Seduta n. 274 del 20/11/1997

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Si riprende la discussione del disegno di legge n.4297 (ore 15,13).

(Ripresa della discussione sulle linee generali - A.C. 4297)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Antonio Pepe. Ne ha facoltà.

ANTONIO PEPE. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, il provvedimento in esame, che mira alla conversione in legge del decreto-legge n.328 del 29 settembre 1997, recante disposizioni tributarie urgenti, appare fortemente criticabile. Infatti la rimodulazione delle aliquote IVA con la soppressione dell'aliquota intermedia del 16 per cento e l'innalzamento dell'aliquota massima dal 19 al 20 per cento; l'inasprimento delle disposizioni tributarie sulle cessioni di partecipazioni sociali non qualificate; le modifiche degli articoli 21 e 23 della legge 633 del 1972, appaiono provvedimenti non necessari e non urgenti, come ricordavano questa mattina gli onorevoli Carlo Pace, Migliori ed Armani, ed anzi provvedimenti che recano forti danni alle famiglie, alle imprese ed al sistema economico in generale.
Il provvedimento avrebbe richiesto un maggior dibattito in Commissione per un concreto approfondimento dei tanti problemi ad esso connessi (lo segnalava questa mattina il presidente, onorevole Benvenuto). Il tempo ristretto a causa del calendario dei lavori dell'Assemblea e perché si sta avvicinando il termine di scadenza ha impedito alla Commissione di esaminare e di approfondire il provvedimento ed anche i molti emendamenti presentati. Il gruppo di alleanza nazionale


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ha proposto pochi emendamenti, che mi auguro possano essere esaminati in quest'aula, anche se sento parlare da più parti di un ennesimo voto di fiducia che impedirebbe a tutti noi di discutere il provvedimento e di tentare di migliorarlo.
Il Governo vorrebbe perseguire l'obiettivo del risanamento finanziario attraverso misure di natura fiscale introdotte senza la necessaria discussione parlamentare. Di fatto, in realtà, il Governo aumenta la pressione fiscale del paese, che ha già raggiunto soglie altissime, nascondendosi dietro l'esigenza dell'adeguamento alle normative europee e mascherando così errate scelte di politica economica.
Occorre a questo proposito segnalare che nella relazione di accompagnamento al decreto-legge n.328 il Governo afferma impropriamente ed erroneamente di voler apportare modifiche in materia di aliquote IVA per realizzare un marcato allineamento alle direttive comunitarie. Tale versione non ci convince, anzi oserei dire che non è veritiera. Il Consiglio d'Europa, infatti, adotterà decisioni sul regime definitivo dell'IVA nei prossimi anni, cioè nel momento in cui si procederà alla definitiva armonizzazione delle aliquote. Il Governo quindi afferma di volersi allineare a decisioni e provvedimenti ancora inesistenti, che verranno alla luce solo dopo la metà del 1999.
Ad oggi, in tema di armonizzazione delle aliquote IVA le direttive CEE consentono ancora l'applicabilità del regime transitorio, già fissato una prima volta in quattro anni, dal 1992 al 1996, e poi prorogato sino al 31 dicembre 1998. Il regime transitorio, inoltre, dispone per lo Stato membro la fissazione di un'aliquota normale non inferiore al 15 per cento, ma non impone certo di elevare detta aliquota sino al 20 per cento, per cui l'Italia risulta ai primi posti in Europa per quanto riguarda l'ammontare delle aliquote. Ricordo, per inciso, che in Spagna l'aliquota ordinaria ammonta al 16 per cento, nel Regno Unito al 17,5 per cento e in Germania al 15 per cento; in Italia l'aliquota ordinaria viene aumentata dal 19 al 20 per cento probabilmente per conseguire un primato in Europa!
In realtà, dietro questa semplice manovra impositiva si nasconde l'esigenza malcelata di voler aumentare il gettito di cassa, che evidentemente anche per l'anno in corso è insufficiente ed inadeguato per il raggiungimento dei parametri europei. Forse il provvedimento punta a porre riparo al minor gettito nei fatti assicurato dal contributo straordinario per l'Europa; comunque, esso nasconde sicuramente anche una manovra di aggiustamento dei conti per l'anno in corso, dimostra che le manovre precedenti sono state insufficienti e di fatto nasconde una nuova «manovrina». Si spiega solo in questo modo la necessità di anticipare gli effetti della manovra sull'IVA agli ultimi mesi del 1997 solo per cercare nuove entrate stimate, secondo la relazione tecnica che accompagna il provvedimento, in 1.459 miliardi per la frazione del 1997. Il Governo fa affidamento sulle maggiori spese che normalmente si realizzano nel mese di dicembre, mentre le disposizioni contenute nell'articolo 1 dovrebbero fruttare alle casse dello Stato maggiori entrate stimate, per il 1999, in 6 mila miliardi di lire.
Appare quindi evidente che il provvedimento in esame provocherà un'ulteriore contrazione della domanda dei beni di consumo ed alimenterà il risalire dell'inflazione. Ricordo che la stessa Banca d'Italia ha ammonito il Governo circa i rischi di un'eventuale e purtroppo probabile risalita dell'inflazione. Siamo quindi fortemente critici nei confronti di una disposizione che andrà a penalizzare i settori produttivi ed il reddito disponibile delle famiglie, che andrà a penalizzare i prodotti di largo consumo e quindi colpire settori notoriamente in crisi. Si incide negativamente sul settore edile, su quello agricolo, su quello tessile, su quello calzaturiero, sulla distribuzione grande e piccola.
Paradossalmente, per un verso si concede la possibilità di ottenere benefici fiscali per le ristrutturazioni immobiliari

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(ricordo la propaganda che ha fatto il Governo a proposito dell'articolo 1 del collegato alla finanziaria, che consentirà ai contribuenti di dedurre in più anni dalle proprie denunzie dei redditi le spese per ristrutturazioni degli immobili fino ad un massimo del 41 per cento di 150 milioni), per altro verso si aumenta il prezzo dei materiali perché aumenta l'IVA anche sulla progettazione e si vanifica così parzialmente il beneficio concesso. Ecco perché abbiamo presentato emendamenti volti a ridurre il peso dell'aumento dell'IVA sul materiale edile. Occorre rivedere le aliquote IVA per l'edilizia. Un'aliquota più bassa farà emergere il lavoro sommerso, creerà nuova occupazione; un'aliquota ragionevolmente bassa invoglierà il contribuente a richiedere fattura per dedurre parte del costo in sede di dichiarazione dei redditi e per usufruire dei benefici previsti nel provvedimento collegato alla finanziaria; un'aliquota alta come quella imposta dal Governo vanifica tutto ciò, non contribuisce alla lotta all'evasione e va ad incidere su un settore in crisi che andrebbe invece rilanciato.
Allo stesso modo si colpisce il settore agricolo innalzando le aliquote su moltissimi prodotti (ricordo tra tutti il mosto da vino, ma ve ne sono tanti), un settore verso il quale il Governo dimostra scarsa attenzione. Ancora una volta gli agricoltori vengono dimenticati da questo Governo; anzi, ad essi è richiesto uno sforzo onerosissimo con grave danno per l'intera economia del sud, che vive principalmente di agricoltura.
Questo provvedimento incide anche sul trasporto, sia urbano sia extraurbano, aumentando l'IVA al 10 per cento in un settore che fino a ieri ne era esente. La modifica interessa anche il trasporto degli alunni della scuola materna e dell'obbligo, considerato trasporto pubblico urbano, che quindi fino al 30 settembre 1997 era esente dal pagamento dell'imposta IVA e dal 1 ottobre è soggetto ad un'aliquota del 10 per cento. Per fare rientrare questo trasporto nell'esenzione abbiamo presentato un emendamento; vogliamo infatti favorire la scuola e l'obbligatorietà scolastica.
Lo spostamento del Governo su posizioni radicali di estrema sinistra è un fenomeno molto grave nel momento in cui sarebbe necessario procedere al rilancio economico per fare fronte al fenomeno della disoccupazione. Si inasprisce la pressione fiscale, si penalizza il sistema delle imprese, si pongono purtroppo le basi per un nuovo periodo di recessione, si danneggiano le famiglie, specie quelle più bisognose e più povere che maggiormente necessitano di tutela. Leggevo poco fa, mentre aspettavo la ripresa della seduta pomeridiana, la citazione su un giornale dove è scritto che la forza dei Governi è inversamente proporzionale al peso delle imposte. Se questo è vero, visto il peso delle imposte in Italia, questo Governo è realmente debole.
Solo negli ultimi sedici mesi la pressione fiscale è cresciuta di oltre due punti percentuali. Tutto questo senza che ancora sia entrata a regime la nuova imposta regionale sulle attività produttive, la famosa IRAP, un'imposta che in nome della semplificazione aumenterà la pressione fiscale, un'imposta ingiusta, perché non tiene conto degli interessi passivi, un'imposta ingiusta perché non tiene conto del costo del lavoro, un'imposta anti-impresa ma anche anti-professionisti e anti-lavoratori autonomi, che saranno danneggiati perché l'IRAP che dovranno pagare sostituirà l'ILOR e la patrimoniale, che essi non pagavano (l'ILOR, sulla base di una sentenza della Corte costituzionale), con l'effetto di vedersi assoggettati ad un'imposta gravosa in cambio di una semplificazione che non li riguarda affatto.
Il sistema fiscale nel suo complesso appare ormai insostenibile. Le aziende più grandi sono costrette a cercare nuove e più convenienti localizzazioni in paesi dove il fisco è meno pesante e dove la manodopera è meno onerosa. Le imprese più piccole sono costrette in molti casi a chiudere e ad affrontare situazioni di gravissima difficoltà. Il vero problema del

