delle aliquote, di fatto incide ulteriormente sull'aumento della pressione fiscale. Ci dobbiamo interrogare sulla valenza di questo provvedimento, anche alla luce degli effetti della finanziaria approvata lo scorso anno dal Parlamento.


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Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nessuno è sfuggito che la famosa finanziaria del Governo Prodi di 60 mila miliardi e più è, di fatto, una finanziaria piena di trucchi contabili. In quella finanziaria la parte effettiva di manovra è rappresentata, per il suo 80-90 per cento, da nuove entrate tributarie; la parte relativa alle spese è una presa in giro perché consiste essenzialmente nella posticipazione di uscite di cassa che verranno tutte a scadenza a partire dal secondo semestre del 1998.
La posticipazione di cassa è stata predisposta sul piano di una scommessa legata alla diminuzione dei tassi di interesse, ipotizzando che, tra il 1997 e il 1998, vi potessero essere due interventi da parte dell'istituto bancario centrale volti a ridurre, prima di un punto e poi di un altro punto, il tasso di interesse, e legando ogni punto del tasso di sconto ad un risparmio sugli interessi passivi del debito pubblico di 15 mila miliardi. Si pensava che, mediante questa operazione, facente capo all'operato della Banca d'Italia, si potessero recuperare i risparmi sugli interessi del debito pubblico, quei 30 mila miliardi che rappresentano l'artificio contabile che ha consentito di sbandierare una finanziaria falsamente di 60 mila miliardi, ma realmente di poco più di 30 mila.
Il guaio è che nell'anno in corso, nell'esercizio contabile 1997, mancano all'appello 16 mila miliardi di entrate tributarie, così come è stato denunciato dalla Ragioneria generale dello Stato. La conseguenza di questo tipo di ammanco delle entrate tributarie nell'esercizio in corso comporta che il tasso di sconto diminuito nel 1997 e, quindi, il presunto risparmio di 15 mila miliardi sugli interessi passivi del debito pubblico, servano già da ora a coprire questo buco; comporta altresì che, per far fronte alle posticipazioni di cassa inserite nella finanziaria 1997, così come è stato detto anche dalle associazioni di categoria - per ultima, la Confindustria, con il suo presidente - vi sarà la necessità di una manovra di aggiustamento in primavera, dal momento che la manovra legata alla finanziaria dell'ordine di 20-25 mila miliardi non è più da sola sufficiente a garantire non solo il permanere dell'Italia nel contesto dei paesi dell'euro, ma nemmeno il suo ingresso.
I numeri, del resto, hanno una logica inoppugnabile. I saldi che il Governo si era prefisso di conseguire non corrispondono alla realtà; gli artifici contabili non reggono di fronte alla incapacità di questo Governo, sostenuto da rifondazione comunista, che va ciarlando da tutte le parti di una presunta lotta all'evasione fiscale... Il dato di fatto è che le entrate tributarie diminuiscono perché questo Governo è meno efficiente di tutti quelli che in passato hanno giustificato e consentito l'evasione fiscale.
Allora, il decreto in esame, introducendo di fatto l'aumento delle aliquote IVA, non risponde certamente ad esigenze di razionalizzazione, anche perché dovremmo andare a verificare quale sia il regime IVA negli altri paesi nell'Unione europea Non dobbiamo dimenticare che, nel momento in cui entreremo nel sistema della moneta unica, saranno armonizzati anche i sistemi fiscali e non sarà più consentito all'Italia di tassare allegramente quello che le pare, perché questo inciderà nei rapporti, anche in quelli di concorrenza, che sono ricondotti alla competenza delle autorità economiche dell'Unione europea.
Il decreto sull'IVA introduce, di fatto, un punto percentuale netto di aumento ingiustificato per alcuni settori che, guarda caso, sono quelli deboli. Questo decreto, di fatto, contribuisce ad elevare la pressione fiscale. Con quali risultati? Forse con il risultato di consentire un maggiore introito alla voce IVA, in termini di perequazione tra categorie e prodotti che possano determinare realmente una razionalizzazione del sistema? No, lo consente solo in termini di aumento indiscriminato finalizzato a realizzare un saldo attivo, che rappresenta di fatto una mini manovra per mettere una pezza alle

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fantasie che con tanta bontà ci erano state elargite in sede di discussione e di approvazione della finanziaria.
Questo decreto-legge sull'IVA finisce per mortificare ancora di più le esigenze della produzione e quelle della ripresa economica che il paese è ben lungi dal soddisfare. Ciò ci deve far riflettere, perché se vi è stato un presunto calo del tasso di inflazione nei mesi passati, non sarà un caso che nel momento in cui, nel mese di ottobre, si è registrato un aumento dei consumi di energia elettrica, che ha fatto pensare ad una ripresa e quindi ad un minimo di circolazione monetaria in più, il tasso di inflazione non solo non è calato, ma è lievemente aumentato. Questo significa che il paese è tenuto sotto il tallone di una depressione pesante. Il paese oggi non vede prospettive, perché queste non possono essere legate a provvedimenti estemporanei dai quali bisogna uscire. Le prospettive vanno collegate a provvedimenti strutturali che diano garanzia di stabilità della ripresa economica e possano creare nuova ricchezza e posti di lavoro, ma soprattutto consentano ai redditi della fascia medio bassa di assumere il potere di acquisto che oggi non hanno perché sono falcidiati da una pressione fiscale che non conosce uguali nel resto dell'Europa.
Queste sono le ragioni per le quali il Polo non può essere favorevole al decreto-legge in esame e voterà contro, nel legittimo esercizio del ruolo di un'opposizione che è presente nel paese: finalmente nessuno potrà contestare che c'è, e in maniera pressante (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

ALBERTO DI LUCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

ALBERTO DI LUCA. Siamo ancora in campagna elettorale e vorrei domandarle di chiedere ai colleghi, che sventolano bandiere di partito all'interno dell'aula, di volerle ritirare.

PRESIDENTE. Onorevole Rizzi, la prego di voler cortesemente aderire alla richiesta dell'onorevole Di Luca.

CESARE RIZZI. Signor Presidente, questa non è una bandiera ma è semplicemente un fazzoletto. Nel regolamento della Camera non sono indicate le misure dei fazzoletti, pertanto ritengo di mettere nel taschino il fazzoletto delle misure che mi interessano.

PRESIDENTE. Mi pare più che giusto. Ognuno ha lo stile che ha.
Onorevole Di Luca, cerchi di capirlo.

IGNAZIO LA RUSSA. Caro Bergerac!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cicu. Ne ha facoltà.

SALVATORE CICU. Signor Presidente, il microfono non funziona.

DANIELE ROSCIA. Presidente, non gli funziona più!

SALVATORE CICU. Presidente, chiedo che il tempo a mia disposizione decorra da questo momento.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo che ci sia una strana presunzione di follia in questo momento e in questo paese. La presunzione di follia è quella che, a giudizio di questa maggioranza, dovremmo abituarci ad assistere in maniera saporifera a tutto quello che ci viene propinato.

MARCO BOATO. Soporifera!

SALVATORE CICU. Credo che sia opportuno fare una serie di considerazioni riferite ad una maggioranza che ha al suo interno un'opposizione, ma che vede cortei di protesta fatti dalla stessa maggioranza, dal PDS e da rifondazione comunista contro lo stesso Governo! Rileviamo questa presunzione di follia soprattutto nel momento in cui il Presidente Prodi vorrebbe rappresentare una situazione di normalità nel paese, che si rileverebbe nel sereno percorso produttivo rispetto al nostro ingresso in Europa.


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Ciò che più mi piace evidenziare è la partecipazione del Presidente Prodi, a nome del popolo italiano e di questo Governo, al convegno tenutosi a Lussemburgo, dove Prodi, insieme a Blair, ha portato avanti una politica del lavoro che vuole svilupparsi soprattutto nell'adozione di un piano per l'occupazione nel 1998 in sintonia con le indicazioni comunitarie. Cosa andiamo a scoprire? Che Prodi è il più acceso fautore del sostegno all'occupazione attraverso il supporto che deve essere dato, in termini di trasparenza, all'amministrazione, in termini di giusta fiscalità, di incentivazione, attraverso il sistema fiscale, alle piccole e medie imprese. Una misura di politica attiva del lavoro che si vuole dirottare in questa direzione, convogliando risorse ed energie. Il piano italiano dovrà pertanto spiegare come nel 1998 si inizierà ad attuare l'impegno di contrastare la disoccupazione di lunga durata, offrendo un'opportunità formativa di impiego entro i primi dodici mesi di disoccupazione. Il Governo dovrà pertanto - almeno nelle linee programmatiche sviluppate da Prodi a Lussemburgo - tenere conto di altre precise indicazioni, quali quelle che vedono in maniera prevalente una politica a favore delle piccole e medie imprese.
Ma a noi sembra che questa folle presunzione si stia attuando in maniera contraddittoria: l'azione concreta, infatti, consiste in questo provvedimento e nel Documento di programmazione economica e finanziaria e di assestamento di bilancio.
Credo sia opportuno precisare i termini dell'azione programmatica e politica della maggioranza e di questo Governo e di quella di un'opposizione che viene derisa esclusivamente perché ritiene di dare voce - finalmente - a quelle categorie che la hanno solo nelle piazze e nei cortei, ma non trovano ascolto da parte dei riferimenti istituzionali, che in questo momento preferiscono sviluppare conferenze stampa nelle quali si richiama il senso dell'ordine e della positività dell'azione di Governo.
Ritengo sia chiaro ed evidente che i sostenitori di una politica di incentivi e di sostegno nei confronti della piccola e media impresa appartengano per cultura e nella dimostrazione concreta dei fatti - e questa è una dimostrazione concreta dei fatti - al Polo per le libertà. Noi siamo i sostenitori di questa politica, noi sosteniamo l'importanza di rimuovere gli ostacoli - da quelli amministrativi a quelli finanziari - alla creazione di posti di lavoro nella piccola e media impresa. Puntiamo alla creazione di un quadro amministrativo, fiscale e previdenziale idoneo a consentire la nascita di nuove piccole e medie imprese.
Questo Governo, al di là delle esagitate enunciazioni, negli atti di programmazione economica produce provvedimenti quale quello sull'IRAP, l'imposta rapina con la quale si penalizzano le piccole e medie imprese, il settore agricolo, quello delle libere professioni, il mondo del lavoro che vuole produrre. Con questa imposta si realizza un'ulteriore penalizzazione dell'impresa, di quella piccola e media impresa che sta soffocando soprattutto in quel Mezzogiorno oggi ancora più dimenticato. È strano che da un anno e mezzo non si parli più della questione del Mezzogiorno; è strano che non se ne parli più in questo momento, considerato che nel Mezzogiorno vi è il più alto tasso di disoccupazione ed esiste soprattutto una larga fetta di lavoro sommerso che questa tassa evidenzierà ancora e di più rispetto a ciò che oggi si registra.
Il Governo studia incentivi finalizzati a far emergere il commercio, e con l'IRAP premia chi nel sommerso vuole restare. Peraltro, basta rilevare che nella determinazione di questa tassa rientrano gli interessi passivi che sono indeducibili. Ciò sta a significare che le imprese che fanno ricorso al debito per sopravvivere o, in ogni caso, per resistere al sistema concorrenziale si trovano penalizzate ulteriormente. E la sperequazione è ancora più evidente sempre nel Mezzogiorno, dove vi è un diverso trattamento del

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sistema bancario e dove si è costretti ad attingere al credito a tassi di gran lunga superiori.
Credo che sia opportuna una rivisitazione di questo tipo di politica. Credo che una miopia così evidente non possa resistere all'impatto che sovrasta il confronto di questo paese, impatto che non può subire ancora questo tipo di provvedimenti, che vengono ad essere soffocati da quelle denominazioni di concertazione sociale, che vengono ad essere sviluppati solo con riferimento ad una minima percentuale di coloro che hanno voce in questo paese e alle categorie di lavoratori che producono in questo paese. Ma, con riferimento al provvedimento in esame, credo che la nostra critica forte e dura, scaturita in questa opposizione, debba far rilevare che questi provvedimenti non significano in alcun modo che un assestamento di bilancio e l'aumento delle aliquote IVA vengono ad innalzare i costi di produzione delle imprese, con un rischio di effetto inflattivo ben superiore a quello che il Governo stima; un effetto inflattivo che verrà ancor di più a deprimere la capacità di spesa delle famiglie e, quindi, i consumi.
Tutto il paese è mobilitato contro questo Governo. Nonostante si sia cercato di far passare la politica della concertazione, il malcontento, la protesta e la denunzia sociale stanno toccando livelli mai raggiunti in questo paese. Vi è la giusta protesta degli agricoltori, degli artigiani, dei commercianti, del mondo della scuola. Un Governo della sinistra che, nonostante la sua veste rinnovata di liberalità, si va sempre di più proiettando verso un sistema centralista e statalista che lo faccia distinguere in un paese occidentale; in un paese di grande tradizione e di cultura liberale e liberista, vuol porsi all'attenzione, ancora una volta, per una rinnovata reintroduzione di sistemi dirigistici. Stiamo assistendo all'introduzione, in tutti i settori del paese, di quel regime che non si può più sottacere, di quel regime che parte da una cultura che deve essere attuata con riferimento ad un discorso che vuole rappresentare bene... (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Cicu.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gazzara. Ne ha facoltà.

ANTONINO GAZZARA. Il mio voto, signor Presidente, è contrario a questo provvedimento, e di seguito ne darò le ragioni, che non sono solo economiche.
Da molte ore, ormai, in quest'aula l'opposizione cerca di far comprendere alla maggioranza l'importanza del confronto per la realizzazione di una democrazia compiuta. Il Governo e la maggioranza, però, non vogliono questo. Loro vogliono portare avanti propositi più che programmi, senza che sugli stessi possa incidere minimamente chi non la pensa allo stesso modo. Invece, noi vogliamo anzitutto ragionare su questioni e sulla opportunità di porle e, quindi, sul metodo da seguire per attuarle. E nessuno è legittimato a spiegarci come dobbiamo affrontare i problemi e, soprattutto, nessuno è legittimato a spiegarci come fare opposizione. In verità, la maggioranza si augura che l'opposizione stia in aula, copra le assenze della stessa maggioranza in un assoluto silenzio, consenta, di fatto e rapidamente, la conversione in legge, senza emendamenti, dei provvedimenti di volta in volta sottoposti all'esame dell'aula.
Noi siamo convinti che l'aula deve essere sede di dibattito e non possiamo condividere che questo venga di fatto soffocato sui provvedimenti più significativi per il paese. Il decreto-legge sull'IVA al nostro esame non presenta i requisiti d'urgenza che sono posti a base dei decreti-legge, dato che è consentito un termine che scade alla fine dell'anno prossimo; aumenta invece, ingiustificatamente, alcune aliquote e, di fatto, la pressione fiscale, pregiudicando la stessa esistenza in vita di moltissime imprese, soprattutto piccole e medie, operanti in particolare nel settore delle calzature, e non tiene conto di altri settori vitali per il


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paese, quali agricoltura, artigianato ed edilizia, per i quali l'aumento previsto si potrebbe rivelare letale.
Il Governo, da sempre, opera in forza di decreti-legge, di deleghe, di voti di fiducia, sostituendosi così al Parlamento, che viene privato della possibilità di discussione e di confronto. La gente sa appena di cosa ci occupiamo e non comprende perché si discuta ma non si risolvano i problemi, perché non migliori, nonostante i proclami, la qualità della vita. Non funzionano le scuole, gli ospedali, i treni, gli aerei, le strutture pubbliche in genere che, da sempre, più che occuparsi dell'utente, servono a garantire un reddito a chi vi lavora. Fino ad ora, e a partire dal programma elettorale, la gente ha ascoltato una serie infinita di proclami demagogici e di traguardi prossimi da ottenere a costo di sacrifici; ha fatto i sacrifici richiesti - meglio: imposti - ma non ha visto nessun risultato.
Il programma elettorale dell'Ulivo prevedeva anzitutto l'impegno a non aumentare la pressione fiscale e poi quello ad attuare riforme strutturali. A partire dal documento di programmazione economico-finanziaria del 1996 e proseguendo con l'eurotassa, poi con l'IRAP e oggi con l'IVA, non si è fatto altro, invece, che ritoccare in aumento la pressione fiscale, cioè tradendo impegni e nascondendo o tentando di nascondere l'assoluta impotenza di incidere con interventi decisivi per quelle riforme strutturali che possono risolvere i problemi del paese.
L'Europa è spesso usata come spauracchio e tutti abbiamo compreso che non sarà difficile, anche per le difficoltà degli altri, entrarvi ma che sarà difficile rimanervi, dato che noi abbiamo l'abitudine di usare i parametri quando e come conviene, e li ignoriamo, invece, quando l'adeguamento non è conforme alle esigenze di questa maggioranza. I risultati delle varie manovre fiscali e degli interventi fin qui attuati dal Governo si sono rivelati, così come era facile prevedere, inutili e spesso nocivi, e ciò ha comportato la rinnovata esigenza di recuperare risorse nuove. Da qui il continuo ricorso al prelievo fiscale e la penalizzazione di quel ceto medio che è divenuto il pozzo dal quale attingere tutta l'acqua che serve.
Il metodo non va, e i cittadini devono saperlo. Così come devono sapere che l'opposizione c'è e si muove secondo una logica corretta verso l'elettore e anche verso la maggioranza, una logica democratica e civile. L'esperienza fin qui maturata, però, ci fa disperare circa la possibilità di un confronto corretto. Se, infatti, gli emendamenti proposti dall'opposizione sono molti, si dice che si vuole fare ostruzionismo per ritardare riforme essenziali; se sono pochi, si dice che si vuole incidere sulla struttura dei provvedimenti modificandoli radicalmente. In entrambi i casi, così come in tutti gli altri in cui l'opposizione intende svolgere il proprio ruolo, l'intervento è teso a disturbare l'unico depositario della verità, che non ha tempo da perdere con chi non la pensa come lui. Ed allora si ricorre alla fiducia, che priva l'opposizione dell'iniziativa ma che soprattutto priva - e questa è forse la reale volontà - le forze della maggioranza di un confronto interno che su molti temi risulterebbe lacerante. E ciò è emerso chiaramente da molti provvedimenti sottoposti all'esame dell'aula, che poi sono risultati esitati con voto di fiducia, ovvero si sono bloccati o eclissati, senza apparente motivo, al Senato, dove invece la stessa maggioranza è ben più solida che alla Camera.
Mi riferisco, per esempio, al cosiddetto pacchetto Treu, per il quale, a fronte di borse di lavoro che sono puro assistenzialismo, si è prevista una formazione con oneri gravissimi a carico delle imprese; alla riforma degli esami di maturità, urgentissima, un fiore all'occhiello per il ministro Berlinguer, fondamentale per la riforma della scuola, prevista prima per luglio, poi rinviata a settembre, ma al Senato non abbiamo più notizie; al blocco dei pensionamenti degli insegnanti, convinti dal ministro e dal provvedimento approvato ad una dilazione di un anno, ora prorogata, ed altri convinti dal ministro

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in fiducia a ritirare la domanda mentre ora la possono riproporre con regole variate e penalizzanti.
Da tutto quanto sopra, Presidente, deriva il voto contrario al provvedimento in esame, che esprime anche la contrarietà all'operato di un Governo e di una maggioranza che intendono soffocare la voce di una opposizione comunque presente, pensante e propositiva. Sono convinto che l'impegno profuso vada oltre il provvedimento sull'IVA e che la battaglia vada fatta proprio per la difesa della libertà, non solo della libertà che vuole rappresentare l'opposizione. È come se la maggioranza, Presidente, stesse pagando pegni per gli esiti elettorali del 21 aprile, ed i pegni li paga nei confronti dei sindacati, con una concertazione presente in ogni provvedimento, anche non in tema di lavoro, ma anche nei confronti di rifondazione comunista, come nel caso dell'Albania, a prescindere dal soccorso dell'opposizione su un provvedimento per salvaguardare la dignità della nazione a livello internazionale, così come per le 35 ore di lavoro che non si sa ancora che fine faranno.
Si è parlato sempre, Presidente, della conferenza per l'occupazione, ma è stata rinviata e non se ne è parlato più; si è parlato di lavori socialmente utili e di borse lavoro, di lavoro interinale, che non si è avuto il coraggio di portare avanti, e di formazione professionale. Comunque, si parla di concertazione con i sindacati in ogni caso e non si è più parlato di Commissione bicamerale, da quando c'è stata la cosiddetta crisi nella maggioranza per motivi diversi. Noi, Presidente, non ci limitiamo a criticare il provvedimento sull'IVA, che fa parte non di un disegno, perché non lo individuiamo, ma di un atteggiamento politico comunque penalizzante per gli italiani. L'unica cosa certa, Presidente, è che il 1998 ci porterà nuove tasse, IVA e deleghe fiscali; è certo che, attraverso l'aumento delle aliquote, si toglieranno alle tasche degli italiani 5.700 miliardi. Si dice di non colpire i beni di prima necessità ma di fatto si aumenteranno del 4 per cento scarpe e abbigliamento; i provvedimenti inerenti alla spesa pubblica sono una presa in giro, i risparmi di spesa sono inferiori a quelli previsti dal documento di programmazione economico-finanziaria: dovevano ammontare inizialmente a 9 mila miliardi, poi a 6 mila, ora si parla di 4 mila, di cui ben 2 mila saranno rappresentati da aumenti dei contributi sui lavoratori autonomi e dal ritardo nel pensionamento dei dipendenti pubblici e della scuola. Dicono che è una finanziaria per lo sviluppo, ma non si è mai visto in nessun paese civile favorire lo sviluppo dell'economia attraverso il continuo aumento della pressione fiscale; ci si dice che è una finanziaria per l'occupazione ma riducendo l'orario di lavoro non si creano nuovi posti di lavoro, piuttosto si redistribuiscono quelli esistenti... (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Gazzara.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Michelini. Ne ha facoltà.

ALBERTO MICHELINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il motivo per cui stiamo facendo il nostro giusto, legittimo, democratico ostruzionismo (sono giorni che ognuno di noi dell'opposizione lo ripete) è l'iniquo aumento fiscale che attraverso il decreto-legge sull'IVA penalizza soprattutto il ceto medio produttivo, già colpito dall'eurotassa, una tassa che peraltro non verrà mai rimborsata perché - l'hanno ripetuto altri colleghi -, come ha detto il ministro Ciampi a Bruxelles mercoledì scorso, si trattava soltanto di un impegno morale. Saranno comunque gli italiani a giudicare tale comportamento.
Si sa che c'era la disponibilità del Polo ad un democratico confronto parlamentare, per far passare una qualche significativa modifica e non potevamo che presentare emendamenti che lenissero i colpi inferti dal provvedimento a settori vitali dell'economia italiana, ma il Governo ha imposto il voto di fiducia invece di confrontarsi


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con l'opposizione. È un comportamento che non possiamo accettare, è un uso spregiudicato della tassazione per far quadrare i conti dello Stato e risanare dissanguando il cuore produttivo del paese. È una logica che non possiamo accettare se non tradendo gli stessi impegni programmatici di forza Italia e del Polo con i cittadini, se non stracciando un patto con gli elettori che chiedono al Polo delle libertà la tutela di interessi vitali, non di categorie particolari ma del bene comune del nostro stesso paese.
Ci si dice minacciosamente da parte di una maggioranza in difficoltà che, se non passasse il decreto, sarebbe stracciato il passaporto dell'Italia per l'Europa, ma la responsabilità è di chi ha voluto con pervicacia usare lo strumento fiscale per drenare ciò che non si è stati capaci di recuperare con quelle riforme strutturali che sono l'unico modo non solo per andare in Europa ma anche per restarci a pieno titolo. Non è con le operazioni contabili che si conquista la moneta unica, ma con le riforme, con meno tasse sull'impresa, con meno tasse sul lavoro e quindi con lo sviluppo, in definitiva con una effettiva capacità di competizione della nostra economia. La responsabilità non può essere addossata al Polo, colleghi della maggioranza, ma va riferita a chi come voi ha dovuto scegliere per vincere le elezioni un alleato scomodo come rifondazione comunista, che non solo è una spada di Damocle che pende costantemente sul Governo (la nuova polemica di questi giorni sulle 35 ore lo dimostra) ma è anche un insopportabile elemento condizionante per la stessa azione dell'esecutivo, come del resto gli alleati del centro dell'Ulivo non perdono occasione di rilevare.
È con rifondazione che non andate in Europa, non con l'ostruzionismo peraltro doveroso del Polo. Non possiamo accettare un decreto come quello sull'IVA perché è assolutamente contrario alla giusta prospettiva di un paese ricco di potenzialità come il nostro, che solo un Governo riformatore e liberaldemocratico può mettere in condizione di essere moderno, competitivo, degno di rispetto nel consesso delle nazioni più avanzate di cui l'Italia può far parte a pieno titolo. Ma per far questo ci vogliono meno tasse sull'impresa, sul lavoro - anche quello dipendente -, sugli utili da reinvestire e poi ci vogliono le riforme, la liberalizzazione del mercato del lavoro, la flessibilità salariale, l'introduzione della possibilità di entrare ed uscire dal lavoro: questo produrrebbe una capacità di competizione della nostra economia che oggi non c'è. Compatibilità, sviluppo e occupazione significano maggiori entrate dell'erario, anche abbattendo le aliquote: in questo modo, si innescherebbe quel circolo virtuoso che partendo necessariamente dalle grandi riforme passa attraverso una più contenuta spesa pubblica ed una minore pressione fiscale, che a loro volta determinerebbero più risparmi da investire e più posti di lavoro.
Ciò produrrebbe un maggiore sviluppo del PIL e maggiori entrate dell'erario; di conseguenza, si verificherebbe un abbassamento del rapporto PIL-debito pubblico con una conseguente maggiore fiducia degli investitori stranieri nella nostra moneta e nelle nostre imprese, con tassi di interesse più bassi, una minore spesa per interessi a carico dell'erario (oggi per 300 miliardi al giorno), l'avanzo di bilancio e la riduzione dello stock del debito pubblico e dei costi delle imprese. È questo il circolo virtuoso dell'economia che noi vogliamo e che il Governo dell'Ulivo, non potendo fare le grandi riforme a causa di rifondazione comunista, non è in grado di realizzare. E mentre non riesce a fare riforme strutturali, colpisce i ceti medi e le piccole e medie imprese, cioè quel settore vitale e dinamico dell'economia italiana, quei 5 milioni di partite IVA, il cui 60 per cento è concentrato nel nord (poi ci si meraviglia delle proteste di chi produce), quel milione 300 mila di imprese artigianali che assieme alle altre piccole e medie imprese sono oltretutto le uniche, oggi, in grado di creare nuovi posti di lavoro. Invece di aiutarle, cosa si fa? Le si colpisce con gli aumenti delle aliquote IVA, con la malcelata convinzione

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(Bertinotti, per la verità, non fa che ripeterlo) che intanto si tratta di imprenditori disonesti, che non pagano le tasse dovute, mentre bisogna essere solidali con chi è meno abbiente e così via, rispolverando quelle teorie assistenzialiste da Stato padrone che hanno fatto il loro tempo e che danneggiano comunque, alla fine, chi ha più bisogno.
È la storia ad aver dimostrato che lo statalismo, il verticismo ed il dirigismo sono falliti. È la storia ad aver dimostrato che il modello di welfare state ha fallito: un modello universalistico che ha dato tutto a tutti, in cui lo Stato soffoca l'iniziativa privata ostacolando ogni forma di tutela sociale alternativa a quella pubblica. Questo meccanismo totalizzante ed onnicomprensivo è stato possibile fino ad un certo punto, oltre il quale si è rotto l'equilibrio delle compatibilità finanziarie: non c'erano più soldi, mentre si è gradualmente ma progressivamente estesa la banda del debito pubblico (oltre 2 milioni di miliardi). Nel welfare state universalistico sono venute meno le risorse finanziarie per assicurare tutto a tutti, con la sanità e la previdenza che rappresentano le due voci più rilevanti dell'enorme buco finanziario.
È necessaria quindi una riforma organica, non i palliativi voluti da rifondazione e dai sindacati. Questi ultimi, tra l'altro, sbandierano il consenso alla riforma dello Stato sociale espresso dall'85 per cento degli iscritti (4 milioni di lavoratori) senza chiedersi cosa pensino gli altri 10 milioni di lavoratori non iscritti.
Occorre una riforma del sistema previdenziale e del sistema sanitario, prevedendo una maggiore integrazione fra pubblico e privato. È questa la strada per andare in Europa: riforme strutturali, più sviluppo, più competitività, più occupazione, più gettito, più Stato sociale. È l'unico modo per aiutare chi ha bisogno. Se non vi sono risorse, non si può avere una vera solidarietà. Quindi sì all'assistenza, no all'assistenzialismo; sì ad uno stato sociale riformato e moderno, no ad uno Stato sociale squilibrato in cui la spesa non va di pari passo con l'efficienza dei servizi e nel quale lo spreco di denaro pubblico è un'offesa per chi soffre la povertà, l'emarginazione, l'abbandono sociale.
Troppi sono gli sprechi, troppi i posti di lavoro assistiti, troppi i servizi inefficienti, troppe le disfunzioni della pubblica amministrazione, troppe le leggi spesso inapplicate o - peggio - inapplicabili, troppe le tasse, troppe le bugie e troppi gli artifici del Governo per nascondere la vera realtà dei nostri conti, che del resto non hanno ancora completamente convinto i nostri partner europei.
Lo stesso Federico Rampini, nel suo editoriale di ieri su la Repubblica (un quotidiano, tra i molti, non tenero verso il Polo), ammette che lo Stato non sa spendere e che dietro l'ostruzionismo del Polo e della lega vi è un problema vero: la marginalizzazione del Parlamento rispetto alle grandi scelte delle politiche di bilancio. Ma non solo: ammette anche una malattia che definisce insidiosa e gravida di conseguenze per il paese; il risanamento dei conti pubblici - afferma - è in parte un artificio e deriva dal fatto che lo Stato non sa spendere e soprattutto non riesce ad investire sul futuro. È un'analisi durissima, colleghi della maggioranza, tenuto conto anche che l'artificio si è verificato quando in primavera con acrobazie contabili si è prodotto il miracolo della riduzione del nostro deficit dal 6,7 per cento del 1996 a meno del 3 per cento di quest'anno.
Signor Presidente, non possiamo rassegnarci a questa situazione, a questi artifizi ed eccessi. Ecco perché dichiariamo che quando saremo maggioranza lotteremo contro queste deficienze. In conclusione, Presidente, voterò contro la conversione in legge del decreto in esame (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bono. Ne ha facoltà.

NICOLA BONO. Mi vorrei appellare alla sua proverbiale cortesia, onorevole


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Presidente, chiedendole di avvertirmi quando manca un minuto alla scadenza del tempo a mia disposizione. Non vorrei chiudere l'intervento senza un senso compiuto.

PRESIDENTE. D'accordo.

NICOLA BONO. La ringrazio, anche per i posteri quando leggeranno il verbale...
Signor Presidente, il decreto-legge sull'IVA rappresenta un atto grave e penalizzante, ma anche un provvedimento coerente rispetto alle misure già assunte dal Governo, ponendosi nel solco della migliore tradizione del Governo Prodi.
Il Governo si è distinto per aver determinato una situazione recessiva nell'ambito del sistema economico nazionale come non si era verificato neanche ai tempi del dopoguerra. Tutti i suoi strombazzati successi (in particolare rispetto agli obiettivi che si era prefissato, come la riduzione del tasso d'inflazione o il raggiungimento del parametro deficit-PIL) hanno avuto come conseguenza una fortissima difficoltà nel sistema economico nel suo insieme e stanno portando il nostro paese ad uno stato di insostenibilità nel contesto della competizione nell'economica mondializzata.
L'effetto recessivo è talmente pesante che addirittura dall'aumento delle aliquote IVA non è disceso un effetto inflattivo. Ma tutto ciò non è miracoloso: è la dimostrazione che le decisioni della complessa manovra tributaria hanno determinato un avvitamento del sistema talmente forte che l'aumento dei prezzi non viene registrato nemmeno per l'effetto automatico che dovrebbe essere indotto da un incremento delle imposte indirette.
Vi è poi un aspetto che fa particolarmente rabbia, uno dei motivi fondamentali per cui la nostra opposizione all'impostazione governativa non è soltanto politica, ma anche concettuale. Mi riferisco al fatto che si vuole gabellare un'ipotesi di armonizzazione delle aliquote rispetto al sistema europeo nascondendo la realta, cioè il varo di un'ulteriore operazione di drenaggio fiscale realizzata sulla pelle delle unità produttive. Infatti, in quale libro sacro era scritto che l'armonizzazione, cioè la ristrutturazione delle aliquote a fini di uniformità con gli altri paesi europei, avrebbe dovuto fruttare 5.750 miliardi di gettito? L'armonizzazione poteva essere realizzata a costo zero, infatti, o addirittura con effetti espansivi. Se si è scelta la strada dell'inasprimento della pressione fiscale, la ragione c'è e rientra nella filosofia di un Governo che concepisce tutte le operazioni di politica economica esclusivamente sul versante dell'aumento delle spese.
Diversi settori escono interamente penalizzati dalla decisione del Governo. Basta pensare all'abbigliamento ed alle calzature. Veramente un bel successo per il primo Governo di sinistra in Italia: non si può certo dire, infatti, che abbigliamento e calzature non rientrino fra i beni di prima necessità. Ma esce con le ossa rotte anche il turismo, un settore che già sconta la penalizzazione di scelte precedenti. Il Governo, infatti, per oltre un anno e mezzo ha determinato una serie di aumenti impositivi che hanno indotto i potenziali consumatori italiani, cioè i turisti, a rinunciare alle loro vacanze per mancanza di denaro. Il turismo, quindi, è il primo settore a pagare le conseguenze di un fenomeno recessivo, mentre è l'unico che potrebbe immediatamente offrire opportunità di rilancio occupazionale.
Dai dati possiamo rilevare con evidenza che il calo del turismo è dovuto esclusivamente agli utenti italiani: si mantiene stazionario, infatti, se non addirittura in leggero aumento, il numero dei turisti stranieri, mentre la vera diminuzione riguarda i turisti italiani. Il motivo è evidente. Il provvedimento adottato dal Governo per incentivare la rottamazione delle automobili e per rilanciare l'economia ha in realtà drogato in maniera grave il contesto economico. Abbiamo incentivato un settore a scapito di altri. Così la gente ha acquistato la macchina, utilizzando le agevolazioni, ma non è andata in vacanza.


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Intervenire su singoli settori mirati è, quindi, un meccanismo perverso: i motivi del fallimento di questa scelta stanno proprio nell'incapacità di farsi carico di un processo di sviluppo con un minimo di armonia e di logica.
Tra l'altro, i dati che vengono strombazzati dal Governo in termini di aumento della produttività sono assolutamente falsi se si intendono riferiti all'intero sistema, mentre evidenziano ciò che sosteniamo noi: se depuriamo dall'effetto dell'incentivo della rottamazione il dato dell'aumento della produzione industriale abbiamo una percentuale non di segno positivo, ma di segno negativo, e per giunta di rilevante segno negativo (meno 3,1 per cento), mentre tutto il mondo sta registrando fenomeni di aumento della produttività.
Ebbene, davanti a questi dati diventa ancora più incomprensibile l'affermazione del Governo e soprattutto del ministro dell'economia Ciampi a proposito delle strategie finalizzate non solo al risanamento dei conti ma anche all'ottenimento di condizioni per il superamento del problema occupazionale. Infatti, proprio questo è il problema. La teoria dei due tempi - un tempo per attuare il risanamento e un tempo per dare luogo a provvedimenti che incrementino la produzione e che quindi diano risposte all'occupazione - è sbagliata, proprio perché non ci si rende conto che lo sviluppo di un sistema economico non è scindibile in tempi diversi. Il risanamento, infatti, deve essere necessariamente accompagnato da politiche di avviamento dell'iniziativa produttiva e dell'investimento, per dare risposte occupazionali. Non ci sono differenze in ordine alle scelte da fare, soprattutto per quanto riguarda i tempi.
La verità è che il Governo Prodi, poiché il cosiddetto risanamento lo fa soltanto penalizzando l'economia e attraverso lo strumento sbagliato della pressione fiscale (perché non ha il coraggio, la forza, la volontà e l'idealità di muoversi nella logica del risanamento di una macchina burocratica assolutamente sbilanciata sul settore della spesa pubblica non controllata), non è in grado di intervenire con tagli strutturali alla spesa. Di conseguenza, non può che concepire una politica dei due tempi, che non c'è; la politica è di un tempo solo, le scelte politiche ed economiche di questo Governo hanno un solo tempo, che è il tempo perso di chi sta al Governo e non capisce che sta determinando le condizioni per far espellere l'Italia dal processo di integrazione mondiale dell'economia. Infatti, il vero problema che questo Governo non ha capito - e non lo ha capito perché è succube di un'arretratezza culturale che gli deriva dalla sua matrice cromosomica marxista - è che il mondo è cambiato; il mondo non è più quello che era fino al 1989, quando c'erano i due blocchi contrapposti. La caduta del muro di Berlino ha determinato il processo... (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bono.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Colombini. Ne ha facoltà.

EDRO COLOMBINI. Signor Presidente, colleghi, anch'io sono qui per difendere in questo Parlamento la categoria più rappresentativa dei nostri contribuenti, quella delle medie e delle piccole imprese dell'artigianato, delle imprese familiari, di tutte le persone che costituiscono da sempre l'ossatura economica portante del nostro paese e che da sempre vengono dimenticate e tartassate a favore di interessi, di gruppi e di categorie; un mondo di piccole imprese, di ceti medi, che viene ingiustamente considerato incolto, impresentabile, inadatto ad esprimere nuovi modelli, soltanto perché non dispone di burocrazie proprie (come per esempio la grande industria), che lavora tanto (dieci, dodici, quattordici ore al giorno) e che non ha espresso un modello di Stato confacente alle proprie necessità, aspettando che una classe intellettuale si preoccupasse di valorizzare questo potenziale e riscontrando che questa valorizzazione non avviene mai.


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Avviene invece che si presenta per l'ennesima volta in questo paese, anche dopo l'inizio della cosiddetta seconda Repubblica, un Governo che vuole vivere di trucchi contabili, di alchimie, di artifici di qualsiasi tipo, che sono riusciti a nascondere il debito pubblico e che hanno invece varato operazioni virtuali, creando atmosfere virtuose in questo paese e lasciando l'illusione che si sia arrivati ad un punto di ripresa, un'illusione tale che ha influenzato anche i mercati, portando anche qualche piccolo risultato, che ben presto ci si ritorcerà contro.
Questo esecutivo per noi effettivamente è un imbroglio assurdo, perché è figlio di un precedente imbroglio politico assurdo, di un imbroglio preelettorale. Si pensava finalmente di avere chiarezza, si pensava che una coalizione fosse costretta e moralmente obbligata da tutto quello che era avvenuto in questo paese a presentarsi agli elettori con un programma unico, sottoscritto con grande trasparenza, con coerenza e con disponibilità a combattere contro un'opposizione corretta per realizzarlo, per presentarsi al giudizio degli elettori.
Ebbene, ancora una volta questo non è accaduto; ancora una volta gli elettori non sanno assolutamente chi hanno votato e per che cosa l'hanno votato, perché purtroppo il programma politico tra l'Ulivo e rifondazione comunista non combacia assolutamente. Il Governo si è rimangiato in quattro e quattr'otto il DPEF e il piano di convergenza con l'Europa e ha fatto saltare i conti della finanziaria: e tutto questo per sottoscrivere folli pretese che arrivavano dall'estrema sinistra.
Dov'è questo Governo? Dov'era ai tempi dell'Albania? Di cosa, di chi ha avuto bisogno per sopravvivere, richiamando la famosa responsabilità, che evidentemente sta sempre dalla stessa parte? Dov'è stato durante e dopo la crisi della finanziaria? Dov'è ora, con Di Pietro che combatte contro i cosiddetti cespugli dell'Ulivo, con lo scontro tra il PPI e il PDS, con il partito popolare che prende posizioni autonome - e giustamente - sulla scuola e sul fisco, con le lotte interne di rifondazione comunista, con lo scontro nuovo tra D'Alema e Prodi e con Ciampi che, rinnegando Prodi, nega la restituzione dell'eurotassa, bocciando anche l'accordo sulle 35 ore? Rifondazione sarà nuovamente pronta a dichiarare un'altra crisi. Nel frattempo, mentre noi pensiamo all'IVA, abbiamo una crisi dei trasporti che è già in atto, abbiamo gli allevatori e i contadini che da alcuni mesi stanno per le strade a protestare per la loro impossibilità di proseguire nell'imprendere, se qualcosa non accadrà, e dobbiamo invece sopportare che la famosa sinistra garantista li aggredisca con i manganelli, fatto che non si era più verificato da tanto tempo in questo paese. E che dire degli insegnanti, che tra breve si faranno sentire? E che dire della scuola di Berlinguer, che cerca di lanciare il Novecento a scapito di Dante, per far cambiare o dimenticare la cultura portante in questo paese?
Ebbene, questo Governo sta svolgendo una vera azione di chirurgia plastica, o meglio di chirurgia estetica; credo di poterlo dire con cognizione di causa, visto che questa è la mia origine nella cosiddetta società civile. Si cerca in sostanza di ottenere dei risultati con una tecnica che in Francia viene definita di camouflage: il chirurgo plastico può sradicare un tumore cranico e può ricostruire un soggetto, ripresentandolo normalmente alla vita sociale e civile; però, il tumore va estirpato, perché altrimenti, se si procede esclusivamente ad una piccola ricostruzione dell'osso intaccato dal tumore, la sembianza del paziente non cambia, ma in poco tempo il tumore diventa ancora più grande, invasivo e pericoloso. Non sarà soltanto più nell'osso cranico ma avrà metastatizzato - come si dice in chirurgia -, cioè avrà aggredito tutto il resto del corpo, e la morte del paziente sarà sicura. Quello che si sta cercando di fare è di far morire il paziente Italia. Purtroppo le metastasi che questa politica dissennata sta lanciando in tutto il corpo del paese sono ormai irrefrenabili e non riusciremo più a controllarle. Siamo riusciti a non fare alcuna riforma strutturale della

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spesa: questa era invece la cura del tumore che bisognava estirpare. Invece si sono aumentate le tasse, come sempre. La pressione fiscale è aumentata di due punti percentuali (1,7 per la precisione) e con tutta una serie di artifizi e di trucchi si è portata l'Italia in Europa. Siamo talmente maestri in questo che persino la Germania sembra ci stia in qualche modo emulando. Si è capito che, ingannando, le porte si possono ugualmente aprire.
Con l'IRPEG gonfiata abbiamo cominciato a dare una nostra immagine; abbiamo proseguito con le operazioni sull'oro, con i favori di Bankitalia, con i tagli ai trasferimenti agli enti locali, con la compravendita - naturalmente redditizia - di BTP, con il buco nell'eurotassa: adesso siamo al provvedimento sull'IVA.
Come medico mi sentirei di concedere al dottor Ciampi la laurea in medicina e chirurgia e la specializzazione in chirurgia plastica: un camouflage come questo non è stato mai fatto in nessuna sala operatoria del mondo. Si presentano dei conti ottenuti dalle cifre della Banca d'Italia dai quali risultano circa 20 mila miliardi di miglioramento; ma questi 20 mila miliardi - ammesso che siano effettivamente tali - sono frutto dell'impostazione della finanziaria nel 1994, quella del Governo Berlusconi, cioè dell'unica finanziaria non congiunturale che abbia pensato allo sviluppo del paese che si mai stata fatta in Italia dal 1990 in poi. Essi sono frutto naturalmente anche della legge Tremonti. Se si chiede a qualsiasi cittadino quale sia l'unica legge utile allo sviluppo di questo paese approvata dal Parlamento dal 1994 ad oggi, chiunque risponderà: la legge Tremonti. Qualsiasi imprenditore cerca di aggrapparvisi, di prolungare i tempi del suo utilizzo per poter ancora usufruire della possibilità di imprendere.
Credo che tale legge, come quella finanziaria del 1994, avessero una filosofia profondamente diversa da quella che l'attuale Governo sta utilizzando: la filosofia di incentivare lo sviluppo. È inutile parlare di occupazione e di impresa se non si dà spazio allo sviluppo. Quando il costo del lavoro rimane così alto in Italia, a differenza di molti altri paesi dell'Unione europea, non è pensabile che noi si possa rimanere concorrenziali. Per tutti questi motivi, dichiaro il mio voto contrario a questo provvedimento ed invito il Governo ad un esame di coscienza, a ricordarsi quali furono le promesse fatte agli italiani ed a mantenerle (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Costa. Ne ha facoltà.

IGNAZIO LA RUSSA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole La Russa: ho già dato la parola all'onorevole Costa; subito dopo la darò a lei.

IGNAZIO LA RUSSA. Presidente...

PRESIDENTE. Onorevole La Russa, avevo già dato la parola all'onorevole Costa; non l'ho vista - e le chiedo scusa - ma subito dopo l'onorevole Costa darò la parola a lei. Prego, onorevole Costa.

RAFFAELE COSTA. Il microfono è guasto...

PRESIDENTE. Onorevole Costa, il tempo decorre lo stesso.

RAFFAELE COSTA. Le assicuro, Presidente, che non si tratta di un artificio per perdere tempo: tutte le intenzioni possiamo avere in questa sede, meno che quella di perdere tempo! Vogliamo partecipare a questo dibattito con spirito costruttivo; abbiamo svolto un primo intervento nella giornata di ieri ed altri sono seguiti da parte di molti colleghi.
Torno brevissimamente sull'argomento fondamentale, almeno dal mio punto di vista, relativo all'IVA. Questo provvedimento non farà che aumentare la sfiducia nei confronti dello Stato e dello stesso Ministero delle finanze, incrementando l'unica cosa che non abbiamo bisogno di incrementare, e cioè l'evasione.


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Con questo decreto si inasprisce la pressione fiscale e poiché i controlli sono pochi - si sono anzi depauperati negli anni, al di là delle affermazioni della Guardia di finanza e del ministero - c'è un forte incitamento all'evasione. Esso è determinato anche da fatti strani che derivano da proposte dei ministri.
Questa mattina sono stato avvicinato da un importante collega il quale mi ha rimproverato per aver formulato una proposta riportata in prima pagina dal Corriere della sera di oggi, su cinque colonne in grassetto. Il titolo è: «Costa: pedaggio anche sulle strade normali». Ho dovuto ricorrere alle agenzie per evidenziare che si tratta di un orribile caso di omonimia perché non avrei mai ipotizzato una proposta di questo genere. Ho dovuto rendere una pubblica dichiarazione perché ci troviamo di fronte ormai ad un Governo che non soltanto collegialmente - con la decretazione, con i disegni di legge, con gli emendamenti, con la finanziaria ed il bilancio - ma anche nelle forme ordinarie dell'attività prende iniziative come quella di un ministro dei lavori pubblici - che sfortunatamente per me, che sono innocente almeno sul punto, si chiama come il sottoscritto - che allegramente propone, sul più diffuso quotidiano d'Italia, di far pagare i pedaggi su tutte le strade (il che vuol dire sulle provinciali, sulle comunali, sulle nazionali). È un'impresa disperata, che sicuramente darà lavoro a molti esattori, che avranno grandi difficoltà ad esigere questo pedaggio, ma che rappresenta anche il segno di un degrado a livello governativo.
Signor Presidente, questa mattina sono venuto di buon'ora qui perché pensavo di ascoltare il ministro dell'interno riferire sugli incidenti di ieri; ho cercato più volte di farmi interprete di questa esigenza importante perché ci troveremo a dover ascoltare il ministro domani su fatti gravi, riportati con grande rilevanza ed anche con una certa emozione dai mezzi di informazione soprattutto televisivi. Si è trattato di un episodio in particolare, al quale ha assistito tutta l'Italia durante la più popolare trasmissione di ieri: la pistola puntata contro un almeno apparentemente innocente manifestante.
Si chiedeva quindi che il ministro dell'interno venisse a riferire. È inutile che venga a farlo domani al termine della seduta fiume, o magari nel pomeriggio di lunedì. Potrebbe allora rispondere - come fa solitamente - alle interrogazioni magari fra un mese o fra due anni, perché a quel punto non avrebbe più significato. La risposta al Parlamento che interroga deve essere imminente e legata ai fatti con un indice cronologico di minor distacco possibile.
Credo anche necessario sottolineare in questa sede come moltissimi cittadini e contribuenti abbiano manifestato grandissimo interesse nel corso di queste ore, che abbiamo passato qui di giorno e di notte. Sarebbe anche opportuno, a proposito, areare un po' i locali perché c'è una grande promiscuità (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia). Sono presenti decine, anzi centinaia di persone e non basta aprire la porta, come è stato fatto; comunque, se la Presidenza ritiene di esercitare in questo modo le sue facoltà, non possiamo certamente opporci.
Dicevo però che ci ha fatto piacere trovare il consenso di molti cittadini e contribuenti, che in poche occasioni come in questa hanno fatto sentire utile la nostra funzione, anche se ha acquisito una formula un po' ripetitiva: si tratta di una serie di interventi che necessariamente finiscono per dire le stesse cose. Sono gli stessi cittadini che si sentono soffocati da una pressione fiscale eccessiva e che stanno aprendo gli occhi. Una delle cose che ho rilevato negli ultimi anni di attività politica è proprio questa.
Da una parte il cittadino assiste alla crescita, alla dilatazione della spesa pubblica, dall'altra lo stesso cittadino non si rende conto che quella pressione fiscale che lo carica quotidianamente, si può dire, è collegata all'incremento o alla non riduzione della spesa pubblica. Oggi forse sta scattando questa molla, l'accostamento tra la percezione del cittadino di dover

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pagare molto, sovente troppo, e la non riduzione della spesa pubblica, in molti casi l'eccesso di spesa pubblica.
Questo decreto è manifestamente frutto dell'incapacità del Governo di tagliare, di incidere, di sburocratizzare, di ridurre la spesa in tanti settori, in tante sacche che corrispondono ad impegni di bilancio non adeguati alle necessità, ad impegni eccessivi, a strutture che sono cresciute nel corso dei decenni e che non hanno subito, negli ultimi mesi e direi anche nell'ultimo anno e mezzo di Governo Prodi, alcun taglio.
Se il Governo avesse fatto quello che aveva promesso (non parliamo solo della dichiarazione di introduzione del Presidente del Consiglio, ma anche di una serie di interventi successivi fino a qualche mese fa; oggi ha addirittura smesso di parlare di tagli, perché è impudico parlare di tagli di fronte ad una crescita ancora manifesta della spesa pubblica; non possiamo pensare agli interessi che si riducono come frutto di una volontà di incidere sulla spesa permanente dello Stato), oggi non saremmo qui a parlare, non saremmo qui a votare - noi voteremo in modo contrario - il provvedimento sull'aumento dell'IVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci stiamo accorgendo, non soltanto attraverso le espressioni riportate e documentate da un importante quotidiano del nord di questa mattina, di una serie di spese e di oneri che vengono nascosti nel cassetto, tenuti sotto chiave. Ci accorgiamo non soltanto di questo, di cifre che non vengono esposte, non vengono rese pubbliche, sovente non vengono onorate, ma ci accorgiamo anche che nella sanità sta avvenendo un fatto imprevisto: 10-12 mila miliardi che le regioni dichiarano come spesa in più rispetto alle stime nel 1997 e nel 1996 non vengono sostanzialmente conteggiati per quello che riguarda il bilancio, la gestione della spesa pubblica. Le regioni hanno esigenze insopprimibili, anche se in molti casi non del tutto giustificate per quanto riguarda l'insorgenza e la motivazione della spesa; pertanto le regioni verranno a battere cassa. Si è fatto molte volte nel passato. Ricordo che si è fatto quattro anni fa con circa 3 mila miliardi, si è fatto recentemente con 5 mila miliardi, si è fatto portando la stima a 108 mila miliardi per quello che riguarda il 1998. Ma questo non basterà, perché abbiamo verificato attraverso la conferenza Stato-regioni come l'indice della spesa sia cresciuto in maniera rilevantissima, tanto da dire che anche i 108 mila miliardi sono ingiustificati. Credo... (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Costa.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Comite. Ne ha facoltà.

FRANCESCO DI COMITE. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, questo paese ha sicuramente seri problemi, primo fra tutti un Governo che è preoccupato di mantenere l'unica promessa finora non completamente disattesa, e cioè quella di portarci in Europa, attraverso una diminuzione del tasso inflattivo ed il rispetto degli altri parametri di Maastricht. Questo Governo in corso d'opera sta compiendo tripli salti mortali avvitandosi su se stesso. Ha costruito una finanziaria colabrodo, senza seri tagli strutturali, ostaggio com'è di arroganti confederazioni sindacali peraltro assolutamente indispensabili per mantenere quella pace sociale che, viceversa, durante il Governo Berlusconi abilmente il raccordo Ulivo-confederazioni sindacali ha trasformato in guerra cruenta, persino quando quel Governo osava respirare.
Oggi gli unici introiti su cui il Governo Prodi conta sono proprio quelli derivanti dal decreto IVA, assurdo nel suo concepimento, addirittura dannoso per l'economia del paese.
La direttiva CEE 92/77 aveva disposto l'avvicinamento delle aliquote previste nei diversi paesi in maniera tale da ridurre le stesse a tre soltanto: una ordinaria, due ridotte. Vi era naturalmente la possibilità di mantenere un regime diverso fino al 1998, termine previsto nel periodo transitorio di cui all'articolo 1 della direttiva


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CEE 96/95; perciò non vi sarebbe stata necessità di un intervento in materia di aliquote IVA.
Probabilmente il Governo Prodi si è accorto - meglio tardi che mai - che le entrate dello Stato non corrispondono alle previsioni. Al 30 settembre le entrate erano pari a 370 mila miliardi rispetto ai 550 mila previsti per l'intero anno, quindi il Governo immagina che durante l'ultima trimestralità dell'anno in corso riuscirà ad incassare 180 mila miliardi che finora mancano all'appello, o che il gettito tributario è pari a circa 30-35 miliardi al mese. È chiaro a tutti che le previsioni sono totalmente errate. Alla fine di dicembre non si registreranno le entrate previste e ciò vorrà dire che almeno una decina di migliaia di miliardi mancheranno all'appello.
L'applicazione dell'aliquota IVA dal 1 ottobre comporterà un ulteriore introito pari a circa 1.459 miliardi. Si stima che nel triennio vi saranno entrate pari a 5.800 miliardi nel 1998, così pure nel 1999 e nel 2000. Queste previsioni si basano però sul fatto che si verificherà un aumento anche sotto il profilo dei consumi, valutato intorno al 4 per cento. Ma prevedere un aumento del 4 per cento dei consumi in un momento di stagnazione economica così forte e di ingente regressione degli stessi significa non credere all'andamento dell'inflazione. Infatti, se essa è stimata intorno al 2 per cento, prevedere questo aumento all'atto in cui per converso i consumi sono assolutamente fermi significa valutare l'inflazione non al 2, bensì al 4 per cento.
Il Governo ritiene peraltro che l'intervento modificativo delle aliquote IVA dovrebbe comportare un aumento dell'inflazione pari allo 0,7 per cento. Per questo motivo si è scelto di mantenere l'aliquota del 4 per cento che è ancora presente nel paese in considerazione del fatto che era già prevista nel 1991 per beni e servizi compresi nel famoso allegato H. In base ad esso, si è determinato a quali beni potesse essere applicata un'aliquota ridotta ed a quali no.
Vi sono perplessità sull'allegato H. Il Governo in sede di Comunità economica europea si sarebbe dovuto dare da fare per inserire nell'allegato predetto alcuni prodotti che meritano sicuramente un'attenzione maggiore. Sull'IVA si interviene a tempi cadenzati in nome dell'armonizzazione delle aliquote a livello europeo. Tale premessa in realtà non esiste se consideriamo che da un'analisi comparata delle aliquote applicate nei diversi paesi si registrano aliquote minime pari all'1 per cento, fino ad aliquote normali che arrivano anche al 25 per cento, come in Danimarca. Fino all'intervento oggi in discussione, vi sono state anche aliquote ponte: è il caso dell'aliquota al 16 per cento, che è stata sostanzialmente cancellata con questo provvedimento. Nel 1991 gli interventi riguardavano l'eliminazione dell'aliquota maggiorata del 38 per cento, nel 1993 si è stabilito di definire due aliquote ridotte, al 9 e al 12 per cento e successivamente, con alcuni provvedimenti, sono state aumentate al 10 e al 13 per cento. Oggi si opera una compressione e si riducono le aliquote a 3. Si interviene in un momento in cui tale operazione non era obbligatoria, poiché potevamo mantenere l'aliquota ponte fino al 1998.
Con questo provvedimento si attuano interventi in settori importanti della nostra economia, come quelli del materiale per le costruzioni o delle materie prime semilavorate, dell'edilizia, delle calzature, dell'abbigliamento e dei materiali audiovisivi. Questi settori sono particolarmente penalizzati, perché se avessero potuto mantenere un'aliquota ponte del 16 per cento ciò avrebbe comportato problemi minori per la nostra economia, che si vede improvvisamente caricata in alcuni settori di un aggravio del 4 per cento. Il sottosegretario Marongiu ci ha spiegato che questi aggravi sono stati inseriti nel provvedimento collegato al disegno di legge finanziaria, attraverso alcune misure ad hoc. È incredibile: ci vengono presentati alla Camera provvedimenti contraddetti immediatamente da altre soluzioni adottate dal Governo al Senato.

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Il decreto-legge sull'IVA ha come unico e semplice obiettivo quello di fare cassa e di garantire introiti all'unica certezza che ha il Governo: la variazione delle aliquote IVA e questi sono gli unici soldi sicuri.
Il decreto-legge che stiamo esaminando dovrebbe in teoria recuperare gettito a fronte della constatazione del minore incasso di IVA nei primi sei mesi dell'anno in corso; tuttavia se l'andamento della congiuntura economica dovesse proseguire nei termini che si sono registrati nel primo semestre, questo recupero probabilmente non ci sarà. Sostanzialmente si aumenta l'IVA in presenza di un andamento della congiuntura economica quanto meno piatto, almeno per i beni di investimento, quelli finali di consumo ed i beni intermedi. È quindi probabile che il gettito IVA nel 1998 non sarà quello previsto; questo significa che dovremo prepararci ad un'altra bella manovra nel mese di marzo, che dovrà essere varata proprio perché il gettito IVA non sarà quello atteso, né per quanto riguarda il residuo scorcio del 1997, né per i primi mesi del 1998. Aumentare l'IVA in questo momento è quanto meno inopportuno, ma il ministro Visco, nostro signore del fisco, è talmente puntuale che introduce nel momento sbagliato l'IRAP e l'aumento dell'IVA!
Questo provvedimento, che avrebbe dovuto incidere sulle aliquote IVA, introduce innovazioni che modificano e interferiscono con quelle inserite nel decreto legislativo che ha recepito i principi della delega contenuti nel disegno di legge finanziaria per il 1997. Infatti, la previsione normativa, estremamente rigida dettata dall'articolo 3 del decreto, stabilisce in quale periodo sia dovuta l'imposta nel caso di emissione della fattura differita, producendo pesanti effetti sulle liquidazioni periodiche (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Con la norma in esame si introduce sostanzialmente nella disciplina dell'IVA un meccanismo di anticipazione del versamento dell'imposta per le operazioni a fattura differita. Infatti, per effetto dell'espressione testuale la nuova norma stabilisce, con riferimento al mese di consegna o di spedizione di beni, che la fattura non può più essere emessa o registrata entro la fine del mese successivo a quello in cui è avvenuta la consegna o la spedizione, ma può aver luogo entro giorni quindici del mese successivo ai contributi trimestrali.
Risultano inoltre maggiormente colpiti dal provvedimento di cui oggi discutiamo le regioni meridionali. Infatti, se si toccano i settori calzaturiero e dell'abbigliamento, che rappresentano la colonna portante dell'economia meridionale, si dà ad essi un ulteriore scossone. Questo provvedimento insomma attua un aumento della pressione fiscale in barba alle direttive comunitarie che suggeriscono invece un livellamento ed un abbassamento della stessa (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Aprea. Ne ha facoltà.

PAOLO MAMMOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Mi dispiace, ma ho già dato la parola all'onorevole Aprea. Appena la collega avrà terminato, le darò la parola.
Ha facoltà di intervenire l'onorevole Aprea.

VALENTINA APREA. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, mi associo alle dichiarazioni dei numerosi colleghi che mi hanno preceduto per esprimere con convinzione e determinazione la mia personale opposizione al decreto-legge sull'IVA che inasprisce la pressione fiscale ed assicura al Governo la maggior parte delle entrate previste dalla nuova legge finanziaria che ci apprestiamo ad esaminare in seconda lettura in questa Assemblea. La nuova legge finanziaria è una replica delle precedenti: si basa sull'idea fallimentare che si possa risanare la finanza pubblica mediante correzioni marginali e provvedimenti cosmetici. Il problema dell'economia italiana, invece, è


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quello di una riforma strutturale del sistema dei trasferimenti. È insensato pensare di risanare stabilmente la finanza pubblica e di rilanciare l'economia, lasciando invariato il sistema dei trasferimenti alle imprese, la struttura dello Stato assistenziale, l'eccesso di regolamentazione, l'inefficienza della pubblica amministrazione, accrescendo, per di più, la pressione fiscale.
La nuova legge finanziaria, di cui le misure sull'IVA sono parte integrante e portante, è bugiarda, ci impoverisce e ci vuole portare in Europa con sacrifici inutili. È una legge finanziaria che non costruisce opportunità di sviluppo, ma distrugge ricchezza per riversarla in quella voragine del debito pubblico che il Governo non sta facendo nulla per risanare davvero.
L'aumento delle tasse nel nostro paese è inaccettabile, perché la pressione fiscale è già ai vertici tra i paesi industrializzati, mentre altri paesi, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ci stanno dimostrando che per la crescita economica non bisogna drenare risorse nelle casse dello Stato, ma liberarle per obiettivi produttivi. Tuttavia, il nostro atteggiamento sarebbe certamente diverso ed il nostro sdegno non sarebbe così netto qualora la richiesta di pesanti sacrifici si inserisse in un disegno di interventi strutturali, finalizzati a consentirci domani di uscire dal tunnel delle manovre e delle manovrine a base di tasse e di rincari tariffari. Invece, accade proprio il contrario: le nuove imposte vengono introdotte proprio per l'incapacità di intervenire sulle distorsioni strutturali del sistema, per trovare altrove, sempre nelle tasche degli italiani che producono, i soldi che non si ha il coraggio di reperire tagliando laddove si dovrebbe tagliare per l'oggi e per il domani.
Così ci troviamo dinanzi ad una riforma delle pensioni che modifica poco o nulla e doveva perequare i trattamenti, mentre invece crea caste di privilegiati intoccabili, una riforma che non incide sulla curva di accrescimento della spesa pensionistica e che anzi invita centinaia di migliaia di statali a presentare domanda di congedo, aggravando così i disastrati conti dell'INPS.
Dinanzi alla propria incapacità di affrontare in modo moderno ed europeo i problemi, dinanzi al riproporsi di ricatti politici di stampo antico, cosa fa il Governo? Aumenta le tasse! Ma aumentare le tasse fa male a questa Italia dipinta come il paese di Bengodi, dove tutto va bene, anzi meglio. Allora, ecco la trovata del ministro Visco: le tasse non si aumentano, si riordinano ed alla fine - lo ha giurato - la pressione resterà invariata. Visco e Prodi, orgoglioso con lui, sciorinavano questa dichiarazione, erano lì compiaciuti della brillantezza della loro trovata, senza rispetto nei confronti di cittadini oberati da cento balzelli e cento code da fare per pagare. Poi piano piano sono finalmente venuti fuori i conti e così si è scoperto che l'IRAP deve dare un gettito non pari, ma superiore del 20 per cento a tutte le tasse che sostituisce; si è scoperto che ad essere penalizzati dal cosiddetto riordino sono i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti ed i professionisti. In questo modo ci è stata spacciata la lodevole trovata di unificare bollo auto e tassa sulla patente: tutti finalmente dal tabaccaio, basta con le file alla posta o all'ACI! Basta con i bolli che non si trovano e con l'ansia di trovarne uno per poter finalmente pagare una tassa iniqua! Poi anche in questo caso si fanno i conti e si scopre - l'abbiamo letto tutti nei giorni scorsi sui giornali - che si pagherà alla fine di più, in alcune ipotesi poco di più, in altre molto di più. Comunque, anche in questo caso - ripeto - il riordino del balzello vuol dire aumento delle tasse.
E veniamo all'IVA. In questo caso siamo di fronte ad un'operazione che per le sue caratteristiche e per le modalità con cui viene attuata, checché se ne dica o si scriva, è esclusivamente un prelievo forzoso dalle tasche degli italiani da parte di un Governo che ha sbagliato i suoi conti e cerca di raccattare denaro, senza badare nemmeno troppo alle forme ed alla congruità dei provvedimenti.

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Alla base di questo non c'è il razionale intervento sull'IVA, la plausibile motivazione di avvicinamento allo standard europeo, ma solo un'esigenza di cassa, spiegata con argomentazioni e calcoli che già oggi appaiono fasulli. Si ipotizza infatti un introito aggiuntivo per lo Stato di quasi 1.500 miliardi nel 1997 e di quasi 6 mila l'anno nel 1998-1999 e nel 2000. Si tratta di stime fatte su un ipotetico aumento, anche dei consumi, di circa il 4 per cento.
Ci chiediamo - e chiediamo al ministro Visco - come sia possibile questo incremento in una fase di stagnazione economica e di crescente drenaggio fiscale sulle famiglie. Si spera forse che cresca l'inflazione molto più di quello 0,7 per cento che si prevede porterà l'aumento dell'IVA in una fase in cui la produzione industriale cresce dell'1,1 per cento sotto la potente droga degli incentivi sulla rottamazione delle auto, ma in cui sono in picchiata i beni di investimento? Come è ipotizzabile una nuova dinamica dei consumi? Il calo delle spese per investire, per acquistare macchinari nuovi e più moderni non è l'avvisaglia della recessione, non indica un paese in cui mancano le risorse vitali per lo sviluppo dell'economia e della produzione? E ancora, se al centro dei pensieri del Governo c'è il Mezzogiorno, perché si accresce il carico fiscale proprio su quei settori - come l'abbigliamento, il calzaturiero, il vinicolo - che dell'economia del Mezzogiorno sono comparti portanti? Ma questo Governo ha scelto la via della parzialità, dell'approssimazione e dell'arroganza, ostinandosi a presentare in Parlamento misure impresentabili, provvedimenti inaccettabili ed indifendibili; e per non discuterli, per non difenderli la via scelta è quella della fiducia, il voto che ammazza il dibattito, che nega alle opposizioni la possibilità di operare interventi migliorativi, che soffoca le possibilità di dissenso all'interno della stessa maggioranza. La verità è che un sistema come quello che state costruendo, amici della maggioranza, soprattutto rappresentanti del Governo, e che si basa sull'occupazione del potere e dei mass media non ha né la voglia né la capacità di essere autenticamente democratico. Il vostro modello di potere è infastidito dalla critica, figuriamoci dalla dura opposizione politica. Allora, meglio chiedere la fiducia in aula e fomentare la delegittimazione degli avversari in edicola.
Questi giorni e queste notti di dibattito sull'IVA sono molto di più di quello che volete far apparire. Sono il segnale di un paese che si sforza, nonostante l'Ulivo, di essere democratico. Il segnale che esiste un'opposizione forte, che non cesserà di lottare per far valere le proprie ragioni e le esigenze di libertà di tutti.
Altre sono le nostre proposte, altri sono i nostri programmi. Per cominciare, meno tasse: meno tasse sull'impresa, meno tasse sul lavoro, anche quello dipendente, perché se il lavoro dipendente viene gravato da troppe tasse e da troppi contributi si alza il costo del prodotto finale e non siamo competitivi in Europa. Ad esempio, se vogliamo confrontarci con il sistema inglese, noi abbiamo contributi che sono molto più elevati di quelli pagati dai lavoratori inglesi, quindi il lavoro in Inghilterra costa molto meno che in Italia. E perché abbiamo questa differenza? Perché noi, a parità di popolazione, a parità di prodotto interno lordo, spendendo un quarto, come loro, per lo Stato sociale, abbiamo 20 milioni di persone che lavorano in regola, alla luce del sole, contro i loro 25 milioni; quindi loro per spendere la stessa somma debbono togliere meno soldi dalle buste paga dei lavoratori, noi dobbiamo toglierne di più. Noi abbiamo poi, con i lavori part time, 10 milioni di italiani che fanno un qualche lavoro, magari anche pensionati, abbiamo lavoratori in cassa integrazione con l'80 per cento dello stipendio che poi hanno un secondo lavoro in nero, togliendo opportunità ai giovani, e abbiamo una disoccupazione record. Al sud, in alcune zone, la disoccupazione tra i giovani dai 18 ai 22 anni raggiunge punte del 24 per cento; anzi, in Sicilia le supera addirittura. Queste sono cose che si risolvono soltanto riformando il mercato del lavoro. Dobbiamo permettere la detassazione degli utili di impresa, già prevista dalle leggi

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del pacchetto Tremonti e del Governo Berlusconi; quindi meno evasione, ma meno evasione si ottiene soltanto riportando le aliquote al sentimento di giustizia che è proprio di ciascuno di noi. Ad aliquote giuste...

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Aprea.

IGNAZIO LA RUSSA. No, signor Presidente. Non si fa così! Adesso vedrà!

PAOLO MAMMOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

PAOLO MAMMOLA. Per un richiamo al regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLO MAMMOLA. Mi permetto di leggere l'articolo 50, primo comma, del regolamento perché vorrei che fosse chiaro il senso di questa disposizione a tutta l'Assemblea. Dunque l'articolo 50, al primo comma, reca: «Ogni volta che l'Assemblea o la Commissione stia per procedere ad una votazione, salvo nei casi in cui la discussione sia limitata per espressa disposizione del regolamento, i deputati hanno sempre facoltà di parlare, per una pura e succinta spiegazione del proprio voto e per non più di dieci minuti».
Presidente, ho già avuto modo di intervenire questa notte, durante la Presidenza del Presidente Violante, per segnalare un fatto che a nostro modo di vedere è abbastanza spiacevole. Possiamo capire che il Governo e la maggioranza si siano voluti sottrarre al dibattito sul provvedimento sull'IVA attraverso la posizione di una questione di fiducia dopo neanche un'ora e mezza di dibattito, negando al Parlamento la possibilità di discutere nel merito del provvedimento: questa è facoltà e diritto del Governo. Così come è diritto della maggioranza sostenere questo Governo che rappresenta in Parlamento. Ma io ritengo che, dal momento che l'opposizione ha scelto una forma di battaglia anche dura, direi al limite, utilizzando lo strumento ostruzionistico, sia anche dovere della Presidenza della Camera tutelare il diritto dei parlamentari di opposizione di avere la disponibilità del tempo che viene loro concessa dal regolamento, all'articolo 50. Già questa notte, vedendo che i lavori procedevano troppo velocemente, mi sono permesso di far rilevare al Presidente Violante che i richiami per la sospensione dell'intervento attraverso il tintinnio del campanello venivano fatti ai nostri colleghi dopo circa otto minuti e mezzo dall'inizio del loro intervento. Lei fa segno di no ma non sto parlando di lei, signor Presidente; sto parlando di quanto è successo questa notte.
Il Presidente Violante mi ha risposto che riteneva di dover dare un avvertimento dopo quel termine di otto minuti e mezzo facendo, peraltro, segno con le dita che il deputato aveva a sua disposizione ancora circa un paio di minuti. A me sembra che la prassi che viene utilizzata in quest'aula sia un'altra, cioè che al termine dei dieci minuti, ovvero del tempo limite di intervento di ogni singolo deputato, il Presidente abbia l'onere di segnalare con il tintinnio del campanello che il tempo a disposizione è finito, quindi di sollecitare il parlamentare a concludere. Qualora questi in un lasso di tempo ragionevolmente breve non termini il suo intervento, dopo il secondo richiamo il Presidente ha, chiaramente, la facoltà di levargli la parola (Dai banchi del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo si scandisce: tempo, tempo!).
Noi vogliamo semplicemente che il diritto dell'opposizione, e di ogni singolo parlamentare dell'opposizione, che è stabilito dall'articolo 50, cioè quello di parlare per un massimo di dieci minuti, venga assolutamente rispettato. Il tintinnio della campanella dopo otto minuti e mezzo, nove minuti o nove minuti e mezzo sta costringendo i nostri colleghi, che correttamente si stanno comportando in quest'aula, ad interrompere immediatamente dopo il loro intervento, quindi con una durata effettiva dello stesso che


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non va mai oltre i nove minuti e mezzo-nove minuti e 35 secondi: mi sto prendendo la briga, Presidente, di cronometrare gli interventi dei colleghi. Chiedo, dunque, che il diritto riservato ai parlamentari dell'opposizione venga dalla Presidenza salvaguardato.
È chiaro che l'opposizione ha tutto l'interesse a rosicchiare il tempo ed è assoluto diritto della Presidenza di stopparla in questa sua iniziativa, ma la Presidenza sa anche che l'opposizione ha altri strumenti regolamentari per recuperare abbondantemente tutto quel tempo che essa, attraverso una oculata gestione del tempo a disposizione, può risparmiare. Al fine di evitare che si vada fuori del seminato, al fine di evitare che l'opposizione sia costretta, a questo punto, ad utilizzare tutti gli strumenti regolamentari a sua disposizione, dai richiami al regolamento agli interventi sull'ordine dei lavori...

PRESIDENTE. Il tempo è scaduto, onorevole Mammola.

PAOLO MAMMOLA. La ringrazio, Presidente. La invitavo semplicemente a far rispettare i tempi a disposizione dell'opposizione e a darci una risposta precisa sul metodo che sarà seguito in quest'aula per il prosieguo dei nostri lavori (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Il metodo è stato personalmente da me già preannunciato una volta ed è stato sempre ribadito: 30 secondi prima - abbiamo qui il cronometro che fa fede - io scampanello per avvertire che mancano 30 secondi.
Onorevoli colleghi, proseguiamo nei nostri lavori.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cuscunà. Ne ha facoltà (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

VINCENZO ZACCHEO. Dai Nicolò!

IGNAZIO LA RUSSA. Il «grosso» del gruppo!

NICOLÒ ANTONIO CUSCUNÀ. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, senza voler continuare quanto poc'anzi si è detto ma solo - me lo consenta il Presidente - per una breve parentesi, devo dire che ritengo che i limiti di una democrazia alla quale si aggiungono ogni giorno aggettivi e nuovi significati sia proprio questo: la democrazia vista dalla sinistra è molto limitata. La democrazia della sinistra è quella che vuole imporre agli altri l'assoluta verità, la verità che solo quella parte riesce ad esprimere, ma la verità - lo sappiamo - non ha parte politica! La verità della democrazia è una sola! Il limite della sinistra è nel voler sempre imporre, molto spesso con arroganza e prevaricando la democrazia, perché si sente - erroneamente - depositaria del Verbo.
Nel nostro paese, ahimè, negli ultimi cinquecento giorni ne abbiamo viste tante al punto che il Parlamento, per ben trenta volte, è stato imbavagliato dal ricorso alla questione di fiducia. Vorrei ricordare ai signori della sinistra che nel 1994, quando il Governo Berlusconi mise o, per meglio dire, pose per la prima volta la questione di fiducia, le urla provenienti dall'emiciclo sinistro furono così forti che echeggiano ancora oggi...

MASSIMO MARIA BERRUTI. Sinistro in che senso?

NICOLÒ ANTONIO CUSCUNÀ. Sinistro in tutti e due i sensi, bieco e sinistro.
Non v'è una democrazia aggettivata, perché la democrazia è una sola, che non consenta agli avversari, come oggi noi amiamo definire i nostri contraddittori, di potersi esprimere liberamente.
Signor Presidente, passando al merito del decreto-legge n.328 del 1997 recante disposizioni tributarie urgenti, sottolineo il regime di emergenza in cui ci troviamo che ci ha dato la possibilità di far conoscere al paese quanto si verifica nell'aula di Montecitorio, il che costituisce per noi un'occasione ghiotta, da non perdere, per fare il punto sullo stato del regime posto in essere dal Governo ulivista-Prodi.


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Un dato certo emerge dai primi cinquecento giorni del Governo delle sinistre guidato, per la prima volta nel nostro paese, con egemonia, dall'ex partito comunista oggi partito democratico della sinistra, il dato certo cioè che il Governo non ha programmi certi, non ha strategie certe, efficaci ed efficienti capaci di consentire la ripresa del paese, il suo risanamento e di giungere alla tanto agognata, e purtroppo sempre strombazzata, entrata in Europa.
A dimostrazione di quanto affermo le prove politiche sono rappresentate innanzitutto dalla mancanza, espressa da questo Governo, di una strategia industriale; in altre parole, il Governo Prodi non ha un chiaro piano strategico per l'industria affinché questa diventi non dico competitiva con l'Europa e in Europa, ma almeno equilibrata in Italia. Per il rilancio della cosiddetta industria italiana si inventano gli incentivi alla rottamazione, effimero metodo per allungare nel tempo l'agonia della stessa industria italiana! Nulla di più, nulla di meglio, nulla di nuovo, solo gli effimeri investimenti dei cosiddetti patti territoriali o dei contratti d'area, provvedimenti che lasciano il tempo che meritano, che indirizzati nelle aree depresse del nord e del sud d'Italia, in particolare al sud, non hanno assolutamente risolto alcun problema.
Per continuare a dimostrare l'inefficienza e l'inefficacia del Governo, perché non ricordare che nessuna strategia è stata espressa per quanto riguarda un programma, degno di tal nome, nell'ambito della riforma della scuola, un comparto così importante se veramente si vuole entrare in Europa in modo moderno? Questo Governo non esprime alcuna strategia relativamente al piano di sviluppo dei trasporti, né per le merci, né tanto meno per le persone; tenuto conto della somma importanza che oggi riveste la competitività in Europa e nel bacino del Mediterraneo il settore della movimentazione delle merci e dellepersone, si può comprendere quanti danni sta arrecando questo Governo al paese Italia! Non riusciremo neanche ad essere competitivi in uno dei comparti più importanti, come quello del commercio! Questo Governo non esprime alcuna strategia valida circa un piano di sviluppo armonico e valido nel settore agro-zootecnico; sono sotto gli occhi di tutti i disastri causati negli anni dalla mancata credibilità di cui hanno sofferto i Governi italiani a livello europeo dove, si sa, nel campo dell'agricoltura e della agro-zootecnia l'Europa detta legge.
Il Governo italiano continua a utilizzare la forza contro i contadini e gli allevatori, perché non usa il cervello per portarsi in Europa e per emanare provvedimenti a sostegno di questo prioritario comparto dell'economia italiana.
Questo Governo è debole con gli alleati europei e cede loro quote integrative di indennizzo, condannando conseguentemente i comparti quali l'olivicolo, il vinicolo, le quote latte, il seminativo e quant'altro conservi ancora un valore nell'agro-zootecnia italiana.
Questi i fatti reali, signor Presidente, colleghi; questa è la verità che gli italiani devono conoscere! Questo Governo tenta di digerire malevolmente i propri ritardi, la propria incapacità; guida il paese Italia al buio, naviga a vista; programma alla giornata e cerca di camuffare l'inasprimento della pressione fiscale - questo è il contenuto del decreto-legge al nostro esame - per sanare i conti pubblici, segno evidente della propria incapacità di governare! Un altro dei limiti del Governo è l'uso della battaglia delle parole dove l'alibi dell'Europa viene spolverato a ogni piè sospinto; l'alibi dell'Europa viene utilizzato a torto e a ragione per cercare di far ingoiare quello che i cittadini italiani non ritengono di dover assolvere.
Entrando nel merito del provvedimento e prima di concludere, intendo ringraziare il Governo Prodi e la maggioranza della sinistra ulivista per il contributo, in termini di chiarezza, dato al paese e soprattutto per il contributo elettorale rilevante che ci darà, se è vero che domenica in molti comuni e province d'Italia si va al ballottaggio, perché il provvedimento riuscirà

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a far capire i veri programmi, i progetti, il vero volto del Governo Prodi.
Concludo riferendomi ad uno specifico articolo del provvedimento, riguardante - ahi noi - il comparto agricolo. Si ravvisa una forte contrazione delle agevolazioni per un settore così centrale per l'economia del paese. Si restringe notevolmente il novero dei soggetti ammessi ad usufruire del cosiddetto regime speciale, destinato solo a chi nell'anno precedente avrà realizzato un volume di affari inferiore a 40 milioni...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Cuscunà.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Previti. Ne ha facoltà.

CESARE PREVITI. L'attuale momento di vita parlamentare, caratterizzato dall'adozione da parte dell'opposizione della tattica dell'ostruzionismo, non è, onorevoli colleghi, signor Presidente, un'iniziativa fine a se stessa, al solo scopo di rendere genericamente più difficile il percorso del Governo. Credo che sia invece la conseguenza necessaria di un'azione molto particolare di questo Governo che si inserisce nella storia del nostro paese per l'anomalia del rapporto con la maggioranza che lo sostiene.
Abbiamo parlato in tante occasioni delle contraddizioni di questa maggioranza...

PRESIDENTE. Le chiedo scusa, onorevole Previti.
Onorevole La Russa, per cortesia: mentre telefonava forse non si rendeva conto che tutti sentivano quel che diceva: non si poteva ascoltare l'onorevole Previti.
Prego, onorevole Previti.

IGNAZIO LA RUSSA. Presidente, vorrei chiarire...

CESARE PREVITI. Ho diritto al recupero.

PRESIDENTE. Certo, certo.

CESARE PREVITI. Come dicevo, l'anomalia che caratterizza il percorso di questo Governo è il rapporto con la sua stessa maggioranza, della quale abbiamo sempre evidenziato tante e tante contraddizioni che in numerose occasioni hanno reso difficile l'attività del Governo stesso.
Ma l'elemento veramente nuovo per la storia del nostro paese è che questo Governo ha un rapporto con la sua maggioranza per cui deve lasciare silente la dialettica all'interno della stessa, pena l'esplosione di queste contraddizioni. Allora, è come se costantemente ci fosse una sorta di preoccupazione che attraverso la dialettica parlamentare, con il contributo naturalmente dell'opposizione, queste contraddizioni potessero esplodere in termini ancora più violenti di quanto non sia avvenuto in passato, in maniera quindi insuperabile. Da qui il ricorso sistematico al voto di fiducia, che, anziché essere un qualcosa di straordinario per momenti delicati del rapporto Governo-Parlamento, diventa uno strumento sistematico per superare il dibattito parlamentare e le sue insidie, diventa in sostanza un mezzo per sostituire alla dialettica parlamentare la brutalità del numero e la forza coercitiva delle segreterie politiche (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Non è un discorso di poco conto in un momento in cui il paese cammina faticosamente alla ricerca di riforme che lo rendano più adeguato alla posizione internazionale che ha, ma che soprattutto lo rendano sostanzialmente più vivibile, al di là di tanti e tanti problemi che dovrebbero essere in comune con il mondo civile al quale apparteniamo e che in realtà da noi finiscono con l'avere o una titolarità autonoma o addirittura una pericolosissima peculiarità.
Allora, in questo tipo di difficile navigazione il nostro Governo si distingue per un rapporto con la gente conseguente al rapporto con il Parlamento. Per riassestare le finanze, per discutere di riforme, per dare stabilità a certi percorsi, abbiamo un estremo bisogno di rivedere se non addirittura di cancellare i troppi anni


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di politica di centro-sinistra che ci sono stati in Italia. In passato abbiamo visto la trasformazione dello Stato attraverso la demagogica espressione di «Stato sociale» in Stato assistenziale. Poi queste forme di assistenza hanno finito con l'andare nelle direzioni più utili rispetto ai Governi che si sono succeduti nel tempo; quindi il nostro è diventato più che lo Stato sociale lo Stato dell'ingiustizia sociale, uno Stato dove veramente figli e figliastri hanno trattamenti estremamente differenziati. E questo perché? Perché il percorso è stato sempre ispirato alla contingenza del momento ed anche al principio del raschiamento del fondo del barile per recuperare risorse.
Vedete, nel 1994, quando si è formato il primo Governo di centro-destra del paese, è partita un'autentica rivoluzione di principi ispiratori della gestione del paese stesso. Vi è stata una generale riscoperta dei principi liberali, una ufficiosa contestazione, ma anche un'ufficiale accettazione di questi principi da parte di quelli che poi sono arrivati a diventare maggioranza, di quelli che poi hanno formato questa compagine governativa. Ma in realtà questi principi fanno parte della cultura di questo Governo, della cultura di questa maggioranza? Proprio il decreto al quale noi così fermamente ci opponiamo rappresenta una manifestazione chiara, inequivoca, vorrei dire terminale del fatto che è impossibile coniugare la parola liberismo con le parole postcomunismo, neocomunismo, ex comunismo, cattocomunismo; sono tutte cose che con il liberismo non hanno proprio niente a che vedere (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Allora, questo Governo e questa maggioranza, che sanno perfettamente quale sia il peso della trasformazione, che hanno assunto l'onere di condurre la trasformazione del paese in senso liberista, sono rimasti invece prigionieri di quello che hanno seminato in passato. Non è soltanto la prigionia dell'ideologia, è anche la prigionia del sistema che si manifesta attraverso successive imposizioni fiscali, attraverso l'aggravamento dell'onere fiscale.
Da qui la politica delle bugie, la politica del raccontare quello che non è. Ormai anche i nostri giornali più schierati con l'azione di Governo devono ammettere che esso imbroglia sui dati necessari per entrare in Europa.
Ormai tutti sappiamo che questa corsa all'Europa si sta trasformando in una corsa a chi la racconta più grossa.

