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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore e delle concorrenti proposte di legge Burani Procaccini: Riforma dell'esame di maturità; Napoli: Nuova disciplina degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore; Aprea ed altri: Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore.
GIOVANNI DE MURTAS, Relatore. Vorrei subito sottolineare un punto di equilibrio e quindi di valutazione del dibattito e del confronto sul disegno di
PRESIDENTE. Onorevole De Murtas, deve concludere!
GIOVANNI DE MURTAS, Relatore, ...le innovazioni contenute nel provvedimento al nostro esame.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Follini. Ne ha facoltà.
MARCO FOLLINI. Signor Presidente, signor ministro, con il mio ragionamento intendo esprimere la disponibilità del gruppo cristiano-democratico a favorire la riforma degli esami di maturità. Naturalmente questa nostra disponibilità è inversamente proporzionale al grado di blindatura che il Governo e la maggioranza intendono realizzare del testo che è stato approvato al Senato e che è ora al nostro esame.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Riva. Ne ha facoltà.
LAMBERTO RIVA. Signor Presidente, signor ministro, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, voglio cominciare con una battuta. L'onorevole Follini ha parlato, secondo una logica classica, di tertium non datur; noi invece tentiamo di trovare questo tertium proprio sulla base del testo che ci perviene dal Senato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marinacci. Ne ha facoltà.
NICANDRO MARINACCI. Signor Presidente, signor ministro, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, questo Parlamento si appresta a discutere finalmente - con molto ritardo rispetto ai tempi precedentemente annunciati, ma in anticipo rispetto ai 29 anni purtroppo sprecati - le disposizioni in materia di riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore. È questa una riforma di cui si avvertiva l'esigenza non solo per i diretti interessati, ossi l'intero corpo docente, gli alunni, le famiglie, che vedono la scuola come pilastro e fondamenta di nuove generazioni, bensì per l'intera società italiana che giornalmente diventa sempre più europea e con l'Europa deve confrontarsi culturalmente, socialmente, economicamente ed anche didatticamente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dalla Chiesa. Ne ha facoltà.
NANDO DALLA CHIESA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, credo che questo sia un giorno importante, nel quale alla Camera dei deputati iniziamo la discussione della riforma dell'esame di Stato; un giorno importante perché atteso da molto tempo e, per una coincidenza, che cade in contemporanea con l'uscita dei risultati degli ultimi esami di maturità nelle città italiane, con il loro carico di aleatorietà, di superficialità, di incongruità rispetto al tenore culturale e civile del paese.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Aprea. Ne ha facoltà.
VALENTINA APREA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signori del Governo, intendo innanzitutto esprimere il mio disappunto e la mia contrarietà per la scelta del Governo di impedire di fatto alla Camera, in seconda lettura, di modificare il testo della riforma degli esami di Stato. Lei infatti, signor ministro, ha di fatto blindato la sua maggioranza, anche se non sono mancate espressioni di disagio e di malcontento all'interno della sua stessa maggioranza, ma certo non può pensare di far tacere l'opposizione. Sono infatti molti, e non di poco conto, i rilievi che noi facciamo su questo disegno di legge.
MARIA LENTI. Evidentemente sono tutti bravi!
VALENTINA APREA. Sì, evidentemente è così! Lasciamo però che siano le scuole a valutare i propri alunni, visto che è stata già fatta la selezione interna! Mi sto riferendo alla validità della formulazione dell'esame.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Dedoni. Ne ha facoltà.
ANTONINA DEDONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, signora sottosegretario, penso anch'io, come ha affermato il relatore in Commissione e contrariamente a ciò che hanno detto gli onorevoli Follini, Marinacci ed Aprea, che l'importanza del disegno di legge riguardante la riforma degli esami di maturità vada sottolineata senza reticenze, e vada vista non solo come un fatto simbolico o come una semplice presa d'atto di un passaggio necessitato e dunque quasi scontato; piuttosto si tratta, nella valutazione e nelle intenzioni del Governo, di una scelta che assume una grande valenza politica e si propone come atto concreto di avvio di un processo di riforme.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Napoli. Ne ha facoltà.
ANGELA NAPOLI. Onorevole Presidente, onorevole ministro, onorevoli colleghi, è veramente spiacevole che un argomento così importante quale quello relativo alla riforma degli esami di maturità venga discusso di venerdì, di fronte quindi ad un'aula parlamentare pressoché vuota.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lenti. Ne ha facoltà.
MARIA LENTI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor ministro, sottosegretaria, qualsiasi provvedimento sulla scuola coincide con una riflessione sulla stessa e sul «valore scuola». La scuola per me riveste un valore culturale e non un valore di mercato, paragonabile a quello di una industria, anche se necessariamente la scuola deve funzionare sulla base di determinati criteri ed ha l'obbligo di formare i giovani.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Michelini. Ne ha facoltà.
ALBERTO MICHELINI. Signor Presidente, la ringrazio (ringrazio anche l'onorevole Rodeghiero per avermi concesso di anticipare il mio intervento), onorevoli colleghi, signor ministro, signor sottosegretario, sull'esigenza di una riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore, siamo tutti d'accordo, maggioranza ed opposizione, anche in considerazione del paradosso di una sperimentazione che va avanti da 28, 29 anni. Sulle modalità di questa riforma, invece, non siamo d'accordo. Abbiamo ascoltato con attenzione le motivazioni che, mercoledì scorso, il ministro Berlinguer ci ha fornito in Commissione, circa il motivo per cui oggi ci si trovi a dover approvare un provvedimento che giunge troppo tardi dal Senato, senza poter intervenire adeguatamente, sebbene vi sia stato il tentativo di far filtrare qualche emendamento, in vista di un'improbabile approvazione in sede legislativa al Senato. Vedremo come procederanno in questi giorni le cose.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rodeghiero. Ne ha facoltà.
FLAVIO RODEGHIERO. Signor Presidente, ringrazio il collega Orlando per avermi consentito di intervenire prima di lui; del resto, mi ero accordato con il collega Michelini nel senso che avrei preso la parola subito dopo il suo intervento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Orlando. Ne ha facoltà.
FEDERICO ORLANDO. Onorevole Presidente, signor ministro, signora sottosegretario, colleghi, finalmente quest'aula può portare a compimento quella riforma degli esami conclusivi della scuola che aspettiamo da ventotto anni, anche se, onorevole Napoli, qui non si tratta dell'articolo 513 del codice di procedura penale e perciò non c'è folla. Mi sono rivolto a lei, onorevole Napoli, per dire che condivido la sua lamentazione in ordine all'assenza dei colleghi, ma qui purtroppo - ripeto - non stiamo discutendo dell'articolo 513, stiamo parlando «soltanto» del destino della gioventù italiana.
VALENTINA APREA. Abbiamo chiesto coerenza, non contestualità!
FEDERICO ORLANDO. Vadano a fondo, onorevole Aprea! Sappiamo anche
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Malgieri. Ne ha facoltà.
GENNARO MALGIERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, il ministro Luigi Berlinguer ed il Governo dell'Ulivo possono vantare una certezza, che di questi tempi non è poco. Senza dubbio alcuno passeranno alla storia come i demolitori dell'istruzione pubblica in Italia quale si è fin qui configurata, cui si sono applicati con scientifica meticolosità al fine di smantellare, uno dopo l'altro, i presìdi dell'educazione scolastica che pure avevano resistito, in questo ultimo cinquantennio, a colpi di rara violenza.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
GIOVANNI DE MURTAS, Relatore. Il dibattito ha confermato quanto ho detto nella mia relazione, per cui, non avendo nulla da aggiungere, raccomando ancora una volta l'approvazione del disegno di legge in esame.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
LUIGI BERLINGUER, Ministro della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica. Signor Presidente, desidero ringraziare vivamente i colleghi che hanno preso parte alla discussione generale per l'impegno profuso e per il contributo teso non solo ad una puntuale analisi del testo ma anche all'esigenza di cogliere le implicazioni generali che un disegno di legge di questa natura contiene.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Avverto che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare di forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento. La Presidenza ha pertanto provveduto, ai sensi dell'articolo 24, comma 6, del regolamento, al contingentamento del relativo tempo. Sulla base di tale contingentamento, il tempo a disposizione dei gruppi che hanno iscritto più di un deputato nella discussione generale è il seguente:
forza Italia: 55 minuti;
alleanza nazionale: 49 minuti;
misto: 41 minuti.
Il relatore, onorevole De Murtas, ha facoltà di svolgere la relazione.
legge che abbiamo in esame alla luce del percorso seguito in Commissione.
Nonostante i limiti di tempo ai quali abbiamo dovuto in qualche modo piegarci, soprattutto in forza di ragioni oggettive che attengono - come tutti ben sappiamo - all'articolazione ed all'organizzazione dei lavori tra aula e Commissioni, e nonostante un'accelerazione ed una concentrazione un po' forzata della nostra discussione, penso che diversi elementi di chiarezza siano emersi sulle questioni fondanti del progetto di riforma dell'esame di maturità, consentendo - nella libertà e nell'esercizio delle prerogative del dibattito parlamentare - la piena definizione delle posizioni dei gruppi e l'espressione dei rispettivi convincimenti sui temi principali di questo impianto legislativo.
Entrando subito nel merito, devo dire che sotto questo aspetto abbiamo una significativa differenziazione delle posizioni, che però a mio avviso non pregiudica in partenza la possibilità di arrivare a soluzioni unitarie nel corso del confronto che stiamo oggi avviando.
In sostanza potremmo dire di essere in presenza di due posizioni che rispetto al merito complessivo del disegno di legge sono così articolate. Vi è da un lato la convinzione, che è comune, pur con differenziazioni non irrilevanti, ai gruppi della maggioranza, che il testo che abbiamo all'esame (un testo che è stato modificato dal Senato) rappresenta un punto di equilibrio apprezzabile e positivo rispetto alle necessità di cambiamento e di innovazione che la formula dell'accertamento e della valutazione finale del corso di studi della secondaria superiore richiede.
Vi è, d'altro canto, la posizione espressa dalle forze di opposizione (mi riferisco, in particolare, alle proposte di legge abbinate a questo disegno di legge, di cui la Commissione ha discusso, e che hanno riscontri precisi negli emendamenti che i gruppi di forza Italia, alleanza nazionale, CCD e lega hanno presentato anche in aula), che richiedono o avanzano istanze di modifica anche radicali rispetto all'impianto normativo che abbiamo in esame.
I due punti estremi (ovviamente la mia è una schematizzazione) del nostro confronto in origine erano simbolicamente rappresentati dall'idea di poter procedere ad un cambiamento tale da sostituire la formula dell'esame di maturità, per come da quasi quarant'anni l'hanno conosciuta diverse generazioni di studenti della scuola italiana, ma anche dall'idea di dover giungere alla soppressione integrale del meccanismo dell'esame di Stato e quindi all'abrogazione del valore legale del titolo di studio.
Ovviamente, allo stato attuale, avendo la Commissione assunto il testo approvato dal Senato come base di discussione, ci troviamo all'interno della prima ipotesi e tuttavia il ventaglio delle posizioni che si esprimono anche nelle varie proposte di emendamento è certamente molto ampio e tocca tutti i punti di maggiore rilievo della proposta di modifica degli esami di Stato.
Qui esiste comunque una base di partenza unitaria che è condivisa da tutti i gruppi e che è quella della critica al meccanismo di esame attualmente in vigore, seppure in forma sperimentale, come tutti abbiamo rilevato, dal 1969. Si tratta quindi di una prova di esame che ha acquisito, e che negli anni ha via via acuito, un intollerabile carico di disfunzioni, di limiti strutturali, di incongruenze, di arretratezze, proprio rispetto al processo formativo che essa pretende di concludere e valutare. Da qui la convinzione - e su questo ribadisco una determinazione comune, un intendimento comune da parte di tutti i gruppi - che l'esame deve essere cambiato, e che la maturità nella forma attuale va soppressa e trasformata. Ed è quanto riesce a fare, a parer nostro, il disegno di legge approvato dal Senato.
Questo cambiamento è richiesto in vario modo, su diversi piani, da diverse esigenze, da un'esigenza elementare, per così dire, di igiene didattica, dei curricula scolastici, da un'esigenza elementare di
equità delle procedure di valutazione degli studenti, da una necessità di coerenza e di omogeneità con le innovazioni metodologiche che vanno a rimodulare e ad aggiornare l'insegnamento. Più in generale, questo provvedimento legislativo di riforma degli esami di maturità richiama una indicazione funzionale ed un intervento che ormai non è più rinviabile nella direzione di una riorganizzazione organica e complessiva degli studi che sia capace di sostenere e quindi anche di valutare il livello degli apprendimenti.