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paese è quello di ridurre la pressione fiscale e far liberare risorse per far ripartire gli investimenti e la ricerca.
Tornando al decreto ricordo che anche nel documento del servizio studi della Camera risulta che per quanto riguarda l'articolo 1 esistono significative difficoltà. Vi sono perplessità circa la non corretta tecnica legislativa, che lascerebbe alcuni dubbi interpretativi e potrebbe quindi ingenerare difficoltà di applicazione delle norme stesse. Le stesse disposizioni dell'articolo 3 in tema di registrazione delle fatture differite stanno già provocando difficoltà applicative per le imprese e vanno contro la conclamata voglia di semplificazione del sistema fiscale. Tale articolo comporterà spesso anticipi di imposte ingiuste.
Così come non si giustifica la transitorietà della norma di cui all'articolo 4, in tema di trattamento tributario delle plusvalenze sulle cessioni di partecipazioni non qualificate, considerando la prossima entrata in vigore della riforma prevista da un decreto legislativo in attuazione della legge n.662 del 1996, che abrogherà il regime transitorio stesso.
Per questi motivi, alleanza nazionale e il Polo si sono schierati compatti e in forte dissenso contro un provvedimento ingiusto, mirante solo a mascherare un deficit di cassa; un provvedimento che creerà inflazione, che aumenta ancora la pressione fiscale del nostro paese, un paese che ha bisogno non di tasse ma di sviluppo (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Armosino. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA ARMOSINO. Presidente, colleghi, già in occasione dell'esame del documento di programmazione economico-finanziaria 1998-2000 il gruppo di forza Italia aveva rilevato che l'aumento di gettito previsto da quel documento non si sarebbe verificato con l'aumento dell'IVA. Abbiamo detto che l'aumento dell'IVA determina un aumento dei prezzi al consumo e quest'ultimo porta semmai alla recessione (probabilmente, potrebbe derivarne un decremento di quel gettito).
Ma questa decisione si inserisce nell'ottica di questo Governo di adottare misure esclusivamente per incidere sulla cassa. Ci pare che con questo provvedimento siano state introdotte delle misure - appunto, di aumento dell'IVA - senza conoscere la realtà economica italiana in cui questo provvedimento dovrebbe agire. Per non dire delle contraddizioni che lo caratterizzano. Da un lato, si sostiene che si andrà a favorire lo sviluppo o meglio la ripresa dell'edilizia; dall'altro, con questo provvedimento, si aumenta l'IVA sui materiali che dell'edilizia costituiscono il presupposto.
Quanto all'agricoltura, vi è una nota particolarmente dolente. L'aumento dell'IVA sul vino, formalmente del 4 per cento, determinerà invece un aumento dell'11 per cento e questo significa non sapere quanti sono coloro che dall'agricoltura traggono la fonte del loro sostentamento. Significa non sapere quanto l'agricoltura incide all'interno dell'economia italiana. Significa anche non considerare quello che il vino rappresenta per l'Italia e credo che noi dobbiamo fare leggi per l'Italia, non per gli altri Stati. Sul presupposto di una pretesa armonizzazione delle aliquote IVA, questo Governo propone - e poi lo farà - di aumentare l'aliquota IVA sul vino, che determinerà una grave recessione in agricoltura.
Ma questa politica o meglio questa assenza di politica per l'agricoltura determinerà anche l'abbandono di molti territori. Abbandonare quei territori, magari di zone collinari impervie (il Piemonte è caratterizzato da questi territori destinati all'agricoltura), comporterà anche un ulteriore aggravamento del già grave rischio di eventi calamitosi di carattere idrogeologico e ne abbiamo già avuti. L'insediamento dell'agricoltura funziona anche da elemento di tutela del territorio, per impedire il verificarsi o l'aggravarsi dei rischi di calamità.
L'aumento dell'IVA sul vino è così drammaticamente contro l'agricoltura da essere singolarmente recepito nello stesso


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modo da tutti. Da tutte le parti proviene questa considerazione: perché mai il vino, che viene così colpito e con esso l'agricoltura, non dovrebbe invece far parte di quel paniere di beni che per noi sono primari, come ad esempio la pasta? Ebbene, vista la pretesa di uniformare la normativa IVA a quella europea (cosa che non hanno fatto gli altri Stati), si sta considerando il vino esattamente come la birra, dimenticando, ad esempio, che noi produciamo vino e non birra, che il vino non è sottoposto ad un processo di fabbricazione industriale perché richiede un'altra tecnica ed un altro lavoro e dimenticando che in agricoltura operano prevalentemente imprese famigliari (l'80 per cento degli addetti all'agricoltura).
Ma vi è un altro fatto che evidenzia la follia, il disinteresse, la lotta contro l'agricoltura da parte di questo Governo. Questa misura arriva quando sta per essere introdotta un'altra tassa (l'IRAP), che peserà moltissimo sul settore dell'agricoltura perché, con la pretesa di sostituire ed accorpare altre tasse, fa in realtà pagare al settore dell'agricoltura tasse che prima non c'erano.
Abbiamo presentato degli emendamenti su questo punto; abbiamo sentito le dichiarazioni di taluni componenti della maggioranza secondo i quali questo Governo non può essere insensibile al problema in esame. Sappiamo bene (perché l'abbiamo vissuto in quest'aula, ciò ci ha fatto indignare, a volte ci ha fatto sentire anche umiliati, altre volte tesi) che il Governo non ha fatto mai passare nulla che provenisse dall'opposizione! Ebbene a noi non interessa chi metta il cappello su un'eventuale modifica; a noi non interessa se il Governo vuole essere lui a modificare e non l'opposizione, la quale è meglio che stia lì, possibilmente zitta; ma a noi interessa che questo provvedimento sull'agricoltura venga radicalmente modificato. I nostri emendamenti vanno in tal senso; verranno presentati anche degli ordini del giorno nel caso in cui tali emendamenti non saranno discussi. Penso che ci verrà detto - e ciò già lo contestiamo - che questo è un provvedimento collegato alla finanziaria. Ebbene, allora noi ribadiamo che non si fanno collegati alla finanziaria per decreto-legge! Si lascia che sia il tempo a valutare le situazioni, la realtà e l'eventuale identità tra ciò che si dice e ciò che si pensa: e, nel caso in specie, se il ventilato interesse per l'agricoltura corrisponda ad un sentire vero di questo Governo (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giovanni Pace. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PACE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, la competenza, la dottrina, la passione che poc'anzi abbiamo sentito nelle parole della collega Armosino e del collega Pepe meriterebbero forse una maggiore attenzione, però personalmente devo esprimere la soddisfazione per la presenza attenta e diligente del sottosegretario, professor Marongiu, il quale è particolarmente sensibile a questi problemi. Ed io sono certo che il sottosegretario, il quale ha preso una serie di appunti ed altri ne sta prendendo in questo momento, alla fine cercherà di fare quello che la sua coscienza certamente gli detta in ordine alle tante osservazioni che sono state fatte su questo provvedimento.
Signor Presidente, la relazione, l'incipit al provvedimento dice che le modifiche introdotte in materia di IVA tendono a realizzare un più marcato allineamento con le direttive comunitarie.
Non vi è dubbio che esiste una direttiva comunitaria alla quale è necessario adeguarsi. Noi siamo favorevoli all'ingresso dell'Italia in Europa a pieno titolo e con tutti gli strumenti e le attrezzature che ci consentono di fare bella figura all'interno di questa Comunità in cui crediamo. Tuttavia, non si può negare che esiste un termine finale entro il quale portare a termine alcuni adempimenti. Ebbene, dal momento in cui è entrato in vigore il decreto-legge di cui ci stiamo occupando questa sera allo scadere di tale termine mancano ben quattordici mesi.


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Non abbiamo dubbio che sarebbe stato utile e necessario riflettere maggiormente sulla materia trattata e dare più tempo alla Commissione di merito per svolgere l'esame del provvedimento. Lo stesso presidente Benvenuto ha sollevato dei rilievi proprio in relazione alla ristrettezza dei margini di tempo concessi per svolgere l'esame del provvedimento.
È vero che il Governo si trova nella necessità di avere maggiori entrate, ma vorrei che tali cose venissero fatte rilevare non perché si tratti di un fatto ignobile - è invece doveroso per l'esecutivo occuparsi di come reperire le risorse necessarie per dare risposte alle domande provenienti dai cittadini e per offrire quei servizi che la collettività richiede - ma perché reputo opportuno che il Governo manifesti chiaramente la sua intenzione di servirsi dello strumento dell'inasprimento fiscale. Infatti di questo si tratta. La verità è che bisogna trovare oggi una soluzione ai problemi di cassa. La verità è che occorre reperire nel 1997 migliaia e migliaia di miliardi, ad esempio 1.500 miliardi per quanto attiene all'IVA, e che bisogna reperirli adesso, attraverso il provvedimento al nostro esame.
Signor Presidente, al 30 settembre di quest'anno le entrate erano pari a 370 mila miliardi, rispetto ai 550 mila miliardi previsti per l'intero anno. Il Governo sostiene che nell'ultimo trimestre di quest'anno riuscirà ad incassare i 180 mila miliardi che mancano per garantire l'intero gettito previsto, ma noi nutriamo delle perplessità in merito alla possibilità di raggiungere questa cifra, perché la media del gettito tributario è pari a 30-35 miliardi al mese. Che cosa ci vuole a dirsi la verità tra persone che riescono a comprendersi, tra persone che vogliono raggiungere le medesime finalità? Perché non ci diciamo che il gettito tributario è pari a 30-35 miliardi al mese? Attraverso questo calcolo sappiamo che non riusciremo ad incassare i 180 mila miliardi che mancano se non attraverso un inasprimento fiscale. Per favore, non parliamo di Europa! Diciamo che stiamo spremendo il popolo italiano attraverso la tassazione! Poi vedremo se stiamo operando bene o male, ma dobbiamo dire chiaramente che questi sono i meccanismi attraverso i quali si realizza la politica del Governo.
Vi è poi da considerare che il mese di dicembre è il più proficuo sotto il profilo delle entrate tributarie. Ciò significa che ottobre e novembre dovrebbero rendere 80 mila miliardi e dicembre 100 mila miliardi, però nutriamo il forte sospetto, rispetto al quale ci piacerebbe ricevere delle smentite, che alla fine di dicembre non si registreranno simili entrate, tenuto conto tra l'altro dell'andamento del gettito previsto dal documento di programmazione economico-finanziaria, che tuttavia non ha dato finora i risultati sperati.
Per tale ragione il Governo ha pensato, a nostro avviso errando, di introdurre questa modifica delle aliquote IVA per garantirsi un ulteriore introito e non certo per pensare all'Europa. Ovviamente vi è anche la prospettiva europea, ma non è questa la preoccupazione principale del Governo.
Non vi è dubbio allora, onorevoli colleghi, che il provvedimento in esame determina in qualche misura un aumento della pressione fiscale, ma con esso si complicano alcune situazioni che riguardano i piccoli operatori economici - è una questione della quale spero di fare a tempo a parlare - che operano in condizioni obiettive di disagio ambientale. Con questo provvedimento inoltre si determinano situazioni di scarsa chiarezza, se non di confusione, in alcuni dei settori sui quali si interviene: la rimodulazione delle aliquote IVA scaricherà negli ultimi mesi del 1997, come ho già detto, sulle spalle dei nostri contribuenti circa 1.500 miliardi di spesa in più, ai quali si deve aggiungere un inasprimento obiettivo sul fronte delle operazioni riguardanti le cessioni di partecipazioni sociali (lo ha già detto il collega Antonio Pepe e non lo ripeto). Queste ultime ci preoccupano particolarmente perché ad esse si va ad «appiccicare» (mi si consenta di usare questo brutto termine, anche se accanto a me siede un vero e proprio maestro dell'oratoria, uno stilista la cui presenza