PRESIDENTE. Onorevole Previti, il suo tempo, anche considerando il recupero, è scaduto.

CESARE PREVITI. La ringrazio, Presidente, e mi fermo qui. Voglio rispettare le regole e mi auguro che lei lo abbia fatto, anzi sono certo che lei lo abbia fatto. Non posso fare appello ad un controllo perché non mi sarei permesso di effettuarlo. Mi fido e concludo (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Danese. Ne ha facoltà.

LUCA DANESE. Signor Presidente, ancora una volta lamentiamo il nostro disappunto rispetto all'ennesima tappa di una serie di scelte in materia finanziaria e fiscale che non condividiamo. Riteniamo che, anche in questa occasione, l'esame di un provvedimento di adeguamento alle normative comunitarie in materia di IVA, il Governo avrebbe dovuto considerare facoltà di scelta più ampie, oltre a tempi di adeguamento ben più lunghi di quelli che ha invece voluto assumere. Il Governo - ripeto - avrebbe potuto sfruttare più ampi margini di discrezionalità ed invece ha effettuato una scelta che sicuramente produrrà non i frutti sperati, ma un forte inasprimento fiscale.
Non credo che la previsione di un gettito fiscale di oltre 6 mila miliardi potrà essere rispettata, così come ritengo non sarà rispettata la previsione relativa


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ai 1.500 miliardi che dovrebbero essere conseguiti negli ultimi tre mesi di quest'anno. Il Governo avrebbe dovuto realizzare l'adeguamento applicando direttamente la direttiva europea; in questo caso, l'adeguamento stesso avrebbe generato un gettito aggiuntivo di 4 mila miliardi ed avrebbe garantito che il tasso di inflazione non sarebbe aumentato oltre lo 0,45 per cento.
Credo che il trend positivo decantato dal Governo non si realizzerà e che nel 1998 l'inflazione arriverà a livelli superiori al 3 per cento. In realtà, con il provvedimento in esame gli italiani ricevono un'ulteriore «botta», peraltro in distonia con quanto accade negli altri paesi europei. Basti pensare che l'aliquota ordinaria IVA è pari al 16 per cento in Spagna, al 17,5 nel Regno Unito ed al 15 in Germania. Sarà curioso verificare in che modo il Governo si comporterà quando, successivamente al maggio 1998, bisognerà avvicinarsi realmente all'aliquota del 15 per cento indicata dalla Commissione europea. Cosa accadrà, allora, rispetto a quelle aliquote che dal 10 o dal 4 sono state portate al 20 per cento? Sarà molto difficile per il Governo riuscire ad adeguarsi tempestivamente.
I nostri ordini del giorno avrebbero sicuramente contribuito ad un sensibile miglioramento della situazione, anche in prospettiva, perché avrebbero vincolato il Governo a linee di indirizzo che, se rispettate, ci avrebbero consentito di essere meno esosi con riferimento all'IVA che graverà in modo estremamente forte sulle piccole e medie imprese, fin dalle prossime settimane.
Va inoltre considerato che l'IVA è l'imposta più sensibile alla congiuntura. Non credo, quindi, che il gettito previsto a priori dal Governo potrà essere assicurato, dal momento che tutto dipenderà dall'andamento del circolo economico, che non credo si evolverà nei termini ottimistici sbandierati da tutte le parti.
Peraltro, abbiamo dovuto discutere del provvedimento come se lo stesso fosse assolutamente distante, anche sotto il profilo temporale, dalla legge finanziaria, i cui contenuti stiamo approfondendo in Commissione bilancio, nella quale sono già rinvenibili prese d'atto di errori compiuti dal Governo; penso, ad esempio, a quelle norme della finanziaria che abrogano disposizioni introdotte dalla finanziaria dello scorso anno nonché alle disposizioni che, evidentemente, tengono conto di un'esagerazione che ha guidato il Governo nell'inasprire la leva fiscale nei confronti di alcune categorie. Mi riferisco, in particolare, al settore dell'edilizia, rispetto al quale con la finanziaria il Governo ha dovuto per forza di cose tenere conto della necessità di - per così dire - alleggerire il carico.
Evidentemente - si tratta di un concetto che ribadisco anche in questa occasione - il Governo in alcuni casi fa con la mano destra ciò che disfa con la mano sinistra. Basti pensare alla mancanza di coerenza tra questo provvedimento ed il contenuto di vari articoli della finanziaria, in particolare all'articolo 18 che disciplina gli aspetti più strettamente fiscali.
La politica economica gestita dal Governo in questo ultimo anno, oltre ad essere esagerata dal punto di vista dell'utilizzo della leva fiscale, continua, di fatto, ad essere sottostante alla leva della tesoreria, all'utilizzo in modo assolutamente discriminatorio e, tutto sommato, poco equo della tesoreria centrale dello Stato. Se andiamo a verificare il trend delle anticipazioni di cassa e se pensiamo al livello cui è giunto l'ammontare dei cosiddetti sospesi di cassa in tesoreria, scopriamo che gran parte dell'ottimismo del Governo è del tutto improponibile ed ingiustificato. Nel momento in cui, secondo i dati ufficializzati dal CER, un istituto che non è certo a noi vicino, ci avviamo a raggiungere il tetto di oltre 295 mila miliardi di residui passivi derivanti dall'incapacità di spesa, corrente o in conto capitale, ci rendiamo conto, a fronte di un aumento di oltre 140 mila miliardi di residui passivi nell'ultimo anno, che tutta la vera manovra del Governo è svolta attraverso la gestione discriminatoria della tesoreria e della cassa, delle anticipazioni e dei sospesi di tesoreria. Le

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due leve autorizzate dal Governo fanno perno sulla cassa e sull'inasprimento fiscale, di cui questo provvedimento, che introduce un pesante aumento delle aliquote IVA, è testimonianza chiarissima, soprattutto se si tiene conto che il tutto graverà sulle piccole e medie imprese.
In Italia vi sono oltre 5 milioni di partite IVA; ciò fa capire come e quanto questo provvedimento potrà toccare il portafoglio di tante aziende e di tanti imprenditori. Sta di fatto che non si tenta di bilanciare questi provvedimenti con altre misure, quali quelle proposte nei nostri emendamenti alla finanziaria che, se assunte, riuscirebbero perlomeno ad attenuare gli effetti collegati alle scelte perniciose del Governo. Mi riferisco, in particolare, alla proposta di ripristino della detassazione sugli utili reinvestiti, al tentativo, che noi faremo, di ridurre le aliquote IRPEF nonché a quello di aumentare, nel contempo, le pensioni sociali.
La nostra posizione è originata da un discorso più ampio, che tocca tutta l'impalcatura della politica economica sviluppata dal Governo con sempre maggiore cattiveria in questi ultimi anni. Nella finanziaria è contenuta un'altra norma che colpirà fortemente le piccole e medie imprese: si tratta dell'incredibile previsione della tassazione dei contributi a fondo perduto, contenuta nel provvedimento collegato all'articolo 18, dalla quale il Governo stima di ricavare un gettito di circa mille miliardi. Ciò significherà che i contributi cui accedono le piccole e medie imprese, di qualunque tipo esse siano, saranno considerati come facenti parte del reddito nell'anno in cui gli stessi sono percepiti. Questo significherà sballare gran parte delle previsioni e dei piani di sviluppo in base ai quali le piccole e medie imprese hanno chiesto di poter accedere a questi contributi e creare un pericoloso precedente: la tassazione anche dei contributi CEE che in gran parte sono cofinanziati, essendo previsto un contributo regionale o nazionale.
Una serie di questioni ci induce a valutare negativamente il provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole de Ghislanzoni Cardoli. Ne ha facoltà.

GIACOMO de GHISLANZONI CARDOLI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, anche io, come gli altri parlamentari di forza Italia che mi hanno preceduto, voterò contro la conversione in legge di questo decreto-legge che non porterà sicuramente il nostro paese in Europa. Infatti, non è questa la strada per entrare in Europa, non è questo il modo di gravare su un sistema economico al collasso. Ci sono manovre strutturali: questa non lo è.
Prendiamo ad esempio il comparto agricolo - che mi è più congeniale - e le grosse penalizzazioni alle quali andrà incontro con questo aggravio di imposizione. L'agricoltura sta attraversando un momento difficile: la liberalizzazione del commercio attraverso l'accordo dell'Uruguay Round ha portato un calo verticale dei prezzi. Inoltre ci stiamo ancora dibattendo sulla necessità di una legge pluriennale di spesa che tarda a venire. Vorremmo che il Governo si facesse carico di leggi che favoriscano realmente l'occupazione e la programmazione. Invece, la mancanza di una legge pluriennale di spesa, da tanti anni invocata e mai attuata, si sta rivelando traumatica per un settore che veramente è sull'orlo del collasso.
Non possiamo accettare che aliquote pesantissime gravino su settori come quello vitivinicolo, che necessita di una modifica strutturale, di un'incentivazione al consumo che registra un calo drastico, tanto più che quello vitivinicolo è l'unico comparto agricolo sul quale viene a gravare un'aliquota del 20 per cento che lo pone in gravi difficoltà, anche in considerazione delle importazioni dai paesi comunitari.
Dobbiamo evitare che i produttori vitivinicoli siano costretti alla distillazione


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obbligatoria e a ridurre la quota di produzione che è già penalizzante per questo settore. La mazzata dell'IVA sarebbe il colpo definitivo per questo comparto che ha un milione di addetti e dà ricchezza a zone importantissime del nostro paese. Ugualmente occupazione e ricchezza, soprattutto in Liguria e in Toscana, dà il settore florovivaistico che sta combattendo con costi di produzione doppi, tripli o con esponenziali maggiori rispetto a quelli olandesi o tedeschi e con un prezzo del carburante dieci volte superiore a quello praticato in Olanda, per cui non può assolutamente accettare l'imposizione di un'aliquota del 20 per cento.
Per quanto riguarda il riordino e l'ammodernamento che possono permettere al settore agricolo di entrare in Europa a testa alta, con imprese competitive con analoghe aziende francesi o tedesche, non possiamo consentire che gli imprenditori agricoli si sobbarchino l'onere di un'aliquota IVA del 20 per cento. Questo è troppo per un settore che è sull'orlo del collasso, come dimostra la protesta violenta sulle quote latte attuata dagli agricoltori.
Quando invocavamo l'intervento del ministro Napolitano per giustificare le violente cariche della polizia verificatesi ieri, volevamo anche capire perché siano stati così pesantemente manganellati gli agricoltori che da mesi chiedono una risposta che questo Governo non è stato in grado di dare.
Quella delle quote latte è una vicenda annosa, che va avanti da oltre quindici anni; però negli ultimi mesi ha subito un'accelerazione a causa dell'incapacità del Governo di dare una risposta certa ai produttori. Non sono bastate due commissioni governative, che hanno acclarato quanto malaffare e quanto guasto siano stati perpetrati nella gestione delle quote latte, affinché il Governo intervenisse con un provvedimento chiaro ed inequivocabile che fosse foriero di giustizia e di tranquillità per il mondo dei campi. Questo non è avvenuto; il ministro Napolitano non ci ha spiegato per quale motivo siano stati caricati gli allevatori. Sono convinto che la tensione permanga molto alta e Dio non voglia che gli incidenti si ripetano: a questo punto non potrebbero più esserci giustificazioni per non interrompere il lavoro dell'aula.
Per concludere, non posso che ribadire la nostra opposizione decisa - che il paese sta percependo come una battaglia per la libertà e la tutela dei diritti dei cittadini - di fronte a questa maggioranza che a tutti i costi vuol far passare un provvedimento punitivo per tante categorie, ma soprattutto per gli imprenditori agricoli che in questo momento rappresentano la spina dorsale dell'agricoltura nazionale. A questa gente non possiamo dare solo legnate, perché anche il mulo a volte si ribella. La rivolta degli imprenditori agricoli che in questi giorni sono nelle strade e sulle ferrovie del nord è un campanello d'allarme che invito il Governo a soppesare.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vincenzo Bianchi. Ne ha facoltà.

VINCENZO BIANCHI. Desidero ringraziare pubblicamente il collega Vito, vicepresidente del mio gruppo, che con il suo invito, nonostante io sia alle prese con una tremenda influenza, mi ha permesso oggi di prendere la parola per dare il mio contributo e sostegno alla battaglia che forza Italia, le forze del Polo e i colleghi della lega stanno attuando contro questo provvedimento del Governo. Con orgoglio aggiungo che è ed era ora!
Quanto riportato oggi dalla stampa e cioè che il centro destra «raddoppierà» con lo scontro sulla finanziaria, che non sia una minaccia, ma si concretizzi!
Questo Governo deve essere mandato a casa, altro che concertazione! Altro che 35 ore! La realtà è che l'occupazione è ancora drammaticamente in calo e se lo dice un autorevole ministro del Governo come Ciampi c'è da crederci.
Il decreto-legge n.328 sull'IVA è l'ennesimo provvedimento che questo Governo ha varato e che si aggiunge alle tante misure che dal suo insediamento


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ininterrottamente hanno fatto aumentare la pressione fiscale in Italia. Il decreto che oggi l'esecutivo intende convertire in legge dello Stato, a ben guardare, non presenta neanche quei caratteri di necessità ed urgenza che abilitano l'utilizzo dello strumento della decretazione di urgenza.
La stessa direttiva CEE 92/77, pur disponendo l'avvicinamento delle aliquote previste nei diversi paesi della Comunità europea con l'obiettivo di ridurle a tre soltanto, prevedeva anche un periodo transitorio di avvicinamento, tanto che la data per addivenire ad un'aliquota livellata del 15 per cento è stata fissata al 31 dicembre 1998.
Non si spiega, quindi, l'intempestivo ed urgente provvedimento del Governo. Molto meglio sarebbe stato portare la problematica in Parlamento e avviare un costruttivo dibattito con tutte le forze politiche. L'opposizione, anche nell'esame parlamentare dello stesso decreto sull'IVA, pur non rinnegando le proprie convinzioni, ha chiaramente dimostrato una palese volontà di collaborazione, naturalmente critica, ma pur sempre collaborazione.
Esiste, tuttavia, un'altra importante ragione che motiva la nostra opposizione a tale provvedimento: la modifica delle aliquote IVA, così come voluta dal Governo Prodi, finirà per incidere sui bilanci degli italiani in maniera non uniforme, perché, andandosi ad aggiungere all'eurotassa, alla modifica delle aliquote IRPEF ed alla prossima IRAP, colpisce soprattutto il ceto medio produttivo e la piccola e media impresa, veri e propri motori economici del nostro paese. Settori importanti della nostra economia, come, ad esempio, quello dei materiali per le costruzioni e delle materie prime semilavorate, dell'edilizia, delle calzature, dell'abbigliamento e dei materiali audiovisivi si vedranno caricati di un aggravio che, in alcuni casi, arriverà sino al 4 per cento.
Di fronte alle proteste di questi giorni degli agricoltori, come poc'anzi menzionati dal collega De Ghislanzoni, va tutta la mia personale solidarietà e, credo, di tutti i colleghi di forza Italia. Non possiamo dimenticare la grave penalizzazione che, a causa di tale normativa, colpirà i produttori di vino italiani, costretti a fare i conti con un settore già in crisi e con una concorrenza internazionale sempre più forte.
L'unica logica oggettivamente riscontrabile per tanta urgenza, dunque, risulta quella dettata dall'impellente bisogno di far cassa e garantire introiti certi. Evidentemente, ci si è accorti che le entrate dello Stato non corrispondono alle ottimistiche previsioni più volte sbandierate. A fronte di tutto ciò, questo Governo insiste nel percorrere, fino alle estreme conseguenze, la strada dell'aumento della pressione fiscale, essendo incapace di individuare altre strade o di contenere in misura permanente e significativa la dinamica della spesa pubblica. È certo, infatti, che attraverso l'aumento delle aliquote IVA si toglieranno 5.700 miliardi dalle tasche degli italiani, deprimendo ulteriormente il mercato in un momento di forte stagnazione economica e di ingenti regressioni dei consumi.
E, per favore, ci si risparmi la storiella che la mancata conversione del decreto non ci porterà in Europa. Mi piacerebbe pensare che la maggioranza, ovvero il Governo dell'Ulivo più rifondazione comunista, in Europa non voglia farci entrare solo una parte dei cittadini italiani. Ma, ahimè, verrò deluso per l'ennesima volta. Con una economia caratterizzata da un flebile tasso di sviluppo - l'1 per cento previsto per il 1997 -, da una delle più alte disoccupazioni strutturali in Europa (12 per cento) e da una delle maggiori pressioni fiscali, il Governo Prodi si presenta con provvedimenti come quello in discussione e con una finanziaria prevalentemente caratterizzata da nuove tasse, dimostrando la chiara antitesi con le nostre concezioni dei problemi dell'economia, sintetizzabili, schematicamente, con il rilancio dello sviluppo e dell'occupazione, nella consapevolezza che da questi potranno derivare anche migliori benefici per la finanza pubblica, maggiore

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gettito come effetto della crescita dell'economia e non come aumento della pressione fiscale.
Un ulteriore aspetto negativo è rappresentato dalla sbilanciata incidenza geografica del provvedimento legislativo in esame. Infatti, se si toccano i settori come quello calzaturiero, quello dell'abbigliamento o quello vinicolo, che costituiscono alcuni dei pilastri dell'economia meridionale, evidentemente si dà a questa un altro scossone, contraddicendo, tra l'altro, gli stessi principi comunitari che mirano ad una uniformatizzazione delle situazioni economiche regionali anche attraverso il livellamento e l'abbassamento della pressione fiscale.
Ci è stato anche detto che non si sarebbero colpiti i beni di prima necessità, ma, di fatto, aumenteranno del 4 per cento scarpe ed abbigliamento. Evidentemente, noi entreremo in Europa, è vero, ma ci arriveremo scalzi e nudi!
Da tempo, noi di forza Italia combattiamo in Parlamento per chiedere interventi strutturali e di razionalizzazione della spesa pubblica; di contro, questo Governo continua a presentarci semplici palliativi e a ricorrere ad artifici contabili di bilancio per far quadrare i suoi conti, rimandando continuamente le modifiche strutturali necessarie per seguire l'obiettivo del risanamento della finanza pubblica. L'esecutivo ha voluto, ancora una volta, semplicemente assicurarsi nuove entrate certe, anche se il prezzo da pagare è un deleterio, ulteriore inasprimento della pressione fiscale.
Per tutto questo, signor Presidente e onorevoli colleghi, non posso che dichiararmi contrario alla conversione del decreto in esame in legge dello Stato (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Colletti. Ne ha facoltà.

LUCIO COLLETTI. Grazie, signor Presidente. Mi ero scritto un intervento che, però, non ho più voglia di leggere. Vorrei invece introdurre una considerazione che, in qualche modo, allevi la noia dei membri della maggioranza presenti in quest'aula.
Voi sapete quali siano le ragioni per cui la minoranza ha deciso di ricorrere all'arma dell'ostruzionismo: si è considerata esautorata dalla misura del Governo di introdurre la richiesta di fiducia. Ma quello che mi interessa in questo momento è di attrarre l'attenzione dell'altra parte dell'aula, anche se presente in misura assai limitata, su un esproprio di cui è vittima l'intero Parlamento. E introducendo questo argomento vi avverto che non farò ricorso a sofismi ma a vicende e a cronache che sono sotto gli occhi di tutti.
Come avviene in Italia, da anni, ormai, ma con una particolare accelerazione negli ultimi tempi, l'elaborazione della politica economica? Voi sapete che gran parte della nostra attività gravita, per necessità di cose, proprio intorno alla politica economica e alle scelte fondamentali che, in quel campo, debbono compiersi. Ora la politica economica non si elabora più in Parlamento; la stessa maggioranza è tagliata fuori dall'elaborazione della politica economica. Riandiamo con la mente al documento della programmazione economico-finanziaria: lì prendeva corpo, per la prima volta, un progetto di riforma, sia pure molto parziale, sia pure abbastanza poco incisiva, dello Stato sociale; un progetto di riforma sul quale il Presidente del Consiglio si era pubblicamente esposto: Prodi, in molte circostanze, finita la fase delle manovre fondate sostanzialmente sull'aumento dell'imposizione fiscale, aveva promesso la stagione delle grandi riforme di struttura, quelle riforme permanenti che i nostri partner europei ci invitano da tempo ad adottare, perché sono le uniche che possano garantire un corretto andamento della spesa pubblica e della finanza dello Stato.
Cosa è avvenuto? Nel documento di programmazione economico-finanziaria si prevedeva una somma che, se non ricordo male, oscillava tra gli 8 e i 9 mila miliardi di decurtazione della spesa che fino ad


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oggi è andata alle varie forme dello Stato sociale; cosa ha determinato l'abbandono di quel tetto programmato da Prodi, sulla base degli studi assai impegnativi prodotti dalla commissione Onofri? Perché un impegno alle spalle del Governo per una riforma seria dello Stato sociale vi è stato; è però un impegno che è rimasto ufficioso. La commissione presieduta dal professor Onofri aveva dato delle indicazioni su cui credo che la parte più responsabile dell'opposizione, se non addirittura l'intera opposizione, si sarebbe schierata senza ulteriori resistenze. Cosa ha dunque determinato l'abbandono di quell'obiettivo ed il passaggio inopinato ad un obiettivo assai più modesto ed inferiore ai 3 mila miliardi? Tutta una vicenda che si è svolta fuori da quest'aula, fuori dalle Commissioni in cui si articola il lavoro parlamentare.
Ciò che ha determinato il carattere della finanziaria 1998, che perpetua il grave sbilancio tra imposizione fiscale sempre crescente e riforme permanenti, cioè misure strutturali che sono ancora di là da venire, è stata la trattativa condotta dal Governo con i rappresentanti delle tre confederazioni del lavoro. È da anni che il Parlamento è espropriato della responsabilità di concepire, articolare e produrre la politica economica di questo paese; tutto si decide al tavolo di una trattativa, che mi sento di poter dichiarare privata, tra il Governo e le confederazioni. Sappiamo che queste organizzano una parte consistente del mondo del lavoro, ma assai meno consistente di quanto generalmente non si supponga: i lavoratori attivi iscritti alle tre confederazioni non ascendono a più di 4 milioni. A norma della vigente Costituzione, le confederazioni sindacali sono associazioni private: mi rendo conto che hanno un peso di gran lunga superiore a quello delle varie bocciofile, o associazioni per la caccia, la pesca e così via, ma dal punto di vista giuridico sono associazioni private.
Qual è quindi il tarlo che vizia dal profondo, non da oggi e ancor prima del Governo Prodi, la politica economica così come essa si sviluppa in Italia? È il fatto che essa viene definita fuori del Parlamento; è di ieri sera una notizia, diffusa dai telegiornali, che sono sicuro avrà colpito l'attenzione soltanto di pochissimi dei presenti (e Dio solo sa quanto pochi già siamo): mi riferisco alla notizia che il sindacato ha sottoposto a referendum le decisioni di politica economica concordate con il Governo. Il sindacato, cioè, si è comportato come se avesse concluso un accordo di categoria, un contratto per i tessili o per i chimici, per cui dopo aver contrattato con il ministro competente, sottopone il progetto di accordo a referendum nella categoria interessata: ma non siamo di fronte a nulla di tutto questo, qui si tratta di un articolato che esprime, o dovrebbe esprimere, nientemeno che la volontà del Parlamento, quindi del paese, e i sindacati sottopongono a referendum tutto questo? Non è peraltro la prima volta che questo accade, nella trascuranza e nell'ignoranza di tutti noi, che non siamo più in grado di cogliere la differenza tra un accordo di categoria e una legge dello Stato.
Ecco allora spiegato come tutto l'empito innovatore della maggioranza e del Governo, cui ovviamente io non ho mai creduto, sia franato su una procedura che esprime gli interessi corporativi e corporati di una minoranza del paese, perché le confederazioni...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Colletti.

LUCIO COLLETTI. Presidente, mi consenta ancora un secondo.
Le confederazioni organizzano complessivamente 4 milioni di pensionati e 4 milioni di lavoratori attivi e il corpo elettorale di questo paese, santo Dio, è formato da 40 milioni di persone! (Vivi applausi dei deputati del gruppo di forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Burani Procaccini. Ne ha facoltà.

MARIA BURANI PROCACCINI. Signor Presidente, parlare dopo il professor Colletti


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fa «tremar le vene e i polsi» a chiunque!
Onorevoli colleghi, in quella che la stampa nazionale ha definito la guerra dell'opposizione sul decreto IVA (che definirei più opportunamente battaglia dell'IVA), volta a contrastare una forte dose di arrogante supponenza con cui il Governo sta trattando chi osi mettere in discussione i suoi modelli di intervento, siamo chiamati, proprio in quanto opposizione, ad una forte verifica di noi stessi e del ruolo che il popolo italiano ci ha affidato.
Il modello culturale cui si ispira questo Governo è ambiguo e fa anche paura perché l'orgia di voti di fiducia è decisamente un segnale preoccupante; infatti, essi non sono più l'alta e democratica verifica della vitalità di una maggioranza di Governo, ma la dogmatica ed antidemocratica imposizione di volontà antiparlamentare. Nello stesso modello culturale è la mentalità di risolvere i problemi finanziari del paese, soprattutto quelli per il suo ingresso in Europa, con il solito decotto strumento di nuove tasse che vanno ad accumularsi con le tante, troppe che il cittadino italiano già paga: tasse sull'Italia che lavora e produce, tasse sulle famiglie italiane, che escluse sistematicamente da una seria politica a loro favore, sono trattate solo come le mucche da latte croce e delizia dei nostri agricoltori, anch'essi fra i più tartassati d'Europa.
La famiglia italiana, cui il CENSIS riconosce lo status primario di ufficio di collocamento dei propri membri, cerca prima, magari mendicando favori, un posto fisso per i propri figli, certo diplomati e magari anche laureati, poi passa a mettere su il piccolo negozio, la piccola o piccolissima impresa attraverso una liquidazione, un prestito difficilissimo da onorare, o altre forme di collette familiari a vario titolo. A questo punto scattano nuove tasse, sul reddito e sul lavoro, che rendono difficile il decollo e quasi impossibile la competitività sia all'interno sia all'esterno del paese.
In questa battaglia dell'IVA quella metà d'Italia che ci ha dato i suoi voti per delega è coinvolta con noi, nella difesa contro una rapina che renderà impossibile sviluppo, lavoro e decollo civile. È una battaglia per noi molto difficile, perché non siamo facinorosi mestieranti della politica: siamo quella gente perbene che un tempo era chiamata «maggioranza silenziosa». Persone che da un lato si scandalizzavano per le risse parlamentari, dall'altro si sentivano oppresse dalla delega politica affidata ai vecchi partiti, i quali non solo non la onoravano, ma la disonoravano sistematicamente. Siamo gente costruttiva, tirata per i capelli alla protesta. Una protesta che in qualche modo mi ricorda la celebre frase dell'Ami du peuple, il nobile giornale del terzo stato francese. Si era all'inizio della rivoluzione e l'antico regime era diventato obsoleto ed arrogante, sfruttatore e sperperatore del lavoro altrui. La frase suonava più o meno così: chi siamo? Nessuno. Cosa vogliamo? Molto. Cosa possiamo essere? Tutto. Questo dicevano i borghesi di Francia.
Cari colleghi, chi produce è il sangue stesso di una nazione, la sua linfa vitale. Una sana e salda economia permette ad uno Stato di sviluppare una sana e forte cultura legata ad un'istruzione competitiva, ad un'arte e ad una letteratura aperte sul mondo e non costrette a razzolare nei cortili di casa, escluse dal processo di sviluppo mondiale che è poi il circuito vero della storia nel suo divenire; una storia che ricorderà sempre il nobel a Pirandello e poco - se non come curiosità - il nobel a Fo (omologato attraverso circuiti di fratellanza ideologica e non certo di alta e perenne cultura italiana).
Questo è un Governo che raschia nel barile dell'IVA e non trova il denaro per sanare la macroscopica ingiustizia di aver trattato i suoi giovani medici come portantini sottopagati negli ospedali italiani; che tiene in non cale le sacrosante rivendicazioni degli agricoltori; che si regge solo per la colpevole acquiescenza dei sindacati, asservite cinghie di trasmissione di diritti ed imposizioni. Questo, Presidente, non è un Governo per l'Italia in

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Europa né per gli italiani né per noi dell'opposizione, che non accettiamo più di essere chiamati opposizione per finta (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)..

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Urbani. Ne ha facoltà.

GIULIANO URBANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, prima di motivare il mio voto contrario al testo che stiamo esaminando, vorrei cogliere l'occasione per svolgere qualche considerazione a futura memoria. Non credo, infatti, che renderemmo un buon servigio al nostro paese se perdessimo l'occasione di capire cosa sta succedendo in quest'aula vuota e quindi se non cercassimo di diventare consapevoli di un fatto che potrebbe essere sintetizzato così: in questo modo facciamo soltanto un danno a noi stessi; in questo modo non conviene a nessuno andare avanti.
Prima di esprimere il mio personale voto contrario al testo del Governo, quindi, vorrei esporre la principale ragione politica di fondo per la quale così non possiamo andare avanti. Se dovessimo continuare in questa direzione, non faremmo certamente il bene del paese, ma dimostreremmo soltanto una stupidità politica pari solo ad una insensibilità civile delle quali purtroppo sono ricche le cronache parlamentari e politiche.
In sostanza questo dibattito non avrebbe avuto luogo se maggioranza e Governo avessero avuto l'intelligenza politica di un atteggiamento meno tracotante, chiuso, sordo (ma aggiungerei anche - perché poi è questa la beffa - meno velleitario) e più costruttivo. Non sono io ad usare l'aggettivo velleitario: è un ministro della Repubblica, membro del Governo. Quindi credo che abbiamo tutta la legittimità di manifestare un'opinione che è condivisa addirittura all'interno del Governo e della maggioranza.
Perché ho parlato di atteggiamento tracotante e non costruttivo? Mi riferisco in particolare - ma non soltanto a questo - all'abuso aberrante del continuo ricorso al voto di fiducia. Un giornale economico si esercitava ieri in questa triste contabilità: è stato calcolato un voto di fiducia ogni 12 giorni della vita del Governo. Forse per deformazione professionale ho avuto modo spesso di prestare attenzione ai confronti internazionali in molti campi. Credo che un record mondiale così grottesco francamente dovrebbe farci vergognare (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Perché si ricorre al voto di fiducia in questo modo così manifestamente patologico? Credo che le ipotesi possano essere due, entrambe inquietanti. Innanzitutto, così facendo, non si vogliono discutere i contributi delle opposizioni. I miei colleghi hanno messo bene in evidenza il problema e tutte le implicazioni - una più grave dell'altra - da esso discendenti. Si tratta - in sostanza - di un esproprio delle funzioni parlamentari, in particolare della funzione che a parole tutti riconosciamo come insostituibile e ricca di implicazioni e di prospettive future: la funzione di controllo. Espropriare un Parlamento moderno di parte delle funzioni legislative, così come di altre funzioni delle quali purtroppo i Parlamenti moderni si sono appropriati in modo indebito, sarebbe accettabile. Ma espropriare un Parlamento della funzione di controllo, più che un atto di insensibilità democratica, è un attentato alla democrazia: qualcosa di molto diverso e di molto più grave. In secondo luogo, si fa ricorso al voto di fiducia quando si ha paura dei dissensi interni alla maggioranza; si tratta quindi di un problema di coesione interna. Non so quale aspetto sia preponderante, ma a giudicare dai giornali - dalle varie esternazioni quotidiane dei diversi membri della maggioranza e del Governo - si deve concludere che la seconda interpretazione è tutt'altro che lontana dal vero. Questo abuso aberrante del voto di fiducia nasce quindi in larga parte anche dalle debolezze interne, che vengono mascherate nel modo più farisaico e francamente non edificante.


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Tralascio di rispondere ai colleghi che ritengono il ricorso ai voti di fiducia un fatto tecnico, mentre ritengono il ricorso regolamentare all'ostruzionismo un fatto politico; non credo che questi colleghi meritino una risposta.
Dicevo che gran parte dei miei colleghi si sono soffermati nell'illustrare le ragioni di intempestività e di inopportunità del decreto sul quale dobbiamo pronunciarci, e quindi mi rifaccio interamente ai loro interventi, dicendo che li condivido per intero. Da parte mia voglio soltanto aggiungere che il ricorso del Governo a questa politica di tassazione, caratterizzata in particolare - ripeto - da elementi di intempestività e di inopportunità (come in questo caso si sono dimostrati evidentissimi) mostra gravi segni di insensibilità per legittimazione democratica e per efficienza dello Stato e dell'economia.
Qui non siamo più in presenza di due visioni contrapposte - quella della maggioranza e la nostra - in materia di risanamento finanziario e di sviluppo economico e sociale, perché è evidente che noi percepiamo il ruolo della tassazione come uno strumento di sviluppo associato naturalmente ad una tassazione equa ed internazionalmente competitiva. Questo lo sanno tutti, su questo abbiamo fatto campagne elettorali e quindi non credo che debba essere ricordato; va sottolineato però il percorso di autentico autolesionismo e di autentico attentato all'amor patrio che questo Governo continua a fare della politica di tassazione.
Sapete qual è l'evidenza più palmare di tutto questo? È il continuo ricorrere alle cosiddette due fasi di politica economica di questo Governo: una fase che sarebbe orientata al risanamento e una seconda fase che - finalmente, anche se non si capisce bene quando avrà inizio - dovrebbe essere invece orientata allo sviluppo dell'economia e in particolare dell'occupazione, tema che credo sia caro - almeno a parole - a questa maggioranza, ma che è certamente altrettanto caro a tutti noi, con una piccola differenza: tutti noi proponiamo al nostro paese soluzioni e ricette che sono in condizione di produrre occupazione, mentre per ora la ricetta e la proposta di questo Governo hanno prodotto un solo risultato, cioè un incremento della disoccupazione (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PAOLO MAMMOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

PAOLO MAMMOLA. Per un richiamo al regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLO MAMMOLA. Signor Presidente, l'articolo 37, comma 1, del regolamento, recita: «I rappresentanti del Governo, anche se non fanno parte della Camera, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute dell'Assemblea e delle Commissioni. Essi hanno diritto di parlare ogni volta che lo richiedono».
Noi constatiamo sicuramente che il Governo è qui presente, ed è degnamente rappresentato dal sottosegretario Sales, che ringraziamo per la cortesia che ci sta usando nell'ascoltare le nostre ragioni, ma per una questione anche di correttezza nei confronti dell'opposizione, che sta conducendo una regolare, onesta e tranquilla battaglia in quest'aula richiediamo che anche il ministro competente, quello delle finanze (comprendiamo che non può assistere a tutta la nostra seduta, trattandosi di una seduta fiume), nella giornata odierna garantisca la sua presenza almeno per qualche ora, in modo tale che illustri ed esimi colleghi del nostro e di altri gruppi che sono testé intervenuti - cito i professori Colletti ed Urbani - possano esprimere le loro ragioni anche al Governo nei suoi esponenti più rappresentativi.

PRESIDENTE. Onorevole Mammola, lei capisce: questo è un problema di rapporti di carattere non dico personale (perché di personale qui non c'è nulla) ma di cortesia personale. Regolamentarmente il Governo è presente in aula.


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PAOLO MAMMOLA. Chiediamo la presenza del ministro Visco.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scaltritti. Ne ha facoltà.

GIANLUIGI SCALTRITTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il decreto-legge sull'IVA persegue un indirizzo di politica economica che riteniamo assolutamente sbagliato. Purtroppo questo Governo è talmente preso dalle esigenze dei partiti della maggioranza da dimenticare che il suo compito è quello di risolvere i problemi del paese; per assolvere questo compito basterebbe controllare la spesa pubblica e ricondurla entro livelli accettabili, o meglio favorire lo sviluppo attraverso concrete riforme strutturali, capaci di diminuire il consumo di risorse dello Stato e quindi di consentire una minore pressione fiscale, lasciando maggiori disponibilità finanziarie al sistema produttivo. Ma la politica del Governo sembra molto lontana da questa linea.
Pur di evitare i conflitti dentro la maggioranza che lo sostiene, sembra ormai intenzionato a specializzarsi in giochi di equilibrio contabile, che gli consentono di sostituire i necessari tagli strutturali alle spese. Questo Governo, pur di dichiarare che sta rispettando i parametri di Maastricht, corregge i disavanzi di cassa rastrellando liquidità con la tesoreria unica o gonfiando in modo anomalo i residui passivi, che sembra abbiano ormai raggiunto un importo doppio rispetto allo scorso anno (quasi 300 mila miliardi di lire).
Assodato quindi che il fatidico 3 per cento è realizzato con un trucco, possiamo dedurre che l'Europa è non un traguardo, come vuole farci credere Prodi, ma solo una tassa, che infatti ci ha fatto pagare. Con la stessa etichetta «per l'Europa» nasce questo decreto di aumento dell'IVA, che vorrebbe recepire la direttiva europea di armonizzazione delle aliquote. Non capisco quale sia la logica dell'armonizzazione applicata, poiché le variazioni apportate alle aliquote, invece di avvicinarsi al 15 per cento (valore su cui l'Unione europea indica di convergere per il regime unico) se ne allontanano, passando dal 16 al 20 per cento per settori merceologici di primaria importanza, come le calzature, l'abbigliamento, i materiali per l'edilizia, il vino ed altri.
La verità è che si ricerca disperatamente una liquidità che è mancata da introiti tributari preventivati e non realizzati; infatti, con questo aumento dell'IVA si rastrelleranno nel 1997 1.459 miliardi e nel 1998 5.700, per totali 7.200 miliardi che verranno tolti dalle tasche degli italiani, con una media di circa 350 mila lire a famiglia, deprimendo fortemente i consumi. Circa un terzo di questi miliardi, oltre 2.200, deriveranno dall'aumento dell'aliquota dal 16 al 20 per cento nel comparto dell'abbigliamento e delle calzature, ove si avrà un incremento di spesa per ogni famiglia di oltre 100 mila lire. In questo modo si appesantisce un settore che in questi ultimi anni ha subìto una forte contrazione dei volumi di vendita anche per l'accresciuta concorrenza estera del sud-est asiatico e dell'est europeo. L'abbigliamento e le calzature occupano nella nostra realtà produttiva un ruolo molto importante non solo per l'immagine del made in Italy ma anche per la forte capacità di creare posti di lavoro.
La competizione sui mercati internazionali sul costo del lavoro ha già determinato in questo comparto produttivo una forte delocalizzazione delle produzioni verso paesi extraeuropei, con gravi perdite occupazionali; il brusco aumento del 4 per cento dell'IVA aggraverà ulteriormente questa tendenza, con una perdita di competitività sul mercato interno e una contrazione delle vendite. E non è finita, perché all'aumento dell'IVA andrà sommato l'effetto dell'imposta regionale sulle attività produttive, che aggraverà il costo del lavoro e del denaro, penalizzando ulteriormente i consumi e i produttori.
Solo uno che si occupa di fisco e si chiama Visco poteva inventare un'imposta rapina come questa e chiamarla IRAP!


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Alla contrazione dei consumi delle calzature e dell'abbigliamento contribuirà anche l'effetto indiretto dell'ingegnoso decreto sulla rottamazione, che ha spinto le famiglie a cambiare l'autovettura e quindi ad una spesa importante per il budget familiare. Questi interventi, così privi di programmazione e lontani dalla realtà produttiva e commerciale italiana non fanno altro che sconvolgere profondamente un mondo imprenditoriale che meriterebbe sostegno per il suo sviluppo, perché capace di generare velocemente posti di lavoro. Stiamo perdendo in questi ultimi anni, con velocità impressionante, migliaia di piccole aziende, nel settore commerciale e in quello produttivo. Queste attività hanno sempre avuto una diffusa presenza sul territorio ed hanno sempre confermato con la loro vitalità quel miracolo italiano della piccola e media impresa che tutto il mondo ci ha sempre invidiato.
Con questo decreto IVA si conferma un attacco da parte del Governo al popolo delle partite IVA, attacco che si è sommato a tutte le tassazioni IRPEF, ICI, IRAP, eurotassa ed altre già applicate o che si applicheranno e che dichiara la volontà di attuare una strategia di distruzione di quel ceto medio produttivo che è la reale forza vitale e culturale del nostro paese.
Non dimentichiamo poi una realtà produttiva fondamentale come quella degli agricoltori, che in questo momento sono in lotta per i loro diritti e che, oltre che dalla Comunità europea, devono difendersi anche da questo Governo. Il settore vitivinicolo viene fortemente colpito da un aumento dell'aliquota IVA del 4 per cento. Questo comporterà un rallentamento delle vendite, in un momento in cui anche sui mercati esteri si accentua la concorrenza di paesi emergenti come il Cile, l'Argentina, il Sudafrica, ed altri. È da ricordare la capacità di questa produzione di valorizzare terreni che difficilmente verrebbero utilizzati da altre colture.
Ma tornando al principio dell'armonizzazione delle aliquote, posso dire che sarebbe stato ben applicato se si fosse diminuita la percentuale IVA che grava sugli alberghi e sui ristoranti, mettendo quindi l'Italia alla pari del resto dell'Europa con cui siamo in una chiara competizione nel settore turistico e che applica aliquote inferiori mediamente di 3 o 4 punti percentuali.
È stata fatta grande pubblicità alla detrazione delle spese per la ristrutturazione delle abitazioni, detraendo il 41 per cento degli importi, come se fosse un vero incentivo alla ripresa edilizia, e poi parallelamente, con l'aumento del 4 per cento dell'IVA sui materiali destinati all'edilizia stessa e l'inevitabile aumento dell'ICI dovuto ai tagli dei trasferimenti ai comuni, si torna a mortificare questo settore.
Mi chiedo quale sia lo scopo di tutto ciò se non quello di gettare fumo negli occhi in un'amministrazione dello Stato fatta di giochi contabili e con una logica centralistica che non riesce a capire che il gettito fiscale è aumentabile anche con la crescita e lo sviluppo dell'economia e con il conseguente aumento dei contribuenti e della base imponibile.
Bisognerebbe portare questo paese verso la normalità e non verso la normalizzazione, com'è sicuramente nelle vostre intenzioni. Stiamo infatti assistendo quotidianamente all'instaurazione di un regime, fondato sul conformismo della stampa e della televisione e ben visto dalla magistratura. Noi di forza Italia e del Polo ci stiamo battendo e ci batteremo sempre più contro tutto ciò e contro le «prodezze» che questo Governo continua a regalarci.
Il debito pubblico da lasciare in eredità ai nostri figli è arrivato ad oltre 2 milioni e 300 mila miliardi e continua a crescere al ritmo di un miliardo al minuto se non di più; il settore pubblico è costoso e non funziona. La pressione fiscale è pesantissima, il prelievo dalle buste paga dei lavoratori iniquo; la disoccupazione continua ad aumentare e non si compiono opere di infrastruttura.
Questa politica economica non può dare soluzione ai problemi del paese. Il

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Governo è talmente preso dall'occupazione del potere che non si rende conto che il tasso di sviluppo del PIL all'1,1 per cento è insufficiente, che un tasso di disoccupazione del 12 per cento è gravissimo e che la pressione fiscale diretta - oltre il 45 per cento - è enorme. Quello che mi meraviglia è che il nostro Presidente del Consiglio Prodi è giulivo sotto l'Ulivo e ci propina provvedimenti come questo, che porta a chiedersi se Prodi è giulivo solo se vuole fare rima con l'Ulivo o se veramente è quello che sembra.
È un interrogativo che credo tutti dobbiamo porci perché stiamo creando una situazione veramente impossibile per la nostra economia. L'ingresso in Europa dimostrerà sicuramente che non saremo in grado di rimanerci; e non potremo entrarci semplicemente perché lo diciamo, in presenza di dati contabili che non dimostrano effettivamente la maturità e la crescita della nostra economia. Quello che accadrà è che dovremo improvvisamente riadeguare i nostri parametri alla realtà dei fatti e ci troveremo quindi ad imporre alle persone un adeguamento e un'imposizione fiscale fortissima all'ultimo momento. Mi chiedo come vorrete giustificare questa imposizione fiscale: temo che si stia costruendo un controllo del potere e della pubblica amministrazione per imporre improvvisamente alla nostra popolazione... (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Scaltritti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Stagno D'Alcontres. Ne ha facoltà.

FRANCESCO STAGNO d'ALCONTRES. Signor Presidente, onorevoli colleghi, durante il mio intervento in aula l'altro ieri notte ho richiamato il programma dell'Ulivo, un programma falso, un fantoccio che chiedeva per le minoranze parlamentari la possibilità di ricorrere direttamente alla Corte costituzionale contro decreti-legge emanati fuori dalle condizioni costituzionalmente previste; un programma che proclamava tempi garantiti all'opposizione nella programmazione dei lavori parlamentari, non più soffocati da decreti-legge a ripetizione.
Ieri ho richiamato il programma dell'Ulivo. Si potrebbe replicare che è solo un programma di massima, non impegnativo, parole messe in fila come linee per selvaggi senza capacità di capire le cose importanti della nazione. Bene, se il programma non impegna, chiedo a lei, signor Presidente, ed agli onorevoli colleghi, se il documento di programmazione economico-finanziaria impegni chi lo ha scritto e lo ha visto deliberato da questa Assemblea.
La sinistra, in tale documento, scriveva (cito testualmente) «che il sistema delle imprese piccole e medie in Italia ha sempre mostrato grande vitalità rispetto a quello degli altri paesi europei». Continuo a citare: «Una politica a favore delle imprese minori deve dunque partire dal presupposto che si tratta di imprese, di settori produttivi, caratterizzati da grande concorrenzialità e da forte apertura internazionale. In queste condizioni» - udite, cari colleghi - «gli interventi più indicati sono quelli che non mirano a determinare le scelte dell'imprenditore, al quale invece è da lasciare il massimo dell'iniziativa, ma tendono piuttosto ad assicurargli positive condizioni di esercizio della propria azienda». Questo ha scritto il Governo nel documento di programmazione economico-finanziaria.
La maggioranza in Parlamento sembra composta da veterocomunisti, testardi, duri e puri che scrivono le cose più democratiche nel momento della visibilità, mentre poi, in quello dell'attuazione, della scrittura del provvedimento, subiscono la metamorfosi. La pubblica opinione viene distratta ed ingannata ed ecco che tutto passa in modo invisibile.
Per il programma dell'Ulivo il fisco non deve intralciare le attività produttive e deve essere moderatamente progressivo. Sappiamo tuttavia che se il programma dell'Ulivo mente, è una questione che non ha rilievo giuridico, ma politico, di fronte ai cittadini. Il documento di programmazione


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economico-finanziaria ci dice che la manovra sull'IVA assieme alle altre deleghe fiscali è tesa a migliorare la struttura dei prelievi e ad eliminare le incongruenze e le distorsioni esistenti, promuovendo sistemi di prelievo idonei alle specifiche finalità economiche e sociali.
Ebbene, la straordinaria necessità ed urgenza di questo decreto, recante disposizioni tributarie, si deve alla straordinaria capacità di mentire del Governo nel documento di programmazione economico-finanziaria. Il Governo ha sovrastimato le entrate di bilancio ed ha aumentato le distorsioni nel mercato cercando gettito dove può ed incidendo in misura minima sulle spese dello Stato. Il Governo ha cambiato idea: dalla moderata (moderata, si badi bene) progressività alla peggiore e più strisciante delle imposte regressive, l'inflazione.
Colleghi della maggioranza solidale, l'inflazione colpisce le famiglie che hanno meno. Per chi è ricco qualche banconota da centomila lire in più per scarpe e vestiti incide molto meno rispetto a chi deve mantenere i propri figli con due milioni al mese. E se l'aumento del tributo indiretto non incide sui prezzi, esso provoca la contrazione della produzione. Ecco le distorsioni economiche e sociali di cui il documento di programmazione economico-finanziaria aveva promesso la riduzione.
Credo, onorevoli colleghi, che questo Governo non possa essere identificato con lo Stato, nonostante le sue pretese contrarie. Lo Stato, inteso come collettività dei cittadini, non ha le certezze del Governo; lo Stato non è tanto sicuro che l'ingresso con questi sacrifici ed a queste condizioni nell'Europa dell'Unione monetaria comporti sviluppo, crescita e dunque benessere.
Il Governo, nella sua superiore sapienza, usa tutti i mezzi, ivi compreso l'uso arrogante della forza, e non solo: a quanto pare, forza giuridico-istituzionale. Ieri abbiamo visto i manganelli e abbiamo visto anche il nervosismo dell'onorevole Mussi, quando i manganelli vengono usati contro gli agricoltori. D'altronde, credo che la sua sia - come dire - una dissonanza cognitiva. È difficile passare dai metodi del gulag a quelli della democrazia. Devo dire che la dissonanza cognitiva, anzi la schizofrenia, è tipica di questa sinistra. Credo difatti che gli uomini più giovani conoscano perfettamente le conseguenze economiche delle scelte del Governo; e si trovano invischiati nella giusta causa professata da Visco e compagni. Spero che venga notata la connotazione assolutamente favorevole di quanto ho appena detto: giusta causa e non attaccamento alla poltrona. Spero per loro, per la loro coscienza, che i colleghi della sinistra che nel privato la pensano come noi abbiano sempre presente la loro giusta causa. Dico «lo spero per loro». Per il paese ho poche speranze, almeno fino a quando i loro papà continuano presuntuosamente ad ergersi a padri di tutti i cittadini italiani. Il paternalismo, colleghi della sinistra, non è per uomini maturi in uno Stato maturo (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Chiedo ai colleghi della sinistra il coraggio di guardare dritto in volto le donne e gli uomini che sono stati colpiti dalle loro politiche, le donne e gli uomini che sono stati colpiti dalla perseveranza del Governo nel mutare radicalmente, nel momento dell'attuazione delle politiche, quanto dichiarato nei propri programmi. Un Governo che ci consegna l'anno peggiore per crescita da quarant'anni a questa parte; un Governo che in tutto questo persevera con le leggine e i benefici ristretti ed invisibili per ristretti ed invisibili gruppi di interesse.
Ho in mente la legge del 2 ottobre 1997, n.334; questa legge dispone che il personale della Presidenza del Consiglio dei ministri della nona qualifica funzionale transita, anche in sovrannumero, nelle qualifiche ad esaurimento ed assume pertanto funzioni dirigenziali, con il relativo trattamento giuridico, a decorrere dal 27 settembre 1998, ed economico dalla data di entrata in vigore della legge. Se non si vuole far torto alla logica più elementare, oltre che al buon senso, si può solo affermare che il ministro per la

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funzione pubblica e per gli affari regionali non sia più tutore del buon andamento dell'amministrazione.
In questa legge, che è solo un esempio, io vedo solo il disprezzo per le altre leggi di razionalizzazione del settore pubblico, che costituiscono anche principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, ai quali pertanto si devono obbligatoriamente uniformare le regioni. In questa legge io vedo solo una pervicace ostinazione nel rimescolare le carte delle politiche proclamate di rigore e di razionalità dell'azione dello Stato, quando si tratta di tradurle in atti concreti.
Dunque, viene soffocato il Parlamento; le richieste dell'opposizione, che sono richieste del Parlamento, sono trattate alla stregua di fastidiose perdite di tempo. Quello che pensano i parlamentari del risanamento finanziario del paese, delle riforme della sanità e della previdenza, e della rigidità del mercato del lavoro, della continua restrizione della libertà economica, è stato del tutto ignorato. Credo che quello che diciamo non potrà essere ignorato a lungo. È una legge economica molto semplice: il mercato si vendica ed insieme al mercato si vendica la società reale. Le minacce sono inutili. Stracciare i passaporti, bruciare le effigi del capo del partito d'opposizione non serve a nulla. Non serve a nulla la capacità di tirare le molotov. Il mercato si vendica con le centinaia di migliaia di allevatori in piazza, con i giovani del Mezzogiorno che vivono le condizioni più drammatiche d'Europa, con la fuga della produzione all'estero, con la rivolta fiscale del nord del paese.
Onorevoli colleghi della maggioranza di Governo, il Governo ha torto; il Governo, tanto per usare un linguaggio che sta nella vostra memoria, è un compagno che sbaglia. Io temo che fino a quando nella nostra memoria riposerà il principio secondo cui la ragione sta dalla vostra parte, anche se l'evidenza è del tutto contraria, la nostra sfera di libertà, la nostra e quella delle persone che stanno al di fuori di quest'aula e che sono tenute all'oscuro di quanto accade qui dentro, non potrà che continuare a ridursi.
Chiedo allora di nuovo alla maggioranza e al Governo di mantenere almeno un lumicino di democrazia; che il Governo dica chiaramente a noi e al popolo, che noi rappresentiamo, che il suo metodo è quello della lista dei proscritti, dei buoni e dei cattivi; che il Governo abbia il coraggio di chiedere i pieni poteri e che la maggioranza in Parlamento abbia la coerenza di concederglieli. Lo dica senza usurare questa istituzione ed in modo visibile a tutti. Don Sturzo - mi piace citarlo spesso - scriveva sul Giornale d'Italia nel 1957 che chi si illude di aver conquistato la libertà non ne conosce il reale valore, né che cosa importi veramente la battaglia per conquistarla. Noi non ci illudiamo. Consentitemi, colleghi, di esprimere infine la mia soddisfazione per la battaglia che stiamo conducendo (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Niccolini. Ne ha facoltà.

GUALBERTO NICCOLINI. Tanti colleghi hanno già ringraziato il personale della Camera per la collaborazione prestata in questa maratona defatigante. Io vorrei aggiungere un ringraziamento anche a Radio radicale, che trasmettendo questo dibattito fa giungere in tante case degli italiani la voce dell'opposizione in questo Parlamento.
Per chi come me viene da Trieste, per chi come me appartiene all'ultima generazione che ha pagato anche con la vita in nome e per conto dell'unità della madrepatria - l'Italia intendo - (mi scusino i colleghi della lega), la parola «secessione» fa venire l'orticaria. Ma evidentemente più dei colleghi della lega, più dell'impegno e della fantasia di Bossi, c'è il Governo Prodi ad alimentare il sacrilego fuoco della secessione. È proprio Prodi con i suoi ministri, e purtroppo con la benedizione di sua maestà il Quirinale, a far sì


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che anche i moderati autonomisti del nord finiscano per auspicare una divisione dell'Italia, un'Italia nuova, che io rifiuto di chiamare Padania, ma che comunque niente più abbia a che fare con il catto-comunismo che si perpetua ormai da troppi anni in un massacro dei sentimenti nazionali.
Quando facevo il giornalista andando all'estero (parliamo di qualche anno fa), ero costretto a spiegare agli amici stranieri che cosa volesse significare l'espressione «convergenze parallele». Oggi nella mia qualità di segretario della Commissione esteri, quando sono in giro negli altri paesi mi sento chiedere dagli amici cosa voglia dire «lavori socialmente utili» oppure come il nostro Governo concili il rilancio produttivo fra le 35 ore e l'aumento delle imposte.
Sono reduce da una visita nel Perù; visita, non missione, perché il Presidente della Camera non ha ritenuto di dare l'autorizzazione e, mi ha assicurato, per motivi tecnici e non per motivi politici. Ebbene, in Perù c'è un Governo che quando si è insediato ha trovato alcuni grossi problemi: terrorismo per le strade, inflazione al 7 mila per cento. In pochi anni il terrorismo è stato bloccato e l'inflazione è scesa al 7 per cento. Sicuramente questo risultato non è stato raggiunto aumentando le tasse ma, guarda caso, con un programma liberale, di liberalizzazione valutaria e dei mercati: 127 privatizzazioni in due anni, grandi lavori di bonifica e di irrigazione.
Quando posso, che sia in missione o che sia in visita privata, cerco sempre di andare nei paesi che hanno più difficoltà, che chiamiamo paesi in via di sviluppo, perché soltanto lì ho trovato della gente che sta lavorando seriamente per il decollo dei rispettivi paesi (siano essi del nord Africa o dell'America latina). Tutti mi chiedono con curiosità come mai un paese come l'Italia continui ad avere i comunisti al Governo, come mai un paese come l'Italia da una parte paghi alti contributi alla FIAT, annunci soltanto, e a grande voce, la tutela degli operai e poi continui a massacrare la classe media, i piccoli e i medi imprenditori, i commercianti, gli agricoltori, i liberi professionisti. Non è facile spiegare a questi popoli, che continuano a guardarci con tanta fiducia, che l'Italia sta facendo un cammino, anzi un percorso estremamente opposto a quello che stanno facendo loro. Guardavo gli amici tunisini, guardavo gli amici marocchini, guardavo gli incas: vanno scalzi per strada e non hanno guardaroba ben forniti. E da noi andiamo a cercare di aumentare l'IVA proprio su questi generi per ridurci a quel livello. Essi non capiscono quando io cerco di dare le risposte, perché evidentemente non sono risposte convincenti.
Qualcuno, parecchie ore fa in quest'aula, ha ricordato che il provvedimento in esame colpisce l'economia meridionale, ma vorrei timidamente ricordare che gli aumenti in esso previsti massacrano anche l'economia del nord-est, quella locomotiva economica del paese che, attraverso le calzature, l'abbigliamento, la produzione del vino ed il materiale per l'edilizia hanno dato impulso decisivo a tale locomotiva.
Vogliamo penalizzare quei produttori, quegli imprenditori illuminati, perché denunciano troppo nervosismo nei confronti di un Governo capace solo di tassare e di distruggere? Ad Agnelli offriamo la rottamazione, ma ai piccoli e medi imprenditori del nord-est si offre un carico fiscale massacrante, senza preoccuparsi dei danni che conseguiranno, dall'inflazione al calo dell'occupazione, dalla chiusura degli stabilimenti al loro esodo verso paesi in via di sviluppo, dove fisco ed oneri del lavoro consentono un corretto equilibrio fra costi e ricavi, senza la necessità di rifugiarsi nell'evasione, nel sommerso e nel mercato nero.
Ecco perché prima parlavo del pericolo secessionista non alimentato dalle manifestazioni leghiste, ma dall'atteggiamento arrogante, penalizzante e socialmente fermo alla rivoluzione di ottobre del nostro Governo che, con le più inique decisioni, continua a promettere di portarci in Europa. Se prima facevano sorridere gli annunci trionfalistici dell'adeguamento

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italiano ai canoni europei, perché palesemente falsi, oggi fanno rabbia, visto che il paese si sta impoverendo ogni giorno di più. In tale situazione, preferiamo regalare le 35 ore al condizionante veterocomunismo piuttosto che affrontare le necessarie riforme. Eppure lo stesso Presidente del Consiglio proprio ieri ha dichiarato di non essere ancora sicuro di portarci in Europa. Mi chiedo, quale Europa, oggi che non vi è più quella dell'est che avrebbe potuto accoglierci, perché i sistemi usati sono gli stessi utilizzati in quella parte dell'Europa.
Il Governo affronta l'opposizione parlamentare come veniva affrontata dai paesi dell'Europa dell'est, un'opposizione rea di non essere appiattita al volere della maggioranza. Sempre utilizzando i sistemi in uso nell'Europa dell'est, si affronta la protesta degli allevatori: prima vengono presi in giro e poi viene ordinato alle forze di polizia una carica come da tempo non si assisteva. Ieri libro e moschetto, oggi manganelli e liquami: questo il tremendo binomio simbolico e il traguardo che il Governo propone al paese. Ma dove pensate di portarci? Dove volete portare il paese? Siete stati bugiardi sin dalla campagna elettorale e oggi avete il coraggio di definire il Polo delegittimato perché combatte insieme alla lega questa battaglia? Che la lega sia un partito legittimato ce lo avete insegnato proprio voi ed il Presidente della Repubblica già ai tempi del cosiddetto ribaltone durante tutto il periodo del Governo Dini (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia e di alleanza nazionale). E allora dovete inghiottire questa opposizione, queste opposizioni, tutte legittimate, anche dal voto popolare!
Voglio riprendere quanto ho detto all'inizio: siete voi, molto più della lega, ad alimentare la voglia di secessione, anche in quanti della patria hanno un concetto alto e fermo. Fortunatamente la patria rimane ed i governi prima o poi cadono; governi fuori della storia, fuori dell'economia, fuori della società civile, devono cadere! Il vostro suicidio politico sarà il giorno della rinascita dell'Italia e la fine dei desideri di secessione.
Amici leghisti, invece di combattere questo Governo dovreste offrire a Prodi e a Visco la cittadinanza onoraria della cosiddetta Padania, dovreste insignirli di ordini cavallereschi (un padanino d'oro), perché grazie alla loro arroganza, insipienza, incoscienza politica, aumenta il consenso popolare al vostro sacrilego progetto.
Per questo dobbiamo dire «no» al decreto-legge in esame e fare la battaglia di libertà, di serenità, anche in nome dell'unità di una Italia che non vogliamo divisa dal vostro atteggiamento (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Aleffi. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE ALEFFI. Signor Presidente, contrariamente a quanto preannunciato due giorni fa, allorché ho avuto modo di dichiarare il mio voto favorevole sugli ordini del giorno, che peraltro hanno rappresentato quasi un reato di lesa maestà commesso in pregiudizio di un Governo e di una maggioranza indispettiti ed insofferenti (come se l'opposizione avesse come unico compito quello di stendere tappeti rossi per facilitare il percorso dell'esecutivo), questa volta prendo la parola per preannunciare il mio voto contrario su un provvedimento che non vi è dubbio affosserà ancor più la nostra economia.
Il voto contrario, che unitamente a tanti colleghi esprimerò, non è irregimentato dal gioco delle parti per il quale sarebbe scontato che se la curva nord grida forza Lazio, la curva sud griderà certamente forza Roma. Volendo restare nella metafora calcistica, grido un convinto «no» al provvedimento in esame, e resto seduto - in questo caso - sulle rimanenti tribune dello stadio Italia, dalle quali solitamente si grida meno la propria passione, preferendo piuttosto applaudire


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lo spettacolo del bel gioco. Grido «no» perché lo spettacolo è scadente ed i giocatori stanno facendo un gioco troppo duro e pesante, tanto che se fossi l'arbitro li manderei anzitempo negli spogliatoi. Tuttavia l'arbitro di questa partita, il popolo italiano, è proprio come tanti tifosi: nonostante le delusioni continua a comprare biglietti ed abbonamenti, sopportando così con incredibile pazienza le tante delusioni, perché spera sempre in tempi migliori. Anche l'opposizione, forza Italia in particolare, si è comportata come questi tifosi, facendosi carico tante volte degli oneri del Governo e quindi anche della maggioranza, senza sperare in nulla, persino giungendo a quello che taluno ha indicato come il massimo del masochismo politico, quando ha consentito, in una precisa circostanza, con il proprio voto favorevole che un governo avverso, già arrogante, non cadesse, nonostante la prima grande rottura a sinistra della sua maggioranza.
Il superiore interesse della nazione e la coscienza civica avevano ispirato quella decisione e con essa la nostra azione politica, peraltro già ampiamente testimoniata dal lavoro svolto seriamente in aula e nelle Commissioni. E ciò nonostante le critiche del nostro elettorato che di volta in volta ha interpretato e giudicato questo spirito come una denuncia di arrendevolezza, di incapacità critica, politica e di opposizione, come una disponibilità al consociativismo, addirittura all'inciucio. Dopo questa assunzione di responsabilità, dopo le blandizie della maggioranza, sono giunte puntuali ed inevitabili le derisioni con le ironie di corridoio di tutto un apparato fortemente organizzato e capace di ogni strumentalizzazione, come quello della sinistra. Come non ricordare a tal proposito gli iniziali attestati quasi di benemerenza rivolti in aula dall'onorevole D'Alema al presidente Berlusconi, durante la discussione sulla missione in Albania? Incassato il voto favorevole il tono successivo è stato quasi sarcastico e si è rifiutato il nostro contributo, definito come un atto dovuto e pertanto senza dover esprimere troppi ringraziamenti. Si è detto che altrimenti ci saremmo dovuti assumere noi la responsabilità di una brutta figura davanti alla comunità internazionale. Questa è capacità di trasformismo e di opportunismo politico, che anche i talenti naturali hanno saputo e potuto affinare sui banchi di una antica, organizzata e qualificatissima scuola che nel tempo ha formato e plasmato le disponibili coscienze, anche attraverso master all'estero (d'estate ovviamente, perché d'inverno fa troppo freddo). Trasformismo politico che sa tempestivamente adattarsi alla scena, ma che lascia sempre la bocca amara, perché alla fine i cittadini rimangono soli con le loro speranze ed aspirazioni, oggi troppo frequentemente frustrate, nonostante ogni favorevole disponibilità alla laboriosità.
Poche volte - credo - la storia del paese ha potuto assistere ad un'azione governativa così indifferente ai bisogni della gente, concentrata nel perseguimento dei suoi fini, di immagine - secondo noi - più che di sostanza. A volte c'è da chiedersi se per caso non si sia ritornati indietro di oltre un secolo, oppure se si debba ammettere che il ministro delle finanze del 1869, onorevole Cambray-Digny si sia reincarnato nel ministro Visco, perché è incredibile come questi due personaggi si siano potuti così tanto identificare a distanza di oltre un secolo. Ambedue motivati dalla dichiarata e giusta esigenza del risanamento di una economia disastrata, hanno tutti e due dato ampia dimostrazione di una grande fantasia ed abilità vessatoria. L'uno, allora, si inventò la tassa sul macinato, che provocò lutti e disastri; l'altro si è inventato l'eurotassa, l'IRAP e quant'altro ed ora l'aumento delle aliquote IVA, inasprendo tutto l'inaspribile e, se possibile, ancor di più e distruggendo economicamente tutto il distruggibile, elevando a dismisura il disagio e, in tanti casi, la disperazione di tante piccole e medie imprese, riscuotendo un solo, unico ritorno di riconoscenza, in verità: quello del senatore avvocato Agnelli e dei suoi cari. Riconoscenza molto importante, certo, per la sua salute politica, ma troppo poco per ottenere la

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riconoscenza anche dei cittadini, che, con l'aumento dei prodotti vinicoli, dei dischi, dell'abbigliamento - il cui commercio al dettaglio è ormai morente -, delle calzature e di qualche altro genere di grande e meritoria protezione fisica, vedranno aumentare perfino il costo del pane, grazie all'aumento dell'IVA di un punto, dal 4 al 5 per cento. Ulteriore crisi, dunque, e nuova disoccupazione, ancor più grave e distruttiva, perché andrà ad aggiungersi a quella già rilevante che angustia tante famiglie.
Altro che i tanti provvedimenti annunciati di volta in volta per dare finalmente dignità e speranza a chi è disoccupato! Altro che agenzie del lavoro e posti virtuali ai nostri giovani che - non è difficile prevederlo - a lungo andare diventeranno i principali indifferenti, se non addirittura i nemici della società e delle sue istituzioni, quando malauguratamente non avessero da andare ad aumentare le file dei numerosi sbandati! D'altra parte, gli esempi che questo Governo propone non sono poi così esaltanti, né costituiscono un'indicazione alla correttezza e all'onestà; infatti, come si devono giudicare gli incredibili ritardi di un fisco che quando deve prendere, pretende la tempestività e quando deve restituire - non dare, ovviamente, onorevoli colleghi, ma restituire ciò che, evidentemente, trattiene indebitamente perché non suo - si concede tempi lunghi, comodi? Che dire di un Tesoro che con fredda deliberazione, ignorando le regole peraltro imposte ai sudditi-cittadini rispettosi di uno Stato di diritto, trucca le regole del gioco e con la voce dei residui passivi trasferisce i propri debiti ad esercizi futuri, scaricando i bilanci di oggi di pesi negativi allo scopo di presentarli tutti infiocchettati di rosa, in armonia con il presunto e tanto reclamizzato risanamento dei conti pubblici? Come commentare il mancato rispetto di tutti quei contratti stipulati con tanti imprenditori che non vedranno soddisfatte le proprie forniture perché si sono fatte chiudere le casse, per cui in tanti casi chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato?
Per qualsiasi cittadino di questo nostro Stato che si dovesse regolare con questi ideali, che cosa accadrebbe? Chi truccasse i propri bilanci o decidesse di non onorare un contratto non commetterebbe reati perseguibili a rigore di legge? Perché, allora, allo Stato ciò deve essere concesso? Quale educazione da una tale concessione deriva per il semplice cittadino? Come non comprendere, allora, quel senso di sfiducia e di sdegno che sovente anima i cittadini, allontanandoli dalle istituzioni e, in qualche caso, non molti per fortuna, facendoli addirittura gridare alla secessione?
Invece, nulla. Assistiamo alle ripetute passerelle in Europa, dove si va affermando che tutto sta andando bene, dove raccontiamo agli alleati che l'economia è in ripresa e si riscuotono così anche elogi e considerazioni, al punto da essere valutati superiori addirittura alla Germania, dove ogni giorno assistiamo all'azione di un Governo sempre più baldanzoso, come baldanzoso è il Presidente Prodi quando davanti alle telecamere sfila con il suo immutabile ed ineffabile sorriso ed è sempre più arrogante, fino al punto di pretendere di mettere la sordina all'opposizione rinnegandole il diritto, sacrosanto in una democrazia compiuta, a condurre la sua battaglia di giustizia e di difesa dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Aleffi.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Filocamo. Ne ha facoltà. (Prolungati applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Con i vostri applausi, colleghi, volete levare del tempo all'onorevole Filocamo.

GIOVANNI FILOCAMO. No, comincia da adesso il mio tempo, perché non potevo parlare mentre i colleghi applaudivano.

PRESIDENTE. No, no. Le avevo già dato la parola.

GIOVANNI FILOCAMO. Faccia decorrere il tempo da adesso, Presidente.


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PRESIDENTE. Assolutamente no.

GIOVANNI FILOCAMO. Stavano battendo le mani e non potevo parlare, allora doveva fermarli prima.
Comunque, signor Presidente, onorevoli deputati, solitario, involontario e sofferente rappresentante del Governo, l'ostruzionismo del Governo e della maggioranza dei numeri, che si manifesta ogni qual volta si debba discutere di un provvedimento importante, ha ridotto quest'aula, che qualcuno ha definito sorda e grigia, anche cieca e muta. Per questo, noi deputati dell'opposizione non possiamo confrontarci con la maggioranza sulla risoluzione dei problemi e delle esigenze che interessano il nostro elettorato e, si badi bene, non possiamo discutere sul fisco e sulle tasse che codesto Governo di incapaci, di delatori e di prepotenti vuole imporre ai cittadini anche se in tutti i paesi democratici questi problemi vengono discussi nel Parlamento. E il Presidente della Camera - lo ripeto, dato che non è cambiato nulla - che dovrebbe organizzare i lavori parlamentari e illuminarci sulla democrazia parlamentare, sembra ridotto ad una specie di manichino che guarda l'orologio e suona il campanello, richiama ed espelle i deputati. Tutto questo avviene non solo nell'indifferenza ma con l'approvazione della stampa di regime, dei mass media di regime, dei sindacati di regime e della grande industria di regime, per cui credo che nessuno possa non convenire che siamo in un regime.
D'altronde, che cosa ci potevamo aspettare da una coalizione composta da neocomunisti, postcomunisti e cattocomunisti, arroccati al potere che non vogliono mollare e che mantengono con l'incapacità, l'arroganza e la prepotenza che li ha sempre contraddistinti?
Su questo provvedimento di inasprimento fiscale, che il Governo, con la sua maggioranza, chiedendo la fiducia ha impedito all'opposizione di modificare, volevamo dire che l'IVA doveva essere rivista ma senza aumentare la pressione fiscale sul ceto medio, sulle piccole e medie imprese, sull'edilizia, sull'abbigliamento, sulle calzature, sulle imprese tessili, sull'agricoltura e viticoltura, sull'artigianato e così via enumerando. Io sono un deputato calabrese della zona ionico-reggina, la zona più depressa di tutta l'Europa, che è stata sempre abbandonata dallo Stato e che avrebbe bisogno innanzitutto di strutture e di infrastrutture primarie, tra cui strade, trasporti, edifici scolastici e giudiziari, per lo sport e per il tempo libero, per poi far sorgere piccole e medie industrie agroalimentari ed incentivare l'edilizia, l'agricoltura, il turismo, i beni archeologici e culturali di cui è tanto ricca, l'artigianato; ma aumentando l'IVA in modo così indiscriminato da togliere dalla tasca degli italiani 6 mila e più miliardi e da ogni famiglia circa 400 mila lire, addio possibilità di ripresa e di incentivazione del lavoro. Così avverrà per l'edilizia, per l'artigianato, per l'agricoltura, per il turismo, con la conseguenza che i cittadini saranno sempre più impoveriti, diminuirà quindi la produzione ed aumenterà la disoccupazione, che in Calabria raggiunge cifre elevatissime, specie quella giovanile.
La ricetta non è quella di mettere tasse, soprattasse e balzelli come fa il «ridolino» Prodi, ma di liberalizzare il mercato del lavoro, introducendo la flessibilità salariale, la possibilità di un'uscita e di un'entrata, prendendo ad esempio le nazioni che usano questi sistemi e che hanno livelli di disoccupazione inferiori ai nostri. Quindi, meno tasse sulle imprese e meno tasse sul lavoro che produce più competitività per la nostra economia, più sviluppo, più occupazione. Più occupazione e più sviluppo significano maggiori entrate per l'erario, anche abbattendo le aliquote, come è avvenuto in tutti i paesi in cui ciò è stato fatto. Più entrate per l'erario uguale maggiore possibilità di cambiare in meglio lo Stato sociale, che attualmente è composto da figli e da figliastri: i primi sono i dipendenti pubblici e delle grandi e medie imprese, che sono tra l'altro una minoranza; i figliastri sono i dipendenti delle piccole imprese - circa 9 milioni - che possono davvero creare nuovi posti di lavoro, i quali però


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a differenza dei primi quando perdono il lavoro, possono mantenerlo solo per un anno e con una indennità del 30 per cento.
Vi sono poi i pensionati che non possono vivere con 400 mila lire al mese, cifra che il Governo non può aumentare perché nega lo sviluppo e impedisce le riforme, ma nel frattempo si vogliono abbassare a 35 le ore di lavoro a parità di salario. La solidarietà vera si avrà se vi saranno più risorse, perché più sviluppo conduce a più competitività; più occupazione conduce a più gettito, più gettito significa più Stato sociale.
Il problema dell'occupazione non si risolve con la marcia dei sindacati e di rifondazione comunista, ma con uno sviluppo maggiore, superiore al 2 per cento e con la liberalizzazione del mercato del lavoro. Alla fine dell'anno vi sarà uno sviluppo dell'1 per cento, con il quale il Governo regalerà agli italiani 3 milioni di disoccupati. Dunque, sopra il 2 per cento si crea nuovo lavoro e meno disoccupazione. Quando il prodotto nazionale è dello 0,7 per cento (come lo è stato nel 1996 e nel 1997) e non supererà sicuramente l'1 per cento, non si produrrà lavoro, ma disoccupazione.
L'aiuto agli altri è stato la grande conquista di questo secolo, di tutte le democrazie, però lo Stato può essere generoso con gli altri solo se ha ricchezza nuova, se ha risorse in più: allora può cambiare l'attuale assetto sociale - lo Stato sociale - che garantisce solo alcuni, cioè i figli, e punisce i figliastri. C'è da fare una grande riforma, bisogna trasformare lo Stato assistenziale, clientelare in uno Stato veramente sociale, per chi ha veramente bisogno. È un grande progetto che si potrà realizzare se si avranno più risorse a disposizione, non se continuerà ad esserci un Governo ed una maggioranza che, oltre ad essere incapace, è in malafede e vessa i cittadini.
Per concludere, considerato che il Presidente mi sta togliendo la parola, dico che il Governo e la maggioranza puzzano di letame e che potranno togliersi la puzza non con i manganelli, ma facendo un bagno di umiltà, di consapevolezza, di democrazia e di libertà, cioè di rispetto degli altri. Viva la libertà, viva il Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Luca. Ne ha facoltà.

ANNA MARIA DE LUCA. Signor Presidente, sottosegretario di Stato, onorevoli colleghi e cittadini che in questo momento ci state ascoltando, desidero motivare il mio voto contrario a questo provvedimento considerata la sua gravità e i riflessi che si ripercuoteranno sul nostro paese. Esso comporterà, infatti, un nuovo aumento complessivo della pressione fiscale e questo per l'ennesima volta! C'è stato detto che occorreva un intervento per armonizzare il sistema impositivo riguardante le aliquote IVA a quello vigente in Europa: non è così. Esso si pone l'obiettivo mascherato, ma reale, di incrementare, attraverso un aumento, le entrate dello Stato a partire - addirittura - dal 1 ottobre 1997. Lo dico perché il decreto-legge collegato alla manovra finanziaria per il 1998, esplicherà i suoi effetti a partire dal 1 ottobre 1997. Perché? Perché sappiamo - e questo provvedimento ne rappresenta la controprova - che il Governo è in difficoltà per un buco non previsto nei conti dello Stato di circa 6 mila miliardi. E poiché deve trovare questi miliardi - anche in fretta - anticipa tale iniqua tassazione a quest'anno.
Tasse, sempre più tasse! Questo Governo si farà ricordare per le tasse che ha estorto; si farà ricordare per l'applicazione di una ideologia antiproduttiva. Questo Governo non fa ripartire l'economia, la sta uccidendo! Invece di sostenere le imprese, continua a prelevare dalle tasche dei cittadini onesti: già, quelli disonesti non pagano e non gliene importa nulla che vengano stabiliti dei rincari, tanto comunque non li pagherebbero! E il futuro credo, temo, sarà sempre peggiore. Bel futuro ci aspetta!


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Cittadini - è a voi che mi rivolgo - che mi state ascoltando, apro una piccola parentesi per dire che la prossima volta se vorrete pagare meno, se vorrete un sostegno concreto ai lavoratori autonomi, agli artigiani, alle imprese, all'agricoltura e al commercio, andate compatti a votare! Un piccolo sacrificio, cari amici, val bene la candela! Anche l'assenteismo ci ha messo - ahinoi - in queste tristi condizioni!
L'aumento che colpirà il settore dell'abbigliamento, e che inciderà tra l'altro sulle calzature, sulle materie prime semilavorate per l'edilizia, sul vino e su tante e tante altre voci, sarà alto, dal 16 al 20 per cento. Circa un mese fa abbiamo verificato in sede di bilancio di assestamento per il 1997 che il gettito dell'IVA nei primi sei mesi dell'anno è calato di 7.750 miliardi rispetto alle previsioni; in più, per il primo semestre dell'anno prossimo si prevede un andamento del PIL e degli scambi non favorevole.
Queste considerazioni dovrebbero - dico «dovrebbero» - far riflettere il Governo. La prospettiva non è piacevole e l'aumento dell'IVA cade nel momento meno opportuno possibile.
Peraltro, per adeguarsi alla direttiva europea si è scelta quella che noi consideriamo la via peggiore, un'esasperante pressione fiscale che alla fine aggrava il disagio di tutti, senza percorrere, invece, la strada della sua limitazione che favorisce lo sviluppo e produce ricchezza perché sostiene le attività produttive.
In più, questo provvedimento si scontra con alcune previsioni del principale provvedimento collegato alla finanziaria per il 1998; mi riferisco soprattutto agli incentivi fiscali a favore della ristrutturazione edilizia. Perciò mi pare che delle contraddizioni ci siano e siano gravi.
Vi è inoltre da considerare l'effetto dell'aumento dell'IVA sull'inflazione (ovviamente ripeterò cose già dette in questi giorni di veglia; siamo qui tutti da tante, troppe ore). Credo infatti che quella registrata dall'ISTAT sia ben lontana dal vero, sia cioè costruita sulla base di un paniere di composizione assai strana, formato da beni che possono essere controllati attraverso il meccanismo dei prezzi amministrati e la cui crescita economica sia stata abbastanza ridotta nel periodo 1992-1995. Sappiamo che il paniere dell'ISTAT è sostanzialmente inaffidabile, tutti noi ne conosciamo i meccanismi.
L'aumento delle aliquote IVA - dicevo - porterà anche un effetto di crescita dell'inflazione; basta far riferimento, considerando la ricchezza o la povertà media (dipende dai punti di vista), all'aumento del canone TV, all'incremento del prezzo dei biglietti di trasporto pubblico urbano, all'aumento dei prodotti tessili e dell'abbigliamento, tutto ciò causato dall'innalzamento dell'aliquota IVA, per dimostrare come questa inflazione crescerà certamente più dello 0,7 per cento previsto dal Governo.
Nel 1998 dovremo evidentemente affrontare anche questo problema, che si riflette - ben si sa - anche sul livello dei tassi di interesse e, poiché siamo tra i paesi più indebitati al mondo e oggi una larga parte di questo debito pubblico è in mani estere, è probabile che il rischio di speculazione aumenti proprio in relazione alla stessa crescita dell'inflazione.
La scelta del Governo, onorevoli colleghi, è stata ancora una volta quella di imporre ai cittadini anticipazioni nei versamenti d'imposta per incassare, prelevare forzosamente dalle tasche dei contribuenti, anziché ricorrere ad interventi seri e strutturali.
Quindi, non si fa altro che realizzare un ulteriore aggravio di costi per le imprese, ridurre i consumi, creare una recessione del ciclo economico.
Per quanto riguarda, per esempio, il settore agricolo che è oggi di scottante attualità, l'aumento delle aliquote che colpirà il settore vinicolo sarà pari in termini reali all'11 per cento. Per ciò che riguarda la presunta crescita della produzione industriale, tanto sbandierata dal Presidente del Consiglio, bisogna evidenziare che si registra un incremento di produzione dell'1,1 per cento, ma i beni finali si articolano in maniera differente Il Presidente mi segnala che devo avviarmi alla conclusione, quindi salto...

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DANIELE ROSCIA. No, mancano due minuti!

PRESIDENTE. Sei secondi (Commenti).

ANNA MARIA DE LUCA. Allora passo alla conclusione finale, Presidente!

PRESIDENTE. Grazie.

ANNA MARIA DE LUCA. Come grazie?! (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Chiedo, Presidente, di voler autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto stenografico di alcune considerazioni integrative.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cascio. Ne ha facoltà (Commenti del deputato Massidda).
Onorevole Massidda, la richiamo all'ordine.