All'interno di questa impostazione i problemi principali sono anzitutto attinenti alla strutturazione, al contenuto e al numero delle prove di esame previste; in secondo luogo, alle procedure specifiche che vanno a comporre il quadro della valutazione anche con riferimento all'itinerario formativo dello studente; in terzo luogo, al ruolo e alla composizione delle commissioni d'esame alle quali spetta, all'interno dell'articolazione del rapporto tra l'attività dell'apprendimento e l'attività dell'insegnamento, di giungere alla elaborazione del giudizio conclusivo.
Nell'ambito di questo schema trovano collocazioni i diversi problemi, ma soprattutto si chiariscono le coordinate che il disegno di legge approvato dal Senato intende realizzare.
È evidente - è una critica che è stata avanzata ma che, a mio avviso, non ha fondamento - che le tematiche sulle quali si interviene si integrino, siano contigue ed abbiano implicazioni comuni con altre importanti prospettive di innovazione e di cambiamento della scuola italiana, sia che ci si riferisca a norme già approvate in linea di applicazione, come nel caso della legge n.59 sull'autonomia delle istituzioni scolastiche, sia che si parli di ipotesi legislative da approvare, ma già in fase di discussione anche in questo ramo del Parlamento, come la riforma degli organi collegiali, la riorganizzazione dei cicli scolastici o la futura legge sulla parità tra scuole statali e non statali. Come dicevo, a mio avviso, a tale riguardo la critica non regge, perché non vi è contraddizione tra questo provvedimento ed una serie di ipotesi di riforma il cui il percorso parlamentare, lo ripeto, è già stato in parte avviato e con le quali, sul piano del merito e dei contenuti, questa proposta di riforma dell'esame di maturità può integrarsi senza alcuna contraddizione.
Penso, al contrario, che occorra soffermarsi sul merito delle proposte, come in parte è stato fatto nei lavori svolti in Commissione. Non ripercorrerò nel dettaglio tutto il dibattito che si è avuto in quella sede, tuttavia, alcune questioni vanno prese nuovamente in considerazione perché al centro del progetto di riforma degli esami di maturità vi è, come è ovvio, la questione della valutazione del percorso formativo dello studente. La valutazione, infatti, è un meccanismo essenziale del processo scolastico, non foss'altro perché stabilisce una relazione tra l'insegnamento e la reattività nell'apprendimento alle strategie dell'insegnamento medesimo. Ebbene, rispetto a tale questione la riforma in esame tende a realizzare un punto di maggiore equilibrio.
Il disegno di legge del Governo, modificato e approvato dal Senato, tutela e valorizza i requisiti di coerenza e di omogeneità, cercando di superare positivamente l'incertezza dei criteri e l'arbitrarietà dei parametri di valutazione, cioè quegli elementi che portano, nella forma attuale, realizzata attraverso gli esami di maturità in vigore dal 1969, a non riuscire ad accertare con oggettività di giudizio il conseguimento degli standard formativi ai quali gli studenti devono mirare e che i candidati devono dimostrare di aver conseguito.
Rispetto a questo tema centrale lo sforzo che viene compiuto con il provvedimento in esame è presente anche nella strutturazione complessiva delle prove orali e scritte di cui si compone la nuova soluzione degli esami di Stato, ma anche, penso, nella ripartizione dei voti che comporranno quantitativamente la misura della valutazione del profitto dello studente.
In questo senso mi pare sia apprezzabile proprio la cornice unitaria che tiene assieme lo scheletro, l'impalcatura quanto
più possibile oggettiva delle prove che sono previste. Nello specifico della fenomenologia dell'esame, per come la conosciamo e per come è stata acquisita e praticata fino ad oggi nella scuola italiana, penso che questa corrisponda ad un giusto tentativo di evitare, da un lato, di ricadere nell'accertamento puro e semplice delle nozioni, dall'altro, di recedere dalla necessità di recuperare attraverso le prove riscontri di valutazione che devono integrare punti di vista diversi e che devono integrare i piani metodologici e didattici partendo dai quali si intende svolgere l'accertamento.
Sotto questo aspetto noi leggiamo una modulazione positiva nell'integrazione delle prove anche perché (e questa è un'altra novità rilevante di questo provvedimento) viene garantito allo studente un «ancoraggio» interno al percorso formativo seguito. Contemporaneamente non si perde di vista il profilo disciplinare e culturale del candidato verificando i criteri più generali ed oggettivi.
Con la nuova proposta viene meno un elemento di casualità che fino ad ora è stato motivo di disturbo nella valutazione e nella scelta delle materie d'esame. Ciò significa che viene meno quell'incertezza che sminuiva la serietà, l'attendibilità e il rigore della valutazione stessa. Tale orientamento appare più evidente nella scelta di prevedere un colloquio sulle materie che lo studente ha approfondito nel corso dell'ultimo anno. Ciò consente di reinvestire le conoscenze acquisite dallo studente senza spostare troppo lontano nel tempo la ricerca dei riferimenti, dei dati e delle cognizioni culturali dello studente stesso.
Analogo ragionamento vale per le modalità per l'espressione del giudizio finale. Al riguardo occorreva risolvere un problema importante perché l'estraneità delle procedure, anche sotto il profilo tecnico, per la definizione della valutazione (estraneità sempre clamorosamente comprovata negli esiti delle procedure d'esame in vigore e che rappresenta un punto di grande sofferenza in relazione sia all'andamento complessivo dei curricula sia ai comportamenti individuali scolastici) ogni anno si presenta come elemento di discriminazione pesante nella carriera scolastica dello studente ma anche come elemento di difficoltà reale rispetto alla funzione valutativa svolta dai commissari. Proprio la modalità quantitativa di elaborazione del voto che esprime il giudizio finale dell'attuale esame di maturità ha rappresentato finora un punto di grave conflitto non solo per gli studenti ma anche tra i commissari d'esame che compongono le varie commissioni.
Il disegno di legge approvato dal Senato prevede che anche che a conclusione del ciclo di studi della scuola superiore il voto di esame, per quanto rappresenti una formula riassuntiva ed uno schema numerico, debba prendere atto, se vuole rispettare la serietà della valutazione, di tutto il percorso di apprendimento, debba essere aperto alla raccolta delle informazioni didattiche in relazione ai diversi livelli di competenza che lo studente dimostra, attraverso le prove, di avere acquisito. Il disegno di legge si muove in tal senso tenendo conto che la valutazione interagisce sugli atteggiamenti culturali e sulla evoluzione del progetto formativo nel quale lo studente è inserito.
Un altro tema importante è quello relativo alla composizione delle commissioni d'esame. Anche sotto questo aspetto la soluzione raggiunta è equilibrata e positiva, specialmente in riferimento ad un punto delicato come quello del rapporto tra scuola pubblica e scuola privata. Penso che la soluzione trovata offra comunque garanzie rispetto ad un problema che ha rilevanza costituzionale come quello degli esami previsti al termine del ciclo di studi di tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Penso inoltre che giustamente lo Stato non debba e non possa recedere dalla necessità di mantenere la titolarità del controllo giuridico sul percorso formativo dello studente, sulla sua carriera e sul suo andamento scolastico. Nello stesso tempo, con questa configurazione del rapporto interno alle commissioni e della funzione e del ruolo che queste ultime debbono
svolgere rispetto alle scuole statali e private, si va realmente a tutelare quella equipollenza di trattamento richiesta dalla Costituzione rispetto ai diritti degli studenti. Quella configurazione, contemporaneamente, garantirà anche in questo ambito specifico allo studente un equilibrio di valutazione che non si sbilancia eccessivamente (mi riferisco ovviamente alla composizione paritetica tra commissari interni e commissari esterni della commissione di esame), non crea contraddizioni o discrepanze gravi rispetto alla necessità di pervenire ad una valutazione rigorosa sia dal punto di vista esterno con il quale si guarda il percorso dello studente, sia dal punto di vista di quello che ho definito l'ancoraggio interno del percorso formativo che lo studente ha seguito nella propria scuola.
Dobbiamo prendere atto che il disegno di legge in esame cambia profondamente ed innova la filosofia dell'impianto culturale e didattico da cui partono le procedure della valutazione, cioè dell'accertamento delle competenze, delle conoscenze e delle abilità richieste agli studenti nel momento della conclusione del corso di studi della scuola secondaria superiore. Dobbiamo acquisire pienamente e avere ben chiaro come un dato politico di assoluta rilevanza che vi è una urgenza reale di questo cambiamento così impostato e definito; e che questa urgenza reale corrisponde ad un'altrettanto reale esigenza sociale, ad una richiesta e ad una domanda che è collegata all'innalzamento della qualità dell'offerta formativa che ci viene dalla scuola pubblica, dagli studenti, dalle famiglie e dai docenti. Ribadisco che l'urgenza di rispondere positivamente a questa domanda rappresenta un dato politico che non possiamo e non dobbiamo scartare, deponendo le nostre responsabilità istituzionali o, in qualche modo, evitandole. Ritengo quindi che vi sia un dato ineliminabile che ci richiama ad una nostra responsabilità precisa: quella di dimostrare che è possibile predisporre riforme per la scuola che migliorino la qualità dell'offerta formativa e complessivamente il percorso di apprendimento dello studente e che è possibile farlo da subito e in queste condizioni!
Penso inoltre che, relativamente alle nostre prerogative di parlamentari e di legislatori, questa esigenza possa essere contemperata senza rinunciare a nulla rispetto al nostro compito istituzionale, ma assumendo un disegno, una proposta di cambiamento che vada nella direzione positiva che ho cercato di delineare, rispetto alla quale complessivamente - al di là di talune differenziazioni specifiche anche importanti, che non vanno taciute e che debbono essere messe in rilievo nel corso di questo dibattito - sia possibile dare rilevanza a questa esigenza per giungere alla approvazione del disegno di legge in esame con modalità tali che consentano al Parlamento e al nostro sistema scolastico di poter applicare quanto prima...
Siamo consapevoli di dover uscire da una condizione tipica di alcuni aspetti della legislazione e della politica italiana, per i quali niente è così definitivo come il provvisorio. Dovevano essere infatti modifiche transitorie quelle introdotte per decreto il 15 febbraio 1969, destinate a durare due anni soltanto, ed invece, a 28 anni di distanza, sono ancora operanti per effetto di una proroga accordata con legge nell'aprile 1971 in attesa della riforma della scuola secondaria superiore, smarritasi nel frattempo nel «deserto dei tartari».
Se in origine esisteva un'urgenza di aggiornamento della formula tradizionale, motivata dalla pressione della contestazione giovanile e studentesca, oggi siamo alle prese con l'urgenza del superamento della formula temporanea, motivata da nuove esigenze educative, dalle trasformazioni della società e della comunità scientifica e tecnica, dalle attese del mondo del lavoro, dai cambiamenti che hanno investito il sistema di istruzione e formazione, sia sul piano legislativo che su quello culturale e didattico. Al nuovo modo di fare scuola, derivato da nuovi obiettivi di insegnamento e apprendimento, da nuovi saperi, da nuove procedure metodologiche e didattiche, non è corrisposto fin qui in maniera coerente l'adeguamento del momento valutativo per eccellenza, rappresentato appunto dagli esami di Stato, rimasto estraneo alla realtà scolastica e indifferente alle innovazioni.
Si è formata così una frattura inaccettabile tra la scuola militante e l'accertamento finale dei suoi esiti. Una copiosa letteratura in materia dimostra la divergenza tra la vivacità di una cospicua parte del pianeta scuola - dirigenti e docenti impegnati nello studio di ipotesi didattiche più efficaci e nella loro applicazione nella quotidiana esperienza - e l'arretratezza dell'impostazione della gestione e della conduzione degli esami di Stato. La svolta storica impressa all'ordinamento della scuola italiana con la legge delega n.477 del luglio 1973 e con i successivi decreti delegati non ha nemmeno sfiorato questa porta di uscita, diventata ormai un rudere. Le stesse sperimentazioni, nonostante le migliori intenzioni, rischiano di inciampare e di cadere nell'attraversamento di un vecchio sfasciume.
È fin troppo facile convenire, in queste condizioni, sulla necessità di un rinnovamento. Il gruppo parlamentare del centro cristiano-democratico è particolarmente favorevole ad un ammodernamento della struttura e del contenuto degli esami di Stato. Le ragioni che ci guidano sono più d'una e sono tutte evidenti: l'importanza, ai fini educativi, che si annette al servizio scolastico, la fiducia che riponiamo nella professione dirigente e docente, la funzione che attribuiamo all'istruzione in ordine alla maturazione di una più larga coscienza democratica. Non c'è da parte nostra alcuna titubanza nell'intraprendere vie differenti rispetto al passato, purché non siano vicoli ciechi o sentieri impraticabili. È ovvio che non sempre la novità è sinonimo di modernità, vantaggio e avanzamento. Noi offriamo tuttavia un sostegno convinto a tutte le proposte che vadano nella direzione di un miglioramento degli assetti esistenti: un sostegno che offriamo al riparo da pregiudiziali ideologiche, da calcoli politici, da grettezze culturali che non dovrebbero offuscare i nostri orizzonti. Un sostegno pronto a mettere da parte il nostro ruolo di opposizione e quindi contro questo Governo e contro questo ministro, che in più occasioni ha ironizzato sulle nostre opinioni e ha respinto i nostri contributi. C'è, quindi, questa nostra disponibilità, la stessa che ha portato in quest'aula, in tutt'altro campo, qualche tempo fa, ad un voto di astensione su altre materie, quella, ad esempio, della regolamentazione dell'emittenza, che ha favorito un avvicinamento di posizioni ed un lavoro comune tra maggioranza ed opposizione.