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dovrebbe suggerirmi altre terminologie, ma i miei limiti - ahimè - sono questi) la preoccupazione degli operatori economici, oltre che nostra, riguardo allo scenario che si apre in rapporto all'introduzione dell'IRAP. In ordine a tale imposta finora non è stato dato alcun chiarimento ufficiale (tranne una dichiarazione rilasciata ieri da Prodi della quale parlerò in seguito) a chi si preoccupa delle conseguenze che il contribuente subirà, per esempio, per effetto della indetraibilità di tale imposta dal reddito.
Le aliquote IVA si devono allineare alla normativa europea ma, poiché la necessità di riflessione non confligge con la necessità di adeguarsi alle norme comunitarie, avremmo potuto mantenere l'attuale regime fino a tutto il 1998. Tra l'altro l'Italia è tra i paesi d'Europa che applicano le aliquote IVA nella misura percentuale più alta. Noi deputati dell'opposizione avremmo guardato favorevolmente ad una proposta del Governo tendente ad applicare l'IVA nella misura media dei paesi europei, perché così la percentuale sarebbe stata sicuramente inferiore a quella del 18 per cento. Altro che 20 per cento! Riteniamo che su tale materia si sarebbe potuti intervenire in modo migliore, cercando di evitare i «balletti», di cui parlavano questa mattina alcuni colleghi dell'opposizione, e le diminuzioni di aliquota nei vari settori. La verità è che il provvedimento non è in linea con l'Europa (dove però non si può giungere con un sistema economico esausto), si preoccupa molto delle esigenze di cassa e poco del fatto che i consumi, al di là degli effetti più o meno perversi (dipende dai punti di vista) provenienti dal settore automobilistico, registrano continui abbattimenti. Il popolo italiano spende sempre di meno (al di là della rottamazione) perché non ha i «soldini», perché quello che guadagna è inferiore alle necessità che dovrebbero essere coperte dagli acquisti e perché non è vero che i prezzi non aumentano, non è vero che l'inflazione è in diminuzione, nonostante quanto dicono le statistiche. Se non è così, allora vuol dire che ho una moglie e delle sorelle che non mi raccontano la verità perché mi dicono che la mortadella costa di più, e credo che Prodi lo sappia.

PRESIDENTE. Lei sa che è merce pregiata!

GIOVANNI PACE. E infatti ne sono goloso, Presidente!
L'intendimento non è ignobile, ma sono i meccanismi ed i proclami che non ci convincono e che critichiamo fortemente.
Dicevo che ci preoccupa la prospettata ipotesi dell'ulteriore contrazione della domanda di beni di consumo, la ripresa dell'inflazione in ordine alla quale è stato già detto molto questa mattina e poc'anzi anche dai colleghi Antonio Pepe e Armosino. Ci preoccupa il fatto che il cittadino non capisca la schizofrenia di un provvedimento che si muove verso le agevolazioni per le ristrutturazioni immobiliari da un lato e, dall'altro, verso un aumento dell'IVA, quindi verso un aumento dei costi per il consumatore finale dei materiali edili.
Questo assomiglia alla logica che sosteneva il provvedimento licenziato nello scorso mese di aprile che concedeva la detraibilità fiscale di una parte degli interessi pagati dal contribuente su mutui accesi per ristrutturazioni immobiliari purché contratti entro la fine del 1997. Evidentemente il legislatore all'epoca, cioè quattro o cinque mesi fa, dimenticava i tempi tecnici che occorrono per pervenire alla contrazione di un mutuo; sono tempi lunghi perché bisogna ottenere l'autorizzazione comunale, per la quale è necessario un progetto redatto da un progettista e che è necessaria non solo per realizzare le opere ma anche per fare la domanda per ottenere il mutuo dalla banca; quest'ultima, a sua volta, deve fare l'istruttoria, nominare un tecnico, valutare quanto vale l'appartamento su cui si accende l'ipoteca. Insomma, si sarebbe arrivati al 31 dicembre 1997 senza la possibilità di avvalersi di questo provvedimento che comunque noi abbiamo giudicato un provvedimento di facciata che poco porta al contribuente. Vedremo poi


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in sede di consuntivo come si sarà rivelata la nostra previsione.
Ci preoccupa anche la schizofrenia con la quale si interviene per dimezzare il consumatore il quale, se si riveste dalla testa ai piedi, può comprare con un'IVA ridotta, se veste le estremità inferiori invece deve pagare un'IVA maggiore. In buona sostanza, da una parte si dà e dall'altra si prende e questa è schizofrenia. Lo dico con grande rispetto per chi ha scritto il provvedimento, è un giudizio politico e non personale.
Ci preoccupa che questo provvedimento segua l'aumento della pressione fiscale cresciuta nell'ultimo anno e mezzo di più di due punti; ci preoccupa perché questi aumenti si accompagnano all'introduzione dell'IRAP (intanto dobbiamo pagare l'acconto pari al 120 per cento) con la quale si fa scempio della capacità contributiva, si discrimina tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, si penalizzano le imprese che si avvalgono dell'esenzione ILOR decennale ai sensi della legge 64, si va ad incidere sull'aspettativa delle imprese di pagare le tasse ma restare con un po' di disponibilità in tasca. Noi che facciamo politica, noi che lavoriamo sul territorio, abbiamo incontri con questi operatori economici piccoli e grandi che assumono, licenziano, riassumono, si impegnano, soffrono anche per un sistema bancario che chiede interessi indifferenti rispetto alla logica dell'IRAP. Dovremo spiegare a questi signori che, se guadagnano cento lire prima dell'IRAP, poi devono pagare cento lire di IRAP - perché la logica potrebbe portare a questo - e che quindi restano sostanzialmente senza reddito; però sulle cento lire di reddito prima dell'IRAP devono pagare il 37 per cento, cioè 37 lire, di imposta IRPEG su un reddito che sulla carta esiste - perché l'IRAP è indetraibile - ma nella sostanza non esiste.
Poi stiamo freschi a dire che la marcia antifisco è antidemocratica! Come si può dire ad un cittadino che deve essere democratico fino al sacrificio pur dovendo pagare imposte fino al reddito che non ha. La disposizione dice infatti che l'IRAP è indetraibile dal reddito, perciò sulla carta quel reddito resiste e bisogna pagarci l'IRPEG e l'IRPEF.
Nella Commissione bicamerale presieduta in maniera egregia dal collega Biasco tutti noi stiamo svolgendo, ciascuno per la propria parte, un lavoro che considero altrettanto egregio, che però deve scontrarsi con la logica dei decreti legislativi, sui quali possiamo intervenire per esprimere pareri. E poi vi è la sensibilità del Governo che fa quello che ritiene di poter fare.
Interpretando questa sensibilità, nel lavoro della bicamerale stanno emergendo queste contraddizioni. Allo stesso modo emerge quella domanda che noi abbiamo posto più volte: le proiezioni, gli studi ministeriali e le riflessioni di chi queste cose le ha inventate e scritte escludono o meno, signori colleghi parlamentari, che l'indeducibilità dell'IRAP ed il contestuale obbligo di pagare l'IRPEF o l'IRPEG, cioè l'imposizione diretta, possano assorbire l'intero reddito di un'azienda e, qualche volta, anche di più?
Vogliamo darla questa risposta, santo Iddio! Questa preoccupazione è una nostra invenzione, oppure è una preoccupazione che ci agita le notti e che faremmo male a non manifestare? Noi vorremmo avere una spiegazione chiara, del seguente tipo: quello che dite voi non è vero! Allora noi potremmo portare le nostre proiezioni e le nostre simulazioni, per confrontarci. Ma se così fosse, credo che dovrebbe capitare qualcosa di più rispetto a quello che è avvenuto ieri. Mi riferisco all'effetto che hanno avuto alcune nostre riflessioni. Del resto noi, come rappresentanti della opposizione, dobbiamo dire quelle cose; le dobbiamo far rilevare, denunciare e conoscere. Io avrei potuto fare a meno di parlare perché quello che sto dicendo è già stato detto dai miei colleghi questa mattina ed oggi pomeriggio; tuttavia, credo che una forza di opposizione le debba ripetere anche quarantasei miliardi di volte, fino a quando non riesce a sapere se il suo messaggio sia stato raccolto e recepito e se si debba scontrare con la indifferenza o con la