FRANCESCO CASCIO. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il disegno di legge n.4297 di conversione del decreto-legge n.328, di cui ci stiamo occupando da circa una settimana, ci trova assolutamente contrari nel merito ed anche per il metodo che questo Governo ha ritenuto di utilizzare ai fini della sua approvazione.
Il provvedimento in esame riguarderebbe l'inasprimento dell'aliquota fiscale, porterebbe tale aliquota al 20 per cento per moltissime voci, con una pesante ricaduta sui consumi. Ebbene, la cosa viene giustificata dicendo che serve per consentire l'ingresso dell'Italia in Europa. Ogni volta che l'opposizione vuole apportare miglioramenti ai provvedimenti che questo Governo propone, regolarmente il dibattito viene soffocato, viene annientato con la regolare richiesta della fiducia (la trentesima, se non sbaglio, in questi ultimi diciotto mesi), con lo spettro dell'Europa che si allontana evocato sistematicamente e quasi sempre a sproposito.
È evidente ormai che l'Europa rappresenta un espediente, soprattutto in questa circostanza. Infatti, sarebbe bastato semplicemente adeguarsi alla direttiva comunitaria 77 del 1992 aumentando dal 4 al 5 per cento l'aliquota ridotta e dal 16 al 19 per cento quella transitoria, con un'entrata complessiva aggiuntiva di circa 4 mila miliardi e un aumento dell'indice dei prezzi non superiore allo 0,45 per cento. L'Europa non ci chiedeva di portare l'aliquota massima al 20 per cento, ma questo Governo è capace di questo e di altro, ci ha abituato a cose anche peggiori.
Una voce di questo decreto che viene aumentata vertiginosamente riguarda il settore vitivinicolo - un settore del comparto dell'agricoltura già fortemente penalizzato da questo Governo - che proprio in questi giorni sta alzando la voce, sta cercando di far sentire le proprie istanze. Alla legittima voce degli agricoltori il Governo risponde con le cariche e con il manganello. Come dicevo, nel settore vitivinicolo, un fiore all'occhiello della produzione italiana, l'aumento è stato del 4 per cento e certamente avrà una sua ripercussione negativa, soprattutto sul piano della concorrenza con i vini di altri paesi europei ed extraeuropei. Penso in particolare a paesi emergenti come il Sud Africa, l'Australia, la Nuova Zelanda, estremamente concorrenziali soprattutto in questa materia. Si consideri inoltre che questo settore, come molti altri, subisce già un ulteriore pesante aumento della pressione fiscale a causa dell'altra imposta iniqua, dell'IRAP, che questo Governo sta tentando di far approvare nell'ambito della manovra finanziaria.
Non possiamo non sottolineare come questo settore venga fortemente penalizzato, così come altri: quello calzaturiero, quello dell'abbigliamento o quello dell'edilizia già massacrato negli ultimi diciotto mesi in maniera violenta. Sono settori portanti per la nostra economia, per la piccola e media impresa italiana. Tutto ciò nonostante questo Governo bugiardo in maniera tracotante avesse dichiarato di voler tutelare tutti i consumi di natura prioritaria. Queste imprese si trovano in


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condizioni veramente drammatiche per la tassazione continua, la mancanza di incentivazione, una politica del credito assolutamente contraddittoria e negativa nei confronti di categorie che creano ricchezza e lavoro, mentre vengono privilegiate le grandi società industriali; penso, per esempio, al decreto sulla rottamazione. Questo è l'indice della politica economica del Governo che vuole saldare la grande imprenditorialità con il mondo sindacale e ci sta riuscendo, ahimè.
Per le imprese, ovviamente, non ci sono che due possibili vie d'uscita: tentare di trasferire sui prezzi l'intero incremento dell'IVA con il rischio evidente di registrare un'ulteriore flessione della domanda oppure contrarre i margini di guadagno. Questa sarebbe, obiettivamente, l'unica condizione nel cui ambito l'impatto inflazionistico potrebbe essere più contenuto. Comunque, in entrambe i casi la produzione - senza voler parlare del mondo del lavoro e dell'occupazione - ne risentirebbe fortemente e negativamente: in un caso, ne risentirebbe nell'immediato, in conseguenza della minore domanda; nell'altro, invece, ne risentirebbe nel medio periodo, considerato che i nuovi margini comporteranno inevitabilmente minori investimenti e scarsi posti di lavoro.
Sono questi i suggerimenti che avremmo voluto dare al Governo con i nostri emendamenti, finalizzati proprio a cercare di migliorare il decreto-legge; eppure, ce lo avete impedito, così come del resto state facendo regolarmente da diciotto mesi. In questo caso, credo che il voto di fiducia sia assolutamente strumentale, perché non esistevano i presupposti per chiederlo. Ricordo che nella seduta di lunedì, nello spazio di un'ora, erano già stati esaminati - e, purtroppo, respinti - ben quindici emendamenti. Evidentemente, però, la decisione di porre la fiducia era già stata presa preventivamente, se è vero, come è vero, che, ad una precisa domanda posta dal collega Vito, il ministro Bogi ha risposto che il Consiglio dei ministri aveva autorizzato la richiesta di fiducia fin da giovedì della settimana scorsa. Quindi, si trattava di una fiducia già precostituita.
Dicevo che non esistevano i presupposti per porre la questione di fiducia; si è quindi trattato di un fatto tattico e strumentale, tipico di questo Governo arrogante, che utilizza sempre lo stesso escamotage, nonostante il Polo e la lega avessero assicurato il numero legale in tante occasioni, compresa la seduta di lunedì, giorno nel quale è stata posta la questione di fiducia.
Paradossalmente, la vostra arroganza sa tanto di ostruzionismo, ostruzionismo al quale noi risponderemo con una ferma opposizione, intransingente e, se del caso, anche ostruzionistica, come in questo caso. Andate avanti su questa strada, portateci in Europa, continuate a massacrare gli italiani con le tasse, tanto per voi l'Europa significa solo tasse e ancora tasse! Non riuscite e non siete riusciti, in due manovre finanziarie, ad incidere in modo strutturale sulle spese dello Stato. Non credo che gli italiani guardino in questo modo al sogno dell'Europa. Gli italiani hanno considerato l'opportunità di sviluppo, di occupazione e di benessere; voi avete trasformato questa opportunità, utilizzandola per saccheggiare le tasche degli italiani, per inasprire le tasse, per scoraggiare l'occupazione.
Diamo una valutazione fortemente negativa di questa ottusa visione dell'Europa e, quindi, di questo provvedimento sull'IVA che ne è conseguenza diretta. Diamo altresì un giudizio fortemente negativo e critico sull'atteggiamento ostile di questo Governo, atteggiamento di chiusura alle forze di opposizione, che pure avrebbero voluto contribuire, con i loro emendamenti, a migliorare questo come altri provvedimenti emanati nel passato, anche più recente.
Se il Governo continuerà su questa strada, non si aspetti da noi atteggiamenti supini, che non fanno parte di questa opposizione. Su questa strada e con questi presupposti non si va da nessuna parte e non si fanno le riforme. È ora che il

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Governo faccia un esame di coscienza (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gambato. Ne ha facoltà.

FRANCA GAMBATO. Il provvedimento di cui ci stiamo occupando è stato giustificato dal Governo e dal ministro con tante falsità. Si tratta di un decreto che avrebbe potuto essere predisposto a fine dicembre e, quindi, entrare in vigore a gennaio 1998. Il ministro ha spesso dichiarato che, per quanto riguarda le entrate fiscali del 1997, sono state rispettate le previsioni. Ad esempio, ha affermato che i dati relativi al mese di settembre risultano addirittura superiori alla tendenza prevista dal Governo. In realtà, crediamo che questo decreto sia stato anticipato perché si era posto il problema di minori entrate rispetto alla previsione. Non a caso, l'IVA aveva fatto registrare riduzioni di entrata già nel primo trimestre 1997; il problema delle minori entrate, quindi, riguardava proprio l'IVA, il cui gettito ha subito un decremento dovuto, a nostro avviso, al cattivo andamento della congiuntura economica.
Inoltre, il ministro ha dichiarato che si sono volute ridurre le imposte sui redditi ed aumentare quelle sui consumi. Anche in questo caso che non può non essere considerato la riduzione delle imposte avverrà con riforme al 1998 ma con benefici che non si potranno determinare immediatamente in tale anno, in quanto nel 1998 non saranno ancora versati gli acconti. Ancora, non si tiene conto del fatto che nel 1998 sarà introdotta l'IRAP, questa specie di imposta sui redditi che graverà sui contribuenti come imposta diretta.
Tutto questo ci fa capire come quelle del ministro siano affermazioni non veritiere e, come le dichiarazioni rese, siano servite a nascondere la realtà dei fatti, non ammettendo la necessità di far fronte a maggiori spese senza ridurre le entrate. Abbiamo assistito ad operazioni, quale quella del ripianamento dei debiti della Sicilcassa, che rientrano nella tipologia delle operazioni clientelari vecchia maniera, veterodemocristiana, ed ora constatiamo come si preferisca aumentare l'IVA, gravando ulteriormente sulle famiglie e sulle imprese, piuttosto che realizzare una precisa inversione di tendenza. Siamo in presenza, in sostanza, della solita logica del Governo.
L'IVA è stata aumentata in settori fondamentali dell'economia, quali quelli del commercio e dell'edilizia, e ci si giustifica dicendo che nella finanziaria saranno inserite misure finalizzate ad offrire contributi a tali settori. Non posso non osservare come l'importo dell'IVA gravi sulle famiglie e sui consumi, mentre eventuali agevolazioni sarebbero a favore degli imprenditori, non certo medi e piccoli ma dei grandi imprenditori che, in modi diversi, sostengono la politica del Governo. Non credo sia fuori luogo parlare di clientelismo, dato che i contributi, se mai saranno distribuiti, lo saranno in base a criteri decisi dal Governo, che senz'altro guarderà nelle direzioni più convenienti al fine di destinare i contributi stessi.
Non possiamo assolutamente condividere questo modo di fare politica, un modo estremamente dirigista, legato ad un concetto di economia pianificata, come abbiamo sentito auspicare negli anni scorsi in certi paesi dove abbiamo potuto constatare gli effetti terrificanti prodotti da questa logica.
Tutto ciò, ovviamente, va a scapito dei consumatori e delle famiglie, magari di quelle a basso reddito, di cui il partito di rifondazione comunista, che sostiene il Governo, si proclama garante e paladino. Il tutto è finalizzato a fare in modo che certe associazioni di categoria vivano e possano distribuire contributi a pioggia, magari a quelle associazioni che controllano un gran traffico di tessere di partito.
Si tratta di un'operazione scandalosa ed inaccettabile, soprattutto falsa, visto che si dichiara di operare in direzione di un rinnovamento della politica economica


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mentre si finisce per cadere in atteggiamenti che ricordano quelli di Craxi e dei suoi amici.
È poi significativo il fatto che lo stesso ministro abbia ammesso che l'armonizzazione delle aliquote IVA potesse essere effettuata riducendo l'aliquota ordinaria dal 19 al 18 per cento ed innalzando le altre aliquote sempre al 18 per cento, sostanzialmente a gettito invariato. Perché allora non si è agito in questa direzione, anche in considerazione del fatto che è stato dichiarato - e si continua a farlo - che l'unico fine del decreto è di armonizzare le aliquote secondo i criteri europei?
Invece si doveva arrivare ad un introito maggiore, sempre per coprire perdite e per non voler cancellare spese inutili di tipo clientelare ed assistenzialista. Abbiamo anche l'impressione che l'aumento dell'imposta sul valore aggiunto sostituisca l'eurotassa che non si può continuare a chiedere ai cittadini in questa forma nei prossimi anni.
Abbiamo assistito a tanti episodi scandalosi come quelli del Banco di Napoli e della Sicilcassa. Probabilmente sarà necessario finanziare anche altri tipi di banche, come il Banco di Sardegna: lo sapremo nei prossimi mesi. Comunque, è certo che in Italia, ogni volta che si parla di tassa una tantum ci si trova poi davanti ad una realtà permanente.
Siamo convinti che il provvedimento oltre ad essere negativo non serva nemmeno a garantire l'ingresso in Europa che è stato sbandierato nei mesi scorsi con tanta sicurezza. È di questi giorni la notizia che la Banca centrale tedesca, la Bundesbank, ipotizza un'Europa a due velocità, per cui sarebbe ancora possibile per l'Italia venire collocata nella serie B. Abbiamo sentito ieri Prodi affermare, nella riunione con i deputati della maggioranza, che non siamo ancora matematicamente sicuri di avercela fatta ad entrare in Europa. Certo, l'obiettivo del 3 per cento del rapporto debito-PIL potrebbe essere raggiunto con trucchi di bilancio, come è avvenuto nelle passate e in questa finanziaria. Però, sarà duro far accettare ai partner europei un consolidamento del debito pubblico che galoppa ormai oltre i 2 milioni e mezzo di miliardi e aumenta ogni giorno.
Anche con questo provvedimento riteniamo sia difficile entrare in Europa. Tra l'altro siamo fuori dal sistema competitivo, con le nostre aziende costrette a subire una pressione fiscale inverosimile, che si aggira intorno al 57 per cento.
Si è parlato in questi giorni del clima di regime che si respira nel nostro paese. Proprio ieri abbiamo assistito ad episodi gravissimi di repressione da parte della polizia nei confronti degli agricoltori che lottano per vedere riconosciuti i loro diritti. Vorrei dedicare questo mio intervento agli allevatori che stanno trascorrendo i giorni e le notti al freddo per difendere le loro aziende e il futuro dei loro figli, sapendo che vi sono truffe di Stato rappresentate dalle false quote distribuite per immettere sul mercato latte mai munto in stalle inesistenti da mucche fantasma.
Alcuni giorni fa il Presidente del Consiglio Prodi... (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia e della lega nord per l'indipendenza della Padania).

IGNAZIO LA RUSSA. Brava, la più giovane!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Frau. Ne ha facoltà.

AVENTINO FRAU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che il senso di questo dibattito, che viene valutato volta per volta positivamente o negativamente, stia nella difficoltà di esprimere la nostra sfiducia a un Governo che chiede la fiducia e la chiede come un atto politico su qualunque cosa, a differenza dei tempi andati in cui si verificava in occasioni eccezionali. La richiede continuamente per farne non uno strumento di verifica politica, come sarebbe opportuno e doveroso, ma per ridurre le possibilità di dibattito del Parlamento e contro un'opposizione


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che vorrebbe collaborare all'elaborazione delle leggi, per impedirle di discutere, di migliorare ed emendare i provvedimenti legislativi. Il voto di fiducia diviene un elemento per caducare qualunque tipo di volontà legislativa. Del resto esso serve anche alla stessa maggioranza, o meglio al Governo nei suoi rapporti con la maggioranza, allorché le impedisce le stesse cose che impedisce all'opposizione. La tiene insieme con i voti palesi, con la mitologia della maggioranza, non creando alcun motivo che possa far sì che anche al suo interno si possa discutere, si possa manifestare qualche dissenso, la si rende silenziosa, muta al proprio interno per farle gridare la propria unità all'esterno.
Quindi, non si consente al Parlamento di esercitare pienamente il suo ruolo, lo si marginalizza; il Parlamento non è più il centro del dibattito politico, il nucleo centrale del paese dove il concetto di rappresentanza viene esaltato, ma diventa il luogo in cui ogni cosa è eccessiva, un centro di ratifica più che di dibattito, dove viene meno il rapporto dialettico - anche se questo è di per sé collaborativo per cui rientra in qualunque valutazione del rapporto tra maggioranza e opposizione - e costruttivo di ogni opposizione (di ogni e non di questa opposizione). Quindi, l'opposizione viene giudicata non per ciò che è realmente ma piuttosto per quello che appare alla maggioranza, come se il Governo o la maggioranza dovessero darle un voto.
Da questo punto di vista è significativo quanto è stato scritto su l'Unità di oggi: «Si dimostra che il Polo dei conservatori» - parla di noi naturalmente - «sia veramente allo sbando, privo di luce politica, di modelli di comportamento, di nozioni sufficienti a svolgere adeguatamente il proprio ruolo. Mi riferisco a questi giorni di ostruzionismo alla Camera contro il decreto che cambia le aliquote dell'IVA». Più avanti si legge: «L'obiettivo è di contrastare l'approvazione di un provvedimento economico settoriale adottato dal Governo per completare la manovra finanziaria e uniformare l'Italia ad alcune normative europee. L'ostruzionismo è stato realizzato in forme esagitate, nel tentativo di dare al paese l'impressione di un drammatico scontro di idee ai vertici della politica italiana, ma senza successo». E più avanti ancora: «Non era immaginabile che un giorno ci sarebbe stato l'ostruzionismo sull'1 per cento di aumento delle tasse sui superalcolici». Quest'ultima frase ci dà la dimensione della falsità di rappresentazione dei problemi, come se noi fossimo qui a discutere per l'1 per cento di aumento dell'IVA e non invece per tutto ciò che c'è dietro questo provvedimento, che viene così vergognosamente mascherato.
Siamo spesso polemici contro la cosiddetta stampa di regime: personalmente non considero l'Unità un giornale di regime, lo consideravo serio, un quotidiano espressione di un partito politico. Ebbene, si vede che la malapianta germoglia frutti ovunque, per cui siamo arrivati alla mistificazione completa nei confronti non solo dei cittadini ma anche degli iscritti del partito di maggioranza relativa (posto che lo sia).
Si vuole che l'opposizione sia una specie di orpello della maggioranza, ma così non è. Però è arduo - questo lo riconosco - fare un'opposizione costruttiva laddove si cerca di correggere un itinerario difficilmente correggibile, perché è obiettivamente complicato emendare qualcosa che nasce da una diversa concezione; e dal Governo ci divide proprio una diversa concezione dello sviluppo. Una concezione economica, quella del Governo Prodi, che è basata su una visione antica, superata e che vorrei definire veterocomunista, se non fosse stata anche veterodemocristiana; una concezione statalista che non tiene conto del fatto che un paese per estrinsecare la propria capacità di sviluppo non può essere arginato, non può essere coatto dentro i limiti di una burocrazia e di uno statalismo imperante che, peraltro, viene condannato, almeno a parole, dagli stessi che poi lo propugnano.
Questa politica, diversa da quella che noi vorremmo, è basata su una concezione

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profondamente diversa: è basata sulla pressione fiscale, su una situazione per cui, proclamando di voler rincorrere l'evasione fiscale, in realtà, altro non si fa se non continuare a pressare fiscalmente coloro che già lo sono, cioè quei mondi che rappresentano elementi positivi nell'economia italiana, che rappresentano la nostra voglia di lavorare, di produrre, di guadagnare e che sono sempre gli stessi ad essere sottoposti al taglieggio fiscale di questo Governo e di quelli che lo hanno preceduto. E questo taglieggio fiscale serve per consentire, a sua volta, una spesa pubblica incontrollata, sulla quale tutti abbiamo da dire, maggioranza e opposizione, ma che non si riesce a condizionare. Al contrario dei dati recenti vediamo che essa aumenta e che, comunque, tutti i provvedimenti decisi dal Governo, apparentemente per ridurre la spesa pubblica, in realtà non l'hanno assolutamente ridotta (farei riferimento a quanto diceva il collega Costa stamane quando esaminava come nel concreto si sia di fronte non solo ad una non riduzione della spesa pubblica ma, addirittura, ad un ampliamento della spesa).
E tutto questo punendo i ceti medi produttivi e taglieggiando quella libertà economica che è alla base dello sviluppo di ogni paese; quella libertà economica individuale, sociale che è alla base non solo dell'iniziativa di ognuno ma anche dell'esistenza di una realtà democratica, di un paese democratico e di un principio democratico, cioè quello per cui le strutture di servizio, anche quelle politiche, anche quelle rappresentative, sono comunque al servizio del cittadino e di chi opera all'interno del nostro paese. Tutto ciò, va detto, viene fatto con le dichiarazioni dei cosiddetti moderati - tipo Ciampi, Dini e taluni dei popolari - i quali hanno un ben strano atteggiamento (basti pensare a quello avuto recentemente da Ciampi): quello di firmare accordi con rifondazione comunista per portare l'orario di lavoro a 35 ore, per fare un programma di governo, per portare avanti la vita di questo Governo così vulnerata dagli atteggiamenti che rifondazione aveva assunto, salvo fare velocemente marcia indietro; e Ciampi dichiara, di queste cose, che si tratta di bestialità economiche.
Dobbiamo dire, però, che non si tratta solo di un problema di rapporti tra rifondazione comunista e l'Ulivo: il vero problema è la cultura che sta alla base di questo, che sta alla base del partito democratico della sinistra, e non solo di rifondazione comunista. Infatti, sarebbe troppo comodo limitare il problema ad un alleato scomodo, quando invece il problema è di tutto un assetto politico che ha una cultura politica basata - ripeto - sullo statalismo e sulla incapacità di avere una libertà... (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Frau.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gagliardi. Ne ha facoltà.

ALBERTO GAGLIARDI. Signor Presidente, anche con questo decreto sull'IVA il Governo Prodi, che lei mi risulta appoggi, non smette di combinare guai. Non so se è noto, per esempio, che in questo decreto sono stati radicalmente rivoluzionati i termini per l'emissione di fatture differite ed anche i termini per la loro registrazione e contabilizzazione.
Non telefoni, signor Presidente, altrimenti io mi fermo. Tempo, signor Presidente!

ELIO VITO. Si sta rivolgendo a lei, signor Presidente!

ALBERTO GAGLIARDI. O il Presidente mi ascolta, oppure...

PRESIDENTE. Parli, onorevole Gagliardi.

ALBERTO GAGLIARDI. Io parlo, ma non c'è il ministro, non c'è il sottosegretario Marongiu...


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PRESIDENTE. Scusi, onorevole Gagliardi, ma parli, per piacere.

ALBERTO GAGLIARDI. Dicevo che non so se è noto che sono stati radicalmente rivoluzionati i termini per l'emissione delle fatture differite ed anche quelli per la loro registrazione e contabilizzazione. Dalla data di entrata in vigore di questo decreto, sia in caso di fatturazione immediata - lo diceva proprio il sottosegretario Marongiu - sia in caso di fatturazione differita, in pratica la contabilizzazione della cessione dei beni viene sempre riferita alla data di consegna dei beni medesimi. Cosa accadeva prima? L'articolo 21 della precedente legge sull'IVA, quella del 1972, consentiva ai soggetti e agli imprenditori, che all'atto della consegna dei beni emettevano un documento di trasporto o di consegna, di emettere la fattura entro il mese successivo e di contabilizzare la stessa entro il medesimo termine. Pertanto - per fare un paragone con l'attualità - un operatore che avesse effettuato la consegna di beni in data 31 ottobre, secondo le vecchie disposizioni avrebbe potuto emettere la fattura entro il 30 novembre successivo e effettuare la contabilizzazione della stessa con la liquidazione di novembre, da effettuare entro il 18 dicembre. In sostanza, con la modifica che è stata introdotta da questo disastroso decreto, lo stesso operatore sopra ipotizzato è costretto ad emettere la fattura entro il giorno 15 del mese successivo, cioè il 15 novembre, e con riferimento al mese di consegna, cioè ottobre, periodo di spedizione dei beni. Ciò vuol dire - lo diciamo per il Governo che è a caccia di denaro - che il medesimo operatore dovrà liquidare e versare l'IVA relativa entro il giorno 18 dello stesso mese di novembre.
Cosa succede con queste modifiche? Enormi problemi per le imprese, come se non ne avessero; infatti, prima potevano contare su un termine più ampio per l'emissione e la registrazione delle fatture. Quindi, nuovi lacci e lacciuoli per quelle imprese che il Governo dice di voler aiutare per risolvere uno dei problemi fondamentali di questo paese, cioè quello dell'occupazione (lo dice anche il signor Scàlfaro, ma poi, a quanto pare, firma questo decreto).
Proviamo ad immaginare cosa può succedere in questo momento in una piccola e media impresa che debba consegnare beni da magazzini sparsi sul territorio nazionale e che abbia un unico centro di fatturazione in una sola città. Mentre prima poteva contare su un mese di tempo per far arrivare dalle filiali le bolle di consegna e provvedere alla fatturazione, adesso, per quanto riguarda le consegne alla fine del mese, ha solo 15 giorni di tempo per far arrivare il documento di trasporto ed emettere le fatture che entro lo stesso termine vanno anche registrate. Cosa accade, paradossalmente (è un'indicazione, questa, che diamo al fisco e al professor Marongiu, che non c'è ma che do per presente)? Accade che per emettere le fatture in tempo utile l'impresa non fa più consegne nella seconda metà o, almeno, nella terza decade del mese, il che provoca un danno ad essa, certamente, ma anche al fisco (mi rivolgo a lei, sottosegretario, sperando che se ne intenda, perché secondo noi il fisco non se ne intende, di queste cose). Dunque, anziché veder anticipato l'incasso di 15 giorni lo vede posticipato di un mese, e questo vale non solo per l'azienda ma anche per il fisco o per il Visco. Questo è uno dei tanti effetti distorsivi di questo decreto, e noi come opposizione diamo anche un contributo per cercare di cambiare positivamente questo provvedimento disastroso. Dunque, opposizione costruttiva, anche se io sono per l'opposizione dura, per cui mi compiaccio che la lega sia coinvolta e che con essa finalmente il Polo abbia ritrovato unità su questa posizione (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia). Chiediamo quindi, come opposizione costruttiva, di rivedere questo punto che, credo, corrisponda all'articolo3.
Per quanto riguarda la revisione delle aliquote, critichiamo, come è ovvio, l'abolizione dell'aliquota al 16 per cento e la sua sostituzione con quella al 20 per cento


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(vedremo poi se il costo della vita continua a diminuire come ci raccontano Ciampi e soci) su generi di largo consumo tra cui le calzature, l'abbigliamento (sono genovese come il Presidente Acquarone), che costituiscono degli aggravi per i consumatori analogamente agli aumenti dal 19 al 20 per cento per altri generi, tra cui in particolare la benzina, le sigarette, le utenze telefoniche, le automobili, i motocicli, i mobili, gli elettrodomestici, che mi sembrano tutti beni di consumo abbastanza diffusi. Mi si dice che in certe città si stanno organizzando proteste di piccoli proprietari per quanto riguarda l'aumento del cemento.
Non è stata colta, quindi, l'occasione per una razionalizzazione del settore alimentare, con una diversificazione tra i vari generi talora indiscriminata. Rimangono poi problemi di lettura in ordine alle aliquote ridotte che continuano a richiamarsi alle vecchie tariffe doganali e non alla tariffa comune: su questo basta informarsi dagli operatori ma non ho ben capito il ministro «fisco» con chi parla quando fa questi decreti! C'è Marongiu, che era un marciatore antifisco ed ora è un marciatore filo-Visco, che queste cose dovrebbe saperle: mi dicono peraltro che è stato presente in quest'aula.
In sostanza, direi che, lungi dal semplificare, come era stato promesso dal ministro Visco, dal Presidente Prodi e da tutti i ministri al momento del loro insediamento, questo decreto ha ampiamente complicato la vita degli addetti al settore fiscale, degli operatori economici e contribuisce, se ce ne fosse bisogno, ad aggravare la situazione generale ed economica del paese. Governo Prodi, complimenti, a quando le dimissioni? (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Mi dicono, però, che ho ancora del tempo a disposizione; siccome lei, Presidente, si distrae, vorrei sapere: quanto tempo ancora ho a disposizione?

PRESIDENTE. Un minuto e 38 secondi.

ALBERTO GAGLIARDI. Allora proseguo; peccato che non c'è il nostro amico professor Marongiu, che conoscevamo come un grande marciatore antifisco, anche per farsi la propaganda politica che gli è servita per diventare un personaggio pubblico; tuttavia, alle elezioni di Genova (forse non lo sa nessuno), il professor Marongiu, capolista della lista Dini, non è risultato eletto ed è stato battuto da un aitante giovane, credo una volta suo portaborse. Il professor Marongiu, quindi, non è stato neanche eletto consigliere comunale di Genova (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia) e questa mancanza di rappresentatività dovrebbe avere qualche conseguenza politica, se siamo in democrazia.
Credo quindi che il problema sia verificare (ritengo di dare così un contributo al Governo), almeno per questa parte, se un Governo così accortamente rapace nel raccogliere denaro dagli italiani apporterà una modifica che avvantaggia le aziende ed anche il fisco. Vediamo quindi se il sottosegretario riporta al ministro Visco questa indicazione di forza Italia, cioè di un'opposizione costruttiva. Mi dispiace di non vedere Marongiu, perché vorrei capire...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Gagliardi.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Russa. Ne ha facoltà.

PAOLO MAMMOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ho già dato la parola all'onorevole La Russa.

IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'oratore che mi ha preceduto ha insistentemente fatto ricorso ad invocazioni nostalgiche verso il sottosegretario Marongiu, ahimé assente e non per colpa nostra; io guardavo ammirato l'imperturbabilità del sottosegretario Sales, che non aveva motivo di intervenire perché, benché fosse lui presente, si evocava un sottosegretario che l'aveva preceduto in aula. Se Marongiu non è stato eletto, invece il buon sottosegretario Sales


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è stato eletto a rappresentare qui l'intero Governo e ci deve sorbire: non so come si chiami di nome, ma se si chiamasse Francesco potrebbe forse aspirare ad essere beatificato come S. Francesco di Sales, perché, se noi siamo qui almeno per fare opposizione, lui è lì a prendersi i nostri interventi più o meno dilatori...

MASSIMO MARIA BERRUTI. Però somiglia a Bersani!

IGNAZIO LA RUSSA. Mi auguro per lui che questo non sia l'unico motivo di competenza del sottosegretario Sales!
Ma veniamo al merito dell'intervento: nella mia dichiarazione di voto, Presidente... A me piace, però, questo Presidente, perché sa che, se parla al telefono, noi ci fermiamo...

PRESIDENTE. Il tempo, però, vale.

IGNAZIO LA RUSSA. Questo lo vedremo alla fine.
Nel merito, dicevo, non ho difficoltà ad esternare il voto contrario mio personale, ma mi hanno preceduto e mi seguiranno altri colleghi del gruppo di alleanza nazionale e del Polo fermamente convinti che questo decreto non debba essere convertito, soprattutto perché, a fronte dell'aumento del peso fiscale, sono false le ragioni addotte, anche in televisione, per esempio dall'onorevole Mussi, in base alle quali, se questo decreto non venisse convertito, ahimè non entreremmo in Europa. Dramma, anzi psicodramma da film addirittura!
È assolutamente falso; abbiamo anzi la ferma convinzione che questo decreto, aumentando l'IVA, farà crescere l'inflazione e la porterà a un livello tale (forse addirittura al 3 per cento entro l'anno prossimo) da rendere, esso sì, problematico un nostro ingresso serio nel palcoscenico europeo. La verità qual è? È che questo Governo ha scelto una politica ormai costante, quella del prelievo fiscale con assoluta indifferenza ad ogni e qualsiasi conseguenza economica e sociale del proprio intervento. Sappiamo benissimo che l'obiettivo di entrare in Europa è importante, l'abbiamo detto più volte, ma questo obiettivo non poteva e non doveva essere raggiunto attraverso una mera sequela di inasprimenti fiscali, addirittura più alti, come in questo caso, di quanto le stesse direttive comunitarie prescrivano. Nessuno ci obbligava a portare l'IVA al 20 per cento, né a farlo prima del 1998: si tratta peraltro non di un ruolo da primi della classe, ma di incapacità di soluzioni alternative al mero prelievo fiscale per raggiungere un obiettivo agognato, ma nello stesso tempo via via più difficile proprio a seguito di questi errori.
Non credo, però, caro Presidente, di avere bisogno di dilungarmi molto sui motivi di contrasto in ordine alla conversione di questo decreto, perché qualche oratore ne ha già parlato e qualcun altro ne parlerà ancora, fino all'ultimo. Vale forse la pena, allora, soffermarsi invece sul clima di questo braccio di ferro che ormai dura da più di due giorni e che durerà ancora delle ore. Questo clima è iniziato con un atteggiamento di sfida, tra l'altro ingiustificata, anche eccessivamente sbandierata da parte di un esponente di grande rilievo dell'area di sinistra, segnatamente del capogruppo del PDS, con una sorta di diktat: bene, se volete discutere, lo facciamo di notte, vediamo fin dove arrivate. Ebbene, qualcuno assumeva che questa opposizione non fosse in grado di svolgere il proprio ruolo, dimenticando che nei banchi del centro-destra ci sono persone che l'opposizione l'hanno fatta per quarant'anni ed altri che sono pronti a farla per quattro giorni, quattro mesi o, se fosse necessario ma non vuole essere un augurio, per altri quarant'anni, ma anche dimenticando che, se vi è qualcosa che può facilitare uno spirito adatto a fare un'opposizione forte, è proprio la sfida, una sfida lanciata forse inutilmente ma provvidamente per noi. Infatti ci ha consentito di saldare l'opposizione forte che si sviluppava in Parlamento con l'opposizione altrettanto forte che si sta manifestando nel paese proprio negli ultimi giorni. Questo ci dicono eloquentemente gli schizzi di melma lanciati sugli incolpevoli


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agenti delle forze dell'ordine, che devono raccogliere i fetidi lanci indirizzati solo materialmente nei loro confronti ma che virtualmente sono rivolti a questo Governo. L'opposizione degli agricoltori si sta saldando con l'opposizione in Parlamento, la quale a sua volta sta raccogliendo - come è naturale che sia - tutta l'area antagonista alla sinistra.
Vedete, cari amici, oggi la vostra sfida ha fatto comprendere a tutti che qualsiasi differenza esista e permanga tra i banchi dell'opposizione (segnatamente tra il Polo e la lega) in politica vi è una regola costante: le opposizioni hanno il dovere di saldarsi quando è in gioco la libertà e la possibilità che chi governa traduca la propria azione nella nascita di un regime limitativo degli spazi di libertà economica, sociale e individuale. Non vi è dubbio: abbiamo da ringraziarvi, così come devono ringraziarvi gli italiani per averci dato l'occasione di manifestare la nostra profonda avversione alla vostra politica economica e la nostra capacità di forte iniziativa politica di opposizione.
Ma non credo che finirà così, soltanto con la conversione o la decadenza del decreto. Devo dire che probabilmente alla fine - anche grazie a qualche discutibile interpretazione circa i termini di conversione - il decreto passerà. La scorsa notte si è addirittura fatto ricorso alla contrazione di quei tempi tecnici che danno dignità al Parlamento: un'ora per pulire, zero ore per mangiare...) Per carità! Possiamo anche arrivare vicini alla scadenza che voi avete fissato un po' arbitrariamente come limite ultimo per la conversione, ma molto probabilmente il decreto sarà convertito. Sarà però una vittoria di Pirro. La vittoria di chi avrà manifestato di fronte al paese la propria volontà prevaricatrice nei confronti dell'opposizione e soprattutto nei confronti delle aspirazioni del ceto produttivo (e dei relativi lavoratori dipendenti) di poter continuare ad esistere. Vi ringraziamo per questa vittoria di Pirro che probabilmente vi prenderete! Vi costerà molto cara!
È difficile, quando si vuole a tutti i costi cercare di realizzare una politica liberticida (in termini sia di economia che di libertà individuale), continuare a mistificare attraverso i media ciò che avviene. In queste occasioni i cittadini capiscono, qualunque cosa dicano Mussi, la vostra televisione o i vostri giornali. La gente capisce. Perché, caro Presidente, si può ingannare tutti per un po' di tempo o qualcuno per sempre. Ma non si può ingannare tutti per sempre. È il vostro destino (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

AMEDEO MATACENA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMEDEO MATACENA. Presidente, sta succedendo un fatto assai grave nel nostro paese, che credo non possa passare inosservato in quest'aula...

PRESIDENTE. Onorevole Matacena, il suo richiamo attiene all'argomento in discussione, cioè al decreto sull'IVA?

AMEDEO MATACENA. Sì, Presidente. Ritengo che riguardi il decreto IVA, con riferimento al settore dell'agricoltura disciplinato dalla normativa in esame.
In questo momento in Italia si stanno ammazzando le libertà pubbliche e private, le libertà dell'individuo. Le televisioni stanno trasmettendo cose assolutamente gravi. L'assenza del Governo...

PRESIDENTE. Onorevole Matacena, io sono obbligato a far rispettare il regolamento!

AMEDEO MATACENA. Presidente, quest'aula dovrebbe tenere un minuto di raccoglimento rispetto a questo assassinio...

PRESIDENTE. Si sieda, onorevole Matacena!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Martusciello.

PAOLO MAMMOLA. Chiedo di parlare.


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PRESIDENTE. Devo dare la parola all'onorevole Martusciello.

PAOLO MAMMOLA. Avevo già chiesto di intervenire, Presidente. Lei mi ha detto che avrei avuto la parola dopo l'onorevole La Russa...

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, onorevole Martusciello. Prego.

ANTONIO MARTUSCIELLO. Signor Presidente, credo che l'opposizione stia dando in questi giorni una prova reale e concreta della sua esistenza e del suo rinnovato legame con la società civile e produttiva. L'opposizione sta conducendo una politica a tutto campo, che va ad intercettare la protesta dei lavoratori che hanno manifestato ieri davanti a Palazzo Chigi e sono stati poi malmenati sull'autostrada a Vicenza. Rispetto alle posizioni di questi lavoratori il Polo e la lega hanno dimostrato insieme solidarietà e vicinanza.
Sulla politica fiscale del Governo l'opposizione sta manifestando un forte dissenso. Il Polo, inoltre, si sta facendo carico dell'esigenza di lottare contro le nuove povertà nel Mezzogiorno, caratteristiche soprattutto di quest'area del paese. Credo quindi che il Polo stia conducendo una grande lotta di liberazione di tutte le risorse che oggi - soprattutto nel Mezzogiorno - non sono valorizzate.
Nel Governo esiste una contraddizione forte e percettibile: a parole si presenta con un programma liberale, ma poi persegue ostinatamente una politica centralista e statalista. Vorrei ricordare soltanto alcuni dei provvedimenti del Governo negli ultimi tempi.
L'IRAP, innanzitutto: ha colpito soprattutto le aziende a maggiore intensità di lavoro e di valore aggiunto; quindi le aziende che garantiscono più elevati livelli occupazionali. Oltre agli aumenti sull'IVA poi, bisogna pensare alla politica delle 35 ore, che in questi giorni è stata criticata dallo stesso superministro dell'economia Ciampi, il quale ha anche smentito le promesse di restituzione dell'eurotassa provenienti addirittura dal Presidente del Consiglio Prodi.
Il Governo con la sua politica aumenta il costo del lavoro del 4,6 per cento a fronte di un incremento delle retribuzioni nette del 4 per cento, il che significa evidentemente penalizzare i lavoratori dipendenti creando un'ulteriore carico sulle aziende. Si mortificano così le realtà produttive del paese. Ciò può provocare, fra l'altro, un blocco dei contratti di lavoro: infatti le aziende, a fronte della politica delle 35 ore, devono reagire dal punto di vista del proprio sostegno economico.
Il Governo ha privilegiato una politica rivolta alle sue classi sociali di riferimento, agli strati che sostengono la stessa struttura e organizzazione della maggioranza; penalizza fortemente e pervicacemente, invece, i settori produttivi del paese. Le opposizioni, quindi, lottano contro una politica che danneggia i settori produttivi e contro una manovra che danneggia fortemente tutto il paese, pregiudicandone l'entrata in Europa attraverso una serie di misure che oltre tutto non producono né equità fiscale né giustizia sociale.
Vi è una cultura politica che usa cavalcare la protesta dei più forti, di coloro che sono abituati a ricevere, non di quelli che sono abituati a scommettere su se stessi, sulle proprie risorse e sulle proprie capacità.
Ecco perché il Governo oggi è in grave imbarazzo: deve confrontarsi con il mondo produttivo, che viceversa è consapevole di quello che sta accadendo. Da qui evidentemente discende la necessità di addormentare il conflitto, tentando di criminalizzare l'opposizione, che viceversa è pronta al confronto in aula. L'opposizione aveva legittimamente provato a farlo nei giorni scorsi, ma il Governo ha ritenuto di richiedere un voto di fiducia, chiudendo così qualsiasi possibilità per l'opposizione, che voleva semplicemente - come è stato ricordato anche prima - dare un contributo al miglioramento di un decreto che, viceversa, penalizza fortemente la realtà produttiva ed economica del nostro paese.


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Abbiamo cercato di dimostrare che esistono delle armi democratiche, nei regolamenti parlamentari, che sono a disposizione del Polo, dell'opposizione. È allora in atto un tentativo teso ad impedire al Polo e alla lega di saldare due culture che sono portatrici di valori presenti nel nostro paese, che sono forti: sono i valori liberali, che sono patrimonio non soltanto del nord di questo paese, ma che sono fortemente insediati anche all'interno della cultura politica e sociale del Mezzogiorno del nostro paese. Si tratta di due aree che in questo momento possono stare insieme e che invece si trovano necessariamente a stare insieme, quando dall'altra parte c'è una maggioranza che è tenuta insieme, viceversa, soltanto da una necessità di potere: comunisti ed ex comunisti, socialdemocratici senza socialdemocrazie, imprenditori, grandi gruppi ed aggregati economici, tutti insieme per schiacciare con arroganza ogni tentativo di opposizione presente all'interno del Parlamento.
Credo che il grande risultato che noi stiamo raccogliendo in questi giorni con la nostra azione politica sia quello di far risaltare una verità, cioè che il paese è vivo, che la società produttiva si sta ribellando e coalizzando intorno a quelle forze che credono che possa ancora riscattarsi.
Noi ci auguriamo fortemente che il Governo non faccia di nuovo l'errore che ha fatto ieri sull'autostrada nei pressi di Vicenza, quando ha impiegato le forze di polizia contro i lavoratori che stavano manifestando per i loro diritti. In quel momento lo Stato, il Governo ha dimostrato di non saper essere portatore di un'esigenza che è di mediazione delle necessità, delle verità e delle volontà che in quel momento il paese stava affrontando. Penso che lo Stato abbia perso la propria dignità nel momento in cui si è fatto rappresentare da un'azione di Governo che ha utilizzato i poveri carabinieri e la povera polizia per mortificare dei lavoratori che stavano semplicemente manifestando a favore di un loro diritto; e oggi ci appare pietoso il tentativo del Presidente del Consiglio di andare a dialogare con loro. Ci auguriamo - ripeto - che il Governo non usi nei prossimi giorni i metodi che ha usato a Vicenza, metodi volti a schiacciare ogni tentativo che sia di contrasto democratico: per la prima volta un Governo di sinistra va al Governo in questo paese e utilizza la polizia per caricare i lavoratori. Mi sembra un fatto gravissimo, sul quale la stessa maggioranza di sinistra dovrebbe avere il coraggio di riflettere (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Ebbene, noi ci auguriamo che tutto questo non accada più, che in questo paese non si apra una fase che sarebbe inquietante per il nostro paese. È per questo che voteremo con forza contro questo decreto, perché è soltanto il simbolo di una lotta che forza Italia, il Polo della libertà, le opposizioni in questo Parlamento fanno e fanno con forza, della lotta per l'affermazione dei valori della libertà e dello sviluppo, che in questo paese avranno sempre diritto di cittadinanza finché ci saranno forze - come quelle del Polo della liberta - che ne saranno interpreti e portatori (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PAOLO MAMMOLA. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLO MAMMOLA. Grazie, signor Presidente. L'articolo 41, primo comma, recita: «I richiami al Regolamento o per l'ordine del giorno o per l'ordine dei lavori o per la posizione della questione o per la priorità delle votazioni hanno la precedenza sulla discussione principale. In tali casi possono parlare, dopo il proponente, soltanto un oratore contro e uno a favore per non più di cinque minuti ciascuno».
Signor Presidente, le avevo chiesto cortesemente e con estremo garbo, prima dell'intervento dell'onorevole La Russa e dopo la conclusione di quello dell'onorevole Gagliardi, di poter intervenire per un


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richiamo al regolamento. Lei ha dato la parola al collega Matacena, che ne aveva fatto richiesta, correttamente, e non mi ha concesso di parlare prima dell'onorevole Martusciello. Rivendico quindi il diritto di intervenire, ai sensi di questo articolo.

PRESIDENTE. Le confesso, onorevole Mammola: nutro dei dubbi che, in sede di dichiarazione di voto, questa sua tesi sia esatta, perché noi non siamo in un momento di discussione principale. Mi riservo di sollevare la questione in sede di Giunta per il regolamento, perché non credo che la sua interpretazione dell'articolo 41 sia corretta. Ad ogni modo, ponga la questione.

PAOLO MAMMOLA. Al di là di questa questione, che lei mi pone, di procedura regolamentare, io volevo intervenire brevemente, avendo già svolto un intervento, precedentemente, richiamandomi all'articolo del regolamento che prevede la presenza obbligatoria del Governo su richiesta dell'Assemblea...

PRESIDENTE. Non la stia a ripetere, perché questa è una forma scorretta di uso di un suo potere. Ha già posto la questione e le abbiamo risposto che il Governo è presente. Per piacere, non insista su questioni inutili.

PAOLO MAMMOLA. Il Governo dovrebbe essere qui nella persona del ministro competente.

ITALO BOCCHINO. Bravo Mammola!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cesaro. Ne ha facoltà.

LUIGI CESARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio voto contrario a questo provvedimento del Governo, che ancora una volta mostra palesemente quello che è il vero e peculiare attributo che lo caratterizza, cioè annullare e rendere il meno possibile efficace la corretta attività delle forze dell'opposizione; lo si intuisce chiaramente dalla frettolosa determinazione della maggioranza di Governo di concludere l'esame alla Camera del disegno di legge di conversione del decreto-legge n.328, senza considerare alcune delle modifiche avanzate dall'opposizione rispetto al testo approvato dal Senato.
Cari colleghi, attraverso i suoi emendamenti tecnici l'opposizione ha cercato di salvaguardare il complesso delle aziende su cui si basa l'economia italiana. Il Governo, invece di discutere i nostri emendamenti, ha posto per l'ennesima volta la questione di fiducia, cercando di zittire l'opposizione. Ci vediamo purtroppo costretti ad utilizzare l'unica forma che ci resta, quella dell'opposizione parlamentare, per rivendicare quei diritti che sono alla base di una democrazia compiuta e che la maggioranza cerca a tutti i costi di negare.
Cari colleghi, il provvedimento del quale stiamo discutendo è un provvedimento che mente, che bara sulla finalità che gli viene attribuita e con la quale è celebrativamente presentato al popolo ed ai contribuenti italiani. Abbiamo detto che il provvedimento è menzognero sulla finalità attribuitagli; e difatti non è per nulla vero che tale manovra sia necessaria per uniformare la nostra legislazione sull'IVA a quella europea.
Sappiamo bene che i vincoli comunitari prevedono il termine del 31 dicembre 1998 quale scadenza per ogni processo di adeguamento della materia in esame agli indirizzi europei. Abbiamo detto che il provvedimento bara sulla finalità che gli è stata attribuita, ed è effettivamente così; uniformare la nostra legislazione sull'IVA a quella europea non può infatti giustificare assolutamente la disposizione dell'aumento dell'aliquota ordinaria dal 19 al 20 per cento.
Cari colleghi, questo è del tutto incoerente, anzi contrastante, rispetto ai menzionati vincoli europei; questi infatti prevedono, a partire dal 1 gennaio 1999, l'adozione di un'unica aliquota nell'inderogabile misura del 15 per cento. Diciamoci la verità, cari colleghi: la filosofia del


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provvedimento è di tutt'altra natura, non è costituita da tali nobili ispirazioni. Lo scopo vero del provvedimento è quello di compensare un calo nelle entrate dell'erario di circa 7 mila miliardi rispetto alle previsioni. Aggiungo che esso non solo è ingiustificato ma non riuscirà neanche a raggiungere questo intento. Infatti, le previsioni degli effetti del provvedimento sull'IVA stimano un gettito per il 1997 di soli 1.500 miliardi; non possiamo allora non esprimere le nostre perplessità sulle scelte operate dal Governo, in special modo per i settori dell'economia che verranno colpiti dall'aumento delle aliquote.
È certamente condivisibile la scelta dell'anticipo della manovra di allineamento delle aliquote nel tentativo di ridurre l'impatto inflazionistico ma è assolutamente ingiustificato, e peraltro scorretto, celarsi dietro tale intervento per operare occultamente una sistemazione dei conti delle entrate tributarie che non tornano rispetto alle previsioni. Sappiamo bene quale risultato comporterà il provvedimento in esame: un ulteriore sacrificio a carico delle famiglie per circa 7 mila miliardi. Ho parlato di ulteriore sacrificio perché esso va ad aggiungersi a tutti gli altri (eurotassa, aumento dell'ICI, addizionale IRPEF e via continuando) che questo Governo ha imposto agli italiani. È un sacrificio stimato in 400 mila lire per famiglia.
Basta proseguire su questa strada: l'Europa è da tutt'altra parte, quella di uno sviluppo che presuppone un peso della pressione fiscale molto più ridotto per rendere la nostra economia competitiva rispetto a quella degli altri paesi europei. Più tasse, maggiore pressione fiscale, significano meno sviluppo e meno occupazione; meno tasse significano più competitività, più sviluppo e più occupazione.
L'aumento dal 15 al 20 per cento dell'aliquota IVA prevista dal decreto-legge n.328 del 1997 compromette ulteriormente la già precaria situazione economica delle piccole e medie aziende. Soprattutto, cari colleghi, quelle del settore edile, tessile, dell'abbigliamento e delle calzature, comparti già di per sé in crisi. Le piccole e medie imprese sono quelle che producono il 60 per cento del PIL e non possono essere penalizzate da una politica fiscale e tributaria incomprensibile. Si stanno colpendo in particolare le piccole e medie imprese del sud, di cui tanto si parla, e che questo Governo certamente non aiuta, sempre più oppresse da oneri fiscali al limite della sostenibilità, che non usufruiscono di incentivi per sostenere lo sviluppo, incentivi che il Governo bada bene ad indirizzare verso tutt'altro settore.
Nel sud la disoccupazione giovanile aumenta vertiginosamente. Nella regione Campania essa raggiunge livelli inverosimili ed il Governo invece continua a penalizzare chi lavora, chi produce e chi porta nel paese interessi, economia, chi dà speranza ai disoccupati. Come è possibile la ripresa economica di cui tanto si parla, se si mettono in ginocchio proprio le piccole imprese, quelle che assicurano oltre la metà delle ricchezze del nostro paese?
Come deputato del XIII collegio della Campania ho molti ulteriori motivi per non condividere le scelte del Governo in merito ai contenuti del decreto-legge n.328, che certamente contribuirà a rendere sempre più difficile la situazione delle numerose aziende che operano nel settore tessile e calzaturiero e che costituiscono un vero e proprio fiore all'occhiello dell'economia campana, quelle che rappresentano l'unica barriera effettiva alla disoccupazione giovanile. Vere e proprie scuole di artigiani, invece di essere sostenute nello sviluppo, vengono sempre più mortificate. Il Governo dovrebbe ridurre, anziché aumentare, l'IVA sui prodotti del comparto calzaturiero.
Nel nostro paese tale mercato è già in forte crisi, tant'è che a causa dell'eccessivo costo della manodopera molte aziende, ad esempio la Superga, si stanno trasferendo all'estero causando disoccupazione e danno alla nostra economia. Il passaggio dell'aliquota IVA dal 16 al 20 per cento, decisa dal Governo, comporterà sicuramente un ulteriore colpo negativo al

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mercato delle calzature. Molte piccole aziende calzaturiere che operano in Campania - e prevalentemente in provincia di Napoli - saranno costrette a chiudere o, per mantenere livelli di competitività, si rifugeranno nell'utilizzo del lavoro nero.
Concludendo, cari colleghi, ritengo che il Governo abbia intrapreso una strada pericolosa, che mortifica le imprese anziché liberare le risorse professionali, imprenditoriali ed economiche, che in quest'anno e mezzo di Governo Prodi sono state continuamente sacrificate (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Masiero. Ne ha facoltà.

MARIO MASIERO. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli deputati, devo confermare la mia opposizione a questo provvedimento...

IGNAZIO LA RUSSA. Non dargli questo dolore!

MARIO MASIERO. ...quella già espressa da tutti i colleghi del Polo e di forza Italia, in quanto esso va in senso contrario ai programmi più volte enunciati dal Governo Prodi.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE (ore 16,15)

MARIO MASIERO. Nel merito, mi riferisco alla questione centrale della situazione politica nel nostro paese, quella dell'occupazione. Si continua a discutere sul fatto che bisogna dare un avvenire ai giovani, che occorre farli accedere al lavoro; si inventano posti fasulli, socialmente inutili; si creano agenzie che non funzionano e non funzioneranno mai; contestualmente si applica il dispositivo di normalizzazione all'Europa per l'IVA, portando le aliquote verso il tetto massimo.
Conseguentemente assistiamo al fatto che gli artigiani fornitori di servizio dovranno applicare un'aliquota del 20 per cento e di fatto si creerà presso gli utenti domestici (parliamo degli idraulici, dei falegnami, dei tappezzieri, eccetera) un mutuo accordo nell'evadere totalmente le imposte. Signor Presidente, arriva il momento in cui, in tutti i paesi pur civili, quando la pressione fiscale diventa insopportabile, si innesca il processo naturale di autodifesa che coincide con l'evasione.
Per evitare tutto questo bisognava avere un po' di fantasia. Bastava vedere quanto accaduto in paesi ad alta democrazia (mi riferisco agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna): oggi ci stiamo dibattendo sui decimali, se è vero che abbiamo un tasso di disoccupazione del 12,5 piuttosto che del 12,8 per cento, mentre in Inghilterra - mediante una politica liberale - la disoccupazione è ridotta al 5 per cento. Negli Stati Uniti, nell'ultimo trimestre, si è creato un numero di posti di lavoro senza precedenti nella storia di quel paese.
Noi, invece di creare posti di lavoro, li perdiamo giorno dopo giorno. Bisogna rendere appetibile fare impresa ed investire capitali di rischio, creando le condizioni necessarie per gestire processi innovativi e di mercato. In un mercato globalizzato sono sicuramente necessari dei punti fermi come la flessibilità del lavoro, la certezza del diritto ed un peso fiscale sostenibile.
Questo provvedimento va nel senso opposto. Di fatto si tende a ripianare il bilancio attraverso l'ennesimo inasprimento fiscale, contro ogni assicurazione fatta dal professor Prodi. Ieri ho sentito la dichiarazione del Presidente del Consiglio che, in merito alle quote latte, diceva che è una situazione drammatica ereditata dai precedenti Governi. È ormai diventato un virus quello di addebitare tutto ai precedenti Governi: non so di quale Governo si parli, se del Governo Dini, Berlusconi, Ciampi, Amato o di quelli precedenti. Ma in questi ultimi ha militato anche il Presidente del Consiglio come ministro dell'industria (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)! È stato presidente


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dell'IRI, il maggior gruppo industriale italiano! Abbiamo una classe politica che siede nei banchi del Governo e che viene da quelle esperienze gestionali.
Se continuiamo a dire che è stata colpa dei precedenti Governi e se coloro che ci governano oggi hanno un cordone ombelicale che arriva fino ad allora, si deve dire che si è gestito male ieri e non si è saputa prevedere la situazione che si sarebbe verificata nel paese.
È di fatto una spaccatura, signor Presidente, che va dagli agricoltori ai medici. Qui ogni settimana abbiamo manifestazioni davanti a questo palazzo che è rappresentativo della volontà popolare, perché evidentemente i cittadini, che sono emarginati dal processo democratico del paese, vengono direttamente in Parlamento in quanto non trovano più riferimento nelle segreterie dei partiti.
Noi ci poniamo come un movimento liberale e stiamo facendo questa lotta di opposizione, legittima, che vede abbracciate forze diverse che vanno dal Polo alla lega nord, perché è una questione di sopravvivenza della democrazia. E quando sento determinati discorsi da parte di colleghi della maggioranza che tendono a diminuire la valenza di questa nostra azione politica, io non sono d'accordo, perché la maggioranza, di fronte alla pesante pressione esercitata dal presidente di gruppo, onorevole Mussi, del PDS in modo arrogante, ha posto noi davanti ad un'unica scelta, quella di andare avanti con una forte azione di opposizione. Credo, signor Presidente, che in un paese serio l'opposizione sia anche una garanzia per la maggioranza, perché la maggioranza deve sapere che regolarmente sarà tallonata da questa opposizione. Non ci saranno più sconti come per l'Albania. Credo che sia decollato un processo di opposizione forte, robusto, perché laddove l'opposizione si è dimostrata responsabile e generosa verso la maggioranza, questa nostra azione è stata ritenuta come un fatto dovuto. Noi non dobbiamo nulla, noi dobbiamo soltanto opporci ad una politica che non ci convince, ad una politica che a nostro avviso non rappresenta gli interessi del paese e dobbiamo essere propositivi con programmi alternativi.
Signor Presidente, signor sottosegretario, in merito a questa manovra debbo dire che sono rimasto ancor di più amareggiato di fronte a questo peso fiscale di incremento dei costi per le famiglie che noi andiamo a portare sui generi indispensabili come il vestiario, le scarpe e tanti altri prodotti che andranno ad incrementare i costi per le famiglie. Dall'altra parte la settimana scorsa il presidente dell'IRI ci ha detto che nel primo semestre la Finmeccanica, un gruppettino di aziende di Stato, nemmeno con un gran fatturato, annovera perdite per 2.200 miliardi. Allora, se da una parte abbiamo 2.200 miliardi di patrimonio di questo paese, dei contribuenti, che viene sperperato perché mal guidato da pessimi boiardi di Stato e dall'altra parte andiamo a rapinare le famiglie sui fabbisogni essenziali, c'è qualcosa che non funziona. Dobbiamo porre questo paese in condizioni di essere gestito in modo corretto, vuoi nelle aziende di Stato, vuoi nella pubblica amministrazione, vuoi nella politica monetaria e fiscale, perché stiamo arrivando ad un punto in cui il paese non può più tollerare oltre, non può più pagare oltre, non può più sopportare oltre un certo limite.
Signor Presidente, credo che questa maratona non sia stata soltanto un esercizio oratorio o un'azione di ostruzionismo pianificato. È stata ed è una manifestazione da parte dell'opposizione per porre dei paletti al processo vessatorio che viene spesso e volentieri dalla maggioranza nei confronti del paese. Imporre continuamente pesi fiscali non facendo intravedere nessuna bonifica della finanza pubblica, non ricorrendo ad interventi strutturali della spesa, ma ricorrendo esclusivamente alla leva fiscale, pone l'opposizione nella condizione di responsabilità di farsi portavoce delle istanze che vengono dal popolo, per porre in evidenza la gravità della situazione del paese ed il fatto che è vero che abbiamo grosse possibilità di entrare in Europa, ma non

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vorrei che ci arrivassimo in condizioni stremate, cioè come un paese stremato che abbia bisogno di ossigeno per sopravvivere. Abbiamo bisogno di andare in Europa a testa alta per rimanerci e questa non è la strada migliore, signor Presidente. Invito il Governo a prenderne atto (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giannattasio. Ne ha facoltà.

PIETRO GIANNATTASIO. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, intervengo anch'io in opposizione al disegno di legge di conversione del decreto-legge 29 settembre 1997, recante disposizioni tributarie urgenti. Ma prima di entrare nel merito specifico della materia, desidero esprimere il mio ringraziamento alla maggioranza, in particolare all'onorevole Mussi, perché con la sua decisione di opporsi così drasticamente alla discussione e allo sviluppo ordinario dei lavori della Camera ci ha consentito di restare qui parecchie notti, suscitando quello spirito di profondissima coesione che certo egli non si attendeva.
Per quanto mi riguarda di persona, confesso che tutta la vicenda mi ha riportato molto indietro negli anni, quando, giovane ufficiale, prima del 2 giugno, festa della Repubblica, io ed il mio squadrone partecipavamo alle prove della parata militare lungo la passeggiata archeologica ed ai fori imperiali. Anche nelle scorse notti si è creato quello spirito di coesione che portava tutti a dare il meglio di se stessi, nella convinzione del dovere compiuto anche in situazioni di disagio. C'erano, ricordo, i venditori ambulanti che ci offrivano i cornetti caldi e certe passeggiatrici che si lamentavano perché la nostra presenza riduceva il loro volume d'affari. Anche qui alla Camera abbiamo avuto i cornetti caldi; non abbiamo avuto, giustamente, le passeggiatrici che facevano mercimonio del loro corpo, ma ci possiamo consolare perché abbiamo in compenso personaggi che fanno mercimonio delle loro ideologie politiche e si vendono al miglior offerente (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia) tradendo il proprio elettorato. Il che ci porta ad apprezzare di più quelle gentildonne che avendo scoperto di stare sedute su un tesoro lo sfruttano secondo le leggi naturali di mercato, cioè quelle della richiesta e dell'offerta.
Ma lascio i ricordi e torno all'argomento in esame. Anche noi stiamo compiendo il nostro dovere come quei soldati che sfilavano in parata il 2 giugno. Non abbiamo le ali di folla plaudente, perché ormai da anni, grazie all'offensiva continua della sinistra ed alla compiacenza dei cattocomunisti, i militari debbono nascondersi, girare in borghese e rinunciare alla sia pur minima manifestazione pubblica. Ma al posto delle ali di folla abbiamo finalmente qualche giornale che si è accorto di noi. E noi stiamo compiendo il nostro dovere, dicevo, nei confronti di quell'elettorato del ceto medio che noi rappresentiamo e che la maggioranza schiaccia continuamente nella cecità della sua concezione economica. Ed un'altra voce si è levata due sere fa qui dentro ad opera dell'onorevole Porcu che ribattendo le argomentazioni di Galli della Loggia sul Corriere della Sera, ha giustamente rivendicato questa nostra rappresentanza del ceto medio, alla quale io aggiungo una nota storica che ritengo adatta alla situazione della notte scorsa.
Cari colleghi dell'opposizione, noi l'altra notte eravamo nella stessa situazione morale e spirituale di quei rappresentanti del terzo stato che prestarono giuramento alla libertà nella sala della pallacorda durante la rivoluzione francese (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia). E di questo dobbiamo essere fieri, legittimati anche da quella decisione della maggioranza che circolava in Transatlantico in merito alla riunione nel cinema Capranica. Se lo avessero fatto, i parlamentari della maggioranza ed il Governo avrebbero dimostrato che cercavano di evitare il Parlamento, che avevano paura di frequentare il Parlamento, ricercando una


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visibilità all'esterno quasi a compensare questa ferma coesione dell'opposizione.
Mi avrebbe meravigliato il fatto che gli strateghi del comunismo, indottrinati dalla scuola delle Frattocchie, non avessero valutato prima a tavolino le reazioni determinate da questa condotta dissennata sulla vicenda della fiducia proprio sul provvedimento riguardante l'IVA. Poi, con la precisazione del Presidente Petrini, si è appreso che c'è stata una corsa ai ripari, evitando la ricerca di un locale, il teatro Capranica, dove le sceneggiate sono di casa e dove i pennaioli di partito avrebbero consumato litri di inchiostro per riempire le colonne di giornali della grande industria e della falce e martello.
Desidero soprattutto richiamare l'attenzione su alcuni interventi previsti da questo decreto-legge, interventi che ledono in modo particolare l'attività produttiva delle piccole imprese, comprese quelle costituite sotto forma di cooperativa. Non è una novità che presso stabilimenti di confezioni (camice e scarpe) esistano stock di manufatti già realizzati e pronti per la vendita, con prezzi di listino già comunicati sulle normali vie del mercato. È impensabile, a questo punto, che le imprese ed in particolare le cooperative possano aumentare i prezzi alla clientela, pena la perdita della stessa clientela. Ne deriva, quindi, per l'imprenditore l'esigenza di accollarsi l'aumento dell'IVA dal 16 al 20 per cento, con perdite che supereranno sicuramente i 5 milioni di lire, come nel caso di una semplice cooperativa di camiciaie che oso citare, perché opera nel comune di Camerano, in provincia di Ancona. Ho voluto indicare un esempio concreto, di limitata entità, perché assurge a valore emblematico in un paese piccolo come Camerano, di circa 6 mila abitanti, dove tale cooperativa costituisce non solo un esempio storico di imprenditoria sociale, risalente addirittura a prima della grande guerra, ma anche perché rappresenta un punto fermo per l'occupazione che si tramanda nelle famiglie di madre in figlia. Quale soluzione allora per questa gente, se non quella di ridurre il personale e di aumentare la disoccupazione, oppure quella di passare al lavoro nero? Qual è allora la ratio di questo provvedimento? Altro che migliorare l'economia! Qui ci si contraddice nei termini e nei principi, a scapito sempre della povera gente e non certo delle grandi industrie che beneficiano delle leggi sulla rottamazione o della cassa integrazione regalata a brevissimo tempo.
Ma l'argomento non è soltanto questo, perché ve ne è un altro contenuto nell'ordine del giorno n.9/4297/66 con il quale si chiedono misure compensative dell'inasprimento fiscale nei confronti dei mosti dell'uva. Vi è inoltre un altro settore di interesse specifico per l'Italia: quello relativo all'estensione dei benefici previsti per gli enti locali alle comunità montane. Non è una scoperta l'affermazione che la configurazione geotopografica della nostra nazione è tale da avere superfici montane superiori al 30 per cento di quelle pianeggianti; addirittura, se aggiungiamo anche la zona collinare, abbiamo un totale di 23 mila ettari contro i 7 mila ettari di pianura. Non è un mistero che le zone montane vengono sempre più abbandonate dalle popolazioni, proprio perché le condizioni di vita di per sé già difficili, non trovano alcuna compensazione, né sostegno da parte del Governo.
Vi è infine un altro punto che voglio trattare. Vi è un ulteriore settore che interessa l'aspetto culturale: quello per niente trascurabile dei giovani. Mi riferisco all'aggravio dell'IVA sui materiali audiovisivi, strumenti musicali, dischi, nastri e videocassette. Voglio ricordare a questo proposito un vecchio provvedimento che risale agli anni 1956-1957, quando un Presidente del Consiglio, il defunto onorevole Tambroni, ebbe il coraggio di ridurre il prezzo della benzina. Ebbene, quello fu un provvedimento lungimirante che naturalmente ebbe breve vita, ma che produsse subito un balzo in avanti dell'economia. Un esempio che suggerisco a questo Governo come colpo d'ala per dare veramente agli italiani la sensazione di non essere in mano a caporali di fureria,

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capaci solo di somme e sottrazioni... (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Giannattasio.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vitali. Ne ha facoltà.

LUIGI VITALI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, abbiamo già denunciato ed anticipato le motivazioni per le quali voteremo contro la conversione in legge di questo decreto-legge, durante la discussione dei numerosi ordini del giorno presentati dall'opposizione, dal Polo per le libertà.
Anche per dare una tonalità diversa ad una discussione che si protrae dalle ore 20 di lunedì scorso, mi prenderò la libertà storica, con il consenso del Presidente e dei colleghi, di fare il punto della situazione nella quale oggi ci troviamo. Allo stato, ci troviamo ad annaspare sulle spalle soprattutto dei ceti più deboli, quei ceti medi che probabilmente in gran parte forse avevano creduto che il primo Governo di sinistra di questa Repubblica avrebbe potuto alleviare le sofferenze alle quali erano stati abituati.
Voglio partire da lontano, anche se rispetterò i tempi che mi sono stati assegnati. C'era una volta il partito comunista italiano, che, al di là delle tesi di Marx, di Stalin, di Lenin, di Trotzkij e di quant'altri, nell'immaginario collettivo di certe classi sociali era il partito che tutelava gli interessi dei lavoratori. Era il partito che in maniera anche semplicistica ma efficace toglieva ai ricchi per dare ai poveri; un partito che è sempre stato ufficialmente all'opposizione, anche se ha sempre partecipato al famoso consociativismo nelle maggioranze di questa Repubblica.
Oggi abbiamo da una parte il PDS che avoca a sé una cultura socialdemocratica e, dall'altra, il partito della rifondazione comunista, che ha pensato bene, avendo ereditato i principi del comunismo reale, di non tutelare tutta la classe operaia, ma soltanto quella dei metalmeccanici, persone che hanno diritto ad avere il rispetto e la stima di noi tutti, ma (va detto altrettanto energicamente) non sono gli unici lavoratori del paese, né i soli a svolgere lavori usuranti. Quello che è cambiato è il principio, nel senso che non si tratta più di una sinistra che leva ai ricchi per dare ai poveri, ma che leva ai poveri per dare ai ricchi: questa è la differenza straordinaria che si è creata nella maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)!
Se dovessi citare, signor Presidente, onorevoli colleghi, un solo caso nel quale il Governo ha fatto una politica per incrementare l'occupazione; un solo caso in cui questo Governo ha fatto una politica per incentivare gli investimenti, che creano occupazione; un solo caso in cui questo Governo ha fatto una politica per venire incontro ai ceti medi, a quelli cioè che sostengono l'economia del paese, non trovo un solo esempio, un solo caso, al di là di un tentativo demagogico rappresentato dai lavori socialmente utili. Questi ultimi sono peraltro un'offesa per i nostri giovani, perché non soltanto vengono illusi di avere un lavoro, che non avranno, ma dopo dieci-dodici mesi vengono rigettati nella disperazione. Di contro, colleghi parlamentari, ho visto il Governo molto attento alla politica dei grandi centri di potere, molto attento alle esigenze di casa Agnelli e della FIAT, che non sono sicuramente le esigenze della classe operaia o dei lavoratori: questa è la politica di sinistra (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale). E abbiamo dovuto aspettare 50 anni per provare ai nostri concittadini, agli elettori quale fosse la verità. Ma nella politica economica, di cui questo decreto IVA è parte essenziale, si nasconde un'altra grave constatazione, si nasconde, colleghi, una dichiarazione di fallimento di questa maggioranza e di questo Governo, una dichiarazione di incapacità di combattere l'elusione e l'evasione. Il Governo è incapace di combattere l'elusione e l'evasione e colpisce, invece, i ceti medi, gli unici che fino ad oggi hanno assicurato il


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minimo gettito alle casse di questo Stato. Lo stesso 117, il tanto famigerato 117, che è stato un fiore all'occhiello del ministro Visco ed avrebbe dovuto far scoprire chissà quali evasioni per migliaia di miliardi nelle casse dello Stato, si è ridotto, signor Presidente della Camera, onorevoli colleghi, a scoprire qualche poveraccio che non ha emesso lo scontrino fiscale o qualche contribuente che lo ha lacerato prima di lasciare l'esercizio commerciale. Anche questo denota l'incapacità di questo Governo di porre mano con serietà, con coerenza, con correttezza alle problematiche.
Dunque, il ceto medio può essere colpito, per lorsignori, perché non ha alle spalle la potenza del sindacato italiano; sindacato, onorevole Presidente, che nella storia del nostro paese rappresenta una chicca. In tutti gli Stati occidentali e democratici il sindacato si è sempre messo in una posizione equidistante tra i lavoratori ed il Governo, ha cercato di fare sempre gli interessi dei lavoratori; invece, il sindacato italiano è funzionale e determinante per questa maggioranza, anzi con questo sindacato questa maggioranza e questo Governo preferiscono confrontarsi all'interno di scure stanze di Palazzo Chigi, strozzando il dibattito che, invece, soltanto in quest'aula può e deve avvenire (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale - Alcuni deputati scandiscono: bravo! Bravo! - Commenti).
Allora, caro collega, sì, giù la maschera, giù la maschera di questa truffa e di questo inganno. E state tranquilli! Lo sono sicuramente i cittadini italiani che hanno ripreso coraggio e fiducia e la prima risposta la daranno domenica prossima, poi rideremo! (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Hanno preso coraggio e fiducia riguardo a questa classe dirigente del Polo delle libertà, che si pone nell'interesse di categorie bistrattate. Anche gli agricoltori, che sono stati un vostro serbatoio, ormai non vi sopportano più, ormai hanno scoperto le vostre truffe e i vostri inganni e sono con noi, e noi siamo con loro e non soltanto con loro (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale). Siamo con tutti gli italiani onesti, che hanno pagato e che pagano le tasse, che hanno fatto e che fanno il loro dovere. Siamo noi i baluardi di questa democrazia e di questa civiltà, non voi, non rifondazione comunista, per la quale esistono due milioni di lavoratori. E gli altri cosa sono? È facile colpire chi non scende in piazza, chi non è abituato a rompere, a danneggiare, a creare danni. È troppo facile!
Il tempo è tiranno, ma credo che sia stata efficace ed importante questa battaglia che rappresenta la capacità di questa classe dirigente di porsi in maniera alternativa. Noi non diciamo no. Noi diciamo che si può e si deve cambiare. E l'aver posto la fiducia, l'aver letto sui giornali le dichiarazioni che il Presidente Prodi invece di venir a fare in quest'aula ha fatto alla riunione dei suoi parlamentari suona ancora come ingiuria e come offesa a questo paese! (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Se il dibattito fosse stato espletato in tutte le forme, a quest'ora avremmo finito, quindi non era una questione di tempo. Era un ennesimo trucco di questa maggioranza che davanti alle televisioni si propone come pronta al dialogo, come pronta ad accettare il confronto e i consigli dell'opposizione e invece nelle aule che la Costituzione ha deputato a discutere di provvedimenti economici chiede e prende la fiducia reiteratamente, nascondendosi dietro a un dito, forte nella consapevolezza; ma mi auguro che questa volta quella consapevolezza sia caduta ed anche questa maggioranza abbia la capacità di fare autocritica e di cambiare registro, perché quello che noi abbiamo fatto e stiamo facendo in queste ore e in questi giorni - io lo annuncio - è soltanto l'inizio di un nuovo modo di fare opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania)

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che non avrà sosta, che continuerà con fermezza a costo di sacrifici. Non ci interessa niente! Questo è il mandato che gli italiani ci hanno dato e questo è il mandato che noi riteniamo di poter espletare nell'interesse di questo paese, allora... (Vivi applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. La ringrazio onorevole Vitali.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Conte. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO CONTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le infervorate parole del collega che mi ha preceduto mi portano a fare una valutazione su un personaggio che è stato evocato più volte durante questi giorni, un certo Galli della Loggia, che io non ho ben capito chi sia, probabilmente un cabarettista o, forse, un garzone di bottega della sinistra, sicuramente un menagramo.

PAOLO RAFFAELLI. Non è della sinistra. È quello che Craxi chiamava l'intellettuale dei suoi stivali.

GIANFRANCO CONTE. Un menagramo che, evidentemente, oggi sta rivedendo alcune sue considerazioni, perché quello che è successo in quest'aula in questi giorni, le provocazioni dell'onorevole Mussi, evidentemente hanno tirato fuori dal Polo l'animo, l'orgoglio, la volontà di tornare a fare un'opposizione dura.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Conte, volevo solo dirle che finché ci offendiamo tra noi va bene, ma offendere persone terze mi sembra sbagliato per un parlamentare.

GIANFRANCO CONTE. Credo di non stare offendendo nessuno.

PRESIDENTE. Tra l'altro Galli, come lei sa, è un uomo di destra.

GIANFRANCO CONTE. Non so chi sia, l'ho premesso prima. Come dicevo, c'è da fare una considerazione su questo orgoglio che, probabilmente, nelle passate amministrative, come ha detto qualcuno, è stato in qualche modo colpito, mentre è emerso nuovamente durante questa lunga, interminabile battaglia su un provvedimento che - voglio ricordarlo a tutti noi - è un provvedimento tecnico. È sicuramente un provvedimento legittimo da parte di questo Governo, non è ovviamente condivisibile; non è condivisibile dalla nostra parte soprattutto per l'impianto generale che ad esso sottende.
Presidente, onorevoli colleghi, il Governo si era posto l'obiettivo di recuperare 25 mila miliardi e lo poteva fare in molti modi. All'inizio si diceva, con riferimento alla manovra correttiva di cui fa parte, che questo provvedimento è, per così dire, una delle tre carte nel gioco, appunto, delle tre carte, in cui questo Governo è diventato bravissimo. Perché dico questo? Perché il provvedimento sull'IVA, il collegato alla finanziaria vero e proprio e la finanziaria, provvedimenti tra loro collegati, hanno delle sfaccettature estremamente interessanti. Le entrate previste dal complesso della manovra finanziaria dovevano derivare per il 40 per cento, appunto, da entrate e per il 60 per cento da tagli della spesa. Questo non è successo perché, in realtà, di entrate vere e proprie ve ne sono poche oltre a quelle previste dal decreto sull'IVA che garantirà, secondo alcuni, 5.800 miliardi - questa è la valutazione del Governo -, secondo altri, come il CER, che notoriamente non è un ufficio studi vicino alla destra, un gettito superiore addirittura di 600 miliardi rispetto ai 5.800 previsti.
Al di là di questo intervento, nella manovra finanziaria vi sono ben poche entrate, tant'è che il Governo, presentando il disegno di legge collegato alla finanziaria, ha inserito - con un salto mortale - un articolo, il 23 se non ricordo male, secondo cui entro il 31 dicembre di quest'anno verranno attuati ulteriori interventi per garantire 2.500 miliardi per il 1998 e gli anni successivi. È un esercizio


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interessante con il quale il Governo chiede una delega al Parlamento per nuovi interventi di carattere ovviamente fiscale, da realizzare entro il 31 dicembre! Ma ciò scaturisce da quell'articolo del collegato alla finanziaria che prevede ulteriori interventi determinati dalla maggiorazione dei conguagli o da altri artifici organizzati dal Governo per fare cassa.
La storia è in questi termini: stiamo lavorando su un provvedimento di modifica di alcune aliquote IVA, tra cui quelle riguardanti l'edilizia, ossia le materie prime, i semilavorati e così via che passano al 20 per cento, il che significa che ogni punto di variazione vale circa 400 miliardi solo per le ristrutturazioni edilizie. Allora, che cosa si inventa il prestigiatore che predispone la manovra finanziaria? Poiché da un lato ci sono le considerazioni tecniche sull'effettivo volume della manovra sull'IVA e dall'altro le osservazioni critiche relativamente all'intervento su un settore chiave della nostra economia qual è l'edile, si pensa di aumentare l'IVA - ecco il gioco delle tre carte - inserendo contemporaneamente nel collegato una norma per detrarre il 41 per cento delle spese sostenute (nessuno chiarisce però, tanto meno è scritto nel collegato alla finanziaria, una volta stabilito il limite di 150 milioni, se la cifra sia comprensiva o meno di IVA). L'idea fondamentale è di imprimere una svolta all'economia facendo emergere il sommerso, il nero esistente nell'edilizia, che contrasta con l'aumento richiesto. Quindi, si aumenta l'IVA sull'edilizia e con i soldi ricavati si predispone un provvedimento che costa 1.600 miliardi - corrispondente all'ammontare incassato con la manovra sui materiali edili -, facendo un semplicissimo gioco che permette di tirar via qualcosa dalle tasche dei cittadini, fingendo di restituire qualche altra cosa. È un gioco che si ripete in quasi tutta la manovra finanziaria.
Presidente, anche durante l'esame del collegato alla finanziaria, che tra pochi giorni inizierà in quest'aula, non mancheremo di evidenziare quante volte si annunciano provvedimenti a favore dell'economia facendoli pagare attraverso altre situazioni. Il caso classico è rappresentato dagli interventi a favore della piccola e media impresa, con cui si concede un credito di imposta pagato però con il ritiro di trasferimenti ai comuni, ai quali viene concessa la facoltà di aumentare l'imposta sulla pubblicità! Il gioco delle tre carte si ripete, tolgo a te, do ad un altro e quanto do viene compensato con quello che ho preso da te. È un gioco in cui il Governo è molto bravo: complimenti, ma gli italiani non sono così stupidi come pensate! (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giuliano. Ne ha facoltà.