Temiamo, però, che la prospettiva che si apre con questo disegno di legge non conduca nella stessa direzione di collaborazione. Noi ci troviamo di fronte ad un'ipotesi di rivolgimento che ci sembra conduca a conseguenze che vorrei definire minacciose, e contenga scelte bizarre, pericolose e sbagliate a partire dalle mille
ambiguità terminologiche che il testo contiene e su cui il nostro gruppo si è esercitato nella sua facoltà di emendamento. Soprattutto ciò è dimostrato dall'operazione incerta ed ondivaga delle scelte, a volte sulla linea di un passato consunto che non vuole morire, a volte sulla linea di un futuro astratto che non vuole crescere. Non solo, noi temiamo il rischio che il cosiddetto «riformone» costruito a tavolino dagli esperti del Ministero della pubblica istruzione, se approvato dal Parlamento, sia destinato a sconvolgere l'assetto ordinamentale del sistema di istruzione e di formazione, vanificando totalmente la riforma degli esami di maturità, che siamo chiamati ad approvare.
Il dilemma al quale si perviene ci pare evidente: o il ministro della pubblica istruzione ha rinunciato a quel «riformone» e quindi si possono rivisitare gli esami di Stato in conformità all'ordinamento attuale, oppure il ministro immagina un rifacimento radicale dell'impianto complessivo della scuola italiana e quindi si appresta a cestinare il progetto di aggiustamento degli esami di Stato. Insomma, o si procede con una riforma globale oppure con una parziale; in questo caso la terza via non esiste o meglio appartiene al maligno. Ci sembra invece che qualche suggestione di terza via vi sia nella posizione del ministro, altrimenti non si spiegherebbe la sua pervicace insistenza nel portare a compimento, in tempi diversi e successivi, i due piani, con gli esisti nefasti che molte volte ci è capitato di denunciare.
Occorre comprendere il motivo di tanta insistenza, di tanto assillo da parte del ministro Berlinguer. Naturalmente, si potrebbe pensare ad uno spirito riformatore così acuto da non dargli tregua; ma un riformatore che intenda agire seriamente e proficuamente non si rivolge al Parlamento con proposte blindate, come ha fatto il ministro della pubblica istruzione. Se la Camera dei deputati è chiamata a ratificare senza alcuna possibilità di ritoccare, di perfezionare e neppure di precisare il contenuto del provvedimento, credo che possa anche non essere convocata. Se il ministro della pubblica istruzione fosse il riformatore genuino e credibile che vorremmo incontrare sul nostro cammino, aprirebbe un dialogo con i legislatori ed accoglierebbe con gradimento almeno alcuni dei contributi tesi a migliorare e ad ottimizzare il prodotto. Poiché non è, o almeno non sembra questo l'intento del ministro, allora significa che la sua insistenza ha un'origine diversa, che i suoi obiettivi sono altri; a me sembra di individuarne almeno tre, leggendo tra le righe dei comportamenti più ancora che delle parole. Il primo scopo mi sembra quello di una politica per così dire di vetrina, di una comparizione settimanale e qualche volta quotidiana nelle cronache, luci della ribalta che sono importanti per tutti, in particolare per questo Governo e per questo ministro, poiché concorrono a rinfrescare alla memoria della gente che egli esiste, si dà da fare e dall'alto della sua sapienza protegge e guida la scuola italiana. Il secondo scopo è quello di dimostrare ai suoi censori, alcuni dei quali residenti sotto le fronde dell'Ulivo, che la speranza di una repentina e totale trasfigurazione della scuola italiana non è spenta, perché almeno un provvedimento di riforma, anche se piccolo, goffo e nero come il pulcino Calimero della pubblicità è stato approvato.
Il terzo scopo - mi rivolgo anche agli amici del partito popolare - è di accreditare l'impressione che al Ministero della pubblica istruzione vi sia un inquilino in grado finalmente di restaurare la scuola italiana, riuscendo là dove alcuni dei predecessori, che casualmente appartengono alla sua stessa area politica (penso agli onorevoli Mattarella, Bianco, Jervolino Russo, Lombardi) non sono riusciti o addirittura hanno fallito. Credo che le illusioni che questi scopi nascondono siano bucce di un frutto dal sapore amaro, quello del provvedimento che oggi esaminiamo e che mi permetto di definire insieme logoro ed acerbo.
Il provvedimento è logoro per qualche aspetto perché è la copia, sofisticata e rivisitata, di quello presentato a suo tempo dal ministro Falcucci nel 1985 che,
con il trascorrere del tempo, si è progressivamente alterato, ma è stato anche per qualche aspetto peggiorato dai ritocchi apportati dal ministro Berlinguer.
Alcune parti bacate si vedono da lontano e sono la continua richiesta di delega per rifare la scuola mediante regolamenti; la discriminazione che permane nei confronti degli istituti non statali e che rappresenta una spiegazione più che convincente delle ambiguità che avevamo denunciato a suo tempo in ordine alla parità scolastica; il pasticcio della composizione delle commissioni, che è destinato a provocare un caos più che probabile; la macchinosità dell'acquisto e dell'attribuzione e del credito scolastico.
Visto che le parole ricorrenti nel lessico dei reggitori attuali della politica scolastica sono debiti e crediti, ci permettiamo di segnalare che non è utile scambiare la scuola per una banca.
Il disegno di legge è inoltre acerbo in quanto persegue la regola del vorrei ma non posso. Si vorrebbe un esame di Stato progredito, interessante, all'altezza di una scuola che naviga - come si dice un po' enfaticamente - verso il terzo millennio, ma poi subentra una timidezza che tarpa le ali ed il volo del provvedimento si fa radente il suolo. Un provvedimento, dunque, debole e appunto immaturo.
I segni di questo ritardo si colgono nella tipologia della terza prova, nel valore delle certificazioni, nell'impianto del colloquio. Infine, questo disegno di legge a noi sembra nocivo perché non guarda verso l'Europa. Per essere attendibile un esame dovrebbe riguardare effettivamente tutte le discipline e svolgersi sulla base di metodi oggettivi di accertamento della preparazione, il che dovrebbe comportare, ben oltre quanto previsto nel testo ministeriale, un maggior numero di prove scritte, anche di tipo interdisciplinare e pluridisciplinare, somministrabili anche in forma di test o di quesiti a risposta breve. Non mancano esempi di metodologie valutative di questo tipo in Europa e nel resto del mondo, dove si parla sempre di più della necessità di porre in atto prove d'esame e sistemi di certificazione efficaci e trasparenti a tutti i livelli.
Pertanto, l'eventuale approvazione del disegno di legge così com'è lascia insoddisfatte tre irrinunciabili richieste, che sono la sfida che l'Europa lancia all'Italia scolastica.
La prima aspirazione riguarda il rigore. L'esame di Stato al termine della scuola secondaria superiore non può ridursi ad una tombola dove la fortuna dispensa favori e penalizzazioni. L'aleatorietà deve cedere il passo alla trasparenza rigorosa che consente l'allestimento di una prova impegnativa.
La seconda aspirazione chiama in causa l'equità. È un dovere anche morale oltre che politico trattare tutti con la stessa unità di misura. La percentuale di estemporaneità e di diversità tra le Commissioni e tra le zone del paese deve essere ridotta al minimo sopportabile; almeno alcune disparità debbono scomparire.
La terza aspirazione si rivolge alla veridicità. L'esame deve fotografare senza ombre la realtà nuda e cruda, gli studi effettivamente compiuti nelle scuole statali ed in quelle non statali. L'accertamento deve fare emergere il quadro vero e completo che assegna alle certificazioni del medesimo un grado alto di trasparenza.
Di fronte a queste tre aspettative - e concludo - il provvedimento del Governo ci sembra fortemente latitante e un suo ritrovamento ci appare, allo stato delle cose, assai poco probabile. Tuttavia, sono possibili, lo ripeto, correzioni che, senza contraddire la sua logica, rendono il documento in esame meno incompleto, meno aspro, meno vago, meno controverso, tale da non scavare un fossato irrimediabile in questo campo tra la maggioranza e l'opposizione.
Seguendo questo orientamento, il gruppo parlamentare del CCD, accantonando il sogno di una sostanziale metamorfosi capace di portare il testo ad una qualità fondata sul rigore, l'equità e la veridicità, ha predisposto una serie di
emendamenti che ci auguriamo il ministro della pubblica istruzione consideri con qualche favore. Gli rivolgiamo un appello accorato perché non disdegni questa offerta di collaborazione che è, nei limiti propri della politica, una collaborazione disinteressata; lo rivolgiamo pur nella consapevolezza di avere incontrato, almeno sin qui, un ascolto politico molto distratto (Applausi - Congratulazioni).
La necessità di una revisione della normativa che attualmente regola gli esami di maturità viene considerata, in particolare nel mondo della scuola, un'esigenza improcrastinabile. Dopo 28-29 anni di esami sperimentali di maturità, certamente non è più rinviabile la riforma di esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore. Oggi è possibile intervenire, in quanto è innegabile che si sia aperto un processo di innovazione del nostro sistema educativo; da ciò d'altra parte consegue che questa riforma non rappresenta certamente un'iniziativa estemporanea e priva di ancoraggio.
Non mi soffermerò sull'ampio spettro di riforme o innovazioni in atto o in progetto. Basta ricordare l'autonomia delle istituzioni scolastiche, approvata con la legge 13 marzo 1997, n.59, e due disegni di legge del Governo, la legge quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione e la legge sulla parità. Quindi, l'urgenza nasce anche dal fatto che in questa fase di cambiamenti radicali e sconvolgenti di tutta la scuola italiana è bene fissare qualche pietra miliare che indichi la direzione da perseguire.
È vero che l'esame finale non può essere considerato un momento separato o separabile dal corso di studi che lo precede e che occorre evitare l'illusione che la riforma dello stesso possa ottenere gli effetti innovatori, radicali ed organici insieme, che devono attendersi dalla riforma delle strutture, dei piani di studi, dei programmi. Ma proprio qui sta uno dei significati della riforma in esame, che è insieme indicatrice di una direzione e precaria, perché legata a tutto un complesso in cambiamento, in movimento, che ci costringerà presto a qualche aggiustamento di quanto stiamo discutendo e, spero, approveremo.
Questa lunga premessa mi porta ad esprimere un giudizio di accettabilità del testo che ci perviene dal Senato, presso il quale è stato in gestazione per mesi, forse troppo a lungo; comunque, esso è stato ampiamente discusso in quella sede, tanto da costringere noi ad un esame dello stesso troppo rapido, se vogliamo approvarlo in tempo perché la riforma possa entrare in funzione nel prossimo anno scolastico.
È comunque certamente apprezzabile in questo testo il tentativo di ridare all'esame finale del ciclo secondario una minima parvenza di serietà o, se si vuole, di restituire agli esami di Stato maggiore serietà e compiutezza, introducendo una terza prova scritta ed estendendo il colloquio orale a tutte le materie dell'ultimo anno, almeno per evitare il «gioco di bussolotti» per l'assegnazione delle due materie tra le quattro per il colloquio dell'esame in atto.
Prima di indicare gli inevitabili problemi in cui ci si imbatte nell'esame di questo testo, desidero indicare le novità non prive di significato. Innanzitutto è veramente rilevante aver rinunciato alla stessa definizione di esame di maturità, e cioè all'obiettivo di misurare la maturità del candidato che assegnava, al di là delle intenzioni puerocentristiche o nobilmente personalistiche, compiti troppo impegnativi, che avevano effetti di ricadute pseudopsicologiche o di scontri insanabili o almeno delicati tra gli esaminatori, per limitarsi ad essere esame di conclusione dei corsi di studio della scuola secondaria
superiore e per stare, quindi, più correttamente all'accertamento e misurazione delle conoscenze, competenze e capacità acquisite in relazione agli obiettivi generali e specifici propri di ciascun indirizzo di studi, traducibili in voti intesi come livelli di profitto.
La prima prova scritta cambia radicalmente: è superato il tradizionale tema per fare posto ad una prova intesa ad accertare la padronanza della lingua italiana - o della lingua nella quale si svolge l'insegnamento - nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato, consentendo la libera espressione della personale creatività.