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consapevolezza. Sono sicuro che il professor Marongiu ha consapevolezza, ma non sono altrettanto sicuro che il Governo non abbia indifferenza! Queste cose le dobbiamo dire, perché fare opposizione vuol dire anche questo: noi vogliamo farla democraticamente, assicurando il numero legale, ma ribadendo i nostri punti di vista affinché vengano finalmente percepiti come messaggi. Queste cose le dobbiamo dire anche perché abbiamo fiducia sia nella intelligenza che nella resipiscenza e nella bontà degli uomini.
Ed è per questo che abbiamo letto con piacere questa mattina sui giornali le dichiarazioni del Presidente Prodi, rilasciate al convegno svoltosi ieri di Business international, allorquando si è così espresso: «È chiaro che mi sono accorto che bisogna lavorare per togliere alcune anomalie...» (quando parla Prodi è garbato: preferisce parlare di «anomalie»; avrebbe potuto dire qualcosa di più, ma mi sta comunque bene!) «...dall'IRAP. Si è già al lavoro perché vi sono situazioni di tensioni iniziali». Staremo a vedere!
Allora, colleghi dell'opposizione, cara collega Armosino, qualche cosa riusciamo a farla, perché sono quattro mesi che stiamo parlando di IRAP!
Sono venuto anch'io in quest'aula a dire quelle cose; mi hanno detto che le avevo inventate e finalmente, ora, le tensioni iniziali emergono anche negli interventi di Prodi (al quale ho inviato un telegramma per complimentarmi con lui, sperando che giunga ad una certa conclusione).
Ritornando al merito del decreto-legge n.328 del 1997, abbiamo detto che con questo provvedimento si complicano alcune situazioni che riguardano i piccoli operatori economici, che operano in condizioni di disagio.
Professor Marongiu, l'articolo 3 del provvedimento comporta un appesantimento degli adempimenti formali (che poi hanno anche un carattere sostanziale), che è un aggravio di costi. Tutto ciò mi preoccupa, al di là del fatto che si dovrà andare a pagare l'IVA quindici giorni prima o quindici giorni dopo. È un aggravio di costi per assolvere a quegli adempimenti formali per quei piccoli imprenditori, dei quali conosco la realtà, come pure, forse, anche il presidente Benvenuto. Io penso al mio Abruzzo, ai paesini con poche anime, nei quali si registra la presenza di questi piccoli artigiani che conservano le tradizioni e la storia della nostra civiltà; ai paesini nei quali si registra anche la presenza di piccoli operatori che svolgono attività commerciali e che, a mio avviso, dovrebbero essere stipendiati dallo Stato!
Presidente Benvenuto, ti immagini se a Navelli, un paese di 500 anime, non vi fosse una persona che vende generi alimentari? Se non vi fosse quella persona, le vecchiette (in quel paese l'età media si aggira tra i 102 e i 103 anni: noi siamo longevi!) dove andrebbero a fare la spesa? Ribadisco che quella persona dovrebbe essere stipendiata dallo Stato: altro che lo scontrino fiscale, il ticket, la registrazione, i quindici giorni prima o dopo! Allora io penso a questa realtà, che mi affascina, mi suggestiona; è la mia vita, la storia della mia famiglia, la storia del mio Abruzzo, la storia d'Italia, che noi andiamo ad aggredire negli interessi e nella quotidianità attraverso provvedimenti che forse non ci rendiamo conto quanto siano pesanti ed ingiusti.
L'aggravio è costituito dall'anticipazione di quindici giorni dell'obbligo dell'emissione della fattura riepilogativa di quelle operazioni che siano sostenute da documenti di accompagnamento di beni viaggianti o da altri documenti che possano far identificare i partners, gli interlocutori, comunque di anticipare la registrazione con riferimento al mese in cui l'operazione è stata effettuata. Non voglio perdere tempo, ma per favore leggetela questa norma, e se è una norma leggibile, viva l'Italia; se invece è già di difficile lettura, viva l'Italia lo stesso, ma è davvero difficile. E allora mettiamoci mano, professor Marongiu, cancelliamola!

GIACOMO STUCCHI. Viva la Padania!


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GIOVANNI PACE. La Padania non parla l'italiano, non lo capisco quel linguaggio.
Se il legislatore a suo tempo ha consentito che le fatture emesse nei termini di cui all'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica n.633 potevano essere registrate entro quindici giorni dalla data di emissione, evidentemente ha risposto ad una esigenza che esisteva, ad una ratio (quindici giorni, peraltro, erano già riduttivi dei trenta giorni, se non vado errato, in vigore fino al 1993), all'esigenza di organizzazione di tante piccole aziende, di cui ho parlato, che devono necessariamente rivolgersi a consulenti, ma anche a registratori, a coloro che danno l'input ai computer per assolvere i loro obblighi, perché non sono in grado di farlo.
Riteniamo che il provvedimento elimini il beneficio legato al differimento dei termini, al differimento del debito d'imposta. Pertanto - e prendo spunto dall'esempio contenuto nel dossier del servizio studi - una vendita effettuata con rilascio di documento il 15 ottobre 1997, dovrà essere fatturata entro il 15 novembre 1997, ma la fattura dovrà essere registrata con riferimento al mese in cui l'operazione è stata effettuata e in tal modo concorrerà alla liquidazione del mese di ottobre. È un meccanismo che forse qualche «contadinotto» o qualche bottegaio di paese troverà di difficile comprensione. La riteniamo pertanto una complicazione, un modo incongruo per fare chiarezza e semplificare.
Inoltre, e mi accingo a concludere, si determinano con questo provvedimento situazioni per alcuni aspetti di scarsa chiarezza, se non di confusione. Ad esempio all'articolo 6-bis si stabilisce che per le procedure concorsuali in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto - il rappresentante della Padania ne ha parlato questa mattina, ma non ha toccato questo aspetto - non si applicano le sanzioni di cui all'articolo 44 del decreto sull'IVA, né gli interessi, a condizione che l'imposta dovuta venga versata in un'unica soluzione entro trenta giorni dalla data di passaggio in cosa giudicata della sentenza di omologazione di cui all'articolo 181 della legge fallimentare nel caso di concordato preventivo.
Signor Presidente, lei sa meglio di me che il concordato preventivo può essere proposto dal debitore ai creditori indicando due percorsi: il primo è quello del concordato cosiddetto obbligatorio; il secondo è quello del concordato per cessione dei beni. Se ricorre il concordato per cessione di beni, il pagamento di somme, di qualsiasi specie, di qualsiasi rango sia il creditore, non è possibile alla data di passaggio in giudicato della sentenza di omologazione. Non è possibile perché il liquidatore deve realizzare l'attivo per poter pagare il passivo, nel quale attivo possono rientrarvi inesistenti somme di denaro. Allora, con questa norma - ecco la confusione - andiamo a discriminare all'interno delle procedure concorsuali di concordato preventivo; andiamo a dire che vi sono concordati preventivi, quelli obbligatori, per i quali si possono ottenere tali agevolazioni, agevolazioni che poi riguardano le aziende ed i creditori. Invece, tali agevolazioni non possono essere concesse nel caso di concordato per cessione di beni.
A nostro giudizio è necessaria una riflessione su questo punto, anche perché noi siamo la patria del diritto e non possiamo permetterci scivoloni di questo genere. La legge fallimentare forse non sarà adeguata ai tempi, nel senso che sono passati circa sessant'anni dal momento in cui è stata licenziata, ma è un testo legislativo perfetto, facilmente leggibile, comprensibile, è stato interpretato, vi è una giurisprudenza, gli operatori del diritto riescono a capirlo. Noi invece andiamo a complicare le cose; riflettiamo su questo aspetto. Non preoccupiamoci delle scadenze, cerchiamo di fare ciò che serve, intervenendo per fare chiarezza all'interno di alcune situazioni.
Ho parlato con il ministro Visco, il quale è stato molto cortese nel prendere appunti circa la mia notazione, nel corso di una sua audizione in Commissione finanze qualche settimana fa. Ho fatto

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notare al ministro - ma già mi ero espresso in altre sedi rivolgendomi ad altri illustri personaggi - che esiste una disposizione nell'ultima legge finanziaria (comma 207 della legge n.662) che consente ai contribuenti che non abbiano pagato l'IVA negli anni precedenti, in sede di dichiarazione annuale o in sede di liquidazione periodica, di pagare il dovuto, accompagnando il pagamento con una pena pecuniaria ridotta. Ebbene, la legge n.662 è entrata in vigore il 1 gennaio scorso e faceva obbligo ai contribuenti di chiedere la regolarizzazione entro e non oltre il 30 settembre. La norma prescrive altresì che il contribuente oltre ad andare a pagare l'imposta, a suo tempo non corrisposta, deve pagare la pena pecuniaria nella misura ridotta e poi, entro quindici giorni da tali pagamenti, deve presentare una domanda all'ufficio IVA, allegando gli estremi dei versamenti effettuati. Ebbene, faccio l'ipotesi di un contribuente che abbia effettuato il versamento il 1 gennaio 1997 - giacché poteva farlo - e che, per ignoranza, abbia dimenticato di presentare, entro quindici giorni, la domanda all'ufficio IVA, indicando l'effettuazione del versamento (e quindi segnalando di essersi messo in regola ai sensi della legge n.662, comma 207). Inoltre, faccio l'ipotesi di un contribuente che abbia effettuato il versamento l'ultimo giorno utile, il 30 settembre, e che tempestivamente abbia proceduto alla prescritta comunicazione all'ufficio IVA. Dunque, per il primo contribuente, che ha versato il soldi all'erario dieci mesi prima, tale provvedimento non è valido, poiché egli ha dimenticato di presentare la domandina entro quindici giorni; per il secondo contribuente, invece, il provvedimento vale.
Ritengo, pertanto, che sia possibile predisporre un intervento in questa sede al fine di «sanare» questa scarsa conoscenza dei meccanismi perversi della nostra legislazione fiscale (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scaltritti. Ne ha facoltà.

GIANLUIGI SCALTRITTI. Signor Presidente, vorrei congratularmi con l'onorevole Pace, poiché, in un passaggio del suo discorso, è riuscito a rappresentare in quest'aula - e credo che di ciò ve ne fosse assai bisogno - uno squarcio della realtà sociale dei nostri piccoli operatori. Insieme, però, e per una ragione molto diversa, voglio fare le congratulazioni ed i complimenti anche al Governo, non per la realtà, ma per la virtualità che ha rappresentato. Infatti, è riuscito ad essere virtuale con l'abilità di creare artifizi contabili e finti tagli, però con una realtà impositiva per quanto riguarda le tasse, e sembra riuscire a far credere agli italiani che stiamo entrando in Europa, dove praticamente già siamo.
La nostra realtà economica - ecco ciò che descriveva l'onorevole Pace - è fatta di piccole e medie imprese; anzi, forse di piccole e piccolissime imprese, che operano in molti settori, nella produzione, nel commercio, nel turismo, nell'agricoltura, in molti servizi del terziario e lo fanno con molta competenza, spesso fornendo un prodotto di qualità caratterizzato anche da un taglio altamente sociale. Sono queste le aziende che possono invertire l'andamento decrescente della nostra occupazione (stiamo ampiamente superando il 12 per cento e siamo sopra la media europea di due o tre punti), ma dobbiamo metterle in condizione di operare e, quindi, fare in modo da favorire lo sviluppo.
A questo proposito, credo vi sia una sola strada, quella cioè di realizzare vere riforme strutturali, che debbono determinare una minore richiesta dello Stato ai fini della consumazione di risorse; la possibilità, cioè, di diminuire la pressione fiscale lasciando disponibilità finanziaria al sistema produttivo. Non mi sembra però proprio questo che il Governo sta cercando di fare; valutiamolo dalle deleghe che il Governo stesso ha ricevuto nella scorsa finanziaria, che si stanno trasformando in decreti delegati, in quello che in essi è contenuto; valutiamolo dalla nuova legge finanziaria e da questo stesso decreto sull'IVA che è un provvedimento