PASQUALE GIULIANO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la riduzione del carico fiscale rappresenta uno dei punti qualificanti del programma del Polo; questo perché nel nostro paese abbiamo un fisco esoso, vorace, che tutto ingloba e tutto distrugge. Un fisco che rappresenta uno dei maggiori freni ad uno sviluppo equilibrato e sano della nostra economia; un fisco, peraltro, che restituisce una percentuale trascurabile di servizi degni di questo nome.
Questo fisco, il vostro fisco-Visco - ormai quest'accoppiata funesta e funerea contraddistinguerà questo Governo come è vero il detto nomina sunt homines - rappresenta, specie per il sud, un fattore inammissibilmente punitivo, che esalta in maniera drammaticamente negativa, vicino ad una vera e propria emergenza, lo stato di estremo disagio in cui si trovano alcune province, come quella per esempio di Caserta.
Una provincia che tra i vari primati negativi annovera quello di una disoccupazione tra le più alte d'Europa, ormai vicina al 30 per cento, con la più alta disoccupazione giovanile di tutta l'Europa; disoccupazione che voi amate definire inoccupazione come nel provvedimento sui lavori di pubblica utilità, secondo quella tendenza tipica di chi deve nascondere


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una certa, drammatica realtà e che per fare ciò ricorre al cambio di terminologia o all'uso di neologismi.
Queste province chiedono non più tasse, ma lavoro, occupazione, programmazione, servizi. Dov'è finita, signori del Governo, quella conferenza del lavoro più volte preannunciata, da tenersi a Napoli, sempre rinviata nel tentativo, purtroppo riuscito, di farla cadere nel dimenticatoio? Tasse, solo tasse, fortissimamente tasse: questo è lo slogan del Governo autoproclamatosi di centro-sinistra.
Onorevoli colleghi, siamo ad un aumento del 2 per cento della pressione fiscale nell'ultimo periodo; questo dato è poco noto e poco pubblicizzato, perché ormai il coro monocorde ed uniforme dell'informazione copre, come un'inquietante coltre, voci diverse e spesso disinteressate, e comunque non legate o condizionate dalla logica bieca del potere. Si reagisce in maniera veemente allorché si parla dell'omologazione dell'informazione che ormai ha narcotizzato la pubblica opinione.
Ebbene, signori del Governo, se questa è la verità - ed è la verità - vi chiedo: è questa la democrazia sostanziale di un sistema parlamentare? Un Governo che tenta in tutti i modi di costringere al silenzio un'opposizione che vuole segnalare al paese i pericoli e le manovre di questo sistema, che sta irrompendo in maniera così sguaiata, affamata, eclatante, in tutti i luoghi del potere! Un Governo costretto, in poco più di un anno e mezzo, a porre per circa trenta volte la fiducia; un Governo che governa e intende governare con la logica dei numeri; una logica sostanzialmente ingannevole ed iniqua in quanto fondata su una maggioranza di seggi rispetto ad una maggioranza numerica. Un Governo che ha della democrazia una concezione particolare, per così dire, che dimostra una volontà ed una propensione repressiva degna di certi regimi a tutti noti se è vero, come è vero, che ricorre - come l'episodio di ieri dell'aggressione agli agricoltori - a metodi cari a ministri quali Scelba e Tambroni che proprio la sinistra non ama ricordare, come essa stessa afferma.
Si può sicuramente porre l'equazione Scelba-Tambroni-Napolitano, una trilogia inquietante che testimonia la corruzione degli animi e delle idee che può conseguire ad un esercizio spregiudicato e disinvolto del potere.
Eppure il Governo, piuttosto che operare con metodi fiscali e vessatori, avrebbe potuto agire sui tagli strutturali, seri e consistenti che vanno nel segno di una riforma moderna, organica, liberale e liberista. Quale Governo ha, infatti, potuto godere di una pace sociale e sindacale qual è quella di oggi? Una pace sindacale che però discende da una settaria quanto inquietante concertazione che somiglia molto al famoso consiglio di guerra delle volpi. E si sa che, quando c'è questo consiglio, i polli da spennare - alias i cittadini o la gente, come si ama demagogicamente definirla, con due g - non possono che tremare e paventare un triste, grigio e povero futuro.
Un Governo che è dovuto ricorrere, in mancanza di riforme strutturali della spesa, a trucchi, operazioni e alchimie contabili. Trucchi, dicevo; infatti, grazie alla benevolenza della Commissione europea, ha potuto riclassificare al meglio i conti pubblici. Il tutto di fronte ad una realtà che indicava come immutato rispetto agli anni passati il fabbisogno dello Stato. Un'abile opera di sartoria, di taglia e cuci, che ha portato ad un'indicazione formale e fittizia: l'ormai famoso 3 per cento nel rapporto tra deficit e PIL previsto da Maastricht. È stato questo uno dei miracoli che sarcasticamente vengono definiti come tipicamente italiani, ma che certamente non ci onorano.
La direttiva CEE 77/1992 aveva previsto l'avvicinamento delle aliquote IVA nei vari paesi europei per ridurle a tre (una ordinaria e due ridotte). Tale direttiva, peraltro, concedeva la possibilità in via transitoria di mantenere un regime diverso fino a tutto il 1998; non vi era quindi alcuna necessità da parte del Governo di intervenire in maniera così pesante

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in materia di aliquote IVA. Ciò però è stato fatto, poiché le entrate dello Stato non erano sufficienti a coprire quanto previsto per l'intero 1997. Al 30 dello scorso settembre le entrate calcolate per 370 mila miliardi sono risultate di gran lunga inferiori rispetto ai 550 mila miliardi per l'intero anno. Noi esprimiamo la nostra contrarietà a tutte le modifiche in aumento dell'IVA; si poteva, ad esempio, adeguandosi alla direttiva europea, aumentare dal 4 al 5 per cento l'aliquota ridotta, dal 16 al 19 per cento quella transitoria. Così facendo, avremmo avuto un'entrata aggiuntiva di 4 mila miliardi, con un accettabile aumento dell'indice dei prezzi non superiore allo 0,45 per cento. Ma il Governo evidentemente ha preferito ottenere maggiori entrate per ben 6 mila miliardi, trascurando che la conseguenza immediata e tragica sarà una preoccupante inflazione.
Per tornare ai trucchi o alle operazioni di prestidigitazione cui è ricorso il Governo, basta ricordare l'eurotassa, in ordine alla quale c'è un buco di 2 mila miliardi rispetto agli 11.500 attesi.
Quanto all'operazione IVA, devo ricordare che le nuove aliquote che porteranno nel 1998 un introito aggiuntivo di 5.700 miliardi sono in vigore dal 1 ottobre scorso. Così sono stati già rastrellati negli ultimi tre mesi non meno di 1.400 miliardi, che costituiscono un'entrata aggiuntiva, la quale però non è prevista nel Documento di programmazione economico-finanziaria.
Ricordo inoltre rispetto a quella che è stata definita operazione IRPEG, del gennaio-settembre, che l'IRPEG è cresciuta del 28 per cento al 1996, mentre l'imposta locale sui redditi è cresciuta del 20,5 per cento.
Insomma, siamo di fronte ad un'operazione tipica dell'imbonitore, evidentemente contraddistinto da quei propositi solo declamati di trasparenza, regolarità e legalità. È questa la strada che vogliamo perseguire per arrivare in Europa? Se è questa, c'entreremo, ma ci entreremo da pataccari, rischiando di pregiudicare in maniera irrimediabile la nostra già traballante credibilità.
Signori del Governo, rinsavite, ravvedetevi: la democrazia è cosa diversa da quella che voi immaginate e che voi volete rifilarci da bravi pataccari. Se non siete capaci di farlo, se pensate di andare avanti con le continue, dispettose, ormai patetiche e liberticide questioni di fiducia, ripensateci. I vostri problemi non potranno certo essere risolti dalla disciplina della presenza fisica imposta alle vostre Sturmtruppen. Se pensate tutto ciò, non avete che una sola strada, quella della ritirata; cercate almeno di percorrerla con qualche residuo di dignità, che spero non abbiate definitivamente e irrimediabilmente perduto (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rosso. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROSSO. Signor Presidente, signori di questo infausto Governo, onorevoli colleghi, in quest'aula siamo tutti consapevoli che il mancato rispetto degli impegni politici assunti con il mandato parlamentare non può essere sanzionato in sede giurisdizionale. Ove infatti questo fosse stato oggi possibile, non sarebbe risultato agevole per l'attuale Presidente del Consiglio sottrarsi all'imputazione di truffa ai danni del popolo italiano. Non resta pertanto che il marchio d'infamia con cui la morale e non già il diritto marchia i bugiardi e i truffatori. Credo che ieri moltissimi italiani si siano in cuor loro profondamente dispiaciuti nel vedere che il letame, che centinaia di agricoltori riversavano sull'autostrada Serenissima, andasse a macchiare l'uniforme di zelanti servitori dello Stato anziché il faccione sghignazzante con il quale il bugiardo di Palazzo Chigi accoglieva i suoi complici nell'aula del PDS nella quale i «sinistri» - non è un caso che nella lingua italiana questo appellativo non suoni rassicurante - che governano il paese si erano riuniti per rimproverare all'opposizione di esistere


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ancora, evidentemente rammaricati che dopo un anno e mezzo del loro regime la democrazia fosse ancora in grado di funzionare. Comunque, nessuna paura: ci hanno pensato i manganelli a spiegare con solerzia agli incolti contadini del nord che, finché i comunisti sedevano sui banchi dell'opposizione, il potere era fascista e il popolo democratico, ma oggi che i comunisti hanno finalmente preso quel potere cui tanto aspiravano, questo non può essere che naturalmente buono, giacché sono loro oggi a gestirlo, e fascista e quindi manganellabile diviene chi si oppone. Lezione un po' più cruda - ma d'altronde si trattava in quel caso di rozzi villici dalle orecchie dure - di quell'altra lezione che con più sottile perfidia i «sinistri» sono soliti impartire con l'uso politico di alcuni pubblici accusatori e di certa Guardia di finanza ai piccoli, medi e grandi imprenditori dell'industria, del commercio e dell'artigianato che non abbiano ancora a sufficienza compreso chi comanda davvero in questo paese.
L'impostore di Palazzo Chigi li aveva rassicurati all'atto di candidarsi a premier, garantendo che lui la realtà delle piccole imprese la conosceva bene; le conosceva e le apprezzava e apprezzandole le avrebbe aiutate e rafforzate. Ma si spinse più in là, e nei panni di novello alfiere di quel ceto medio dal cui voto dipende l'esito dell'elezione si dipinse come la reincarnazione di Robin Hood, l'eroe di Sherwood, che depredava i privilegiati ed i potenti per redistribuire il mal tolto al popolo dei lavoratori e dei produttori. Ebbene, non è inopportuno rammentare a noi stessi il resoconto di quella promessa redistribuzione. Innanzitutto, c'era una volta una legge che dal nome del ministro delle finanze che la propose venne appellata legge Tremonti, una legge che non disponeva finanziamenti alle imprese a fondo perduto, finanziamenti solitamente congegnati in modo tale da consentire alla grande impresa burocratica di approvvigionarsi gratis al denaro del contribuente e di far sì che la piccola impresa, i commercianti, gli artigiani, gli agricoltori rimanessero invece a becco asciutto. Era una legge che proponeva una cosa semplice semplice, così semplice da apparire probabilmente offensiva al raffinato palato di chi dalle colonne del Corriere della Sera ha recentemente proposto di eliminare metà di un popolo, perché così ignorante, così elementare e così incolto da non apprezzare ancora a sufficienza l'odierno principe della sinistra; una cosa che, chissà perché, se realizzata in Cambogia da Pol Pot viene descritta come orrore comunista, se proposta in Italia dal signor Ernesto Galli della Loggia va invece rubricata come l'intelligente provocazione di un apologeta del liberalismo. Ebbene, la legge Tremonti consentiva a tutti, grandi capitalisti asserviti all'odierno regime e piccoli produttori dallo stesso rapinati e tartassati, di dedurre dalla propria contribuzione fiscale la metà di ciò che avessero reinvestito in un'azienda per produrre sviluppo e occupazione. Un fisco solidale, all'altezza della dignità repubblicana posta a cardine della Carta costituzionale, un sostegno alla produzione che non privilegiasse più Gianni Agnelli a discapito di Oreste Brambilla; ma questo era il sogno di chi aveva ipotizzato che il sol dell'avvenire della giustizia sociale potesse realizzarsi con gli strumenti della libertà economica. Carlo e Nello Rosselli, uccisi dai fascisti su delazione dei comunisti, potevano finalmente sorridere compiaciuti a chi senza retorica si faceva interprete postumo del loro insegnamento; cose da far rinascere l'orgoglio di essere italiani, troppo bello per essere vero. E per settant'anni i comunisti avevano insultato, calunniato e persino ucciso liberali e socialisti per quale ragione? Per vedere i loro ambigui nipotini postcomunisti consentire l'inverarsi di ciò che i loro nonni e i loro padri avevano sempre dileggiato e combattuto? No di certo; e infatti puntuali come un orologio svizzero i «sinistri» appena saliti al potere, dapprima con Dini limitarono gli effetti della Tremonti al solo Meridione ed infine con Prodi li eliminarono del tutto.
Non basta. Il Robin Hood dei poveri non poteva dimenticarsi degli amici, di quei grandi padroni i cui privilegi aveva

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promesso di distribuire ai piccoli produttori, ma grazie al cui supporto (essi sapevano bene che Prodi era un grande impostore, a differenza di milioni di cittadini più ignari e confidenti), solo apparentemente contraddittorio e masochistico, l'Ulivo e la Quercia postcomunista avevano potuto prevalere.
Quindi, stop alla Tremonti e avanti con la rottamazione! Perché attribuire a tutti come diritto ciò che può essere consentito ad uno solo come privilegio? Sono o non sono postcomunisti, i governanti dell'Ulivo? Allora non c'è da scandalizzarsi se all'Italia postcomunista vengono applicate le stesse regole che Orwell indicò nella sua paradossale descrizione di un'ideale società comunista.
Anche oggi qui in Italia, come nella fattoria degli animali, tutti gli animali sono uguali ma i maiali sono più uguali degli altri. Nell'Italia di Prodi tutti gli imprenditori sono uguali davanti alla legge, ma se si chiamano Agnelli o De Benedetti lo sono un po' di più (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia). Ciò vale a maggior ragione per l'IRAP, che toglie alle grandi imprese oneri fiscali scaricandoli invece sulle spalle di quelle più piccole, delle imprese familiari, dei negozianti e dei contadini; e vale anche per la riforma che accorpa da 7 a 5 le aliquote dell'imposta sui redditi delle persone fisiche, che rende più pesanti le imposte a carico del ceto medio produttivo e più leggere di ben 6 punti percentuali - dal 51 al 45 per cento - quelle a carico dei grandi capitalisti.
Che senso ha, per dei postcomunisti, per dei catto-comunisti e, addirittura, per dei rifondatori del comunismo, sgravare di oltre 100 milioni le tasse sul reddito al padrone della Fiat ed aumentare di oltre un milione quelle di un suo qualsiasi quadro intermedio?
Infine, l'IVA: più cattiva e più pesante per i consumi della povera gente (le scarpe, gli indumenti, il materiale edilizio per ristrutturarsi la casa) e sostanzialmente invariata sui consumi afferenti ai beni prodotti dagli amici del regime, fino ad arrivare al parossismo dell'IVA agricola: un prodotto come il vino italiano, che subisce una delle più agguerrite concorrenze a livello internazionale, che anno dopo anno vede ridursi la superficie di coltivazione a causa delle disposizioni comunitarie sui disimpianti dei vigneti, la cui coltivazione, oltre a procurare reddito ai contadini, evita allo Stato oneri pesantissimi per la difesa del territorio collinale, ebbene, il vino italiano vede raddoppiare lo scaglione IVA, anche per merito delle mancate compensazioni di cui in passato beneficiava il settore. Sulla base dei dati presentati di recente dall'INEA alla competente Commissione del Senato, negli ultimi tre anni, tra minori trasferimenti e riduzioni delle agevolazioni, il sostegno complessivo dell'agricoltura è stato tagliato di oltre 2.500 miliardi di lire. Da sole, le decisioni sul regime speciale IVA faranno aumentare il prelievo sul settore di 700 miliardi. In termini globali, il taglio è pari al 15 per cento dei consumi intermedi annuali dell'intero comparto agricolo. Ripeto: il taglio è pari al 15 per cento dei consumi intermedi annuali! Eppure, quella faccia di bronzo del ministro Pinto rimane imperterrito al suo posto, accanto allo sghignazzante Presidente del Consiglio Prodi. Pochi giorni fa... (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Grazie.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lavagnini. Ne ha facoltà.

ROBERTO LAVAGNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, la mia dichiarazione di voto sul decreto-legge n.328 non può che essere contraria. Desidero pertanto, nei dieci minuti che mi sono concessi, spiegare le ragioni della mia contrarietà. Anzitutto, l'aver presentato un decreto in anticipo rispetto alla finanziaria impedisce al Parlamento di fare una valutazione globale sulla manovra. Dobbiamo dedurre che il provvedimento sull'IVA, entrato in vigore nel terzo trimestre del 1997, sia stato anticipato per


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permettere al Governo di spremere i contribuenti in anticipo, creando un'entrata di circa 1.500 miliardi, che probabilmente aiuta a coprire qualche buco di bilancio dell'anno in corso.
Il Governo ha presentato questo provvedimento gabellandolo come una necessità per adeguarci alle aliquote europee. In realtà, la manovra è stata rivolta ad aumentare la pressione fiscale e le aliquote: tutte quelle al 4 per cento sono portate al 10 e quelle al 16-19 al 20. Onorevoli colleghi, tutto questo non può essere definito un riordino, ma è sostanzialmente un aumento.
Ancor più grave è il fatto di aver posto la questione di fiducia, che non permette né alla maggioranza né all'opposizione di apportare modifiche migliorative, a meno che questo Governo pensi che il ruolo del Parlamento sia inutile poiché i provvedimenti che esso presenta sono talmente perfetti che non possono e non debbono essere emendati, per cui blinda il provvedimento.
Avendo posto la questione di fiducia ben 30 volte - in media ogni 16 giorni da quando si è insediato - il Governo rafforza la nostra opinione su quella che consideriamo la sua estrema debolezza. D'altra parte, il Governo non può nemmeno giustificarsi dicendo che il tutto è colpa dell'ostruzionismo dell'opposizione, poiché sovente autorevoli esponenti della maggioranza hanno dichiarato che noi non sappiamo fare opposizione. Allora, si deve dedurre che il Governo pone la questione di fiducia perché teme che alcuni componenti della maggioranza stessa possano emendare i provvedimenti presentati in Parlamento.
Signor rappresentante del Governo, provengo da un distretto a monocultura industriale tessile, conosco colleghi della maggioranza provenienti da distretti molto simili al mio ed oso pensare che io e i miei colleghi della maggioranza abbiamo esattamente gli stessi problemi. L'aumento del 4 per cento dell'IVA ed il 5 per cento di IRAP sui ricavi e non sui redditi porterà le nostre piccole e medie imprese tessili ad aumentare i prezzi a tal punto che inevitabilmente comprimeranno i consumi sia nazionali sia esteri. Il tessile è uno dei settori trainanti della nostra economia e della nostra esportazione. Purtroppo, abbiamo a che fare con una concorrenza, sia europea sia asiatica, molto agguerrita. Non a caso ho parlato del 5 per cento di IRAP: il Governo indica una percentuale del 4,25, ma in realtà la tassazione per il 1998 è calcolata sul 120 per cento dei ricavi del 1997. Sempre non a caso, menziono i ricavi dal momento che, dalla materia prima al prodotto finito, il valore aggiunto su un manufatto tessile è altissimo e l'IRAP incide anche sui costi di lavoro e sugli interessi passivi che le aziende pagano per i prefinanziamenti all'esportazione e per il loro funzionamento.
Signor rappresentante del Governo, perché l'IRAP viene erroneamente definita «imposta regionale sulle attività produttive», quando per il 1998 la regione Piemonte riceverà mille miliardi in meno rispetto al 1997? Che cosa c'è di «regionale» in quest'imposta?
Le stesse considerazioni che ho svolto sul settore tessile le potremmo riferire anche ai settori calzaturiero, vitivinicolo, florovivaistico e a molti altri ancora. Ma siete veramente convinti, signori del Governo, che un inasprimento delle aliquote, così come previsto in questo decreto, porterà ad un gettito di 6 mila miliardi o, piuttosto, il risultato non sarà quello di mettere in ginocchio alcuni settori che in questi anni sono stati trainanti per la nostra economia? Non vi è sorto il dubbio che questo provvedimento determinerà una diminuzione dei consumi, una recessione nel commercio e, di riflesso, nella produzione, innescando un processo inflazionistico che fino a questo momento siete riusciti a contenere soltanto virtualmente?
Non posso dimenticarmi di sottolineare che questo Governo sta ritardando in modo abnorme i rimborsi dell'IVA, penalizzando soprattutto i maggiori creditori, cioè gli esportatori, i quali, dovendo ricorrere alle banche, pagheranno l'IRAP anche sugli interessi passivi.

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Un altro settore produttivo estremamente penalizzato dal decreto in discussione è l'agricoltura. Il collega de Ghislanzoni Cardoli ha già esaminato e denunciato, durante il suo intervento per dichiarazione di voto sugli ordini del giorno, la difficoltà in cui si dibatte la nostra agricoltura, i nostri viticoltori, i nostri florovivaisti, i nostri allevatori ed i nostri produttori lattieri. Tutti i giorni, davanti a palazzo Montecitorio vi sono delle dimostrazioni della Coldiretti. Non pensiate che costoro, che manifestano pacificamente davanti alla Camera dei deputati, non abbiano problemi! Per quanto tempo tali manifestazioni continueranno ad essere pacifiche? Quale sarà la reazione del Governo quando questi agricoltori non saranno più pacifici, come è accaduto a Vicenza qualche giorno fa? Se questo è il Governo che concerta con le parti sociali, perché concerta solo con la grande industria e con i sindacati della triplice, che rappresentano quattro milioni di lavoratori, dimenticandosi nel contempo di concertare con le rappresentanze delle piccole e medie imprese, dei commercianti, degli artigiani, degli agricoltori, dei professionisti che rappresentano sette milioni di partite IVA? Costoro rappresentano la spina dorsale della nostra economia, sono coloro che, con il loro lavoro, hanno portato l'Italia ad essere uno dei paesi più industrializzati e più ricchi del mondo. Sono loro che, spremuti come dei limoni e vessati da questo fisco ingiusto, porteranno, con i loro sacrifici, l'Italia in Europa. Questi lavoratori non sono però nel novero delle parti sociali; dovranno quindi pagare l'IRPEF, l'IVA, l'IRAP, l'eurotassa, il servizio sanitario nazionale e le loro casse speciali andranno probabilmente a sanare il deficit dell'INPS, dopo di che con il riccometro gli faremo anche pagare quei miseri servizi che questo Stato rende ai suoi sudditi.
Onorevoli colleghi, abbiamo deciso di rimanere in quest'aula per dimostrare la nostra opposizione determinata a combattere il continuo ricorso alle questioni di fiducia, l'arroganza di chi vuol far passare le leggi a colpi di maggioranza, per difendere i diritti che l'opposizione ha in un paese democratico, per difendere la libertà di questo Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tremonti. Ne ha facoltà.

GIULIO TREMONTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il filibustering è una finzione di discussione, è forma che prevale sulla sostanza. Filibustering e timing sono due facce di una stessa medaglia che pure ha corso e valore nella prassi parlamentare dell'occidente. Quello che sta accadendo in quest'aula in questi giorni però non è solo filibustering, bensì il prendere corpo delle ragioni della maggioranza del paese. Ciò che spesso si dimentica in quest'aula è che la maggioranza di Governo in realtà è minoranza nel paese, mentre la minoranza in Parlamento è in realtà maggioranza nel paese. L'attuale discussione dà corpo alle ragioni, agli ideali e agli interessi che sono espressi dalla maggioranza reale del paese, oltre la finzione, l'illusione legale della legge elettorale.
Molti materiali sono stati addotti in questa discussione, materiali fondamentali come argini contro la decretazione d'urgenza e contro la tassazione. In questa fase finale del dibattito posso solo aggiungere materiali marginali, tuttavia sempre contro la decretazione e la tassazione.
In tutti i Parlamenti dell'occidente si registra un progressivo fenomeno di declino, ma in particolare nel Parlamento italiano il processo di declino è drammaticamente evidente. Il declino si realizza in sede di discussione sulla legge finanziaria attraverso la drastica e drammatica scissione tra bilancio e Parlamento. Quest'ultimo discute formalmente del bilancio, ma sostanzialmente il bilancio viene fatto, alterando i meccanismi di cassa e di competenza, dal Tesoro. Il potere legislativo viene pertanto progressivamente svuotato del suo potere fondamentale, che è quello sul bilancio, ed il potere esecutivo se ne appropria. Su un articolo pubblicato


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nei giorni scorsi dal quotidiano la Repubblica, si celebra questo processo, questa meccanica pensiero-azione, considerata come positiva. Si celebra, cioè, il fatto che il Tesoro tratta il Parlamento con una meccanica tipica di circonvenzione di incapace. Credo che il Parlamento senza il bilancio non possa esistere e che il Parlamento sia il bilancio e il bilancio il Parlamento: viva il Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Desidero ora trattare il tema della tassazione. Se ha ancora un senso politico il trattato di Maastricht, ce l'ha nella formula del 3 per cento, il che significa che per ogni cento lire di spesa pubblica, solo tre possono essere fatte in deficit. Questo costituisce un vincolo alla spesa in deficit dello Stato. Pertanto lo spirito politico del trattato è: meno Stato più mercato. Diversamente il modo con cui si integra il parametro da parte dell'Italia è: più Stato meno mercato. Più Stato con più regulation (35 ore lavorative settimanali), più Stato con più tasse (decreti-legge del tipo di quello oggi in discussione).
Credo che non esista un collegamento effettivo e necessario tra i numeri dell'Europa e questo decreto. Ritengo tuttavia che sui numeri dell'Europa vada fatta chiarezza e certamente avremo occasione, almeno in sede di discussione formale, di fare chiarezza allorquando discuteremo la legge finanziaria. Quando diciotto mesi fa si insediò il Governo Prodi, dopo il governo clientelare ed elettorale Dini, il disavanzo stimato per il 1997 (la cifra è contenuta nel Documento di programmazione economico-finanziaria del Governo) era pari a 138 mila miliardi. Successivamente il Governo afferma di aver fatto manovre per 100 mila miliardi. Se ciò fosse vero il disavanzo, per il 1998, sarebbe di 38 mila miliardi, invece è di 86 mila miliardi, il che significa che le manovre attuate dal Governo non hanno avuto la consistenza nominale rivendicata formalmente, tanto è vero che occorre predisporre una manovra finanziaria da 25 mila miliardi per riportare il disavanzo stimato per il 1998 sotto la soglia del 3 per cento del prodotto interno lordo. Questo è il punto essenziale della questione: decreti come quello in discussione hanno effetti qualitativi e quantitativi opposti a quelli necessari. In pratica si realizza l'equazione più tasse meno mercato, mentre la soluzione europea è: più mercato e meno tasse. Il problema non è quello di portare l'Italia in Europa, bensì quello di portare l'Europa in Italia e ciò non si realizza introducendo nuove tasse: questo è un punto su cui riflettere! (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tarditi. Ne ha facoltà.

VITTORIO TARDITI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che preliminarmente, da parte mia e di tutti i colleghi dell'opposizione, debba essere rivolto un ringraziamento al Governo e alla maggioranza che lo sostiene in quanto l'atteggiamento, talora arrogante e supponente, assunto negli ultimi tempi, ha di fatto provocato nell'opposizione una reazione che non è solo di orgoglio, ma nasce dalla consapevolezza delle proprie possibilità.
Quante volte, dai banchi della maggioranza e dalle dichiarazioni «finto-allarmate» dei loro leader, si sono levate voci di constatazione della fine del Polo delle libertà; quanto inchiostro è stato versato dai mass-media di regime per celebrare la fine dell'opposizione, la mancanza di progetti, la non visibilità, la persistente assenza dall'aula! Non nascondo che questa massiccia campagna degli avversari aveva indotto taluni di noi deputati ad un esame di coscienza - dal quale, peraltro, posso assicurare che siamo usciti assolti - sulla puntuale esecuzione del nostro dovere o sulla diminuzione di quell'entusiasmo che ci aveva accompagnato sempre, dall'inizio di questo nostro servizio parlamentare. La risposta a questa nostra massiccia presenza sta nell'entusiasmo, mai sfiorito, che si ritrova, come per incanto, nello stringerci tutti intorno al nostro presidente, che è anche il leader del Polo, nel


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ritrovarci sempre amici impegnati in una battaglia per la libertà dall'oppressione fiscale, dalle tasse e da questa maggioranza che non risponde alle attese del paese e che cerca di raggiungere l'Europa solo truccando i conti dello Stato per rientrare nei parametri di Maastricht.
Non sta a me giudicare la qualità degli interventi che si sono succeduti, ma posso assicurare la maggioranza che in molti casi abbiamo avuto impegni pieni di idee, e tra di noi emergono personalità che ci assicurano che la nuova classe dirigente politica, che è quella del Polo, può far molto. Vi è di più: troppe volte, negli ultimi tempi, sia noi sia gli amici della lega nord per l'indipendenza della Padania avevamo dimenticato le radici di quella lotta che ci aveva unito, dal 1994, per le battaglie contro questo Stato sprecone e una classe politica che nel passato aveva dato dimostrazione di corruzione ed arroganza. Ecco che oggi siamo molto più vicini e che tra noi riappaiono quelle identità che ci fanno sperare in un futuro non più incerto. Il cammino è ancora lungo, ma percorribile e, forse, in discesa.
Tutto questo e ancora di più abbiamo ottenuto in un solo colpo. Grazie molte, onorevole Mussi, grazie di cuore! «Amoto ludo quaeramus seria» direbbe, a questo punto, un oratore di antica tradizione. Ma noi non abbiamo nessuna voglia ludica, semmai, intenzioni più che serie di andare avanti a tutta forza, e attendiamo, per questa prova di volontà, l'aiuto non solo dei tradizionali alleati ma anche degli amici che ora stanno nella maggioranza e che, per le loro convinzioni profonde, non possono sentirsi rappresentati da un Governo che opera in tal modo. E attendiamo gli amici di quel mondo laico e liberista che per tanto tempo hanno combattuto e sanno combattere contro la partitocrazia e la illiberalità.
E allora, parliamo di questo decreto e dei disastri che procurerà. Nel mio precedente intervento, avevo sottolineato che anche all'opposizione interessa il recupero dell'evasione fiscale che, a parere di molti esperti, sembra raggiungere importi pari a quelli di un bilancio dello Stato. Cosa fa il Governo per perseguire questo scopo?

GIACOMO STUCCHI. Niente!

VITTORIO TARDITI. Aumenta l'IVA e in taluni casi lo fa a tal punto che otterrà sicuramente l'effetto contrario. Pensate un poco, cari colleghi: un cittadino che deve ristrutturare un suo immobile opterà per un rimborso percentuale della spesa attraverso un macchinoso sistema di deduzioni dall'imponibile, oltre tutto pluriennale, o non sarà, invece, più invogliato da un risparmio immediato e molto più conveniente che gli derivi da un'evasione? Purtroppo, il cittadino italiano è abituato ai soprusi e ha imparato a difendersi come può: non lo si stana, non si stana l'evasione fiscale con l'arruolamento di finanzieri ma, come da sempre diciamo noi di forza Italia, con una politica di riduzione della pressione fiscale, la sola che potrà consentire un allargamento della base imponibile, creando così maggior gettito fiscale, ricchezza e posti di lavoro (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Non importa, signor Presidente ed onorevoli colleghi, se questo od altri provvedimenti passeranno; lo potranno solo in forza dei numeri, ma noi dell'opposizione sappiamo da che parte sta l'interesse del paese. E non solo l'interesse economico dei cittadini ci sta a cuore, ma anche la libertà che agli stessi dovrà essere lasciata integra e non limitata, come sta accadendo, in questi giorni, alle categorie di lavoratori che stanno dimostrando per difendere il loro lavoro. La mia personale solidarietà va, in questo momento, agli agricoltori, che stanno attirando l'attenzione del paese in modo deciso e pari al disinteresse che fino ad oggi e da tempo il mondo politico sta dimostrando nei loro confronti (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale). Non è sufficiente un decreto per sistemare gli sbagli che questo Governo compie nei confronti della categoria vitale per il paese.
Io provengo da una città, Novara, nota a tutti per l'antica tradizione della coltivazione


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del riso. Ebbene, la crisi è evidente, la preoccupazione è palpabile, e il mio dovere di parlamentare della zona è quello di denunziare con la massima forza lo stato delle cose. Non è con i manganelli, signor ministro dell'interno, o con una relazioncina ben preparata del suo ufficio che lei convincerà gli italiani che nulla è successo in questi giorni e che si trattava solo di tre o quattro facinorosi. Se invece di stare chiusi nei palazzi del potere foste usciti solo un poco, vi sareste accorti che da settimane gli agricoltori di tutta Italia erano presenti proprio qui, davanti alla Camera (eppure di baccano ne hanno fatto tanto!). Da chi hanno avuto audizione? Chi è andato in mezzo a loro ad ascoltare le loro ragioni? Non certo il ministro Visco che, nel frattempo, ha ideato l'IRAP e l'aumento dell'IVA su importanti settori della produzione di quel comparto.
Ed ecco, allora, che questo Governo di centro-sinistra, dominato dalla sinistra estrema, non opera a favore dei lavoratori in generale ma solo in favore di taluni di essi, i quali, peraltro, hanno tutta la nostra solidarietà. Ma non sono i soli. L'economia del paese non si svilupperà soltanto per merito delle grandi imprese (che strano, un Governo di sinistra che guarda alle grandi imprese!), ma, soprattutto, per merito delle piccole imprese, di quel mondo di artigiani, commercianti e piccoli imprenditori che è la vera forza del paese e che tutto il mondo ci invidia. Ci si chiede, allora, perché questo Governo abbia scelto la strada di un'asfissiante persecuzione fiscale delle categorie.
Personalmente, non credo che sia solo perché presuma che dai ceti medi provenga la maggior parte dei voti che noi del Polo riceviamo, ma, più semplicemente, perché da queste categorie provengono maggiori entrate, che possono mascherare, almeno in parte, gli artifizi contabili tendenti ad ottenere dal Governo il viatico purché sia la benedizione verso l'Europa. Oggi tutti in Italia siamo presi - ma per fortuna non tanto - da questo mito dell'Europa. Io credo che da questo non dipendano i destini della Patria: non basta entrare, bisogna vedere come ci si entra e quanto e come ci si resta, perché non ci si può, per pura demagogia, dimenticare le classi meno abbienti e i lavoratori tutti, che sono i finali destinatari dei sacrifici che ci vengono diuturnamente imposti.
Presidente e cari colleghi, proprio oggi, guardando la corrispondenza ho ricevuto un appello - come lo avrete ricevuto tutti voi - da una pubblicazione, L'impresa artigiana: «Onorevole, dove è finita l'equità previdenziale?». Leggetelo, cari colleghi della maggioranza, è molto indicativo. Io, purtroppo, per limitatezza di tempo non posso farlo. Sicuramente, i concetti che vi sono contenuti riflettono gli ideali che il Polo per le libertà e tutta l'opposizione sta portando avanti con dedizione e con impegno, e questa dimostrazione di forza, di capacità, di coesione e di tenuta che saprà dare, gli italiani sapranno capirla (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lo Jucco. Ne ha facoltà.

DOMENICO LO JUCCO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, il decreto-legge che la Camera si accinge a convertire in legge costituisce una perfetta fotografia della politica attuale del nostro paese. Tale decreto-legge si qualifica e si caratterizza per la filosofia di questa aggregazione governativa, cioè la mortificazione continua, reiterata, proterva di tutto il mondo dell'imprenditoria e della produzione italiana. Badate bene, colleghi, non della grande impresa, quella che viene aiutata indebitamente con provvedimenti quali quello reiterato sulla rottamazione, che non riesce più a generare nuovi posti di lavoro, e che per esplicita dichiarazione resa dinnanzi alla Commissione attività produttive di questa Camera ha persino dichiarato che entro il 2000 sposterà all'estero, in paesi fiscalmente più accoglienti, la produzione di decine di migliaia di automobili e decine di migliaia di posti di lavoro. Dunque, non


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in direzione della grande impresa ma delle piccole e medie imprese che costituiscono l'ossatura portante dell'economia italiana e l'unica e vera possibilità di ripresa e di rilancio per il paese.
Con questo decreto-legge si vuole colpire e penalizzare in modo indiscriminato la piccola e media impresa, in particolare anche quella del sud, per la quale a parole tutti, in questo Governo Prodi, dicono di voler fare qualcosa, ma per la cui ripresa e per il cui rilancio nessuno in questo Governo Prodi riesce o vuole fare qualcosa.
Gli emendamenti presentati dall'opposizione erano tutti volti a rendere non dico più equa ma almeno accettabile la manovra, proponendo essi correttivi orientati alla saggezza, alla razionalità, al buon senso, ma non è stato possibile ottenere questo risultato minimo per l'irresponsabile e odioso atteggiamento del Governo Prodi, che ha posto la fiducia in un momento in cui, in maniera pacata e democratica, si svolgeva in aula un civile dibattito teso a migliorare il livello tecnico del provvedimento. Ma oltre all'intrinseco disvalore complessivo questo decreto-legge riflette le mille contraddizioni del Governo Prodi: parlano di rilanciare l'edilizia con misure di detraibilità per ristrutturazioni ed aumentano l'IVA per tutti i materiali relativi, favorendo solo il lavoro nero; parlano di rilanciare il mondo della musica leggera, in particolare il referente delle canzonette, l'onorevole Veltroni, ed aumentano l'IVA su tutto il comparto (dischi, cassette eccetera); garantiscono particolare attenzione al mondo agricolo e al di là del penoso spettacolo a cui stiamo assistendo, che dimostra la loro totale incapacità di risolvere i problemi reali delle categorie produttive, aumentano l'IVA su produzioni qualificanti, come per il foraggio e il comparto vitivinicolo.
Durante tutta la campagna elettorale del 1996, e poi addirittura nel suo discorso programmatico all'atto dell'insediamento del suo Governo, l'onorevole Prodi formulò ufficialmente la promessa di non accrescere l'imposizione fiscale: ebbene, ora, cari colleghi, continuiamo ad assistere non ad interventi strutturali sulla spesa pubblica, non a riforme di parti dello Stato sociale come la previdenza, l'assistenza sanitaria e il pubblico impiego, ma solo a continui e sconsiderati interventi di inasprimento fiscale. Il vero risanamento del paese si fa con la flessibilità del lavoro, con l'utilizzo dei fondi comunitari, con l'alleggerimento delle incombenze burocratiche, con il consentire agli artigiani di esercitare la loro professione e di trasmetterla ai giovani, con la creazione di grandi infrastrutture adeguate ai tempi, con il coniugare scuola ed impresa, con la valorizzazione dell'agricoltura e del turismo, con il preservare il territorio ed i beni culturali.
Solo così si potrà ottenere un vero sviluppo, che non solo ci conduca alla moneta unica europea ma che ci porti in Europa a pieno titolo e a pieno titolo ci permetta di restarci. In una sola cosa, forse, questo iniquo provvedimento è coerente: nel mancato recupero del ritardo dello Stato nei confronti delle aziende che devono ricevere i rimborsi IVA, ritardo che spesso è di anni; i subfornitori loro sì che sono tenuti a versare l'IVA allo Stato prima ancora di ricevere il pagamento della fattura ed è un aspetto finanziario molto negativo, se aggiunto al ritardo nel rimborso dell'IVA. Era quindi auspicabile, almeno, che nel decreto-legge in discussione fosse stabilita l'obbligatorietà del versamento dell'IVA da parte delle aziende subfornitrici solo dopo l'avvenuto pagamento della fattura: questo è un argomento molto dibattuto e sempre rinviato. La coerenza, dicevo, cari colleghi, è nel non avere approfittato di questa occasione per risolvere il problema.
Per tutti questi motivi, onorevoli colleghi, esprimerò un voto contrario sul provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Possa. Ne ha facoltà.

GUIDO POSSA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del


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Governo, dichiaro subito che voterò contro la conversione in legge del decreto per l'elevazione dell'IVA e l'eliminazione di una delle sue aliquote intermedie. La mia posizione, comune a tutto il Polo e alla lega nord per l'indipendenza della Padania, è dovuta a diversi motivi che cercherò di riassumere brevemente.
Il primo consiste nell'effetto inflattivo: Fazio l'ha quantificato nello 0,7 per cento; sembra un'entità minima ma ha invece un effetto micidiale, perché è sicuramente una delle ragioni per le quali Fazio non è favorevole alla diminuzione del tasso ufficiale di sconto. Lo 0,7 per cento differenziale rispetto alle altre monete, in un processo come quello dell'ingresso in Europa, è un elemento molto pericoloso: avremmo una penalizzazione per tutto il nostro comparto produttivo, dovuta al fatto che il TUS rimarrà più elevato.
Il secondo motivo è - vi hanno accennato in molti - l'effetto depressivo sui consumi: è stato chiarito anche quali sono i consumi più penalizzati; citerò poi una cifra terribile, che finora non è mai stata menzionata ma che fa riflettere e capire come l'asino sia ormai carico al massimo e non reagisca più ad ulteriori aggravi della soma.
Inoltre, il decreto ci allontana dall'Europa. Cito solo alcuni dati: l'aliquota normale in Italia passa ora al 20 per cento e l'aliquota minima rimane al 4 per cento; nella Repubblica federale di Germania, paese pur travagliato da tanti problemi, l'aliquota normale, che è anche quella massima, è il 15 per cento e l'aliquota minima è lo zero per cento; in Gran Bretagna, l'aliquota massima è il 17,5 per cento e l'aliquota minima è lo zero per cento. Tutto ciò per dire come questo provvedimento ci allontani dall'Europa. Un altro motivo è che il provvedimento incide soprattutto sulle partite IVA, cioè sui 7 milioni di produttori attivi nel nostro paese, che ha una collocazione assolutamente particolare nella realtà produttiva europea con tante partite IVA quante non ne totalizza la somma delle partite IVA di Germania, Francia e Gran Bretagna.
Vediamo un po' più da vicino questa manovra: essa viene valutata in 5.725 miliardi per il 1998 e vi sono fra l'altro 1.450 miliardi non previsti dal DPEF (un'ultima manovrina di questo anno horribilis che è il 1997, una ciliegina su una torta piena di prelievi fiscali). Una cifra di 5.725 miliardi, onorevoli colleghi, rappresenta circa il 5 per cento del gettito IVA (nel bilancio di competenza assestato 1997 sono previsti 103 mila miliardi di entrate tributarie dell'IVA). Ora, invece, voglio riferirvi la cifra che ho trovato sconvolgente: sono andato a verificare il bilancio assestato 1996 e sapete l'entrata IVA per quanto era indicata un anno prima? Era 116.977 miliardi, cioè 13 mila miliardi in più: ebbene, non essendovi un effetto inflazione (siamo a valori comparabili), il gettito dell'IVA è diminuito in un anno del 12 per cento. Ci rendiamo conto di cosa vuol dire? Siamo in caduta libera per quanto riguarda i consumi!
Questa cifra mi ha molto stupito e sono andato a verificarla presso il Servizio bilancio dello Stato, dove mi hanno confermato che le cifre contenute nel capitolo n.1203 (vi risparmio la fatica che ho fatto io per trovare il capitolo, perché, come sapete, tra il 1996 e il 1997 è cambiata la struttura del bilancio) indicano una caduta del gettito dell'IVA, definita nel DPEF di quest'anno la componente meno dinamica delle entrate. Bella forza! Lo è perché riflette il consumo, che è in caduta libera! Tutto questo, onorevoli colleghi, va inserito nel contesto di una situazione drammatica quanto all'intensità del prelievo fiscale e parafiscale.
Sempre riferendomi al bilancio di competenza assestato 1997, abbiamo entrate tributarie al 28,3 per cento del PIL, a cui va aggiunto il 19,3 per cento di entrate previdenziali e assicurative, per un totale che è pari al 47,6 per cento del PIL per quanto riguarda le entrate fiscali e parafiscali.
A tutto ciò vanno aggiunte le entrate dei comuni (come l'ICI) e le altre entrate di bilancio. Nel complesso, quindi, il carico fiscale e parafiscale ammonta ad oltre il 48 per cento del PIL: una cifra

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stratosferica, che non ha confronti nel modo più assoluto e che naturalmente può solo avere effetti depressivi drammatici sull'attività produttiva, come già hanno precisato i colleghi.
Se poi passiamo ad esaminare la struttura delle uscite del bilancio dello Stato, vediamo che per il 42 per cento essa è costituita da trasferimenti a regioni, province e comuni; si tratta quindi di risorse che non sono governate dalle nostre decisioni (mi riferisco, in particolare, alle parole dell'onorevole Tremonti). In sostanza il Parlamento è espropriato, perché questi trasferimenti avvengono in base alla legge e sono determinati automaticamente. Il 28 per cento delle uscite è destinato a finanziare gli oneri per interessi; Ciampi è stato molto bravo a diminuire questa cifra - bisogna ammetterlo -, ma più di questo in futuro certamente non riuscirà a fare. Il 30 per cento delle spese è riservato al funzionamento della macchina dello Stato, ma purtroppo essa non è stata interessata da alcuna profonda riforma, così come sarebbe necessario.
Se poi andiamo a verificare il saldo netto da finanziare, onorevoli colleghi, cioè la differenza tra uscite e le entrate di bilancio, nel 1997 il differenziale è pari non al 3 per cento, ma al 5 per cento del PIL. Ciò significa che quest'anno possiamo impegnare una quantità di risorse superiore alle entrate per un ammontare equivalente al 5 per cento del prodotto lordo. L'anno scorso il differenziale era del 7,5 per cento rispetto al PIL. Cifre spaventose.
In sostanza, la macchina dello Stato ha la possibilità di continuare a impegnare risorse impegni senza troppe difficoltà. Di conseguenza Ciampi, che deve rispettare il vincolo di Maastricht, ha introdotto le autorizzazioni di cassa: siccome la macchina dello Stato può continuare a spendere, ma le uscite di cassa devono essere mantenute entro i limiti previsti dai parametri europei, si bloccano le erogazioni facendo crescere a dismisura i residui passivi. È questa l'amministrazione che abbiamo di fronte: un'amministrazione centrata in modo drammatico unicamente sul prelievo. Mi dispiace che non siano presenti i colleghi di rifondazione comunista, perché vorrei fare loro i miei complimenti!
Ho annotato quattro modi attraverso i quali il Governo riesce a sbilanciare tutta la manovra sull'aumento delle entrate. Un primo meccanismo è quello di dichiarare semplicemente le percentuali di tagli di spesa e di incrementi di entrata che formano la struttura della manovra. Un secondo meccanismo consiste nel denominare come tagli di spesa risorse che in realtà provengono da ulteriori prelievi fiscali. Un solo esempio: nella finanziaria di quest'anno sono state dichiarati come minori spese 1.100 miliardi nel settore della sanità; in realtà 450 miliardi sono stati ricavati dal prelievo fiscale, in quanto...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Possa.

GUIDO POSSA. Va bene, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Stefani. Ne ha facoltà.

STEFANO STEFANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come presidente della lega, ho il mio ufficio a Milano. Un paio di volte alla settimana devo recarmi da Vicenza - dove abito - a Milano. A proposito di Vicenza, devo dire che la città ha avuto gli onori della cronaca in questi giorni, ma non per quanto in realtà le compete. Vicenza è al terzo posto in Italia come prodotto interno lordo; è al terzo posto anche come valore delle esportazioni, per il quale supera Roma, Napoli, Genova, Venezia...
Dicevo che mi reco a Milano piuttosto spesso. Per fare gasolio sono costretto a fermarmi a Verona. Nei due distributori della zona si verifica un fatto a mio avviso abbastanza strano: gruppetti di loschi figuri stazionano fissi nelle aree di servizio. Li trovate lì sempre, Presidente: esattamente


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come in un ufficio pubblico si può trovare l'assessore o il funzionario. Nel nostro caso, invece, si tratta di persone che giocano con le tre campanelle o con le tre carte. Sono fissi. Probabilmente la polizia è impegnata a manganellare in altre zone e non può andare a prelevarli... (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

DANIELE ROSCIA. Vigliacchi!

STEFANO STEFANI. Mi direte cosa c'entra tutto questo. Un attimo di pazienza e vengo al punto. Questa gente mi ha fatto venire in mente una riflessione. Sono cinque o sei compari per ogni gruppetto, sempre lì tutte le mattine dalle 8. Se il loro impegno fosse diretto - invece che a truffare la gente - a faticare ed a lavorare, forse ne trarrebbero maggiore beneficio e la gente (cioè i truffati) starebbe meglio. Ma fare fatica non è così facile, anche se si tratta di persone con una capacità non indifferente nel manipolare le carte o nel fare giochini...
Perché ho raccontato questo piccolo aneddoto? Perché questa gente mi ricorda molto il nostro Governo, che è formato da persone quasi uguali ai compari che ho descritto: per ottenere un maggior gettito (di cui il paese peraltro ha bisogno) stanno facendo il massimo sforzo con il minore giovamento.
Ormai è risaputo - nelle economie più avanzate lo si sa da tempo - che quando la pressione fiscale supera un certo limite il gettito non aumenta più e si ottiene l'effetto contrario: le entrate fiscali diminuiscono. La Svezia ed altri paesi del nord Europa, quando hanno voluto progredire e sviluppare l'economia, hanno dovuto - vent'anni fa - diminuire la pressione fiscale. Invece questi continuano sulla stessa strada dell'incremento della pressione fiscale: aumentano l'IVA, cioè una tassa che ormai non dà più gettito. Basta citare, infatti, quei rapporti SECIT resi noti un anno e qualche mese fa, giunti in quest'aula e poi spariti: quei documenti dicevano dove si verificava l'evasione IVA, in quali aree del paese si paga di meno, in quali comparti merceologici l'IVA viene versata per il 10 per cento del volume prodotto, con un'evasione del 90 per cento.
Forse varrebbe la pena soffermarsi più a lungo sui sistemi per bloccare questa evasione, per risolvere lo scandalo di intere città che evadono l'IVA nell'ordine del 90 per cento, piuttosto che per cercare di assicurarsi - con l'aumento di un punto - un gettito fiscale che non è assolutamente possibile recuperare.
È già stato detto: nel suo programma elettorale il Presidente Prodi aveva scritto e spergiurato che la pressione fiscale non sarebbe assolutamente aumentata e che dopo il primo anno sarebbe diminuita progressivamente. Se è vero, come è vero, che i numeri sono numeri, che due più due fa sempre quattro (sia da sinistra sia da destra, sia da D'Alema sia da Bossi), sappiamo benissimo che in questo paese la pressione fiscale è aumentata di un paio di punti. Sappiamo benissimo anche che la pressione fiscale in questo paese non è del 43 per cento, come viene sbandierato, ma ha superato già il 53 per cento, sempre in ragione dei numeri. E allora vi chiedo, e chiedo ai colleghi presenti in quest'aula, quale sia la differenza fra questo Governo, che non sa e non capisce di aver superato il punto di rottura... Forse non vuol capire oppure è convinto di essere sulla strada giusta, ma poi è smentito dai numeri, al di là dei giochini contabili, che avvengono ormai come nulla fosse, delle posticipazioni delle uscite e delle anticipazioni delle entrate. Allora, al di là dei giochini contabili, vorremmo sapere dove questo Governo voglia andare a parare, al di là delle promesse elettorali assolutamente non mantenute.
Vorrei ricordare un altro passaggio: nella scorsa legislatura ero al Senato e, conforme a quanto avevo promesso ai miei cittadini durante la campagna elettorale, presentai un emendamento alla legge finanziaria (ricordo che era la prima finanziaria della mia presenza sui banchi del Parlamento) affinché il rimborso IVA avesse un corso naturale, un corso logico,


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visto che è un debito dello Stato. Ignoravo purtroppo che quel debito non era a bilancio, era una partita di giro, anche se non ho ancora capito perché e in base a quale principio contabile. Qualcuno vuole avere la bontà di spiegarmelo? Io sono qua! Forse sarò duro di comprendonio, ma mi auguro che qualcuno voglia spiegarmelo (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Perché un debito dello Stato verso i produttori non viene messo in contabilità? Non è un debito? E allora ho detto: se questo è un debito, tanto vale trasformarlo in un altro debito, ergo in titoli pubblici, dando linfa vitale, restituendo questi denari che sono dei produttori, non dello Stato. Sono stati semplicemente prestati allo Stato, e nei paesi civili sarebbero stati restituiti dopo una settimana o dopo un mese (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania e di forza Italia).
Ripeto, ho presentato un emendamento, nella mia ignoranza e forse dabbenaggine, convinto che venisse accolto. E le sinistre, i colleghi senatori della sinistra, con in testa l'attuale sottosegretario Carpi, si affrettarono a firmarlo. I rimborsi IVA da restituire alle aziende sono pari a 45 mila miliardi; si tratta di aziende che hanno l'acqua alla gola, appunto per questa ragione. Non parlo delle grandi imprese, non parlo di Agnelli e di De Benedetti; quelle aziende trovano sempre il sistema per essere finanziate. Poi magari faremo la rottamazione anche delle dentiere, visto che c'è un nostro collega che opera in questo campo. Dobbiamo pur dargli una mano (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)! Quando presentai questo emendamento esso fu prontamente sottoscritto dalle sinistre, quelle stesse sinistre - guarda caso - che adesso per un marchingegno contabile non solo non rimborsano e non cercano di agevolare (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania e di forza Italia)....

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mammola. Ne ha facoltà.

PAOLO MAMMOLA. Grazie, Presidente. Vorrei cogliere quest'occasione che mi è concessa di parlare in sede di dichiarazione di voto finale, che chiaramente preannuncio negativo contro il provvedimento, iniziando il mio intervento con un sincero ringraziamento a tutto il personale della Camera dei deputati, ai commessi, ai funzionari, al personale degli Uffici della Presidenza (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia), che ci stanno consentendo di affrontare il dibattito in quest'aula parlamentare che è diventata un po' lo «sfogatoio» di noi deputati dell'opposizione, visto che ben poche volte abbiamo modo di parlare in maniera diretta al paese. Pensavo che il mio intervento potesse essere svolto anche sotto i buoni auspici della presenza del sottosegretario Vita (ma purtroppo vedo che ha lasciato da poco i banchi), perché credo che finché c'è Vita c'è speranza...! Speravo che con la presenza del sottosegretario Vita potessimo almeno nutrire qualche speranza di cambiare le cose in questo paese. Evidentemente sono sfortunato; il sottosegretario ha lasciato il suo collega da solo, e siamo in presenza di un solo membro del Governo.
Dopo le tante cose che sono state dette in queste ore di dibattito in seduta fiume, vorrei provare a fare l'analisi della situazione nella quale ci stiamo dibattendo e nella quale stiamo cercando di fare politica nel nostro paese. Penso sia necessario fare tutti quanti insieme una riflessione, a questo punto, cioè quella che ci dovrebbe indurre a capire che esiste un problema, nel nostro paese, un problema di democrazia, una democrazia che io oserei definire veramente malata, una democrazia che definirei a sovranità limitata.
In molteplici occasioni abbiamo denunciato - e continuiamo fortemente a farlo - l'esistenza e l'incombenza di una cappa pesante, che sa molto di regime, perché ci sono dei dati evidenti, inoppugnabili, inequivocabili: il Parlamento, come dicevo


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prima, è diventato lo «sfogatoio», il luogo in cui noi possiamo solo alzare alto il lamento e dove ci è ormai preclusa e negata la possibilità di discutere nel merito dei provvedimenti. Non è un dato di poco conto; non è un dato di poco conto se questo Governo, sostenuto da una sua pur traballante maggioranza, nel giro di un anno e mezzo, di circa 500 giorni di vita, è ricorso alla questione di fiducia per quasi trenta volte; siamo forse alla ventisettesima. Abbiamo perso il conto, Presidente.
A questo affianchiamo quell'atto molto pesante che fu fatto l'anno precedente di questi tempi in sede di discussione della legge finanziaria per l'anno 1997, quando per la prima ed unica volta un Governo si presentava al Parlamento a chiedere oltre sessanta deleghe in materia legislativa, avocando a sé il diritto e la potestà di legiferare nelle più svariate maniere e lasciando al Parlamento l'unica possibilità che viene lasciata quando il Governo ottiene le deleghe, vale a dire quella di esprimere i pareri su iniziative legislative ormai preconfezionate. Sappiamo benissimo che, poiché possono essere espressi solo dei pareri, poco possono essere motivate le discussioni che noi facciamo nelle aule parlamentari per giustificare esigenze di modifiche di questi provvedimenti.
Sovranità limitata, quindi, del Parlamento, che ormai è diventato il posto dove si votano i provvedimenti del Governo. E poi sovranità limitata anche perché - lo vediamo - ormai c'è un bavaglio continuo a tutte le situazioni che vanno contro questo Governo. Più che stigmatizzare l'episodio di ieri - l'hanno già fatto tanti altri colleghi qui alla Camera -, che ha coinvolto le forze di polizia che hanno manganellato brutalmente i rappresentanti di una categoria che levavano alta la loro protesta, vorrei ricordare ai colleghi quali e quante cose, quali e quante immagini, quali e quanti discorsi si sono fatti sulle cariche della polizia, magari di fronte agli studenti di sinistra che protestavano, a loro giudizio evidentemente con ragione. Bene, di fronte a queste iniziative oggi cala una cappa di silenzio; è un problema che individuerei nella carenza di informazione che oggi riusciamo a trasmettere verso l'esterno.
Una carenza di informazione che deriva dal fatto che le televisioni riportano quella che non è più la vera realtà del paese ma una realtà virtuale; una carenza conseguente al fatto che i giornali sono ormai completamente allineati ad una gestione del potere che controlla inequivocabilmente gli organi di informazione.
È un problema grave perché si perde la dimensione di quello che sta succedendo nel paese. Mi capita spesso di rientrare nel collegio elettorale e di incontrare la gente che mi ha dato il voto che chiede: ma cosa state facendo? Non state facendo l'opposizione? Questo è il messaggio che passa attraverso i giornali. Invece ribadisco con forza che il Polo della libertà e la lega nord (che giustamente, per altri versi, attua diverse forme, magari ancora più forti ed evidenti, di opposizione) rivendicano il ruolo che stanno svolgendo in Parlamento. Ma dei risultati che otteniamo nulla esce all'esterno.
Esiste quindi un problema reale, quello di far capire alla gente quali sono le battaglie che l'opposizione conduce in Parlamento. Ciò però non deve far pensare ai colleghi che stanno dall'altra parte che il problema non li riguardi. Sono convinto che se questa immagine deformata di quanto succede nel paese trasmessa dai mezzi di informazione crea un naturale scompenso nell'elettorato moderato che si è individuato nelle forze non aggregate sotto il simbolo dell'Ulivo, analogo problema - cari signori della maggioranza - lo avete voi. Alla gente che vi ha dato il voto il Pinocchio Prodi (come è stato detto parecchie volte in quest'aula) aveva promesso di guidare un Governo che non avrebbe toccato le tasse. Questo Governo all'elettorato minoritario nel paese (perché come ha giustamente ricordato il collega Tremonti, è un Governo che ha la maggioranza nelle aule parlamentari ma la minoranza nel paese) ha fatto digerire manovre per 100 mila miliardi; ha fatto digerire un'eurotassa che il

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ministro Ciampi, da Bruxelles, definisce un impegno morale: non verrà restituita perché non c'è alcun obbligo di farlo.
Il riallineamento delle aliquote IRPEF colpisce, guarda caso, i ceti medi produttivi, quelli che oggi scendono in piazza e protestano, ed invece favorisce i grandi redditi. Un analogo esempio è l'IRAP: pagheranno le piccole e medie imprese, mentre quelle grandi vedranno diminuito il loro carico fiscale ad opera di questa tassazione pazza. Ora interviene il decreto sull'IVA.
Tutti questi strumenti che dovrebbero consentire di portare il paese in Europa sono solo un cavallo di Troia con il quale il Governo lo porterà allo sbando, ad una realtà di fame. Ciò determina una disaffezione dell'elettorato che si manifesta nelle occasioni di voto come quella delle recenti amministrative, in cui ci si accorge una volta di più che cala l'affluenza alle urne. La gente non capisce più la politica, non comprende più quanto facciamo qua dentro.
Concludendo il mio intervento, Presidente (mi lasci questi ultimi secondi), vorrei dire che dalle forze di opposizione deve scaturire un ringraziamento fermo e forte all'onorevole Bogi, rappresentante del Governo, che dopo un'ora e mezza di dibattito ha dichiarato che il Governo poneva la fiducia, l'ennesima fiducia che strozzava il dibattito parlamentare, ed anche all'onorevole... (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Mammola.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Viale. Ne ha facoltà.

EUGENIO VIALE. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signori colleghi deputati, esporrò la mia posizione di voto negativa su questo decreto-legge che sostanzialmente dispone un aggravio fiscale.
È l'ennesimo provvedimento tributario di questo Governo, che non sa far altro che aumentare le tasse. Nell'ultimo anno e mezzo la pressione fiscale è aumentata del 2 per cento. È un Governo - lo voglio rammentare - fedifrago rispetto alle promesse elettorali: aveva promesso di non aumentare le imposte ed invece continua ad aumentarle.
Vorrei a questo punto fare una breve riflessione di uomo comune. A cosa servono le tasse? Nella moderna civiltà servono proprio per una civile convivenza, per far funzionare lo Stato, per dare ad esso le risorse necessarie per garantire ai cittadini i servizi che essi stessi chiedono allo Stato. Non dimentichiamo che quest'ultimo è il popolo stesso, siamo noi che abbiamo deciso di avere uno Stato di diritto che è prima di tutto una comunità, quasi un'associazione di persone che, vivendo su uno stesso territorio, con comuni ideali di vita, decidono di avere in comune servizi, regole, assistenza, giustizia, difesa e così via.
Lo Stato, cioè, deve fornire agli stessi cittadini che lo compongono i servizi che ha avuto l'incarico di garantire (ripeto: l'amministrazione della giustizia, la difesa del territorio, l'ordine pubblico, l'assistenza sanitaria, le grandi opere infrastrutturali, la viabilità, eccetera). Come dicevo, tutto ciò viene finanziato con il prelievo fiscale. La nostra Costituzione prevede proprio che ciascuno contribuisca a seconda delle proprie possibilità a finanziare attraverso imposte e tasse lo Stato.
Quest'ultimo è poi chiamato a svolgere un'attività di redistribuzione dei redditi nei confronti dei più deboli o dei più anziani, ma sempre partendo dalle risorse che i cittadini mettono a sua disposizione. Ma come si formano queste risorse? È bene ricordarlo, anche se è un concetto semplice. Le risorse si formano con il lavoro, con la produzione di beni, con la costruzione di qualcosa, di un servizio o di un bene, diverso dalle sue componenti iniziali, con un maggior valore rispetto alla partenza del processo.
Insomma, facendo un esempio per un prodotto base come può essere il pane, vediamo che il panettiere miscela la farina, il lievito, l'acqua; li impasta, forma le pagnottelle, le cuoce nel forno e produce


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il pane. Egli aggiunge al valore iniziale delle materie prime il valore del proprio lavoro e crea un prodotto che vale di più. La differenza tra il valore iniziale del processo produttivo e quello finale è la vera ricchezza nuova da cui dovranno essere attinte le risorse per retribuire il lavoro del panettiere e quelle per sostenere lo Stato di cui il panettiere fa parte.
Ma se dividiamo questo valore aggiunto in modo non equanime, come avviene oggi in Italia, e preleviamo per le necessità dello Stato una percentuale del prodotto interno lordo (che è il pane) troppo elevata (oggi siamo a quasi il 50 per cento, se non oltre), non agiamo giustamente, soprattutto perché le spese dello Stato sono eccessive, non razionali o clientelari a favore di certe categorie che definisco «uliviste».
Insomma, se la pressione fiscale è eccessiva, facciamo sì che non solo il nostro ipotetico panettiere non sia più incentivato a lavorare e a produrre, ma lo strangoliamo, gli impediamo di avere risorse per ammodernare il proprio opificio, per esempio per sostituire il forno o l'impastatrice, per progredire. Ma così facendo si impoverisce tutta la società, perché a loro volta coloro che costruiscono il forno o l'impastatrice non avranno richiesta dei propri prodotti e nello stesso modo chi produce beni di consumo avrà poca domanda e quindi poco lavoro, e così via. Si crea cioè un circolo vizioso. In tal modo, invece, il circolo virtuoso della produzione di ricchezza attraverso il lavoro, attraverso l'occupazione viene interrotto, viene tarpato, per il bisogno famelico dello Stato di avere sempre più risorse per finanziare sprechi, per finanziare tutto il parassitismo statale.
Stiamo correndo il rischio di vedere lentamente l'Italia percorrere una brutta china. Infatti la disoccupazione sta aumentando, oggi è ad oltre il 12 per cento; abbiamo circa 3 milioni di disoccupati. Questo è il vero problema. E non è con gli interventi pubblici che si può creare occupazione vera, altrimenti il sistema comunista avrebbe funzionato, ma ciò non è avvenuto e ne abbiamo avuto la dimostrazione pratica con il crollo degli Stati dell'est.
Occorre invece riprendere la strada dello sviluppo incentivando la formazione di nuove imprese, detassando gli utili reinvestiti, semplificando gli adempimenti burocratici, e non certo con il patto scellerato delle 35 ore obbligatorie per legge. Occorre invece maggiore libertà, perché solo in tal modo si creeranno davvero nuovi posti di lavoro. Solo con il vero lavoro produttivo nelle aziende vere si combatte la disoccupazione e si aiutano i ceti più deboli, che questo Governo dice a parole di difendere e che in realtà danneggia, mentre devono essere aiutati, ripeto, con una politica più liberale.
In conclusione, questo decreto di aumento delle aliquote IVA comporterà l'ennesimo aumento della pressione fiscale, un ulteriore aggravio per i cittadini che sempre più sentono pesante questo obbligo di finanziare lo Stato, ed anche comporterà ulteriori aggravi e difficoltà burocratiche e contabili. Tralascio di tediarvi sull'assurdità di anticipare di un mese la liquidazione dell'IVA per le fatture differite; ciò è quasi impossibile per molte aziende, ma dimostra la sete di soldi di questo Governo assatanato. Soprattutto la parte della società che produce, che lavora, che vive in modo onesto, costruttivo, attivo, vive come una ingiustizia questa continua pervicacia dello Stato e del suo attuale Governo nel rapinare continuamente e con mille artifici e obblighi contabili e burocratici tutto il buono e tutta la ricchezza che viene prodotta con tanta fatica e con tanto impegno per poi sprecarli.
È ora di cambiare strada. Siamo stanchi; siamo anche tristi. Noi di forza Italia - lo dice il nostro nome - amiamo l'Italia, tutta, tutta, ma vogliamo che diventi migliore di oggi, vogliamo che funzioni meglio, vogliamo che gli italiani si sentano fieri di essere tali. Ma non è... (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

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PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Mammola.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Santori. Ne ha facoltà.

ANGELO SANTORI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ancora una volta il Governo Prodi ha scelto di ricorrere allo strumento della fiducia, impedendo all'opposizione di votare i propri emendamenti e di modificare un provvedimento fortemente negativo per l'economia del paese. L'opposizione, tacciata lo scorso anno di incapacità ed irresponsabilità, allorché decise di non votare la finanziaria e di abbandonare l'aula, oggi incomprensibilmente è sottoposta a critica poiché cerca, attraverso legittimi strumenti parlamentari, di far sentire le proprie ragioni ad un Governo sordo ed arrogante.
Vorrei richiamare alla memoria dei colleghi del partito democratico della sinistra e di rifondazione comunista i tempi non lontani in cui con migliaia di emendamenti ed estenuanti interventi bloccavano i lavori dell'Assemblea. Che il nostro non sia mero ostruzionismo lo dimostra la fondatezza delle perplessità avanzate in ordine alle conseguenze dell'inasprimento dell'IVA. Il nostro giudizio negativo si fonda non su una valutazione aprioristica ma su specifiche contestazioni. Il disegno di legge n.4297 prevede la riduzione a tre delle aliquote IVA: una disposizione da cui, secondo la relazione del Governo, si attende un maggior gettito di 1.459 miliardi per il 1997, 5.725 miliardi per il 1998, 5.800 miliardi per il 1999 e 6.032 miliardi per il 2000. Un risultato che deriva dalla sottrazione della variazione negativa di gettito provocata dal mantenimento al 10 per cento della tassazione sulle carni bovine e suine, valutata in 1.276 miliardi per il 1998, sulla base di una espansione dei consumi del 4 per cento.
Non viene però spiegato stranamente perché e su quale ipotesi di andamento dell'economia reale si stima la crescita dei consumi e quindi l'effetto delle variazioni delle aliquote fiscali interessate.
Che la nostra contrarietà all'approvazione del decreto sia ragionevolmente motivata, risulta evidente analizzando le misure concernenti il settore agricolo e quello edilizio. Le modifiche delle aliquote IVA sono particolarmente gravose per il settore agricolo, in quanto il loro aumento accentua la differenza con le percentuali di compensazione previste per il regime speciale agricolo. In sostanza, dal prossimo 1 gennaio sorgeranno nuove difficoltà nella contrattazione dei prodotti agricoli per i quali esistono marcate differenze tra aliquota e percentuale di compensazione.
Riteniamo che una maggiore particolare attenzione dovesse riservarsi alla situazione di grave disagio in cui versano le aziende vinicole. L'inasprimento delle misure tributarie produrrà effetti negativi su un settore trainante per l'economia nazionale quale è la produzione di vini.
Per quanto riguarda il settore edilizio, anch'esso in forte crisi, il Governo sembrava aver fatto proprie le istanze degli operatori, prevedendo una serie di incentivi per chi deve restaurare un immobile. Mi chiedo allora che senso abbia oggi inasprire l'aliquota IVA relativa all'acquisto di materie prime e semilavorati necessari al ciclo produttivo dell'industria edilizia. In tal modo non si fa altro che annullare gli effetti della cosiddetta rottamazione degli immobili. Ritengo sia obiettivamente manifesta ed evidente l'incongruità delle due misure fiscali.
In materia di obblighi contabili ai fini dell'IVA, si assiste ad un ulteriore giro di vite a danno degli imprenditori e dei lavoratori autonomi, considerato che le norme del decreto annullano gli scarsi benefici offerti in precedenza dalla fatturazione differita, la quale consentiva di spostare di un mese la contabilizzazione dell'importo sulle vendite.
Il giudizio negativo sul decreto-legge in conversione è motivato anche dalla considerazione che l'aumento delle aliquote IVA per i beni di largo consumo incide sul reddito disponibile dei ceti meno abbienti e che tali effetti si producono negli ultimi


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mesi dell'anno, periodo tradizionalmente caratterizzato da forti acquisti da parte delle famiglie.
Un mese fa si è dato luogo ad una crisi di governo. Il nodo della questione era costituito dalla intoccabilità delle pensioni degli operai e dei lavoratori precoci. Che si trattasse di una farsa e di una operazione di facciata, risulta oggi in tutta la sua evidenza. Rifondazione comunista non si preoccupa infatti di salvare il potere d'acquisto dei salari degli operai e voterà il provvedimento.
Da tale considerazione discende un giudizio negativo sul contenuto del provvedimento ed in generale sulla politica economica e fiscale di questo Governo. Autorevoli esponenti del partito democratico della sinistra hanno in questi giorni esortato il Governo ad adottare misure più incisive per la disoccupazione. Certo è che non possono crearsi nuovi posti di lavoro se le piccole e medie imprese, le quali costituiscono la realtà più dinamica dell'economia italiana, vengono letteralmente tartassate. L'IRAP e le nuove aliquote IVA, misure introdotte da un Governo incapace di ricorrere a strumenti diversi dalla leva fiscale, indurranno i già sfiduciati operatori economici a non investire, o meglio a non farlo in Italia. Eppure, l'occupazione, in particolare nel Mezzogiorno, si crea non con modesti incentivi e con i lavori socialmente utili, ma agevolando l'investimento di capitali, la nascita e la crescita delle piccole imprenditorialità.
Signor Presidente, le nostre critiche sono rivolte ai contenuti della politica economica e fiscale del Governo, ma soprattutto ai metodi ed alla mancanza di rispetto per le regole democratiche che, grazie anche al suo modus agendi, vengono continuamente violate. Il Governo e la maggioranza non si sono preoccupati di verificare la fondatezza e la ragionevolezza dei nostri argomenti, ma hanno rifiutato a priori il confronto con l'opposizione, che rappresenta una parte significativa se non maggioritaria della popolazione. Nei più ricorre la considerazione per cui la democrazia dipende dall'esistenza di un'opposizione, da una buona opposizione. Ebbene, il Polo ha interpretato correttamente il suo ruolo, dando la propria disponibilità a confrontarsi in Assemblea con le ragioni del Governo per trovare un punto di mediazione. L'esecutivo e la maggioranza che lo sostiene, con indescrivibile arroganza, hanno ritenuto opportuno andare avanti a colpi di fiducia e di evitare il dibattito, convocando una riunione, poi revocata, fuori della sede istituzionale, riunione alla quale aveva aderito - fatto molto più grave - anche il capo del Governo.
Colleghi della maggioranza, il confronto deve avvenire in Assemblea e se ciò non avviene si ledono le regole della democrazia e si offendono i cittadini italiani, che non hanno dato fiducia a tale maggioranza.
Colleghi della maggioranza, quanto è accaduto in questi giorni con l'ennesima questione di fiducia posta dal Governo e con l'intervento di stampo stalinista dell'onorevole Mussi, costituisce una delle pagine più brutte della recente storia repubblicana. Questa maggioranza e questo Governo, anche grazie ad una stampa compiacente, hanno tentato di soffocare le opposizioni, legittimamente elette dal popolo.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, le vicende di questi giorni rivelano pure una novità positiva: si assiste ad un Polo compatto che opera insieme alla lega nord per l'indipendenza della Padania. Vedere queste forze politiche, che sono minoranza in Parlamento, ma maggioranza nel paese, opporsi al regime di sinistra dà fiducia e stimoli nuovi a quanti - e tra questi, io - credevano ormai di doversi difendere di fronte all'arroganza del potere dell'Ulivo e di rifondazione comunista.
A voi colleghi della lega rivolgo un invito: abbandonate la strada della secessione, strada impercorribile e improponibile. Su molte questioni possiamo trovare un punto di incontro e difendere così quella piccola e media impresa, quegli agricoltori, artigiani, commercianti, quel

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ceto medio che questo Governo e questa maggioranza vogliono in ogni modo penalizzare.
Signor Presidente, in conclusione, vorrei ribadire che le gravi vicende di questi giorni hanno definitivamente lacerato i rapporti tra Governo ed opposizione: ciò non potrà non avere strascichi al momento della discussione e dell'approvazione della nuova legge finanziaria (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marras. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARRAS. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, prima di intervenire per dichiarazione di voto, vorrei rivolgermi al Presidente Violante per un fatto accaduto l'altro giorno in aula durante la Presidenza dell'onorevole Acquarone. Mentre i colleghi del centro-sinistra entravano in aula, ho chiesto al Presidente di assicurare che vi fosse silenzio, ma ho avuto una risposta - credo - ironica e, quindi, non adatta ad una sede istituzionale. Il Presidente Acquarone mi ha risposto nei seguenti termini: Ha ragione. Onorevoli colleghi, l'onorevole Marras ha giustamente richiesto quel solenne silenzio che si attende per il suo discorso. Credo si capisca perfettamente che la frase sia stata pronunciata con un intento di scherno, che non si addice a chi è chiamato a presiedere un'Assemblea di questa importanza. Le ho voluto segnalare l'episodio, ma non vi è nulla di più.

PRESIDENTE. Non mi pare vi fosse scherno nelle parole del Presidente Acquarone.

GIOVANNI MARRAS. Credo di sì.

PRESIDENTE. Il Presidente Acquarone è ligure e in genere i rapporti tra la Liguria e la Sardegna sono buoni.

GIOVANNI MARRAS. Le repubbliche marinare! Purtroppo, il tempo a mia disposizione si va riducendo!
Vorrei ricollegarmi a quanto detto dal collega Santori, che è un passaggio molto bello ed importante. In questo momento ci sentiamo, come Polo, uniti anche al gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania. In questi giorni si sono viste le possibilità, che da tempo tutti andavamo cercando, di ritrovare quell'unità e anch'io voglio ripetere l'appello di Santori: dovete dimenticare la secessione per riprendere insieme un cammino che alla fine deve vederci uniti con programmi precisi; programmi che questa maggioranza e questo Governo non mi sembra abbiano; programmi che non vedo sotto nessun punto di vista.
A volte mi sono chiesto, anche a proposito del decreto-legge sull'IVA, se esista veramente un programma reale e se la maggioranza abbia un piano. In un primo momento ho pensato che avesse un piano, ma poi ho capito che agisce sotto l'emergenza visto come affronta la situazione e come va contro i settori produttivi. Viene infatti da pensare che non esista alcun tipo di piano e di strategia; meglio così, perché potreste fare danni forse maggiori. Viene da pensare che la legge con la quale si è modificato il sistema elettorale, che ha introdotto l'uninominale e che ha avvicinato i parlamentari ai cittadini, sia veramente disattesa. Ricordo che quella legge fu varata per essere più vicini ai problemi della gente, ma a questo punto mi viene da pensare che molti parlamentari non conoscano il tessuto sociale italiano. Per di più, chi siede nei banchi del Governo, deve assolutamente avere il polso della situazione, perché quando si aumenta l'IVA in una situazione drammatica come quella già esistente, per esempio presso le banche, si commette un grave errore. Faccio l'esempio della Sardegna per denunciare tale situazione, dove vengono contratti prestiti per pagare le tasse e le restituzioni avvengono in dodici mesi ad un tasso non proprio conveniente.


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Credo che questi non siano fatti qualsiasi e non si può pensare che la protesta sia solo demagogica. Mi riferisco non soltanto al mondo dell'artigianato, del commercio, che vive una situazione drammatica, ma anche a quello dell'agricoltura, lo voglio ribadire oggi per la centesima volta. L'agricoltura sta vivendo un momento di enorme difficoltà, perché esistono grandi esposizioni bancarie che hanno permesso ai produttori di latte di migliorare la loro azienda, contraendo mutui per quindici anni. Dietro a tali debiti, quindi, esistono impegni economici, ma si combatte contro un falso problema, perché si sa che in Italia vi sono quote latte fittizie e quote reali.
Bisogna realmente prestare attenzione e non intervenire con le cariche della polizia, perché non si potranno reprimere oggi gli agricoltori e domani i commercianti o gli artigiani, quando scenderanno in piazza. Cosa faremo, reprimeremo tutte le manifestazioni con tali metodi?

ALFREDO BIONDI. Bava Beccaris!

GIOVANNI MARRAS. Credo che esistano davvero possibilità diverse e che si debba aprire un tavolo di trattative. Credo anche che il Polo per le libertà e la lega abbiano cercato realmente con gli ordini del giorno presentati di collaborare all'approvazione di questo decreto-legge, perché essi contenevano sicuramente indicazioni che sarebbero servite al Governo per trovare una soluzione più equa.
La libertà di partecipare, con gli emendamenti, alla discussione non l'avete levata ai parlamentari di quest'aula; avete levato la possibilità di parlare al 50 per cento dei cittadini italiani che ci hanno eletto, perché noi rappresentiamo quei cittadini di tutte le zone d'Italia che attraverso di noi devono far sentire la loro voce nel Parlamento. Quando si pone la questione di fiducia, questo è il fatto veramente grave: non far parlare il Parlamento. Ed è gravissimo quello che oggi è stato denunciato all'interno di quest'aula, cioè che le decisioni vengano prese in riunioni private fra Prodi e i parlamentari del centro-sinistra. Le riunioni debbono svolgersi in Parlamento e davvero, come ha detto il collega Vitali, esclusivamente nel Parlamento. Anche lei, Presidente Violante, parla del ruolo del Parlamento ed è proprio lei che ci incita, che afferma che il Parlamento deve essere la sede istituzionale in cui deve svolgersi il confronto. Però quando vediamo che esiste una discriminazione, diventa difficile capire dove si decidano le cose.
Sono convinto che, purtroppo, continueremo in questo modo e che ricorrerete ancora spesso al voto di fiducia; penso anche che ciò avverrà in tempi molto brevi, perché la legge finanziaria non va assolutamente bene, è una finanziaria che ancora non va incontro alle piccole e medie imprese, è una finanziaria che purtroppo viene accompagnata da un'IRAP che provocherà la chiusura di troppe aziende, di aziende commerciali, artigianali ma soprattutto agricole, per le quali avete fatto finta di accorpare delle tasse, pienamente consci che gli agricoltori che superano i 500 milioni di fatturato e pagano l'ILOR sono realmente pochi. Probabilmente - devo toccare un fatto personale - del Mezzogiorno non conoscete molto, perché chi conosce il Mezzogiorno, i parlamentari che vengono dal Mezzogiorno e fanno parte della maggioranza, avrebbero dovuto assolutamente impedire che questo avvenisse.
Concludo con una considerazione. Dopo le elezioni ci avete fatto il funerale; dopo gli exit pol c'era grande entusiasmo ed è stato fatto il funerale al Polo e alla lega. Dico questo: non abbiamo paura dei funerali, perché siamo cattolici ed abbiamo fede nella resurrezione (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pilo. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PILO. Ci sono momenti, nel pieno di una battaglia, nei quali vediamo gli avversari solo come esseri da abbattere, da eliminare; li vediamo attraverso l'ottica del mirino, inquadrati prima dello


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sparo. E ci sono, invece, momenti nei quali sui due fronti di una trincea gli uomini si guardano attraverso il filo spinato e cercano di rintracciare negli occhi del nemico uno sguardo che ci dica che quegli altri uomini hanno la nostra stessa umanità. È ciò che ho provato oggi leggendo un coraggioso articolo di un auterevolissimo leader comunista, che è stato apprezzato Presidente di questa Camera.
Su il manifesto di oggi Pietro Ingrao esprime la propria preoccupazione e rivolge il suo severo monito contro un disprezzo del Parlamento che arriva a minacciare la democrazia. Questa minaccia ha un sicario, e questo sicario è questa maggioranza, e ha un complice, e il complice è quella stampa nostrana che sghignazza sui deputati stremati che devono correre al bagno, sono parole di Ingrao. Dice Ingrao: «E la stampa nostrana sghignazza sui deputati stremati che devono correre al bagno o invocano il "papagallo", felice sempre - la stampa italiana - quando può mettere in ridicolo gli odiati parlamentari», proprio così: gli odiati parlamentari. E Maurizio Costanzo, bonario e arcigno, aggiunge una lacrimuccia al grottesco: ostruzionismo per ostruzionismo rimpiange Marco Pannella, il più bravo a parlare per ore, dice, e rimpiange Giancarlo Pajetta, straordinario ostruzionista. Viene da chiedersi cosa significhi questo Amarcord. Forse che Elio Vito non è degno di fare l'ostruzionismo come lo era Pannella o che l'ostruzionismo della sinistra aveva una dignità che quello del centro-destra non ha? Ma dove sono, poi, questi giornalisti militanti dei codazzi prodiani e dalemiani, da quali sofà, da quali salotti ci inviano i loro elzeviri ulivisti? Persino nei tempi bui della dittatura, quando quest'aula era sorda e grigia, la stampa era più vigile e la libertà di stampa non era contumace, come giustamente ha notato il mio amico Alfredo Biondi (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia). Lo spettacolo dei banchi dei giornalisti più vuoti di quelli della maggioranza è una vergogna, che dimostra come non fossimo dei visionari quando abbiamo parlato di stampa di regime.
Il problema che ci troviamo di fronte è ben più grande di quello delle tariffe IVA. Con il nostro voto contrario noi oggi diciamo no ad una modifica delle aliquote IVA che non è altro che un inasprimento fiscale indiscriminato e generalizzato; ma con il nostro ostruzionismo diciamo no alla abnorme proliferazione della decretazione d'urgenza e diciamo no al vizietto del Governo Prodi di ricorrere al voto di fiducia come strumento antidemocratico, di compressione delle prerogative del Parlamento. Le parole di Pietro Ingrao sono un monito severo, coscienzioso e prospettico che, proprio per la sua serenità, suona come una critica più circostanziata alla strisciante umiliazione del Parlamento che la maggioranza dell'Ulivo ha messo in atto. Dice Ingrao: «L'episodio segnala un problema non piccolo: la combinazione e l'intreccio dei decreti-legge a cascata e dell'abuso della questione di fiducia: tema già emerso nella vita delle nostre Assemblee sin dagli anni settanta e ci furono allora anche dubbi e allarmi sulla deriva cui poteva portare questo imbrigliamento del potere parlamentare di intervento sulla fattura delle leggi. Si parlò allora anche di un Parlamento che si riduceva a mettere i timbri sulle leggi fatte dal Governo, con uno spostamento di poteri fatale per il ruolo delle Assemblee elettive e per la decisione sulle leggi». Sono parole di Pietro Ingrao.
Il più geniale copywriter che la destra italiana abbia avuto, Giovanni Guareschi, riferendosi ai comunisti aveva coniato l'espressione «trinariciuti». Era un'espressione buffa e beffarda, che non credo avesse intenti offensivi, per lo meno da parte dell'autore; era chiaro a tutti, infatti, che i comunisti non avevano tre narici per davvero. Ma l'espressione mi torna in mente ad un altro proposito, che Guareschi non poteva prevedere perché le condizioni scientifiche dell'epoca non lo rendevano possibile: oggi noi sappiamo che una simile mostruosa deformazione, un naso umano con tre narici, potrebbe essere causata,

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anziché dalla maliziosa fantasia di un autore satirico, da qualche forma di mutazione genetica, come purtroppo è stato possibile osservare in esseri umani esposti a radiazioni di armi atomiche o di armi chimiche. È una preoccupazione che ci coinvolge tutti: è in corso una mutazione genetica di una parte della sinistra e non si sa dove tale mutazione possa condurre. La sinistra postcomunista è in preda ad una spasmodica bulimia culturale e ingurgita qualunque fenomeno abbia un richiamo presso l'opinione pubblica: dalla nutella a Di Pietro, da Clinton al Dalai Lama, da Sabrina Ferilli all'onorevole Mattarella. Ora, capisco mangiarsi la nutella, ma a furia di contaminazioni l'Ulivo, con in testa il PDS, non sa più chi è. È il partito dell'ARCI caccia o è il partito di Legambiente? È il partito delle cariche della polizia o è il partito del no alle cariche della polizia? È il partito della democrazia parlamentare o il partito dell'esecutivo forte?
Dice ancora Ingrao preoccupato: «Non a caso l'ideologia dominante è: scegliete il leader e a tutto penseranno lui e la sua squadra. Gli altri non rompano le scatole». Proprio così dice Ingrao, che oggi parla anche di strategia limpidamente oligarchica. E c'è questa strategia oligarchica, la si vede. La si vede nella disinvoltura con la quale la maggioranza e in particolare alcuni uomini della maggioranza si rimangiano senza imbarazzo i principi ai quali per decenni hanno detto di ispirarsi. Che fine ha fatto l'esaltazione della centralità del Parlamento? Che fine ha fatto l'insistenza, persino esagerata, sulla bontà della discussione tra diversi punti di vista come cosa buona in sé? Che fine ha fatto la polemica contro i Governi che privilegiano il decisionismo? È in corso una mutazione genetica della sinistra che non si sa dove può condurre. Lo dico con preoccupazione, non con insolenza: a qualcuno sta spuntando una terza narice metaforica e postmoderna, e questo allarma anche un padre della patria della sinistra italiana come Pietro Ingrao, che ci chiede di trovare una soluzione. La chiede a noi, Pietro Ingrao, al Parlamento del quale è stato Presidente e nel quale ancora crede. Altrimenti? «Altrimenti» prosegue «succederà ancora di più che il Parlamento appaia un perditempo, a maggior gloria dei decreti-legge e del ricorso alla fiducia, ammesso che anche questi non vengano - ad un certo momento - considerati un impiccio insopportabile. C'è sempre il rischio di qualcuno che dica: dobbiamo fare presto, non si può perdere tempo con le litanie dei dibattiti parlamentari. E la politica sarà sempre più affidata agli oligarchi, e - perché no - al Capo». Ma al vostro, perché Pietro Ingrao sta parlando del vostro.
Qui non è in discussione solo una modifica delle aliquote IVA; non è in discussione l'interesse del Polo o dell'Ulivo, è in questione la democrazia dell'Italia. E badi l'Ulivo che i frutti avvelenati della sua mutazione genetica non finiscano per danneggiare le importanti conquiste della democrazia parlamentare, che proprio le sinistre hanno sempre rivendicato come proprie conquiste (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Taradash. Ne ha facoltà.