Certamente si deve riconoscere che questa è una prova più adeguata alle odierne discipline dell'insegnamento logico-linguistico e alla libertà di espressione, esasperatamente tipica del nostro tempo, che include modalità espressive plurime.
È però bene osservare qui che il cambiamento radicale rispetto alla tradizione e alla pratica della nostra cultura scolastica, anche se preceduto da diffuse e valide sperimentazioni, esige opportune iniziative di carattere preparatorio per docenti e studenti e, ancora, che occorrerà grande oculatezza da parte del ministero nella scelta degli argomenti che permettano di esprimersi veramente in lingua - anche in francese e tedesco - e nell'individuarne le modalità.
Quanto alla terza prova scritta, certamente essa è qualcosa di diverso e più maturo rispetto all'idea fatta balenare attraverso la stampa di un grande quiz di accertamento e sicuramente attesta coraggio innovativo ed antitradizionalista (starei per dire anticuriale) nell'introdurre modalità di valutazione per test e per quesiti multipli, già largamente presenti nella società e nel mondo del lavoro, idonei ad una misurazione oggettiva dei risultati.
Mi chiedo però come sia possibile strutturare la terza prova pluridisciplinare - come è detto nel testo - perché risponda seriamente ai vari e plurimi obiettivi che si propone, compreso l'accertamento della lingua straniera.
Quanto al colloquio su tutte le materie o, meglio, su argomenti di interesse multidisciplinare, mi chiedo come sia possibile il vero colloquio di interscambio culturale tra docenti ed alunni su argomenti di interesse multidisciplinare, se i docenti sono ben otto più il presidente.
Ritengo che all'uno e all'altro quesito testé enunciati il ministero dovrà rispondere con un regolamento - previsto dall'articolo 1, comma 2 - preciso nei paletti da porre, ma molto flessibile per l'effettiva attuazione da parte della commissione d'esame. Quanto a quest'ultima, d'altra parte, costituisce certamente un passo in avanti la presenza di almeno metà membri del consiglio di classe, ciò per superare la patetica - per non dire altro - figura peregrina del membro interno.
Oltre il fatto che otto membri più uno sono troppi a tutti gli effetti, occorre assicurare che i quattro interni siano effettivamente insegnanti dei candidati interni esaminati, lasciando larga flessibilità nel loro articolarsi in tutte le fasi dei lavori, come è d'altra parte previsto, e assicurando l'effettiva partecipazione collegiale nelle varie fasi di espressione della valutazione. Ci si dovrà poi - aggiungo - avviare presto ad una commissione coincidente con il consiglio di classe, con un presidente esterno, quanto più si avvia effettivamente l'autonomia e la parità scolastica.
Si deve probabilmente alla commissione con metà interni l'abolizione conseguente della certificazione dell'ammissione, che sembra diventare inutile, mentre non diventa inutile lo scrutinio finale, che a mio parere è nettamente previsto nella normativa scolastica e che non è certo escluso da questo provvedimento.
Non sembrano del tutto convincenti anche altri aspetti del provvedimento; mi riferisco per esempio alla differenza di trattamento per la scuola non statale, di cui all'articolo 7, che pure introduce al punto a) il giusto principio che «il candidato esterno può presentarsi agli esami di idoneità solo per la classe immediatamente superiore a quella successiva alla classe cui dà accesso il titolo ...»: questo
deve valere per tutte le scuole, non statali e statali. D'altra parte, tale passaggio è già un passo in avanti rispetto al testo iniziale, che escludeva totalmente la possibilità di esami di idoneità presso le scuole non statali.
Mi riferisco ancora al comma 4 dell'articolo 4, quando prevede che una classe non statale sia abbinata senz'altro ad una statale.
Perché queste due norme, stante il fatto che debbono valere per la scuola non statale, non possono essere applicate di fatto già ora anche alla scuola statale? Lo chiederemo con un ordine del giorno, come chiederemo che, in riferimento al punto b) dell'articolo 7, secondo cui «non possono essere accolte domande di ammissione ad esami di idoneità in numero maggiore di quello degli alunni che possono essere inseriti, a seguito degli esami medesimi, nelle classi già funzionanti ...», si faccia molta attenzione a non rendere impossibile la costituzione di classi serali per studenti lavoratori, che devono essere oggetto della nostra massima considerazione, applicando in maniera rigida la norma ivi indicata. Secondo noi è possibile, nel rispetto della norma, evitare questo nefasto esito, cui ho accennato un momento fa.
Certo, ritengo che nessuno possa pretendere di risolvere con queste norme il problema della qualità complessiva degli studi nelle scuole non statali, che tra l'altro, per la stragrande maggioranza, sono scuole serie - cattoliche e non - da non confondere con i «diplomifici» che per definizione devono essere chiusi. Tale problema troverà un'adeguata soluzione all'interno del sistema pubblico dell'istruzione e della formazione, del quale faranno parte insieme le scuole statali e le istituzioni scolastiche formative non statali, in base a precisi requisiti di qualità e di efficacia.
Infine, ci pare opportuno sollecitare il Ministero - e lo faremo con un preciso ordine del giorno - a porre le scuole, docenti e studenti, nelle condizioni di non subire questa riforma come un capestro, valorizzandola invece come un'occasione di rilancio culturale e qualitativo del lavoro scolastico e di una sana sperimentazione insieme, innanzitutto presentandola compiuta, compresi i regolamenti, prima dell'inizio delle lezioni o al massimo entro settembre. Andrà indicata poi con chiarezza l'intenzione sperimentale, soprattutto del primo anno, insieme ad una larga flessibilità di attuazione, indicando con fermezza e precisione che la commissione dovrà tener conto di questa sperimentabilità, di questa flessibilità e di questa gradualità. Anzi, la commissione dovrà lavorare partendo prevalentemente da ciò; è quindi scontato che le materie oggetto della seconda prova scritta devono essere individuate e comunicate dal Ministero prima della programmazione annuale del lavoro scolastico. Così la prova orale, multidisciplinare o meno, deve essere coerente con il lavoro svolto in classe, e non viceversa. Anche se a sua volta la modalità prevista del colloquio deve essere occasione perché si lavori così a scuola, si cambi il modo di lavorare a scuola.
Infine richiamo ancora l'opportunità, anzi la necessità, di giungere rapidamente all'approvazione di questo provvedimento, anche per dare alla scuola, che ne ha bisogno, ed all'opinione pubblica, fiducia che anche in campo scolastico, sempre così contrastato, sottovalutato o sottovalorizzato e più volte impenetrabile al cambiamento, è possibile giungere rapidamente a soluzioni efficaci e, secondo noi, largamente condivise, almeno nelle aspettative. Si potrà poi passare a correggere gradualmente quanto non funziona bene. Riteniamo infatti che partendo da queste riforme (autonomia, esame di maturità) il Ministero debba decidersi finalmente - come a mio avviso non è stato fatto mai o quasi - a monitorare l'andamento e l'esito di questo nuovo esame e ad apportarvi i correttivi del caso, rispondenti alle istanze che nascono dai fatti riscontrati.
Mi pare di poter concludere (anche se vi sarebbero molte altre osservazioni da fare) che una saggia gradualità e flessibilità nell'applicazione, il monitoraggio effettivo e gli interventi correttivi siano le
condizioni che permettono a tutti noi, in particolare al nostro gruppo, di votare con consapevolezza e con fermezza a favore di questo provvedimento.
La riforma degli esami di maturità giunge in aula, ma a questo punto è giusto chiederci se una riforma del genere, destinata a cambiare il corso scolastico e la vita di molti nostri giovani, possa arrivare al dibattimento in aula senza che fra le parti della maggioranza e dell'opposizione vi sia stato un reale colloquio (uso questo termine per far capire che gli esami di maturità sono anche colloquio) e confronto in Commissione. È avvenuto, anzi, un solo ed unico monologo portato avanti dalla maggioranza senza neppure l'esame e la votazione degli emendamenti proposti ed il conseguente mandato al relatore. Un procedimento quanto meno anomalo e monco su un argomento così importante e determinante per la vita degli italiani stessi.
Quindi, delle due l'una: o questo provvedimento, secondo la maggioranza è talmente perfetto da non poter essere migliorabile o si è già deciso che tale provvedimento sarà approvato con l'ennesimo e forse umiliante voto di fiducia. Se questa dovesse essere la vostra intenzione, signori del Governo e della maggioranza, il fatto in sé non sarebbe tecnicamente grave ma certamente lo sarebbe in termini politici perché andrebbe a colpire e ad incidere in un settore, come quello della scuola, basato più di altri sulla dialettica, sul confronto, sul dialogo quale massima espressione del pensiero, blindando tutto in una sorta di sterile monologo centralista; liquidando tutto in un'asettica votazione su di una materia così importante e delicata, che riguarda non una maggioranza o un'opposizione, non un partito oppure un altro, ma riguarda l'intera nostra società, le nostre generazioni future, i nostri figli e le famiglie, che rappresentano l'asse portante, la cellula che sta alla base della nostra comunità.
Mi appello quindi anche al signor Presidente di questa Camera, che posso testimoniare da sempre garante delle istituzioni, affinché non permetta che si consumi uno scempio del genere, che veda la scuola vittima della lottizzazione di un partito invece che di un altro; sarebbe il caso veramente di gridare nelle piazze «giù le mani dalla scuola!» o meglio «no alla pianificazione del libero pensiero!»: che la scuola - lo dico in quest'aula - trionfi sulle ideologie con l'arma della cultura e non che l'ideologia trionfi sulla scuola, acculturandola partiticamente, signor ministro!
Auspichiamo infatti che avvenga in questa maggioranza un ripensamento, che quest'aula e i suoi illustri componenti non si arroghino il potere di votare un provvedimento così importante e determinante per l'intera nazione senza che esso sia stato effettivamente discusso in Commissione e che tale provvedimento trovi finalmente in quest'aula un alto momento di confronto che tenda a migliorarlo, perché sulla scuola non ci può e non ci deve essere scontro, muro contro muro o altro. La logica della coscienza impone un aperto, sereno e proficuo dibattito, affinché si possa varare alla fine una riforma che sia veramente la riforma degli esami di maturità voluta dal Parlamento e
non una riforma «blindata» voluta dal ministro Berlinguer e per giunta votata eventualmente con il solito ignobile colpo di fiducia.
Ma mi chiedo: l'ha voluta davvero il ministro una riforma così difforme e non paritaria? Ci si è impegnati nelle piazze, durante la campagna elettorale, a promettere tale riforma e adesso che siamo in dirittura di arrivo non dobbiamo né - sono sicuro - vogliamo correre dei rischi, che sicuramente correremmo, solo con la scusa che c'è un'esiguità cronologica che ci impone di votare ma non di esser convinti di ciò che si è votato. Ad una riforma sperimentale precedente che non soddisfaceva oramai più nessuno se ne sostituirebbe un'altra che farebbe gridare coram populi che meglio sarebbe stato aspettare un altro anno e presentarne una veramente adatta alla nostra società e che fosse di effettivo aiuto nel processo formativo delle future generazioni.
Allora, da cosa siete spaventati colleghi della maggioranza e lei, signor ministro? Avete i numeri, avete - purtroppo: lo dico dal mio punto di vista politico - anche il tempo e quindi si recuperi un dialogo che non veda questa riforma degli esami di maturità come un trofeo conquistato in extremis sull'altare del nonsense e della fretta che, come il proverbio insegna, non ha mai fatto niente di buono. Auspichiamo che ci sia da parte di tutte le forze politiche un impegno a varare la stessa con alcune modifiche entro l'anno prossimo e che l'anno scolastico 1998-1999 veda l'entrata in vigore di una riforma di cui tutti si sentano artefici e protagonisti nel contempo.
Quindi, se questa maggioranza mostrerà maggiore apertura al dibattito e al dialogo, anche da questa parte ci sarà il massimo dell'apertura e il prossimo dialogo sulla riforma sarà veramente costruttivo ed esaustivo. Un altro proverbio insegna che non sempre correre fa arrivare prima. Inoltre - e non mi pare di dire delle astrusità - questa riforma diventa, così come proposta, ulteriormente intempestiva. È quindi auspicabile che essa sia posta comunque inizialmente sotto forma sperimentale, ma con regole e picchetti di tempi brevi di attuazione e di indirizzi certi e pluralisti, almeno fino al momento dell'entrata in vigore del riordino dei cicli scolastici. Perché è sui cicli che avverrà la vera riforma ed è da lì che si dovrà partire per riformare eventualmente l'intero mondo della scuola pubblica e non dalla riforma degli esami di maturità, che altro non è che l'atto conclusivo di un iter iniziato appunto con il riordino di tali cicli. In quest'aula invece si corre oggi un rischio, perché se si dovesse approvare questa riforma così come formulata, con miriadi di lacune e impari trattamento fra scuola statale e non statale (parificata, pareggiata e legalmente riconosciuta), tutto ciò perché avverrebbe? Solo perché c'è la folle corsa di un iter che si vuole concludere, con esiti disastrosi per l'intero mondo della scuola, entro il 31 luglio? Allora, signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, al caos della riforma dei cicli si aggiungerebbe quello inevitabile non della riforma degli esami di maturità, ma del tracollo dell'intero sistema educativo nazionale. Allora sì che ne vedremmo delle belle; gli scioperi e le manifestazioni che gli alunni annualmente ci propinano a giusta ragione e per i loro sacrosanti diritti da novembre a dicembre avrebbero quest'anno un'impennata negativa e forse inizierebbero già a settembre.