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collegato alla nuova finanziaria. Riscontriamo subito che si parla molto di persone fiscali, ma scarsamente di interventi sulla spesa; si parla quindi di sottrazione di liquidità al mercato.
In questi ultimi mesi di ottobre, novembre e dicembre 1997 verranno rastrellati dal mercato oltre 1.450 miliardi. Questo non è altro che un intervento - e soprattutto un uso - del regime transitorio dell'IVA che è penalizzante, contrariamente a quanto in esso verrebbe richiesto, perché quell'intervento conduce ad un'armonizzazione delle aliquote e non necessariamente tale armonizzazione dovrebbe portare l'aliquota normale dal 16 al 20 per cento come facciamo noi, in quanto successivamente saremo costretti a ridurla. L'obiettivo, indicato proprio nel regime unico, quando uniformeremo le aliquote, si aggira infatti intorno al 15 per cento. Non vi è quindi la necessità di questo incremento di IVA, anche perché così nel 1998 avremo un gettito valutato in 5.700 miliardi che, sommato a quello degli ultimi tre mesi del 1997, comporterà un rastrellamento di liquidità dalle tasche degli italiani di 7.200 miliardi. In questo modo saranno sottratte alle famiglie circa 350 mila lire e, quindi, verrà diminuita la loro capacità di spesa, diminuzione che andrà a gravare proprio su quelle spese che si orientano sul mercato interno.
Di questi 7.200 miliardi circa un terzo proverranno, proprio con l'incremento dell'aliquota dal 16 al 20 per cento, da un settore trainante che è quello dell'abbigliamento e delle calzature. Avremo un'incidenza dell'incremento di spesa delle famiglie di circa cento mila lire ad unità familiare. Andremo quindi ad appesantire un settore che negli ultimi anni ha subito una forte contrazione dei volumi di vendita, perché si è dovuto confrontare con mercati esteri estremamente concorrenziali, come quelli del sud-est asiatico e dell'est europeo.
Questo settore, come tutti sappiamo, ha un ruolo importantissimo nella nostra economia, che non è solo quello di difendere l'immagine e la qualità italiana (sappiamo benissimo quanto questo conti nella targa «made in Italy»).
È anche un settore che, quando ha un andamento evolutivo, presenta una grande incidenza sotto il profilo dell'occupazione, quindi ha una grossa capacità di creare posti di lavoro.
Stiamo già subendo una défaillance nel confronto a livello internazionale, in quanto assistiamo ad un grande fenomeno di delocalizzazione. Ciò sta avvenendo con la creazione di posti di lavoro all'estero e la perdita di posti di lavoro in Italia a causa della concorrenza nel costo della manodopera. Poiché vi è un fenomeno di concentrazione in questo settore, abbiamo forti perdite di manodopera in determinate aree, che difficilmente riusciamo a sostituire.
Il brusco aumento dell'IVA nella misura del 4 per cento aggraverà sicuramente questa tendenza, perché si determineranno due reazioni rispetto alla manovra. La prima consisterà nel riassorbire l'aumento del prezzo di vendita, con una riduzione del margine interno, che comporterà o un disincentivo a continuare l'attività imprenditoriale oppure la ricerca, da parte soprattutto della struttura distributiva e commerciale, di prodotti più competitivi, sicuramente di qualità inferiore e provenienti dall'estero. Si potrebbe inoltre lasciare che questo aumento si verifichi e la valutazione relativa ad uno dei settori interessati, quello delle calzature (che tra l'altro cominciava ad avere una lieve ripresa), è che l'incremento dell'IVA comporterà una diminuzione nell'ordine dei 3 o 4 milioni di paia di scarpe, con un effetto immediato consistente in una perdita di occupazione di oltre 1.500 unità.
La pressione fiscale si manifesterà ancora, a seguito delle deleghe ottenute lo scorso anno con la legge finanziaria, attraverso l'applicazione e l'entrata in vigore dell'IRAP, che, come sappiamo, andrà ad incidere sul costo del lavoro e su quello del denaro, incentivando sicuramente

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il fenomeno della delocalizzazione e soprattutto colpendo le aziende meno forti e meno capitalizzate.
Vi è poi un fenomeno indotto dalla rottamazione, che è già stato richiamato da altri colleghi. Se convogliamo la capacità di spesa di una famiglia verso una spesa importante come quella del rinnovo dell'autovettura, non facciamo altro che distogliere la sua possibilità di spesa da altri settori collaterali, che normalmente rientrano nel paniere delle famiglie. In tal modo sottraiamo possibilità di vendita e di incremento di produzione al settore in questione, che viene penalizzato.
Questi interventi sono del tutto privi di una visione coerente del territorio e di uno sviluppo programmatico, sono lontani dalla realtà produttiva e distributiva italiana e rischiano di sconvolgere completamente il settore di cui sto parlando, che ha un mondo imprenditoriale molto diversificato, molto ricco e molto legato al territorio. Tale settore dovrebbe invece essere migliorato, sostenuto, supportato con infrastrutture serie. Intervenendo in questo modo, invece, lo stiamo annientando e soprattutto (mi ricollego a quanto affermava l'onorevole Pace) rischiamo di perdere unità di servizio, soprattutto commerciali, che sono estremamente ramificate. Negli ultimi cinque anni, infatti, ne sono già state chiuse 5.000 e questo trend negativo si accentuerà sicuramente e si ripercuoterà fortemente sul settore produttivo che supporta questa rete distributiva.
Riteniamo quindi che l'aliquota IVA debba essere mantenuta nel settore in questione quanto meno al 16 per cento. Non è ammissibile che questo aumento fiscale sia scaricato in modo così violento e penalizzante sul comparto di cui sto parlando, che già sta subendo penalizzazioni nei rimborsi IVA, che sono sempre in enorme ritardo. Inoltre, il Governo non pone in essere alcuna azione dinamica nel promuovere il made in Italy e soprattutto nella promozione del nostro prodotto negli accordi a livello internazionale (per esempio, abbiamo ancora grosse difficoltà con il Giappone nei contratti di scambio).
A questo punto vorrei fare una provocazione. Mi chiedo se non possa essere giustificato anche nel settore delle calzature, visto che il Governo preferisce una politica espansiva sotto il profilo assistenziale, istituire la rottamazione per le scarpe. In definitiva, ministro, le scarpe, come le automobili, sono mezzi per andare su strada e vi è quindi una logica a sostegno della mia richiesta. Almeno, differentemente da quanto è accaduto per il settore delle auto, avremmo una ricaduta nel mercato italiano visto che siamo i leader del settore; soprattutto, sarebbe una ricaduta molto distribuita sul territorio, vista la formazione delle nostre aziende e molto probabilmente gli utili resterebbero in Italia e non andrebbero altrove come è accaduto per gli incentivi alla rottamazione delle auto.
Un altro settore, come diceva la collega Armosino, quello della produzione del vino, è fortemente colpito dal passaggio dell'aliquota IVA dal 16 al 20 per cento. Anche in questo caso si interviene su un prodotto di qualità, come il nostro, oggetto di forte concorrenza da parte dei paesi esteri (Cile, Argentina, Sud Africa); a fronte di tale concorrenza e delle difficoltà cui andremo incontro sul mercato interno aumentando il prezzo del prodotto, rischiamo di fare uscire il settore dalla competizione. La coltivazione della vite ha inoltre specifiche prerogative sotto il profilo agricolo. Consente infatti di mettere a coltura terreni che difficilmente avrebbero altre destinazioni produttive. Si tratta di terreni collinari che caratterizzano anche turisticamente molte zone. Tale settore - come in genere l'agricoltura - ha inoltre una significativa caratterizzazione autarchica. Aumenta con difficoltà il volume delle importazioni per semilavorati e prodotti necessari e quindi lo sviluppo di questo settore comporta notevoli benefici oltre a quello dell'occupazione. Proponiamo pertanto che per tale comparto l'aliquota scenda almeno al 10 per cento.
Vi è poi un settore che non viene toccato da questa manovra ma che andrebbe invece incentivato. Mi riferisco al

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settore turistico, che presenta la più alta aliquota IVA rispetto alla media europea. Basta che ci confrontiamo con la Francia, che applica il 5,5 per cento o la Spagna, che applica il 7 per cento. Sarebbe necessario, visto tra l'altro che è all'attenzione della Comunità europea l'individuazione di un'aliquota di accoglienza, di ospitalità (di ciò si è parlato in recenti incontri), studiare un'aliquota molto più vicina a quella dei paesi nostri concorrenti nell'ambito della Comunità stessa, anche per essere più competitivi. Non sta a me dirlo, giacché è ovvio che il turismo resta uno dei settori fondamentali della nostra economia.
Occorre infine valutare quanto sta accadendo nel settore dell'edilizia. Anche questo tema è stato citato da altri colleghi, ma lascia davvero perplessi vedere nella stessa manovra da un lato la propaganda agli incentivi nel settore della ristrutturazione delle abitazioni (consentendo la detrazione di spese fino al 41 per cento di un determinato importo) e dall'altro l'aumento del 4 per cento dell'IVA sui materiali destinati all'edilizia. Ma questo non basta. Sappiamo infatti che sono previsti tagli di trasferimento ai comuni, fatto che molto probabilmente comporterà un aumento dell'ICI. Cosa significa dare con una mano per togliere con l'altra? Non credo che così agendo si possa raggiungere l'obiettivo dell'incentivazione di un settore così importante e trainante della nostra economia. Mi chiedo quindi quale logica animi il Governo. Io la reputo una logica quasi da fumo negli occhi, che serve a mascherare un modo centralistico di concepire la gestione dell'economia e l'intervento per lo sviluppo dell'economia stessa.
Ritengo che questo nasconda la volontà, la cui comprensione ormai è chiara, di distruggere quel ceto medio produttivo che è la reale forza dell'economia italiana, in quanto forse è scarsamente controllabile. Questo lo si sta ottenendo con una pressione fiscale sempre più alta - e lo stiamo vedendo - mascherata appunto dalla scusa di portare il paese e gli italiani in Europa.
Per chiudere con una battuta, devo dire che forse vogliamo portare gli italiani in Europa, magari in macchina, visto che abbiamo dato gli incentivi per la rottamazione, ma molto probabilmente ce li vogliamo portare nudi e scalzi e senza neanche una bottiglia di vino per scaldarsi, visti gli aumenti dell'IVA. Forse perché dietro c'è un solo motivo, quello di farceli restare, però forse «secchi», signor ministro (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Guidi. Ne ha facoltà.