MARCO TARADASH. Signor Presidente, mi permetta innanzitutto di ringraziare il collega Pilo perché, a forza di sentire dai colleghi della sinistra come dovrebbe essere fatto il Polo, chi dovrebbe essere il nostro leader, quale dovrebbe essere la qualità dell'opposizione e quale la quantità, finalmente cominciamo a rendere il paio sulle metodologie che dovrebbero indurre ciascuno a fare meglio il proprio mestiere. Credo ci sia bisogno proprio di questo, ossia ciascuno di noi dovrebbe cercare di far meglio il proprio mestiere!
Oggi, il presidente del gruppo del PDS al Senato, senatore Salvi, ha proposto la riedizione del tavolo delle regole; ce ne eravamo dimenticati perché nella giostra istituzionale, che ci sta accompagnando da diversi mesi, la dizione tavolo delle regole


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era scomparsa, ma Salvi ha riaperto il banchetto.
Il problema non è di avere un nuovo tavolo delle regole, anche se ringrazio Salvi che dimostra di essere una persona responsabile perché di fronte alla sconfitta della sua parte politica alza bandiera bianca, invita a fermarsi e a ricominciare a discutere su come andare avanti; ripeto, non c'è tanto bisogno del tavolo delle regole, quanto del semplice rispetto delle regole.
Un Governo che ogni quindici giorni pone la fiducia, non può dire che lo fa perché l'opposizione è cattiva; l'opposizione alle volte sarà anche cattiva, ma di solito viene rimproverata di non essere abbastanza cattiva, di non fare abbastanza opposizione. Qualche volta saremo anche cattivi, ma generalmente è la maggioranza ad esserlo e la fiducia è posta per impedire che vengano alla luce le divergenze interne alla maggioranza; si fa calare questa pietra dall'alto che seppellisce gli emendamenti dell'opposizione e le divergenze della maggioranza. Cominciamo a dire che non può essere instaurata una regola come quella di governare a colpi di decreto! Non esiste nella Costituzione, non può essere ammessa nella pratica parlamentare!
Abbiamo ascoltato per mesi e mesi - Pilo lo sa - le denunce della sinistra sulla nostra presunta ansia di violare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura: cosa sacra e pia che non mi permetterò di mettere in discussione in questa sede. Ma allora, cari amici che oggi riproponete il tavolo delle regole, volete spiegare a quale regola corrisponda il fatto che il Presidente del Consiglio riceva a Palazzo Chigi il capo della procura di Palermo, dottor Caselli, e si proponga a mediatore tra la procura della Repubblica e i carabinieri? C'è una regola del genere (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)?
Il Presidente del Consiglio può accettare un atto di sottomissione - immagino - o di arroganza, da parte del capo di una procura che gli spiega come stanno andando le cose a Palermo? Esiste una regola da qualche parte?
Altra questione. Ieri il direttore generale della RAI Iseppi che, si legge sui giornali, è in lite con il presidente Siciliano - come lo sono tutti i direttori della RAI e questa volta tocca a Iseppi - invece di dimettersi come a suo tempo fece il dottor Minicucci allorché cominciò a litigare con la presidente Moratti, dove va? A Palazzo Chigi, dal Presidente del Consiglio Prodi per chiedere - immagino - mediazione tra la direzione generale della RAI e il consiglio di amministrazione. Colleghi della sinistra, esiste una regola secondo la quale lo Stato si è trasformato in una Repubblica paternalista, dove il Presidente del Consiglio può violare i confini costituzionali che separano l'amministrazione e la giustizia dal potere esecutivo? O i confini istituzionali che separano la gestione dell'azienda, che esercita il servizio cosiddetto pubblico, dal potere esecutivo?
Ricominciamo a rispettare queste regole minimali prima di dare lezioni e di proporre la riapertura di tavoli delle regole per scriverne di nuove. Intanto rispettiamo le regole esistenti!
Ieri ho visto in televisione lo scontro tra i produttori di latte e la polizia. Non sono affatto contento quando la strada, anche quella che mi capita di attraversare, è bloccata da un corteo sindacale o le ferrovie sono bloccate da scioperi o da cortei di disoccupati, di sindacati o di altre categorie di lavoratori. Ieri, per la prima volta, in uno scontro che opponeva al latte virtuale dell'Europa, il letame assai reale scaricato sulla strada, e anche sulla giacca di qualche funzionario di polizia, ho visto la polizia manganellare coloro che invadevano la strada. Io voglio la par condicio, perciò dica il Governo se la prima volta che Cofferati, D'Antoni e Larizza scenderanno sulle strade verranno manganellati (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania)! Se la legge dura del manganello, che avete reintrodotto nel corso degli scioperi e delle manifestazioni di piazza, deve valere, almeno valga per tutti, cari colleghi della sinistra! (Commenti di deputati

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della lega nord per l'indipendenza della Padania)
. Era un inciso, non ve la prendete.
Ieri, ho potuto assistere a questo spettacolo perché non è ancora in vigore il codice deontologico; siete stati capaci di imporre un codice deontologico per tutelare i minori dalle 16 alle 22,30, per cui nei telegiornali non si vedranno più né merda, né manganellate, come si è visto ieri (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania), ma si dovrà vedere soltanto chi è buono, cioè il Governo, perché l'opposizione è cattiva.
Ma volete veramente imporre le mutande alle gambe dei tavoli?
Prendiamo il decreto sull'IVA. Che cosa si colpisce con questo decreto, cari colleghi? Si colpisce il vino, la musica e anche i preservativi, insomma sex, drugs and rock and roll! Volete ridurre l'Italia a una cappa, a una tenebra e non si potrà più vedere nulla in televisione! Ripensateci! Fermatevi! Per l'amor del cielo, non ci date nuove regole! Cominciate a rispettare quelle che esistono. Sento un odore cattivo... Ma qui non c'è nessun produttore di latte; qui sotto c'è solo una copia de L'Espresso.
Concludo dicendo che con la manovra introdotta dimostrate, ancora una volta, di essere incapaci di portarci in Europa. Se avete predisposto questo decreto sull'IVA è perché vi manca qualche migliaio di miliardi: oggi il Giornale pubblica una sintesi di tutti i trucchi fatti che conosciamo. La questione dei residui passivi è stata segnalata da più parti ed è grave, perché si tratta di 140 mila miliardi appesi al cappio di Ciampi, il quale dice «non vi pagherò!» e lo dice a comuni, province e regioni. Sappiamo che alcuni enti - l'ANAS, le Ferrovie - non verranno pagati perché incapaci di spendere. Quindi, entreremo in Europa perché siamo incapaci di avere un'amministrazione pubblica efficiente.
Ma sappiamo anche che in larga misura, passata la festa, gabbato lo santo: come nei vecchi e tranquilli regimi di Andreotti i residui passivi torneranno a trasformarsi in debiti attivi e l'Italia in Europa non ci resterà un secondo, almeno in termini competitivi (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Valducci. Ne ha facoltà.

MARIO VALDUCCI. Signor Presidente, prima di iniziare il mio discorso, vorrei rivolgermi a lei per quanto prima ha detto nei confronti di un mio collega. Vede, il professor Galli della Loggia, sfruttando un quotidiano letto da alcune centinaia di migliaia di persone, ha offeso brutalmente e pesantemente non una persona, bensì milioni e milioni di cittadini. Lei, Presidente, allora, non può censurare i miei colleghi che correttamente offendono colui che oggi si ritiene il più grande critico della politica italiana contemporanea e si atteggia come il Messia della materia, distribuisce voti e giudizi a suo piacimento offendendo 20 milioni di cittadini.

PRESIDENTE. Onorevole Valducci, naturalmente ci sono tutti i mezzi per difendersi; qui chi offende gode dell'immunità parlamentare, Galli della Loggia no, questa è la differenza.

MARIO VALDUCCI. C'è una differenza ancora, di comunicazione: Galli della Loggia con i mezzi di comunicazione parla a centinaia di migliaia di persone, noi purtroppo abbiamo solamente la possibilità di divulgare il nostro pensiero attraverso... (Applausi).

PRESIDENTE. Credo che lei abbia qualche mezzo di comunicazione.

MARIO VALDUCCI. Presidente, rappresentante del Governo, colleghi deputati, questa legge è un ulteriore colpo che incide fortemente sulla capacità del nostro paese di avere un ruolo nel panorama economico-produttivo dell'Europa unita. È


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iniziata il 22 aprile del 1996 un'azione forte del Governo Prodi per ammazzare il ceto medio del nostro paese; quel ceto medio che in parte sicuramente, con il suo voto, ha contribuito - ahimé - al successo dell'Ulivo, di rifondazione comunista e di rinnovamento italiano. È infatti opportuno non dimenticare mai che sono maggiori le diversità nelle tre coalizioni che oggi governano il paese che non quelle che non uniscono il Polo per le libertà e la lega nord per l'indipendenza della Padania. Diversità nella maggioranza che sostiene il Governo: diversità nei programmi, sulla politica economica, sui metodi e criteri di privatizzazione di aziende dello Stato, sulla riforma dello stato sociale, sulla concezione di una scuola libera, nei valori. Come si fa a conciliare il pensiero marxista, gramsciano, togliattiano con quello del cattolicesimo liberale al quale il partito popolare e rinnovamento italiano dicono di voler fare riferimento?
Per meglio far comprendere queste mie parole, ricorrerò ad alcuni spunti presi da discorsi e da scritti di Luigi Sturzo, i quali contrastano fortemente con questo decreto che «ammazza la volontà di fare, di produrre e di lavorare» e con la gran parte di tutta la politica economica di questo Governo in cui la «piovra Stato» viene posta al centro della società, capace di risolvere tutti i problemi del nostro paese.
Così diceva Sturzo: «Non è lo Stato che rende vitali i suoi organi; è l'uomo che li vivifica, l'uomo che li mortifica, l'uomo singolo e organizzato, la persona reale effettiva, non l'ente astratto che si usa chiamare Stato». Se si mortifica la voglia di lavorare, di intraprendere dell'uomo, si schiaccia questo valore e il decreto al nostro esame fa esattamente questo!
E poi sulla burocrazia: «Chi si è accorto in Italia che il sistema amministrativo burocratico accentrato e invadente tipico delle dittature è oggi cambiato alla distanza di più di 53 anni dal 25 aprile del 1944? E chi ha potuto togliere dalla mente del popolo italiano che lo Stato possegga il toccasana per tutti i mali? Che occorra per ogni e qualsiasi servizio creare un ente pubblico statale o parastatale che vi provveda?» - pensate all'IRI del lavoro - «Che ogni cittadino debba essere ridotto a impiegato statale, assicurato statale, pensionato statale? Che ci debba essere una cinematografia statale, un teatro statale, una pittura statale, una scultura statale, una musica statale, una danza statale, un totocalcio statale, uno sport statale e così via via... nulla fuori o sopra lo Stato, tutto e tutti nello Stato, e per lo Stato e sostenuti dallo Stato, come se lo Stato fosse Dio, la provvidenza, la fortuna con la cornucopia». Il Governo Prodi rispetta appieno questo valore di uno Stato immanente, di uno Stato-Dio. Nella maggioranza, dove molti di voi dicono di essere discepoli del liberalismo cattolico che ha sempre combattutto e sempre combatterà questa concezione dello Stato, vi siete dimenticati di tutto questo.
Sturzo diceva: «I regimi dittatoriali hanno sempre creato uno Stato totalitario di cui danno la seguente definizione: "Nulla fuori o al di sopra dello Stato, nulla contro lo Stato; tutto nello Stato, tutto per lo Stato"».
E così oggi i lavoratori agricoli non possono protestare, anche in modo forte, poiché si sentono defraudati da un'azione amministrativa di questo Governo. Contro i cittadini lavoratori vengono scagliate le forze di polizia che agiscono criminalizzando un del tutto lecito sentimento di protesta. Avvengono cose aberranti: vengono puntate pistole alle tempie di lavoratori bastonati, viene rubato il portafoglio a persone che hanno «osato» contrapporsi democraticamente alla volontà dello Stato (Applausi). Questo è il vostro senso di libertà, questa è la vostra cultura politica; di fronte a questo approccio politico, noi saremo sempre degli inculturati della politica, perché questa non è la nostra cultura di riferimento.
Oggi un giornale, riferendosi a questi scontri, diceva: «Autostrada A4, casello di Vancimuglio. La polizia carica, a più riprese, gli allevatori in rivolta contro il pagamento delle multe sulle quote-latte.

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Li manganella, lancia lacrimogeni, li insegue fin nei tendoni allestiti dalle donne per dar da mangiare ai dimostranti. Che reagiscono sparando letame, e denunciano: 'Cinque dei nostri sono stati prelevati alla polizia'». Il titolo riportato da questo giornale è il seguente: «Popolo bue». Il giornale è il manifesto. Ero convinto di leggere altri giornali, non ho mai visto un titolo così difendere un'azione di manganellaggio da parte della polizia di Stato (Applausi).
«Per azionare il meccanismo del potere centrale assoluto, illimitato e personale,» - diceva Sturzo - «bisognava necessariamente sopprimere qualunque libertà politica, civile e organizzativa, individuale e collettiva di gruppi e di partiti. Mezzo adatto: il partito unico» - se volete la coalizione unica - «(l'avvicinamento di questi due termini ha qualcosa di illogico)» - ma è comprensibile - «una fazione armata dominante. Tutti gli altri partiti vengono soppressi, tutti i movimenti indipendenti repressi, tutti gli avversari esiliati. Si soppressero in Russia le classi aristocratiche e borghesi, in Italia i partiti di opposizione (...).»
Sembra di leggere un articolo giornalistico dell'attualità politica del nostro paese. La vostra volontà di definire modi, tempi per fare una buona opposizione, esiliare gli avversari più pericolosi, distruggere anche attraverso questo decreto il ceto medio produttivo di questo paese è evidente. È una volontà logica da comprendere per chi è stato comunista, lo è ancora e non dimenticherà mai di esserlo stato. Quello che mi sorprende è che non vi sia coscienza da parte dei cosiddetti discepoli del cattolicesimo liberale di dove si stia andando con la politica dell'attuale Governo. Forza! Un sussulto di lucidità, di correttezza! Voi stessi dovreste ogni tanto ricordarvi delle vostre tradizioni, non è mai troppo tardi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 19,10)

MARIO VALDUCCI. E ancora Sturzo diceva: «Il centralismo di Stato si traduce in forme di tirannia di partiti e di organismi extrastatali, operanti all'ombra propria della burocrazia, che pervade le fibre del corpo sociale come un bacillo, che atterra le forze e toglie le energie libere e operanti».
Questo Governo Prodi non ha fatto nulla per destatalizzare la nostra società, ma anzi l'ha soffocata ancora di più, mentre il nostro paese entrando in Europa ha la necessità di competere con gli altri paesi in termini di costo del lavoro, di pressione fiscale e di burocrazia; altrimenti, il nostro paese diventerà uno Stato desertificato da tutto il tessuto produttivo che ne ha fatto la forza in questi cinquant'anni.
Voi rappresentate e perseguite uno stato omnipotente che decide chi può lavorare e chi no e che continua ad elargire prebende alle grandi industrie! Dove è finito quel Prodi che, non più di 15 mesi fa, dichiarava: «non luciderò mai le maniglie di casa Agnelli!»? È andato ben oltre: è forse finito nel gabinetto a pulirne la tazza? (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Ringrazio comunque questo Governo e la maggioranza parlamentare che ci ha consentito di ritrovare quello spirito che forse avevamo un po' smarrito rispetto al 1994 e che ci ha finalmente portato un senso di appartenenza ed una voglia di combattere insieme che mai, in questi tre anni e mezzo, avevamo avuto.
Da oggi inizia la nostra rinascita, il nostro cammino per scalzare questo Governo e condurre il nostro paese, come la maggioranza dei cittadini vuole, ad un Governo più libero e forte! Da oggi riparte il nostro cammino per la libertà (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scajola. Ne ha facoltà.

CLAUDIO SCAJOLA. Onorevole Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, non so chi oggi ci stia


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ascoltando; la tribuna dei giornalisti in quest'aula è vuota, ma se qualcosa uscirà di qui, credo che debba essere svolta una semplice considerazione, che vorrei sviluppare brevemente. Al disegno di legge di conversione del decreto-legge n.328 sull'IVA, l'opposizione del Polo e della lega aveva presentato 80 tra emendamenti ed ordini del giorno. In aula erano già stati esaminati e votati 12 emendamenti; ciò significa che, volendo fare una media dei tempi complessivi di approvazione, questa Assemblea avrebbe licenziato la legge in 6-8 ore. Perché non è successo questo? Perché Prodi ed il Governo hanno voluto porre la fiducia? Credo che la risposta non possa che essere una, già ribadita da tutti in quest'aula: si tratta della forte preoccupazione sul fatto che l'efficacia degli emendamenti proposti dall'opposizione potesse dar vita ad un libero confronto in questa sede e, quindi, produrre consenso di parte della maggioranza governativa su molti di quegli emendamenti.
Mi chiedo, allora: cosa pensava questa maggioranza? Forse che, di fronte ad un atto di questo tipo, l'opposizione rimanesse calma e tranquilla? O pensava forse che avessero ragione i sindaci piacioni nelle dichiarazioni espresse dopo il dato elettorale del primo turno oppure che avessero ragione i soliti noti opinionisti cosiddetti indipendenti ma sempre dalla parte della sinistra? Pensava forse che avesse ragione Galli della Loggia nel dire che questa opposizione non è capace a svolgere il proprio ruolo per un fatto genetico, cioè per essere espressione di una parte del popolo italiano che non ha la capacità di reggere le sorti di una nazione?
E noi cosa avremmo dovuto fare? Avremmo dovuto consentire, nel silenzio generale, che una legge come questa passasse, caricando sulle famiglie italiane altre 350 mila lire a testa di tasse, di costo forte scaricato nelle tasche di ogni famiglia? Pensavate forse che questa opposizione potesse ancora permettersi di farvi passare il trentesimo voto di fiducia in 18 mesi? Questa mattina - lo ricordava il collega Urbani - il più importante quotidiano economico italiano ha pubblicato i risultati di uno studio in base al quale il Governo Prodi ha proposto una questione di fiducia ogni 12 giorni in quest'aula. Questa è una maggioranza che, per cercare di non evidenziare le proprie crepe interne, deve cercare di esautorare continuamente il compito democratico sovrano del Parlamento italiano, andando di volta in volta a votazioni di fiducia o comunque all'assunzione di atteggiamenti di grave spregio nei confronti delle aule parlamentari. Vogliamo forse dimenticare che l'anno scorso, proprio in questi giorni, il Governo Prodi, il Governo delle sinistre ha fatto passare una legge nella quale erano contenute ben 19 deleghe fiscali? In quest'aula - ripeto - vi siete votate ben 19 deleghe fiscali, primo caso nella storia del Parlamento democratico di esproprio nella volontà parlamentare!
Non credo che Prodi ed il suo Governo possano illudersi di mantenere ancora per molto nascoste le crepe che dividono la maggioranza al suo interno, questa maggioranza-insalata, questa maggioranza pasticciona, che parte dalla bandiera nera con il teschio ed arriva fino alla bandiera rossa con la falce ed il martello, questa maggioranza senza programma unitario ma con il solo desiderio di occupare e di gestire comunque il potere nel nostro paese. Poco fa, Pilo ci ha letto alcuni passi del bellissimo intervento di Ingrao; ma questo deve far riflettere voi della maggioranza sulla gravità della strada che avete intrapreso!
Stiamo in quest'aula da più di 72 ore e ci sono già stati 450 interventi. Credo che tutti abbiano potuto apprezzare la forte passione, la forte capacità espositiva dei nostri colleghi parlamentari dell'opposizione. Abbiamo visto passione, forza, valore. Eppure, ci viene detto che l'opposizione non c'è...! Ma è nata anche un'altra forte valutazione politica in questa occasione della trentesima fiducia: l'opposizione non l'ha fatta soltanto forza Italia, non l'ha fatta soltanto il Polo. L'opposizione, per la prima volta unita in quest'aula, si ribella all'esproprio, all'arroganza del Governo della sinistra. E lo

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sta facendo con i mezzi consentiti dal regolamento, nell'interesse non di una parte politica ma nell'interesse complessivo della prima istituzione repubblicana.
Credo vada ribadito, cari colleghi della maggioranza del Governo Prodi, come l'opposizione che ha promosso in questi giorni questa forte iniziativa, sia minoritaria in quest'aula ma maggioritaria nel consenso dei cittadini italiani (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Onorevole D'Alema, questa legislatura si è aperta nel segno delle riforme istituzionali, nel grande disegno di costruire un paese moderno, con alternanza di Governo e con garanzie parlamentari. Lei ha avuto la fiducia di gran parte del Parlamento nel presiedere la Commissione bicamerale. Si può consentire che, nella sua qualità di leader del maggior partito del Governo Prodi, lei invece persegua il continuo esproprio delle competenze del Parlamento italiano? Forza Italia non lo consentirà! Forza Italia, il partito delle libertà, di tutte le libertà, svolgerà il proprio ruolo di opposizione in aula e nelle piazze, contro il governo della sinistra, contro il Governo delle tasse, per lo sviluppo dell'economia e per la ripresa dell'occupazione, attraverso i propri militanti, i propri iscritti, i propri elettori, i propri simpatizzanti, i propri eletti nelle istituzioni, a livello di Parlamento nazionale, delle regioni, delle province e dei comuni e proseguirà questo impegno forte di opposizione fino a quando non potrà dire: questo è l'ultimo Governo della sinistra (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Massidda. Ne ha facoltà.

PIERGIORGIO MASSIDDA. Signor Presidente, onorevoli membri annoiati del Governo, eroiche sentinelle della maggioranza presenti, siamo qui a prolungare il nostro fiume di protesta - come è stato definito - per iniziare la protesta che porteremo avanti nei prossimi giorni contro la finanziaria per il 1998, della quale le misure sull'IVA, come è noto, sono parte integrante. Parliamo di quella finanziaria bugiarda, di quella finanziaria che impoverirà il popolo italiano, di quella finanziaria che continuerà a chiedere sacrifici inutili, di quella finanziaria che continuerà a distruggere ricchezza.
Usiamo i termini più adatti: «Basta con le tasse!». È questo che continua ad urlare il popolo italiano. Basta, perché non è più possibile accettare quelle tasse. Spesso voi fate riferimento agli Stati Uniti o alla Gran Bretagna nei vostri esempi; credo che dovreste essere più attenti, anche perché quei popoli sanno cosa vuol dire mettere inutili balzelli contro la ricchezza comune. Ma soprattutto hanno imparato una cosa che ci dovrebbe servire moltissimo: non bisogna drenare risorse con le tasse, ma bisogna liberarle per creare veramente produzione. La verità è che voi non avete il coraggio di tagliare né oggi né domani tutti quei privilegi dalla cui eliminazione veramente deriverebbero le risorse per risollevare la nazione. E continuate a chiedere sacrifici inutili per uscire da questo tunnel. Gli italiani sono coraggiosi. Se si rendessero conto che questi sacrifici servono a qualcosa, sarebbero disponibili; ma si rendono conto che è inutile tutto ciò che state chiedendo.
Ricordo che nella campagna elettorale ci si diceva: «Le tasse non si aumentano, si riordinano». E continuiamo a sentircelo dire da Visco e da Prodi con quel sorrisino che - scusate la mia deformazione da fisiatra - mi ricorda la demenza senile. Il sorriso demenziale è un'espressione tecnica, me la permetta, signor Presidente: non era offensivo.

PRESIDENTE. Bisogna rispettare anche le istituzioni nello svolgere la propria funzione.

PIERGIORGIO MASSIDDA. Scusatemi, forse sono stato pesante. Ma non riesco a capire cosa ci sia da ridere quando si continuano a dire cose che non corrispondono al vero e che soprattutto non sortiscono i risultati sperati. Questa frase che


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ci sentiamo ripetere («le tasse non si aumentano, si riordinano») non ha alcun significato. Ci dicono che l'IRAP è un riordino delle tasse e che stanno riducendo le tasse per farne una sola. Poi ci facciamo due conti e ci accorgiamo che con questo riordino alcuni contribuenti pagheranno di più, anzi si arriva addirittura ad un conteggio del 20 per cento in più. Se questo per il Governo è riordino, abbiamo modi diversi di intenderlo. Voglio ricordare anche la valida proposta di unificare il bollo auto e la tassa sulla patente. Ci sembrava una soluzione intelligente finché, sedendoci a tavolino, non abbiamo scoperto che è un ulteriore balzello.
E arriviamo all'IRA... Scusate il lapsus, volevo dire l'IVA. Perché non può che sollevare l'ira l'ennesimo stravolgimento della realtà, quando si vengono ad addurre ancora motivazioni che non reggono. Si dice che occorre adeguare l'IVA ai parametri che si riscontrano in Europa. A parte il fatto - è stato ripetuto da tutti, anche dai colleghi della maggioranza - che i tempi tecnici non erano così ravvicinati e si poteva prendere tempo. Ma, parliamoci chiaro, questo è l'ennesimo prelievo forzato sulle categorie che producono. Questi sono i fatti. Si è detto: «Ma noi agevoleremo le spese per le manutenzioni straordinarie, quindi di fatto stimoleremo le costruzioni, l'edilizia». Ma intanto viene aumentata subito l'IVA che incide pesantemente sui costi del comparto.
Quello che continua a sorprenderci è come si può ancora sorridere quando lo stesso Governo avanza delle proposte all'interno delle quali introduce misure che vanno esattamente nella direzione opposta, diciamo per compensare. Ma non era meglio lasciare le cose come stavano, se l'intervento è diretto a compensare qualcosa che di fatto viene giudicato inadatto? Queste sono le cose che ci allarmano e che soprattutto ci inducono a parlare in termini pesanti; ma dobbiamo dirlo: «Sono manovre fasulle». Chi sostiene che avremo un prelievo di questa portata perché prevediamo un aumento del 4 per cento nei consumi, non è mai uscito di casa! Vorrei sapere quali sono i negozi che frequenta! Forse sono quelli che io vedo chiusi anche nelle grandi città! O frequentiamo altre città! O nei paesi, dove i negozi sono chiusi già da tempo per colpa di certe iniziative che si vogliono portare avanti! O vogliamo continuare a pensare che i miglioramenti si hanno drogando l'economia: dicendo che siamo all'1 per cento nel rapporto con il PIL però drogando l'economia con la rottamazione. Uso il termine «drogando» perché questo Governo, oltre all'economia, vorrebbe drogare anche i cittadini con le nuove iniziative che vengono portate avanti in Commissione, quali la liberalizzazione - che sta a cuore a molti amici della maggioranza - delle droghe leggere, ammesso che esistano droghe leggere. Sicuramente è una droga pesante, questa che state propinando con il provvedimento in discussione: è una droga che potrebbe arrecare gravissimi danni alla nostra società.
Se questo è il riordino, ad esso ci opponiamo fermamente. E continueremo nella nostra azione orgogliosi di rappresentare quel ceto medio che voi seguitate ad oltraggiare; e ci nobilita quando un signore va a scrivere su un giornale che forza Italia e il Polo sono l'esempio speculare di quello che è il ceto medio italiano. Ne siamo orgogliosi! (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Quei signori che voi ritenete incapaci di governare sono quelli che hanno fatto diventare quinta potenza mondiale questa Italia; quei signori che, mentre voi andavate a spartirvi i vostri balzelli, si preoccupavano di creare ricchezza, di sudare. E quando voi vi stupite perché qui stiamo ancora tante ore a parlare, è perché quei signori che voi ritenete non adatti perché non sono dei politici, perché sono semplicemente dei signori che vengono dal mondo del lavoro... il mondo del lavoro ci ha insegnato a lavorare anche diciotto ore, e quindi non abbiamo timore a rimanere anche diciotto ore in quest'aula a difendere le nostre istanze! (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia). Se quella

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è la rivolta del ceto medio, siccome noi lo rappresentiamo, non abbasseremo la guardia, andremo sino in fondo! E credo che anche voi lo stiate vivendo; avverto questa sensazione anche nei banchi della maggioranza perché state tirando le giacche anche a noi. Continuate, anche perché sapete che la ruota gira: oggi siete maggioranza, potreste essere minoranza, perché nella nazione è già così! (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Questa è la verità. Avete paura di prenderne atto. E allora credo che la battaglia la stiamo facendo anche per voi, per difendere questo Parlamento, contro quel Governo che non vi calcola. Voglio chiedere ai colleghi di rinnovamento italiano, per esempio: quanti vostri emendamenti sulla scuola sono stati accettati da questo Governo? Quanti emendamenti sono consentiti ai colleghi del PDS? Glieli tagliano prima di presentarli: questa è la verità! Questo è quello che vi fa male!
È per questo che l'altro giorno avete fatto una cosa sciocca: balza infatti agli occhi di tutti che era sciocco chiedere la fiducia. Anche perché forse noi stavamo sbagliando, eravamo troppo democratici, perché ci facciamo troppo spesso condizionare da quei giudizi strumentalizzati e psicologicamente creati nella stampa, come state facendo voi. E l'onorevole Mussi ha commesso un grave errore, ma lo ringrazio per questo: ci ha ridato l'orgoglio, ci ha fatto capire che - come ha fatto lui quando andava a fermare i treni, quando andava con l'eskimo a urlare per la strada - questa è l'unica strada per reagire. Come siete arrivati voi al Governo, lanciando le bombe, bloccando i treni... (Commenti).
Non lanciando le bombe, chiedo scusa: nella foga si dicono cose che non si pensano. Guardate, c'è un grande vantaggio: non fa parte della nostra cultura! Ci sono delle cose che uno non riesce a fare neanche se le vuole fare. Ci sono tante cose che uno vorrebbe dire qui, ma per rispetto di sé stesso non dice, o vorrebbe fare e non fa; e una di queste è lanciare bombe. Di sicuro io mi faccio trascinare. C'è un'unica frase, però, che riassume questa finanziaria. Faccio una citazione...

PRESIDENTE. Ora si deve frenare.

PIERGIORGIO MASSIDDA. «È una cosa politica, e una gran presa pel culo» (Commenti - Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)!

PRESIDENTE. Questo non è trascinamento, questo non è un buon rispetto dell'aula alla quale lei si rivolge. Mi dispiace doverglielo dire. Si accomodi, onorevole.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Matacena. Ne ha facoltà.

AMEDEO MATACENA. Presidente, onorevoli colleghi, la foga del mio collega e caro amico Massidda si deve riassumere in una considerazione di fondo che ha fatto commettere un grave errore all'Ulivo: «Quando i buoni si stancano tremi il mondo». E i buoni si sono stancati. I buoni siamo noi, siamo quella parte che rappresenta la gente che lavora, con l'aria moderata della nazione che ha costruito l'Italia quinta potenza industriale del mondo, quella gente che è stata capace di lavorare ininterrottamente con impegno per arrivare a conseguire dei risultati grazie ai quali tanta gente ha un posto di lavoro.
Ecco, quella gente si è stancata. Il primo segnale è stato la manifestazione del Polo per le libertà con un milione di gente moderata in piazza. Non è stato raccolto quel segnale forte. E quando abbiamo cominciato a comprendere che il dialogo non lo si può fare se dall'altra parte c'è un sordo, la provocazione ha raggiunto il limite. Abbiamo e stiamo dimostrando al paese che noi buoni quando ci stanchiamo siamo capaci di fare opposizione; la facciamo a testa alta, la facciamo con fermezza, e siamo così bravi da sconvolgere i colleghi dell'Ulivo, che l'altra sera, alle 23, pensavano che l'opposizione non fosse in grado di tenere


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l'aula, per cui erano venuti tutti per votare gli ordini del giorno. No, cari colleghi. Dovete cominciare a comprendere che qualora riuscirete a portare a casa l'aumento dell'IVA, avrete grossi problemi sulla finanziaria, che già è in ritardo nell'iter parlamentare e che la nostra voglia di dimostrare la stanchezza degli italiani renderà difficile mandare avanti in quest'aula, perché metteremmo ogni possibile bastone tra le ruote.
Per noi avete ottenuto un altro grande risultato politico: avete ricompattato l'opposizione, un'opposizione che non si trovava su alcuni temi di politica nazionale si è ritrovata sull'unità, sulla necessità di dire basta ai comunisti. Mi auguro che questa unità con la lega porti anche ad un risultato positivo nelle consultazioni elettorali che ci vedono al ballottaggio; spero che gli italiani abbiano capito che per abbattere questo Governo comunista diventa sempre più necessario votare contro. È un fatto pesante, negativo, perché il voto dovrebbe essere l'espressione di un convincimento politico forte e non dovrebbe essere marcato da un significato negativo. Invece, lo sarà, ed oggi dobbiamo dire: «Speriamo che lo sia».
Poco fa ho chiesto, intervenendo sull'ordine dei lavori, Presidente, che quest'aula prendesse atto delle tragiche immagini televisive della nostra nazione e di ciò che esse stanno dimostrando aggiungendosi ad una realtà di amministrazione della giustizia gestita con mentalità giustizialista, che non avalliamo e non comprendiamo, che oggi porta alla criminalizzazione, da parte delle sinistre, anche dell'Arma dei carabinieri, che è un simbolo della nostra nazione e dell'unità d'Italia. Si sta uccidendo lo stato di diritto, si stanno uccidendo i diritti dell'uomo, si stanno uccidendo i diritti delle libertà pubbliche, private e dell'individuo. Avevo chiesto un minuto di raccoglimento di quest'aula, e sono convinto che sia necessario. Si sta infatti uccidendo tutto ciò che i nostri avi del Risorgimento avevano creato per questa Repubblica.
E a questo si aggiunge una gestione criminale della finanza pubblica nascondendola dietro la necessità di entrare in Europa. Ma si deve anche comprendere che non si può entrare in Europa attraverso un maquillage del bilancio dello Stato. Dobbiamo entrare in Europa e dobbiamo farlo per restarci. E ciò non può sicuramente avvenire con quello che oggi la stampa ha evidenziato a proposito dei trucchi contabili da parte del Tesoro sul bilancio dello Stato. Non potremo certamente farlo varando i CTZ, che servono solo a rinviare la spesa per gli interessi, rispetto ai BOT e ai CCT, e che minano seriamente la possibilità di restare in Europa, nel momento in cui, per un miracolo, dovessimo riuscire ad entrarci.
Non possiamo comprendere e concepire che si utilizzi il trucco dell'acquisto, da parte della Banca d'Italia, dell'oro dell'Ufficio italiano cambi, perché è come dire che una famiglia passa i propri risparmi da una parte all'altra dovendo però pagare una tangente di fatto che è quella della tassa dello Stato. Trucchi, dunque, di cui oggi il Presidente Prodi sembra essere un grande divinazzatore, forse riprendendo le orme di Gesù con questa moltiplicazione di pani e di pesci! Il decreto sull'IVA è una tassazione netta, per le tasche delle famiglie italiane, per cui aggraverà la loro capacità di acquisto, di 5.500, 5.700 miliardi. Ciò si aggiunge ad una pressione fiscale, già aumentata prima della finanziaria, che deve ancora arrivare in quest'aula, dell'1,8 per cento.
E di contro cosa abbiamo? Di contro abbiamo una diminuzione della spesa in conto capitale da parte dello Stato, il che significa nessun investimento in strutture, un aumento della spesa per stipendi dei dipendenti pubblici e per le loro pensioni. Questa è la dimostrazione del costo che il contribuente e gli italiani pagano per l'accordo che tiene in piedi questa maggioranza. E il ministro Ciampi si è reso conto che non è possibile continuare ad andare avanti su questa strada quando l'altro ieri ha urlato che non è possibile varare le 35 ore e che si deve tagliare la spesa. Ma subito è insorta rifondazione comunista.

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Però, di fronte a questa non spesa, a questi mancati investimenti in conto capitale la sinistra è pronta ad impegnarsi per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina. Ieri, nei cinque minuti a mia disposizione, evidenziavo la necessità di valutare il rapporto tra costi e benefici per la realizzazione dell'opera. Voglio dire a quest'aula, forse avendo qualche cognizione di più in merito per la mia attività di famiglia, che una struttura stabile va sicuramente realizzata sullo Stretto di Messina. La scelta politica porterà al ponte o ad un attraversamento sommerso (è una questione di prezzi: 23 mila miliardi contro 3.500), ma non possiamo pensare che nel sud Italia si possa realizzare un'opera di così grande significato se prima non saranno soddisfatte le necessità primarie per le popolazioni: le strade, le autostrade, i porti, i porti turistici.
Non comprendiamo perché l'alta velocità delle Ferrovie dello Stato si debba fermare a Napoli e non possa proseguire fino a Trapani: si faccia pure una grande opera di questa portata, ma si realizzino anche le cose che interessano di più alla gente, alle popolazioni del sud. Un sud che ha bisogno che questa finanziaria, ho quasi finito Presidente...

PRESIDENTE. Deve ridurre il quasi.

AMEDEO MATACENA. Chiediamo che i tassi di interesse bancario che si pagano nel mezzogiorno siano livellati a quelli del nord, perché non possiamo pagare costi così alti; chiediamo che l'applicazione di un diritto coloniale nell'amministrazione della giustizia...


PRESIDENTE. Onorevole Matacena, concluda.

AMEDEO MATACENA. Concludo, Presidente: di fronte a tutto questo, sicuramente non posso votare a favore di questo decreto sull'IVA, nell'interesse di quella gente che ha la necessità...

PRESIDENTE. La ringrazio, a nome della gente!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Berruti. Ne ha facoltà.

MASSIMO MARIA BERRUTI. Signor Presidente, chiedo scusa per la mia voce ma siamo ormai alla settantacinquesima ora di opposizione parlata, gestita, articolata...

PRESIDENTE. Una canzone diceva: «poca ma intonata»!

MASSIMO MARIA BERRUTI. Sì, Presidente, «poca ma intonata»: d'altronde vi è chi ha una reazione come quella mia, chi invece, magari, è un attimo più esuberante, ma sicuramente i nostri sentimenti sono sempre stati, e resteranno sempre, da gente moderata, per cui bisogna capire che in questi momenti, a volte, le parole possono anche eccedere il pensiero di ciascuno di noi (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Non vi è dubbio che la distribuzione equa del contributo che ogni cittadino deve per il mantenimento dello Stato sia un'impresa improba e noi dell'opposizione ci rendiamo conto delle difficoltà che può avere un Governo nell'andare a stabilire le regole del gioco, quando si va ad affrontare le questioni relative al gettito fiscale, quindi all'imposizione. I fattori che entrano in gioco quando si parla di tasse sono molteplici e non sono meramente numerari (e sarebbero già di difficile applicazione se fossero solo numerari per ragioni di accertamento). Esistono però anche situazioni di privilegio, altre di disagio, che paradossalmente potrebbero presentare valori numerari del tutto simili, e tuttavia non porre gli individui soggetti all'imposizione fiscale nelle stesse condizioni sociali per diversità rappresentate da altri elementi. Si pensi, per esempio, ad elementi come la sicurezza o la precarietà del proprio lavoro, alla comodità o alla lontananza dal posto di lavoro, alla salubrità o all'insalubrità del luogo di lavoro, all'orario, al rischio economico: sono tutti fattori, questi, che il legislatore


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non dovrebbe mai dimenticare, quando va ad imporre una nuova imposta al cittadino contribuente.
Solo pochi giorni fa, come ho già avuto modo di osservare in un precedente intervento sul complesso degli ordini del giorno presentati dal Polo della libertà e dalla lega nord per l'indipendenza della Padania, più di un collega della maggioranza sosteneva che l'opposizione, anche se unita, non avrebbe mai potuto superare la giornata di martedì, forse quella di mercoledì, arrivando al massimo a giovedì mattina; ebbene, siamo a venerdì sera...

PAOLO PALMA. Bravi!

MASSIMO MARIA BERRUTI. Grazie per il «bravi», collega; sei molto gentile! Credo che sia un «bravi» che ci meritiamo, soprattutto se detto da voi della maggioranza!
Siamo riusciti ad arrivare a dare un segnale preciso a questa maggioranza, siamo riusciti a dire che noi ci siamo, che non siamo assolutamente quelli che alcuni colleghi della maggioranza e molti giornali, ormai assolutamente schiacciati sulle sue posizioni, continuano a blaterare da alcuni mesi, sostenendo che non saremmo in grado di fare opposizione. Abbiamo risposto: certo non abbiamo i mezzi che avete voi, come usare la tessera n.295 avendo invece diritto e dovere di votare con la tessera n.183, magari risultando in missione; non siamo ancora capaci di fare come l'onorevole Bordon, che fa il sottosegretario, non siamo capaci di sederci al tavolo del Comitato dei nove e, pur essendo in missione, votare con la tessera n.295 anche se si è titolari della tessera n.183. Ma impareremo anche noi! E diventeremo ancora più bravi, collega che ci hai detto «bravi». Posso ricordare questo fatto perché ero dietro quel collega che votava ed ho potuto leggere il numero 295 che si formava sul video elettronico: ho dunque potuto vedere che non era la tessera 183 che votava ma la 295.
Sono azioni scientifiche, preparate, le impareremo anche noi collega che dici «bravi»! Riusciremo anche noi a muoverci in questa maniera con il tempo, pian piano: dateci tempo e vedrete che riusciremo anche noi a fare l'opposizione meglio di come l'avete fatta voi in passato, fino a dovervi insegnare come la dovrete fare prossimamente, molto presto, quando alla maggioranza ci saremo noi e all'opposizione tornerete voi. Ma qual è il problema di questo decreto? È che il quadro fiscale generale che si presenta in Italia nel 1998 risulterà sicuramente diverso. Che Prodi abbia portato una rivoluzione in materia fiscale, non abbiamo assolutamente dubbi! Il guaio è che nessuno è in grado di capire quale sarà l'effetto complessivo della riforma di Visco, che è formata, oltre che dalle 18 deleghe ancora all'esame della Commissione dei trenta (compresa l'IRAP, che sarà sottoposta al voto martedì prossimo), anche dall'IVA.
L'attuazione delle 18 deleghe avrà peraltro modalità che ancora oggi non sono chiare; anche dopo la presentazione, nei giorni scorsi, dei decreti delegati, molte cose rimangono oscure e solo altri decreti e circolari ministeriali potranno probabilmente, successivamente, eliminare i tanti motivi di incertezza che oggi ancora vi sono, se non porteranno ancora più confusione tra i contribuenti. Intanto questa incertezza pervade l'intera platea dei contribuenti italiani e l'incertezza - è importante notarlo - non è sicuramente scevra da inconvenienti: cari colleghi, fino a quando i contribuenti italiani, noi insomma, non saremo messi in grado di capire quale sia il destino che ci attende, saremo sempre spinti a rinviare le decisioni più importanti affinché l'economia cominci a marciare in termini positivi nel nostro paese.
In particolare, i nostri investitori, i nostri imprenditori si asterranno dall'investire i loro risparmi nel timore di doverli poi utilizzare per far fronte ad eventuali e probabili oneri fiscali aggiuntivi, visto che il Governo ha trovato solo nell'aumento delle entrate, dunque delle tasse, la possibilità di mettere a posto ciò che dovrebbe invece mettere a posto, per esempio, tagliando spese inutili.


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Nel frattempo, infine, quegli imprenditori non intraprenderanno una nuova attività, non inventeranno né penseranno a nuove imprese, per le stesse ragioni appena ricordate. In pratica accadrà, colleghi, che farete diventare gli operai e i dipendenti - che andate nelle piazze a difendere, quasi come dei paladini - ex-dipendenti, cioè disoccupati. Infatti, con le vostre scelte state distruggendo la voglia di intraprendere, state cioè trasformando gli imprenditori in ex-imprenditori.
Non è vero che - come voi sostenete - l'aumento dell'inflazione in conseguenza della conversione del decreto IVA ...

PRESIDENTE. Onorevole Berruti, lei ha superato il suo tempo di 11 secondi.

MASSIMO MARIA BERRUTI. Concludo subito, Presidente.
Non è vero, dunque, quello che la maggioranza ha promesso dall'inizio. Non è vero che volete incentivare la nuova imprenditoria per promuovere la creazione di nuovi posti di lavoro. È vero, invece, che volete appiattire, normalizzare e continuare a rendere più povero, più misero e meno libero il lavoratore italiano (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scoca. Ne ha facoltà.

MARETTA SCOCA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono davvero felice che esista ancora Radio radicale. Speriamo continui ad esistere sempre, perché è l'unico mezzo per far udire la nostra voce agli elettori ed anche ai cittadini che non ci hanno votato.
Quando l'attuale Governo vuole raggiungere i suoi scopi, senza ascoltare nessun suggerimento - neanche il più sensato e costruttivo - pone la questione di fiducia. Così l'attenzione si sposta dal problema concreto alla seguente domanda: «Cara maggioranza, vuoi tu confermarmi la fiducia?». A questo punto la maggioranza, come una sposa ubbidiente e sottomessa, risponde: «Sì, lo voglio. Voglio confermarti la mia fiducia». Così passa il provvedimento voluto dal Governo.
È vero: la nostra Costituzione prevede che il Governo possa porre la fiducia, ma l'attuale esecutivo lo fa con una frequenza tale che deve preoccupare tutti i cittadini che ancora vagheggino sogni di democrazia. È diventato, infatti, uno strumento di imposizione all'opposizione, ma anche alla stessa maggioranza, dato che nessuna forza politica e nessun singolo parlamentare della maggioranza possono più esprimere un parere, un dubbio, un consiglio, un emendamento.
Lo abbiamo visto in quest'aula il 16 ottobre scorso, quando rifondazione comunista si permise di formulare critiche al Governo (giuste o ingiuste che fossero): il Governo ha risposto con la solita fiducia, previo contentino.
Il Governo con questo andazzo assomiglia sempre di più ad una nave rompighiaccio. Non voglio fare la Cassandra, ma a me sembra che il porto in cui questa nave si dirige sia un regime al quale l'Italia arriverà in maniera inconsapevole, se non teniamo ben deste le coscienze. Voglio dunque rammentare che l'attuale Governo dal 31 luglio 1996 al venticinque novembre 1997 ha posto la fiducia più di 25 volte: in diciassette mesi venticinque fiducie.
Il Governo conta su una maggioranza allineata e coperta, fa affidamento su una totale sudditanza della sua maggioranza. Ma è possibile che sia così? È possibile che su alcuni problemi anche gli amici della maggioranza non abbiano avuto almeno qualche dubbio, qualche esitazione?
Voglio ricordare la fiducia posta sulla manovra correttiva (31 luglio 1996), le due sul Banco di Napoli (23 ottobre e 13 novembre 1996), la manovra di fine anno (25 febbraio 1997), i decreti sulle quote latte (28 febbraio e 18 marzo 1997), il richiamo di rifondazione comunista al bacio della mano (16 ottobre 1996), i nuovi incentivi sulla rottamazione (che in buona sostanza vuol dire regalare migliaia


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di miliardi alle «povere» grandi famiglie), il decreto sulla Sicilcassa, che comporta altre elargizioni a personaggi noti e meno noti ma non per questo meno potenti.
Ora siamo al decreto sull'IVA. Anche in questo, come in altri casi, si è trattato di una fiducia addirittura preventiva, richiesta dal Governo indipendentemente dal dibattito parlamentare. Il voto di fiducia sull'IVA è stato chiesto dal ministro per i rapporti con il Parlamento, Giorgio Bogi, lunedì sera, dopo che l'opposizione e la lega avevano ritirato la maggior parte degli emendamenti ed il dibattito proseguiva abbastanza speditamente. Alla domanda posta in quest'aula dall'onorevole Vito, per sapere in quale seduta del Consiglio dei ministri l'onorevole Bogi fosse stato autorizzato a richiedere la fiducia sull'IVA, il ministro ha risposto onestamente che l'autorizzazione era stata data il giovedì precedente, cioè quando non era ancora ipotizzabile l'andamento del dibattito a Montecitorio. Non solo, dunque, vi è abuso di fiducia, ma siamo addirittura arrivati alla fiducia preventiva.
La fiducia non è più la verifica della maggioranza di Governo: è diventata un mezzo per far passare i decreti-legge senza ascoltare il Parlamento, né l'opposizione né la maggioranza. Andiamo verso un autoritarismo assoluto, che non tiene conto neanche dei propri parlamentari.
L'IVA, checché se ne dica, è un vero e proprio tributo. Grava sul consumatore finale, su tutti i cittadini, su coloro che acquistano. Il prezzo è formato dal costo del prodotto aumentato dell'imposta: quindi incrementare l'IVA significa elevare i prezzi al consumo. Ma evidentemente al Governo non importa.
Al Governo non interessa che moltissime famiglie italiane siano sulla soglia o anche oltre la soglia della povertà; al Governo non importa che innumerevoli artigiani, piccoli commercianti, piccole imprese siano stati costretti a chiudere i loro esercizi. Né si ammette che l'aumento dell'IVA sia dovuto ad un errore sui conti.
Ricordo infatti che l'attuale Governo aveva assicurato al paese che la tassa sull'Europa sarebbe stata una ed una sola. I cittadini, ormai ridotti a sudditi, hanno chinato la testa e vuotato le loro tasche, con il convincimento che quanto assicurato dal Governo corrispondesse a verità. Ma non era vero. Non è vero. La giustificazione che dà ora la maggioranza per l'aumento dell'IVA è proprio che senza queste misure - con le quali si sottrarranno altri soldi ai cittadini - non si andrà in Europa. Dunque la famosa tassa per l'Europa non era sufficiente: è necessaria un'altra spremitura. Quante altre ne arriveranno? Quanto ci si può affidare di assicurazioni che vengono regolarmente smentite?
Andare in Europa: sembra che si parli di un bel viaggio. Ma è diventato un incubo, per estorcere sempre più soldi. Intendiamoci: noi della minoranza riteniamo utile la cosiddetta entrata in Europa (che in realtà non vuol dire altro che la moneta unica); vogliamo anche sottolineare che occorre risanare la finanza pubblica in ogni caso. Ma è necessario un risanamento vero e strutturale, non fittizio e contabile. E tutte le manovre effettuate finora dal Governo non hanno mai messo mano a vere riforme strutturali, che si realizzano incentivando e non deprimenqdo la produzione.
La concertazione di questi ultimi tempi costituisce un grande alibi per il Governo della sinistra italiana, il quale fa gravare sulle persone meno abbienti il maggiore peso del risanamento; non fa che portare acqua alla protesta, alla logica secessionista, perché questo Stato non è e non rappresenta il punto di sintesi di tutti gli interessi in campo, ma favorisce la prevaricazione delle grandi famiglie e di alcuni rispetto ad altri. Così non si raggiunge né il risanamento né lo sviluppo, tappe che potrebbero essere conseguite con l'utilizzazione dei fondi dell'Unione europea; sono più di 40 mila i miliardi che l'Italia non è capace di spendere e che probabilmente torneranno indietro, per essere destinati ad altre nazioni, come l'Irlanda, la Francia e la Spagna, che hanno risolto molti dei loro problemi di

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sviluppo economico ed occupazionale, aumentando anche il loro PIL di vari punti.
Un Governo accorto, un Governo responsabile dovrebbe puntare a questo e non continuare a raschiare il barile, ormai vuoto, dei cittadini e di quelli che vorrebbero produrre. E che dire anche del recente provvedimento a favore del sud? Si tratta di una vera e propria bomba a tempo, dal momento che prevede in maniera molto ridotta sgravi decrescenti nel 1998 e nel 1999, lasciando nel 2000 le aziende in balìa di quelle condizioni non competitive che di fatto andrebbero ad aggravare il fenomeno della disoccupazione, portandola a livelli non compatibili con la stessa tenuta sociale.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Scoca.

MARETTA SCOCA. Se ciò non accadrà, avremo comprato a costi di grandi sacrifici un biglietto che ci porterà sulla soglia di un palazzo, ma per entrarci dovremo passarci dalla porta di servizio, confidando nell'indulgenza altrui per il solo bene della grande industria e del Governo italiano (Applausi dei deputati del gruppo del CCD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Frosio Roncalli. Ne ha facoltà.

LUCIANA FROSIO RONCALLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge in esame è stato presentato come un provvedimento di riordino delle aliquote IVA, ma in realtà rappresenta solo un ulteriore inasprimento fiscale. Noi della lega nord per l'indipendenza della Padania non abbiamo mai creduto all'affermazione del Governo secondo la quale questo provvedimento tende a realizzare un più marcato allineamento alle direttive comunitarie.
Questo provvedimento aumenta le aliquote IVA con la scusa di ridurne il numero; quindi, mentre lo scopo dichiarato da questo Governo è quello di attuare la manovra di risanamento della finanza pubblica e di recepire alcune disposizioni della normativa comunitaria, si capisce invece molto bene come ciò sia solo un pretesto. Il tutto ha le caratteristiche dell'aggravamento del peso fiscale per i cittadini, a fronte del quale manca qualsiasi riduzione dal lato della spesa pubblica, al fine di consentire maggiori risorse per le attività produttive.
Esiste una scadenza per il riordino delle aliquote IVA, ed è quella del 31 dicembre 1998; potevamo aspettare per riflettere, per capire meglio il nostro sistema, per attrezzarci ed evitare le distorsioni. Nel regime transitorio, l'aliquota IVA normale non deve essere inferiore al 15 per cento, ed è un dato di fatto; nessuno ha però detto che debba necessariamente ed obbligatoriamente attestarsi intorno al 20 per cento.
Diciamolo chiaramente: questo anticipo nell'entrata in vigore delle nuove aliquote serve per assicurarsi altre entrate fiscali per coprire l'ennesimo buco di cassa. Questo provvedimento è l'ennesima manovra per far quadrare i conti.
L'innalzamento dell'aliquota ordinaria di un punto percentuale incide sull'imposizione indiretta nel momento in cui questo Governo sta inasprendo ulteriormente la pressione fiscale sul lato delle imposte dirette.
L'introduzione dell'IRAP la dice lunga su come questo Governo intenda proseguire sulla strada dell'inasprimento fiscale: è un'imposta, l'IRAP, indeducibile, forse l'unico caso di un'imposta sui fattori della produzione non deducibile. E un'imposta oltre tutto che, come tutti sappiamo, va a sostituire altre imposte, tra le quali ce n'è una che avrebbe dovuto cessare quest'anno; quindi, con l'IRAP noi pagheremo anche un'imposta - quella patrimoniale - che comunque l'anno prossimo non avremmo più pagato. È un'imposta inoltre che non può essere compensata, che non è oggetto di compensazione; pertanto, se l'hanno prossimo un contribuente, nell'effettuare i due versamenti in acconto, sbaglia i conteggi non può compensare quello che andrà a pagare nel 1999 con il credito nel 1998. Il legislatore


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dell'IRAP sembra dunque essere tornato indietro negli anni, quando l'unica possibilità per colui che chiudeva la dichiarazione dei redditi con un credito era la via del rimborso; dal 1 gennaio potrà costare caro sbagliare i calcoli degli acconti avuti per l'IRAP. È un'imposta che oltre tutto, per essere pagata, ha bisogno di una doppia contabilità. Quindi, alla faccia della semplificazione!
Inoltre, cosa dire del fatto che di questa imposta dovremo versare il 120 per cento? Tra i mille problemi dell'introduzione dell'IRAP c'è anche quello, per le casse dello Stato, di non intaccare il gettito assicurato fino al 1997 dai tributi erariali e locali soppressi, nonché dei contributi sanitari eliminati. I prelievi che scompariranno nel 1998 valgono circa 60 mila miliardi l'anno, e la stessa cifra dovrà essere garantita dall'IRAP e dal riordino delle aliquote IRPEF; secondo i calcoli, l'IRAP darà 52 mila miliardi l'anno, mentre gli altri 18 mila deriveranno dal riordino delle aliquote IRPEF.
Realizzato in questo modo l'equilibrio a regime tra vecchi e nuovi prelievi, al Governo è rimasto il problema di gestire la transizione anche in termini di flussi di cassa. Tra le entrate che verranno meno e quelle che le sostituiranno infatti non ci sarà una perfetta continuità temporale nei versamenti, a causa di vari meccanismi d'acconto e saldi; Il problema è stato brillantemente risolto dal ministro delle finanze con il trucco della misura del 120 per cento dell'acconto IRAP per il 1998.
Tornando al decreto in questione, elevare le aliquote IVA significa colpire alcuni settori produttivi che sono fondamentali per la nostra economia. Colpendo settori come quelli dell'abbigliamento, delle calzature e dell'edilizia, soprattutto per quanto riguarda la produzione del materiale che poi confluisce nell'attività edilizia, non facciamo altro che soffocare la possibilità di incrementare occupazione, penalizzando settori che già soffrono a causa di una concorrenza estera fortissima, in quanto hanno un'elevata incidenza sulla manodopera.
Cosa dire poi della contraddizione fra il contenuto di questo provvedimento ed il contenuto della finanziaria? Nel campo dell'edilizia, per le ristrutturazioni straordinarie degli immobili, a partire dal 1 gennaio prossimo l'IVA passerà al 20 per cento; tutto ciò è evidentemente in contrasto con le proposte che questo Governo sta sbandierando da mesi nelle piazze d'Italia con riferimento alle ristrutturazioni della casa e al rilancio del settore dell'edilizia. Mi chiedo come si possa pensare di discutere in maniera costruttiva la stessa proposta di defiscalizzazione al 41 per cento degli interventi di manutenzione straordinaria per le abitazioni se poi l'aliquota IVA sui materiali per l'edilizia e sulle ristrutturazioni sale al 20 per cento.
Ma in questo provvedimento non è solo l'innalzamento delle aliquote che ci preoccupa. Un esempio è dato dall'articolo 3 di questo decreto, è l'anticipo di 15 giorni dell'IVA sulla fattura riepilogativa delle operazioni sostenute da documenti accompagnatori; fino ad oggi questa fattura poteva essere emessa e registrata entro il mese successivo alla consegna, e la relativa IVA doveva dunque entrare nella liquidazione IVA del mese di registrazione. L'articolo 3 prevede che la fattura differita possa essere emessa entro il giorno 15 del mese successivo. La consegna avviene nel mese di ottobre, la fattura può essere emessa entro il 15 novembre, cioè il mese successivo. Si dispone quindi, attraverso questo articolo, la registrazione della fattura sul registro di vendita entro il 15 novembre, e questo può andar bene; ma si stabilisce inoltre una disposizione veramente nuova e stravolgente, ossia che l'impresa deve inserire l'IVA esposta in fattura, emessa il 15 novembre, nella liquidazione del mese di ottobre. Voi capite che è assurdo prevedere un mese prima quello che potrà accadere un mese dopo. Si verifica dunque che le consegne del mese di ottobre potranno, attraverso questo articolo, essere fatturate entro il 15 novembre, che la fattura deve essere registrata sempre entro questa data, e che la liquidazione dell'IVA deve essere effettuata

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in data 31 ottobre, ossia l'IVA va versata con la liquidazione mensile del 18 novembre.
Concludo il mio intervento esprimendo il mio dissenso nei confronti di questo provvedimento che, se come sembra sarà convertito in legge, evidenzierà iniquità che questo Governo intende attuare nei confronti del ceto medio produttivo. Se il Governo da un lato avesse aumentato le aliquote IVA per allinearle al livello europeo e dall'altro avesse abbassato quelle IRPEF e IRPEG ai livelli degli altri Stati dell'Unione europea, certamente non avrebbe avuto dall'opposizione la reazione che c'è stata.
Da un lato, invece, non si riducono le aliquote delle imposte sui redditi delle persone fisiche e giuridiche e dall'altro si aumentano le aliquote IVA. Da un lato si afferma che occorre allineare le aliquote IVA a quelle in vigore negli altri Stati europei, dall'altro ci si dimentica che sarebbe necessario allineare le imposte sul reddito delle persone fisiche e giuridiche a quelle degli altri paesi.
Ringrazio questo Governo e questa maggioranza per aver dato al Polo delle libertà la sua grinta, le sue ragioni d'essere, la sua voglia di combattere l'avversario. Ringrazio questo Governo per aver ricompattato l'opposizione e spero che la battaglia politica prosegua e non si fermi a questo decreto. Spero che questo sia l'inizio di una grande battaglia politica insieme, che abbiamo sempre combattuto all'interno e al di fuori del Parlamento per la difesa della libertà, del lavoro, dell'occupazione e delle attività in cui tutti noi crediamo (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fongaro. Ne ha facoltà.

CARLO FONGARO. Inizio con un prologo molto breve di solidarietà per gli allevatori che in questi giorni stanno conducendo una dignitosa rivolta popolare, quella del latte, contro uno Stato che - come d'altronde ha dimostrato anche una Commissione d'inchiesta - ha gravissime responsabilità nella gestione delle quote latte (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Questo Stato che ha gravissime responsabilità pretende, con assoluta arroganza, di non pagare per gli errori che ha commesso e di farli pagare ai coltivatori, ai quali - che giustamente si ribellano - vengono date manganellate. Bisogna dire che questa maggioranza ha fatto un'operazione estremamente singolare: ha creato uno Stato bulgaro dal punto di vista politico, ma fascista se lo guardiamo nei metodi che usa nel confrontarsi con i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Curiosando sulla vita di questa maggioranza, leggevo oggi che il partito popolare si lamenta perché il PDS lo tratta con sufficienza. Ma colleghi popolari, come dovrebbe trattarvi il PDS? Il PDS, dal primo momento e lo sarà sempre, è il partito che comanda nell'Ulivo e non potrà essere diversamente, perché chi comanda gestisce il potere. Il partito comunista italiano - ora PDS - sbava da cinquant'anni dai suoi banchi per avere questo benedetto potere; figurarsi se adesso, quando sono finalmente entrati nella stanza dei bottoni, sono disposti a lasciarlo proprio a voi che lo avete tenuto per cinquant'anni. È una speranza veramente misera. Credo che il PDS, nel prossimo futuro, vi terrà a pane ed acqua e vi lascerà solo le poltrone più scomode, quelle mal retribuite, tenendosi sicuramente quelle più ricche e redditizie.
Veniamo all'IVA, al decreto su cui in maniera sbrigativa è stata posta la questione di fiducia: noi siamo qui per dichiarare il nostro voto su tale provvedimento. È facile capire che si tratta di un ulteriore salasso; ci saranno alcune migliaia di miliardi che andranno un'altra volta nelle casse dello Stato e saranno sottratte ai cittadini. Direi che è impossibile sapere quante migliaia saranno (3 mila, 6 mila, forse 10 mila): mi pare che questo Governo abbia continuamente sbagliato


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i conti perché tra manovra, manovrina-bis, ter e altro i conti non tornano mai.
Siamo alla fine dell'anno e sono costretti ad emanare un decreto sull'IVA per alcune migliaia di miliardi anticipato addirittura al 1 ottobre perché non potevano neanche attendere un mese per farlo entrare in vigore con la finanziaria. Mi pare quindi che capire quante migliaia di miliardi passeranno allo Stato dalle tasche dei cittadini sia veramente arduo.
Che dire poi dell'aumento che subirà il prezzo di beni di largo consumo, come l'abbigliamento, le calzature ed altri che incidono direttamente sui bilanci delle famiglie? Visto che aumenta l'IVA, aumenterà anche la pressione fiscale e vi sarà un depauperamento di tali bilanci, già sottoposti a dimagrimenti notevoli. Siete anche riusciti a truccare l'in;flazione: avete fatto un paniere che ricorda quello degli anni sessanta e settanta, nel quale come sigarette di riferimento c'erano le «super senza». Dopo due mesi queste sigarette non esistevano più perché il prezzo era bloccato e quindi tutti le avrebbero comperate; le hanno fatte sparire ma il paniere si basava ancora su una marca di sigarette di fatto sottratta ai consumi.
Che dire poi dell'IVA sull'edilizia, che passa dal 16 al 20 per cento? È un aumento considerevole, anche perché in questo settore sono in gioco importi notevoli. Una ristrutturazione con un aumento del 4 per cento dell'IVA significa una crescita di milioni del prezzo per chi la attua. Comunque, è pacifico che gli incentivi che vorrete concedere a chi ristruttura verranno completamente vanificati da questo aumento: il risparmio sull'IRPEF per i contribuenti verrà totalmente riassorbito dall'aumento dell'IVA sui materiali edilizi.
Voi dite che così si riesce a far emergere il mercato nero, che queste benedette imprese finalmente fattureranno fino all'ultima lira. Ma vi rendete conto, se vogliamo essere realisti, che con una tassazione al 60-65 per cento fatturare tutte le entrate fino all'ultima lira significa costringere le imprese a chiudere? Non è possibile che un'azienda con il 65 per cento di imposte riesca a pagare anche le spese; sarebbe una penalizzazione ulteriore per le piccole e medie aziende, in particolare per quelle artigiane. Esse chiuderebbero in tre mesi. Il vantaggio che potete sperare di ottenere da questo aumentato introito (perché l'IVA la riscuotete subito, mentre le agevolazioni fiscali - ammesso che arriveranno, chissà quando - saranno dilazionate in dieci anni) sarebbe solo momentaneo. Per qualche mese vi troverete qualche liretta in più nelle casse. Sappiamo benissimo come sarebbero spese perché fin dall'inizio abbiamo visto quali sono le vostre intenzioni, cioè distruggere la vera ricchezza prodotta e regalarla all'assistenzialismo; magari dovrete fare la campagna elettorale a Bassolino, a Rutelli. Magari dovete sostenere il Vaticano che continua sempre a parlare bene di voi anche all'interno dei confessionali.
Questa ricchezza che prendete dalla vera produzione, quella padana, andrebbe sprecata a vantaggio di settori che non restituirebbero nulla, né posti di lavoro né tanto meno ricchezza alle imprese.
Questo vantaggio che si avrebbe per qualche mese sarebbe quindi completamente vanificato dall'estrema difficoltà che avrebbero le imprese, soprattutto quelle piccole, ad andare avanti; probabilmente si assisterebbe anche ad una notevole moria di queste aziende. Pertanto il beneficio effimero, di qualche mese, di qualche piccolo introito verrebbe vanificato dalla chiusura di aziende o dal fatto che le aziende stenterebbero a stare in piedi e di conseguenza pagherebbero meno tasse.
Voi nei discorsi elogiate sempre questo miracolo del nord est, questo sistema produttivo che si basa sulle piccole e medie imprese. Però voi queste piccole e medie imprese le fate morire; le fate morire con le vostre tasse e con il vostro disprezzo. Sono infatti convinto che questa sinistra disprezza questo sistema economico e produttivo e lo disprezza perché non riesce a controllarlo. È molto più

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facile controllare un sistema economico e produttivo che si basa sui monopoli pubblici o privati (e quelli privati magari in combutta con voi) piuttosto che controllare un sistema di piccole e medie aziende le quali hanno la capacità di ragionare con la propria testa, di indirizzare gli investimenti secondo una loro strategia e non secondo la strategia degli accordi che a voi invece andrebbero bene.
Ho sentito questa sera più volte i colleghi del Polo indirizzare messaggi o commentare questa nuova fase che si starebbe per aprire. Ho apprezzato molto il fatto che finalmente il nostro gruppo si chiama gruppo lega nord per l'indipendenza della Padania e questo viene riconosciuto anche dai colleghi del Polo. Finalmente su questo ci siamo chiariti. Però io vorrei chiarire anche un'altra cosa. Il Polo ci ha sempre rinfacciato di aver consegnato il paese alle sinistre. Ebbene, a noi non ce ne frega niente né delle destre né delle sinistre (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Noi abbiamo solamente uno scopo: l'indipendenza della Padania. E le alleanze le faremo con lo schieramento che ci permetterà di raggiungere l'indipendenza del nostro nord, perché il nostro unico azionista di riferimento è il nord. Guardate, cari amici del sud, che facendo gli interessi del nord si fanno anche gli interessi di tutto il paese, non solamente di una parte geografica. Grazie, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lembo. Ne ha facoltà.

ALBERTO LEMBO. Da quest'aula in questi ultimi mesi sono passati molti provvedimenti che noi abbiamo giudicato uno più disastroso dell'altro. Il provvedimento sull'IVA probabilmente non è il peggiore. Ne abbiamo visti di peggiori da un punto di vista di merito: pensiamo per esempio al Banco di Napoli e alla Sicilcassa. Ne abbiamo visti di molto più rovinosi per gli effetti che porteranno col tempo, per la compressione e la lesione dei diritti dei cittadini italiani e padani, come la legge Napolitano-Turco sull'immigrazione. Questa legge, che è sicuramente cattiva ma forse meno distruttiva di altre, ha avuto però un risultato del tutto particolare: è stata gestita in modo talmente maldestro da parte del Governo e da parte della maggioranza da ottenere sicuramente un risultato quasi miracoloso. Forse il risultato è stato aiutato anche dalle vicende elettorali amministrative di pochi giorni fa, da una situazione di forte disagio dovuto alla perdita di consenso da parte del Polo in particolare, da crisi interne che ci sono state. Noi siamo stati stimolati dal fatto di aver ottenuto consensi sicuramente superiori a prima, perché i consensi si contano su tutto il territorio e non soltanto sulle città dove a voi fa comodo contarli. I nostri elettori sono molto sparsi sul territorio.
Ebbene, questa situazione ha portato (e peccato che ciò non si sia verificato anche in passato, particolarmente quando si discuteva della legge sull'immigrazione) ad un risultato che io valuto sicuramente positivo; altri colleghi, anche nostri, hanno citato questo punto. Il Presidente Violante, preoccupatissimo già da qualche giorno, prima ha tentato di forzare la mano per quanto riguarda la conduzione dei lavori; questa mattina si è riunita la Giunta per il regolamento per esprimere alcuni pareri, ripeto, sulla conduzione dei lavori, sull'ordine degli interventi, sulla possibilità da parte dei gruppi di opposizione di incidere effettivamente usando tutti gli strumenti regolamentari previsti.
Certo che questo Governo maldestro e questa maggioranza altrettanto maldestra hanno fatto sì che oggi ci troviamo di fronte ad un fatto inaudito, che non si era mai verificato, per quello che posso ricordare da spettatore o da lettore, in cinquant'anni di Repubblica italiana. Oggi in quest'aula ci sono trecento deputati che fanno opposizione usando tutte le tecniche ostruzionistiche previste. Se qualcuno sognava il bipolarismo perfetto, questo mi pare che sia il perfetto bipolarismo: la


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maggioranza che prende tutto e tutti i gruppi di opposizione costretti non a fare opposizione nel senso di confronto, di opposizione anche dura, ma a fare ostruzione.
Questa è la sensibilità che ha dimostrato il Governo, questa è la logica risposta, la doverosa risposta che vede unite insieme tutte le forze di ispirazione non marxista esistenti in questo Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Credo che questo sia un fatto positivo, perché al di là di screzi, di divisioni, di incomprensioni, anche di elementi che tuttora dividono fortemente la lega dal Polo, quando il Polo nominando il nostro gruppo lo nomina, come diceva il collega Fongaro, con il suo nome ufficiale, gruppo lega nord per l'indipendenza della Padania, quando finalmente si accetta di ragionare in termini di riassetto complessivo dello Stato in relazione alle concrete possibilità che ci saranno, e quindi anche il termine di confederazione, anche il concetto di riassetto, articolando in modo diverso questo Stato centralista, viene riconosciuto come principio valido dal Polo ed in particolare da alcune componenti del Polo, ebbene, cari amici della sinistra, cari amici del Governo, noi vi ringraziamo perché saldate insieme in questa azione concreta i gruppi di opposizione e probabilmente ci avete anche aiutato a fare un ragionamento più vicino sulle possibilità di riassetto di questo Stato.
Qualche giorno fa un illustre collega del Polo (non ricordo se fosse Frattini o Tremonti, certamente entrambi autorevoli rappresentanti) diceva che in fondo anche la questione della secessione, anche la questione dell'assetto confederale o altro tutto sommato ha soltanto una forte carica emotiva, perché poi in realtà nessuno potrà uscire dal contesto degli Stati dell'Europa. Questo è un riconoscimento molto importante e fa piacere sentirlo dire proprio in un momento in cui cominciamo già a pensare a dopo la finanziaria, alla possibilità che un giorno o l'altro effettivamente si cominci a discutere degli emendamenti alla bicamerale. Se gli emendamenti presentati da vari gruppi di opposizione alla Commissione bicamerale vanno in questo senso e lasceranno soltanto il guscio, lasceranno soltanto il nome dello Stato italiano così come è oggi, ma lo articoleranno in modo tale da farlo diventare un interlocutore serio per la Comunità europea ed un interlocutore serio anche nelle sue diverse componenti, attraverso una ristrutturazione interna dello Stato italiano, vuol dire che nonostante gli anni che sono passati, nonostante certi momenti di profonda lotta che si sono avuti fra Polo e lega, probabilmente stiamo imboccando una strada giusta.
In fondo (e ripeto con altri termini quello che diceva il collega Fongaro) a noi interessa una cosa: la liberazione dei popoli che noi rappresentiamo da questo Stato centralista, da questa unità imposta a forza, con le armi e con le cannonate, 130 anni fa, imposta con le cannonate in particolare al sud, occupato a cannonate, con i villaggi rasi al suolo, con la gente fucilata sul posto perché colpevole di non aver voluto inchinare la testa di fronte alla bandiera dell'invasore e dell'occupante (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Se finalmente potremo ritornare a disegnare e a ricostruire l'Italia in modo diverso, allora questa manovra indegna sull'IVA forse potrà essere ricordata un giorno come qualcosa di positivo e di utile ai fini di tale riassetto. Il provvedimento in questione è ignobile e faccio un sintetico riferimento, nel breve tempo che mi resta, per sottolineare proprio le ricadute che esso ha su uno dei settori più trascurati, più maltrattati e ignorati della società italiana: non gli agricoltori, ma il mondo rurale, tutto quello spaccato di cui la protesta dei produttori di latte oggi, ma dei produttori vitivinicoli ieri, che sono stati colpiti dai nuovi aumenti dell'IVA; qualche mese fa è stato colpito anche il settore della zootecnia da carne, ma tutti hanno bisogno di risposte diverse.

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Mentre voi forse continuate a navigare verso una forma utopistica di Stato che sia conforme a come voi avete immaginato nella vostra visione marxista o cattocomunista la società e l'uomo, noi che invece veniamo dalla società attiva, che ci confrontiamo ogni giorno con uomini attivi, con coloro che rappresentano effettivamente la vitalità dei nostri popoli, vi ringraziamo anche di questo vostro modo di pensare. Probabilmente alla componente non cattocomunista, ma di ispirazione liberale, alla componente che comunque crede nella libertà, tutto ciò è utile, un'ispirazione cui crediamo e ci auguriamo che anche i colleghi del polo ci credano quanto noi.
Forse ci avete fatto un piacere, viste le manganellate che lo Stato, attraverso la sua polizia, ha distribuito largamente a contadini inermi, a giornalisti (questa volta finalmente coinvolti anche loro), che si sono subito adeguati mandando in onda sulle nostre televisioni non immagini artefatte, ma quelle vere, immagini di poliziotti che caricavano per picchiare e per colpire. Hanno fatto vedere queste immagini: forse qualcuno ha avuto dispiacere nel vedere i lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo che hanno colpito bambini di passaggio. Bene, vi ringraziamo anche di questo, perché tutta questa serie di colpi dati ai nostri cittadini, ai nostri popoli, alla nostra società, porteranno sicuramente ad un risultato, Presidente. Un risultato che probabilmente vedremo già nei ballottaggi che si svolgeranno domenica (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Lembo. Il suo tempo di intervento è stato esattamente di dieci minuti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Piva. Ne ha facoltà.

ANTONIO PIVA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, questa maratona parlamentare ha attirato l'attenzione del paese sul palazzo della politica. Ci si chiede cosa stia succedendo in Parlamento, perché questa battaglia campale delle forze di opposizione contro il Governo e la sua maggioranza. La risposta, signor Presidente, colleghi, è molto semplice: questa opposizione è stanca di subire i diktat del Governo e della sua risicata maggioranza. Quando in poco più di 500 giorni si pone la questione di fiducia per 27 volte, ciò significa due cose. Primo, che la maggioranza non è in grado di reggere un confronto costruttivo in aula, perché teme il suo dissolversi per la defezione di qualche parte su taluni punti del provvedimento in esame. Secondo, che non c'è effettiva volontà di collaborazione parlamentare, pur nell'ambito dei rispettivi ruoli di maggioranza e di opposizione, ma si vuole portare al «votificio» di turno pacchetti chiusi, frutto di delicati equilibri raggiunti nell'ambito della coalizione di maggioranza, senza neanche esaminare, non dico approvare e discutere, proposte correttive, osservazioni ed emendamenti che provengano dalla minoranza. Voglio peraltro ricordare che questa minoranza è maggioranza nel paese.
La situazione ormai non è più tollerabile e va portata a conoscenza dell'opinione pubblica; quindi, anche questa battaglia parlamentare condotta nei limiti e nel rispetto del regolamento corrisponde allo scopo. Questo ostruzionismo non è fine a sé stesso, ma è il solo strumento che ci è consentito, quando ci viene impedito di discutere qualcosa nel merito.
In questi giorni si stanno svolgendo nelle fabbriche elezioni pilotate dalla triplice in merito alla vicenda previdenza e pensioni. Si afferma che deve essere consultata la base, perché si deve rispondere ad essa. Ebbene, signor Presidente, anche noi abbiamo una base da coinvolgere e a cui rispondere: sono i nostri elettori, artigiani, coltivatori, agricoltori, commercianti, piccole e medie imprese, esercenti, ceto medio produttivo, in sintesi, il popolo della partite IVA. Con questo elettorato abbiamo, non solo noi, ma anche il Governo, assunto a suo tempo un impegno: mantenere invariata la pressione fiscale. Il Governo è pesantemente venuto


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meno a questa sua promessa e per ciò sarà giudicato, ma noi non intendiamo mancare alla parola data.
Quale altro modo avremmo, come opposizione, per dare un forte segnale che il popolo produttivo del nostro paese attende? Dovremmo schiacciare diligentemente il bottone rosso, contribuendo così anche al raggiungimento del numero legale che la maggioranza non riesce sovente a garantire su un provvedimento rispetto al quale non abbiamo potuto apportare alcuna modifica migliorativa o quanto meno formulare proposte correttive da sottoporre alla discussione e al voto dell'Assemblea.
Abbiamo dei doveri nei confronti di chi ci ha eletti in questo Parlamento e ad essi non intendiamo sottrarci: ecco perché siamo impegnati in questa maratona. Io sono del Veneto, sono stato eletto in tale regione e di mestiere sono allevatore, ma, per fortuna, non nel settore delle vacche da latte. In questo momento mi sento nella difficile situazione psicologica degli allevatori che protestano sulle strade. Quando mia avremmo potuto immaginare che un coltivatore o un agricoltore veneto venisse alle mani con le forze dell'ordine (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)?
È profondamente radicato nel DNA di questa gente il rispetto a volte anche eccessivo e sottomesso verso chiunque rappresenti l'autorità, al punto che questo Veneto è oggetto di barzellette. Ebbene, alcuni anni di sciagurata legislazione sulla vicenda delle quote latte, conclusasi in piena metastasi normativa (termine non mio, ma di un autorevole esponente dell'Ulivo, esperto di politica agraria), e gli ultimi provvedimenti adottati hanno portato all'esasperazione anche i miti e i pacifici contadini veneti, quelli ai quali se ti rivolgi per chiedere una informazione o un'altra cosa rispondono «comandi!». Se in aula è presente qualche deputato veneto, comprenderà sicuramente il senso di questa mia affermazione.
Signori del Governo, guardatevi dall'ira dei miti, perché essi agiscono quando sono esasperati, non è gente che ama fare ginnastica rivoluzionaria fine a sé stessa. Essi si muovono - ripeto - quando sono con le spalle al muro, il che significa che non hanno più molto da perdere.
Il provvedimento sull'IVA si colloca sul filone classico degli interventi cui il Governo ci ha abituati, cioè l'incremento continuo, ossessivo e pervicace della pressione fiscale, quasi esclusivamente indirizzata contro il ceto medio produttivo, dall'eurotassa all'IRAP, dalla revisione delle aliquote IRPEF agli altri cento balzelli. In questi due anni non si è fatto altro che accrescere paurosamente la pressione fiscale sulle persone e sulle imprese ed ora, con l'IVA, anche sui consumi.
Si afferma che ciò è necessario per entrare in Europa. Signor Presidente, l'Europa non è un soffitto che si può toccare con la punta delle dita, facendo un salto, perché nel nostro caso bisogna rimanere attaccati al soffitto. La situazione peggiore sarebbe quella di entrarvi, raggiungendo il famoso parametro del 3 per cento in virtù di manovre di cassa e di incrementi fiscali, ma con un apparato produttivo stremato ed incapace di reggere la competizione e con l'impianto della spesa pubblica non rivisto strutturalmente e quindi con tutte le negatività in esso contenute.
Si porrebbe, dopo breve tempo, il problema di non tenere il passo con l'Europa e doverne uscire o esserne cacciati, allora sì in condizioni di drammaticità per il paese e per noi tutti.
Questa vicenda, infine, vuol significare la nostra radicale contrarietà nei confronti della politica di questo Governo, perché quando inevitabilmente i nodi verranno al pettine sia chiaro di chi è stata la responsabilità di aver portato il paese ad un punto morto. Vedete, signori della maggioranza e signori del Governo, il fatto di avere i media, giornali e televisioni, in grande prevalenza favorevoli può giocare anche dei brutti scherzi; perché quando si vede, si legge, si sente con regolare continuità che tutto va bene ed abbiamo riportato il deficit al 3 per cento del PIL, che abbiamo bloccato l'inflazione, che

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l'Ulivo governa con saggezza ed equilibrio, alla fine subentra un effetto simile al training autogeno, per cui appare segno di stranezza e incomprensibile che ci sia chi protesta. Perché si protesta se non siamo mai stati così bene? Possiamo permetterci, quindi, di bloccare le privatizzazioni, di ignorare i conti della previdenza ancora per alcuni anni, di lavorare 35 ore la settimana pagate 40 e avanti così. Ma chi paga questo pernicioso persistere nella nostra società di una cultura vetero operaista infarcita di elementi di socialismo reale? Questo, signor Presidente, colleghi, è pagato da quel popolo produttivo, soprattutto del nord ma anche del sud, che ci dà mandato di resistere ad oltranza contro la politica fiscale e vessatoria del Governo. Questo popolo produttivo, che si attira gli strali e le derisioni di qualche pennivendolo di regime che ha cambiato cento bandiere perché è rozzo, becero, incolto, politicamente non competente, come la classe politica che lo rappresenta...

BRUNO SOLAROLI. Incompetente sei tu!

ANTONIO PIVA. Questo popolo produttivo non è così sottilmente astuto da pensare che quando le cose non vanno bene si debba lavorare ed impegnarsi di meno; al contrario, è così sciocco da pensare che occorra lavorare di più e meglio. Andate a chiedere ad un coltivatore, ad un artigiano, a un commerciante, ad un imprenditore, a un esercente e così via se pensi di risolvere i problemi della sua attività, qualora vi siano difficoltà, lavorando 35 ore anziché 40! A parte il fatto che la domanda sarebbe comunque mal posta, perché questo mondo non ha la cultura arcaica e vetero marxista del lavoro come condanna e sfruttamento, per cui quanto meno si lavora tanto meglio è, né ha la cultura, in assoluto, della pensione da godere, perché la pensione non si percepisce, si gode e quanto prima si smette di lavorare... (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha esaurito il suo tempo, onorevole Piva.

ANTONIO PIVA. Mi faccia pronunciare l'ultimo capoverso.

PRESIDENTE. C'è un dispositivo che blocca l'audio ed io non voglio derogare. Lei ha già svolto il suo argomento.

BEPPE PISANU. Chiedo di parlare, Presidente, sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BEPPE PISANU. Lei può consentire al collega di consegnare agli atti il testo scritto dell'intervento.

PRESIDENTE. Credo di sì.

BEPPE PISANU. Grazie.

PRESIDENTE. Non credo che avrei mai la forza di impedire un evento che, peraltro, non avrei nemmeno il diritto di impedire. Quindi la Presidenza consente che l'onorevole Piva consegni considerazioni integrative del suo intervento.
Ciò che intendo ribadire è che io segnalo con il campanello quando mancano 20 secondi alla fine dell'intervento, in modo che il collega abbia tempo di concludere il suo discorso. D'altra parte quando si fa, come state facendo, un ricorso rigido al regolamento, dal punto di vista dei tempi, bisogna rispettare anche il diritto di vedere che il tempo previsto per gli interventi non sia superato. Mi pare che questa sia una cosa che chi ha il compito di presiedere deve garantire per tutti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scarpa Bonazza Buora. Anzi, chiedo scusa, ma devo ancora dare la parola al collega Saraca.

GIANFRANCO SARACA. Sarebbe stato un intervento davvero brevissimo.