Penso che in quest'aula nessuno - soprattutto lei, signor ministro - lo voglia. Quindi, a chi conviene tutto questo? E se conviene ad una certa parte politica non converrà certamente al paese. Siamo qui per veder trionfare esclusivamente le nostre ideologie a scapito dei diritti della gente o finalmente - almeno sul mondo della scuola - per veder trionfare i diritti della gente anche a discapito delle nostre ideologie?
Che il buon senso prenda il sopravvento e la ripresa dei lavori camerali a settembre ci trovi seduti allo stesso tavolo di lavoro, tutti concordi nel dare al mondo della scuola veramente una buona riforma degna di questo nome, una riforma che sia il trionfo della scuola e
della gente che in essa opera e non l'esaltazione a volte illogica di una branca statalistica e centralistica. Soprattutto, che non ci sia l'eutanasia precoce dell'altra branca libera e non statale.
Che la scuola viva, signor ministro, e che si consenta ad entrambe le branche di vivere e non di morire. Sono poi d'accordo con quanto detto dall'onorevole Riva: ma non possono essere ordini del giorno presentati in Assemblea a far votare a favore di un provvedimento che comunque, al momento, è lacunoso. Concludo: che il buon senso prevalga e che a settembre maggioranza ed opposizione siano veramente unite per una riforma degna di questo nome.
È importante cominciare questa discussione che credo riguardi uno dei punti di organizzazione principale della nostra formazione e che tende, attraverso l'ispirazione di questo provvedimento, a combinare gli obiettivi di due grandi periodi storici.
La scuola italiana - soprattutto in una lunga fase nella quale si è posta l'obiettivo di selezionare con rigore coloro che accedevano agli studi universitari - è stata improntata ad una volontà di apprezzare e valutare con molto rigore e chiedendo molta fatica gli studi dei nostri ragazzi. È una fase che è durata circa cinquant'anni e che è stata seguita da un trentennio nel quale il criterio del rigore e della selettività, in una scuola profondamente cambiata, è stato sostituito da quello della valutazione delle capacità critiche degli studenti.
Abbiamo avuto per cinquant'anni rigore senza valutazione critica e per trent'anni valutazione critica senza rigore. Credo che la riforma che stiamo introducendo oggi riesca a comporre due obiettivi che sono ugualmente importanti nel processo formativo delle nuove generazioni: quello di chiedere loro serietà di studi e quello di incentivare in loro lo sviluppo delle capacità critiche.
Credo che questa ispirazione distingui il provvedimento che iniziamo oggi a discutere e lo indirizzi in modo positivo anche attraverso la previsione delle prove che vengono richieste. Prove che vertono su tutte le materie, prove che hanno una loro articolazione coerente (e mi pare anche moderna), un'articolazione che è riuscita a sfuggire, nell'ultima definizione, alle trappole del nozionismo con risposte multiple, e che è riuscita invece a disegnare una molteplicità di punti di approccio al problema di valutare la preparazione dei giovani che si presentano agli esami.
A proposito di queste prove vorrei rivolgere una richiesta al Governo, facendo presente che sul punto ho presentato uno specifico emendamento il cui contenuto potrà eventualmente essere trasfuso in un ordine del giorno. La mia richiesta è che nella prova scritta non smetta di figurare il tema, il componimento perché questo è il modo principe attraverso cui è possibile valutare la capacità di scrittura di una persona. Che questo tema possa avere il taglio del componimento classico, il taglio dell'articolo di giornale o il taglio del commento non è molto importante, è invece importante che la scrittura sia valutata così come classicamente è intesa, e per tutte le capacità di analisi e di collegamento logico che la scrittura intesa in quel modo richiede.
Vorrei evitare che la valutazione della capacità di scrivere o della conoscenza della lingua avvenisse «sposando» degli sperimentalismi che credo sarebbero dannosi
e che anzi hanno già prodotto dei danni nella recente pedagogia all'interno della scuola.
In ordine alla terza prova scritta, quella che prevede una pluralità di approcci alla valutazione della preparazione dello studente, mi pare - ed anche su questo formulo una richiesta formale al Governo - che essa meriti la massima attenzione per le implicazioni connesse. Questa è una prova che deve collegarsi con le specificità dei progetti formativi delle scuole, ma non può richiedere differenti livelli di impegno, differenti livelli di approfondimento a seconda delle scuole in cui viene elaborata. In altre parole, non possono essere forniti soltanto dei parametri sui contenuti e non anche dei parametri sul livello di difficoltà che deve essere garantito in maniera omogenea sul territorio nazionale. In effetti, sarebbe un principio di iniquità quello di assicurare a ciascuna scuola la capacità di elaborare prove che richiedono agli studenti un differente livello di impegno: un pericolo ben interno alla struttura e al funzionamento della nostra scuola.
Nell'ambito dell'indirizzo generale che condivido, se riusciremo a combinare i due obiettivi storici di questo secolo (il rigore selettivo degli studi e la valutazione delle capacità critiche) in una nuova fase che si determinerà alla fine di questo secolo e all'inizio del prossimo, credo allora che apriremo una nuova fase nel rapporto fra scuola e mercato del lavoro, tra scuola e università, una nuova fase anche nel rapporto tra le istituzioni scolastiche e il ragazzo che diventa cittadino.
In questo senso, se questi obiettivi verranno combinati tra loro, se le prove di valutazione rifuggiranno dallo sperimentalismo improvvisato e cercheranno di combinare modernità e tradizione classica, allora credo che tre requisiti saranno assicurati dalle nuove prove.
Sparirà l'aleatorietà; infatti la composizione stessa della commissione garantisce dalla aleatorietà delle prove. Anche se sono stati sollevati alcuni problemi in ordine alla possibile funzionalità di queste commissioni, credo che la combinazione di membri interni e di membri esterni garantisca serietà senza aleatorietà. Reputo inoltre che la presenza di membri esterni, in un contesto in cui la valutazione viene effettuata su tutte le materie, consenta di eliminare, oltre all'aleatorietà, anche le indebite certezze, quelle che gli studenti maturavano dal momento che sapevano con largo anticipo su quali materie sarebbero stati interrogati e valutati.
Il contesto generale del provvedimento cerca di garantire la serietà non soltanto nel momento dello studio, ma anche in quello dell'organizzazione scolastica, con l'obiettivo di ridurre il più possibile la presenza di «diplomifici», che sono cosa diversa dagli istituti di formazione non statali. Se tutto questo avverrà, anche l'avventurosa illusione con cui gli studenti vengono mandati allo sbaraglio - anche se a volte non vengono mandati allo sbaraglio, perché vi è la consapevolezza di passare gli esami in virtù di indebiti rapporti che si formano tra «diplomifici» e commissioni - verrà meno.
Quindi, non ci sarà più aleatorietà, non vi saranno più indebite certezze né avventurose illusioni. Quella dei «diplomifici» è una questione seria, che non credo debba essere affrontata come un primo punto - e non mi pare che il provvedimento la affronti in tali termini - di una strategia punitiva verso le scuole non statali, bensì come un passaggio per garantire serietà e rigore in un'area della vita sociale ed istituzionale che più di altri non può tollerare la mancanza di rigore.
Concludo con due osservazioni. La prima riguarda l'interpretazione della Costituzione, signor ministro. È bene che una legge ordinaria non dica nulla sull'interpretazione corretta della Costituzione. È vero che si può pensare che il riferimento al quarto comma dell'articolo 33, contenuto nell'articolo 7 del provvedimento in esame, sia innocente nel senso che prevede l'attuazione dei principi della Costituzione, ma siccome sappiamo quali siano le disposizioni legislative cui si pensa e dal momento che non è possibile prendere in considerazione il comma
quarto dell'articolo 33 se non leggendolo in modo integrato con gli altri commi di quello stesso articolo, sappiamo anche che le disposizioni legislative, che tra l'altro condivido, che sono state e che saranno varate in materia di parità scolastica non sono, per giudizio unanime, assolutamente coerenti con la lettera della Costituzione. Quindi, anche se condivisibili, esse devono essere previste come parte di una nuova normativa sulla parità scolastica che può essere giustificata da un intervento esplicito sulla Costituzione. È un fatto importante che non può essere oggetto di una previsione interpretativa contenuta nella legge in esame.
La seconda osservazione riguarda il metodo. Ho sollevato con forza il problema della blindatura del provvedimento e dell'importanza che un provvedimento atteso dalla società italiana per trent'anni recasse anche l'impronta della Camera dei deputati. Sarebbe, infatti, un'offesa per una nuova legge sugli esami di Stato se questo non avvenisse. Devo dire al riguardo che ho apprezzato l'atteggiamento del ministro volto a cercare di esperire una strada che consenta alla Camera dei deputati di mettere la sua impronta sul provvedimento. È un atteggiamento che ho apprezzato, perché la sostanza è importante ma il metodo lo è altrettanto, soprattutto quando parliamo di funzioni costituzionali.
In questo ramo del Parlamento è ancora forte e molto resistente la cultura per cui gli accordi di partito contano di più delle funzioni costituzionali. Di questa cultura ci sono tracce già nel dibattito svolto nell'ambito della Costituente e non per nulla vi furono opposizioni anche alla previsione di istituire un organismo chiamato Corte costituzionale. Ebbene, noi facciamo ancora i conti con questa pesante eredità.
Il fatto che lei abbia scelto, anche in situazione di grande difficoltà (ce ne siamo tutti resi conto), di esperire la strada affinché la funzione della Camera dei deputati venga salvaguardata in questo procedimento legislativo è un segno importante, sia in relazione al provvedimento in discussione sia per quanto riguarda il capovolgimento dell'idea che l'accordo tra i partiti è più importante del rispetto delle funzioni costituzionalmente protette. È bene che tali funzioni vengano esplicate nei ragionevoli tempi consentiti dalla necessità di licenziare questo provvedimento. Il fatto che il metodo seguito sia condivisibile, oltre alla sostanza del provvedimento, è per me - lo ripeto - un elemento di incoraggiamento tale per cui mi auguro che la prossima settimana questa apertura possa trovare conferma e dare a tutti la soddisfazione di aver partecipato ad un dibattito effettivo su una riforma così attesa.
Diciamo subito che forza Italia esprime un giudizio decisamente negativo sul disegno di legge n.3925 recante disposizioni per la riforma degli esami di Stato, disegno di legge ambiguo nelle scelte già all'atto della presentazione da parte del Governo al Senato, che è stato ulteriormente peggiorato durante la fase di approvazione presso quel ramo del Parlamento. In particolare l'articolato presentato dal ministro Berlinguer antecedentemente alle proposte di riforma istituzionali (autonomia scolastica ordinamentale, riordino dei cicli e l'annunciata legge di parità) assume oggi un carattere decisamente conservatore, se non addirittura
in contrasto con il nuovo quadro giuridico istituzionale. Inoltre non risolve i problemi emersi nei decenni di sperimentazione, relativi sia alla formazione delle commissioni sia alla predisposizione delle prove d'esame sia all'aspetto più propriamente selettivo degli alunni (altissime percentuali di promossi).
Non sarà sfuggito neanche a lei, signor ministro, quello che le cronache dei giornali hanno riportato, ma mi auguro che sul suo tavolo saranno giunte numerose relazioni su questo fenomeno. Anche quest'anno abbiamo assistito alla scena penosa delle commissioni che facevano fatica ad essere formate, delle polemiche sulle prove d'esame dettate dal Ministero. Sono già note le proiezioni sul numero dei promossi: secondo quanto pubblicato dalla stampa, la percentuale di promossi arriva al 98,53 per cento.
Come dicevo, respingiamo la sua proposta, signor ministro, sia nell'impianto, che non si discosta da quello antecedente al lungo periodo di sperimentazione (quasi trent'anni) se non per qualche irrilevante innovazione, come il credito formativo, che noi peraltro condividiamo e a cui si fa ricorso da qualche tempo. Siamo altresì contrari alla formulazione stessa del progetto perché la dovizia di particolari lo fa somigliare più ad una ordinanza che ad una legge quadro. Singolare è poi l'utilizzo del regolamento: si norma tutto e si rinviano al regolamento le norme transitorie, con il pericolo che le riforme non vengano applicate per anni.