ANTONIO GUIDI. Di solito, quando intervengo, due sono le caratteristiche: quella di occuparmi del sociale e, per antica abitudine a parlare a tanta gente (oggi tanta gente non c'è), quella di non emozionarmi. Caro Presidente, stasera sono un pochino emozionato, perché chi mi ha preceduto - e poi dirò che c'è una logica - nell'intervento è stato il mio migliore, non si offenda, amico prepolitico. Perché lo cito? Perché con lui a San Benedetto del Tronto, velato da nostalgia per una giovinezza che non c'è più, abbiamo contattato, certo, persone, amici e amiche di divertimento, ma anche tante piccole realtà, che ci sembravano normali: gli artigiani delle reti, quelli che gestivano stabilimenti balneari; mille e mille attività legate al turismo, non grandi, ci sembravano normalmente familiari. Eppure questa piccola diffusa realtà imprenditorial-familiare ha sempre avuto meno voce.
La seconda stimolazione di emozioni è di parlare a Giorgio Benvenuto, una persona che, al di là di qualche lieve differenza nemmeno culturale ma di scelta, ha inventato - devo dargli atto - più di tutti nel sindacato la solidarietà, non delle persone attive (oggi sono sempre meno quelle attive), ma il sindacato delle diversità, anche dell'handicap, quello che forse oggi ci stiamo un po' dimenticando. Non critico il sindacato, ma tutti noi: basta vedere quanta gente c'è in quest'aula. Io so, Giorgio, che tu non condividerai tutto quello che dico, ma forse non condividerai


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nemmeno tutto quello che il Governo sta facendo. Sono sensibilità diverse. Credo che questa diversità possa essere un valore o un peso.
Io soffro molto questa sottovalutazione dell'economia rispetto al sociale ed intervengo - io mi occupo di sociale e di economia - perché l'economia diffusa, quella dell'IVA, quella che tocca tutti i cittadini, ha un enorme valore sociale.
Certo, la comunicazione che parla di grandi numeri è drogata; Chaplin diceva in Monsieur Verdoux che se c'è un omicidio si va il galera, ma se si ammazzano 10 mila persone si è degli eroi perché si è vinta la guerra!
Ebbene, credo che la società italiana, questo Governo - mi permetta di dirlo, signor ministro - stia facendo un po' (specularmente) lo stesso errore. Non si fa la scelta del medio, del piccolo, dei numeri piccoli che diventano grandi ma la scelta del grande: la mitologia delle cattedrali! Ciò ha fatto male anche al sindacato. Ma quanto si è pagato nel sindacato - lo dico per esperienza comune - questa scelta di vedere come interlocutore il grande, la grande azienda, con grandi torti da riparare? Poca valutazione è stata data alla piccola e media azienda. C'era il mito del sindacato forte contro l'azienda forte, dimenticando che in fondo grandi culture andavano a confliggere con numeri apparentemente grandi, che «tagliavano» e «tagliano» il 99 per cento del paese: le famiglie, gli artigiani, le piccole e medie imprese. E questo è un guaio.
Una visione antagonista, giusta, nei giusti ruoli... noi dell'opposizione, il sindacato, il Governo. Forse c'è un po' troppo dialogo tra Governo e sindacato e poca opposizione: è meglio una discussione stellare che non bipolare, al di là dei poli!
Credo che si sia persa un po' la bussola. Come si fa a pensare tanto ripetendo storici errori del passato, ministro Visco? Come si fa a pensare solo al grande che conta poco e non pensare ai milioni di piccoli che contano sempre meno? Siamo arrivati a dei telegiornali - e non voglio fare della demagogia - che parlano di numeri, di cifre, di indicatori importantissimi ma che riguardano prevalentemente persone, gruppi, categorie che si difendono da sé.
Nel paniere (tra l'altro usato anche in maniera strumentale), non dell'ISTAT ma della comunicazione non ci sono quasi mai riferimenti alla vita quotidiana; per esempio quanto costa un affitto, quanto costa un chilo di pane, quanto costa la terapia di un bambino che deve fare riabilitazione. Sono queste le cifre che, se non hanno un valore maggiore, devono avere almeno una pari dignità, altrimenti si pensa che la «vecchietta» possa giocare in... borsa! Sappiamo che non è così.
Dobbiamo tornare alla logica del piccolo immensamente grande e non a quella dell'immensamente grande, che spesso è virtuale, non conta o conta solo poco.
Questo aumento dell'IVA, questa discrasia temporale che è più ispirata ad una logica di cassa che ad una filosofia economica, credo faccia molto male per le sue ripercussioni economiche, perché non colpisce chi è più ricco - che per vecchia abitudine so che si difende da sé e bene - ma colpisce le famiglie, l'individuo, le piccole e medie imprese che sono la spina dorsale - lo abbiamo detto mille volte, ma lo ripeteremo mille e una volta - del nostro paese. Questa misura si aggiunge all'IRAP, che creerà ulteriori problemi.
Allora un parlamentare che ha vissuto molteplici esperienze, non diverse a livello ideologico, ma come appartenenza a movimenti, e che spera di aver sempre coniugato il lessico dell'attenzione ai problemi degli altri con la propria esperienza, non può non soffermarsi su determinate questioni. Si tratta di un'attenzione non a chi è più debole, perché l'artigiano, il piccolo imprenditore, l'anziano, la persona con handicap non sono deboli, perché hanno tante risorse, il fatto è che non dispongono degli strumenti per avere pari opportunità e per conseguire pari dignità. Eppure, questi gruppi, queste persone, avrebbero dignità, ma soggiacciono ad un regime iniquo a livello fiscale - ci mancherebbe altro, è un giudizio che condivido, e se dicessi il contrario cancellerei la parte della mia vita precedente alla esperienza

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parlamentare - che giunge all'oppressione, all'ossessione fiscale, che in questo periodo subisce un'ulteriore svolta negativa.
Ebbene, così non va perché la logica del Governo e quella delle strutture che pure hanno posizioni di identità con il Governo non vanno d'accordo. Non è un caso - e lo dico da psichiatra - che la parola che è più ricorsa oggi è schizofrenia. Non voglio curare il Governo, non mi permetterei mai e non ce ne è bisogno, né intendo curare i provvedimenti, però intendo intervenire. Ebbene, vedo che questa eterna schizofrenia ha indirizzato la finanziaria precedente, rinforzata con decreti successivi in difesa del grande, che magari sposta subito all'estero la sua produzione se non lo ha già fatto, e non ha consentito di prestare la dovuta attenzione al piccolo e medio imprenditore.
Voi direte che non è vero, che sono stati previsti degli incentivi, delle forme di defiscalizzazione, ma per quanto mi riguarda si è trattato di un aumento risibile e falso degli assegni familiari. Vi sono questioni rispetto alle quali credo di avere abbastanza esperienza in ragione della mia attività professionale, che è diventata politica proprio in considerazione della disperazione della gente, ragion per cui non è da buttare via del tutto.
Ebbene, sono profondamente convinto che la tattica di dare con una mano qualcosa di prettamente assistenziale - contributi parcellari, defiscalizzazioni mirate - e poi a livello universale aumentare in modo un po' demenziale la pressione fiscale e l'IVA per tutti, levi due volte; infatti, leva la dignità alle persone che si sentiranno sempre categoria assistita - anche se molto male e molto poco, anzi sempre meno - e si sentiranno al contempo categoria oppressa, in quanto cittadini, in maniera più generale.
Vogliamo cambiare questa mentalità settoriale per cui una volta accontentiamo una lobby, una volta un'altra? I cittadini dove stanno? A me sembra che da un po' di tempo a questa parte in tema di economia i cittadini vengono messi un po' in disparte. È evidente che bisogna andare per paradossi perché ci troviamo in un'aula vuota nonostante si discuta su un provvedimento che riguarda quasi tutti i cittadini italiani; è vuota perché non si vota, perché non si perdono gli emolumenti parlamentari ma anche perché si ritiene che questo provvedimento riguardi chissà chi, forse qualcuno inesistente.
Ecco perché affermo che siamo già in parte sconfitti, perché tutti (ciascuno si assuma le proprie responsabilità) non siamo stati in grado di far comprendere il primato di un'economia dotata di un'anima, ricca di scelte sociali. Non ce l'abbiamo fatta, forse ce la faremo. L'impresa, producendo lavoro, può produrre solidarietà, come prescrive la Costituzione; però può anche produrre una solidarietà più interna, cioè quel patto di alleanze e solidarietà tra imprenditore medio piccolo e lavoratore, i cui interessi spesso coincidono, e che provvedimenti come quello sottoposto al nostro esame, a parere mio che non sono un economista, spezza. Spezzare questi patti significa non solo togliere posti di lavoro, significa anche togliere speranza per l'avvenire. Nel crollo demografico del nostro paese l'anticoncezionale più potente non è il preservativo né la pillola né la spirale, meno che meno le sterilizzazioni; mi riferisco a quelle forzate di persone con handicap che in certi paesi che abbiamo preso a modello, come Francia, Svezia e Norvegia, vengono ancora praticate, mentre per quanto riguarda l'Italia non sono riuscito ad ottenere dati certi. Come dicevo, l'anticoncezionale più potente è la mancanza di fiducia nel futuro.
Quindi un patto di solidarietà con le piccole e medie aziende è fondamentale, un patto di solidarietà con gli artigiani è fondamentale, così come è fondamentale un patto di solidarietà con le famiglie. Esso però non deve essere stretto per avere in cambio un miserabile consenso, non deve essere qualcosa in più, ad hoc, prevedendo particolari agevolazioni, perché così non si può fare. Per quanto mi riguarda cercherò di evitare che un patto del genere venga fatto sia dalla maggioranza sia dall'opposizione. Come

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sapete ieri ho votato in dissenso dal mio gruppo. Ancora non siamo, ministro Visco, in quei paesi dove un solo partito, un solo sindacato, un solo giornale si muovono in sintonia; forse lei ne ha nostalgia, io no. Lo dimostra la sua completa disattenzione, e la ringrazio.
Io penso e sogno, invece, un Parlamento attento alle piccole e grandi cose del quotidiano, e l'aumento dell'IVA è una cosa quotidiana e grande, perché riguarda tante piccole eroiche persone. Il collega Scaltritti osservava giustamente che forse sarebbe opportuno operare in modo inverso, finanziando cioè la solidarietà. Certo, la solidarietà delle comunità di cui Giorgio Benvenuto è attivo e commovente attore, ma anche la comunità, quella istituita, può essere grande ma può essere anche un surrogato di quello che non c'è più: la famiglia, l'artigiano, la piccola e media impresa. Si va all'estero perché costa meno, per la purezza ideologica di una sinistra che non condividiamo (una sinistra, non la sinistra) si andrà a fare tutto all'estero. Farà piacere a qualcuno?
I cittadini italiani si troveranno in Europa e il lavoro si farà nel mondo, saremo in Europa cittadini che non lavorano. Sarà giusto questo, farà bene a qualcuno? Credo di sì: farà bene alle grandi imprese monopolistiche, farà bene a quella sinistra di accatto che non condivido, che ieri ha usato termini indecenti nel bollare le diversità, una sinistra che vive nell'eterna conflittualità, nella ricerca costante di un nemico che non c'è perché senza nemico non si ha consenso.
Vogliamo costruire un'alleanza solidale che rispetti un'appartenenza, fluttuante e di movimento, e valorizzi la solidarietà dei fatti e non delle parole. Caro disattento ministro Visco e cara collega Pistone, componente della rottamazione in senso automobilistico, pensiamo a chi interpretiamo. Non lo stiamo facendo e qualcuno dirà che non l'abbiamo fatto mai. Io dico che lo stiamo facendo, ci si prova anche in questo momento in quest'aula così piena degli spettatori preferiti da Ionesco: le poltrone. Erano meglio le sedie, erano più scomode ma forse ci si stava con più entusiasmo.