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PRESIDENTE. Talvolta un silenzio è carico di destino!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Saraca. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO SARACA. Presidente, onorevoli colleghi, tutti noi sappiamo che l'economia non va affatto bene; questa non è un'opinione personale, è una constatazione di fatto. E questo provvedimento sul riordino delle aliquote IVA non fa altro che aggravare una situazione già fortemente deteriorata. Dopo la tassa dell'IRAP, la tassa rapina contro la quale abbiamo fortemente protestato in più di cento piazze italiane, ecco che a più o meno lungo giro di posta arriva la risposta del Governo: aumento delle aliquote IVA.
In base alla direttiva CEE 92/77, al fine di prevedere una omogeneizzazione del regime fiscale dei paesi dell'Unione europea era stata prevista l'unificazione delle aliquote IVA, con l'intento di ridurle ad un massimo di tre, una ordinaria e due ridotte. Veniva inoltre concessa la possibilità per il 1998 di derogare alla direttiva mantenendo lo status quo. Ciò premesso, il Governo avrebbe potuto astenersi dal compiere manovre sulle aliquote IVA; non avrebbe avuto alcuna ragione evidente per intervenire in quest'ambito. Tuttavia l'intervento c'è stato, come ben sappiamo, e per motivi che noi dobbiamo denunciare ad alta voce: il Governo ha sbagliato i propri conti, si è accorto che il notevole gettito fiscale non riesce a coprire la previsione di spesa per l'anno 1997. In base ai calcoli fatti dal Governo, negli ultimi tre mesi dell'anno corrente sono necessari ancora - sembra - 180 mila miliardi per riuscire a coprire le previsioni, mentre sappiamo che la media del gettito tributario mensile si aggira intorno ai 35 mila miliardi. Quindi, si è pensato bene, con grande fantasia, di introdurre questa modifica in aumento delle aliquote IVA per poter garantire le entrate sufficienti per raggiungere l'obiettivo.
Noi tutti siamo contrari a questo atteggiamento del Governo - non so se la maggioranza abbia percepito questo fatto - che non riesce a trovare altro sistema, per recuperare i soldi, che non sia imporre gabelle; ma siamo pure contrari alla sostanza della misura, siamo contrari all'aumento IVA. Anche in questo caso sono stati compiuti errori grossolani da parte della compagine governativa; per esempio, se ci si fosse adeguati a quanto disposto dalla direttiva europea con il passaggio dal 4 al 5 per cento per l'aliquota ridotta e dal 16 al 19 per cento per l'aliquota transitoria, già in questo caso non si sarebbero avute particolari ripercussioni sull'indice dei prezzi, che avrebbe subito un modesto e tollerabile aumento, pari a circa lo 0,4-0,5 per cento; inoltre, si sarebbe potuto registrare un introito aggiunto di circa 4.000 miliardi. Un'ulteriore alternativa, che non avrebbe avuto riflessi inflazionistici di tipo rilevante, si sarebbe potuta intraprendere con la diminuzione dell'aliquota dal 19 al 10 per cento per alcune categorie e, viceversa, con l'innalzamento dal 10 al 19 per altre; questo genere di manovra, oltre a non accendere la spirale inflazionistica, avrebbe al contrario permesso di tenerla sotto controllo, essendo anche in grado di incrementare le entrate per una cifra vicina ai 3.000 miliardi.
L'azione del Governo, tuttavia, si è diretta in un'altra direzione, assai dannosa per i cittadini e per l'economia in generale. Infatti, la manovra di modifica delle aliquote IVA così come intrapresa del Governo ha sì portato maggiori entrate, circa 6.000 miliardi, ma a spese di una fiammata inflazionistica che potrebbe, anzi avrà pesanti ripercussioni sia sulle tasche dei cittadini, sia sulla nostra già dissestata economia. Ciò è il risultato di una politica miope, senza prospettiva, che bada solo al momentaneo maggior prelievo fiscale, negando addirittura gli effetti inflazionistici che questa operazione produrrà.
Un altro aspetto da tenere in debita considerazione riguarda il cosiddetto rischio Europa, cioè la forte probabilità di non essere in regola con uno degli ormai famosi, o famigerati, parametri di Maastricht, quello relativo all'inflazione. Secondo noi, con questa operazione la previsione


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di inflazione per il 1998 è del 3 per cento contro un aumento stimato dal Governo dello 0,7 per cento. Se si dovesse avverare, come temiamo, la nostra previsione, ci accingeremmo ad entrare in Europa in modo irregolare, al contrario dei nostri partner, rendendo ancora più difficile la presenza italiana sullo scenario europeo, sollevando ulteriori dubbi e perplessità nei paesi dell'Unione europea, più di quanti già ve ne siano. Ed è paradossale che, dopo i numerosissimi sacrifici che il Governo ci ha imposto in nome dell'Europa e della moneta unica, proprio questo Governo operi in maniera tale da mettere in discussione o, addirittura, da compromettere l'entrata dell'Italia in Europa.
Nonostante le varie dichiarazioni di intenti e di buoni propositi, la motivazione di fondo di questa scelta è sempre e solo la ricerca di nuove entrate fiscali. Infatti, il Governo avrebbe avuto tutto il tempo necessario per recepire le direttive comunitarie o quanto meno avrebbe potuto richiedere un lasso di tempo maggiore per adeguarsi.
L'improvvisa e ingiustificata accelerazione dei tempi non fa altro che confermare ciò che andiamo dicendo da tempo, ossia che questo Governo non ha un piano programmatico, che vive alla giornata soddisfacendo ora questa, ora quella richiesta proveniente dalla eterogenea maggioranza che lo sostiene. Questa delle aliquote IVA ne è una ulteriore prova, e come al solito sarà il paese nella sua complessità a risentirne!
Ancora più paradossali sono le dichiarazioni del Governo che, tentando una impossibile linea di difesa, ha sostenuto che con questo provvedimento si è voluto tutelare i cittadini attraverso un controllo sui consumi di natura prioritaria. Ebbene, è stato chiaramente dimostrato che i settori più colpiti dal provvedimento sono quelli dell'abbigliamento, delle calzature, delle costruzioni, del turismo e dell'agricoltura, da sempre considerati di primaria importanza. Tra l'altro, capisaldi della nostra economia e in parte delle nostre esportazioni.
Allora, signori del Governo, i vestiti, le scarpe, l'abbigliamento, le costruzioni, il turismo, le produzioni agricole non sono più comparti prioritari? In ogni caso in questo, come in tanti altri, il problema di fondo rimane sempre il medesimo: affrontare la questione del risanamento della finanza pubblica con semplici palliativi, non attraverso una radicale riforma strutturale. Per tener fede agli impegni presi al cospetto europeo questo Governo non lesina tasse, gabelle e quant'altro, pur di presentarsi all'appuntamento con i nostri partner.
Quello che non si vuole capire è che con questi mezzucci, così come abbiamo fatto tanta fatica per entrare in Europa, con altrettanta rapidità ci verranno aperte le porte per farci uscire.
Che dire poi del modus operandi di questo Governo, che fin dall'inizio della legislatura ha operato alchimie amministrative ed artifici contabili, alterando i conti pubblici e le previsioni e producendo sostanzialmente dei falsi in bilancio? Dobbiamo anche registrare che il comportamento del Governo non si è limitato solo a questo, ma si è prepotentemente inserito in quelle che sono le peculiarità e le prerogative del Parlamento. Come interpretare diversamente l'utilizzo dello strumento della fiducia, che in circa un anno e mezzo è stata posta già quasi trenta volte? Questa prevaricazione è stata addirittura stigmatizzata nei giorni passati dal Presidente della Camera, il quale si è fatto interprete dei serissimi e fondati timori dell'opposizione di vedere scavalcate non solo le proprie prerogative di fare opposizione, ma di vedere colpita al cuore la stessa istituzione del Parlamento e con esso tutte le istituzioni democratiche.
Questa è la logica di chi, non riuscendo a prevalere con le proprie idee e con i propri programmi, cerca di prevalere prima con la forza dei numeri, poi, quando questi non sono più sufficienti, con chissà cos'altro. Un esempio classico e lampante è stata la farsa, la presa in giro della pseudocrisi di Governo dell'ottobre scorso.

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Il nostro è un impegno non soltanto contro la voracità di questo Governo, che non sa fare altro che imporre balzelli e gabelle, ma un impegno più ampio per la democrazia e la libertà che piano piano viene erosa, annullata. È questo forse il pericolo più grande del quale la maggioranza dei cittadini, speriamo, si cominci a rendere conto. Per questo combattiamo questa battaglia; per questo si oppongono strenuamente a queste nuove mistificazioni, inganni e rapine di Governo le compagini di forza Italia, di alleanza nazionale, del centro cristiano democratico e dei cristiani democratici uniti, i lavoratori veri, gli industriali e gli imprenditori veri, i cittadini la cui coscienza ed il cui dovere civico sono veri ed autentici.

PRESIDENTE. La ringrazio. L'onorevole Saraca ha rispettato i tempi con nove secondi in meno.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scarpa Bonazza Buora. Ne ha facoltà.

PAOLO SCARPA BONAZZA BUORA. Signor Presidente, dinanzi a questo provvedimento legislativo non vi era da parte del Governo la benché minima necessità di porre la fiducia. Tanto meno ne ricorreva il bisogno dinanzi ad una chiarissima direttiva comunitaria che, in tempi ragionevoli, poteva essere recepita per giungere finalmente ad una effettiva perequazione tra i paesi dell'Unione europea.
L'Italia nel passato si è sovente contraddistinta, specie in materia agricola, per essere l'ultima ad uniformarsi alle decisioni comunitarie. Ebbene, in questo caso, il Governo Prodi con scatto felino, con lo scatto dello sportivo che lo guida, non ha voluto mancare al compito storico di taglieggiare il contribuente che in una democrazia dovrebbe essere un cittadino, non un suddito, come sta diventando in Italia. Lo scatto del ciclista, il quale ogni giorno che passa ci pare assuma le caratteristiche del gregario all'interno del truppone - dico truppone, non trippone - ha condotto il suo esecutivo a porre ancora una volta (e non sarà certo l'ultima) la questione di fiducia, imbavagliando le opposizioni, limitandone il potere di controllo, la possibilità emendativa e permettendosi - il ciclista sorridente - oltre tutto di accusarci, di permetterci di disturbare il manovratore. Si è coperto di ridicolo, ma non viene affatto da ridere perché sono ogni giorno più chiari i segnali di una deriva autoritaria. Un Governo che fa bastonare gli agricoltori perché osano difendersi; un Governo che pretende di ridurre all'impotenza le opposizioni, accompagnato dal coro nauseante dei leccapiedi di regime, costituisce un pericolo per la democrazia e per la libertà.
Questo Governo tutt'altro che autorevole, ma sicuramente autoritario, si scaglia in questa circostanza non certo contro i consumi di lusso, ma contro i beni di prima necessità: tessili, abbigliamento, calzature - ripetiamolo - beni intermedi del comparto edilizio ed altro ancora, come il vino. Il bonaccione bolognese, che si è presentato alle elezioni per difendere i deboli, le categorie più bisognose - così diceva -, guarda caso usa la mannaia contro i prodotti di prima necessità. Dichiara tra un sospiro e un fiato, tipico di chi pesa le parole macerandosi, la ferma volontà del suo esecutivo di dare per l'appunto fiato all'edilizia. Poi fa esattamente il contrario, colpendo i prodotti intermedi del settore. Ma vada a fiatare dal suo confessore!
Il condottiero che dichiara di volerci portare in Europa, come se non lo fossimo già, magari truccando i conti pubblici, agisce in palese contraddizione non solo con le sue esauste enunciazioni, il che è assolutamente irrilevante, ma in contrasto anche con quanto avviene nel resto dell'Europa, in cui questa cosa rileva.
Lasciando perdere per un momento Prodi, che tra l'altro come sempre non è presente, come fa la maggioranza che lo sostiene, anche se con sempre minore convinzione e con esplosivi conflitti interni, a non capire, signor Presidente, che così facendo si deprime la domanda di settori strategici della nostra economia? Sono un parlamentare veneto, come


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l'amico Piva che mi ha preceduto poc'anzi, di una regione che con infinito spirito di sacrificio ha saputo costruire la sua economia con un sistema diffuso di imprese per lo più di medie, modeste o modestissime dimensioni che producono quanto oggi la sinistra colpisce. Come fate voi compagni del nord-est - è ora di cena, me ne rendo conto -, soldatini del sindaco filosofo Cacciari che in campagna elettorale dichiarava di volere soldatini tutti sull'attenti (e adesso li avrà) e che prima o poi vi fregherà tutti, dal primo all'ultimo, a non capire che state assestando colpi mortali al sistema economico della vostra regione? Lo capite certamente, ma scattate sull'attenti da bravi soldatini! Capite anche che il vostro improvvido operare aumenterà il malessere di un'area del paese che se ne infischia altamente delle pompose inaugurazioni di qualche lastricato comunale - come è avvenuto in campagna elettorale a Mestre -, ma vorrebbe una politica economica e finanziaria che non si metta di traverso allo sviluppo: meno Stato, meno tasse, meno burocrazia, più sviluppo e occupazione, più benessere per tutti.
Voi, cari compagni veneti, fate il contrario; vincete le amministrative e avete vinto le ultime politiche solo perché le forze politiche liberali non si sono presentate compatte. Ma oggi qui, come è stato detto da autorevolissimi colleghi, queste forze liberali autonomiste, sinceramente progressiste e popolari, sono unite. Quindi, non illudetevi: presto tornerete a pesare per quel terzo della popolazione che rappresentate, tra l'altro nel peggiore dei modi, io credo.
Colpite anche il settore vinicolo e non sapete che l'aumento dell'IVA sui vini e sui mosti al 20 per cento interviene in una fase estremamente delicata per il settore, che deve fare i conti con il progressivo calo dei consumi interni, con costi di produzione in crescita costante e con una sempre più accentuata concorrenza sul mercato da parte dei paesi produttori interni ed esterni all'Unione europea, i cui vini vantano prezzi largamente inferiori a quelli del prodotto italiano.
Tra gli argomenti che determinano la stoltezza della proposta del Governo, oltre all'evidente ripercussione che l'aumento dell'IVA avrebbe sul consumo, occorre considerare la palese, iniqua penalizzazione delle vendite di vino effettuate direttamente dalle aziende agricole produttrici - anche per l'effetto combinato delle recenti restrizioni del regime speciale IVA - aziende che si troverebbero a dover praticare un aumento secco dell'11 per cento sul proprio prezzo di vendita, pari alla differenza tra IVA agricola al 9 per cento e IVA normale al 20 per cento. Tale aumento è difficilmente assorbibile sia da parte dei consumatori, sia da parte del viticoltore, che ha già margini assai ridotti rispetto al vinificatore industriale o al commerciante.
Inoltre, verranno penalizzati i vini di qualità con prezzi più elevati, in patente contraddizione con l'interesse generale a favorire una politica di valorizzazione della qualità. Si darà poi un grande incentivo a non dichiarare tutto il vino prodotto e ad evadere l'IVA nelle vendite dirette al consumatore. Pensateci! Visco farebbe bene a considerare che non meno di 5 milioni di ettolitri di vino - poco meno di un quarto del consumo interno dichiarato - sfuggirebbero comunque all'aumento dell'IVA in quanto somministrati all'interno di pubblici esercizi e pertanto assoggettati all'aliquota del 10 per cento, con evidente sperequazione nei confronti delle somministrazioni effettuate presso le aziende agricole, finora assoggettate ad un'IVA del 9 per cento.
Infine, ai solerti fiscaioli sfugge che l'aggancio del vino all'aliquota più alta e la soppressione prossima dell'aliquota speciale agricola comportano per il settore il passaggio di fatto nell'area dei prodotti industriali, in totale contraddizione con la connotazione agricola del prodotto, ottenuto per oltre il 75 per cento in cantine agricole, singole ed associate il più delle volte in forma cooperativa, cari compagni della sinistra, voi che difendete o dite di difendere le cooperative.
Cari compagni, continuate a bastonare in tutti i sensi gli agricoltori (non voi

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personalmente, ma chi a voi risponde). Vi scandalizzate se questi non gradiscono ed esprimono il loro legittimo disappunto in varie forme. Oltre all'opposizione, evidentemente volete imbavagliare anche loro. State raccogliendo la tempesta del vento che avete seminato in questi mesi: truccate i conti - l'hanno detto tutti ormai -, raccontate frottole per quanto riguarda i dati dell'inflazione, che farete salire colpendo proprio i più deboli economicamente. Altro che 0,6 per cento! Quante volte l'abbiamo detto in questi giorni: sarà un più 3 per cento.
Andrete a colpire i più deboli, voi sedicenti progressisti imborghesiti, voi compagni di un niente, anzi compagni in sonno; state impoverendo i cittadini meno fortunati, bloccando lo sviluppo e disincentivando l'occupazione! Ho l'impressione che non vi rendiate nemmeno conto che la protesta degli agricoltori del nordest non è solo la protesta di agricoltori ed allevatori esasperati per una serie di norme che via via si sono fatte sempre più confuse, le quali hanno impedito loro di avere un quadro di riferimento certo in cui poter produrre, sviluppare le proprie aziende profondendovi capacità imprenditoriale, cercando tra l'altro di fare del miglioramento genetico, cose che non si fanno dall'oggi al domani, in poco tempo. Non è solamente questo, non è la disperazione e l'amarezza di una categoria ingiustamente colpita: è l'amarezza, la disperazione, la rabbia, un insieme di sentimenti i più diversi, ma i più veri, tra loro avvinti, di un intero popolo che non ne può più di voi, non ne può proprio più di voi, non ne può proprio più del principe Giovanni, dello sceriffo di Nottingham, che stanno mostrando la loro vera faccia. Non ne possiamo più di voi (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, della lega nord per l'indipendenza della Padania e del CCD)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bianchi Clerici. Ne ha facoltà.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori sottosegretari, l'altra notte in sede di dichiarazione di voto sugli ordini del giorno presentati dal mio gruppo, ho espresso come deputato e soprattutto come cittadino una preoccupazione riguardo al clima di intimidazione e di minaccia messo in opera nei confronti degli allevatori. Ho fatto presente che non è assolutamente normale che il Capo del Governo di un paese libero e civile minacci punizioni nei confronti di chi protesta, quasi che fosse una maestra inacidita di altri tempi. Ho ricordato che in questo paese in anni recenti molte volte i sindacati hanno indotto gli operai a bloccare autostrade e ferrovie, senza che nessuna mano armata di manganello si levasse a colpirli; tanto meno alcun uomo di Governo ha mai agitato lo spauracchio dell'azione violenta per fermare costoro che protestavano.
Questa volta, evidentemente, le cose sono cambiate: i lavoratori in protesta non sono operai ingabbiati dal sindacato, ma imprenditori liberi abituati a rischiare in proprio; anche il Governo in carica è cambiato ed è - guarda caso - un Governo di sinistra che per antonomasia dovrebbe avere a cuore i diritti e la pace sociale di tutti. Invece questo Governo di sinistra manda la polizia a picchiare i manifestanti, cuoche e bambini compresi; se fosse accaduto dieci o venti anni fa i deputati comunisti probabilmente avrebbero fatto saltare persino le tavolette dei seggi di quest'aula pur di difendere i lavoratori. Non questa volta; sommessamente si sono levate fioche voci di condanna. Vergognosamente il Governo non è neppure venuto a riferire al Parlamento.
Qualcuno in queste ore parla di regime. Sempre più cittadini preoccupati si chiedono e ci chiedono che cosa stia succedendo. Noi della lega siamo ben consapevoli del fatto che da tempo lo Stato usa in questi momenti le armi più illiberali per intimorire chi vuole cambiare le cose. Come chiamare altrimenti le perquisizioni notturne nelle abitazioni di persone oneste, a caccia di tessere di partito e di gadget colorati? Vorrei ricordare che, per esempio, nell'abitazione di


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una militante della mia città, di Gallarate, i carabinieri mandati a perquisire hanno addirittura aperto i surgelatori, controllando ed aprendo le scatole di piselli e spinaci perché sono di colore verde.
A questo clima di illiberalità si accompagna però una sostanziale conservazione delle vecchie abitudini. Come i predecessori, anche il Governo dell'Ulivo si muove per inasprire la tassazione su chi produce ricchezza, invece di tagliare i rami secchi della spesa; si creano fasulle speranze di lavoro per i disoccupati cronici del meridione e si sostiene la grande impresa, penalizzando il vero tessuto produttivo del paese (artigianato, commercio, piccola imprenditoria). Come sempre da decenni a questa parte, si taglia su sanità e scuola, promettendo in cambio innovazioni che sembrano da capogiro, ma in realtà sono inattuabili nel concreto per mancanza della necessaria, anzi indispensabile disponibilità di risorse economiche da parte delle singole istituzioni, che siano ospedali o scuole.
Si dice di voler delegificare e rendere comprensibili le leggi stesse per i comuni mortali e poi si assiste a capolavori di prosa legislativa, come quelli che troviamo nel decreto in discussione oggi. Vorrei citare a questo proposito, a beneficio soprattutto di chi per caso sta ascoltando Radio radicale, l'articolo 4 del decreto in oggetto che reca il titolo «Trattamento tributario delle plusvalenze sulle cessioni di partecipazioni». Recita il comma 1: «Il comma 3 dell'articolo 3 del decreto-legge 28 gennaio 1991, n.27, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1991, n.102, è sostituito dal seguente: '3. Nel caso di opzione di cui al comma 1 l'imposta sostitutiva si applica nella misura del 15 per cento sulla plusvalenza risultante dalla applicazione della percentuale del 14 per cento sul corrispettivo pattuito'.» Prosegue il comma 2: «La lettera c) del comma 1 dell'articolo 81 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917, è sostituita dalla seguente: 'c) le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali nonché di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni, qualora le partecipazioni, i diritti o i titoli ceduti rappresentino, complessivamente, una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 2, al 5 o al 10 per cento, secondo che si tratti di azioni negoziate in mercati regolamentati, altre azioni o di partecipazioni non azionarie.» - francamente non ho ancora trovato un verbo - «Per i diritti o titoli» - francamente, fino a questo punto credo di non aver trovato nemmeno un verbo! - «attraverso cui possono esser acquisite partecipazioni si tiene conto delle percentuali potenzialmente ricollegabili alle predette partecipazioni. La percentuale di partecipazione è determinata tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi: si considerano cedute per prime le partecipazioni, i diritti o i titoli acquisiti in data più recente. Sono escluse le partecipazioni, i diritti o i titoli acquisiti per successioni;».
Questo che ho appena letto, Presidente, è il testo dell'articolo 4 del decreto-legge in discussione. Mi chiedo quale cittadino normale, anche se laureato, possa capire una formulazione di questo tipo, alla faccia della necessità, proclamata da molti, in quest'aula e fuori di essa, di semplificare la prosa legislativa!

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE (ore 21,10)

GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Non mi pare che fino a questo momento il Governo e la maggioranza abbiano fatto grandi passi in avanti. I grandi temi del sociale sono rimasti nel cassetto o non vengono discussi. Penso, ad esempio, alle attese soluzioni legislative per i grandi orrori che scuotono le coscienze delle persone perbene; mi riferisco, in particolare, agli abusi sui bambini, allo sfruttamento dei minori extra comunitari ed ai figli degli zingari, mandati a mendicare da soli per strada, come tutti sappiamo,


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senza che si possa intervenire. Penso anche all'atteggiamento ambivalente dello Stato, debole con i sequestratori ma severo ed inflessibile con le famiglie dei sequestrati, come accade anche in queste ore.
I giornali di oggi dedicano grande risalto al decreto del ministro Berlinguer, che anticipa in via sperimentale l'introduzione della cosiddetta autonomia prevista dalla legge Bassanini. Non si fa però sufficientemente capire ai cittadini che questa benedetta autonomia sarà gravata da vincoli onerosi imposti dal Ministero stesso, per esempio sul ridimensionamento numerico degli istituti, tema delicatissimo perché impone una drastica riduzione del numero degli insegnanti accanto a tagli severi alle sezioni ed all'accrescimento del numero degli alunni per classe, nonostante nella finanziaria in discussione in questi giorni sia scritto a chiare lettere, nel rispetto di un emendamento delle opposizioni recepito nella precedente finanziaria, che il numero degli alunni dovrà progressivamente diminuire, visto che ormai abbiamo classi di 32-35 ragazzi.
Resta il fatto che anche la finanziaria per il 1998 prevede di tagliare i fondi alla scuola, con un utilizzo soltanto parziale delle risorse risparmiate per l'innovazione dell'istruzione pubblica. Siamo d'accordo: niente di nuovo sotto il sole! Tutti i Governi hanno fatto queste cose. Ma perché, allora, l'Ulivo ha dichiarato nel programma elettorale di volere il rilancio del sistema scolastico, se poi si comporta come i Governi che lo hanno preceduto? Tagli, tagli e ancora tagli, quasi che l'educazione dei bambini e dei ragazzi non sia uno dei doveri massimi di ogni paese!
A proposito dell'arroganza del Governo, non posso non ricordare l'iter pasticciato ed inconcludente che ha caratterizzato il provvedimento avente ad oggetto la riforma degli esami di maturità, approvato dal Senato. Si era cercato di costringere la Camera ad approvarlo in pochissimi giorni; di fatto, grazie all'ostruzionismo della lega nord - e solo della lega nord - quel provvedimento è rimasto bloccato per due settimane alla Camera. È poi ritornato al Senato e, fortunatamente, non è stato ancora approvato perché evidentemente ci si è resi conto che vi erano difficoltà.
Non mi pare, quindi...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bianchi Clerici (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania, di forza Italia e di alleanza nazionale).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Becchetti. Ne ha facoltà.

PAOLO BECCHETTI. Signor Presidente, molti colleghi, le cui opinioni condivido totalmente, hanno chiarito in maniera esemplare le ragioni dell'azione politica che Polo e lega stanno, insieme, portando avanti in questi giorni. Si tratta di un'opposizione forte, ferma, compatta e decisa e sono certo che così sarà anche nei prossimi mesi. Vista l'azione politica di questo Governo, infatti, credo che ve ne sarà davvero bisogno.
Il Governo è in questo momento rappresentato in quest'aula da due gentiluomini di sottosegretari, un bel fisico come Mattioli ed un allampanato Bordon, nonché da un dottor Stranamore qual è il ministro Berlinguer, i quali sanno di IVA come io so di sanscrito e di filologia romanza. Questo Governo, sostanzialmente, è un soviet, un Governo policromo che vorrebbe ridurre questo Parlamento, arrogante don Giovanni, ad un convitato di pietra che si lascia uccidere e rimane qui ad ascoltare.
In sostanza, si tratta non di un ostruzionismo, di un filibustering ma di un'opposizione leale condotta da chi, come noi, rappresenta la maggioranza reale del paese. Il Corriere della sera di oggi titolava: «Ostruzionismo: il centro-sinistra va in trincea». Ma quale trincea: vi hanno messo di turno a fare i secondini, cari colleghi! Altro che trincea!
Comunque, le chiacchere stanno a zero. Questo decreto in materia di IVA


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accorpata sugli sportivi professionisti, sul raddoppio della tassazione forfettaria del capital gain (collega Martinelli, è questo che vuol dire quel lungo giro di parole!), sull'incasso anticipato di imposte sulle assicurazioni, comporta aumenti di tasse di 1.500 miliardi negli ultimi due mesi del 1997, 5.725 miliardi nel 1998, 5.800 nel 1999, 6.032 nel 2000: una «botta» da 18 mila miliardi!
Nel DPEF era prevista una serie di interventi di revisione migliorativa dei conti pensionistici per 9.000 miliardi. Rifondazione comunista ha imposto la riduzione a 2.750 miliardi. Dicono Prodi e Ciampi: «All'orto mio mancano 6.250 cucuzze». E perché 6.250 cucuzze? E perché no (si chiedeva in un gioco di bambini)? Tutto il cucuzzaro! E così il Governo, con l'IVA, recupera i 6.000 miliardi del buco di bilancio, tassando cucuzze, zucche, tuberi allo stato di riposo vegetativo (forse si allude al ministro Pinto), che, con altri prodotti (il vino, le scarpe, le canottiere, le mutande: sì, anche le mutande!), quelle cose che servono alla gente comune per vivere e che a Natale, con questo salasso, stenteranno a comprare...
Con questa tassa si bastona ancora una volta non solo la classe lavoratrice che consuma ma anche quella che produce e commercia, quel ceto medio che questo Governo non considera essere il proprio elettorato: la lotta di classe in versione anni 2000! Questo decreto, che il Governo Prodi spaccia ancora una volta per provvedimento indispensabile per entrare in Europa - anzi, sarebbe la fiducia una necessità per entrare in Europa - si combina con la tassa per l'Europa. Qualcuno di voi ricorderà il film di Fantozzi nel quale il protagonista chiede ad Excalibur la spada per vincere il torneo, dà dei soldi e la spada non dà il resto, anzi gli fa il verso dell'ombrello. Ci vorrebbe Veltroni, noto esperto di cinema, per ricordare questo brano divertente.
L'IRAP, le altre norme fiscali introdotte con lo strumento delle deleghe, il documento di programmazione economica e finanziaria, che si è rivelato un coacerbo di promesse da marinaio e di bugie alla Pinocchio, senza offesa per Pinocchio, il piano di convergenza con l'Europa rinnegato per compiacere Bertinotti, le operazioni sull'oro dell'ufficio italiano cambi, acquistato da Bankitalia e, quindi, salassato con tasse finte (sostanzialmente, si è trattato di un esproprio di denaro a carico di Bankitalia). A ciò si aggiungano 43 mila miliardi di spese spostate. Ancora un'altra citazione dedicata a Veltroni: chi di voi non ricorda nel film dedicato al marchese del Grillo il falegname Aronne al quale il marchese diceva: «Non ti pago» e, richiesto di fornire una spiegazione, replicava: «Perché io sono io e tu non sei niente».
Ancora, un disavanzo di 138 mila miliardi previsto nel DPEF già manovrato per 100 mila miliardi e, dunque, da coprire per soli 38 mila miliardi, mentre le manovre fatte ed in fieri si avvicinano a 80 mila miliardi; le pessime privatizzazioni, le finte privatizzazioni, quelle della Telecom e della Banca d'Italia, che hanno avuto un contenuto espropriativo rispetto ai cittadini e, nel realizzare le quali, lo Stato si è comportato e si comporta come un truffatore, come il Dulcamara dell'Elisir d'amore. Penso, ancora, ai monopoli che non si abbattono, quelli dell'ENEL, quelli dei porti, ai ritardi nelle nomine dell'antitrust, dovuti al fatto che non tornano i conti della spartizione di quella che dovrebbe essere una carica di autorità indipendente. Mi riferisco, inoltre, ai trasporti e alle ferrovie in coma, alle bacchettate continue della Commissione europea sui ritardi nelle telecomunicazioni, alle violazioni e agli inadempimenti al trattato, questioni che ci attribuiscono il triste titolo incontrastato di «imbroglioni di Europa». L'elogio della concertazione, che non è altro che il tavolo dei ladri di Pisa, visto che chi rappresenta - e li rappresenta anche male - due o tre milioni di persone insieme al Governo e alla grande Confindustria, pretende di rappresentare gli interessi anche di altri venti milioni di persone che lavorano, altri lavoratori che sono tra l'altro anche gli autodatori di lavoro, come gli artigiani e i commercianti, e che non vanno in

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piazza. Ma, attenzione, ce li riporteremo un'altra volta! E vi accorgerete che esistono e che esistiamo!
Insomma questo è un Governo statalista, invasivo, che introduce nel collegato alla finanziaria una norma come l'articolo 30 del collegato, con la quale il ministro dell'interno potrà, per scovare la corruzione nella pubblica amministrazione, avvalersi della Guardia di finanza e dei carabinieri senza il filtro del magistrato. Questo è stato denunciato prima di me dal collega Orlando, che prima era qui, su l'Unità. Una vera vergogna! Chissà che uso se ne farà!
È un Governo che tampina i carabinieri, e già ieri con gli agricoltori ci ha anticipato cosa intende per coordinamento delle forze di polizia. Queste sono legnate vere che integrano le legnate fiscali! Questo che è un Governo tutto Stato, più tasse, meno mercato! Il Governo dei conti truccati, dei debiti nascosti, della povertà dei poveri, della disoccupazione, dello sviluppo zero, della libertà surgelata!
E allora grazie, grazie di cuore a chi ci ha compattato nell'azione di forte opposizione di questi giorni. Grazie al capogruppo del PDS, grazie davvero onorevole «Mussa», grazie alla faccia da cara, cara mussa; e ciò non per alterare i nomi alla Totò, ma in onore del Presidente che ha tenuto l'aula fino a poco fa, il presidente di turno Biondi, genovese di grana fine, lui mi capisce! Intelligenti pauca! Intelligenti! Sentirai la botta se non sei sordo, dice il merlo al tordo! E Prodi non è tordo ma è sordo!
Grazie infine a chi è scappato da quest'aula, scappato con il bottino dei voti del Polo, per portarli dall'altra parte! La morte, dice Heine in una bellissima poesia, non separa a lungo: è come la rosa che scavalca il muro del giardino e va a sfiorire nell'altro lato! Questa sarà la fine di tutti quelli che hanno portato i voti del Polo e li hanno portati nell'Ulivo! Questa fine faranno, quella già preconizzata da Heine!
Ecco, queste sono tutte le buone, valide ragioni per cui voteremo contro questo provvedimento, che è la goccia che fa colmare il vaso...
Ho capito, venti secondi!

PRESIDENTE. Due minuti. Era un'interlocuzione con l'onorevole Leone.

PAOLO BECCHETTI. Due, indicato in quel modo, vuol dire andare al bagno...

PRESIDENTE. Non posso allontanarmi, quindi per me...

PAOLO BECCHETTI. A proposito, Presidente, forse sarà il caso di avvertire i commessi che c'è un bagno rotto, che perde acqua...

PRESIDENTE. È una delle più utili informazioni che in questa serata sono qui fornite. Grazie.

PAOLO BECCHETTI. Questo, signor Presidente, è un modo per boicottare l'opposizione, perché perde acqua il bagno dell'opposizione! Magari di là i bagni saranno in buone condizioni!
Uscendo dalla celia, dopo queste giornate così pesanti per tutti, certamente anche per la Presidenza, così come per molti colleghi dell'opposizione che sono stati messi qui a fare - dicevo prima - da secondini, noi vi stiamo spiegando da due giorni e due notti le ragioni per le quali voteremo contro questo provvedimento sull'IVA, che non è altro che il momento terminale di questa lunga scalata di imbrogli, di trucchi, di quegli atteggiamenti e quegli accorgimenti attraverso i quali il Governo dell'Ulivo non sta certamente facendo una politica nell'interesse del paese. Finge di fare una politica nell'interesse del paese, ma in realtà si tratta di una politica tutta tesa a conservare questa maggioranza, che prima ho definito policroma, una maggioranza che si tiene in piedi così, con la colla leggera, e che non riuscirà ad andare avanti se la tipologia dei provvedimenti che intende proporre per migliorare le condizioni economiche


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del nostro paese saranno quelle che sono rappresentate in questo decreto sull'IVA.
Questo decreto tra l'altro contiene una cosa estremamente ridicola, quella cioè di consolidare per il 1997 e per il 1998 la tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani anche sulle aree annesse, una tassa che è così improvvida nei confronti di quegli artigiani, di quei piccoli imprenditori che utilizzano il capannone con l'area annessa e che a volte si vedono costretti a pagare imposte ai comuni dell'ordine di miliardi. Segnalo in proposito che il Governo ha tagliato recentemente i trasferimenti agli enti locali e, ciò nonostante, l'indebitamento degli enti locali è salito di 3 mila miliardi: sono dati a disposizione di tutti.
Ecco, per queste ragioni voteremo contro il provvedimento sull'IVA. Per queste ragioni (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Becchetti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Saponara. Ne ha facoltà.

MICHELE SAPONARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, nel precedente intervento avevo espresso la preoccupazione che l'opinione pubblica non fosse pienamente consapevole della gravità del momento politico che stiamo vivendo e della gravità della vicenda particolare conseguente all'ennesimo ricorso al voto di fiducia. E ciò attesa la disattenzione della stampa nei confronti dei lavori parlamentari. Peraltro, quando la stampa si è interessata di questa vicenda e dell'ostruzionismo che stiamo attuando, lo ha fatto minimizzandolo, irridendo alla nostra posizione, quasi che noi stessimo qui solo per perdere tempo, e soffermandosi soprattutto sui particolari goliardici e pittoreschi conseguenti ad ogni seduta fiume, specialmente quando queste sedute proseguono durante la nottata.
In compenso è stato dato grande rilievo al pensiero dell'onorevole D'Alema, quando dice con toni didattici che così non si fa opposizione e che l'ostruzionismo non è il sistema giusto, e quando ironizza, criminalizzandola, sulla circostanza che questa volta l'opposizione viene fatta sia dal Polo per le libertà sia dagli amici della lega. È preoccupato, D'Alema, ironizza, criminalizza, dimenticando quando corteggiava Bossi, quando lo ha allontanato dal Polo per le libertà, quando ha fatto cadere il Governo Berlusconi per servirsi di Bossi per il Governo Dini che è stato il prodromo dell'attuale Governo. Il ministro Bersani dice che, se queste sono le prime prove di un nuovo modo di fare l'opposizione dopo i risultati elettorali, mi pare che siano prove abbastanza inefficaci.
Ritorno per un attimo all'onorevole D'Alema, il quale evidentemente non ricorda, forse perché troppo giovane o perché lo ha rimosso, i feroci ostruzionismi praticati dal partito comunista italiano, di cui egli è legittimo erede, in occasione della discussione della cosiddetta legge truffa e del Patto atlantico; e forse dimentica, o anche questa volta ha rimosso, che il Presidente del Senato, senatore Meuccio Ruini, che tentava di dirigere i lavori dell'Assemblea nel modo più corretto possibile, fu aggredito dai comunisti che brandirono addirittura le tavolette dei banchi. Ai nostri Presidenti non si è mancato in alcun momento e in alcun modo di rispetto: questo lo dimenticano gli amici della maggioranza.
Ebbene, noi vogliamo far sapere al paese perché abbiamo fatto ostruzionismo: perché questo è l'unico modo per far sentire la nostra voce. Lo facciamo anche a difesa della democrazia, perché il Governo all'ultimo momento presenta un decreto blindato ed impedisce all'opposizione di svolgere il proprio ruolo, che è quello di controllare, di migliorare le leggi, di concorrere alla formazione di leggi che soddisfino le esigenze di tutti i cittadini. Hanno così impedito l'esame degli emendamenti, emendamenti che erano migliorativi.
Non c'era quindi alcun bisogno di ricorrere alla fiducia, in quanto la lega


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aveva ritirato la maggior parte dei suoi emendamenti e i lavori procedevano a tambur battente. Dunque, si sarebbe arrivati all'esame, alla discussione, alla conversione del decreto, con i miglioramenti che l'opposizione avrebbe sicuramente apportato nei tempi stabiliti e, forse, prima ancora di oggi e di domani. Poi, sono stati presentati degli ordini del giorno che rappresentavano, senza dubbio, dei suggerimenti per il Governo, ma anch'essi non sono stati accolti perché gli ordini del giorno sono stati bocciati.
Perché noi siamo contrari alla conversione del decreto sull'IVA? Come hanno esaurientemente spiegato tutti i colleghi che mi hanno preceduto, questo provvedimento in effetti si rivela come uno strumento di oppressione fiscale che colpisce duramente i ceti produttivi e, in particolare, i lavoratori autonomi, gli artigiani, i professionisti, i viticoltori, l'edilizia. Non voglio stare qui ad enumerare tutti coloro che vengono colpiti da questa imposta, ma, certamente, sono tutti coloro che non appartengono alle grandi imprese, alle grandi aziende; non appartengono ai ceti ricchi ma, soprattutto, ai ceti medi. Ho letto, in questi giorni, di imprenditori che sono andati in Cina al seguito del ministro Dini e del ministro Fantozzi: certamente, questi aggravi fiscali, questa oppressione fiscale, scoraggeranno gli imprenditori italiani dall'investire in Italia e li consiglieranno di guardare con maggiori speranze ai mercati esteri.
Anche gli agricoltori sono colpiti, carissimi colleghi. È sotto gli occhi di tutti la vicenda delle quote latte e l'insensibilità del Governo che, finora, non ha saputo risolvere il problema con equità ed ha consentito che un popolo tranquillo, un popolo mite - come diceva il collega Piva - venisse costretto a ricorrere a dei mezzi che sono certamente deprecabili ma che, però, sono giustificabili dall'insensibilità con cui il Governo ha affrontato questo problema.

PRESIDENTE. Ha ancora due minuti a sua disposizione, onorevole Saponara.

MICHELE SAPONARA. Allora, rispondo per un attimo al ministro Bersani. No, non è inefficace questa prova, come da lui previsto o sperato; l'efficacia è sotto gli occhi di tutti, onorevoli colleghi, e l'opinione pubblica, quella accorta, quella che appartiene a chi lavora e a chi produce, ci ha dato grande conforto. Il Presidente della Camera ha lanciato un monito severo ed autorevole alla maggioranza, e la maggioranza è disorientata e ha cumulato il disorientamento e l'arroganza pensando, addirittura, di andare sull'Aventino del cinema Capranica. Poi, ha desistito da questo goffo e scomposto proposito. Ebbene, noi siamo sicuri, cari colleghi, che questa lezione - perché di lezione si tratta - vi servirà; siamo convinti che l'apprezzerete e che capirete che c'è un'opposizione seria e vitale che vi farà bene, perché un'opposizione seria è essenziale ad una democrazia sana (Applausi dei deputati del gruppi di forza Italia e della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paroli. Ne ha facoltà.

ADRIANO PAROLI. Signor Presidente, colleghi, dopo tre giorni di parole ad una maggioranza sorda per spiegare le nostre ragioni ed il perché ci opponiamo a questo provvedimento, credo che esse riescano a spiegare le nostre ragioni non solo in quest'aula ma anche a tutti gli italiani, considerato, oltre tutto, che è con grande facilità che si ravvedono le negatività di questo provvedimento, la stessa facilità con cui è poi ovvio dichiarare il nostro voto contrario a un provvedimento che più viene conosciuto approfonditamente più sconcerta, stante la mancanza di fondamento che dimostra in modo veramente palese. Certo, ce ne possiamo fare anche una ragione: si può dire che questa è una costante dei provvedimenti economico-finanziari di questa maggioranza e che ormai dovremmo essere abituati a tutto ciò; dovremmo ormai essere abituati ai disastri di questo Governo,


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ed è forse insensata la nostra ostinazione che ci porta a protestare e a ripetere in continuazione la nostra contrarietà, che ci porta ad affermare con forza che non avrete mai la nostra rassegnazione, come non avrete mai la rassegnazione di milioni di italiani ai quali state cercando, in tutti i modi, di togliere la speranza. Infatti, sembra proprio essere questo il vostro obiettivo, cioè quello di togliere agli italiani la speranza di potersi costruire un futuro su misura, comunque scelto, non imposto. L'Ulivo, questa maggioranza, questo Governo, dopo aver annacquato, appiattito i valori tradizionali degli italiani, il patrimonio culturale dei valori del popolo italiano, oggi cercano di togliere la speranza, la capacità di sperare. Sì, perché la capacità di sperare è strettamente legata alla possibilità concreta di costruire, di gestire in proprio, di poter appartenere alla propria storia, di poter costruire la propria storia. Di questo ha bisogno un popolo.
Ma forse sono cose che non potete capire, che sicuramente non volete capire. Non può capire questo chi cerca, in tutti i modi, di rendere impossibile nei fatti l'iniziativa privata. Abbiamo dovuto sentire, in questi giorni, commentatori politici a difesa delle nuove aliquote IVA. Li abbiamo sentiti dire: «Cosa volete che siano pochi punti in più a queste aliquote IVA? Cosa pensate che cambi?». Signor Presidente, quanta distanza dalla realtà, quanta distanza dalla gente che lavora, quanta distanza dai problemi della gente comune! Non si è ancora reso conto il Governo, purtroppo, che queste scelte le pagheranno proprio le famiglie. Tante parole spese, spese per la difesa dei deboli, per la lotta alla disoccupazione, per il rilancio dell'economia, ma altrettanti fatti contro le classi più deboli, a favore della disoccupazione, e contro una libera economia.
Questo decreto, che null'altro è che un inasprimento delle aliquote IVA, dice agli italiani molto di più di quanto in esso è contenuto: dice il disprezzo che questa maggioranza nutre nei confronti delle piccole e medie imprese italiane; dà il segnale di quale sarà la linea di risanamento economico di questa maggioranza: tasse, tasse, tasse! Nessuna speranza per chi è disoccupato, nessuna speranza per chi lavora, nessuna speranza per chi tiene famiglia, nessuna possibilità di miglioramento dei conti pubblici. Questo è chiaro a tutti.
Si è rinunciato a contenere la spesa pubblica privilegiando quegli artifici contabili che salvano sì questo Governo, ma non salveranno certo il paese.
Vede, signor Presidente, differentemente da quanto la maggioranza cerca di far credere agli italiani, mentendo, a noi sta a cuore il problema di tutti coloro che, con uno stipendio fisso che non cresce mai, si alzano alle cinque del mattino per andare a lavorare e faticano, ma faticano ancor di più a tirare avanti, perché la famiglia, i figli costano e voi aumentate le tasse, aumentate l'IVA! Questo è il problema che vive l'operaio della mia città, l'operaio di Brescia, al quale non interessa nulla delle 35 ore; è un altro il problema.
A noi stanno a cuore coloro che rischiano quello che hanno in una piccola impresa, dando lavoro: voi ne state chiedendo la resa. A noi stanno a cuore le sorti future di quei ragazzini che hanno seguito le nostre sedute in questi giorni, senza rendersi conto che stavano assistendo a qualcosa che segnerà il loro futuro, ad una politica - quella della maggioranza e del Governo - che lascerà a loro la patata bollente del debito pubblico e la disoccupazione che ci si ostina a non combattere ed in alcuni casi, purtroppo, ad agevolare.
È triste tutto questo, signor Presidente, come è triste la realtà dell'Ulivo. Noi abbiamo fatto del nostro meglio per migliorare questa realtà, prima con emendamenti - niente da fare -, poi con gli ordini del giorno - risposta negativa -, ma la maggioranza non dice di no a noi; questa maggioranza dice di no ai bisogni dell'agricoltura, dell'edilizia, del paese! Vince l'ottusità e l'impermeabilità di questo Governo, perde il paese, perdono i cittadini. Ed allora è per queste semplici, chiare ragioni, evidenti a tutti, che stiamo

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combattendo questa battaglia, non per la nostra dignità ma per la dignità degli italiani. Non possiamo che essere contrari alla conversione di questo decreto, perché costerà migliaia e migliaia di posti di lavoro in meno, costerà centinaia di trasferimenti all'estero di realtà produttive italiane, che potevano rimanere in Italia se solo avessero trovato un'accoglienza un po' più umana ma ormai sono messe nell'impossibilità di operare, temo volontariamente (faccio fatica a vedere quella buona fede che alcuni riconoscono a questa maggioranza, ma che presto verrà svelata non esservi).
A noi, dopo gli sforzi profusi ed il tentativo di metterci a tacere con l'ennesima e quanto mai intempestiva fiducia, non resta che rendere pubblico e visibile il nostro disagio e far emergere con la dovuta veemenza la nostra protesta, per confermare i nostri principi e dire al paese ciò che pensiamo, guarda caso interpretando quella che è la volontà della maggioranza degli italiani. Il nostro voto contrario rende giustizia a loro e vuole essere una censura decisa, convinta a quel ministro delle finanze...(Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Paroli.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vascon.Ne ha facoltà.

LUIGINO VASCON. Signor Presidente, approfitto anch'io dell'autorevole occasione e possibilità di divulgazione, anche grazie a Radio radicale, mezzo di democratica e libera informazione, che peraltro qualcuno vorrebbe imbavagliare (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania, di forza Italia e del CCD). Voglio esprimere e portare la mia massima solidarietà, nonché disponibilità di parlamentare, ai lavoratori della terra, in particolar modo ai produttori di latte, meglio conosciuti come COBAS. Essi, ormai da settimane, pacificamente, ma comunque in maniera determinata, espongono il loro disagio nei confronti di un Governo che ha distribuito multe in gran quantità; queste multe sono tali da determinare la distruzione di una azienda, nella quale si trovano riuniti fatiche, sudori, sacrifici di generazioni e generazioni. Si tratta di lavoratori che non conoscono né sabato, né tantomeno domenica: le mucche producono latte sia a Pasqua sia nei giorni delle festività natalizie.
Per tutta risposta alle loro legittime istanze, questo Governo invia nutriti contingenti di polizia in tenuta antisommossa, i quali, rispondendo a chissà quali ordini, comunque impartiti dall'alto, proprio ieri, 27 novembre, a Vancimuglio, in provincia di Vicenza (località sita nel mio collegio elettorale), con comportamenti di discutibilissima natura, hanno dato più volte la carica a dei manifestanti inermi; al riguardo vi è un'ampia documentazione che purtroppo noi tutti oggi abbiamo visto. Di fatto, comunque, avrei voluto vedere se al posto degli agricoltori, di questi lavoratori autonomi e indipendenti, vi fossero invece state le tute blu, magari con davanti qualche bella, sfarzosa bandiera della CGIL, o di qualche altra associazione sindacale; avrei voluto vedere se la polizia avrebbe agito con tanta veemenza e determinazione, tali addirittura da sollevare qualche dubbio sul comportamento di qualche agente che a mio personale avviso, signor Presidente, vi ha messo del suo e sicuramente ha ecceduto nello zelo.
Veniamo però all'argomento che stiamo dibattendo in questa sede, l'IVA, senza dimenticare che il tempo per questi fatti è galantuomo e ripaga a sua volta con ciò che è stato pagato. Ancora una volta ci troviamo a dover esaminare in quest'aula un provvedimento che si vuol far passare come la chiave di volta, il toccasana, il rimedio per l'armonizzazione delle aliquote IVA in ambito comunitario. La realtà, in effetti, non è proprio così; anzi, il provvedimento mira a modificare le aliquote IVA, incrementando così le entrate già a partire dal 1 ottobre 1997. Spontanea, quindi, nasce la domanda che ci poniamo: perché questo decreto, peraltro


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collegato alla manovra finanziaria per il 1998, esplica tutti i suoi effetti già a partire dal 1 ottobre 1997?
Sappiamo tutti bene che con tale provvedimento si tenta di sanare una situazione che comunque capitolerà alla fine dell'anno, quando alla conta mancheranno 6 mila miliardi di entrate. È noto che per il 1997 vi è già stato un intervento per mille miliardi (per la verità, come risulta dalla relazione tecnica, sono 1.459 miliardi); vi sono poi altri 1.100 miliardi previsti dall'articolo 3: la somma dà quindi una cifra di 2.259 miliardi, il tutto ovviamente per andare a sistemare precedenti situazioni, visto che manovre di ogni genere e sorta non sono mai state in grado di sistemare alcunché. Questi elementi, ma anche le dimensioni degli errori nelle previsioni sugli interventi normativi, fanno emergere e capire quali sono le responsabilità, ovviamente in relazione al collegamento che viene proposto e a tutte le precedenti manovre finanziarie. Anche questa misura rientra nel programma delle cosiddette armonizzazioni europee, ma guarda caso aggiunge un aggravio alla ormai quasi insostenibile pressione fiscale a cui dovranno comunque - come già in precedenza - rispondere le famiglie e gli operatori economici, compresi quelli dell'indotto produttivo.
Per quanto riguarda l'articolo 1, va rilevato in particolar modo l'aumento delle aliquote dal 16 al 20 per cento per abbigliamento, calzature, materie prime, componenti semilavorati per l'edilizia. Il comparto dell'edilizia ha un'immenso indotto collegato: proviamo per un attimo a pensare in cosa consista questo mondo produttivo, quante cose servano per completarlo. Si tratta di un'infinita miriade di attività collegate, trainate dal settore principale.
D'altra parte, è ridotta di sei punti percentuali l'aliquota per cose ritenute dal Governo più importanti: bulbi, tuberi, radici tuberose. Una serie infinita di cose che non hanno alcuna importanza per i consumi delle famiglie.
A nulla vale affermare che l'aumento delle aliquote sull'abbigliamento è compensato dalla concessione di contributi per il settore del commercio, come previsto dalla finanziaria, in quanto totalmente diversi e lontani sono gli obiettivi. L'aumento delle aliquote porta in realtà ad una riduzione del volume degli affari ed andrà ad alimentare la grande recessione, peraltro già in atto anche se camuffata da altri dati volutamente artefatti dal Governo.
Il danno investe ovviamente tutti gli operatori. Soprattutto, va evidenziato l'aggravio della spesa in seno alle famiglie: per i beni fondamentali ed essenziali (come l'abbigliamento e le calzature) i costi aumentano del 4 per cento. Concedere contributi a favore dei commercianti crea di certo migliorie per la categoria, ma comunque non garantisce benefici alla generalità dei consumatori i quali vengono inseriti e conglobati in un unico livello, mentre di fatto la differenza di strato sociale li fraziona in diverse categorie differenti fondamentalmente per la loro disponibilità all'acquisto.
Fino ad oggi i beni a cui è stata applicata l'aliquota del 16 per cento hanno beneficiato di questa condizione fiscale in funzione della transitorietà, la cui forma avrebbe potuto sicuramente essere adeguata anche nel 1998 (l'anno in cui è richiesta l'armonizzazione da parte dell'Unione europea). Accordi per spostare la cosiddetta aliquota ordinaria avrebbero potuto essere realizzati proprio in sede di Unione europea. In sostanza non ritengo che queste scelte siano state positive per la nostra economia. L'aumento dell'inflazione determinato dal provvedimento non è stato minimamente preso in considerazione ai fini di alcun intervento sostanziale. Quindi sappiamo benissimo che i relativi costi saranno scaricati sulle categorie di basso reddito, su cui l'aggravio dei prezzi dell'abbigliamento peserà molto di più; si tratta di beni di consumo indispensabili in un nucleo familiare, soprattutto in quelli nei quali il bilancio mensile non è dei più rosei. Salse e zuppe particolari e costose, ampiamente reclamizzate, entrano in queste case solamente attraverso lo schermo televisivo; dalla

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porta entrano invece i beni di prima necessità, come scarpe e vestiario, generi che a causa dell'aumento finiranno per essere consumati da queste famiglie sempre di meno.
Automaticamente lo stesso indotto - sia di produzione sia di commercializzazione - subirà gravi e negative ripercussioni. Il comparto soffre ed arranca già da tempo, poiché deve confrontarsi con la concorrenza produttiva estera. Quindi con le sue scelte il Governo contribuirà all'affossamento dell' indotto.
Vengono registrate differenze tra i vari settori, distinzioni incomprensibili considerata l'importanza ...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Vascon (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rivolta. Ne ha facoltà.

DARIO RIVOLTA. Alcuni colleghi si sono indignati, altri si sono stupiti perché il Governo ha inteso porre la questione di fiducia sul decreto IVA. Personalmente non mi sono né indignato né stupito: trovo normale e legittimo, se non addirittura doveroso (magari di cattivo gusto), che il Governo ponga la fiducia su un provvedimento che si occupa di questa materia.
In realtà quello che si è votato non è la determinazione dell'una o l'altra aliquota su un certo prodotto, ma un modo di vedere l'impostazione dell'economia del paese. Secondo questo Governo, lo Stato - ingombrante - non deve recedere dalle sue posizioni, ma deve mantenerle e magari accrescerle.
Di fronte al disfacimento della finanza pubblica non si cerca né si vuole (forse non si può) provvedere con vere riforme strutturali. Anzi, si interviene semplicemente aumentando le entrate. Il decreto è frutto di questa filosofia: aumentare le entrate.
È dunque legittimo porre la fiducia, dal momento che sostanzialmente si contrappongono due filosofie: da una parte quella liberaldemocratica, per la quale lo Stato deve fare marcia indietro in economia (la finanza pubblica, in deficit, si risana facendo arretrare lo Stato, eliminando le spese inutili e realizzando riforme strutturali); dall'altra, si pensa che lo Stato non debba retrocedere e che le tasse siano lo strumento principale - se non addirittura l'unico - per porre rimedio al disastro dei conti pubblici. È questa la filosofia del Governo; ma aspettiamo a definirla tale... Sta di fatto che il Governo rappresenta correttamente e legittimamente questa impostazione. Ma tutta la sua maggioranza è d'accordo? Siete tutti d'accordo? Ecco l'alternativa sulla quale si va a votare. Se vi esprimerete positivamente sul disegno di legge di conversione, la vostra risposta sarà stata in senso affermativo. È legittimo. Ma riflettiamo un momento.
Qualcuno dei miei colleghi pensa che forse molti di voi non si accorgono che alla base delle misure contenute nel decreto sta questa filosofia di invadenza da parte dello Stato. Molti di voi dicono di non essere dirigisti ed, anzi, di essere liberaldemocratici. Molti di voi dicono di credere nel libero mercato. In proposito vorrei citare un esempio, per dimostrare che - se anche ci credete veramente - vi sbagliate. È un esempio tra i tanti, l'ho preso a caso: è una proposta di legge (grazie a voi ed al Governo potrebbe anche diventare legge) presentata da diversi colleghi, appartenenti per quanto mi risulti ai gruppi di rifondazione comunista e della sinistra democratica.
I miei colleghi possono anche essere portati a pensare che non sempre vi rendiate conto di come stanno andando le realtà della nostra economia. Devo dire loro che si sbagliano, perché voi - componenti della maggioranza - vi rendete conto perfettamente. Tanto che scrivete, nella nota introduttiva a questa legge: «Il nostro paese ha assistito ed assiste in questi anni ai seguenti fenomeni: deindustrializzazione graduale e progressiva di


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intere aree territoriali, in quanto il trasferimento di un'azienda in molti casi distrugge il patrimonio produttivo indotto costituito da molte piccole e medie imprese e costringe anche queste ultime al trasferimento; cancellazione di molti posti di lavoro dipendente ed autonomo che lascia centinaia di famiglie in difficoltà serie, non sussistendo alternative occupazionali; commercializzazione di prodotti sul mercato in modo distorto, penalizzando le imprese che operano nel rispetto della legalità e dei diritti sindacali esistenti nei paesi della comunità europea».
Questi fattori vengono indicati da chi di voi ha sottoscritto la proposta di legge a cui ho fatto riferimento. In sostanza avete tenuto in considerazione la fuga di piccole e medie imprese dall'Italia verso altri paesi più o meno limitrofi.
Costoro si rendono conto che il paese versa in una grave situazione economica. Anche il Presidente del Consiglio se ne rende conto e come voi, colleghi della maggioranza, soffre probabilmente di una sindrome. Il risultato tuttavia dovrebbe essere... Posso chiedere l'attenzione del Presidente del Consiglio?

PRESIDENTE. Lei ha ragione, onorevole Rivolta, comunque si parla sempre rivolti al Presidente della Camera.

DARIO RIVOLTA. Il Governo e la maggioranza certamente si rendono conto della situazione reale in cui versa il paese. Poiché siamo tutti, o almeno quasi tutti, liberaldemocratici, avremmo ritenuto che si rispondesse alle nostre questioni in maniera liberaldemocratica. Le aziende fuggono? Ebbene, si cercano gli strumenti per convincerle a restare! Strumenti allettanti, incentivi, condizioni di favore; si cerca di semplificare le modalità di lavoro. La risposta che i colleghi della maggioranza invece danno è la seguente: costituzione (vi è al riguardo una proposta di legge) di un comitato di sorveglianza per la certificazione di conformità alle convenzioni internazionali in merito alla delocalizzazione delle attività produttive e all'importazione di beni, semilavorati o prodotti finiti. In pratica alle aziende italiane che lasciano il paese per andare all'estero si risponde impedendo loro, o rendendolo difficile, di reimportare in Italia i loro prodotti. Questo è un approccio, un'ottica certamente legittima, ma dirigista, ben lontana dall'approccio liberaldemocratico.
Parafrasando quello che qualche collega della maggioranza ha in tempi non lontani voluto dire all'opposizione, cioè a noi, magari sui giornali, vorrei rispondervi, colleghi della maggioranza, che certamente vi riconosco il diritto di essere sinistra, se vi piace chiamarvi sinistra; avrei tuttavia il piacere che vi fosse una buona sinistra, una sana sinistra, magari anche una forte sinistra. Ma che sinistra siete? Siete liberaldemocratici o socialdemocratici? Siete dirigisti o per il libero mercato? Che sinistra siete? Siete purtroppo delle persone, dei deputati che legittimamente esprimono le loro idee (ed io sono contento che lo facciate), ma vi invito amichevolmente ad essere attenti alla schizofrenia politica.
A Palo Alto, in California, vi è una scuola di psicoanalisti che ha cercato di spiegarsi le motivazioni per le quali nasceva la schizofrenia, una spiegazione come tante altre fornite negli anni. La risposta data dagli studiosi di Palo Alto è che la schizofrenia si origina a causa di un doppio messaggio o di una doppia morale o di una doppia verità. In pratica la persona che non riesce a comporre, dentro se stesso, la possibilità di convivere con una morale che si dice ed una morale con cui ci si comporta, che convive difficilmente dentro se stesso con la discrepanza tra l'essere e il voler essere, finisce con il diventare schizofrenico. Signori, ho paura per voi; vorrei una sinistra seria, una sinistra coraggiosa, una sinistra socialdemocratica, se volete. Purtroppo, invece, voi non sapete cosa siete e correte il rischio di finire ben peggio degli oggetti di studio degli psicanalisti di Palo Alto (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).


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UGO PAROLO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UGO PAROLO. Signor Presidente, credo che al banco dei ministri debbano sedersi i ministri. Anche a noi farebbe piacere essere seduti vicino a una bella signora, tuttavia...

PRESIDENTE. Onorevole Valetto Bitelli, la prego di accomodarsi al suo posto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Balocchi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO BALOCCHI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi deputati, prima di unire la mia voce a quella dei colleghi che hanno parlato per più di 60 ore in quest'aula, vorrei, per rendere un po' meno pesante l'atmosfera, esaminare qualche articolo apparso sulla stampa. la Repubblica riporta il seguente articolo: «Alla Camera maratona notturna sull'IVA». Questo è ciò che ritiene di comunicare ai propri lettori. Il Corriere della Sera invece titola il suo editoriale: «Ostruzionismo, il centro-sinistra va in trincea». Nessun altro commento. Il Messaggero scrive a favore di Veltroni affermando che l'ostruzionismo negli Stati Uniti esiste, ma spesso punisce chi lo attua. Questa testata dà la voce al Vicepresidente del Consiglio, il quale afferma che l'ostruzionismo deve essere fatto soltanto in un momento di circostanze drammatiche. Se in Italia la drammaticità non esiste in questo momento, basta andare in giro per i mercati e sentire cosa ha da dire la gente. La cosa migliore forse è stata pubblicata su la Repubblica l'altro giorno. Dopo aver scritto dei panini, del caffè e di altro, questo giornale ha intervistato il presidente della Commissione giustizia Pisapia, che in una votazione è risultato presente mentre si trovava in missione, il quale a sua giustificazione ha affermato che la sua tessera di voto era rimasta inserita nel banco la sera precedente. Evidentemente la mattina seguente la tessera si è svegliata, ha premuto il pulsante ed ha votato. Questo è il sistema di fare notizia. La chicca finale è quella riportata da l'Unità: «L'ostruzionismo è stato deciso improvvisamente, senza la minima ragionevole motivazione politica, con l'obiettivo di contrastare l'approvazione di un provvedimento economico settoriale». Mi auguro che questo giornalista guadagni decine di milioni al mese per capire che il provvedimento sull'IVA non è settoriale, ma interessa la globalità delle persone.
Esaminiamo ora le ragioni del mio voto contrario al disegno di legge di conversione in esame. Innanzitutto per come la questione è stata posta. Siamo arrivati al ventisettesimo voto di fiducia, deciso dal Consiglio dei ministri la settimana prima che si iniziasse la discussione alla Camera. Vi era quindi l'esplicita volontà dell'esecutivo di impedire al Parlamento di migliorare il decreto-legge. Ciò significa imbavagliare nel modo più assurdo i parlamentari che svolgono il loro lavoro in quest'aula. Non si era certamente parlato di ostruzionismo, anche perché in un'ora e mezza di discussione erano stati votati 14 emendamenti e noi, deputati della lega nord per l'indipendenza della Padania, avevamo dato prova di correttezza ritirandone 200. Ne rimanevano quindi solo 80 da discutere e votare e sicuramente a quest'ora saremmo stati tutti a casa ed il provvedimento sarebbe stato senz'altro approvato. Se invece di porre la questione di fiducia, si fosse data la possibilità ai parlamentari di migliorare il decreto-legge, non ci troveremmo in questa situazione.
Cosa voleva il Governo? Spacciare un aumento ingiustificato di tassazione con un riallineamento dovuto ai vincoli comunitari. Lo abbiamo sentito moltissime volte in quest'aula: il riallineamento non era obbligatorio fino al 31 dicembre 1998, quindi avevamo oltre un anno a disposizione per agire. Nonostante l'aliquota media in Europa sia del 15 per cento, il Governo è riuscito ad elevarla: molti beni sono passati dal 4 al 10 per cento, altri dal 10 al 20 per cento ed altri ancora dal


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16 al 20, considerando che l'aliquota del 16 per cento è stata soppressa. Cosa ha ottenuto il Governo? Le calzature, l'abbigliamento, le materie prime per l'edilizia sono passate da un'IVA del 16 ad una del 20 per cento. In compenso possiamo mangiarci tranquillamente una pastasciutta in quanto risparmiamo ben 25 lire su ogni piatto visto che la salsa e i sughi hanno ora un'aliquota IVA del 10 per cento, anziché del 16. Avete colpito il vino, i fiori recisi...

BRUNO SOLAROLI. Puoi mangiare anche il salame!

MAURIZIO BALOCCHI. Tu puoi mangiarti da solo, che lo sei abbastanza (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)! Se pensi di essere furbo, hai sbagliato indirizzo!
Torniamo all'aliquota sulle autoambulanze, fissata al 20 per cento. Vi è poi il contrario di quanto il Governo va dicendo in giro e cioè che vuole aiutare l'edilizia, mentre la «gratifica» con l'aliquota più alta esistente in Italia. Il Governo preferisce trovare la possibilità di dare gli incentivi per conto proprio, così come ha fatto con la FIAT.
Vi è un'altra serie di provvedimenti che il Governo ha voluto portare avanti insieme a questo dell'IVA: sono state aumentate le aliquote IRPEF fino a 120 milioni; ci siamo trovati lungo la strada l'IRAP - imposta rapine attività padane -, di prossima applicazione, che inizialmente doveva essere pari al 4 per cento, diventata poi del 4,25 per cento; oggi pare debba essere ancora più alta.
Il discorso imbastito dal Governo non è quello di allineare le aliquote alla richiesta europea, ma di portare in cassa altri 7 mila miliardi, che vanno ad aggiungersi a quelli dell'IRAP, portata con il 120 per cento di acconto.
Fino a qualche anno fa avevo sentito dire che gli acconti dovevano essere inferiori a 100 (inferiori cioè all'unità completa). Abbiamo invece imparato dal Governo Prodi che gli acconti possono essere del 120 per cento, perché vi sono esigenze di cassa per far quadrare i bilanci.
Andiamo all'IRAP per i lavoratori autonomi e le piccole imprese. È un'imposta non deducibile (caso stranissimo), che sostituisce cinque imposte, di cui quattro regolarmente deducibili, e colpisce i lavoratori autonomi, che prima non pagavano l'ILOR. Colpisce altresì le retribuzioni e gli interessi passivi: quindi chi più dà lavoro più paga; chi è costretto a ricorrere ai prestiti, perché lo Stato per far quadrare il bilancio si è fermato con le anticipazioni di cassa al mese di ottobre e quindi non paga più le fatture che dovrebbe pagare, pagherà l'IRAP.
Passiamo alle promesse sulla tassa europea. Il Governo ha invitato a stare tranquilli, perché sarebbe stata restituita. Il ministro Ciampi ha detto: scordatevelo!
La pressione fiscale, poi, ha raggiunto un livello insostenibile. È al 45 per cento, ma bisogna calcolare che sul prodotto interno lordo occorre aggiungere un 15 per cento. Quindi, la vera imposizione fiscale è pari al 52 per cento. Coloro che onestamente dichiarano i propri redditi subiscono una tassazione del 52 per cento!
Avevo presentato un ordine del giorno che chiedeva di non applicare l'IVA sulle accise, ma non è stato neanche preso in considerazione.
Abbiamo una legislazione che vieta di pagare imposte su altre tasse, ma qui non viene presa neanche in considerazione.
Cosa dire, poi, dell'anticipazione di 15 giorni e del fatto che i subfornitori che anticipano l'IVA saranno costretti a ricorrere a prestiti bancari? Non si è neanche potuta prevedere un'aliquota agevolata sul materiale edile per la ricostruzione dopo il terremoto in Umbria e nelle Marche.
Passiamo alla violenza a Vicenza...

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Balocchi.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barral. Ne ha facoltà.

MARIO LUCIO BARRAL. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio,


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onorevoli colleghi, questo Governo vive ormai da parecchio tempo, forse da troppo, nella contingenza dei tempi, con l'affanno di non vedere mai il traguardo, perché l'incalzare dei decreti, le cui scadenze si avvicinano, porta ad operare manovre inconsulte, come quella del ricorso alla fiducia.
Questa volta, però, l'opposizione, quella virtuale del Polo delle libertà e quella orgogliosa della lega nord per l'indipendenza della Padania, si è saldata su un provvedimento che colpisce tutta la collettività.
La modificazione delle aliquote IVA, definita armonizzazione delle stesse, parola che tradotta nel linguaggio comune dei cittadini corrisponde a «fregatura» solenne, impoverirà sicuramente le fasce produttive più deboli, quali i lavoratori dipendenti e, a seguire, il comparto produttivo degli artigiani, dei commercianti e degli agricoltori, i quali non hanno visto nelle loro buste paga un incremento capace di far fronte alle sicure uscite che questo provvedimento comporterà.
Il comparto produttivo in questo momento di recessione farà fatica a coprire l'incremento di tasse che questo provvedimento comporterà.
Signor Presidente, poco tempo fa in quest'aula si è parlato di usura. Con il provvedimento al nostro esame le aliquote su beni di prima necessità passano dal 4 al 10 per cento, con un incremento del 6 per cento, e quelle su altri beni e servizi passano dal 4 al 20 per cento (ben 16 per cento in più). Non potete dirmi che questa non è un'usura legalizzata!
Per fortuna in campagna elettorale l'Ulivo andava dicendo che non avrebbe aumentato le tasse: avete tradito la buona fede dei cittadini che vi hanno dato il consenso. Peggio ancora: avete il coraggio di tornare sul territorio e di dire cose ben diverse da quelle che dite e fate in quest'aula. Vergogna!
Al ministro Visco, che scrive che l'economia è in ripresa e che, di conseguenza, l'IVA può essere aumentata senza conseguenze per le piccole e medie imprese, rispondo di uscire dai palazzi romani, dorati ed unti di privilegi, e di cominciare veramente a girare tra le botteghe artigiane, nei negozi, nelle aziende agricole, di guardare attentamente le buste paga dei lavoratori: vedrà che dovrà fare un mea culpa!
Purtroppo, ancora una volta, si trincererà dietro un tricolorismo di ragion di Stato per rapinare genti che con responsabilità e sudore lavorano per appagare la sete di denaro di questo Governo.
La battaglia che per oltre 70 ore un'opposizione vera e forte sta combattendo non è niente di più che una battaglia di libertà contro questo Stato che, giorno dopo giorno, restringe lo spazio di ognuno di noi.
Sono inoltre convinto, signor Presidente, che il Governo e la maggioranza che lo sostiene, se avessero potuto, avrebbero portato anche qui le forze dell'ordine a dare manganellate a questa opposizione che non si allinea al potere (Applausi del deputato Alborghetti), al regime che si sta instaurando.
Concludo, signor Presidente, dicendo: non tirate troppo la corda, scendete dall'Olimpo, venite in mezzo al popolo.
Ascoltate e fate tesoro dei loro consigli, altrimenti succederà che vi ritroverete a non avere abbastanza manganelli per «sedare» le lamentele giuste delle genti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sanza. Ne ha facoltà.

ANGELO SANZA. Non funziona il microfono.

PRESIDENTE. Per questa volta si sposti a sinistra, onorevole Sanza. Veda un po' lei. Può spostarsi a destra o a sinistra: come preferisce.

ANGELO SANZA. Per questa volta l'ho assecondata.

PRESIDENTE. Pare che abbia scelto la sinistra, però spostandosi verso di voi.


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ANGELO SANZA. Signor Presidente, colleghi, signor Presidente del Consiglio, la nostra posizione sul decreto n.328, recante disposizioni tributarie urgenti, è stata ampiamente illustrata da altri colleghi del gruppo nel corso di questo lungo dibattito. Mi limiterò pertanto solo ad alcune considerazioni di carattere generale, gratificato dalla straordinaria partecipazione del Presidente del Consiglio dei ministri.
Lunedì 24 novembre il Governo ha posto l'ennesima questione di fiducia, la trentesima nei 500 giorni della sua stagione. Si è trattato di una decisione di sfida verso il Parlamento, prima ancora che verso l'opposizione; una decisione avventata, visto che noi dell'opposizione avevamo presentato solo pochi emendamenti e tutti di merito, volti peraltro a migliorare un provvedimento di per sé iniquo e discriminatorio.
Questa maggioranza, con assoluto disprezzo delle regole democratiche in Parlamento, si è ancora una volta sottratta al confronto, anche questo democratico, utilizzando, in maniera a dir poco disinvolta - come accade da qualche tempo in quest'aula - uno strumento che dovrebbe essere assolutamente eccezionale. Il problema è che, a nostro avviso, la maggioranza è divisa e teme l'esplodere di tutte le contraddizioni presenti al suo interno. Il ricorso al voto di fiducia è manifestazione emblematica di una maggioranza che ha bisogno di sentirsi blindata, vale a dire alla ricerca continua di un collante per non frantumarsi.
C'è di più, onorevoli colleghi. Questa maggioranza continua a nascondere la verità agli italiani, specialmente per quel che riguarda i conti pubblici. Siamo, infatti, in presenza di una manovra sul bilancio che gli inglesi chiamano di window dressing, cioè di facciata, poco pulita; una manovra quindi volta a compensare la forte caduta dell'IVA verificatasi nel 1997.
Quanto al merito del provvedimento in esame, è bene essere chiari: esso costituisce sostanzialmente la terza manovra finanziaria del 1997. Con l'approvazione del decreto IVA il Governo, infatti, mira ad incassare oltre 1.500 miliardi nel 1997, e ben 5.700 miliardi nel 1998. Si tratta di un generale innalzamento delle aliquote delle imposte indirette, che provocherà un ulteriore aumento della già insopportabile pressione fiscale. Il provvedimento penalizzerà le attività produttive ed alcuni importanti settori, che già attraversano una difficile fase congiunturale a causa del calo dei consumi. Sono i settori tessile, vitivinicolo, edile e calzaturiero. La realtà è che il tema dell'armonizzazione europea è solo l'occasione, forse un alibi, per far cassa e tentare di riequilibrare i nostri disastrati conti pubblici, per l'appunto in vista dell'appuntamento europeo.
Le proposte del ministro Visco non sono altro che palliativi. Colpiscono quelle categorie produttive che dovrebbero invece essere agevolate e aiutate per combattere la disoccupazione. La politica del Governo non paga, come dimostrano peraltro i dati diffusi proprio ieri dall'ISTAT, che evidenziano come la situazione sia divenuta insostenibile, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. Si tratta, quindi, di un Governo che vede solo illusioni davanti a sé, in quanto l'ingresso in Europa è condizionato, come tutti dicono a livello nazionale ed europeo, da riforme strutturali serie; riforme che il Governo non ha ancora varato, e non può certo affidarsi per questo obiettivo ad artifizi contabili.
Com'è possibile mi chiedo, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, che l'Italia vada in Europa quando la semplice correzione di un provvedimento economico mette a rischio l'intera economia nazionale e perciò la stessa possibilità di arrivare all'appuntamento europeo di Maastricht?
Ritengo che ci troviamo di fronte ad un provvedimento iniquo, ad un provvedimento che mistificatamente viene presentato con un obiettivo diverso da quello che intende raggiungere; un provvedimento contro il quale noi dell'opposizione stiamo svolgendo, con grande senso di


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responsabilità, una battaglia parlamentare con i pochi strumenti che il regolamento ci mette a disposizione.
Prima di concludere, vorrei ancora una volta ricordare, anche in vista degli appuntamenti che ci attendono in quest'aula, che il Governo e la maggioranza hanno manifestato nuovamente un atteggiamento arrogante e spocchioso; hanno tentato di esautorare il Parlamento, ritenendo in buona sostanza che le decisioni assunte dal Governo debbano essere semplicemente ratificate dall'Assemblea. Desidero allora ricordare che l'Italia è ancora una Repubblica parlamentare - almeno finché non avremo completato i lavori della Commissione per le riforme costituzionali - e che l'opposizione vigilerà in Parlamento, così come ha fatto in occasione dell'esame di questo provvedimento con oltre settanta ore di denunce. Vigilerà contro qualsiasi tentativo di compiere atti autoritari a danno dei cittadini e delle prospettive del paese. Avete preferito lo scontro al dialogo. Noi non ci sottrarremo e continueremo a dare battaglia per difendere gli interessi dei cittadini da voi continuamente ingannati.
Da ultimo, consentitemi di esprimere tutta la mia solidarietà ed il mio sostegno agli agricoltori che combattono una battaglia di giustizia e di chiarezza per il loro futuro. Gli episodi ai quali abbiamo assistito ieri ci fanno riflettere: non vorremmo che il diritto di manifestare fosse garantito solo ad alcuni e non a tutti (Applausi dei deputati del gruppo misto-CDU).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Palmizio. Ne ha facoltà.

ELIO MASSIMO PALMIZIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Presidente del Consiglio, dichiaro il mio voto contrario alla conversione in legge di questo decreto e mi sforzerò di spiegarne i motivi.
La battaglia parlamentare di opposizione che il Polo per le libertà e la lega nord per l'indipendenza della Padania stanno conducendo in questi giorni è una battaglia di libertà e non un semplice atto simbolico, come da più parti - ovviamente nell'ambito della maggioranza - si sente dire. È una battaglia sicuramente dura, chiara, e secondo noi già vinta moralmente, indipendentemente da come finirà formalmente. L'oggetto di questa battaglia di libertà è la lotta a un decreto che per i suoi effetti è totalmente devastante per la nostra economia, e soprattutto per l'occupazione.
Il riordino delle aliquote IVA, necessario per ottemperare ad una direttiva europea, costerà agli italiani 1.500 miliardi, come si ricordava poc'anzi, nel 1997 e quasi 5.800 miliardi nei prossimi anni. Mi sono sforzato di spiegare nel mio intervento di mercoledì notte come si sarebbe potuto ottemperare a questa direttiva europea con costi che potevano essere molto, ma molto minori per le famiglie italiane. Non è, quella del ministro pidiessino delle finanze, una scelta obbligata, come si è sentito più volte dire, bensì una scelta fortemente voluta.
Perché così fortemente e pervicacemente voluta? Per un semplice motivo, anzi per due motivi. Primo, perché il gettito del 1997 di entrate fiscali è minore di quanto previsto a causa di una crescita economica non totalmente soddisfacente, e quindi compenserà questo minore introito fiscale con un prelievo quest'anno. Compenserà poi, negli anni a venire, i mancati risparmi sulla spesa sociale, sacrificati sull'altare di rifondazione comunista, che come ben sappiamo non vuole assolutamente porre mano a misure strutturali di riforma della spesa, nella nostra Repubblica.
Oltre a ciò, va detto a chiare lettere che si tende incredibilmente, e in maniera secondo noi suicida, a distribuire gli aumenti delle aliquote IVA su categorie produttive come l'edilizia, l'abbigliamento e le calzature, cioè categorie che impiegano più forza lavoro di altre. Sono, peraltro, anche dei settori afflitti da crisi profonde, e non da oggi. L'edilizia, anche per il mancato sblocco degli investimenti


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in opere pubbliche; gli altri settori sono soggetti, invece, a una concorrenza estera e a un calo della domanda interna.
Sempre per quanto riguarda l'edilizia, va anche ricordato che questo Governo da un lato tende a mettere in opera sgravi fiscali per le ristrutturazioni immobiliari e dall'altro vanifica quasi totalmente questi vantaggi con un aumento delle aliquote IVA. Quindi, anche qui c'è un comportamento un po' dislessico. Le altre aziende che citavo sono distrutte dalla concorrenza dei paesi esteri, che non sono strangolati da regimi fiscali rapinosi e che, come ho già dichiarato l'altra sera, comprimono pesantemente la domanda interna. Mi riferisco ai regimi fiscali messi in piedi dal vostro Governo.
Questa incredibile e devastante dicotomia tra imposizione fiscale crescente da un lato e occupazione calante dall'altro è una sventurata costante delle scelte di politica economica di questo Governo, sempre più di sinistra. Lo si nota, peraltro, in modo drammatico nell'impostazione della nuova tassa che risponde al nome di IRAP. Qui, addirittura, si colpiscono ancora e sempre le imprese minori e quelle con più forza lavoro, considerando che non si tassano soltanto i redditi ma nella base imponibile sono inseriti anche i costi delle aziende, primo fra tutti il costo del lavoro.
Si è parlato giustamente fino ad oggi della spremitura dei ceti medi tramite l'IVA, l'eurotassa - a proposito della quale abbiamo avuto l'altra sera la conferma che non sarà restituita -, la revisione delle aliquote dell'IRPEF e, anche se non se ne parla quasi mai, la depressione dell'occupazione che le manovre di politica economica del Governo possono provocare, e senz'altro, purtroppo, provocheranno. Il motivo di tale disoccupazione sarà anche dovuto all'incremento del costo del lavoro, il che, come ho già spiegato, scoraggia gli investimenti sia italiani sia esteri e provoca la delocalizzazione dall'Italia degli stabilimenti produttivi, da parte sia delle aziende italiane sia delle multinazionali che vorrebbero, ma non lo faranno, mantenere tali stabilimenti nel nostro paese. In provincia di Bologna già due aziende multinazionali hanno dismesso gli stabilimenti produttivi, lasciando a casa centinaia di lavoratori.
Osservando sempre questa politica economica del Governo dell'Ulivo, e per esempio i vari provvedimenti sulle rottamazioni, si nota che le scelte premiano spesso e volentieri le grandissime aziende, senza fare nomi, abbinando alla difesa delle grandi imprese un tentativo di tutelare poche categorie di lavoratori dipendenti, non certo i lavoratori autonomi, ovviamente, ma neanche i dipendenti pubblici. Basterebbero queste motivazioni di politica economica a motivare il voto contrario che rende compatti in questa opposizione alleanza nazionale, il centro cristiano democratico, i cristiano-democratici uniti e la lega nord per l'indipendenza della Padania, tutti uniti in questa battaglia che è di libertà.
Ma vi è anche un altro molto grave motivo per il quale questa battaglia va combattuta con tenacia, ostinazione e fino in fondo, un grave motivo che non è economico, ma in questo caso è squisitamente politico e spiega perché voteremo contro la conversione di questo decreto. Noi ci vogliamo opporre, con questa battaglia parlamentare che ci vede da giorni impegnati in aula, al sistema che questo Governo ha usato, usa e temiamo userà anche in futuro, per gestire il suo potere esecutivo. Non si vuole dare mai la possibilità al Polo per le libertà e alla lega nord per l'indipendenza della Padania di esprimere critiche e suggerimenti sotto forma di emendamenti da discutere pacatamente e democraticamente; quindi non si vuole che il Polo per le libertà e la lega nord per l'indipendenza della Padania facciano emergere un aspetto che fa paura a questa coalizione, e cioè le contraddizioni interne all'Ulivo e a rifondazione comunista.
E allora, l'unico modo qual è? Si blocca tutto con il sistematico, costante uso della questione di fiducia, tant'è vero che se ne è perso anche il conto: alcuni dicono ventisette, altri ventinove, altri ancora trenta. Il voto di fiducia inibisce

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ogni dialettica democratica di questo Parlamento. Ma noi rivendichiamo il diritto di esprimere democraticamente il nostro dissenso, e usiamo a questo punto l'unico modo che, per ora, ci avete ancora lasciato. Temiamo che ci venga tolto anche questo diritto con nuove riforme del regolamento che possano svilire ancora di più il ruolo dell'opposizione. L'unico strumento che ci è rimasto, quindi, è l'ostruzionismo parlamentare, che usiamo e sappiamo usare, come stiamo dimostrando. In questo caso si può ben dire e attribuire alla maggioranza di Governo l'antico detto «chi semina vento raccoglie tempesta» (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Deodato. Ne ha facoltà.