Nel merito non condividiamo il compromesso «basso» che è stato raggiunto al Senato sulla composizione delle commissioni (quattro membri interni e quattro membri ed il presidente esterni) che aumenterà, anziché risolvere, i problemi organizzativi della formazione delle commissioni. I dirigenti del provveditorato di Milano (parlo di tale città perché è quella da cui provengo) sono in crisi già ora, pensando a quando questa legge verrà attuata e alle difficoltà che dovranno incontrare per garantire l'effettiva formazione di tali commissioni.
Mi chiedo: sono stati fatti studi di fattibilità rispetto a quello che il disegno di legge in esame prevede? Vorrei saperlo! Mi riferisco in particolare al mantenimento di prove in parte dettate dal centro e in parte stabilite dagli istituti, alle discriminazioni effettuate nei confronti delle scuole non statali sia rispetto agli esami di maturità sia a quelli di idoneità. Come è evidente, le scelte su richiamate, unitamente agli aspetti negativi denunciati, contraddicono i processi innovatori, o pseudotali - dobbiamo dire a questo punto -, che il ministro Berlinguer dichiara di voler perseguire. In realtà, risulta ragionevolmente difficile concepire una riforma dell'esame di maturità e dell'esame di Stato in presenza dell'imminente riforma complessiva del ciclo secondario e, contemporaneamente, dell'istituzione di un sistema nazionale di valutazione, a meno di creare un esame da rivedere dopo due anni, o che risulti poi un corpo estraneo del sistema formativo riformato. A nostro avviso infatti l'impostazione della riforma dell'esame di maturità, e quindi dell'esame di Stato, è subordinata a decisioni nodali che non ci sembra siano state sufficientemente considerate né dal Governo né dal Senato.
Innanzitutto, se il ciclo secondario debba essere canalizzato o meno rispetto ai percorsi universitari di formazione professionale post-diploma (insomma, se si scelga il modello tedesco o quello anglosassone); se il ciclo secondario diventi unificato o diversificato nel percorso formativo; più radicalmente, se sia utile ancora mantenere il valore legale del titolo di studio. Noi siamo convinti della necessità di una scelta della secondaria come canale alla scelta universitaria post-diploma, della necessità di un sistema
secondario diversificato nelle scelte iniziali, della utilità di abolire il valore legale del titolo di studio. Siamo convinti in modo particolare dell'utilità di un sistema nazionale di valutazione e certificazione autonomo dagli apparati ministeriali. Perciò l'esame finale della scuola secondaria dovrà assumere - o dovrebbe assumere, a questo punto: come abbiamo cercato di sostenere nelle proposte di legge che abbiamo presentato - da una parte, una funzione di valutazione finale del percorso formativo da affidarsi ad uno scrutinio interno alla scuola stessa, con un presidente esterno solo ai fini della vigilanza della correttezza degli atti e, dall'altra parte, la funzione di certificazione del livello di conoscenze e di requisiti necessari per l'accesso universitario, agli uffici pubblici o al mondo delle professioni; magari, solo su domanda dell'interessato, da affidarsi ad un sistema nazionale di valutazione e certificazione, come organismo autonomo dall'apparato ministeriale e misto tra scuola, università ed enti pubblici e privati, che operi sia sulla qualità delle scuole che sui livelli finali di preparazione, la cui classificazione venga ritenuta valida per gli accessi che la esigono.
Forza Italia ha per queste ragioni presentato una controproposta che comprende due proposte di legge, nn.3927 e 3936. Con la prima, si è inteso presentare una riforma degli esami di Stato paradossalmente, ministro, maggiormente coerente con gli scenari che si vanno delineando nel sistema scolastico italiano. Intendiamo dire che la nostra proposta di riforma degli esami di Stato è innanzitutto coerente con il disegno dell'autonomia delle scuole, contenuta nella legge n.59 e non solo all'articolo 21, ma anche e soprattutto con l'impostazione della legge n.127 del 1997 che prevede la semplificazione della procedure, la responsabilità professionale, l'ampia autonomia organizzativa e didattica. Conseguentemente a questa scelta, abbiamo indicato una composizione delle commissioni di membri tutti interni ad esclusione del presidente e stabilito che le prove siano decise a livello di istituto sulla base delle modalità indicate dal Ministero e dagli standard definiti dal servizio nazionale di valutazione. Non solo, ma vi è il rinvio allo strumento del regolamento anche per le modalità di assegnazione del voto finale.
La nostra legge ripristina inoltre, coerentemente con la volontà - peraltro manifestata anche dal Governo - di dare vita ad un sistema pubblico integrato, le prerogative già attualmente in vigore delle scuole non statali «pareggiate» e legalmente riconosciute in materia di idoneità, soprattutto in relazione a quanto disposto dalla legge n.42 del 1986, che prevede il riconoscimento di scuole e non di classi. Non si può tornare indietro! Soprattutto la nostra proposta prefigura un modello alquanto dinamico, capace di adattarsi nel tempo alle molteplici riforme che interesseranno le scuole e quindi la loro evoluzione organizzativa e didattica. Dunque la proposta di forza Italia delegifica al massimo la materia relativa agli esami. A questo proposito vorrei ricordare all'Assemblea che la legge francese prevede un solo articolo per gli esami di Stato conclusivi, come anche la legge spagnola; pertanto siamo anomali rispetto al modo di legiferare. E ancora: la nostra proposta semplifica le procedure, contrariamente alla proposta governativa, ma soprattutto si basa sulla fiducia verso le scuole.
Si è voluto, in altri termini, confermare la necessità di responsabilizzare i docenti e i dirigenti al fine di spostare l'attenzione dalla certificazione formale del compimento degli studi secondari alle competenze realmente acquisite dagli studenti, in linea peraltro con le indicazioni emerse dal seminario europeo del 1993, tenutosi in Finlandia proprio su questo tema (immagino che il ministro conosca gli esiti di quel seminario). In quella sede è stato detto che in molti paesi l'esame finale della scuola secondaria ha perso ormai la sua funzione di biglietto d'ingresso per l'istruzione superiore, dal momento che un numero crescente di università ora stabilisce autonomamente i requisiti di ammissione, quando non introduce veri e propri esami di ammissione. Nel corso del
seminario, insomma, è stato osservato che l'esame finale della scuola secondaria non ha più quel ruolo che aveva per esempio quarant'anni fa. Sono queste le questioni che avremmo dovuto davvero discutere, svolgendo un dibattito di alto profilo, non limitandoci a litigare sul numero di componenti delle commissioni, esercitandoci quindi soltanto in un gioco matematico di basso livello. Abbiamo fatto nostre le preoccupazioni e le considerazioni emerse dal seminario e, nel rispetto della più autentica tradizione liberale, abbiamo anche rilanciato l'abolizione del valore legale del titolo di studio.
Nella proposta di legge n.3936 sono state infatti previste prove di selezione per l'accesso all'istruzione superiore e all'esercizio delle professioni. Svalutando legalmente i titoli di studio lo Stato abdica alle sue responsabilità nel campo scolastico ed educativo? Possiamo rispondere con tranquillità a questa domanda, facendo nostro quanto affermato da Benedetto Croce alla Camera, in qualità di ministro, nella sessione del 1919-1920, da Luigi Einaudi all'Assemblea costituente il 29 aprile del 1947 e da Luigi Sturzo nel 1950. Croce sosteneva: «La vera scuola ha la sua anima in se stessa, prima che le si imponga un nome e gli si dia una legge; compito dello Stato liberale non è quello di insufflare alla sua scuola un'anima artificiale, ma di favorire la scuola in quanto è funzione civile di cultura. Noi dobbiamo creare le condizioni più propizie a che la scuola traduca sempre meglio in atto le sue promesse. Avversare ogni programma che non rechi il sigillo dello Stato equivarrebbe a pretendere l'impossibile, perché le coscienze non si costringono senza ucciderle».
Luigi Einaudi all'Assemblea costituente affermava: «Mi si consenta di fare appello alla mia quasi cinquantennale esperienza di insegnante. Ciò che turba massimamente l'università è il fatto che gli insegnamenti, invece di essere indirizzati alla pura e semplice esposizione della verità scientifica, sono indirizzati al conseguimento di diplomi di nessun valore, né morale, né legale. Poiché questo articolo» - si riferiva evidentemente all'articolo 33 - «consacra ancora una volta il valore legale a tutti questi pezzi di carta, voterò contro». E ancora: «Se la lingua italiana vuol dire qualcosa, questo vuol dire che lo Stato, o qualche organo pubblico, stabilirà quali siano i programmi, quali siano gli insegnamenti che devono essere impartiti; programmi ed insegnamenti a cui tutti gli ordini di scuole pubbliche e private si devono uniformare». Insomma, Luigi Einaudi vedeva nell'articolo 33 la nascita del monopolio e della pretesa dello Stato educatore ed etico di diventare l'educatore dei cittadini e la sorgente dei valori.
Luigi Sturzo, infine, nel 1950 affermava: «Ogni scuola, quale che sia l'ente che la mantenga, deve poter dare i suoi diplomi non in nome della Repubblica, ma in nome della propria autorità, sia la scuoletta elementare di Pachino, di Tradate, sia l'università di Padova o di Bologna, e il titolo vale la scuola. Se tale scuola ha una fama riconosciuta, una tradizione rispettabile, una personalità nota nella provincia o nella nazione, o anche nell'ambito internazionale, il suo diploma sarà ricercato. Se invece è una delle tante, il suo diploma sarà uno dei tanti. Questa svalutazione o rivalutazione dei certificati scolastici è vero che toglie allo Stato il monopolio della scuola, ma mette tutte le scuole nelle condizioni di automigliorarsi per acquistare stima e considerazione nell'ambiente dove operano e nel paese intero».
Siamo convinti, dunque, che solo attraverso scelte coraggiose come quella dell'abolizione del valore legale del titolo di studio e di ciò che ne consegue a livello organizzativo e didattico di ciascun istituto, si sostanzi realmente l'autonomia e si creino le premesse per un nuovo sistema scolastico sempre più pubblico e meno statale.
Solo operando in tal modo potrà avere tra l'altro un senso la legge di parità, che si inserirà in un quadro di politiche istituzionali e costituzionali teso a superare lo statalismo e la pianificazione
dell'istruzione, che hanno caratterizzato negativamente le scuole pubbliche negli ultimi cinquant'anni.
Per tutte queste ragioni, se l'impianto rimarrà quello che conosciamo e soprattutto se resterà l'attuale formulazione, noi voteremo con convinzione e con determinazione contro questa legge.
Da tanti, troppi anni nel nostro paese si parla delle riforme scolastiche senza alcun concreto risultato; fra queste riforme, vi è quella riguardante gli esami conclusivi della scuola secondaria superiore.
I troppi anni di discussione senza giungere a risultati concreti incidono senz'altro sui toni del dibattito, non certamente sereno, che si è sviluppato intorno a questo provvedimento. È difficile - lo riconosco - suscitare, soprattutto nel mondo della scuola, una fiducia ragionevole circa la possibilità di arrivare, in tempi brevi, a soluzioni efficaci e che raccolgano un'ampia condivisione. Così com'è vero che si registra sfiducia sulla possibilità di porre mano ad una seria e profonda riforma della scuola, altrettanta consapevolezza si registra, non solo tra gli addetti ai lavori ma anche nell'opinione pubblica, sulla non rinviabilità di un'approvazione rapida di provvedimenti legislativi capaci di sanare i forti ritardi accumulati dall'Italia nei confronti degli altri paesi nel settore della formazione. Sono ritardi che non rappresentano certo una causa secondaria rispetto ai ricorrenti problemi ed alle difficoltà che il nostro paese incontra con la Comunità economica europea.
Sono pienamente consapevole del fatto che la riforma dell'esame finale non possa essere considerata un momento separato o separabile dal corso di studi che lo precede. Né coltivo l'illusione che questa riforma possa produrre quegli effetti che è giusto invece attendersi dalla riforma delle strutture, dei piani di studio, dei programmi. Però, oggi, la necessità di una revisione della normativa, che attualmente regola gli esami di maturità, viene considerata dagli studenti, dalle famiglie, dagli operatori della scuola come un'esigenza improcrastinabile.
Il disegno di legge n.1046 di conversione del decreto-legge del 15 febbraio 1969, n.9, che ha introdotto l'attuale sistema, partiva da alcune considerazioni: un esame troppo vasto ed impegnativo, con un'impostazione nozionistica poteva determinare - come si legge nella relazione di accompagnamento al decreto-legge - fenomeni di forte tensione emotiva, di ansia acuta e frustrazione negli studenti, che incidevano negativamente sui risultati delle prove. Veniva sottolineata inoltre la frattura tra la scuola di provenienza ed il corpo esaminante, che produceva spesso divario in ogni senso tra la valutazione che del giovane dava la scuola di provenienza ed i risultati dell'esame stesso.