GIANNI MARONGIU, Sottosegretario di Stato alle finanze. Io la seguo da questa mattina.

ANTONIO GUIDI. Non parlo a lei, era un complimento di silenzio-assenso. Lo avrei fatto alla fine ma lei ha avuto paura che non la nominassi (paura in senso buono, naturalmente): non si preoccupi è una «figurina Panini» sempre presente.
Il problema è smuovere questo indifferente Parlamento, questo Governo a cui non ho mai dato siluri, anzi quando c'era da valorizzarlo non ho mai fatto un passo indietro. Il Presidente Acquarone ha dimostrato una grande lealtà: quando si riprende cortesemente una persona in difficoltà fisica, vuol dire che si è superata una barriera culturale. Lo ringrazio perché non c'è mai stata pietas nei miei confronti, ma tanta simpatia; sono orgoglioso di questo. Per smuovere questa parte di Governo, che secondo me sta facendo scelte sbagliate (qualcuno dirà scellerate o inopinate, ma non condivido questa terminologia belligerante), che si possono correggere, io devo usare il paradosso che parte dalla mia solita attività, gli anziani, le famiglie, le persone con handicap, le persone del sud.
Caro presidente Benvenuto, ministro (senza «caro»), nel provvedimento collegato alla legge finanziaria vi è una paginetta striminzita di aiuti particolari alle persone con particolari difficoltà. Tra l'altro, si tratta di «pezzi» di una mia legge presentata tempo fa, anche se è un po' più ampia. Ma il problema non è questo, non vi è il copyright quando uno fa delle cose; anzi, è un testimone che si passa volentieri agli altri: la vittoria è quando una legge non è di un parlamentare, ma del Parlamento! Bisognerebbe anzi eliminare i nomi dei proponenti e segretarli (magari, quando è una brutta legge non è il caso): in tal modo, vi sarebbero meno veti incrociati e non si direbbe, quando qualcuno presenta una


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legge, che è schifosa per poi presentarla con gli applausi in un'altra occasione.
Ricordo che quando denunciai il traffico dei bambini sentii lazzi e risate, nonché richieste di dimissioni. Oggi qualcuno arrossirà facendosi la barba (e, se non se la può fare perché appartiene al sesso femminile, mentre si fa il maquillage), perché il fuoco di fila di sbarramento fu tale che i provvedimenti, che allora vennero ridicolizzati, oggi sono auspicati!
Ma torniamo a noi. Siamo certi che questi incentivi tampone della disperazione siano corretti? Non sarebbe meglio, non in maniera universalistica (in una società complessa l'universalità non c'è più, ma esiste in una strategia intelligente), individuare generi, appartenenze e categorie ampie e non striminzite, per le quali prevedere agevolazioni, finanziamenti e provvedimenti? Perché offendere, con il solito vizio italiano, poche persone per fargli dire grazie, magari etichettate elettoralmente, e non fargli dei provvedimenti di ampio respiro...

PRESIDENTE. Onorevole Guidi, la prego di avviarsi alla conclusione.

ANTONIO GUIDI. Sto concludendo, grazie Presidente. Le ho fatto un complimento e lei mi può concedere un minuto in più: naturalmente, scherzavo!
Facciamo un passo in avanti. Io provengo da un territorio dove vi sono la pietra di Apricena, la trasformazione di San Severo del Tavoliere, la pescicultura di Lesina e tante altre cose. Un territorio in cui l'artigianato, la piccola e media impresa e la famiglia vanno di pari passo. Io credo che certi provvedimenti debbano riguardare il piccolo turismo di quelle zone (per esempio, del Gargano), quelle piccole e medie imprese e le persone in difficoltà, ma non «cassintegrando» la difficoltà, quanto predisponendo provvedimenti in rete che non aumentino le tasse (perché sennò diamo uno e leviamo dieci), non aumentando l'IVA e facendo sì che possiamo entrare sicuramente in Europa, ma non per turismo ma per restarci, per lavorare, e per dare quel contributo di intelligenza e creatività italiane che questi provvedimenti, se non le eliminano (perché sarebbe sciocco dirlo), certo ne riducono l'efficacia: dei provvedimenti economici sbagliati creano danni al portafoglio delle persone, al budget delle piccole e medie imprese (e questo è grave!), creano danni alle persone che vanno a fare la spesa o a quelle che devono avere delle protesi; e non solo le protesi! Lo sapete che la «casa intelligente» che dà libertà a chi non può muoversi, se è prigione di se stesso, non ha defiscalizzazioni. E da questo nascono mille cose! La nuova tecnologia e la ricerca per chi ha difficoltà enormi di vita non è considerata riduttiva di IVA, perché forse si tratta di persone che non hanno voce in capitolo per votare, per creare consenso.
Direi che questi provvedimenti, al di là del loro errore di fondo, impediscono di fare, di prevedere, di sognare, e lasciano tante persone in difficoltà, prigioniere di se stesse. Questo non lo vorrebbe nessuno, ma qualcuno lo vuole più di altri, forse per avere un consenso che io spero non abbia più, perché lo strozzinaggio delle idee tramite l'ideologia, senza valori, non ha mai fatto bene a nessuno (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Viale. Ne ha facoltà.

EUGENIO VIALE. Signor Presidente, colleghi deputati, mi accingo a parlare in un'aula pressoché deserta; tuttavia sono presenti gli addetti ai lavori, quasi tutti i componenti della Commissione finanze, il ministro e il sottosegretario, che ringrazio.
È stato detto ormai tutto su questo ultimo decreto-legge che aumenta l'aliquota IVA, quindi non mi dilungherò sui principi generali se non per ricordare che l'indirizzo di questo Governo è comunque quello di aumentare la pressione fiscale. Sappiamo tutti che il problema di fondo dello Stato italiano è quello di avere un grandissimo debito pubblico, che è frutto di passate politiche non corrette e che oggi il Governo, tutti noi, dobbiamo in qualche modo affrontare e risolvere.


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Voglio però rammentare che da quando vi è il Governo Prodi, il debito pubblico è comunque aumentato di altri 200 mila miliardi: era pari a 2 milioni 150 mila miliardi all'inizio del Governo Prodi, è oggi pari a circa 2 milioni 350 mila miliardi. Ciò comporta un aggravio nei conti dello Stato di circa 200 mila miliardi l'anno di interessi e si cerca da parte governativa di sopperire al continuo bisogno di denaro attraverso l'aumento della pressione fiscale. È stato detto da più parti che la pressione fiscale è aumentata del 2 per cento nell'ultimo anno e mezzo, quindi un aumento molto forte.
In questo modo, quindi, non riducendo e non razionalizzando la spesa, aumentando la pressione fiscale, si tolgono comunque risorse all'economia, ai consumi; in altre parole, si fa in modo che le attività di impresa produttiva non abbiano ulteriore sviluppo. Vediamo anzi che da un paio di anni la nostra economia è in forte recessione. Se l'inflazione è così bassa, se abbiamo un tasso nominale di inflazione all'1,6 per cento è perché - lo sapete tutti molto bene - non c'è domanda, quindi i prezzi forzatamente vengono tenuti più bassi del costo effettivo che hanno sul mercato; vi è compressione dei consumi e dunque la nostra economia langue. Finché non avremo il coraggio, finché il Governo non avrà il coraggio di incentivare le attività produttive, di ridurre la spesa pubblica e di privatizzare le attività economiche, puntando allo sviluppo ed abbattendo le aliquote fiscali così da ridurre effettivamente la disoccupazione, non riusciremo ad affrontare quello che è il problema vero - e voi tutti lo sapete - cioè quel 12 per cento di tasso di disoccupazione. Vi sono circa 20 milioni di occupati e dovremmo averne 23 milioni, mentre abbiamo 3 milioni di disoccupati: questa è la questione che si pone all'attenzione di noi politici, che dobbiamo fare in modo che il nostro popolo viva meglio, abbia risorse ed abbia ampie possibilità di lavoro. Se non riusciremo a risolvere questo problema, ma continueremo a perseguire questo tipo di politica, continueremo ad assistere alla crescita della disoccupazione e quindi del malcontento nelle fasce sociali più deboli, che questo Governo sembrerebbe voler tutelare. In realtà, con la sua politica sta facendo esattamente l'opposto, per cui sono proprio le fasce più deboli a soffrire della disoccupazione e quindi a presentare problemi di ogni tipo.
Il decreto-legge di aumento delle aliquote IVA si colloca nell'ambito di questa politica sbagliata del Governo, che persegue l'obiettivo della lievitazione continua della pressione fiscale. Tale provvedimento comporterà un aumento medio della spesa delle famiglie di circa 320 mila lire all'anno, perché comunque vi sarà un incremento dell'1 per cento nella spesa delle famiglie. Infatti, verranno colpiti prodotti di base come i mobili, i tessuti o, per fare un esempio, il vino nonché moltissimi altri prodotti e servizi che abitualmente vengono consumati.
Esprimo pertanto il dissenso mio personale e di forza Italia sulla politica economica del Governo.
Desidero inoltre intervenire su un aspetto tecnico del decreto, che credo sia sfuggito anche ai tecnici del Ministero ed a chi ha scritto il provvedimento. L'articolo 3 del decreto-legge, che reca il titolo «registrazione delle fatture», reca disposizioni relative alla fattura per le operazioni cosiddetta differita. Quest'ultima viene emessa dopo che il bene è stato consegnato o con bolletta di accompagnamento o - come si dice adesso - con documento di trasporto, e fino ad oggi poteva essere emessa e registrata entro il mese successivo alla consegna e la relativa IVA doveva entrare nella liquidazione del mese di registrazione. Con l'attuale formulazione dell'articolo 3, che probabilmente verrà approvata, giacché si dice che il provvedimento è blindato e quindi non potrà essere apportata alcuna modifica, si dispone innanzitutto che la fattura differita possa essere emessa entro i quindici giorni del mese successivo; e questo va bene. La consegna, quindi, nel mese di ottobre e la fattura entro il 15 di novembre. Si dispone inoltre la registrazione della fattura sul registro vendita entro il