GIOVANNI GIULIO DEODATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, è stato detto più volte in quest'aula e dai mezzi di informazione che i colleghi del Polo e quelli della lega nord per l'indipendenza della Padania hanno assunto un atteggiamento ostruzionistico contro il decreto-legge n.328 sull'IVA soltanto per ragioni di visibilità. Noi non cerchiamo visibilità, anche se abbiamo il dovere, nei confronti dei nostri elettori, di far sapere che stiamo lottando per loro.
Noi siamo preoccupati, fortemente preoccupati, per contrastare l'inopinata e sconsiderata decisione del Governo Prodi di porre la questione di fiducia, e quindi siamo decisi a ostacolare legittimamente, finché sarà possibile, l'approvazione di questo decreto sull'IVA con i suoi 5.000 miliardi di entrate previste. È una vergogna. Siamo stati defraudati dalla possibilità di contrastare efficacemente un subdolo e gravoso aumento fiscale che penalizza soprattutto il ceto medio produttivo, gli operatori piccoli e medi del commercio, dell'artigianato, dell'agricoltura e dell'industria, e i professionisti in genere, ceto produttivo che è già tutto colpito dall'eurotassa e dall'IRAP, e con il quale è giusto e legittimo fare un'opposizione seria e dura. E tutto questo di fronte ad un Governo che è ricorso per la trentesima volta in 500 giorni al voto di fiducia, di fronte a spazi sempre più ristretti di dissenso.
Questo ricorso continuo al voto di fiducia è davvero un fatto di eccezionale gravità, perché in questo modo si impedisce all'opposizione il potere di controllo sull'operato delle forze che sorreggono il Governo. La battaglia sull'IVA per noi è anche una scelta simbolica. L'uso spregiudicato della tassazione per far quadrare i conti dello Stato è proprio quello che noi di forza Italia respingiamo nella logica del Governo Prodi. Risanare dissanguando il cuore del paese per noi è inaccettabile. Per questo, se perdiamo il tram fiscale per fare quell'opposizione dura al Governo che tantissimi cittadini nel paese ci chiedono, non saprei dire su cosa possiamo poi concretamente dimostrare il nostro progetto alternativo.
Non possiamo soggiacere al ricatto del Governo Prodi, secondo il quale se il decreto IVA non passasse verrebbe meno la possibilità per l'Italia di entrare in Europa. Il Governo avrebbe dovuto offrire - non lo ha fatto - la possibilità di recepire qualche modifica significativa a questo decreto, modifiche che abbiamo proposto fondatamente e seriamente, anziché imporre il voto di fiducia.
Il Governo Prodi non può pretendere di raccontarci bugie sul controllo della spesa pubblica e poi aumentare in modo smisurato le tasse. Proprio su questi temi emerge la grande differenza tra un'idea socialista, come quella dell'Ulivo, e un'idea liberale, cattolica, democratica, come quella nostra, di forza Italia e di tutto il Polo. Noi siamo per l'eliminazione degli sprechi, loro invece, che sono statalisti, vanno avanti a colpi di tasse.
Un ulteriore inasprimento della fiscalità del lavoro autonomo è prodotto da due novità legislative tra loro connesse, quella della cosiddetta rimodulazione della curva dell'IRPEF e quella dell'introduzione dell'IRAP. Di queste imposte si parlerà più ampiamente al momento opportuno,


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però va subito anticipato che imposte di questo tipo non esistono in Europa, esclusa la Francia, dove esiste una taxe professionnelle, molto meno aspra rispetto a quella italiana.
L'IRAP dovrebbe essere razionale, federale, semplice; invece è irrazionale, centralista, estremamente complessa, nei seguenti termini.
L'IRAP è irrazionale perché colpisce, oltre il reddito, anche il costo della sua produzione. A titolo esemplificativo, nel caso dei professionisti, la sua base imponibile è in specie rappresentata dal reddito professionale, più i costi dei collaboratori fissi, più i costi della segreteria, più gli eventuali interessi passivi e ciò vuol dire che l'IRAP può essere dovuta anche in caso di reddito negativo.
L'IRAP è poi centralista e non federale. Lo spirito del federalismo fiscale si esprime attraverso il meccanismo del voto con il portafoglio, cioè: vedo, voto e pago. I cittadini cioè finanziano con la loro contribuzione le prestazioni sociali che ricevono e per ciò sono direttamente stimolati a controllare la buona amministrazione. Diversamente, l'IRAP va pagata solo dai produttori e dovrebbe finanziare prevalentemente la sanità, di cui beneficiano tutti i cittadini.
L'IRAP, infine, è non semplice, ma enormemente complicata, molto più delle imposte che essa ha sostituito, cioè ILOR, ICIAP, contributi sanitari e tassa sulla partita IVA. La complicazione sarà in ogni caso accresciuta dalla prevista istituzione delle addizionali comunali e provinciali.
E non solo. Per effetto combinato della nuova IRPEF e dell'IRAP si determina una ingiustificata e illegittima duplicazione di tassazione proprio a danno del lavoro autonomo. E in aggiunta va rilevato che esistono seri problemi di legittimità costituzionale della nuova normativa. Per effetto dell'introduzione dell'IRAP si verifica cioè un ingiustificato trasferimento di carico fiscale dalla pura rendita, che viene così agevolata, a scapito del lavoro, soprattutto autonomo, che viene così penalizzato. La nuova IRAP quindi non è conforme al principio costituzionale della capacità contributiva e a quello di eguaglianza; infatti è ingiustificata e irrazionale.
In conclusione, tutto ciò dimostra che si tratta di politiche sbagliate poste in essere dal Governo delle sinistre e quindi non può essere loro concesso il nostro voto favorevole. Noi di forza Italia ci auguriamo che questo primo Governo delle sinistre, così trionfalmente autodefinitosi il 21 aprile 1996, possa presto essere l'ultimo Governo delle sinistre, proprio nell'interesse dell'economia italiana (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rivelli. Ne ha facoltà.

NICOLA RIVELLI. Signor Presidente, da lontano purtroppo non vedo bene, ma mi sembra di non scorgere il ministro Napolitano, che noi tutti aspettavamo qui con ansia, perché potesse spiegarci ufficialmente...

PRESIDENTE. Sarà qui a fine seduta, cioè dopo il voto, se ci sarà un voto.

NICOLA RIVELLI. Lo so, però intanto il tempo passa e fuori succedono gli scontri che stanno succedendo. Qui siamo tutti quanti preoccupati di sapere quello che sta accadendo.
Comunque, signor Presidente, mi dispiace solo che il mio intervento debba passare per un ennesimo atto per intralciare o ritardare i lavori parlamentari. Mentre invece è, come per tutti i deputati del Polo, l'unico modo esplicito - e da noi richiesto ai nostri capigruppo - per poter dichiarare, secondo quel poco che ci concede il regolamento della Camera, il proprio voto contrario e la propria indignazione a questi aumenti della pressione fiscale in Italia, in questa nostra Italia, dico nostra e vostra, messa sempre più in ginocchio dal Governo Prodi. Da un Governo che, non lo dimentichiamo, rappresenta, per il meccanismo della legge elettorale, una minoranza della volontà politica


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nazionale, ricordando solo i 53 deputati in meno del Polo (quindi il gap è di 106) per la presenza della Fiamma, con la quale non fu fatto patto di desistenza, non furono candidati, come fu fatto invece dall'Ulivo con rifondazione, per cui oggi sono questi ultimi l'ago della bilancia, coloro i quali dettano i diktat. Era inevitabile, comunque non ve ne dolete molto, perché il male è sempre nostro, non è vostro.
Dicevamo che questa minoranza governa solo a colpi di decine di voti di fiducia, con un ministro dell'interno che carica con i manganelli i nostri agricoltori ed è lo stesso ministro dell'interno che coordina anche l'esercito nelle città, non dimentichiamolo: quindi, stiamo attenti. Ma perché il ministro dell'interno non viene, come dicevamo prima, a spiegarci cosa sta succedendo fuori di quest'aula con gli agricoltori? Cosa aspettiamo, il morto o i morti? Qui c'è da aver paura per la democrazia, signor Presidente, per le vite umane di questi agricoltori, in questo momento messe in pericolo da un programma del ministro che, ripeto, come dicevo prima, non conosciamo, come le cariche, come la linea dura, decisa suppongo dallo stesso ministro.
Noi abbiamo paura di ciò che il Governo sta facendo e ci opporremo con tutte le nostre forze a chi attenta alla vita di questi agricoltori. Ma cosa possiamo fare più di parlare da questi banchi? Cosa può fare di più il nostro presidente che è sceso tra di loro a parlare con i megafoni? Nulla, è bene che questo si sappia.
Signor Presidente, il telegiornale di stamattina trasmetteva le immagini dei produttori del latte italiani e subito dopo quelle del Messico, quando stamattina gli agricoltori sono entrati nel Parlamento messicano prendendo a schiaffi i deputati. Onorevoli colleghi, non crediate che il Parlamento messicano fosse difeso meno bene del Parlamento italiano! Non ci vuole nulla a entrare qui dentro per una massa inferocita! E a noi non farebbe certo piacere essere presi a schiaffi dai nostri agricoltori per colpe non nostre, ma del Governo, perché il Governo con lo sconto che vuole far loro forse questi schiaffoni se li tira. Infatti, dimostra di volerli prendere in giro, perché non è quello della multa il problema, bensì quello del futuro della loro produzione, se lavorando come stanno lavorando saranno soggetti ad ulteriori sanzioni fiscali o no e se sì, in che misura.
Detto questo, il mio intervento vuole essere costruttivo e non semplicemente una protesta o una perdita di tempo. Allora, consentitemi, signori del Governo, di dare un modesto consiglio, da ultimo dei deputati di forza Italia, per lo meno in ordine di arrivo. Mettete un tetto agli aumenti delle aliquote fiscali su ogni singolo prodotto da qui alla fine della legislatura, sempre che ci consentirete di rivotare, per dare modo a chi vuole investire i propri soldi, da buono e onesto investitore, di fare i calcoli di quanto deve pagare di tasse, cosa che oggi in Italia non è possibile, perché dopo un aumento eccone subito un altro. Ed allora, signor Presidente del Consiglio, come si può fare un piano finanziario serio se ti cambiano i parametri in corso d'opera? È impossibile. È impossibile fare un piano finanziario facendo il calcolo preciso delle tasse che si devono pagare con un cambiamento continuo delle aliquote fiscali. Nessuno può investire. Chiunque avesse intenzione di investire e da buon investitore volesse calcolare le tasse che dovrebbe pagare, oggi in Italia sarebbe impossibilitato a farlo, perché dopo una finanziaria ne arriva immediatamente un'altra. Ecco il motivo per cui gli stranieri non investono oggi in Italia.
Se per esempio nei prossimi tre anni e mezzo la mortadella non può essere tassata più del 300 per cento, ditelo! Se ci si ferma al 10 o al 20 per cento, tanto meglio, ma per lo meno chi voleva investire in mortadella si è fatto i suoi calcoli previsionali. Ma vi rendete conto che quando parlo di queste cose siamo all'abbicci dell'economia politica?
Inoltre, non ci parlate d'Europa, non provate a scherzare dicendo che se non passa l'IVA non andiamo in Europa! Come ha detto poc'anzi qualche autorevole

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collega, se continuate così, noi in Europa ci andiamo comunque e purtroppo tramite le imprese che scappano o che state facendo scappare dall'Italia.
È bene allora che vi ricordiate per ogni azione che compite che siete la minoranza del paese, che l'Ulivo è minore del Polo con la lega, senza dimenticare il milione di italiani di estrema destra, e che oggi governate solo per effetto del meccanismo elettorale.

PRESIDENTE. La ringrazio.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leone. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Vorrei per un attimo ripercorrere quanto è accaduto nel corso di questa vicenda per vedere se le ragioni esposte dal Polo e dalla lega possano sembrare pedanti o abbiano invece un fondamento di verità.
Questa vicenda è iniziata portando all'attenzione di quest'aula il decreto-legge sull'allineamento delle aliquote IVA. In quest'aula, dopo settanta minuti di discussione e dopo aver esaminato quattordici emendamenti su ottanta (erano infatti ottanta gli emendamenti residui dopo che la lega ne aveva ritirato la maggior parte), da parte di questo Governo si è provveduto a porre la questione di fiducia.
In presenza di un ostruzionismo il Governo avrebbe avuto un elemento valido per porre la questione di fiducia, ma come abbiamo potuto dimostrare con i nostri interventi, non si può porre la questione di fiducia dopo settanta minuti di discussione in aula essendoci tranquillamente la possibilità di arrivare a completare l'esame del decreto, tagliandosi in questo modo da soli le gambe (interruzione dell'onorevole Corleone)... o qualcos'altro, come mi sta suggerendo il collega Corleone. Si è così arrivati, in questa situazione, a tale maratona che ha determinato un dispendio di energie e di tempo.
Che non si trattava di una reazione da parte del Governo ad una presunta azione ostruzionistica da parte delle opposizioni lo evidenziano anche una serie di atteggiamenti tenuti in quest'aula non solo, come ho già avuto modo di dire nel mio precedente intervento e come hanno sottolineato altri colleghi, ma anche l'atteggiamento del presidente Mussi, a mo' di provocazione, e dello stesso ministro Visco. Quest'ultimo ha replicato agli interventi svolti in sede di discussione generale. Al riguardo leggerò pedissequamente quanto il ministro ha detto rispondendo, in particolare, ad alcuni rilievi fatti dal collega Viale in quest'aula: «L'onorevole Viale, per esempio, pone un problema che può avere validità tecnica. Se vi fosse un clima in cui poter discutere tali questioni nel merito, probabilmente nel caso in cui si facessero degli errori o si ignorasse qualche problema rilevante, si potrebbero correggere più facilmente. Ma quando lo stesso onorevole Viale in tutta la prima parte afferma che questo è un Governo che aumenta le tasse, che aumenta la pressione fiscale, che aumenta il debito pubblico, che c'è recessione da due anni (...), dice cose quanto meno inesatte». Il sillogismo che usa il ministro Visco è il seguente: voi dite anche delle cose giuste, però poiché ci dite che noi non sappiamo governare, io per dispetto non vi faccio più parlare! Questo è quanto ha dichiarato il ministro Visco in sede di replica alla discussione generale svoltasi in quest'aula. Non ho letto parole mie, ma quanto ha dichiarato il ministro.

PRESIDENTE. Sì, ma non c'è riuscito, come vede!

ANTONIO LEONE. Potremmo invece riuscire noi a mandare a casa il ministro Visco, con l'aiuto di buona parte della maggioranza, che in cuor suo sicuramente auspica una cosa del genere... Vedo sorridere il collega Repetto e questo sorriso mi rincuora. Ma perché dico questo? (Commenti) Come stavo dicendo, potremmo riuscire ad arrivare a tanto con l'aiuto anche di una parte della maggioranza se, una volta per tutte, ci si decidesse a dire apertamente che la politica fiscale di questo ministro evidentemente non è assolutamente all'altezza di un


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Governo che deve portare questa nostra Italia in Europa.
Questo ministro, che dichiara di voler un fisco più umano, deve imparare ad essere più umano prima lui! Non può «blindarsi», non può chiudersi, non può non dare risposte ai vari quesiti ed ai vari interrogativi che l'opposizione gli chiede nelle varie Commissioni!
Se vuole un fisco più umano, ci vuole un Visco più umano! La qualcosa non è... Presidente, sono passibile?

PRESIDENTE. No, è un processo di umanizzazione (Si ride)!

FRANCO CORLEONE. Fosse anche di civilizzazione, non sarebbe male!

ANTONIO LEONE. Stavo per dire che in questo modo si sta sottacendo tutta una serie di circostanze e di elementi che quest'opposizione è in grado di porre all'attenzione del Governo. Sono contento della partecipazione straordinaria - a quest'ora! - del Presidente del Consiglio.
Se una maggioranza, dicevo, che continua a «blindarsi», che continua a ritenere di essere nel giusto per ogni provvedimento che propone a quest'aula, si aprisse, accogliesse le istanze anche parziali dell'opposizione, sicuramente non saremmo giunti a questo stato o a questo stadio.
Che da parte del Governo ci sia la necessità di salvaguardare un'eventuale possibilità di «esplosione» all'interno della stessa maggioranza (Commenti)... Presidente!

PRESIDENTE. Non posso richiamarlo all'ordine perché l'ho già fatto due volte. Se lo facessi la terza volta, la cosa sarebbe grave.

ANTONIO LEONE. Dicevo... mi avete fatto perdere il filo!

PRESIDENTE. Infatti il ragionamento filava (Commenti - Si ride)!

ANTONIO LEONE. Stavo parlando della necessità, da parte di questo Governo, di ricorrere ad uno strumento, come quello della questione di fiducia, non solo per evitare che le opposizioni abbiano qualche voce in capitolo nella formazione legislativa ma anche per evitare - ero arrivato a questo punto - eventuali «esplosioni» all'interno della maggioranza. Dico questo perché all'interno della maggioranza ci sono delle contraddizioni e nel momento in cui si rivela che una stessa forza politica, che fa parte della maggioranza (sto parlando di rifondazione comunista), al Senato, ha il coraggio di tirar fuori le contraddizioni esistenti nel provvedimento al nostro esame (il riferimento è al settore dell'edilizia)... Ho ancora due minuti! Nel momento in cui, stavo dicendo, quella forza ha il coraggio di dire questo, anche se poi non ha il coraggio di votare in maniera conseguente, ecco che allora bisogna evitare che emerga questo tipo di contraddizione!
Cosa sta accadendo? Sta accadendo che per quanto riguarda la nostra opposizione a tale provvedimento, al di là delle contraddizioni concernenti il settore dell'edilizia ed altri prodotti (Commenti)... Non vorrei ripetermi rispetto ad alcuni prodotti. Il collega Corleone parla dei preservativi ed era d'accordo sull'emendamento che avevo proposto...

PRESIDENTE. L'importante è che non ne parli a nome del Governo!

ANTONIO LEONE. Come dicevo, nel momento in cui si rilevano queste contraddizioni, nel momento in cui il Governo abusa dello strumento della fiducia, una riflessione, anche se amara, va fatta, perché questa maggioranza sta creando un mostro e, come nella migliore letteratura, i mostri alla fine si ritorcono sempre contro chi li ha creati (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tortoli. Ne ha facoltà.


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ROBERTO TORTOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a questo punto della seduta fiume, se volessi dire qualcosa di diverso da tutti coloro che hanno preso la parola prima di me e che la prenderanno successivamente, trecento parlamentari che rappresentano oltre ventuno milioni di italiani, trecento parlamentari che rappresentano quella maggioranza silenziosa alla quale abbiamo voluto dare una volta tanto la parola, se volessi affermare qualcosa di veramente diverso da tutto quello che si è sentito dire oggi, potrei solo affermare che questo provvedimento sul riordino delle aliquote IVA non è poi così negativo. Ma direi la più grande bugia della mia vita. Lascio al Presidente del Consiglio questo primato e questa attitudine.
Dovrò allora ripetere, come tutti i colleghi, che anche questo ennesimo intervento governativo produrrà i soliti danni, penalizzerà cioè i ceti medi oltre alle piccole e medie imprese, forza vitale di crescita e di sviluppo, farà aumentare la pressione fiscale e contemporaneamente l'evasione, farà diminuire l'occupazione e contemporaneamente i consumi.
Onestamente meraviglia la tenacia con cui questo Governo insiste solo e sempre sulla leva fiscale, come se non conoscesse una strada diversa per amministrare il paese. Da un lato, usa il fisco per deprimere l'economia e le famiglie, dall'altro mostra l'arroganza della trentesima fiducia. Usa il manganello contro i coltivatori diretti, abbandona al loro destino le famiglie terremotate e quelle dei rapiti, affonda gli albanesi, trucca i conti pubblici, mortifica la scuola privata, non dà speranza ai giovani sempre più disoccupati, aiuta i pentiti a mandare in galera cittadini onesti e i delinquenti ad evadere, uccide le piccole e medie imprese, divide l'Italia fra nord e sud, tra figli e figliastri, tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, tra dipendenti pubblici e dipendenti privati, tra categorie e categorie, tra generazioni e generazioni. Dice al ceto medio: stai zitto e pensa solo a lavorare e pagare le tasse perché quello è il tuo unico compito. Altro che società civile! Altro che nuova classe dirigente! Altro che cambiamento!
È lontano il marzo del 1994, quando i cittadini di destra e di sinistra, indipendentemente dal risultato elettorale, pensavano di avere ripreso possesso del loro voto, come avviene in tutti i paesi dell'alternanza. L'arrogante disprezzo nei confronti dei cittadini, dell'elettorato e della democrazia si vede tutti i giorni in Parlamento quando si impedisce il confronto tra opposizione e maggioranza. Ma questo disprezzo ha raggiunto la sua massima espressione di immoralità politica con Di Pietro, lui sì impresentabile, che nel silenzio generale dei mass media annuncia l'inizio della sua campagna acquisti per formare un gruppo parlamentare che non nasce dalle urne. A chi contesta - e fa sorridere che il più agitato sia proprio Dini, ma chi la fa, la aspetti - Di Pietro sembra dire: che «ci azzecca» l'elettorato?
Avete voluto portare indietro il nostro paese e ci siete riusciti. Siamo in piena restaurazione. Siamo tornati in piena prima Repubblica, con finanziarie vuote e clientelari, con l'esclusione del paese reale dalle scelte politiche, con il costante svuotamento del Parlamento, con la depressione dell'economia, con la falsa solidarietà.
Avete portato in piazza fittiziamente un milione di persone per fare cadere il Governo Berlusconi, ma non saprete fermare il crescere vero della protesta, categoria dopo categoria, del nord-est e del sud. Come accennavano La Russa, prima, e Rosso successivamente, il letame sparso in questi giorni dai coltivatori diretti lo dovete vedere come un simbolo nel quale finirete per scivolare; meglio voi che il paese!
In quest'aula la mia protesta può essere espressa solo con il voto contrario su questo decreto, ma l'attentato che si è cinicamente messo in atto da mesi contro le libertà, contro le opposizioni, contro i contribuenti, contro il paese reale, contro i più deboli, contro la verità, contro le riforme, contro le autonomie, contro il


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lavoro, contro la crescita, contro lo sviluppo, contro il buonsenso ed il buon governo, tutto immolato sull'altare del potere per il potere, del centralismo, dell'iniquità fiscale e sociale, dell'accordo elettorale con rifondazione, del doppiogiochismo di sempre, non vi porterà lontano, non ci porterà lontano.
Il ceto medio, che mi sento e mi onoro di rappresentare, lo troverete non solo impresentabile, signori della maggioranza, ma anche insopportabile, sempre più insopportabile e dovrete mostrare tutta la vostra arroganza, intolleranza e demagogia, ma non lo bloccherete, come è giusto che accada, dal momento che per forza si pretende di chiudere la bocca a chi non ha le stesse idee di chi comanda.
Anche se non vi piacciono, le nostre idee, le idee del Polo e della lega - lo voglio ripetere - sono le idee di ventuno milioni di italiani, di cittadini padani (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania), di cittadini toscani, di cittadini meridionali, che non credono più nello Stato centralista, nello Stato sprecone e padrone, ma in un'Italia delle libertà che trova autonomamente le energie e le risorse per crescere, lavorare e per fare della solidarietà reale.
Il rispetto delle idee altrui è al primo posto per un politico democratico e tollerante, che deve sapersi confrontare con gli altri, prima che governare. Attenti a non diventare voi impresentabili, non nel contesto politico, ma in quello civile e democratico (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cuccu. Ne ha facoltà.

PAOLO CUCCU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, dichiaro il mio voto contrario alla conversione in legge del decreto. L'unica cosa certa è che il 1998 ci porta nuove tasse, IVA e deleghe fiscali. È certo, infatti, che attraverso l'aumento delle aliquote IVA verranno sottratti 5.700 miliardi dalle tasche degli italiani. A tale proposito si dice che non verrebbero colpiti beni di prima necessità, ma di fatto aumenteranno del 4 per cento scarpe, abbigliamento e quant'altro.
I provvedimenti inerenti alla spesa pubblica sono una presa in giro. I risparmi di spesa sono, infatti, inferiori a quelli previsti nel documento di programmazione economico-finanziaria. Dovevano aumentare inizialmente a 9.000 miliardi, poi a 6.000 ed ora si parla di 4.000, di cui ben 2.000 saranno rappresentati da aumenti dei contributi sui soliti lavoratori autonomi e dal ritardo nel pensionamento dei dipendenti pubblici e della scuola.
Sono inoltre apparenti i risparmi derivanti dai meri trasferimenti agli enti locali, alle poste e alle ferrovie. I comuni, infatti, finiranno logicamente per aumentare le imposte locali: ICI e quant'altro.
Le ferrovie invece aumenteranno il costo dei biglietti. Si dice di voler favorire lo sviluppo, ma non si è mai visto nessun paese civile favorire lo sviluppo dell'economia attraverso un continuo aumento della pressione fiscale. Si dice di voler favorire l'occupazione, ma riducendo l'orario di lavoro non si creano nuovi posti di lavoro, bensì, al massimo, si redistribuiscono quelli già esistenti.
Ci troviamo di fronte ad un Governo delle tasse la cui legge finanziaria non è in grado di porre sotto controllo la spesa pubblica né di favorire lo sviluppo e l'occupazione. Nel 1998 l'intero sistema fiscale risulterà diverso, ma il guaio è che nessuno è in grado di capire l'effetto complessivo delle riforme volute dal ministro Visco. Sarà infatti questo il risultato di ben diciotto deleghe, la cui attuazione seguirà modalità ancora non chiare.
Anche dopo la presentazione nei giorni scorsi dei decreti delegati molte cose rimangono oscure; solo altri decreti ministeriali e circolari varie potranno forse eliminare qualche motivo di incertezza. Intanto quest'ultima pervade l'intera platea dei contribuenti italiani, e come sappiamo l'incertezza non è scevra di inconvenienti. Fino a quando i contribuenti non saranno messi in grado di capire quale sia


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il destino che li attende, essi saranno spinti a rinviare molte decisioni; in particolare si asterranno nel frattempo dall'investire i propri risparmi nel timore di doverli utilizzare per far fronte agli eventuali ma probabili e quasi sicuri ulteriori oneri fiscali aggiuntivi. Inoltre non incentiveranno la crescita delle proprie attività, stante l'incertezza della pressione fiscale a cui saranno sottoposti; non intraprenderanno attività nuove o nuove imprese per le stesse ragioni. L'incertezza è essa stessa un fattore di tipo recessivo e la riforma complessiva che scaturirà da queste norme è ancora peggiore.
Chi, come me, si riconosce nella posizione del Polo delle libertà lo fa per la modernità, per la sua concezione delle pubbliche istituzioni che tutti certamente vogliamo più agili, più pronte, meno burocratiche, meno oppressive, meno costose per la collettività, ma anche molto più antiche ed efficaci. Al contrario, continuo a vedere delle autentiche linee di tendenza dei nostri avversari del centro-sinistra, al di là delle generiche ed ipocrite enunciazioni programmatiche, una perversa ostinazione a mantenere e a sfruttare la vecchia situazione, fatta di apparati sostanzialmente oppressivi, illiberali ed antidemocratici, costituiti allo scopo di sottomettere i cittadini, e spesso i più deboli, ai ricatti dei partiti, dei sindacati, delle corporazioni rosse e dei più vari centri di controllo economico e finanziario che nel corso degli ultimi venti-venticinque anni sono stati costituiti ed alimentati con denaro pubblico allo scopo di conquistare e mantenere il potere di un regime consociativo.
Abbiamo vissuto, e stiamo vivendo, in un mondo italiano fondamentalmente privo di autentica libertà. Ci hanno illusi, e continuano a volerci illudere, con la retorica e con le menzogne per farci dimenticare la realtà fatta purtroppo di servizi inefficienti, di corruzione, di un fisco sempre più rapace ed iniquo che, come un Robin Hood capovolto, toglie a coloro che lavorano e producono per dare a coloro che già godono di privilegi parassitari di ogni tipo e di ogni categoria.
Questa, colleghi, è per tutti noi una grande battaglia di libertà per esaltare la dignità dell'uomo e per l'affermazione di valori della libera impresa e del lavoro, della produzione di beni e di servizi su cui fondare una vera solidarietà basata su fatti concreti e non più su generiche ed ipocrite enunciazioni, per una più marcata accentuazione ed affermazione dei valori liberaldemocratici nella famiglia, nella scuola e nella società.
Sicuramente questo Governo, con questi provvedimenti e con la costante e quindicinale richiesta di voto di fiducia, non porterà l'Italia molto lontano, sicuramente con grande difficoltà ci porterà in Europa. Se dovessimo arrivarci con questi provvedimenti, saremo sicuramente nudi e scalzi (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vito. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Signor Presidente, voglio provare innanzitutto a ricostruire il significato ed il valore di questa battaglia, che sin dall'inizio per noi non ha mai avuto lo scopo di non far convertire un decreto-legge nei termini, qualunque essi siano, previsti dalla Costituzione. Non abbiamo mai impostato una battaglia per la decadenza di un decreto-legge; stiamo conducendo una battaglia rigorosa che ha due obiettivi: è una battaglia parlamentare e di opposizione.
È una battaglia parlamentare condotta da un Parlamento vilipeso da un Presidente del Consiglio il quale, anche adesso, non riesce a far altro che fingersi distratto piuttosto che ascoltare il dibattito; una battaglia di un Parlamento vilipeso, cioè una battaglia di deputati della maggioranza e dell'opposizione vilipesi nelle loro prerogative e nei loro diritti da tante procedure, come per esempio quella del ricorso al più importante strumento politico parlamentare di cui il Governo dispone per verificare, confermare, rinforzare quella fiducia che è il presupposto costituzionale per la propria esistenza.


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Uno strumento così importante, quale la questione di fiducia, in questa legislatura è stato trasformato dal Governo in un mezzo tattico parlamentare al quale ricorrere per manifestare tutta la propria insofferenza, tutta la propria disattenzione nei confronti del Parlamento e dell'opposizione. Quindi si tratta di uno strumento ai danni del Parlamento, della maggioranza e dell'opposizione, strumento che dimostra come questo Governo, questo Presidente del Consiglio non sa cosa sia il Parlamento. Vorrei avere la speranza che, se il Presidente del Consiglio sapesse cosa sia il Parlamento, non si comporterebbe nei suoi confronti come si è comportato in questa legislatura.
Il Governo Prodi si è contraddistinto per essere un Governo che, pur nascendo dalle ceneri di forze politiche che negli ultimi decenni hanno fatto della forma di governo parlamentare la propria bandiera, più di ogni altro Governo ha disprezzato il Parlamento.
La nostra reazione alla richiesta del voto di fiducia, avanzata in quel modo lunedì sera, invocando un ostruzionismo che non c'era, ma solo perché si manifestavano un po' di opposizione e un po' di intenzione ad illustrare gli «autoridotti» emendamenti presentati al più importante decreto degli ultimi mesi, quello collegato alla manovra finanziaria, che il Governo ha voluto che si discutesse in un ristretto numero di giorni (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia) preferendo ad esso altri provvedimenti che non avevano una scadenza anteriore a quella di questo decreto-legge; quando il Governo ha posto la questione di fiducia che era stata decisa preventivamente in bianco dal Consiglio dei ministri di giovedì scorso, prima ancora che cominciasse l'iter di questo provvedimento in Parlamento (anche questa è una singolare prassi instaurata nell'attuale legislatura)...

ROBERTO TORTOLI. Non si può vedere!

MASSIMO MARIA BERRUTI. Che almeno faccia finta di essere attento! Sta parlando a lei, Presidente Prodi!

PRESIDENTE. Onorevole Vito, prosegua.

MASSIMO MARIA BERRUTI. Sta parlando a lei! Siamo qui da 80 ore!

PRESIDENTE. Siamo tutti qui da 80 ore. La prego, si calmi!

ELIO VITO. ...il senso della battaglia per la difesa dei diritti del Parlamento e delle prerogative del Parlamento che da questo punto di vista...

MASSIMO MARIA BERRUTI. Mi ha detto vaffa...

PRESIDENTE. Mi scusi onorevole Vito. Collega, l'ho già richiamata due volte; non posso richiamarla una terza volta. Stia tranquillo.

ELIO VITO. ...che dal punto di vista di una battaglia per i diritti del Parlamento ... (Commenti del deputato Berruti).

PRESIDENTE. Non è vero.

MASSIMO MARIA BERRUTI. Le do la mia parola che mi ha fatto quel gesto.

PRESIDENTE. Per cortesia, presidente Pisanu, accompagni fuori il collega, così si calma. Non voglio espellerlo io.

ELIO VITO. Da questo punto di vista, colleghi, è un battaglia che abbiamo già vinto, anche e forse proprio per le imprecazioni, per il disagio che in questo momento nei banchi del Governo si stanno manifestando.
È una battaglia che abbiamo già vinto e lo sappiamo, come sappiamo che il Governo, la prossima volta che dovrà ricorrere allo strumento della fiducia, ci penserà e ridarà a questo strumento e a tutto il Parlamento quella dignità che è propria della posizione della questione di fiducia e che il Parlamento intero pretende dal Governo nei suoi confronti.
Sarebbe però sbagliato considerare la battaglia che le opposizioni hanno fatto e


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stanno facendo in queste lunghe ore solo come una battaglia di metodo, di principio e di procedura, pure importantissima, in difesa dei diritti e delle prerogative del Parlamento e dei deputati. È stata ed è anche una forte e lineare battaglia dell'opposizione ai contenuti della politica economia e finanziaria di questo Governo.
Vogliamo rivendicare che su questo metodo e su questi contenuti si sono trovate unite opposizioni diverse e lontane tra loro. Uno dei presupposti che deve costituire il confronto libero in Parlamento tra maggioranza e opposizione è il riconoscimento che le opposizioni sono uguali fra di loro, che non ne esiste una migliore e una peggiore. Le opposizioni non hanno mai accettato e non accetteranno che si possa distinguere tra di esse e che il Governo possa scegliere con quale di volta in volta confrontarsi, penalizzando l'altra (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e misto-CDU).
È una battaglia sui contenuti di una politica economica e finanziaria del Governo Prodi che noi riteniamo essere vessatoria per i cittadini, per le imprese, per le categorie produttive e che soprattutto - questo è l'aspetto più grave - è penalizzante per le possibilità di stabile sviluppo e di ripresa economica che pure il paese, i lavoratori, i cittadini, le famiglie hanno dimostrato di pretendere e volere, con i sacrifici fatti in questi anni. A questi sacrifici il Governo non risponde con il rigore ed il coraggio necessari; risponde invece con un aumento dell'imposizione fiscale, nascondendosi dietro false motivazioni, quali la necessità di un riordino delle aliquote IVA. Abbiamo però dimostrato in queste ore che esistevano tante altre possibilità di riordino oltre la scelta assunta dal Governo con le nuove aliquote IVA, ovvero con l'adozione della nuova imposta rapina, come l'abbiamo definita.
In queste ore siamo orgogliosi di aver dimostrato che il gruppo di forza Italia, come si è potuto vedere in questi giorni e in queste notti, è costituito da centinaia di deputati che hanno tutti preso la parola e sono intervenuti per dieci minuti sul tema in discussione, dimostrando come siano ingiustificate, ingiuste e sbagliate le accuse di quanti, intellettuali e pseudointellettuali, hanno denigrato sin dalla sua costituzione questo movimento politico (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale), per non riconoscere il valore di quegli otto milioni di voti che continuano ad essere tributati agli ideali, ai programmi e ai contenuti di questo movimento politico e delle persone che ne fanno parte.
Costoro, per la loro storia personale, per la loro professione, per la loro formazione culturale - mi avvio a concludere, signor Presidente, ma sento il dovere morale di dare questo riconoscimento - sono quanto di più diverso possa esistere dalla mia storia, dalla mia formazione, dalla mia cultura. Devo però riconoscere che il contributo che questa diversa storia, questa diversa formazione e questa diversa cultura portano al Parlamento è parimenti importante rispetto a quello dei professionisti della politica, a quello dei partiti tradizionali e che è profondamente illiberale e antidemocratico ritenere che la politica debba appartenere solo a coloro che l'hanno sempre fatta o che l'hanno sempre saputa fare e che non debba essere invece veramente accessibile a coloro che provengono dal mondo delle professioni, delle attività produttive e che vogliono cimentarsi anche per fare in modo che la politica sia diversa e migliore di quanto non l'abbiano resa in questi quarant'anni i professionisti della politica e i partiti (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia e di alleanza nazionale).
Concludo il mio intervento ma, signor Presidente, mi consenta di ripetere un sentitissimo ringraziamento, che non è formale, a coloro che più di tutti hanno reso possibile questa nostra battaglia: i dipendenti della Camera - non è un sussulto demagogico - che, come i deputati e come il Parlamento, subiscono un gravissimo pregiudizio antidemocratico nei loro confronti con le diffamanti campagne che ci sono state sulle retribuzioni e sulle liquidazioni. Rispetto a queste campagne, per un pregiudizio demagogico,

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antidemocratico e illiberale, diffuso anche in questo Parlamento, nessuno interviene, come non interviene nelle campagne contro il Parlamento o contro i parlamentari (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Questa battaglia non sarebbe stata possibile senza la dedizione, la professionalità, lo scrupolo che hanno dimostrato tutti i dipendenti della Camera, i funzionari, gli stenografi, i commessi; e non cito oltre perché potrei dimenticare qualcuno. Costoro hanno reso possibile una battaglia di opposizione, una battaglia parlamentare di democrazia e sicuramente riteniamo che questa battaglia sia stata a difesa di tutti i cittadini e di tutti coloro che vivono e lavorano nella più importante istituzione del nostro paese, onorevole Presidente del Consiglio, Romano distratto Prodi (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e misto-CDU - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisanu. Ne ha facoltà.

BEPPE PISANU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non commetterò l'errore di sollecitare l'attenzione del Presidente del Consiglio, anche perché non gradirei il gestaccio che egli ha riservato al collega Berruti.
Mi dicono che, nella sua ultima edizione, il TG1 avrebbe annunciato per la mezzanotte una sorta di resa delle opposizioni. La notizia si commenta da sé, non merita neppure disprezzo (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e misto-CDU).

IGNAZIO LA RUSSA. Bravo!

BEPPE PISANU. Ancora una volta semmai è la verità che si è arresa al TG1.
Signor Presidente, il rigore inusuale - mi consenta di dirglielo con assoluta pacatezza e rispetto - con cui si è voluta disciplinare questa seduta fiume ci ha perfino privati degli indispensabili ed immediati chiarimenti che il Governo doveva darci sull'assalto della polizia agli agricoltori del Veneto. Mi chiedo che cosa sarebbe accaduto se, al posto degli agricoltori senza insegne di parte, ci fossero stati degli scioperanti protetti da CGIL-CISL-UIL (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e misto-CDU).
Fa male il Governo e fa male la maggioranza a sottovalutare l'ira dei lavoratori non protetti...

GIACOMO STUCCHI. L'IRAP!

BEPPE PISANU. ...l'ira degli agricoltori, degli artigiani, dei commercianti, dei pubblici dipendenti, dei liberi professionisti, dei piccoli e medi imprenditori, sui quali si accanisce la politica fiscale ed economica del Governo.
Fanno male il Governo e la maggioranza, anche perché questo ceto medio non è affatto la massa informe, senza valori e senza ideali, degli schemi vetero-classisti di Galli della Loggia. Esso è al contrario un vasto e variegato ceto sociale che ha contribuito più di ogni altro a far grande il nostro paese e ora aspira legittimamente a governare.
Non è normale, non sarà mai normale un paese in cui le confederazioni sindacali - che rappresentano una minoranza netta - dettano la politica economica e la riforma dello Stato sociale; mentre la stragrande maggioranza dei ceti produttivi è costretta a subire e, se protesta, a prendere botte!
Ci è stato chiesto, spesso con toni propagandistici, il perché della strenua resistenza del Polo e della lega a questo provvedimento. Il perché è chiaro come il sole! Innanzitutto, vogliamo dire «no» ad un decreto-legge che spreme 5.100 miliardi dalle tasche dei ceti produttivi sottraendoli agli investimenti, allo sviluppo e all'occupazione. Vogliamo dire «no» ad una linea di politica economica che porterà in Europa un paese stremato e diviso; sempre più diviso tra il nord, bloccato dalle tasse, e il sud immiserito dalla disoccupazione. È non di meno


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diviso questo paese da una politica sociale che mette i lavoratori dipendenti contro i lavoratori autonomi, i dipendenti pubblici contro i privati, gli occupati contro i disoccupati, i pensionati contro le nuove generazioni.
E infine vogliamo dire «no» al tentativo del Governo di legare le mani all'opposizione, impedendole persino di portare al voto i suoi emendamenti e le sue proposte.
Ma noi non siamo qui, come vorrebbe il TG1 e come dice il personaggio della tragedia, per «dire no e morire»; noi siamo qui per dire al paese che abbiamo una proposta alternativa alla politica economica e sociale di questo Governo. I nostri innumerevoli interventi nella discussione di questi giorni hanno dimostrato che l'Italia può e deve crescere, riducendo le tasse, aumentando gli investimenti e creando così nuova ricchezza e nuovi posti di lavoro.
A chi, anche in questi momenti, ci interroga sull'esito della battaglia parlamentare, noi diciamo che sul piano della conta numerica l'esito è scontato; ma la battaglia politica la vinciamo noi, perché la nostra protesta sulle tasse e la nostra proposta per lo sviluppo sono arrivate agli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale, del CCD e misto-CDU), perché l'opposizione ha ripreso vigore con le sue idee e con l'impegno dei suoi deputati! È questa una opposizione che non si fermerà qui, ma proseguirà naturalmente nel prossimo confronto sulla finanziaria e sul bilancio dello Stato.
In queste ore ci sono giunti - come si dice - per le vie brevi inviti diversi a confrontarci, a dialogare con la maggioranza, tanto sulla finanziaria quanto sulle riforme istituzionali. Ma il confronto, colleghi della maggioranza, lo avete rifiutato voi, ponendo la questione di fiducia senza motivo e senza ragione alcuna. Siete voi che vi siete rifiutati di discutere e di votare i nostri emendamenti; probabilmente perché avevate paura delle divisioni a cui potevano andare incontro sia i diversi rami dell'Ulivo sia i contrapposti collaterali di Bertinotti e del ministro Dini: due sòdali (Commenti) della maggioranza, divisi da tutto, fuorché dal potere...

PRESIDENTE. Colleghi, l'accentazione delle parole la vediamo successivamente.
Prosegua, onorevole Pisanu.

BEPPE PISANU. Dopo ottanta ore di opposizione, dovrebbe essere consentito sbagliare un accento (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia - Commenti).
Volete riprendere il confronto con l'opposizione? Bene, rinunziate ai voti di fiducia arbitrari e all'ostruzionismo di maggioranza! Restituite al Parlamento i poteri di cui lo avete espropriato, appaltando ai sindacati amici la riforma dello Stato sociale! Rivedete le posizioni sulla finanziaria e si potrà discutere più di quanto non si sia fatto in questi giorni. Ed in ogni caso, aspettatevi da noi quel che è nostro dovere democratico assicurarvi: l'opposizione! Un'opposizione senza sconti e senza omaggi; un'opposizione non riducibile alle «comodità» della maggioranza, ma soltanto agli interessi generali dell'Italia e degli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale, della lega nord per l'indipendenza della Padania, del CCD e misto-CDU - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Comino. Ne ha facoltà.

DOMENICO COMINO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, l'avversione del nostro gruppo verso questo provvedimento muove in parte da motivi formali, ma soprattutto da motivi sostanziali.
Tra i primi, molti colleghi, hanno già ricordato l'effetto scatenante della questione di fiducia posta quando, da parte delle opposizioni, non vi erano atteggiamenti ostruzionistici dichiarati, anzi, proprio dal nostro gruppo, signor Presidente del Consiglio e signor ministro per i rapporti con il Parlamento, venivano segnali di disponibilità, con il ritiro di oltre


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300 emendamenti che, se mantenuti, questi sì, avrebbero palesato un'effettiva volontà ostruzionistica.
Il percorso parlamentare di questo decreto-legge è stato reso più arduo anche da atteggiamenti tribunizi e sicuramente poco concilianti di alcuni presidenti di gruppo, che, sia in aula sia in Conferenza dei presidenti di gruppo, hanno continuato a versare benzina sul fuoco determinando la decisione della seduta fiume, alla quale abbiamo cercato di opporci, ma che abbiamo comunque accettato serenamente, convinti come siamo che l'impegno di molti colleghi nella maratona oratoria di questi giorni e di queste ore sia comunque la migliore garanzia contro chi vorrebbe ridurre quest'aula ad un ruolo, esclusivamente notarile, di ratifica di decisioni prese altrove (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania, di forza Italia, di alleanza nazionale, del CCD e misto-CDU).
Nessuno Aventino dunque, ma un determinato, serio e coerente impegno parlamentare che cercheremo di ribadire, a partire dalla prossima finanziaria, ogni qualvolta il principio di rappresentanza e di sovranità popolare sia messo in discussione da comportamenti velleitari, arroganti ed antidemocratici.
Siamo altrettanto convinti che la conversione di questo decreto-legge nella giornata di domani, checché se ne dica, sia una palese violazione del dettato costituzionale che prevede, al terzo comma dell'articolo 77, la perdita di efficacia dei decreti-legge non convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione.
Riteniamo di sollevare la questione e di sottoporla all'autorevole attenzione del Capo dello Stato già a partire dai primi minuti della giornata di domani, sabato 29 novembre.
E se, nonostante la conversione, il decreto-legge perderà di efficacia, la responsabilità sarà da addebitarsi in toto a chi ha preterintenzionalmente voluto determinare le condizioni che a ciò hanno portato.
Questioni di forma, si dirà! Non solo; vi sono anche e più pregnanti questioni di sostanza, poiché questo decreto-legge, considerato complementare alla manovra di bilancio per il 1998, va seriamente ad inficiare il flusso circolare del reddito, senza beneficio alcuno per la collettività delle imprese e delle famiglie.
In un sistema economico estremamente semplificato, in cui i flussi di denaro e di merci muovano esclusivamente tra imprese e famiglie, si verifica che le famiglie spendono tutto il loro reddito nell'acquisto di beni e servizi prodotti dalle imprese; mentre le imprese mantengono la loro produzione esattamente uguale alle vendite, pagano alle famiglie, sotto forma di salari, interessi e profitti, tutto il denaro che ricevono dalla vendita dei beni e servizi.
È questa una situazione virtuale, in cui i pagamenti dei fattori sono uguali al valore della produzione corrente; il reddito totale è uguale al reddito disponibile. Siccome le famiglie spendono tutti i loro redditi in beni, i redditi delle imprese sono uguali a quelli delle famiglie. È questa una situazione di equilibrio neutrale, in cui niente viene mai tolto e niente viene mai immesso nel flusso finanziario, ma soprattutto non vi è crescita complessiva del sistema. Nella realtà vi sono invece sia immissioni che prelievi.
Nel caso di questo decreto - da annoverarsi nei classici provvedimenti di politica fiscale - esso determina nessuna immissione nel sistema famiglie-imprese, ma solo prelievi ad entrambe.
Alle imprese, che vedono aumentare i loro costi di produzione come conseguenza dell'aumentato prezzo delle materie prime, a cui deve aggiungersi l'azione sinergica della cosiddetta IRAP che, pretestuosamente, mira alla semplificazione del numero di imposte, ma che in realtà finisce per tradursi in una maggiore pressione fiscale, stante l'indeducibilità della nuova imposta rispetto a quelle che essa intende sostituire.
Predicate, signor Presidente del Consiglio, in ogni dove il rilancio dello sviluppo e dell'occupazione, e poi vi comportate in senso opposto perché, di fatto, aumentate i costi delle imprese serie - quelle non

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assistite dallo Stato, per intenderci, e che sono per la massima parte imprese padane (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania) - impedendo loro il confronto sul mercato, ed aumentate, per contro, le occasioni di illegalità, favorendo il cosiddetto «sommerso», cioè di quelle imprese fuorilegge che rinunceranno magari al numero di partita IVA, ma non sicuramente ad esitare i loro prodotti ed i loro servizi in una condizione di pressoché totale evasione fiscale ed a avvalersi di manodopera in nero, alla faccia di qualunque politica, cari amici della sinistra, trasparente ed efficiente di riduzione dell'orario di lavoro (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania, di forza Italia e di alleanza nazionale).
Di questo passo, non avrete più bisogno di alcun tavolo di concertazione tra parti sociali, perché vi saranno sempre meno lavoratori disposti a farsi rappresentare dai sindacati romani ed a subire i danni della contrattazione collettiva.
Ma prelevate soprattutto alle famiglie, che dite di voler difendere con un'aumentata attenzione alle fasce sociali deboli, anche qui, con una evidente disparità di trattamento tra famiglie padane e famiglie del Mezzogiorno.
Ad invarianza di consumi, per le prime, questo provvedimento si tradurrà in un prelievo coatto e forzoso di 300 mila lire annue, a fronte di sole 200 mila lire per le seconde!
Ed allora, il vero beneficiario della vostra azione politica - cioè del vostro ennesimo furto - è ancora, nunc et semper, lo Stato; uno Stato che costa troppo, e che non permetterà mai ad alcuno di metterlo in discussione.
Anzi nei confronti di chi osa farlo, non si usano le armi proprie della politica, bensì si scatenano le «armi improprie» delle istituzioni, siano esse le dimenticanze silenziose dei mezzi di informazione e della televisione di Stato, le perquisizioni della polizia giudiziaria, gli inviti a comparire ed i rinvii a giudizio della magistratura. Tra le dichiarazioni rincorse ed affermazioni negate, la tesi prevalente del Governo e di certuni esponenti della maggioranza, vi è quella secondo la quale questo provvedimento rappresenta uno dei pilastri della manovra finanziaria per il 1998, costituendo - solo - più della manovra sulle entrate ed è fondamentale per l'ingresso della lira nel sistema europea a moneta unica.
Ammesso e non concesso che sia così, non è assolutamente certo che tutto il gettito generato da questo provvedimento servirà a risanare i conti dello Stato al fine di centrare l'obiettivo del rapporto deficit/PIL al 3 per cento.
È invece certo che parte del gettito sarà sicuramente destinato ad incrementare la contribuzione italiana - mediante il meccanismo delle risorse proprie - a vantaggio del bilancio dell'Unione europea in quanto tale meccanismo di contribuzione si basa sul gettito IVA degli Stati nazionali.
È quindi certa una maggiore contribuzione dello Stato italiano al bilancio comunitario, contrapposta ad una fase di sostanziale incertezza nell'utilizzo, da parte delle aree elette ad obiettivo 1, 2, e 5b, dei fondi strutturali a ciò destinati.
Ma è certo pure, dal momento che questo decreto ha la funzione di anticipare le entrare di cassa rispetto alla manovra finanziaria, che produrrà i propri effetti a partire dal gennaio 1998, l'innesco automatico di una aritificiosità di bilancio che vede, da un lato, la certezza di entrate anticipate e, dall'altro, l'incertezza dei tagli alla spese e la posticipazione delle uscite.
Signor Presidente della Camera, ho già avuto modo di ricordarle in un precedente intervento, che i trubaires occitani di dieci secoli or sono si rivolgevano alla capitale chiamandola «Rome tricheuse», cioè «Roma che bara». Per le proprie personali convinzioni, mai diffuse nel volgo popolare, affrontavano il giudizio di Santa romana inquisizione e molti di essi finivano al rogo, ma avevano maledettamente ragione (Applausi dei deputati dei gruppi

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della lega nord per l'indipendenza della Padania e di forza Italia - Congratulazioni)
!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giancarlo Giorgetti. Ne ha facoltà.

GIANCARLO GIORGETTI. Signor Presidente, colleghi, il Governo delle illusioni e degli illusionisti ci regala un'altra perla con questo decreto-legge. «Mago» Ciampi e «mago» Prodi non perdono occasione per ribadire in televisione, in ogni consesso, che tutto va bene, che in particolare i parametri di Maastricht saranno rispettati (il famoso 3 per cento). Poi però si contraddicono platealmente, ricorrendo periodicamente a manovre e manovrine con carattere d'urgenza, il che «sconferma» le loro plateali dichiarazioni.
Inviterei soprattutto i colleghi della maggioranza a riflettere. Quante volte abbiamo sentito ripetere tali affermazioni di estrema sicurezza anche in quest'aula e poi siamo stati chiamati ad approvare la manovrina del giugno 1996, la manovrina correttiva del marzo 1997 e oggi questa manovra del settembre-ottobre, il decreto-legge sull'IVA. E non solo. A questo proposito devo dire che le facoltà predittive, questa capacità di magia, di predizione, di «mago» Prodi sono ulteriormente confermate. Se qualcuno ha la premura di andare a rileggersi la risoluzione approvata da questa Camera il 20 giugno 1997, vedrà che al punto 14 era giusto scritto che «il provvedimento di manovra finanziaria dovrà realizzare, unitamente ai disegni di legge finanziaria e di bilancio ed agli eventuali provvedimenti di urgenza in materia di entrata, che si rendessero necessari per completare la manovra, un miglioramento dell'avanzo primario (...)». Quindi la maggioranza è in grado, con un anticipo addirittura di qualche mese, di prevedere un intervento di urgenza; siamo arrivati a questo punto! Noi ci dichiariamo impotenti a competere con così tanta bravura! Certo è che mi sembra un po' improprio parlare di un provvedimento d'urgenza sulla manovra 1998-2000 e poi emanarlo il 29 settembre 1997, facendo quindi ricadere i suoi effetti anche sul 1997. Qualcosa evidentemente non ha funzionato.
Ma il decreto-legge sull'IVA non è solitario, si è coniugato con il blocco delle pensioni, un altro decreto-legge di cui nessuno parla, chissà come mai. I compagni di rifondazione comunista, i sindacati, nessuno ha osato intervenire sulla questione. E allora - mi fa piacere che ci sia anche il ministro Visco - questo Governo ce l'ha tanto con il valore aggiunto, così da colpire con l'IVA, che colpisce i consumatori finali, così come colpisce con l'IRAP, o meglio con l'«IVAP», direi, il valore aggiunto della produzione delle imprese e quindi va a colpire in particolare le piccole e medie imprese, gli artigiani, i commercianti. Per quale motivo ce l'avete tanto con il valore aggiunto? Il valore aggiunto è la produzione che si crea, la capacità dell'uomo di produrre ricchezza.
Con tale manovra si ricorre ad un'imposta indiretta che i manuali di scienza delle finanze definiscono regressiva, nel senso che - per capirci - colpisce con minor sacrificio il signor Agnelli rispetto al povero Cipputi. Comunque, si tratta di manovre portate avanti da un Governo di sinistra.
Mi chiedo come mai un Governo capace di compiere miracoli nelle sedi europee non riesca a fare nulla per risolvere il problema delle quote latte. Si dice che dietro queste multe ci sia un rigoroso diktat di Bruxelles e che quindi non si possa fare nulla. Ma allora, Presidente del Consiglio Prodi, chieda al «mago» Ciampi come abbia fatto a sistemare la questione dell'Alitalia con la ricapitalizzazione di 2 mila miliardi, che ora la Comunità ci contesta (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Come ha fatto a sistemare il buco del Banco di Napoli con un aiuto indiretto, ma chiaramente pubblico, da parte di istituti di credito appartenenti completamente al Tesoro? Come avrà fatto a convincere il commissario Van Miert? E nessuno ha niente da dire.


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Ancora, come avrà convinto Bruxelles ad accettare l'ennesima proroga della fiscalizzazione degli oneri sociali al sud (2 mila miliardi)? Perché non riuscite a sfruttare le doti di convincimento, che il ministro Ciampi usa a Bruxelles, per le quote latte?
Non penso ad altre persone in sostituzione del ministro Pinto; ma forse sarebbe opportuno che la delega su tale questione fosse assunta - date le sue capacità di illusionista, di mago - dal ministro Ciampi.
Vorrei concludere il mio intervento riprendendo una questione veramente grave accaduta oggi alla Telecom in spregio ad un milione e mezzo di piccoli azionisti, che avete convinto a sottoscrivere le azioni: signor Presidente del Consiglio Prodi, il suo uomo si è «arroccato» come ha scritto il Corriere della Sera; ha vinto, hanno vinto ancora una volta i boiardi di Stato. Nell'azienda Telecom, cosiddetta privatizzata, continuerà a comandare non una democrazia industriale progredita ed evoluta, ma ancora voi con la vostra politica. Mi dispiace che il PDS, l'onorevole D'Alema, abbiano chinato il capo; hanno vinto ancora una volta i democristiani.
Sono giovane ed in quest'aula vi è sicuramente chi, più anziano di me, ricorderà quello che accadeva circa trent'anni fa; io posso comprendere quei fatti solo dalle immagini di repertorio. Ebbene, trent'anni fa c'era un Governo guidato fondamentalmente dalla democrazia cristiana e c'era un partito di opposizione che si chiamava partito comunista italiano, con un simbolo chiaro: la falce ed il martello.

GUSTAVO SELVA. Non è cambiato niente!

GIANCARLO GIORGETTI. Fuori, nelle piazze, nelle strade, nelle università vi erano scontri tra la polizia e giovani manifestanti: lacrimogeni, fasce tricolori, poliziotti; stesse identiche immagini di oggi. Allora il PCI e la sinistra erano schierati con questi giovani che dimostravano, ed un poeta a voi ed a me particolarmente caro, Pier Paolo Pasolini, raccontando dell'episodio di valle Giulia, si schierava con la polizia, cioè con i figli dei contadini e non con i figli dei borghesi che si divertivano a fare la rivoluzione (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania e di alleanza nazionale). In questi giorni ho visto in televisione certe immagini: cariche della polizia ordinate magari da quei giovani che, diventati anziani e passati al Governo, hanno dato tale ordine. Ho visto un partito, ex partito comunista, che dovrebbe chiamarsi partito della destra storica, sostituire la falce delle campagne con il manganello della polizia (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Siete diventati il partito del manganello e martello.

DANIELE ROSCIA. Vergognatevi!

GIANCARLO GIORGETTI. Voglio concludere invitandovi ad una riflessione: se Pier Paolo Pasolini fosse vivo, si sarebbe schierato con la polizia che manganellava o con gli agricoltori in difesa del loro lavoro e della loro tradizione? Ricordatevelo, il polo... scusate, il popolo vince sempre (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania, di forza Italia e di alleanza nazionale). Il polo padano, non certo quello delle libertà, vince sempre! Il popolo sta con gli agricoltori e con noi in questa battaglia (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Calzavara. Ne ha facoltà.

FABIO CALZAVARA. Spetta a me il compito di svolgere l'ultimo intervento «legale» di opposizione al provvedimento in esame, prima dello scoccare della mezzanotte. Ed il mio pensiero va ad altre persone che stanno conducendo una dura opposizione; va agli allevatori dei COBAS che stanno facendo fuori di qui, all'intemperie,


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un'opposizione dura e giusta perché sono stati derubati dei loro diritti, dei loro denari e, dopo la carica della polizia, anche della loro dignità. Mi auguro che attraverso Radio radicale si tengano in contatto con noi, perché siamo uniti in un'unica battaglia...

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia!

DANIELE ROSCIA. Bisogna richiamarli, Presidente, come fa con noi!

PRESIDENTE. Prego, onorevole Calzavara.

FABIO CALZAVARA. Se la carica della polizia, ordinata da chi sta in alto, può avere una parvenza di legalità, perché volta a tutelare l'ordine pubblico, non capiamo perché tale rispetto della legalità debba far sparare i lacrimogeni ad altezza d'uomo. Non riusciamo a capire perché, in nome di questa legalità, si distruggano i mezzi, i trattori. Non riusciamo a capire a quale legalità ci si richiami nel momento in cui si distruggono i viveri, le damigiane di vino, i ricoveri. Questa non è legalità, è oppressione deficiente, così com'è deficiente, in tutti i sensi, lo Stato: di democrazia, di funzionalità, di organizzazione, di rispetto (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Per la prima volta vediamo che tutta l'opposizione, massicciamente, si impegna contro un provvedimento che viene considerato ingiusto. Tuttavia, noi della lega nord per l'indipendenza della Padania avremmo voluto vedere il Polo seriamente impegnato nei confronti di altri provvedimenti indegni perché calpestano qualsiasi diritto di libertà, di libera impresa, di avere uno Stato che funziona e che rispetta le regole. Faccio riferimento ai provvedimenti scandalosi relativi al Banco di Napoli, alla Sicilcassa, al Giubileo, ai lavori socialmente «inutili» e così via.
Se questa vicenda può essere il prodromo di un'alleanza, noi della lega nord per l'indipendenza della Padania vi ricordiamo che c'è un principio assolutamente irrinunciabile, al quale devono aderire coloro i quali intendono lavorare con noi: il diritto all'autodeterminazione dei popoli della Padania.
Sul provvedimento relativo all'IVA, tutti abbiamo sentito dire che esso è necessario per entrare in Europa. Ma noi della Padania in Europa ci siamo sempre stati e ci saremo in ogni caso ed indipendentemente dalla bancarotta politica, sociale ed economica dello Stato (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Sappiamo che in Europa vi sono aliquote IVA dello zero per cento ed il massimo è del 17 per cento. Ebbene, noi passiamo ad un'aliquota del 20 per cento, anticipando i tempi, solo per riuscire a coprire buchi determinati dal malgoverno.
Devo dire, a proposito di IVA, che ho avuto al riguardo un'esperienza personale all'inizio della mia attività di piccolo imprenditore indipendente; ho infatti sempre amato l'indipendenza. Venticinque anni fa, allorquando compilai la mia prima dichiarazione IVA...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego di fare un po' di silenzio.

FABIO CALZAVARA. Non avendo allora grossi giri di affari, tenevo la contabilità per conto mio, illudendomi di riuscire a farlo. Purtroppo, proprio in riferimento alla dichiarazione IVA, mi accorsi, a quell'epoca, di aver commesso un piccolo errore contabile, ossia di aver versato 20 mila lire in meno del dovuto. Ebbene, gli stessi funzionari dell'ufficio IVA dai quali avevo ricevuto l'intimazione a pagare una multa di 500 mila lire (Alla mezzanotte del 28 novembre i deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale, della lega nord per l'indipendenza della Padania, del CCD e misto-CDU si levano in piedi ed applaudono lungamente).

DANIELE ROSCIA. Vai a casa, mortadella!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, come è noto la partita finisce al novantesimo minuto.


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MAURO FABRIS. Bravo Mussi!

PRESIDENTE. Onorevole Calzavara, la prego di proseguire il suo intervento, non si lasci intimidire dagli applausi.

FABIO CALZAVARA. Onorevole Presidente, è impossibile parlare in queste condizioni, la prego di riportare un po' d'ordine.

PRESIDENTE. È disordine, onorevole Calzavara. Onorevoli colleghi, voi ben comprenderete che il tempo a disposizione dell'onorevole Calzavara decorre in ogni caso.

FABIO CALZAVARA. Signor Presidente, vorrei raccontare quanto mi è accaduto in quanto lo ritengo illuminante. Ebbene, gli stessi funzionari dell'ufficio IVA mi dissero scandalizzati: è una vergogna che lei abbia pagato questa multa perché grosse ditte, con fatturati miliardari e con numerosi dipendenti, non hanno pagato nulla, così come nulla hanno pagato le ditte che non hanno fatto alcuna dichiarazione IVA e sono state scoperte. Venticinque anni dopo siamo nella stessa situazione, con la differenza, però, che oggi abbiamo un debito che non è più pagabile. Poiché è trascorsa da poco la mezzanotte, e gli applausi dei colleghi che hanno sottolineato questo momento solenne mi costringono a limitare il mio intervento, vorrei concludere leggendo...

PRESIDENTE. Mi immagino che cosa accade a Capodanno, onorevole Calzavara!

FABIO CALZAVARA. ...una dichiarazione: a nome di tutta l'opposizione, unita nella lotta contro l'arbitrio e l'arroganza del potere, esprimo il convincimento che il decreto sull'IVA è decaduto alla mezzanotte di venerdì 28 novembre 1997; pertanto invito il Presidente della Repubblica, nella sua veste di custode della Costituzione, a non promulgare la legge di conversione approvata fuori tempo massimo (Vivi applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania, di forza Italia, di alleanza nazionale, del CCD e misto-CDU).

DOMENICO COMINO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMENICO COMINO. Signor Presidente, desidero comunicare a lei e a tutta l'Assemblea l'iniziativa che, a nome del mio gruppo, ho intrapreso alle ore 24 di ieri, venerdì 28 novembre 1997, indirizzando all'onorevole Presidente della Repubblica la lettera di cui ora do lettura.
«Egregio signor Presidente della Repubblica, come le è noto il Governo ha emanato il 29 settembre 1997 il decreto-legge n.328, recante disposizioni tributarie urgenti, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il giorno 30 settembre 1997, che è entrato in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n.228, anno 138 del 30 settembre 1997, articolo 8 del decreto-legge n.328. Tale decreto ha avuto l'iter di conversione alle Camere ed è stato definitivamente approvato in data 29 novembre 1997. Balza agli occhi che la definitiva approvazione è intervenuta oltre il limite previsto dall'articolo 77, comma 3, della Costituzione che prevede la conversione in legge entro 60 giorni dalla data di pubblicazione, ossia dal 30 settembre 1997. Infatti, l'interpretazione del Presidente della Camera di non computare nel termine il giorno indicato della pubblicazione non ha pregio per due ordini di motivi. Il primo è che la ratio della norma è quella di assicurare l'attività di Governo nei casi di necessità ed urgenza che contempera, per un verso, l'esigenza dell'immediata regolamentazione e per altro verso quella di non sottrarre al Parlamento la capacità di legiferare, per cui il termine di 60 giorni deve comprendere il giorno iniziale, sia perché in effetti il provvedimento ha avuto forza e vigore dal giorno della sua pubblicazione, sia perché deve essere ridotto al minimo il termine di conversione per meglio attribuire alla Camera la sua


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prerogativa legislativa. Il secondo motivo è che i criteri adottati dal Presidente della Camera sono i criteri adottati per la generalità dei termini di diritto civile e penale, ma che certamente non hanno attinenza nell'ambito del diritto costituzionale, e soprattutto nell'ambito di una norma speciale, o meglio, eccezionale, quale eccezionale è la legislazione d'urgenza. Tutto ciò le comunico nella sua prerogativa di garante della Costituzione. La invito a non avallare il grossolano errore, già commesso dal Presidente della Camera, controfirmando la legge di conversione del decreto-legge n.328 approvata il 29 novembre 1997, cioè il sessantunesimo giorno dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 30 settembre 1997. Con ossequio, onorevole Domenico Comino».
Questo è quanto ho inteso comunicare al Capo dello Stato. Nel contempo ricordo ai colleghi che il nostro gruppo continuerà nella sua battaglia civile e democratica delle dichiarazioni di voto, anche per un senso di dignità morale e di solidarietà verso tutti i colleghi che con noi hanno intrapreso questa battaglia parlamentare (Vivi applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania, di forza Italia, di alleanza nazionale, del CCD e misto-CDU).

PRESIDENTE. Sulla questione posta dall'onorevole Comino, darò la parola, ove ne sia fatta richiesta, ad un oratore per gruppo, per non più di cinque minuti ciascuno.

IGNAZIO LA RUSSA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il collega Comino, ponendo un'importante questione, ha dato lettura di una lettera inviata, o che sta per inviare, immagino, al Presidente della Repubblica. Egli dà per scontato che lei, signor Presidente, non valuterà positivamente la tesi che le opposizioni concordemente le sottopongono. Riteniamo, invece, di non doverlo dare per scontato.
Noi riteniamo di doverle rappresentare una situazione giuridica, interpretativa se vuole, che può benissimo consentirle, come noi riteniamo doveroso, al termine di questo giro di interventi, di sospendere la seduta e dichiarare decaduto il decreto sull'IVA.
Lei stesso, signor Presidente, ha già in qualche modo anticipato, peraltro - ed ecco la ragione della lettera indirizzata a Scàlfaro dall'onorevole Comino -, il suo convincimento, facendo riferimento alle regole generali sul computo dei termini contenuti nel codice civile e poi, in particolare, alla prassi parlamentare che si è instaurata nelle legislature precedenti.
Inizierei da quest'ultima. È vero, vi è una prassi secondo la quale la conversione, intervenendo nel sessantunesimo giorno, è considerata lecita in quanto - secondo, appunto, probabilmente, l'interpretazione che lei dà, facendo riferimento alle norme del codice civile - non viene computato il giorno della pubblicazione. Il dies a quo non viene computato nel termine: lo imparano i ragazzi al secondo anno di giurisprudenza.
È vero, qualunque sia stata la motivazione, che alcuni - non tutti - decreti sono stati convertiti al sessantunesimo giorno, senza che mai da parte delle opposizioni venisse sollevata la questione. Ma il punto è esattamente questo, signor Presidente: non vi è mai stata contestazione alcuna da parte di nessuna opposizione, sia nel periodo lungo del centro-sinistra, sia nel brevissimo periodo del Governo Berlusconi (durante il quale è stato convertito al sessantunesimo giorno il decreto Tremonti, lo sappiamo benissimo), sia nel momento successivo del Governo Dini o dell'attuale esecutivo.
Comunque, complessivamente i casi non sono poi così numerosi: credo siano sedici in totale.
Questa volta l'opposizione contesta la prassi che si è illegittimamente instaurata, senza per fortuna divenire consuetudine. Quella sì, sarebbe fonte di diritto, ma una


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normale prassi parlamentare, nel momento in cui viene sollevata la questione, pone il Presidente nella necessità di rifarsi non alla prassi stessa, che è appunto l'oggetto della nostra contestazione, ma alle fonti normative, alle fonti di diritto e alle regole generali di interpretazione, che esulano da ciò che nel frattempo si è verificato.
Allora, l'altro elemento che lei ci ha indicato, cioè le regole generali contenute nel codice civile in ordine al computo dei termini, a nostro avviso non hanno nulla a che vedere e non possono avere nulla a che vedere, né possono avere applicazione nell'ambito costituzionale per la diversità evidente di piani tra legislazione ordinaria e legislazione costituzionale.
Non ho il tempo e forse neanche la professionalità, la capacità che altri sicuramente più di me hanno, per sviluppare a lungo questo discorso, ma vi è un argomento di facile, immediata comprensione, signor Presidente ed onorevoli colleghi: se valessero le norme del codice civile, secondo le quali non si computa il primo giorno, il dies a quo, dovrebbe valere allora anche la norma contenuta nello stesso codice civile, in base alla quale il dies ad quem, cioè l'ultimo giorno, qualora sia festivo, viene prorogato al giorno successivo.
Questa norma, difatti, che ha pieno valore nella procedura civile e nella procedura penale, non ha mai visto alcuna applicazione, neanche in via interpretativa, in sede parlamentare e costituzionale. Non ha assolutamente nulla a che vedere quel piano con questo (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia, della lega nord per l'indipendenza della Padania, del CCD e misto-CDU)! Così come ci pare evidente, ed è la ragione più forte, che si deve ricordare che i padri costituenti, forse per il complesso del tiranno, furono molto restrittivi nel consentire la possibilità di vigenza dei decreti-legge e puntarono il dito non soltanto sull'eccezionalità, come è già stato ricordato, ma sulla temporaneità: sessanta giorni di efficacia, non uno di più.
Certo, probabilmente non avevano previsto che la pubblicazione potesse coincidere con l'inizio della vigenza, ma il dato fondamentale rimane ed è quello che si evince da tutti i lavori preparatori: in nessun caso sarebbe stato possibile che un decreto-legge avesse una vigenza, non illegittima e non fonte di illecito, superiore ai sessanta giorni.
Lo abbiamo fatto per troppi anni l'errore di non considerare a fondo la questione, perché esisteva la prassi della reiterazione lecita e consentita. Oggi non c'è più e tocca a lei, signor Presidente, se vuole, rimettere questo dato sulla giusta riga, altrimenti dovremo esperire altre strade (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia, della lega nord per l'indipendenza della Padania, del CCD e misto-CDU)!

PRESIDENTE. Colleghi, nessun altro ha chiesto di parlare su questa materia e allora vorrei precisare che una questione analoga fu posta nella scorsa legislatura dall'onorevole Grimaldi, che allora era nell'opposizione, a proposito del decreto Tremonti. Gli dissi...

ANTONIO SODA. Presidente, io avevo alzato la mano per chiedere la parola!

PRESIDENTE. Chiedo scusa, non l'avevo vista, né mi è stato riferito da alcuno!
Constato, comunque, che non vi sono altri deputati che chiedono di parlare.
Prego, onorevole Soda. Ne ha facoltà.

ANTONIO SODA. Signor Presidente del Consiglio, Presidente, colleghi, la questione sollevata in ordine alla presunta intervenuta perdita di efficacia del decreto al nostro esame merita una considerazione anche della maggioranza e della sinistra democratica, in particolare.
A noi sembra che la questione all'evidenza abbia contenuti e forma di puro pretesto per tentare, al di là di ogni ragionevole dialettica parlamentare, un sovvertimento delle nostre regole democratiche e dei nostri principi costituzionali.


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I colleghi sanno che dottrina e giurisprudenza, contrariamente a quanto ha assunto il collega che mi ha preceduto, onorevole La Russa, hanno posto l'accento e l'attenzione sul tema del processo di formazione dei decreti-legge, rilevando da una parte la concezione e la natura della emanazione, dall'altra la funzione ed il ruolo della pubblicazione.
Orbene, dottrina e giurisprudenza prevalenti sottolineano che soltanto con la pubblicazione si completa l'iter di formazione del decreto-legge ai fini proprio - si aggiunge da parte di questa dottrina - del computo dei termini di vigenza del decreto stesso, che i padri costituenti hanno voluto indicare in un periodo di sessanta giorni.
I padri costituenti non hanno indicato o non hanno definito una deroga al principio generale del computo dei termini, che è immanente per una lunga tradizione nel nostro ordinamento - dies a quo non computatur in termine - ma che il legislatore ha voluto precisare non soltanto in sede di diritto sostanziale nel codice civile all'articolo 2963, che esclude dal computo dei termini o di un termine finale il giorno iniziale, ma anche con riferimento a tutti i procedimenti, cioè a quegli atti conclusivi di un iter processuale, quale è quello di formazione dei decreti-legge. Il legislatore ha cioè voluto escludere un'altra volta, in sede procedimentale, e quindi nell'articolo 155 del codice di procedura civile, che nel computo dei termini a giorni o ad ore si escludano il giorno e l'ora iniziali.
Questa, del resto, è stata la prassi costituzionale del nostro paese per cinquant'anni, anche quando si è trattato di ritenere validamente convertito il decreto-legge proposto dal ministro Tremonti.

DOMENICO COMINO. La prassi non è legge!

ANTONIO SODA. Questa è la prassi costituzionale che nelle grandi democrazie, Comino, è il segno della vita democratica!

DANIELE ROSCIA. Questa non è più una democrazia!

ANTONIO SODA. A queste regole invitiamo il Presidente della Camera ad attenersi.
Cari colleghi, la democrazia vive e si rafforza quando sono rispettate tutte le libertà, quella della opposizione e delle minoranze, che hanno diritto di esprimere anche con l'ostruzionismo il loro dissenso, ma anche la libertà della maggioranza, che ha il diritto ed anche l'onere ed il dovere di governare, di rispondere secondo le sue proposte, secondo i suoi principi ai problemi del paese.
La democrazia sono le regole e dunque per l'applicazione e la vita della democrazia occorre freddezza e razionalità.
La politica è sentimento e passione. Abbiamo rispettato serenamente il vostro impegno, la vostra passione nel proclamare le vostre idee, nel proporre le vostre soluzioni. Ora, con altrettanta serenità, nel momento della prevalenza della ragione e quindi della freddezza e quindi ancora dell'essenza della democrazia - che è regola - vi invitiamo ugualmente con serenità al rispetto delle regole della democrazia stessa (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti e di rinnovamento italiano).

DANIELE ROSCIA. Comunisti!

ELIO VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. La valutazione del gruppo di forza Italia a fronte delle argomentazioni del presidente Comino e del presidente La Russa, nonché del tono e delle dichiarazioni finali del collega Soda, è che la questione posta è di tale problematicità ed interesse - anche alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale in ordine alla non reiterabilità dei decreti-legge - da non poter trovare, Presidente,


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soluzione sufficiente in un generico richiamo a prassi costituzionali che pure riconosciamo esistere.
Riteniamo, pertanto, che l'aver posto tale problema costituisca di per sé un elemento che si aggiunge agli altri, politici, che sono stati per così dire «protagonisti» di questa battaglia che, onorevole Soda, è stata sostenuta per le regole e per la democrazia. Non è possibile quindi richiamare al rispetto delle regole chi si batte, per intere ore del giorno e della notte, affinché vengano rispettate. Le regole, infatti, sono state violate dal Governo nei suoi rapporti con il Parlamento. E forse un accenno autocritico da parte di qualche gruppo di maggioranza ad un effettivo e concreto abuso nel ricorso allo strumento della fiducia sarebbe stato elemento utile ed interessante ai fini del buon andamento dei lavori parlamentari nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Altro che richiamo nei nostri confronti al rispetto delle regole della democrazia!
Quindi, Presidente, riteniamo che le questioni poste siano importanti. Il ragionamento svolto dal collega La Russa è serio, pone problemi nuovi, quale quello dell'applicazione delle norme del codice civile in ambito costituzionale, nonché quello, di cui al momento si dibatte, della definizione della data di entrata in vigore: se quella del giorno successivo piuttosto che quella del giorno stesso della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Per questi motivi riteniamo che le questioni sollevate meritino un'attenta valutazione da parte sua, Presidente, ed anche da parte delle più alte autorità alle quali si sono richiamati i colleghi che mi hanno preceduto.

PRESIDENTE. Innanzitutto ringrazio i colleghi Comino, La Russa, Soda e Vito per la competenza e la profondità con la quale hanno sostenuto le proprie argomentazioni. Certamente non disconosco la delicatezza della questione. Desidero comunque ribadire che è stata posta già un'altra volta qui alla Camera nella scorsa legislatura. Si trattava del cosiddetto decreto Tremonti ed il collega Grimaldi, se non erro, a nome dell'opposizione sollevò lo stesso tipo d'eccezione. Anche in quell'occasione sostenni che le cose non stavano così, perché il dies a quo - come si dice in un gergo un po' curiale - non si computa nel termine.
Questa non è una prassi ma un'interpretazione, il che è cosa diversa. In altri termini, non si tratta di un'abitudine costituzionale, bensì di una rigorosa interpretazione che discende da un principio generale presente nel nostro ordinamento da circa 1.500 anni, e forse anche di più, che da ultimo ha trovato codificazione nel codice civile.
Il collega La Russa ha posto una questione di grande acume e sottigliezza nel momento in cui ci ha avvertiti che non può applicarsi il riferimento al codice civile in quanto quest'ultimo stabilisce anche che il termine finale varia nel caso in cui coincida con un giorno festivo. È vero, onorevole La Russa. Ma sa perché la disposizione del codice civile vale solo per il dies a quo e non per il dies ad quem? Credo che non si computi il termine iniziale per evitare le frazioni di ore o di giorni, mentre il termine finale è comunque fisso. In altre parole non si sa mai a quale ora cominci il giorno di partenza.
Questa è la ragione per cui nell'esperienza comune, peraltro plurimillenaria, il giorno di partenza non si computa mai: per evitare che venga calcolata come frazione di giorno quello che dovrebbe essere un giorno intero.
Devo dire che anche l'altro argomento portato dall'onorevole La Russa ha il suo pregio. Mi riferisco alla sottolineatura che le opposizioni non hanno mai sollevato la questione. Ribadisco comunque che non è esatto, perché il collega Grimaldi, a nome dell'opposizione, lo fece. In ogni caso, ove la questione esistesse, non la si può risolvere in termini pattizi perché o esiste o non esiste. Non è possibile decidere contrattualmente che esista o che non esista.
Devo poi aggiungere che il Consiglio di Stato è intervenuto in materia nel 1992 e penso sia utile che io legga la massima,


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cioè il principio di diritto espresso da tale organo. Quest'ultimo in tema di decorrenza della legge ha stabilito che: «Il principio desumibile dagli articoli 2963, comma secondo, del codice civile e 155, comma primo, del codice di procedura civile» - che ripetono sostanzialmente la stessa norma - «secondo il quale nel computo del termine si esclude il giorno iniziale è di ambito generale ed è pertanto applicabile anche ai termini decorrenti dalla data di entrata in vigore di provvedimenti legislativi, salvo che non sia derogato ex lege»; cosa che nella specie non è accaduta.
Disponiamo, quindi, di un principio interpretativo consolidato, di una logica che ha il suo peso e di una sentenza del Consiglio di Stato che sostiene argomenti analoghi. Non solo, essendosi già posta la questione in altra legislatura per un altro provvedimento, anche allora sembrò alla Presidenza della Camera di dover respingere questo tipo di interpretazione.
Per questo complesso di ragioni, pur apprezzando la competenza con la quale le questioni sono state poste, purtroppo devo respingerle.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fini. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO FINI. Signor Presidente, Presidente del Consiglio e colleghi, prendiamo ovviamente atto di quella che il Presidente Violante ha testé definito un'interpretazione, secondo verità, della Presidenza medesima circa le motivate obiezioni avanzate dall'opposizione.
Personalmente non entrerò nella questione perché sarebbe del tutto inutile e soprattutto perché è prevedibile che si continuerà, in questa e in altre sedi, a discutere circa la fondatezza dell'obiezione e dell'interpretazione che la Presidenza ha dato.
Voglio utilizzare il breve tempo a mia disposizione per qualche considerazione di carattere politico circa quello che è accaduto e soprattutto circa ciò che potrebbe accadere e mi auguro non accada.
Inizio con un'osservazione relativa alla superficialità con la quale è stato commentato, in particolare da alcuni esponenti della maggioranza, quanto sta accadendo in aula e che vede in qualche modo protagonisti tutti i parlamentari, principalmente quelli dell'opposizione. È superficiale dire, come è stato fatto, che l'opposizione si muove perché ha un'esigenza di visibilità in quanto, dopo un risultato elettorale amministrativo ed a pochi giorni da un ballottaggio e da un altro turno elettorale amministrativo in Sicilia, è alla ricerca di un modo per dimostrare di essere non soltanto presente ma anche molto combattiva.
È superficiale perché - lo dico con un po' di presunzione - se questa fosse stata la nostra esigenza, avremmo potuto e saputo fare qualcosa di più e di meglio; magari abbinare ad una iniziativa di carattere parlamentare qualche altra iniziativa civile, corretta, democratica esterna al Parlamento. Credo che le recenti vicende politiche nazionali abbiano dimostrato a tutti, per lo meno a tutti coloro che hanno occhi per vedere, che non esiste più il monopolio della protesta e che la frammentazione sociale del paese rende possibile l'organizzazione di proteste sia a coloro che oggi siedono sui banchi della maggioranza, sia, a maggior ragione, a chi siede sui banchi dell'opposizione. Non ci ha mosso e non ci muove un'esigenza di visibilità. Ci muove da un lato un dovere di coerenza e, dall'altro, un desiderio, onorevole Soda, di rispetto delle regole: un desiderio di democrazia parlamentare. Perché un desiderio di rispetto delle regole, ma ancor prima un dovere di coerenza? Perché tutti sanno perfettamente che l'opposizione delle opposizioni, e del Polo in particolar modo, al decreto in esame è antica, nasce nello stesso momento in cui il decreto è stato reso noto.
Ricordo agli immemori che, quando ci fu quella rapida crisi di Governo, l'unica domanda che era posta ai leader del Polo era relativa alla possibilità o meno, per il Polo medesimo, di contribuire all'approvazione della finanziaria al fine di consentire all'Italia l'ingresso in Europa. E ricordo agli immemori la risposta: non


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potevamo farlo, perché la finanziaria non la condividevamo, in particolar modo nella parte allegata relativa al decreto sull'IVA. Non è da oggi, non è da due giorni a questa parte che l'opposizione dice di non condividere il merito del decreto.
Ricordo anche rapidamente agli immemori le ragioni per cui non si poteva condividere, dal nostro punto di vista, quel decreto. Da un lato perché, come aveva detto autorevolmente il governatore della Banca d'Italia, era più che fondato il rischio di una ripresa inflattiva, dall'altro lato perché, come è stato acutamente osservato, il rischio era anche di un aumento dei prezzi, il che avrebbe determinato un aggravio per tutti, non soltanto per alcuni ceti sociali, ma anche e soprattutto perché, anche in quelle ore, era abbastanza forte nel paese una protesta che vedeva protagoniste numerose categorie.
E allora, quando l'opposizione, così come ha deciso coerentemente di fare, ha presentato in Parlamento gli emendamenti volti a modificare il decreto, non ha fatto altro che comportarsi con coerenza rispetto al suo punto di valutazione di partenza. Se accanto ad un dovere di coerenza oggi ci muove un desiderio di rispetto delle regole è perché occorre ribadire che la fiducia non è stata posta per il numero eccessivo degli emendamenti: la fiducia è stata posta perché le nostre perplessità, le perplessità autorevoli del governatore della Banca d'Italia, i dati che in molti casi emergevano, avevano aperto anche all'interno della maggioranza qualche ulteriore perplessità.
Voglio ricordare, al riguardo, un'occasione di confronto con l'onorevole Marini in un incontro televisivo: in quella sede, l'onorevole Marini disse che era arrivato il momento per lo meno di pensare a un'ipotesi di revisione del decreto. Allora si dica la verità: il problema del voto di fiducia non deriva dal numero degli emendamenti perché, come tutti ben sanno, come lei, Presidente, ben sa, l'opposizione era pronta a ridurre il numero degli emendamenti. Gli emendamenti di alleanza nazionale erano 14, quelli del Polo non credo fossero molti di più; c'erano, è vero, molti emendamenti della lega, ma è altrettanto vero che la lega era disponibile a ritirarne la stragrande maggioranza...