Si tratta di considerazioni ancora oggi condivisibili, ma che non hanno prodotto i risultati sperati. Infatti, la normativa vigente, sostituendo il precedente esame fortemente selettivo, non ha consentito il superamento del divario tra percorso formativo e momento della valutazione finale, così come non ha consentito il collegamento tra la preparazione conseguita e le scelte successive (università, mondo del lavoro). Da queste ed altre
considerazioni, puntualmente richiamate dal relatore, l'esigenza di intervenire sugli aspetti più rilevanti della formula attualmente in vigore con l'obiettivo, innanzi tutto, di innalzare la qualità dell'esame e ridare ad esso serietà, superando così una formula che non trova più il consenso né di chi lo sostiene, né delle famiglie, né ancora del corpo docente.
Penso, a differenza di altri, che oggi sia possibile intervenire celermente sull'attuale assetto degli esami conclusivi dei corsi di studio di scuola secondaria superiore, in quanto è innegabile che si sia aperto un processo di innovazione del nostro sistema formativo. Lo testimoniano non solo l'approvazione della legge n.59 del 13 marzo 1997, che avvia un complesso processo di decentramento dell'amministrazione dello Stato, al cui interno, giustamente, è stata collocata la realizzazione dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, ma anche la presentazione in Parlamento della proposta di legge-quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione.
Risultano inoltre ormai prossimi ad una conclusiva definizione legislativa - come decreti legislativi o come regolamenti conseguenti alla citata legge n.59 del 1997 - sia lo stato giuridico della dirigenza scolastica, sia il rinnovamento delle strutture centrali e periferiche del Ministero della pubblica istruzione.
In questo stesso contesto avrà luogo la riforma degli organi collegiali della scuola di carattere nazionale e territoriale.
Siamo quindi di fronte ad un quadro complessivo di riordino del nostro sistema di istruzione. Il disegno di legge che stiamo discutendo per ridefinire l'assetto degli esami conclusivi del corso di studi secondari non rappresenta quindi certamente un'iniziativa estemporanea né, tanto meno, mancano precisi ancoraggi. Non si tratta - come ho sentito dire questa mattina - di una misura isolata e velleitaria. Al contrario, il testo che stiamo discutendo tiene conto in molte delle sue parti dei processi di riforma avviati, lo ha sottolineato il segretario Albertina Soliani intervenendo in sede di replica in Commissione. Questo provvedimento è coerente con l'itinerario formativo dello studente che è l'asse portante della riforma, imperniata sulla centralità dello studente, sul percorso individualizzato, sull'accertamento della preparazione a conclusione del corso di studi, sul ruolo del consiglio di classe.
Tra le innovazioni proposte penso vada sottolineata la rinuncia alla definizione di esami «di maturità» e di attestato «di maturità», assai impropria se penso all'episodio di Torino di cui è rimasto vittima un giovane marocchino. Più semplicemente si tratta di esami conclusivi dei corsi di studi tendenti a verificare l'insieme di abilità e capacità culturali dello studente. Sicuramente quella più ragguardevole concerne i modi di svolgimento delle prove di esame; in questo ambito, cambia notevolmente la prima prova scritta in lingua italiana, essendo proposto il superamento del tradizionale tema, che lascia il posto ad una prova di italiano più articolata rispetto alle esigenze di una cultura moderna e critica. È del tutto evidente che, trattandosi di un cambiamento di notevole rilievo rispetto alla tradizione e alla pratica della nostra cultura scolastica (ma, a mio avviso, ad essa non del tutto estraneo), sarà comunque necessario far precedere le innovazioni da opportune iniziative di carattere preparatorio rivolte sia ai docenti sia agli studenti.
Se la seconda prova riguardante la materia caratterizzante il corso di studi mantiene una certa continuità con quella attualmente prevista, risulta certamente assai innovativa la terza prova. Superando una notevole resistenza culturale, si introducono coraggiosamente modalità di valutazione che fanno ampio ricorso al sistema di valutazione per test e quesiti multipli. La scuola in tal modo - occorre riconoscere con notevole ritardo - da una parte entra in contatto con modalità di valutazione largamente presenti nella società e nel mondo del lavoro e dall'altra realizza uno strumento che potrà consentire un'efficace valutazione di carattere pluridisciplinare sui contenuti formativi e
su nozioni di cui difficilmente potranno occuparsi le commissioni d'esame in sede collegiale durante il colloquio.
Per quanto riguarda la composizione di tali commissioni, non nascondo che originariamente ero più orientata verso una limitazione a due unità dei membri esterni, oltre al presidente, in quanto ritenevo che tale composizione fosse più coerente con gli obiettivi che si vogliono raggiungere con il provvedimento in esame. Tali obiettivi consistono nell'evitare fratture tra il momento conclusivo dell'esame e il percorso scolastico, nella serietà e serenità della prova e nel ridurre, per quanto possibile, gli elementi di casualità nella valutazione della preparazione dello studente. Si davano inoltre maggiori garanzie per quanto riguarda l'elaborazione della prova multidisciplinare e il colloquio su tutte le discipline, che, anche in base alla mia esperienza, credo richiedano un consolidato rapporto di lavoro di carattere collegiale.
La previsione contenuta nell'articolo 1, che prefigura una riforma la cui applicazione sarà graduale e flessibile e che affida ai regolamenti la sua attuazione, mi consente di superare le perplessità rispetto a questo punto di equilibrio raggiunto. Così come penso (ma a questo riguardo vi sono interpretazioni diverse) che l'equilibrio raggiunto nella composizione delle commissioni d'esame, costituite da quattro membri esterni che affiancano il presidente (adesso esterno) e da altri quattro commissari interni (penso della classe frequentata dagli studenti) possa avere coerentemente come conseguenza l'abolizione della certificazione dell'ammissione.
Si è molto polemizzato sul fatto che l'innovazione riguardante la composizione delle commissioni d'esame potesse favorire un certo tipo di commercializzazione del titolo di studio finale per le scuole private legalmente riconosciute. Ritengo che l'equilibrio raggiunto nella proposta tra commissari interni e commissari esterni dia sufficienti garanzie rispetto all'esigenza di mantenere il valore legale al titolo di studio. Dà garanzia, in tal senso, la previsione di consentire gli esami di Stato nelle scuole private nei soli corsi di studio funzionanti almeno per un triennio. Poiché questa misura non poteva di per sé scongiurare una migrazione di studenti degli ultimi anni delle scuole pubbliche a quelle private, molto opportunamente si è previsto che nelle scuole private il candidato privatista possa presentarsi agli esami di idoneità solo per la classe immediatamente superiore a quella cui dà accesso il titolo di studio posseduto.
In questo contesto si prevede che il numero delle idoneità possibili sia rapportato alla capienza delle classi funzionanti.
Un'ulteriore novità già in atto rispetto al sistema attuale è rappresentata dalla più organica valutazione del curriculum di studio precedente l'ultimo anno di corso. Il credito scolastico riguarderà gli ultimi tre anni del corso di studi e si tradurrà in punteggio utile ai fini della valutazione finale, così come le esperienze professionali documentabili potranno essere valutate quali crediti formativi.
Il disegno di legge prevede, poi, una serie di innovazioni, come il sistema di individuazione delle commissioni e la valutazione dell'ammissione degli esterni, che sarà compito delle successive norme regolamentari sistemare in maniera organica.
Penso che il provvedimento in esame tenda a raggiungere i risultati migliori possibili e lo reputo all'altezza delle aspettative del mondo della scuola: per questo ne auspico l'approvazione. È infatti necessario mandare un segnale di certezza agli studenti, agli operatori didattici ed alle famiglie.
Ho detto in apertura del mio intervento che solo il parlare della necessità di una riforma seria e profonda della scuola senza giungere a risultati concreti incide notevolmente sulla serenità del confronto politico. È innegabile che fossero necessari tempi più distesi anche per questo ramo del Parlamento, perché tutti, maggioranza ed opposizione, avessimo il tempo di apportare le modifiche necessarie per
conseguire il miglior risultato possibile, soddisfacente per tutti. Tuttavia, come il ministro ha avuto modo di dirci in Commissione e noi stessi abbiamo potuto constatare, ci troviamo ad operare in condizioni oggettive che non ci consentono i tempi distesi che tutti noi avremmo desiderato.
Non posso nascondere la preoccupazione che un ulteriore passaggio possa pregiudicare l'approvazione definitiva del testo. Conosco bene le osservazioni che vengono mosse sul metodo: non si vuole rinunciare al ruolo istituzionale. Penso tuttavia che ciò non venga chiesto a nessuno e penso anche che questa scelta non debba essere vissuta come una lesione della dignità del parlamentare. Dal punto di vista del merito, emerge la volontà di contribuire a migliorare il testo. Mi chiedo se la strada non possa essere quella di incidere fortemente sui regolamenti, visto che si parla di una riforma che si attuerà gradualmente e con flessibilità, e con ordini del giorno fortemente impegnativi per il Governo.
So che l'appello all'amore verso la scuola potrebbe apparire politicamente ingenuo, verso un amore che, lo confesso, in questo anno di attività ho avuto modo di registrare nei rappresentanti di tutte le forze politiche che in più occasioni hanno anteposto gli interessi di quel mondo alle proprie posizioni e non si sono mai chiusi in una difesa rigida e sterile delle stesse.
Vorrei che alla fine di questa settimana, senza rinunciare ad una battaglia limpida a difesa delle proprie posizioni politiche, si potesse dire che il Parlamento ha scritto una pagina nuova e positiva per i ragazzi e le ragazze che nel 1998 dovranno sostenere gli esami conclusivi del proprio corso di studi, innanzitutto dando loro la certezza sin dall'apertura dell'anno scolastico circa la formula di esame con cui dovranno confrontarsi. Allo stesso modo auspico che si dia un segnale agli operatori della scuola, per prepararsi ad un appuntamento che ritengo senz'altro un salto di qualità sull'offerta formativa della scuola italiana nel nostro paese.
Per questi motivi, preannuncio il mio voto favorevole e quello del gruppo della sinistra democratica (Applausi).
Si tratta di un argomento che con tanta puntualità annualmente, proprio in prossimità o durante lo svolgimento delle prove di esame, riempie le pagine dei giornali con titoli a caratteri cubitali, che mettono in discussione l'intera metodologia degli esami. Non so quanto risalto darà la stampa al dibattito che oggi stiamo svolgendo.
È un argomento che con la stessa puntualità interessa ogni anno migliaia di famiglie e che oggi, tutto sommato, viene disatteso dai legislatori, che come tali avrebbero il preciso dovere di contribuire ad emanare in merito una legge il più possibile perfetta.
Argomento di notevole importanza - dicevo - quello che oggi discutiamo e che, proprio perché tale, avrebbe dovuto essere maggiormente dibattuto anche in questo ramo del Parlamento. Non posso infatti non ribadire ciò che ho già affermato in sede di Commissione, vale a dire che i deputati sono stati posti di fronte a questa riforma senza avere l'opportunità temporale di entrare nel merito per apportarvi i dovuti correttivi, la cui necessità - a dire il vero - è stata espressa da più parti.
Il provvedimento oggi in discussione è stato presentato al Senato nel dicembre 1996 e solo dopo ben sette mesi è giunto all'esame della Camera dei deputati; ripeto, dopo ben sette mesi, peraltro a chiusura avvenuta dell'anno scolastico 1996-1997 e in prossimità della sospensione dei lavori parlamentari per la pausa estiva. Trattandosi di un'importante ri
forma scolastica, non possiamo che denunciare come l'iter accelerato sulla trattazione del tema in questione imposto a questo ramo del Parlamento comporti una penalizzazione dello stesso.
Ho il dovere di ricordare qui al ministro che il gruppo di alleanza nazionale ha tenuto fin dall'inizio dei lavori nella Commissione competente su questo provvedimento un corretto comportamento politico e regolamentare, tale da facilitare l'approvazione della legge di riforma. Valutata la ristrettezza dei tempi disponibili, abbiamo infatti soprasseduto alla richiesta di istituzione di un Comitato ristretto che potesse valutare l'abbinamento delle altre proposte di legge giacenti, tra cui quella di alleanza nazionale. Ma ciò non può comportare che oggi si debba varare ad ogni costo un testo blindato e che non ci venga consentito, attraverso l'approvazione di adeguati e significativi emendamenti, di apportare modifiche che a ci appaiono fondamentali.
Noi di alleanza nazionale non vogliamo assumere comportamenti ostruzionistici perché abbiamo da sempre convenuto sulla necessità di riforma del vecchio sistema degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore, sia per il maturare della consapevolezza che la disciplina transitoria con funzione di sperimentazione che è venuta perdendo di validità, sia alla luce dei risultati concreti che si sono riscontrati nella pratica esperienza e che, come noi bene immaginavamo, non hanno certamente corrisposto alle originarie intenzioni, che erano quelle di acquisire la valutazione della complessiva personalità dei candidati e delle loro potenziali attitudini.