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15 di novembre - ed anche questo va bene -, ma si stabilisce una cosa stravolgente, ossia che l'impresa deve inserire l'IVA portata da quella fattura, emessa il 15 di novembre, nella liquidazione di ottobre. Pertanto si verifica che consegne del mese di ottobre possono essere fatturate entro il 15 di novembre, che la fattura deve essere registrata sempre entro il 15 di novembre e che la liquidazione dell'IVA deve essere effettuata con data 31 ottobre, ossia nella liquidazione che va al 18 di novembre (mi sembra che ormai il termine sia stata anticipato; prima era quello del 22, poi del 20 e adesso è diventato il 18). In pratica, l'operatore economico ha ormai soltanto tre giorni per registrare la fattura e fare tutti i conti - il 15 del mese, infatti, è l'ultimo termine per emettere la fattura - con riferimento al mese precedente. In particolare, si verifica un problema che è già stato segnalato in altri interventi precedenti e mi corre l'obbligo di farlo presente soprattutto al ministro delle finanze ed al sottosegretario che ho la fortuna di avere presenti in aula.
Vi è il problema del cosiddetto transfer delivery, che funziona nel modo seguente. Vi è un accordo, ad esempio, tra un'azienda produttrice ed una commerciale, per cui la prima consegna direttamente a diversi clienti più piccoli della seconda, in genere un'azienda grossista, i propri prodotti. Nel corso del mese l'azienda produttrice effettua diverse consegne e, alla fine del mese, emette una fattura riepilogativa non ai singoli destinatari della merce, ma all'azienda grossista che fa da capofila la quale, a sua volta, rifattura. Questa azienda grossista, infatti, si fa carico del pagamento e della gestione di tutto il display di quei prodotti. Vi è tutto un meccanismo, su cui non voglio tediarvi, per cui anche il piccolo negozio, il piccolo supermercato hanno interesse a far capo comunque ad un'azienda grossista e non direttamente all'azienda industriale.
Accade allora che alla fine del mese l'azienda produttrice, la quale ha servito numerosi punti vendita, raccoglie le bolle di tutte le consegue che ha effettuato nell'arco del mese a diversi punti vendita, fa la somma, emette una fattura riepilogativa all'azienda grossista citando tutte le consegne effettuate nei diversi punti vendita e, sulla base di questa fattura riepilogativa, l'azienda grossista a sua volta rifattura ai vari piccoli negozi.
Con i tempi che si vogliono proporre con il decreto-legge in esame succederà che l'azienda produttrice emetterà la fattura entro il 15 del mese successivo e probabilmente riuscirà a rispettare i tempi sia pure ristretti, ma l'azienda grossista che riceverà la fattura riepilogativa e che dovrà a sua volta rifatturare dovrebbe rispettare gli stessi termini, cioè emettere la fattura entro il 15 del mese successivo e fare la liquidazione nel mese della consegna. Questo è praticamente impossibile.
Vi invito caldamente, signor ministro e signor sottosegretario, a trovare con i tecnici del ministero una soluzione per le cosiddette operazioni triangolari di tranfer delivery, per cui il cliente che riceve la fattura riepilogativa possa a sua volta fare la fattura in tempi diversi, per esempio nello stesso mese in cui riceve la fattura riepilogativa. La liquidazione deve avvenire lo stesso mese e non il mese precedente, perché altrimenti questo non sarà tecnicamente possibile.
Mi auguro che almeno questa raccomandazione venga ascoltata e che in una prossima occasione (visto che in questa non si potranno introdurre modifiche) venga data una soluzione a questo problema tecnico.

PRESIDENTE. Onorevole Viale, lei ha richiamato i tecnici del Ministero, ma saranno i funzionari del Ministero che si rivolgeranno a due tecnici del valore dei professori Visco e Marongiu!
È iscritto a parlare l'onorevole Peretti. Ne ha facoltà.

ETTORE PERETTI. Presidente, i cristiano-democratici contrasteranno l'approvazione del provvedimento in esame e vogliono soprattutto stigmatizzare la fretta


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con cui è giunto in quest'aula, che ha impedito una degna valutazione degli emendamenti in Commissione. Vogliamo inoltre stigmatizzare l'incompletezza della relazione tecnica, che non ha consentito una valutazione compiuta dell'ammissibilità e del peso degli emendamenti presentati.
Con il decreto-legge in discussione il Governo dichiara, almeno a parole, di volersi armonizzare alle disposizioni dell'Unione europea sulle aliquote IVA, che prevedono un regime transitorio con una aliquota normale non inferiore al 15 per cento, una o due aliquote ridotte non inferiori al 5 per cento, per arrivare ad un regime definitivo con una aliquota ordinaria non inferiore al 15 per cento. Questo è quanto prevedono le disposizioni dell'Unione europea. La manovra sulle aliquote in esame prevede invece ben altro: la trasformazione di alcune aliquote al 4 per cento, una al 10 per cento ed un'altra al 20 per cento. Quest'ultima, in particolare, riguarda provvedimenti sulla casa e contraddice e neutralizza l'effetto di un altro provvedimento, che si muoveva nella direzione di una defiscalizzazione.
Vi è poi un altro provvedimento pesante, che riguarda la trasformazione dal 16 al 20 per cento di una aliquota relativa ai settori tessile, delle calzature e del vino, che rappresentano il cuore produttivo e occupazionale del nostro paese.
Ritengo che non occorra essere tecnici commercialisti per affermare che non siamo di fronte ad un provvedimento di armonizzazione, ma ad un provvedimento finalizzato solo a creare gettito aggiuntivo. Infatti, nel 1997 sono previste entrate aggiuntive sull'IVA per 1.459 miliardi, nel 1998 per 5.725 miliardi, nel 1999 per 5.800 miliardi e nel 2000 addirittura per oltre 6.000 miliardi. Se il Governo avesse voluto adottare un provvedimento di armonizzazione delle aliquote IVA, avrebbe potuto farlo mantenendo l'invarianza del gettito. Siamo arrivati a questo punto perché le valutazioni fatte dal Governo in sede di legge finanziaria lo scorso anno, sia per quanto riguarda le entrate sia in merito alle uscite, non sono state rispettate.
Bisogna però fare un passo indietro. Questo Governo è diventato europeista quasi per caso. Prodi è andato in Spagna e ha cercato di convincere Aznar che si poteva resistere su una posizione debole per rientrare nell'unione monetaria; non è riuscito a convincerlo, è tornato in Italia, ha prodotto una correzione pesante del documento di programmazione economico-finanziaria ed ha predisposto un tentativo di una finanziaria di lacrime e sangue. Si è però accorto che non aveva una maggioranza in grado di supportare questo tipo di manovra (una maggioranza nata da un accordo di desistenza in campagna elettorale con rifondazione comunista), ed è stata quindi prodotta tutta una serie di finte misure strutturali che riguardano anticipi di imposte e rinvii di spesa. Alla fine anche queste manovre hanno sortito effetti parziali ed il ministro Visco non ha fatto altro che produrre una manovra di rientro del debito pubblico per rispettare i parametri di Maastricht attraverso operazioni di cassa. Il Governo non paga più, ha prodotto una montagna di residui passivi che a fine 1996 ammontavano a 156 mila miliardi (per esempio, non paga più i rimborsi dell'IVA); doveva porre in essere una manovra sotto il profilo delle entrate, quindi la tassa sull'Europa e l'IRAP (anche in questo caso si è dimostrato il vizio di non mantenere l'impegno dell'invarianza fiscale) e poi questa manovra sull'IVA.
Si tratta di una manovra che fa entrare l'economia in un ciclo perverso, che parte da provvedimenti penalizzanti per l'economia che producono un suo calo e quindi un calo del gettito fiscale, che obbliga il Governo, in questa politica perversa, ad un inasprimento delle aliquote che a sua volta produce il calo dell'economia. Così il circolo si chiude. Non è vero, come ha detto il presidente della Commissione Benvenuto, che questa manovra non ha effetto sulle famiglie meno abbienti; è una manovra che colpisce anche le famiglie per un impegno di

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spesa, prima ricordato, di 1.400 miliardi già da quest'anno, ma comunque di 5-6 mila miliardi a partire dal 1998. È soprattutto una manovra che colpisce il sistema delle piccole e medie imprese anche per il combinato disposto - come ha opportunamente rilevato prima un collega - della rottamazione, che sta facendo terra bruciata nei consumi intorno al settore dell'auto. Una manovra che va soprattutto a colpire il settore della piccola e media impresa familiare commerciale, artigianale e agricola, che è fuori dal patto elettorale che ha portato il Governo Prodi a vincere le elezioni. Un'area di riferimento elettorale moderato che ovviamente può essere colpita senza problemi per questa maggioranza, perché attualmente dal punto di vista politico ed elettorale si presenta divisa. Penso sia questo un elemento sul quale occorre riflettere anche con gli amici della lega; è infatti evidente che per rappresentare un sistema produttivo e sociale di questo tipo non possiamo permettere, andando divisi alle elezioni, che un Governo come quello attuale produca provvedimenti del genere.
Ci attesteremo sugli emendamenti che abbiamo presentato con una critica che non sarà ostruzionistica, ma che comunque ci vedrà opporre fino in fondo ad un provvedimento che va nel senso della penalizzazione dell'economia e che non corrisponde agli impegni di riduzione delle difficoltà di bilancio ed a tutti quei provvedimenti che a parole parlano di occupazione, ma che nei fatti la penalizzano.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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