ALFREDO BIONDI. Li ha ritirati.

GIANFRANCO FINI. ... o li ha ritirati, per consentire una discussione in quest'aula degli emendamenti dell'opposizione. Allora, qui è il punto politico: il rispetto delle regole deve valere per tutte e due le parti, il rispetto delle regole deve valere nello stesso momento in cui l'opposizione, che ha il diritto-dovere di discutere le proposte del Governo, deve anche trovarsi nelle condizioni di farlo, nello stesso momento in cui ritiene, anche attraverso la discussione di quegli emendamenti, di determinare eventi politici quali quelli che sempre si verificano quando c'è una convergenza non occasionale tra opposizioni, ma una convergenza di merito tra segmenti della maggioranza e l'opposizione medesima.
Mi auguro perciò che da questa vicenda emerga per tutti e in particolar modo per la maggioranza - e mi rivolgo a lei, ovviamente, Presidente del Consiglio - un insegnamento relativo alla necessità di rispettare per davvero tutte le regole, magari anche quelle non scritte, quelle regole che vorrebbero, mi permetta, Presidente Prodi, un po' più di prudenza anche quando si fanno telefonate e interventi, per esempio relativi alla necessità - che è tutta politica, ma non è del Presidente del Consiglio - di mettere a tacere le liti all'interno della RAI. Vorrei ricordare ai colleghi della sinistra che cosa sarebbe accaduto in quest'aula se il Presidente del Consiglio Berlusconi fosse stato sospettato di telefonate ai vertici RAI per mettere a tacere polemiche interne che, come tutti ben sanno, non possono essere affrontate dal Presidente del Consiglio. E allora, il rispetto delle regole, quelle scritte e anche quelle formali.
Poiché il Presidente del Consiglio non mi sembra molto interessato a ciò che sto dicendo (Commenti)...


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MAURO FABRIS. Non si è mai interessato (Commenti)!

GIANFRANCO FINI. È un'impressione, e sono lieto di aver sbagliato, qualora il Presidente del Consiglio mi confermi di aver sbagliato. Ma la conferma me la darà, se riterrà, in base a ciò che sto per dire di qui ad un minuto, perché il Presidente Violante giustamente mi richiama al rispetto dei tempi.
Tutti sappiamo che di qui a qualche giorno, quando avremo terminato, cominceremo a discutere la finanziaria. Allora, Presidente del Consiglio, qui è veramente il caso di dire, e mi rivolgo in particolar modo a chi ha sollevato il problema del rispetto delle regole, attenzione a non predicare bene e razzolare male, perché io non ho alcuna difficoltà nel dirle che, a fronte della richiesta reiterata, preventiva del voto di fiducia - trenta volte voto di fiducia in 500 giorni! -, se si continuerà così si paralizzerà il Parlamento. Non avremmo altra via, infatti, che rendere sistematico ciò che stiamo facendo in questa circostanza in via eccezionale. Se si vuole evitare che ciò accada, occorre il rispetto da parte di tutti; se l'opposizione ha, come deve avere, il diritto-dovere di vedere discussi i suoi emendamenti, deve sentire la necessità di presentare emendamenti in numero tale da consentire il dibattito, però il Governo, Presidente del Consiglio, deve impegnarsi solennemente a non porre la questione di fiducia.
Poiché riteniamo che non lo possa fare, perché il voto di fiducia in troppe occasioni serve per coprire divisioni che ci sono, perché questa è una maggioranza che è molto più divisa di quel che appare, non si addebiti a noi una effrazione delle regole che, anche in questa vicenda, ricade innanzitutto sulle spalle di chi la questione di fiducia l'ha posta non perché gli emendamenti erano troppi, ma perché dalla discussione di quegli emendamenti, probabilmente, sarebbe uscito uno scenario assai meno idilliaco circa la compattezza della maggioranza (Vivi applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia, del CCD e misto-CDU).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Fini.

BEPPE PISANU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

BEPPE PISANU. Per un richiamo al regolamento.

PRESIDENTE. A quale articolo?

BEPPE PISANU. All'articolo 59, comma 1.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BEPPE PISANU. È un richiamo per la verità un pochino anomalo, signor Presidente, e che non vuol suonare in alcun modo richiamo a lei, che non è in grado, per la sua collocazione nell'aula, di valutare l'atteggiamento di uno dei parlamentari seduti sotto di lei, il quale non sa che «se un deputato pronuncia parole sconvenienti oppure turba con il suo contegno la libertà delle discussioni o l'ordine della seduta, il Presidente lo richiama nominandolo». Si tratta del deputato Prodi (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia, del CCD e misto-CDU - Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bosco. Ne ha facoltà (Commenti). Insomma, colleghi, che è successo? Non ho capito.

RINALDO BOSCO. Sono nervosi, Presidente.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, a nome dei gruppi dell'opposizione, uniti nella lotta contro l'arbitrio e l'arroganza del potere, esprimo il convincimento che il decreto sull'IVA è decaduto alla mezzanotte di venerdì, e pertanto invito il Presidente della Repubblica, nella sua veste di custode della Costituzione, a non promulgare una legge di conversione approvata dalla Camera dei deputati fuori tempo massimo.


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Detto questo, signor Presidente, noi continueremo nei nostri interventi, se i colleghi della maggioranza lo permettono, per esprimere tutto il nostro dissenso nei confronti di un provvedimento che non solo giunge fuori tempo massimo...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Bosco. Colleghi, la seduta andrà avanti fino alle 2, poi vi sarà una sospensione fino alle 3 e continuerà fino alle 24. Se volete restare in aula, siamo tutti lieti di avervi, però c'è bisogno di comportarsi secondo regole tali che consentano a tutti di parlare. Prosegua pure, onorevole Bosco.

RINALDO BOSCO. Grazie, Presidente. Dicevo che noi proseguiremo i nostri interventi per esprimere il dissenso degli elettori che ci hanno qui deputati a rappresentarli e a difendere i loro interessi.
Ne cito tre (numero perfetto): Fulvio Bozzi Colonna, Marilena Berti, Bruno Clever. Tre imprenditori, professionisti, commercianti, che ci hanno mandato qui per difendere il loro lavoro, per difendere il potere d'acquisto delle famiglie, che ci hanno dato...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Bosco, sono mortificato io per lei, ma aspettiamo che ci sia il deflusso dei colleghi. Mi rivolgo ai colleghi capigruppo, per cortesia! Capisco che ci sono dei dati proprio materiali...! Aspettiamo un momento, in modo che i colleghi che intendono uscire possano farlo.
Prosegua pure, collega Bosco.

RINALDO BOSCO. Mi auguro che questo tempo non venga conteggiato.

PRESIDENTE. Certo, riprende a decorrere nuovamente.

RINALDO BOSCO. La ringrazio. Dicevo quindi che voglio rappresentare le istanze di questi signori, che ci hanno mandato a difendere i loro interessi. Questi signori che, come ho già avuto modo di dire, sono quelli che iniziano ogni gennaio di ogni anno lavorativo a versare la tangente allo Stato per poter lavorare, versando l'anticipo sull'IVA, pagando la tassa sulla partita.
È gente... Credo che non ci siamo ancora, Presidente. Si perde anche il filo del discorso!

PRESIDENTE. Ha ragione, ma è anche colpa di qualche collega del suo gruppo, il collega Gnaga ed altri.

RINALDO BOSCO. Vorrei quindi portare l'esperienza di queste persone, che non solo sono chiamate a pagare la tassa sulla partita IVA, ma sono anche creditori nei confronti dello Stato di enormi crediti IVA. Sono persone obbligate ormai a lavorare all'estero e per questo accumulano forti crediti, che gli uffici finanziari non rimborsano, salvo in certe parti d'Italia, come è accaduto - ed è stato pubblicato dagli ispettori del Secit - nella seconda sezione, credo, degli uffici IVA di Roma, dove sono stati elargiti circa 2.000 miliardi di crediti IVA a imprese che non hanno nemmeno saputo giustificare il loro credito.
Noi crediamo che questo Stato, questa società della pubblica inefficienza, vada modificato, non aumentando le tasse, le aliquote IVA, con la scusa di armonizzarle a quelle europee, ma eliminando gli sprechi, premiando invece l'efficienza: meno Stato, più mercato. Questo è il messaggio che noi vogliamo portare, un messaggio che è tuttora inascoltato in quest'aula, in parte perché semivuota e perché l'altra parte è distratta e continua a chiacchierare. Bene, credo che la nostra gente si ricorderà di questi deputati distratti, si ricorderà di questi provvedimenti il giorno in cui torneremo alle elezioni, che mi auguro non siano lontane.
D'altro canto, Presidente, i miei elettori mi assicurano che senz'altro non si faranno macinare dagli ingranaggi dello Stato, ma sono disposti ad una resistenza fiscale che ci potrebbe portare anche in montagna. Non si sa mai, visti i tempi dei manganelli che corrono lungo le autostrade, signor Presidente Prodi! Lei che


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ha inviato la polizia contro gli agricoltori, contro gli allevatori, che sono rei solamente di chiedere la restituzione di quanto gli è stato tolto, nonostante che ci siano ampie documentazioni che motivano e giustificano il loro operato, dalle quali si evince chiaramente che costoro non hanno prodotto di più, ma che gli errori provengono proprio dallo Stato inefficiente, proprio dalla burocrazia, che probabilmente male la consiglia. Quella burocrazia che non ha saputo rappresentarli a Bruxelles; quella burocrazia che ci stringe nelle proprie morse.
Questo è lo Stato sprecone. Questo, signor Presidente Prodi, è lo Stato che lei rappresenta e di cui noi ci vergognamo all'estero. All'estero abbiamo diversi motivi di vergognarci. Uno è lo Stato mafioso, che attraverso questo Parlamento chiede quattrini per la Sicilcassa, per il Banco di Napoli, ma che poi non sa trovare i denari da restituire agli agricoltori, a coloro i quali ne hanno diritto! E non parlo qui solamente dell'aumento dell'aliquota IVA per le scarpe, ma parlo anche dei prodotti agricoli. Io vengo dal Friuli-Venezia Giulia; la mia è una terra a grande vocazione agricola, grande produttrice di ottimi vini, che pure vengono penalizzati. Allora, se noi penalizziamo quello di cui più disponiamo, quello che noi produciamo, mi chiedo cosa dobbiamo fare. Dobbiamo trasferirci tutti? Dobbiamo andarcene tutti all'estero? Andremo in Croazia, in Slovenia, in Ucraina, tutti paesi che garantiscono alle nostre imprese di poter lavorare pagando meno tasse, almeno pagando tasse certe! Allora, ce ne andremo e presto, magari - speriamo - in Padania, per avere regole certe, per non avere regole che non esistono e che vengono imposte in maniera strana.
Vede, Presidente, noi crediamo di vivere in uno Stato che ormai è pieno di parassiti e mi voglio scusare con i colleghi se parlo di parassiti, che danno fastidio a tutti: quando un animale è pieno di parassiti, prima o poi esso viene dissanguato e muore. Noi non vogliamo che la nostra economia muoia; noi vogliamo disinfestare questo sistema, che ci opprime, che ci strangola, che ci toglie il sangue. Noi vogliamo questo. È questo il messaggio che ho voluto portare. Grazie a tutti voi (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Miraglia del Giudice. Ne ha facoltà.

NICOLA MIRAGLIA DEL GIUDICE. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, dobbiamo necessariamente far ricorso ad uno strumento che non appartiene tanto alla nostra cultura, la cultura del centro cristiano democratico, quale è quello dell'ostruzionismo. L'ostruzionismo è sempre stato, bene o male, uno strumento utilizzato per determinate occasioni. Però, un comportamento come quello del Governo Prodi ci induce ad utilizzare questo strumento di protesta, che è forse l'unico che le forze di opposizione a questo punto possono utilizzare.
Di fronte a pochi emendamenti presentati dall'opposizione su un argomento invece importantissimo, qual è quello del decreto in materia di IVA, è apparso veramente assurdo che il Governo richiedesse la fiducia, impedendo un dialogo e una discussione alle forze di opposizione per cercare di modificare in senso migliorativo un decreto che va a colpire la politica economica delle piccole e medie imprese, togliendo loro la possibilità di reinvestire determinati utili ricavati dal mancato pagamento di tasse aggiuntive. Non dimenticando poi che una delle promesse fatte dall'Ulivo prima che diventasse forza di Governo, cioè nella campagna elettorale del 1996, era quella che non sarebbero state aumentate le tasse, né aggiunte nuove tasse. Ebbene, questo non è mai successo: in tutte le manovre finanziarie alle quali abbiamo assistito fino ad ora ci sono stati aumenti delle tasse, che sono andati a colpire bene o male sempre le piccole e le medie imprese, i lavoratori più deboli, quelli più esposti quindi ad eventuali ripercussioni sul mercato.
È un Governo, quindi, che privilegia più le forze ricche che quelle medio-


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deboli, e questo dispiace perché poi le forze piccole e medie, le piccole e medie imprese, sono quelle che producono la maggior parte del prodotto interno lordo e che potrebbero reinvestire anche al fine di «incentivare» meglio la politica economica.
Tutto questo in un momento in cui vi sono altre proteste peraltro assai marcate. Sto parlando delle proteste degli agricoltori; proteste alle quali il Governo non ha ritenuto ancora di dare risposta perché la Camera è impegnata in questa seduta fiume. Ma, lo ripeto, si tratta di un argomento di particolare importanza che ha fatto registrare oltre tutto una risposta cruenta da parte delle forze di polizia, le quali, invece di rispettare quella che era una legittima protesta degli agricoltori, ha ritenuto opportuno caricare per impedire che costoro potessero svolgere la loro protesta.
Ed allora l'opposizione non può fare altro che ricorrere allo strumento dell'ostruzionismo che, ripeto, non ci è molto congeniale. Il rispetto delle regole - l'onorevole Soda non c'è più - impone il rispetto della minoranza parlamentare, il rispetto di coloro che non potendo concorrere alla formazione di un'attività di Governo devono necessariamente tutelare gli elettori che li hanno votati, cioè la parte del paese che ha dato loro il consenso per rappresentarli in Parlamento, per proporre degli emendamenti, delle modifiche ai disegni governativi, cercando così di migliorare i provvedimenti del Governo.
Proprio sulla materia finanziaria l'opposizione deve «giocare» un ruolo essenziale. Sulla materia finanziaria, infatti, si «gioca» la maggior parte della politica economica del Governo; essa è, nell'anno, l'atto principale del Governo. Proprio su questo decreto concernente l'IVA l'opposizione ha presentato una serie di emendamenti, non molti ma di qualità, tendenti a modificare e migliorare il provvedimento di politica economica del Governo.
Tale possibilità non c'è stata concessa tramite il sistematico voto di fiducia. Un voto di fiducia che impedisce, lo ripeto, alla minoranza parlamentare, all'opposizione di poter esercitare quello che è un proprio diritto ma anche un proprio dovere. Guai se in un Parlamento l'opposizione non potesse esprimere la propria voce! Guai se coloro che hanno mandato i propri rappresentanti in Parlamento non si sentissero tutelati!
Per cui il Governo, nel momento in cui pone la questione di fiducia impedendo all'opposizione di prendere la parola e di illustrare i propri emendamenti, in realtà non impedisce alle forze dell'opposizione ma a tutti quei milioni di elettori, che hanno inviato i propri rappresentanti a sedersi in Parlamento, di esprimere le proprie idee su un qualcosa che li interessa particolarmente, come lo sono appunto gli aspetti di politica economica.
Ritengo che vi siano alcuni aspetti fondamentali che non meriterebbero mai il ricorso al voto di fiducia. Tutte le problematiche che riguardano la politica economica, la giustizia, la sicurezza dovrebbero essere sottratte al voto di fiducia per poter dar luogo ad un dibattito parlamentare e consentire alle opposizioni di presentare degli emendamenti, di poterli discutere, rappresentando così quella che è anche la volontà degli elettori.
Ma il Governo non ha ritenuto di rispettare quella che è la volontà del popolo italiano o parte della volontà del popolo italiano che ha inviato qui determinati suoi rappresentanti a sostenere le ragioni dell'opposizione.
Ora si contesta questa possibilità dell'opposizione di fare ostruzionismo. Ma quale altro rimedio ha oggi un'opposizione se non quella di contrastare attraverso l'unico strumento che le è rimasto, ossia quello dell'ostruzionismo parlamentare, una politica del Governo diretta a tutelare determinate categorie di ricchi imprenditori, andando contro i desideri delle piccole e medie imprese? Quale possibilità ha l'opposizione se non quella di far parlare tutti i suoi rappresentanti, magari non per illustrare emendamenti ma per protestare contro la politica del Governo?

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Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, non sarebbe stato forse il caso di utilizzare tutto questo tempo per discutere seriamente degli emendamenti presentati? Saremmo probabilmente arrivati lo stesso alla conversione del decreto ma discutendo gli emendamenti! In questo modo anche l'opposizione avrebbe potuto svolgere il suo ruolo, il suo compito, il suo dovere.
Abbiamo perso delle ore; abbiamo perso delle giornate intere per discutere di argomenti che magari non avevano tutti a che fare con la conversione del decreto sull'IVA e ciò mentre tutto il tempo impiegato lo si sarebbe potuto utilizzare per discutere gli emendamenti che peraltro non erano neanche molti (il Polo ne aveva presentati una trentina mentre la lega aveva dichiarato di essere disposta a rinunciare ad una buona parte degli emendamenti presentati purché fosse stato possibile discutere su quelli più importanti).
Ed allora il ricorso al voto di fiducia sistematico da parte del Governo sta ad indicare la precisa volontà del Governo di non tenere affatto in debito conto quella che è la volontà delle forze di opposizione.
Possiamo dire che ciò, in un'aula del Parlamento, non rappresenta una vera e compiuta democrazia. Una compiuta democrazia dell'alternanza la si ha quando chi vince le elezioni governa, ma rispettando i diritti di chi perde le elezioni. Guai se pensassimo che chi vince le elezioni possa governare ma senza tener conto delle opposizioni, ossia della volontà degli elettori che non hanno mandato in Parlamento propri rappresentati in numero tale da poter governare!
Probabilmente il ricorso a questo strumento dovrà essere reiterato in futuro, se il Governo non capirà che la posizione della questione di fiducia su un qualunque provvedimento non può più essere accettata dalle forze dell'opposizione (Applausi dei deputati del gruppo del CCD).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Miraglia Del Giudice.

RAFFAELE MAROTTA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELE MAROTTA. Signor Presidente, quando è sorta la questione della scadenza del termine io avevo alzato la mano ma non sono stato notato.
Ripeto, si tratta di una questione delicatissima.

PRESIDENTE. Metteremo degli avvistatori in vari posti dell'aula!

RAFFAELE MAROTTA. Qui non c'entra la prassi di cui parlava il collega Soda. Giustamente si tratta di una questione di interpretazione. È pacifico che il decreto entri in vigore nel momento della sua pubblicazione, e su questo non c'è alcun dubbio. La questione è se il dies a quo debba o non debba essere computato nei sessanta giorni.
Presidente, il ricorso agli articoli sui termini, contenuti nel codice civile, nel codice di procedura civile, nel codice penale e nel codice di procedura penale, secondo i quali il dies a quo non computatur non credo che sia possibile in questa materia! Nel codice civile e di procedura civile si fa riferimento, infatti, all'esercizio di facoltà; per esempio: debbo fare l'appello entro...; debbo fare il ricorso per Cassazione entro...; debbo impedire la prescrizione esercitando il diritto entro..., e via dicendo. Ciò vale però in questi casi.
Nel caso nostro, invece ci troviamo in materia legislativa. A chi appartiene il potere legislativo? Appartiene alle Camere. Eccezionalmente il Governo, ricorrendo i requisiti... e via dicendo, può emettere una norma avente valore di legge. È giusto questo? Benissimo. Ma allora cosa c'entra il ricorso a quelle norme? A mio avviso non c'entra, perché oltre tutto ci troviamo nella fattispecie di un esercizio eccezionale del potere da parte del Governo. In situazioni eccezionali l'analogia non è applicabile!
Presidente, il problema è questo: posso emanare una norma di legge, ma a quale


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condizione? Alla condizione che entro sessanta giorni questa norma sia convertita da chi ha il potere di fare le leggi. Non so se ho reso l'idea? Qui non vale il principio del dies a quo computatur! La norma che è stata emanata infatti decadrà come se non fosse stata mai emanata se entro sessanta giorni... ma dalla pubblicazione, ossia da quando è entrata in vigore! Qui non c'entra il ricorso alle norme del codice civile, di procedura civile, del codice penale, di procedura penale. Quelle infatti sono norme che regolano l'esercizio di poteri delle parti.

ALFREDO BIONDI. Temo che sia giusto!

RAFFAELE MAROTTA. Qui invece siamo in materia legislativa!
Alle Camere appartiene il potere legislativo ed eccezionalmente il Governo può esercitarlo. Però questa norma non avrà alcun valore e sarà tamquam non esset se entro sessanta giorni non sarà ratificata dalle Camere stesse. Questo è l'argomento.
È vero che c'è la sentenza del Consiglio di Stato, ma - parliamoci chiaro - le sentenze le possiamo fare tutti, o no? Le può fare lei, le posso fare io, le può fare un altro. Non so se ho reso l'idea.

ALFREDO BIONDI. In altri tempi!

PRESIDENTE. Non è che si trovi così...

RAFFAELE MAROTTA. Voglio dire la sentenza come decisione, Presidente. Non so se ho reso l'idea?
Io dico che il potere legislativo appartiene alle Camere e che solo eccezionalmente, ricorrendo alcuni presupposti...

ALFREDO BIONDI. ...di necessità e di urgenza.

RAFFAELE MAROTTA. ...il Governo può adottare norme aventi valore di legge. Queste norme saranno tamquam non essent se entro sessanta giorni dalla pubblicazione - è chiaro, signor Presidente - non verranno convertite in legge.

PRESIDENTE. Onorevole Marotta, la ringrazio molto per il suo intervento. Lei ha fornito argomenti ulteriori...

RAFFAELE MAROTTA. Purtroppo lo so, però, però...

PRESIDENTE. Lei ha fornito argomenti ulteriori a quelli già prospettati dai colleghi.
Devo dire che non ritengo vi siano le condizioni per mutare l'orientamento che ho assunto, però questi argomenti saranno valutati da chi dopo di noi prenderà in esame la situazione, essendo argomenti pregevoli sia per il modo e la forma in cui sono stati esposti sia per la sua autorevolezza.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Dalla Rosa. Ne ha facoltà.

FIORENZO DALLA ROSA. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, a nome di tutta l'opposizione unita nella lotta contro l'arbitrio e l'arroganza del potere, esprimo il convincimento che il decreto sull'IVA sia decaduto allo scoccare della mezzanotte di venerdì. Pertanto, invito il Presidente della Repubblica, nella sua veste di custode della Costituzione, a non promulgare una legge di conversione approvata dalla Camera dei deputati fuori tempo massimo.
Desidero anche manifestare la mia solidarietà agli allevatori, cioè a lavoratori che, per difendere non solo i loro sacrosanti diritti, ma addirittura la sopravvivenza loro e dei loro familiari, sono stati caricati dalla polizia di Napolitano con una violenza ed una brutalità tali da fare concorrenza ai metodi usati dalle polizie dei regimi comunisti.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che questi allevatori, vittime dell'incapacità di questo Governo e dei suoi ministri, in particolare di quel Pinto, a capo di un ministero che non dovrebbe esserci più, non sono né terroristi né sabotatori incalliti né tanto meno membri di quei centri sociali che occupano case e palazzi


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per mesi, se non per anni, senza che la polizia osi pensare di intervenire per ripristinare la legittimità.
Eppure, nel caso degli allevatori, non ci sono stati scrupoli nell'usare manganelli, calci di fucile, lacrimogeni. Vi sono stati addirittura alcuni poliziotti che hanno minacciato i dimostranti spianando contro di loro le pistole. Ma la gente della terra non dovrebbe mai essere trattata in questo modo. Ha i calli sulle mani ed è abituata a soffrire, perciò non andrebbe mai presa a manganellate né portata all'esasperazione. Mi rendo conto che il problema è essenzialmente politico e in questi momenti mi interrogo su chi abbia interesse a far precipitare la situazione. Queste non sono parole pronunciate da qualche esponete leghista, ma dal parroco di Larino in provincia di Vicenza.
Il Governo chieda scusa a questa gente e cacci via i ministri Napolitano e Pinto, uno per aver difeso l'operato della polizia, l'altro per manifesta incapacità (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Vista la cecità di questo Governo, la mia richiesta, che sono convinto sia quella della maggioranza dei cittadini, non verrà raccolta. Ma i casi sono due: o questo Governo comincia a capire come stanno le cose e a dare delle risposte adeguate ai problemi sul tappeto, oppure sarà sempre più difficile fermare le proteste che saliranno dal paese se non con l'uso sempre più massiccio di manganelli, lacrimogeni e manette.
Per l'ennesima volta quest'aula deve approvare un provvedimento del Governo, che reca disposizioni tributare urgenti, incentrato soprattutto sull'aumento delle aliquote IVA. Su questa imposta sono già stati fatti interventi cadenzati ogni due anni. Infatti, già nel 1991, nel 1993 e nel 1995 erano stati fatti degli interventi sulla aliquota IVA, sempre in base alla necessità di armonizzarli al livello europeo. Ma sappiamo tutti che questa armonizzazione in realtà esiste solo nella fantasia di qualcuno, dato che una analisi delle aliquote IVA registrate in vari paesi europei dimostra esattamente il contrario.
Già qualche settimana fa si è potuto verificare in sede di bilancio di assestamento che il gettito di questa importante imposta, nei primi sei mesi dell'anno, è calato di quasi 8 mila miliardi rispetto alle previsione. Ciò significa che, se l'economia non è un'opinione, il primo semestre 1997 ha avuto un andamento della crescita del prodotto interno lordo negativo e perciò tanto più grave se si pensa che l'IVA è l'imposta indiretta che ci permette di vedere esattamente l'andamento congiunturale di un paese.
È ovvio, quindi, pensare che, se l'andamento congiunturale continuerà ad essere negativo anche nel secondo semestre dell'anno, questo decreto-legge, emanato il 30 settembre scorso con l'intento di recuperare 2 mila miliardi già negli ultimi mesi del 1997, fallirà l'obiettivo prefissato.
Se poi osserviamo l'andamento della produzione industriale, che è quello più direttamente interessato alla crescita degli scambi e che è quindi anch'esso direttamente collegato all'IVA, vediamo che, nonostante i tanto sbandierati dati positivi sull'economia, nei primi nove mesi del 1997, in rapporto allo stesso periodo del 1996, si registra, con due giorni lavorativi in più, un incremento dell'1,1 per cento. E se osserviamo come si articola questo dato, ci accorgiamo che la percentuale, che potrebbe far pensare ad un aumento degli scambi e quindi anche del gettito IVA, non investe i beni finali di consumo e nemmeno i beni intermedi e quelli di investimento. Quindi, se tanto mi dà tanto, l'aumento IVA del 1 ottobre 1997, il cui effetto è stimato in circa 6 mila miliardi per il 1998, con un andamento della congiuntura economica che, nella migliore delle ipotesi, sarà piatto, non produrrà in realtà il gettito previsto.
Pertanto, nonostante le smentite di tutti i tipi, nei primi mesi del prossimo anno dovremo prepararci ad un'altra bella stangata. Alla faccia dei lavoratori dipendenti o autonomi, dei pensionati, degli studenti, il Governo Prodi, il Governo della sinistra, si prepara a colpire con altre dolorose legnate.

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Quindi questa che viene definita una armonizzazione con le aliquote europee porta con sé, come è già successo in passato, un ulteriore aggravio della pressione fiscale delle famiglie e degli operatori economici.
Volendo scendere nel particolare, se leggiamo l'articolo 1, vediamo che sono stati colpiti settori merceologici già in gravi difficoltà. L'aumento dal 16 al 20 per cento per calzature, abbigliamento e materie prime e semilavorate per l'edilizia fa da contraltare ad una riduzione di ben 6 punti per beni quali bulbi, radici, tuberose, salsa di olive, una serie di prodotti che assume scarsa rilevanza nei consumi delle famiglie.
Non serve, quindi, affermare che l'aumento delle aliquote sull'abbigliamento viene compensato dalla concessione di contributi per il settore del commercio previsto dalla finanziaria, perché gli obiettivi delle due misure sono diversi. Mentre l'aumento delle aliquote porta ad una riduzione oggettiva del volume degli affari ed un aggravio per la spesa delle famiglie, il fatto di concedere contributi ai commercianti va a favore di questa singola categoria e non della generalità dei consumatori.
La scelta di aumentare le aliquote di questi beni dovrebbe far riflettere, se consideriamo le normative europee che fissano una aliquota ordinaria minima del 15 per cento.
Anche se siamo consapevoli che si trattava di una aliquota transitoria, si sarebbe potuto almeno adeguarla all'anno successivo, dal momento che la vera armonizzazione nell'ambito dell'Unione europea dovrebbe essere decisa nel 1998. Solo allora si sarebbe potuto eventualmente stabilire se e quali beni avrebbero potuto essere spostati ad una aliquota superiore.
La conversione di questo decreto, quindi, rappresenterà un ulteriore elemento di turbolenza per l'andamento della nostra economia e sarà un elemento negativo per l'andamento dell'inflazione.
Ciò significa che questo sarà un ulteriore costo che verrà addebitato alle categorie di basso e medio reddito. Poiché sappiamo tutti che l'abbigliamento e l'edilizia sono settori trainanti della nostra economia, intendo con questa dichiarazione dissociarmi nel modo più deciso da questo provvedimento governativo.
Mi spiace inoltre che siano stati dichiarati inammissibili molti nostri emendamenti, i quali a mio parere avrebbero comportato una modifica del carico fiscale dell'IVA per quanto riguarda alcuni beni. Mi riferisco, ad esempio, all'IVA sulle ambulanze che è stata portata al 20 per cento. Prevedere una riduzione dell'aliquota sarebbe stato un intervento importante dal punto di vista sociale. Non è possibile infatti gravare le associazioni di volontariato e la Croce rossa di un'IVA così pesante dal momento che svolgono un servizio tanto importante per la società.
L'articolo 4 viene presentato come il mezzo per combattere l'elusione, soprattutto in relazione alla cessione dei diritti delle obbligazioni convertibili; in tal modo tassa queste plusvalenze, come se fossero azioni o quote a tutti gli effetti. In realtà con questo articolo viene solo aumentato il peso fiscale su queste operazioni. Noi siamo contrari perché così vengono colpite anche quelle cessioni che non sono di natura speculativa, come quelle che riguardano le piccole imprese, società di persone, società a responsabilità limitata. Si tratta di provvedimenti che alimentano la già insostenibile pressione fiscale che si colloca sopra la media europea. Si verifica quindi che la pressione fiscale su chi dichiara correttamente i propri redditi è largamente superiore al 52 per cento, con una marcata differenziazione territoriale, dato che per esempio la Padania non gode di agevolazioni, come invece è previsto per il restante territorio dello Stato italiano. Con questo ulteriore intervento si determina un aumento reale della pressione fiscale a oltre il 57 per cento.
Con l'articolo 5 siamo in presenza del solito trucco contabile per poter così ottenere un'entrata un mese prima del previsto. È la solita anticipazione che, invece di essere incassata a gennaio, viene anticipata a dicembre.

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Per quanto riguarda la tassa per lo smaltimento dei rifiuti, sappiamo che la nuova normativa Ronchi dell'inizio dell'anno modifica le tariffe; sappiamo anche che tutto ciò che riguardava i rifiuti era soggetto all'aliquota del 10 per cento. Poiché però non viene precisato nulla in merito, non sappiamo se questa nuova tariffa non tenga...

PRESIDENTE. Il suo tempo è esaurito e dovrebbe concludere.

FIORENZO DALLA ROSA. Concludo dichiarando il mio voto contrario.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.

DAVIDE CAPARINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome dei gruppi dell'opposizione, uniti nella lotta contro l'arbitrio e l'arroganza del potere, esprimo il convincimento che il decreto sull'IVA è decaduto alla mezzanotte di ieri. Pertanto invito il Presidente della Repubblica, nella sua veste di custode della Costituzione, a non promulgare una legge di conversione approvata dalla Camera dei deputati fuori tempo massimo.
Sfrutto questo breve tempo a mia disposizione per analizzare i riflessi negativi causati dalle decisioni, non solo in materia fiscale, che il Governo e la maggioranza hanno assunto. Ritengo doveroso riportare alla realtà, sia pure per pochi minuti, il virtuale gioco politico della palude romana. Nel precedente intervento ho avuto modo di segnalare che il collegio uninominale nel quale sono stato eletto è un'area soggetta ad un inesorabile processo di deindustrializzazione, causata dalla crisi nel settore siderurgico e manifatturiero tessile. La cronica mancanza di infrastrutture e di una politica di sviluppo ha prodotto una crisi occupazionale senza precedenti: il tasso di disoccupazione è pari al 24 per cento. Per tutta risposta il Governo romano in questi mesi ha impostato una incessante razzista opera di smantellamento di tutte le strutture e dei servizi superstiti presenti in quell'area.
Negli ultimi mesi in Valcamonica siamo stati costretti a fronteggiare la chiusura della Siderulli, decisa con una circolare che dimenticava i 3.200 invalidi sul lavoro, quelli veri. Con tale atto venivano dimenticate le 2.700 pratiche di infortuni sul lavoro che ogni anno, purtroppo, si registrano in questo territorio. È seguito il tentativo di chiusura dell'unico ufficio del registro, la soppressione della pretura circondariale, degli uffici postali in ben 14 comuni e la dismissione di alcune strade statali, tutti provvedimenti questi che non tenevano assolutamente conto della realtà e delle differenti caratteristiche del nostro territorio, sacrificato sull'altare del risanamento pubblico.
Il sistematico smantellamento della presenza del servizio pubblico, la mancanza cronica di lavoro spinge inesorabilmente i camoni - i miei concittadini - ad emigrare. Per coloro che testardamente lavorano aggrappati alla loro piccola impresa artigianale e commerciale sono pronte legioni di funzionari della Guardia di finanza, rappresentanti dell'ultimo presidio e dell'oppressione dello Stato italiano.
In nome di una illusoria razionalizzazione delle risorse si tenta sistematicamente la chiusura dei plessi scolastici. Il diritto all'istruzione sancito dalla Costituzione viene di fatto negato agli studenti della prima media del conservatorio di Darfo, a quelli del plesso scolastico della frazione Grignaghe di Pisogne e di Saviore dell'Adamello. Un panorama sinceramente sconcertante e disarmante: stiamo parlando, colleghi, di un'area che produce un miliardo 422 milioni di chilowattora ogni anno di energia elettrica, pagandone pesanti conseguenze. Mi riferisco al dissesto idrogeologico e all'elevato impatto ambientale.
La legittima richiesta di agevolare le tariffe elettriche per le imprese di queste aree, al fine di creare un volano per l'economia, è stata accolta da questo Parlamento in un ordine del giorno che


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impegnava il Governo, entro il giugno 1997, ad adottare le idonee misure. Quella data è passata, nulla è stato fatto, nulla purtroppo temo che verrà mai fatto. Per il Governo italiano non esiste il dramma dei piccoli commercianti che chiudono, non solo il negozio, ma il frutto di un'intera vita sotto la morsa dei grandi centri commerciali. Lo dimostra questo decreto IVA che non farà altro che acuire i problemi esistenti, producendo una ulteriore contrazione della domanda ed un conseguente impoverimento del settore. Per Roma non esistono i problemi degli artigiani, ridotti a lavorare per poter pagare le tasse, per pagare i debiti contratti, mentre aspettano da anni i rimborsi dell'IVA da parte dello Stato. Con costoro, signori del Governo, non siete altrettanto solerti e ricettivi, come avete dimostrato di essere correndo a sanare i debiti di mafia del Banco di Napoli, della Sicilcassa e del Banco di Sicilia. A tutte quelle imprese manifatturiere, che attendono sull'orlo del fallimento, il varo del progetto di legge sulla subfornitura, impantanato nella Commissione per tutelare gli interessi dei «grandi», avete avuto il coraggio di rispondere con leggi che incentivano ulteriormente il lavoro al sud.
Roma non è sensibile al problema dell'agricoltura padana: ha tentato con tutti i mezzi di perpetrare la scandalosa gestione delle quote latte. Un ladrocinio a danno della Padania che continua con l'introduzione nel comparto agricolo di pesanti modifiche di IVA, IRPEF, IRAP e redditi catastali. A questi lavoratori si risponde con i manganelli e i lacrimogeni usati contro donne e bambini. Vergognatevi! Mi dispiace che non sia presente in aula il ministro Napolitano perché avevo da dirgli altre cose.

PRESIDENTE. Non mancherà l'occasione.

DAVIDE CAPARINI. Lo spero. Con circolare ministeriale avete avuto il coraggio di cancellare in un sol colpo migliaia di veri pensionati, persone che da anni aspettano un'indennità ed un'assistenza che mai potranno avere. Il loro denaro, lo sappiamo, è già stato speso per mantenere l'assistenza sanitaria gratuita agli extracomunitari, agli albanesi e agli zingari. Il progetto di restaurazione della grande finanza, del fraudolento solidarismo cattocomunista, del neoconsociativismo dello Stato unitario continua inesorabile, un processo antistorico che non può prescindere dal sistematico smantellamento ed impoverimento dell'economia e della società padana. Purtroppo per voi, colleghi della maggioranza, da quella terra si levano alte le istanze di libertà che ogni giorno crescono e si rafforzano. Questo processo, onorevole Napolitano, è inesorabile: non riuscirai a fermarlo né con la polizia, né con Papalia, né col codice Rocco, né con l'intensificazione dell'opera di occupazione di tutti i gangli sociali ed economici della nostra terra. Siete fuori dalla storia, per voi è finita (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Borghezio. Ne ha facoltà.

MARIO BORGHEZIO. Signor Presidente, anch'io, a nome dei gruppi di opposizione uniti nella lotta contro l'arbitrio e l'arroganza del potere, esprimo il convincimento che il decreto sull'IVA è decaduto alla mezzanotte di ieri e pertanto invito il Presidente della Repubblica, nella sua veste di custode della Costituzione, a non promulgare una legge di conversione approvata dalla Camera dei deputati fuori tempo massimo.
Signor Presidente, la nostra forte opposizione, a questo decreto-legge esprime la più ferma condanna della politica economica e fiscale di un Governo che, attraverso Prodi e Dini, ritiene di dover partecipare, sia pure informalmente, alle riunioni del Bildengerg club e che si ispira alla filosofia mondialista della Trilateral commission. Una specie di Governo Spectre, estremamente prono alle esigenze di politica economica dei guru dell'alta finanza internazionale, ma durissimo


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nella capacità di succhiare il sangue dalle piccole e medie imprese, dagli artigiani e dai bilanci delle famiglie, come il provvedimento in esame ben dimostra.
Questo è un Governo la cui credibilità fiscale è crollata nella coscienza dei cittadini onesti e corretti nel momento in cui non è stato e non è in grado di assicurare alle imprese produttive il puntuale pagamento dei rimborsi dell'IVA. Questa inadempienza, inammissibile in uno Stato di diritto, toglie a questo Governo la legittimità a chiamare i cittadini e le aziende ad ulteriori sacrifici ed inasprimenti fiscali, peraltro solennemente esclusi negli impegni di Governo.
Le manganellate affibbiate, con questo decreto-legge, sulla testa dei contribuenti, manganellate che il ministro Visco sta assestando all'economia produttiva, sono gravi non meno di quelle, vere e proprie, che un altro ministro ha fatto distribuire con sovietica solerzia agli allevatori padani, o di quelle altrettanto odiose che nella mia città, Torino, la polizia di Napolitano ha fatto assestare ad inermi cittadini, colpevoli solo di opporsi in maniera civile e democratica all'ennesimo centro di accoglienza nella loro città.
Noi respingiamo con fermezza le tesi difensive di chi, dai banchi di maggioranza, cerca di accreditare l'immagine di un Governo esclusivamente proteso a realizzare un puro e semplice adeguamento del nostro paese alle direttive europee. È assolutamente non corrispondente al vero che sia per questo fine che il Governo ha dovuto innalzare l'aliquota ordinaria al 20 per cento in molti settori, quando tutti sappiamo quali sono le aliquote ordinarie in vigore in Gran Bretagna (17,5 per cento), nella Repubblica federale tedesca (15 per cento), in Spagna (16 per cento). Sotto la bandiera spiegata dello zelo europeista, il Governo Prodi nasconde un altro assalto alla diligenza, nella fattispecie rappresentata da settori veramente trainanti della nostra economia, contro cui va ad impattarsi l'aumento delle aliquote; innanzitutto a danno dell'edilizia - e noi del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania abbiamo parlato in difesa della multiforme espressione produttiva delle PMI edili, non certo degli amici del Governo, i palazzinari, specialmente romani, cui sono stati riservati grandi benefici dai provvedimenti giubilari - ma anche dei settori delle calzature e vitivinicolo.
C'è allora da domandarsi se le «teste d'uovo» di Prodi ed il suo Governo di professori abbiano valutato l'impatto inflazionistico di questi inopinati aumenti dell'IVA. Più e più volte il nostro gruppo ha esortato il Governo ad accogliere almeno alcune delle proposte qualificanti che dai banchi padani sono state avanzate per razionalizzare un comparto così confuso e inadeguato, come quello rappresentato dal regime dell'IVA. Perché vi siete mostrati totalmente sordi anche alla proposta sostenuta nell'ordine del giorno Molgora, con cui si impegnava l'esecutivo a consentire la detrazione del 50 per cento del costo delle vetture da parte di imprese ed esercenti arti e professioni?
Di fronte ad un provvedimento del genere, è più che doveroso richiamare i deputati dell'Ulivo eletti nelle regioni della Padania alle loro pesanti responsabilità, perché votando i rincari delle aliquote IVA dimostrate di rispondere esclusivamente ai diktat delle segreterie di partito e non al vostro dovere di conformare il comportamento parlamentare agli impegni solenni assunti di fronte agli elettori. Ricordiamo tutti molto bene le tante assemblee elettorali davanti alle rappresentanze delle associazioni dei commercianti, degli artigiani, delle PMI, i grandi e solenni impegni assunti dai candidati dei partiti dell'Ulivo, che non so con quale faccia oggi sostengano un decreto che aumenta indiscriminatamente l'IVA su beni e servizi e quindi penalizza proprio quelle attività commerciali.
C'è da domandarsi, a fronte di una simile stangata sui consumi primari, come abbigliamento e prodotti citati, perché la triplice sindacale se ne stia zitta. È una vergogna che i lavoratori padani, contro cui sono diretti questi provvedimenti, mantengano oltre alla nomenklatura di Governo, con i suoi privilegi e le sue auto

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blu, anche una nomenklatura sindacale che non sente nemmeno il dovere politico e morale di dire una parola in difesa dei redditi delle famiglie operaie, che saranno le prime ad essere colpite da questi aumenti.
Sveglia, Cipputi padano! È verissimo quello che sosteneva David Hume, evocato nell'intervento dell'onorevole Antonio Martino: la libertà non si perde tutta in una volta. È altrettanto vero che la capacità dei professori dell'Ulivo di erodere quanto è stato costruito con decenni di sacrificio e lavoro, soprattutto da generazioni di operatori economici, di lavoratori della Padania operosa e produttiva, è paragonabile a quella delle termiti. Fermiamo, finché siamo in tempo, l'attività distruttiva che il fiscalismo statalista di Visco e Prodi sta svolgendo a tutto danno delle nostre regioni, della Padania soprattutto.
Per questo motivo bisogna pensare fin d'ora, cari colleghi della Padania, ad organizzare la resistenza fiscale contro il Governo di Roma, con tutti i mezzi che il diritto naturale, la storia ed il principio di autodeterminazione riconoscono ai popoli che vogliono difendere il bene più prezioso, quello della libertà. Padania libera (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cé. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CÈ. Signor Presidente, inizio anch'io con una formula che non è solamente rituale ma serve a far sì che restino agli atti le nostre convinzioni e che il Presidente della Repubblica, una volta per tutte, reciti il ruolo corretto che gli viene assegnato dalla Costituzione, un ruolo super partes, e nella diatriba sull'interpretazione del termine di vigenza dei decreti-legge sappia veramente capire cosa c'è in ballo. Non si tratta di uno scontro tra la maggioranza e l'opposizione fine e sé stesso o legato ad un particolare momento politico; è uno scontro tra le interpretazioni, alcune volte illegittime, e lo Stato di diritto.
Pertanto, a nome dei gruppi di opposizione, uniti nella lotta contro l'arbitrio e l'arroganza del potere, esprimo il convincimento che il decreto sull'IVA è decaduto alla mezzanotte di venerdì e pertanto invito il Presidente della Repubblica, nella sua veste di custode della Costituzione, a non promulgare una legge di conversione approvata dalla Camera dei deputati fuori tempo massimo.
Potrei, nel tempo a mia disposizione, esporre per esteso tutte le motivazioni, di ordine sia politico sia economico, che hanno stimolato la nostra battaglia in quest'aula; motivazioni che si sono aggiunte al comportamento sicuramente stolido dell'onorevole Mussi che, in questa occasione, ha dimostrato una scarsa sensibilità nei riguardi del confronto democratico.
Voglio però anch'io dedicare questo tempo all'argomento più importante all'ordine del giorno di queste settimane, quello della protesta degli allevatori.
Penso che uno Stato - e le forze governative che in fondo in questo momento rappresentano l'organo esecutivo dello Stato - nel momento in cui va a colpire duramente una categoria di lavoratori (che, per definizione, si è unita attorno a rappresentanti simbolici che servono solo a dare una identificazione di lotta - questi gruppi - e non sono invece le solite formazioni politicizzate e organizzate, alle proteste delle quali abbiamo assistito negli ultimi decenni e che non hanno, per converso, mai ricevuto manganellate, come invece è successo agli allevatori) sferra un attacco contro una categoria di persone che, invece, uno Stato, rappresentato da una maggioranza di sinistra, dovrebbe difendere, trattandosi di una categoria che trova nell'attaccamento al lavoro e alla terra, nell'abnegazione per il lavoro le proprie caratteristiche peculiari.
Siediti, per favore...

PRESIDENTE. Collega Cè, la prossima volta ricorrerò a lei, perché far sedere


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Paolo Colombo è una delle operazioni più difficili che vi siano!

ALESSANDRO CÈ. Non è facile, Presidente.

PRESIDENTE. Le chiederò una mano, la prossima volta.
Prosegua pure.

ALESSANDRO CÈ. È grave che uno Stato - che oggi rappresenta una maggioranza di sinistra - perda talmente di vista il rapporto con la gente normale, quella non organizzata politicamente, da arrivare a quelle conseguenze. Sottolineo il fatto che, addirittura, quando siamo andati a trovare quella gente nei campi, vicino alla ferrovia o alle autostrade, la prima cosa che ci ha detto - e giustamente, perché io sono un «antipartitico» per definizione - è che non volevano che qualcuno mettesse il cappello sopra la loro contestazione (e che ciò non fosse fatto da parte di nessuno!). Ed io sono stato il primo a dirgli che facevano bene e che era giusto il loro atteggiamento. Però, uno Stato che tratta queste persone nel malomodo che ci è stato riportato dai mezzi televisivi, vuol dire che non ama più i suoi cittadini, che non ha più il rispetto di coloro che sono veramente i depositari dell'attaccamento al lavoro, alla vita stessa, alla sostanza e alla cultura di questo paese; perché è da lì che è nato tutto: dalla terra e nella terra ritroviamo, infatti, tutti i valori fondamentali della nostra cultura.
Di fronte a questo atteggiamento delle forze di polizia (con i rappresentanti delle quali ho avuto modo di parlare: non voglio colpevolizzarli, anche se al loro interno vi sono talvolta dei soggetti che forse non meriterebbero di far parte delle forze dell'ordine, cioè di forze che debbono far rispettare la legge e non mettere dei contenuti propri, fatti alcune volte di violenza, nell'applicazione della legge stessa), devo però rilevare che dalla maggioranza di quei giovani poliziotti, messi lì in prima fila come se fossero al fronte e in trincea, traspariva la scarsa convinzione di quello che stavano realmente facendo. Non solo, ma dai loro atteggiamenti traspariva anche che avevano ricevuto un input forte: si voleva dare una lezione a quegli allevatori, perché questi ultimi, tutto sommato, non appartengono a quel mondo di sinistra organizzato che da decenni sta condizionando la vita politica di questo paese ed oggi sta condizionando tutte le scelte governative o meno di questo paese. Si trattava, quindi, di impartire una lezione a chi ha dimostrato di avere il coraggio, l'onestà e la forza di alzare la testa e di dire: «Sono stanco di essere trattato come un delinquente e di chiedere delle cose che sono legittime» (come risulta dagli esiti delle commissioni di inchiesta governative sulle frodi verificatesi riguardo al problema delle quote latte). Questa gente si è sentita rispondere dalla sinistra, che li dovrebbe difendere, che doveva stare zitta perché loro avevano altri interessi e cose più importanti e che loro rappresentavano una parte della popolazione che in fondo non ha tutti i diritti che invece appartengono alle categorie protette.
Io penso che quella sia stata proprio una strada sbagliata. In questo caso, per l'ennesima volta, viene a galla lo spirito che ha sempre informato negativamente la sinistra di questo paese: è una sinistra che si è sempre riempita la bocca parlando dei poveri e della gente che lavora, ma che non li ha mai capiti! Ha sempre avuto una classe dirigente disastrosa, «staccata» dalla realtà, che oggi, logicamente, si è trasformata in una classe di Governo radical-chic, intellettualoide; è tale perché l'intellettuale vero non perde mai il contatto con la realtà e non disprezza mai il sudore della gente. Invece, questa classe governativa si è oggi ridotta a fare questo: si è ridotta a non considerare la fatica e a seguire unicamente logiche di potere.
Ricordatevi però di una cosa: che quella (che rappresenta la parte migliore del nostro paese, quella che ha chiesto sempre poco, che ha chiesto solo di lavorare e di non essere maltrattata) è gente che non china mai la testa. Le vostre botte non sono altro che uno


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stimolo per quelle persone; dietro alle quali esiste una mentalità collettiva che fino ad oggi è stata soffocata e che ora sta rinascendo, e non sopporta più le vostre angherie.
Avrei molte altre cose da dire, ma è già stato suonato il campanello; probabilmente, l'orologio per me è più veloce...
Presidente Violante, quanto tempo ho ancora a disposizione?

PRESIDENTE. Onorevole Cè, dispone ancora di 40 secondi di tempo.

ALESSANDRO CÈ. Allora, dico solo un'altra cosa. In questo paese si è avuta una fase di grande crisi istituzionale - e c'è ancora - ed è venuta a galla una politica corrotta da decenni, che ha creato nei cittadini delle aspettative di cambiamento; aspettative innanzitutto riguardanti i diritti di libertà. Però, nulla è cambiato in questo senso. Registriamo infatti la presenza di una informazione assolutamente controllata; di uno Stato che ha una tale ingerenza nell'economia da non consentire, di fatto, al cittadino di essere realmente libero, di capire come stanno andando le cose e di esprimersi liberamente col voto.
Concludo qui, se mi dice che il tempo a mia disposizione è esaurito, perché il mio discorso sarebbe molto lungo (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Chiappori. Ne ha facoltà.

GIACOMO CHIAPPORI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, anch'io, a nome dei gruppi delle opposizioni, uniti nella lotta contro l'arbitrio e l'arroganza del potere, esprimo il convincimento che il decreto-legge sull'IVA sia decaduto alla mezzanotte di venerdì. Pertanto, invito il Presidente della Repubblica, nella sua veste di custode della Costituzione, a non promulgare una legge di conversione approvata dalla Camera dei deputati fuori tempo massimo.
Detto questo, Presidente, mi vorrei riallacciare ad un suo intervento per rilevare che l'onorevole Grimaldi, che ieri era all'opposizione, dice che oggi sono cambiate le condizioni e, visto che è al potere, quello che aveva detto ieri non è più valido.

PAOLO ARMAROLI. Bravo!

GIACOMO CHIAPPORI. Credo che occorra capire bene la posizione dell'onorevole Grimaldi e fare una deduzione quasi logica di questo genere: se a determinare talune cose, sia il potere o no; se si ha il potere si è bravi, altrimenti si è un po' meno bravi (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania e di alleanza nazionale). Questo è quanto ho capito dall'affermazione...

PRESIDENTE. Onorevole Chiappori, mi scusi se la interrompo.
Vorrei dirle che era capitato a me, che presiedevo per caso, per accidente, la scorsa legislatura e in questa, di esprimere la stessa valutazione...

GIACOMO CHIAPPORI. Sì, Presidente, ho capito, però l'onorevole Grimaldi aveva fatto questa osservazione.

PAOLO ARMAROLI. Grimaldi ha cambiato opinione!

PRESIDENTE. Credo che anche dalla sua parte sia cambiata opinione: era di Tremonti quel decreto!
Prosegua pure, onorevole Chiappori.

GIACOMO CHIAPPORI. Il mio intervento comunque vuole essere un po' diverso da quelli degli altri, perché vorrebbe essere una riflessione ad alta voce che rispecchi l'opinione di migliaia di cittadini che mi hanno votato e che qui rappresento. È una riflessione per dire che questa battaglia è iniziata forse, ed è diventata necessaria, perché in quest'aula


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avviene ciò che si verifica quando si va in mare a diverse profondità e si prova l'ebbrezza degli abissi; qua, vi è l'ebbrezza del potere e qualcuno è «andato fuori».
E allora questa battaglia è iniziata e forse è diventata necessaria perché in quest'aula, come quando ci si immerge in profondità c'è l'ebbrezza degli abissi, c'è l'ebbrezza del potere, e qualcuno è andato fuori. Secondo me si è persa di vista la realtà, il rapporto tra popolo, tra cittadino e chi oggi lo rappresenta, e qui a tavolino si continuano a fare delle sciocchezze, soprattutto da parte di una forza che, ripeto, ritenevo legata al popolo e che dal popolo traeva la forza morale per potere cambiare. Oggi, invece, mi rendo conto che a tavolino si fanno gli stessi errori.
Mi domando, quindi, se i rappresentanti di questa forza, che ieri era opposizione e che oggi è al potere, non voglia far pagare a noi quello che ieri ha pagato in quest'aula, cioè il sorriso, lo scherno, le beffe che gli rivolgevano gli stessi amici che oggi sono qui con loro e che li aiutano a fare il grande centrosinistra. Se ricordassero quelle lotte passate, se Mussi si ricordasse, come egli ha detto, del fermare i treni a Livorno, a Piombino, di qualche molotov in giro qui e là, magari si ricorderebbe che un pochino di rispetto a questa opposizione, sia pur piccolo, glielo deve portare.
Ricordo che sono venuto qui con il preciso intento di poter far funzionare meglio le cose, e anche di riuscire a far tagliare un po' di soldini che prendevano sempre la solita strada da quarant'anni; soldini che servivano per mantenere un potere, un potere di voto e quindi delle sedie, un potere economico.
Sono arrivato qui e mi sono trovato di fronte a cose incredibili, a soldi che tentavano di partire per operazioni quali il CIRA, per esempio, la Disneyland di Bagnoli, che fortunatamente abbiamo fermato. Abbiamo però visto partire i soldi della Sicilcassa, vediamo partire quelli per il Giubileo, vediamo certi comportamenti sull'Albania, sul voto agli extracomunitari... Queste cose ve le dovete ricordare! Guardate che sono le cose che avete combattuto fino a ieri. O voi siete cambiati, ma allora ritorna il discorso dell'onorevole Grimaldi, che cambia perché c'è il potere, oppure non dovete e non potete dimenticarvi le condizioni. Non siete su un pianeta che si chiama Marte, siete ancora su un pianeta che si chiama Terra e vi dovete ricordare, per esempio, la situazione del porto di Genova, che dà duemila miliardi allo Stato e non ne riceve nemmeno uno; vi dovete ricordare il problema dell'ELSAG; vi dovete ricordare il problema dell'Ansaldo, vi dovete ricordare i problemi di tutti quei lavoratori ai quali oggi dite: «Zitti e andate avanti che ci siamo noi e sappiamo cosa dobbiamo fare». Gli raccontate cioè gli stessi teoremi, le stesse balle che servirono allora alla democrazia cristiana per mantenere il potere, cioè tante balle per avere tanti voti.
Questo era il teorema del passato e voi avete cominciato, avete provato a raccontarlo. Avete detto: «Meno tasse e più servizi». A me pare che questo non sia successo, a me pare che tutti i giorni chiediate, battiate cassa al punto tale che arrivate a presentare un decreto che colpisce la gente. E avete fatto, e state facendo di peggio, cioè non imponete tasse in più, ma vi dedicate ai tagli, che sono la cosa peggiore. I tagli, quelli che non si vedono, ma a chi ha una pensione di 600 mila lire, 10 mila lire per un pacchetto di aspirina fanno male; per chi invece ha i soldini la cosa cambia.
Allora vi chiedo, perché forse da quella parte, dal popolo, viene anche gran parte di noi, di ritornare razionali nelle vostre scelte, di capire che quello che è successo fino ad ora non è un problema di destra o di sinistra, ma è un problema dello Stato che non regge più dal centro, uno Stato che va modificato seriamente. Noi abbiamo voglia di modificarlo, però abbiamo l'esigenza di rispondere alla nostra gente in maniera vera. Finitela di raccontargli le storie, le balle! Questi teoremi non reggono più, l'economia va giù, voi continuate a dire che l'inflazione è ferma, ma è una recessione delle più spaventose! Andate un po' in giro per le strade a

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capire i vostri imprenditori, la gente. Tutto va bene! Non va bene esattamente niente! Siamo in un mare di guai, solo voi pensate che va bene; ma lo sapete che siamo in un mare di guai e tentate di annaspare. Non abbiate paura di dire: «Stiamo tentando e stiamo tamponando il tamponabile, perché con questo sistema centralista solo così possiamo governare, solo così dobbiamo andare a imporre tasse, solo così riusciamo a tenerlo in piedi»! E allora pensate che forse questi maledetti della lega qualche idea buona ce l'hanno.
Forse si può sviluppare quello che voi avete inserito come balla nel vostro programma elettorale, cioè il federalismo. Per voi il federalismo, secondo le ultime notizie, è una doppia tassazione: voi fate pagare l'IRAP alle regioni, avete fatto pagare l'ICI ai comuni e avanti così, la filosofia continua. Se riuscissimo a capire tutto questo sistema, magari non ci troveremmo di fronte a chi in Commissione, signor Presidente, tutore di un certo modo di pensare, viene a dirci che se i piccoli commercianti non ce la fanno, che chiudano! Con semplicità, con naturalezza, ci viene detto, ripeto, che se i piccoli commercianti non ce la fanno, devono chiudere. Ci pensa la grande distribuzione a rifornire soprattutto i centri storici, soprattutto i piccoli paesi, dove la vecchina magari dovrà fare centinaia di chilometri per andare nei loro grandi centri di distribuzione.
L'ingegner De Benedetti ci viene poi a parlare dell'Olivetti e ci dice: «Questo Stato mi ha sempre preso a calci nei denti». Caro ingegnere, ci hai fatto sopportare le casse integrazioni, ci hai venduto i computer, ce ne hai fatte di tutti i colori e vieni qui a raccontare la storiella che hai preso calci nei denti! Ho visto in Commissione facce contente, ma non le ho viste dalla parte che dovrebbe essere quella dei padroni, le ho viste esattamente dalla parte di chi ieri difendeva da una certa barricata un sistema che oggi deve affrontare, ne fa una questione di destra e di sinistra.
Perdetela questa arroganza, perché voi compattate qualcosa che non va compattato! Perdetelo queste senso di sogghigno di tutti i giorni, mentre raccontate le storielle e guardate se vi vengano bene o male. Guardate che c'è un'economia in sflacelo, non pensate di resistere oltre. Dovete cambiare adesso, sennò sarete colpevoli, pagherete gli errori del passato che ha fatto una stessa parte che voi avete dentro e pagherete quelli del futuro, perché con questa cecità portate il paese alla rovina, e sarà colpa vostra, mentre forse non lo era del tutto. Abbiate il coraggio di venirne fuori, abbiate il coraggio di parlare con chi vi propone qualcosa di nuovo. Magari una grande federazione all'interno di un'Europa con autonomie regionali, e poi una confederazione, possono rappresentare una soluzione. Pensateci, non rimanete ciechi, altrimenti vi potremo incolpare di aver ridotto il paese dove e come lo porterete (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania e di forza Italia).

PAOLO ARMAROLI. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLO ARMAROLI. Intervengo, Presidente, per un richiamo all'articolo 41 del regolamento, con riferimento all'articolo 12.
Mi fa molto piacere constatare, perché è una persona che stimo altamente, che l'onorevole Boato, nella sua veste di segretario, sia presente in aula. Ma non è presente in aula, e me ne faccio una parte di colpa, il segretario dell'opposizione. Siccome l'articolo 12, come ella mi insegna, attribuisce ai segretari di Presidenza molteplici compiti e non solo in tema di votazioni, regolarità delle votazioni, ma anche per quanto riguarda il processo verbale, il resoconto, eccetera, le chiedo - e questa volta invoco a sostegno della mia tesi non soltanto l'articolo 12, ma anche «sua maestà» la prassi - che sia presente anche il segretario di Presidenza dell'opposizione.


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Nel frattempo, Presidente, la prego di sospendere la seduta, sia pure per pochi minuti. Grazie.

PRESIDENTE. Onorevole Armaroli, l'onorevole Michielon ha fatto sapere che sarebbe arrivato con qualche minuto di ritardo; d'altra parte lei comprende che sarebbe troppo semplice, in situazioni di ostruzionismo, pregare i propri segretari di non partecipare alle sedute per bloccare i lavori dell'Assemblea.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cavaliere. Ne ha facoltà.

ENRICO CAVALIERE. Signor Presidente, anch'io a nome dei gruppi dell'opposizione impegnati in questi giorni nella lotta contro l'arbitrio e l'arroganza del potere, esprimo il convincimento che il decreto sull'IVA in discussione è decaduto alla mezzanotte di venerdì. Pertanto invito il Presidente della Repubblica, nella sua veste di custode della Costituzione, a non promulgare una legge di conversione approvata dalla Camera dei deputati fuori tempo massimo.
Si è parlato prima di doti che appartengono alle persone intelligenti, una di queste doti è, appunto, quella di cambiare opinione. Noi riteniamo che le pur molte persone del popolo - che ha grande intelligenza - le quali, in seguito alle promesse fatte dall'attuale maggioranza in campagna elettorale, le hanno consentito appunto di vincere le elezioni e di governare lo Stato italiano, possano cambiare idea in futuro, ritenendo di aver compiuto scelte sbagliate. A volte, infatti, ci si fa incantare dalle sirene e quindi si può credere che quello che viene proposto sia giusto. Però, nei fatti, le proposte non sono state seguite da azioni concrete e ciò ha confermato quali fossero le reali intenzioni. Sappiamo, infatti, che a suo tempo, in campagna elettorale, l'attuale maggioranza, presentandosi all'elettorato, dichiarò che in caso di vittoria non avrebbe aumentato la pressione fiscale. Ebbene, oggi ci troviamo a discutere di un provvedimento... Mi è sparita la voce...!

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Cavaliere, cercavo di richiamare l'attenzione dell'onorevole Sanza.

ENRICO CAVALIERE. Come dicevo, sono stati adottati provvedimenti come questo che determina l'aumento dell'aliquote IVA e conseguentemente un aumento, se non della pressione fiscale, dei costi. Pertanto, le famiglie di questo Stato che entrano nei negozi per acquistare beni, si trovano a pagare di più a parità di consumi. Se questo non è un aumento delle tasse, così come ciò viene inteso comunemente dal popolo, non saprei come altro definirlo.
Ciò che è più grave è che noi stiamo compiendo un gioco poco serio nei confronti dell'Europa. Certo, l'Europa è fatta anche di Capi di Stato che si incontrano, si stringono la mano, raggiungono accordi anche se poi magari - com'è stato ricordato da alcuni colleghi - si finisce per andare oltre le condizioni poste a tutela della libera concorrenza da parte della stessa Comunità europea (ed allora si possono autorizzare la ricapitalizzazione dell'Alitalia, com'è accaduto di recente, e risanamenti di banche con finanziamenti provenienti dal Ministero del tesoro e quindi dalle casse dello Stato) e quindi si riescono a fare operazioni che niente hanno a che vedere con le regole che l'Europa dovrebbe imporre, ma che alla fine valgono meno di fronte alle strette di mano dei Capi di Stato, essendo queste ultime azioni politiche, dunque, assolutamente lontane dai comportamenti imposti dalle norme costitutive della Comunità europea. Ritroviamo tale situazione anche nel caso in questione, in cui è stato predisposto un provvedimento che ha lo scopo di sostituire un'imposizione una tantum dello scorso anno, l'eurotassa, che non poteva essere accettata secondo le disposizioni di Maastricht. Quindi bisognava apportare una correzione per poter comunque disporre di un margine di liquidità sufficiente tale da consentirci di mantenere quel fatidico e maledetto indice del 3 per cento del rapporto tra debito e PIL (il debito pubblico sarebbe


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alle stelle, quindi è meglio non parlarne neanche).
In questo modo il Governo continua a ricorrere a trucchi contabili, anticipando le entrate e posticipando le uscite.
Il problema che poi si porrà quando l'Europa ci vedrà, se ci vedrà, compartecipi, sarà quello della moneta unica che impedirà tutta una serie di operazioni, come quelle di svalutazione, che hanno consentito, in molti casi, alle nostre imprese di rimanere sul mercato e di compensare il grave handicap derivante dal fatto di operare nell'ambito di questo Stato; un handicap evidentissimo rappresentato innanzitutto da un costo del lavoro estremamente penalizzante per le nostre imprese rispetto agli altri partner europei, e da una pressione fiscale sui ricavi di impresa che non ha pari negli altri paesi, considerato tra l'altro che viene calcolata, dal punto di vista statistico, aumentando il prodotto di un 15 per cento, perché, nel momento in cui si vanno a fare i conti, si deve considerare anche il «nero». Dunque, le nostre imprese si trovano a dover competere con alcune zavorre, come quelle fiscali, che non consentono e non consentiranno loro di rimanere in un mercato globale. Un esempio classico è quello dell'industria delle calzature, che viene penalizzata dal provvedimento. Provengo da una zona in cui l'industria della calzatura era - e per certi versi è ancora - artigianale, ma è diventata produzione su scala industriale, determinando inoltre forte occupazione. Mi riferisco alla calzatura tradizionale, elegante; tutti sanno che la riviera del Brenta è una zona di grande produzione. Ma vi è anche la calzatura sportiva: le aree del Trevigiano sono sede di imprese che hanno la leadership internazionale per questo genere di prodotti. A fronte di tali operazioni, che vanno contro le imprese competitive a livello internazionale, il Governo si inventa, per esempio, la rottamazione, che concede incentivi per le automobili come se si vendessero solo auto del signor FIAT in Italia. Sappiamo benissimo che con tali incentivi, che comunque provengono dalle tasche dei cittadini italiani, in realtà si promuove l'occupazione in Francia ed in Germania e negli altri Stati produttori. Evidentemente, la Comunità europea, con le sue regole ferree, non poteva consentire che gli incentivi fossero a senso unico, cioè a vantaggio del solo produttore nazionale (alla faccia della libera concorrenza) che è appunto il signor FIAT. Quindi, grazie anche ai nostri soldi, a differenza di ciò che accade alla Piaggio, industria per la quale si ha notizia che 1.400 dipendenti andranno in mobilità nonostante gli incentivi, si va ad incrementare l'occupazione negli altri Stati europei.
Poi si penalizzano i settori produttivi; per esempio quello del vino, che fa parte del comparto dell'agricoltura. Abbiamo un vino buonissimo che viene venduto prima ancora che l'uva sia pigiata. Questa infatti è la nostra realtà: abbiamo ordinativi da tutto il mondo perché - abbiamo questa disgrazia! - produciamo un vino buono e la gente lo vuole bere, lo vuole comprare. Ebbene, noi creiamo ulteriori problemi ad un settore che vorrebbe solo rimanere sul mercato in maniera competitiva.
Dall'altra parte, il nostro è uno Stato che non riesce a tagliare gli sprechi, a riconoscere che il grande popolo dell'IVA - come viene chiamato oggi - per il 70 per cento è padano, anche se in percentuale la popolazione residente rispetto al resto d'Italia è il 45 per cento. Eppure - lo ribadisco - abbiamo il 70 per cento delle partite IVA sul piano nazionale.
Non si può dire che al Governo, comunque, manchi la fantasia. Proprio oggi, sempre in tema di «non sappiamo più dove andare a pescare i soldi», ho letto sui giornali che al ministro dei lavori pubblici Costa è venuto in mente di recuperare risorse mediante l'imposizione di pedaggi sulla percorrenza delle strade statali. Oltre al fatto che mi sembra una chiara violazione della privacy controllare il movimento dei cittadini sulle strade statali (fra un po' ci ritroveremo anche le telecamere all'interno delle nostre abitazioni, perché lo Stato vorrà sapere quello che facciamo nelle nostre case), va comunque segnalato che, se proprio si vogliono

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reperire fondi, vi sono oltre 800 chilometri di autostrada, prevalentemente nelle regioni meridionali, in cui il pedaggio non si paga. Chiediamo che, almeno da questo punto di vista, i cittadini italiani siano posti in condizioni di parità (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Terzi. Ne ha facoltà.

SILVESTRO TERZI. Grazie, signor Presidente e buonasera.

PRESIDENTE. Buonasera, onorevole Terzi.

SILVESTRO TERZI. Anch'io, come i colleghi che mi hanno preceduto, ritengo doverosa una premessa.
A nome dei gruppi dell'opposizione, uniti nella lotta contro l'arbitrio e l'arroganza del potere, esprimo il convincimento che il decreto sull'IVA è decaduto alla mezzanotte di venerdì. Pertanto invito il Presidente della Repubblica nella sua veste di custode della Costituzione a non promulgare una legge di conversione approvata dalla Camera dei deputati fuori del tempo massimo.
Questa sera ho sentito la maggioranza parlare in aula delle regole della democrazia, del loro rispetto. Le regole della democrazia consentono uno scontro leale, consentono che si dialoghi. Bello, signor Presidente, e molto interessante. Peccato che non ci si trovi nelle stesse condizioni durante il dibattito e che in quest'aula e fuori, nelle piazze, si utilizzino mezzi condannati e bollati a livello ideologico dalla sinistra come coercitivi e volti a reprimere la possibilità di espressione alle minoranze, come strumenti che non consentono il rispetto di chi la pensa in modo diverso. Si è parlato di oppressione della democrazia, di chiusura totale ad ogni forma di dialogo.
Poi però proprio in quest'aula un capogruppo di maggioranza ha apertamente sfidato l'opposizione, incitandola all'occupazione di fatto dell'aula e a parlare ad oltranza. Questa è la logica che ormai prevale e che prevarica qualunque dialogo concreto e sereno. Si tratta di una logica squadrista di diverso colore, che non consente ai parlamentari di esprimersi.
Anche se sto parlando da questo banco, in quest'aula la possibilità di espressione non viene comunque concettualmente rispettata. Si permette, sì, a qualcuno di parlare, ma fuori dell'aula non viene riportata una corretta informazione. Eppure mi ricordo che più volte nella passata legislatura il Presidente fu molto deciso nei confronti dei mezzi di informazione, perché effettivamente riportassero all'esterno i dibattiti che si svolgevano in aula. Questi mezzi di informazione oggi non ci sono o non funzionano. Non direi, per la verità, che non funzionano, perché quando è circolata la voce che dopo la mezzanotte tutto sarebbe finito, si sono precipitate in aula le «truppe cammellate», che hanno occupato i loro banchi per garantire la presenza in caso di un eventuale voto.
Molto probabilmente, dunque, l'informazione funziona solo in un senso, con un canale unico.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Terzi, ma era noto che a mezzanotte sarebbe stato posto il problema costituzionale che è stato sollevato per primo dal collega Comino e molti colleghi erano interessati a seguire tale questione. Credo peraltro fosse un loro diritto venire ad ascoltare le ragioni dell'opposizione su un tema costituzionale di questa delicatezza. Non vedo perché bisogna offenderli.

SILVESTRO TERZI. Non sto affatto offendendo i colleghi che sono venuti alla mezzanotte. Sto semplicemente facendo alcune considerazioni in merito alla partecipazione e al diritto che viene sancito di esprimere liberamente il proprio pensiero.
Mi ricordo che all'alba dei giorni scorsi ho parlato - e qualcuno magari si è anche offeso - di ectoplasma di maggioranza:


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perché di questo, in effetti, si trattava! Oggi invece abbiamo visto che la maggioranza c'è, esiste: non ci era sembrato in tutti questi giorni! Fino a verso la mezzanotte abbiamo potuto constatare che esiste: lo apprendo con piacere e sicuramente con piacere lo apprenderanno attraverso Radio radicale anche i cittadini che vivono nel paese, che ci sono ed esistono.
Lo ripeto, non era mia intenzione aprire una polemica. Volevo semplicemente descrivere quello che sta succedendo in quest'aula. Non vi era assolutamente alcun intento offensivo: mi limitavo a fare la cronaca di quanto sta succedendo.
In questo momento non sono molti i deputati della maggioranza presenti in aula, ma mi fa piacere che alcuni stiano seguendo il dibattito. E mi fa anche piacere che poi i deputati di rifondazione comunista riusciranno a spiegare alle tute blu, che vivono con uno stipendio fisso e delle cui istanze si sono autoeletti portatori, che l'aumento dell'IVA incide fondamentalmente su chi ha un reddito fisso, che è l'ultimo che paga.
Quando andranno dal metalmeccanico o dal lavoratore tessile dovranno spiegare perché si è arrivati ad un aumento di tale imposta. Vorrei anche che, una volta tanto, si riuscisse a dire la verità a queste persone, le quali pagano circa il 34 per cento dei loro salari ed ora viene loro imposto anche un ulteriore onere del 20 per cento.
Sempre per motivi di equità, poiché si strozzano le piccole e medie imprese, bisogna strozzare anche i lavoratori dipendenti, quelli che a fine mese devono fare i conti con una bistecca in più o con un paio di scarpe da acquistare ai propri figli.
Per aiutare e per difendere questi operai e tutte le persone a reddito fisso, cosa va a pensare questo Governo? Aumenta l'IVA! Di contro, abbiamo assistito all'incentivazione per la rottamazione dei veicoli: è molto curioso questo modo di agire per cercare di aiutare chi ha un salario fisso!
Mi pare si tratti della logica contraria a quella di Robin Hood, il quale rubava ai ricchi per donare ai poveri. Qua si va esattamente nella direzione opposta: si aumentano i gravami a chi ha un reddito fisso, a chi non ha altre fonti di guadagno per dare incentivi alla grande industria. Ecco dunque cosa succede.
Quando parliamo di enormi costi e di spese che dovremo sostenere, ci dimentichiamo di una cosa. Qualche collega che mi ha preceduto ha parlato di quanto sta accadendo nel paese, della divaricazione che esiste tra la realtà del nord e quella del sud. Basti pensare alla viabilità, alle strade: le autostrade vengono pagate per il 70 per cento con i versamenti del nord del paese. Proprio a questo riguardo voglio raccontare...

PRESIDENTE. Onorevole Terzi, il tempo a sua disposizione è terminato.

SILVESTRO TERZI. Mi dispiace che il tempo sia trascorso. A questo punto dovrei raccontare la barzelletta di Kruscev. Quando gli chiesero cosa poteva dire, rispose: «Aiuto!». È quello che chiedo al paese: aiuto contro la maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)!

PRESIDENTE. Colleghi, siamo oltre il termine stabilito per la sospensione tecnica. Questo è l'ultimo intervento prima della pausa tecnica.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo qui a quest'ora tarda per una questione che ha un grande rilievo costituzionale e che tocca un bene prezioso di ogni democrazia, e cioè la correttezza dei rapporti tra Governo, maggioranza e opposizione.
Dico consapevolmente la correttezza dei rapporti fra Governo, maggioranza ed opposizione perché qui i soggetti non sono soltanto due, la maggioranza e l'opposizione. Può sembrare un paradosso, ma


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noi siamo qui per difendere non solo e non tanto i diritti dell'opposizione, ma prima di tutto i diritti della maggioranza, e quindi i diritti del Parlamento. Perché quando un Governo ricorre per trenta volte allo strumento del voto di fiducia non è possibile non porsi un interrogativo: si tratta semplicemente di un dato tecnico o di una sostanziale sfiducia del Governo nella propria maggioranza, una sostanziale sfiducia che nasce dalla convinzione che, se fosse permesso a questo Parlamento di svolgere un libero dibattito, su molti punti le misure proposte dal Governo verrebbero modificate dall'Assemblea parlamentare?
Dico questo non nell'illusione che gli argomenti che noi dell'opposizione possiamo sviluppare avrebbero la forza di convincere i deputati della maggioranza. Lo dico invece nella ferma certezza del fatto che molti deputati della maggioranza sarebbero fin dal principio contrari almeno ad alcuni aspetti delle norme proposte dal Governo e che, essendo intenzionati a rappresentare gli interessi, le attese, le speranze del paese che noi stessi ascoltiamo, e nei quali percepiamo con nettezza la contrarietà della grande maggioranza degli italiani a questi provvedimenti, soprattutto a quelli di natura fiscale, molti esponenti della maggioranza non potrebbero legittimare, davanti ai loro elettori, un voto che accettasse sic et simpliciter, senza modificazioni la proposta del Governo e sarebbero inclini ad accettare il dialogo con le opposizioni per apportare almeno alcune modifiche, alcune significative modifiche.
Le sono grato, caro Presidente, di avere in un suo intervento sollevato la questione dell'improprietà di questo ricorso continuo al voto di fiducia, insieme con l'altra della improprietà di alcuni provvedimenti che vengono aggregati alla legge finanziaria senza avere con essa il minimo rapporto e la minima connessione. Sono fenomeni gravi, preoccupanti, perché limitano non solo i diritti dell'opposizione ma anche i diritti della maggioranza e, quello che più conta, i diritti del Parlamento e lasciano sospettare la volontà di introdurre una riforma istituzionale strisciante che altera la Costituzione così come l'abbiamo ricevuta dalle precedenti legislature, quanto meno secondo l'interpretazione che del dettato costituzionale si è consolidata nel corso degli ultimi due decenni, con la minaccia non del regime e della dittatura - io sono, voi sapete, un moderato anche nel linguaggio - ma certo della formazione di una democrazia minore, di una democrazia in cui gli spazi di partecipazione e di dibattito vengono ristretti in modo significativo, con il risultato di diminuire il livello del controllo sul Governo, di diminuire il livello delle garanzie. E questo è straordinariamente preoccupante in un paese come l'Italia, in cui il Governo dispone di un potere straordinariamente vasto, straordinariamente ampio.
Il Governo italiano controlla una parte importante dell'economia del paese, nomina direttamente o indirettamente i vertici di gran parte del sistema produttivo e di quello finanziario. Lo spoil system applicato a questa enorme massa di poteri che fanno capo in un modo o nell'altro al Governo offre straordinarie possibilità di ricattare l'elettorato, di realizzare in Italia quel modello di democrazia manipolata, illustrato una volta da Jurgen Habermas, in un libro a suo tempo famoso, Strukturwandel der Offentlichkleit (trasformazioni strutturali della pubblica opinione), in cui il Governo non ottiene il consenso attraverso un libero dibattito su proposte e su qualità della classe dirigente che propone, ma compra il consenso attraverso la possibilità di distribuire favori e privilegi a coloro che seguono la sua parte politica.
Tutto questo non può non preoccuparci fortemente e non può non indurci a rivolgere un appello alle forze della maggioranza e al Governo: bisogna cambiare. Ho letto le dichiarazioni di Cesare Salvi, che invita a riprendere il dialogo fra Governo ed opposizione. Sono dichiarazioni che accolgo con favore, però non ho capito che tipo di dialogo Salvi proponga e l'invito ad una tavola rotonda per discutere sulle regole della correttezza

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istituzionale. Questo non ci interessa. La correttezza del dialogo avviene attraverso i fatti. Rinunci il Governo a strozzare il dibattito parlamentare attraverso il ricorso continuo ed indebito allo strumento del voto di fiducia. Chieda il Governo all'opposizione di limitare il numero degli emendamenti, cosa che noi eravamo disposti a fare. Chieda il Governo all'opposizione di indicare quali emendamenti ritiene effettivamente qualificanti e consenta che questi emendamenti effettivamente qualificati siano discussi in quest'aula. Questa è la premessa indispensabile per aprire un dialogo fra Governo e opposizione e per esercitare insieme la responsabilità per il buon funzionamento delle istituzioni.
L'appello al senso di responsabilità dell'opposizione, quando accompagna comportamenti arroganti del Governo, quando accompagna la chiara volontà del Governo di imporre la sua forza, quando accompagna comportamenti che non è possibile qualificare se non come prepotenti, diventa l'invito all'opposizione a rinunciare al suo ruolo di cane da guardia a difesa di tutti i cittadini. E in questo caso un simile appello potrebbe essere soltanto respinto sdegnosamente.
Mi auguro che questo scontro parlamentare che noi teniamo su livelli di massima correttezza non abbia un effetto deleterio sull'approvazione delle norme elaborate dalla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali. Non posso però nascondermi un fatto: se qualcuno pensa di procedere all'approvazione delle norme della bicamerale usando il medesimo spirito di intolleranza e di prepotenza che viene usato a proposito di questo decreto, se qualcuno pensa che l'Assemblea parlamentare debba prendere o lasciare un accordo blindato, che in realtà è bisognoso di notevoli correttivi perché è spesso incoerente in se stesso, e quindi di fatto inapplicabile, e quindi tale da lasciare gravi preoccupazioni su quale sarebbe l'effettivo funzionamento delle istituzioni se esso non fosse rimeditato con saggezza e ridiscusso nell'aula parlamentare, se qualcuno pensasse di procedere nelle riforme istituzionali con questo spirito e in questo modo, si sbaglierebbe e tutto il lavoro fatto rischierebbe ancora una volta di risultare inutile, con grave danno, perché, come ebbe a dichiarare una volta l'onorevole D'Alema proprio in quest'aula, se la Commissione bicamerale fallisse, se ancora una volta questo Parlamento, questa legislatura, fallissero nel tentativo di dare al paese le riforme di cui ha bisogno, questo sarebbe il fallimento di un'intera classe politica, che il paese non riconoscerebbe come sua adeguata rappresentanza. Sarebbe un fallimento, certo, anche dell'opposizione, ma primariamente del Governo e della maggioranza.
Allora, l'invito al dialogo da parte nostra troverà sempre orecchie attente quando sarà avanzato in modo corretto, con lealtà e con sincerità, e quando sarà accompagnato da comportamenti coerenti da parte del Governo. Restiamo in attesa, signor Presidente, di tali comportamenti (Applausi dei deputati del gruppo misto-CDU).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Buttiglione.
Sospendo la seduta per una pausa tecnica fino alle 3,20.

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