La legge sperimentale del 1969 (che ha quindi quasi trent'anni, ed oserei dire che li dimostra tutti) non è infatti mai riuscita a fornire alcuna garanzia sul fatto che il «maturato» abbia trasformato in cultura personale le nozioni apprese; è invece riuscita a scoraggiare ed a preoccupare solo i giovani che hanno sempre studiato con regolarità ed impegno.
Alleanza nazionale non ha quindi alcuna volontà di ripercorrere quelle strade né intende imboccare il vicolo cieco della selettività fine a se stessa. Vuole invece costruire un esame più serio, capace di creare scale di valori più attendibili ed innanzitutto più vicine ai risultati dell'intero corso di studi. Per altro verso non si può non tenere conto dell'evoluzione delle esigenze che ha accompagnato lo sviluppo storico della nostra società. La stagione è ora profondamente mutata. La complessità - o l'ipercomplessità, come taluno dice - che connota i processi sociali e produttivi richiede il riorientamento dell'istruzione verso obiettivi formativi altrettanto complessi; obiettivi per il cui raggiungimento è necessario ridefinire la duplice valenza degli esami di Stato quale canale di accesso da una parte alla formazione postsecondaria ed universitaria e dall'altra ai sistemi esterni alla scuola, ossia ai sistemi della produzione e delle professioni.
Siamo quindi convinti che occorra procedere alla modifica dell'esame di Stato, però attraverso una riforma seria che guardi non alla facciata ma alla ristrutturazione interna. Le riforme, se vogliono realmente essere serie, non possono essere attuate in maniera affrettata. Peraltro, a nostro avviso l'innovazione si dovrà inquadrare nella più vasta strategia di rinnovamento del nostro sistema scolastico. In tal senso, onorevole ministro, non riusciamo a concepire una riforma dell'esame di Stato in presenza dell'imminente riforma complessiva del ciclo secondario per la quale lei ha addirittura, senza il coinvolgimento del Parlamento, già avviato la fase sperimentale. A meno che non si voglia creare un esame che per forza di cose dovrà essere rivisitato nei prossimi anni o non lo si voglia lasciare quale corpo estraneo di un sistema formativo revisionato. Come facciamo, infatti, a riformare l'esame di Stato se non conosciamo i futuri percorsi formativi propedeutici a quelli universitari e se il disegno di legge presentato sul riordino dei cicli non ci fa capire se l'ultimo ciclo, quello secondario, sarà unificato o diversificato
nell'iter formativo? Ribadiamo anche in questo caso la nostra critica sul metodo attraverso il quale lei, onorevole ministro, sta procedendo all'attuazione delle riforme scolastiche; metodo disarticolato che non farà altro che creare maggiore caos nella scuola italiana e, conseguentemente, un abbassamento della qualità del nostro sistema educativo.
Da lei e dal sottosegretario Soliani in Commissione è stata richiamata l'affermazione di Benedetto Croce in base alla quale dalle norme d'esame la scuola dovrebbe desumere le sue direttive. Ma questo non significa che prima si costruisce l'esame e poi l'ordinamento scolastico. Un conto sono le direttive, ben diverso è stabilire i percorsi di studi e gli obiettivi propri degli indirizzi di studio.
L'esame di maturità, sulla cui nuova definizione di esame di Stato siamo favorevoli, dovrà designare il momento conclusivo e molto serio di un percorso di studi importante. Non potrà perciò essere un qualcosa di astratto, di estraneo, che conduca ad una vita diversa da quella che si vive durante l'intero percorso didattico-educativo. Ed allora, la riforma dell'esame di Stato non dovrà consistere solo in una semplicistica modificazione della commissione, ma dovrà prevedere un esame condotto con intelligenza, con professionalità, puntando sulla verifica della reale maturità intellettuale e culturale del candidato. È pertanto per noi necessario strutturare l'esame di Stato su prove che verifichino sì il grado di preparazione raggiunto dai candidati rispetto agli obiettivi didattici e formativi propri degli indirizzi di studio seguiti, ma altresì tali da verificare la personalità complessiva di ciascuno dei candidati stessi rispetto alle ulteriori scelte da compiere.
Proprio perché esame conclusivo di un ciclo di studi, ci sembra assurdo che in nessun punto del disegno di legge trasmessoci dal Senato si faccia riferimento allo scrutinio finale di ammissione da parte del consiglio di classe. Infatti, così come puntualmente riferito nella scheda tecnica predisposta dagli uffici della Camera, il disegno di legge in questione prevede la scomparsa dello scrutinio finale di ammissione. Il comma 1, lettera a), dell'articolo 2 non vi fa alcun riferimento, così come in nessun punto viene fatto cenno alle condizioni di ammissione dei candidati interni. Noi siamo fermamente convinti che senza l'intervento finale del consiglio di classe l'alunno - vuoi anche per tante concessioni che le nuove leggi, ordinanze e circolari gli consentono nell'arco degli studi - perda il deterrente necessario ad affrontare con il massimo impegno e la dovuta serietà l'esame di Stato.
Per noi i punti essenziali che dovranno caratterizzare la serietà dell'esame saranno essenzialmente basati su tre fattori: primo, la struttura ed il numero delle prove di esame; secondo, la composizione delle commissioni esaminatrici; terzo, la valutazione delle prove. Pur essendo concordi sul numero delle prove scritte stabilite nel disegno di legge in discussione, non condividiamo la caratterizzazione delle stesse. È infatti inconcepibile che la prima prova scritta possa non consistere necessariamente nella trattazione di un tema di italiano, da sempre attendibile biglietto da visita del candidato, né che la terza prova non sia anch'essa legata, come la seconda, a materie caratterizzanti ciascun corso di studi. Un esame di Stato - e come tale serio - non può certamente avere tra le prove risposte singole o multiple a quesiti, paragonando la scuola e/o meglio l'università ad una qualsiasi azienda. Né concepiamo che questa terza prova scritta, a differenza delle prime due, che vengono predisposte e trasmesse dal Ministero della pubblica istruzione, sia formulata da ciascuna commissione di esame, seppure con modalità e con caratteristiche predefinite.
Che dire poi dell'esame orale? Il testo trasmessoci dal Senato mantiene praticamente l'attuale colloquio previsto per gli esami di maturità. Il comma 3 dell'articolo 3 recita infatti: «Il colloquio si svolge su argomenti di interesse multidisciplinare attinenti ai programmi e al lavoro didattico dell'ultimo anno di corso». Un colloquio, quindi, nel quale si potrà dire
tutto e nulla, con la conseguente e già attuale penalizzazione di alcune discipline che, valutate assurdamente di minore importanza, non verranno studiate con impegno nell'ultimo anno.
Sarebbe certamente preferibile che il colloquio si svolgesse su tutte le materie dell'ultimo anno di corso, così come prevedeva l'originario testo governativo.
Certo - perché nasconderlo? - ero personalmente molto meravigliata del fatto che un ministro che ha impostato tutta la sua politica scolastica sul consenso giovanile e quindi sul «tenero rapporto» con gli studenti, istituzionalizzando il «facilismo» fino a garantire loro concretamente la promozione nonostante le insufficienze, avesse potuto ora inventare per essi un esame di Stato duro e difficile.
Ed andiamo alla commissione d'esame. Non avendo avuto il coraggio di operare una decisa scelta, si è andati ad una composizione che la dice tutta: quattro membri interni, quattro esterni, più il presidente. Figuriamoci cosa accadrà con due gruppi di docenti contrapposti e paritari. E poi, con quale criterio verranno scelti i membri interni? È chiaro che in mancanza di criteri e con le sottrazioni di docenti che aumentano di anno in anno alla disponibilità, il risultato sarà uno solo: tra le due classi affidate alla commissione ci sarà quella privilegiata che potrà avere anche tre o tutti e quattro i commissari interni scelti tra i docenti della stessa classe.
E le classi degli istituti legalmente riconosciuti da chi saranno rappresentate? Anche in questo si vede la poca volontà di giungere alla reale attuazione della parità scolastica.
Ed andiamo alla valutazione. Si fanno tante storie per avere introdotto il credito scolastico, identificabile poi con la valutazione del classico curriculum scolastico. Anche qui, riforma della valutazione senza un'adeguata riforma complessiva sul sistema di valutazione. Perché non portare da venti a trenta i punti disponibili per incentivare lo studio negli anni precedenti? E poi: come potrà la commissione d'esame mai avere la situazione reale del profitto degli anni precedenti se vengono trasformati in «sei» tutti i voti insufficienti degli alunni promossi a giugno?
In nome della modernità è stato creato un «libretto di risparmio» per l'alunno: consentitemi di chiamarlo così; da una parte il debito formativo, senza stabilire come e quando il debitore ha l'obbligo di adempiere alla prestazione restituendo il debito acquisito, dall'altra il credito formativo di controprestazione futura in sede di esame di Stato da parte di una commissione che, per quanto si possa dire, non sarà nelle condizioni di avere un meccanismo valutativo certo.
E poi, diciamoci chiaramente tutta la verità: con il disegno di legge proveniente dal Senato si attua una proditoria e sistematica discriminazione della scuola non statale, per gli alunni della quale infatti si introducono normative particolari che sembrano ignorare la legge n.96 del 1942, che regola la scuola pareggiata e legalmente riconosciuta e che risultano in netto contrasto con l'articolo 33 della Costituzione. La legge, infatti, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali, deve assicurare ad esse piena libertà ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole non statali.
Il comma 1, lettera b) dell'articolo 2 del disegno di legge che stiamo esaminando introduce distinzioni illogiche e dalla dubbia interpretazione. Forse si ignora che la legge del 1942 ed il relativo regolamento prevedono la revoca del pareggiamento e del riconoscimento legale delle scuole dopo un biennio di mancata attivazione di una classe.
E non ci si venga a dire che con queste osservazioni vogliamo tutelare i «diplomifici», che pure ci sono e che vanno eliminati.
Occorrerebbe avere maggiori capacità e volontà di controllo. Il ministero ha dimostrato - mi dispiace doverlo dire - di non avere entrambe, se è vero com'è vero che su oltre 250 operazioni di controllo
effettuate in scuole non statali solo per 8 di esse sono stati adottati i provvedimenti del caso.
Non si può fare di ogni erba un fascio, occorre saper valutare le scuole, che diplomifici non sono, al fine di una crescita della loro qualità formativa. La scuola non statale, legalmente riconosciuta, rappresenta un momento democratico di confronto sui temi culturali e sui processi educativi dei giovani e sin dall'attuazione della Costituzione italiana ha svolto un ruolo paritetico a quello della scuola statale, offrendo un servizio pubblico anche per la piena affermazione del diritto allo studio, dell'educazione degli adulti e dei lavoratori, promuovendo nella generalità dei casi risposte adeguate alle richieste di specifiche utenze.
Onorevole ministro, non si può menar vanto nel varare un disegno di legge (quello sulla cosiddetta parità scolastica, mi permetto di denominarlo così perché quando ce ne sarà data l'opportunità dimostrerò che quel disegno non realizza assolutamente la parità) che al comma 1 dell'articolo 1 recita: «La Repubblica riconosce il valore e il carattere di servizio pubblico delle iniziative di istruzione e formazione promosse da enti e privati che corrispondono agli ordinamenti generali dell'istruzione e della formazione e sono coerenti con la domanda formativa». Non si può - dicevo - menar vanto se poi si offre un altro disegno di legge dal quale traspira la palese volontà di far chiudere le scuole non statali. Perché - mi domando - discriminare le sole scuole non statali? Bene, per quanto riguarda il contenuto della lettera a) dell'articolo 7 del disegno sugli esami di Stato, con il quale viene limitato il recupero di anni scolastici, ma l'aver riservato ciò alla sola scuola non statale e le limitazioni della successiva lettera b) dello stesso articolo rappresentano - lo ribadisco - una intollerabile e proditoria aggressione alle scuole non statali.
Noi continuiamo a chiederci quale sia per questo Governo e per la maggioranza politica che lo sorregge il concetto di parità scolastica. Il relatore ha affermato in Commissione che non si tratta solo di lanciare un sasso nello stagno per increspare la acque immobili del sistema dell'istruzione pubblica. Noi crediamo, invece, che se il disegno di legge non verrà migliorato, servirà non solo a increspare quelle acque a cui faceva riferimento il relatore, ma anche ad abbassare il livello di qualità del nostro sistema di istruzione.
Il documento introduttivo dei lavori della Conferenza dei ministri dell'istruzione degli Stati membri dell'Unione europea, svoltasi a Varsavia dal 20 al 22 aprile scorsi, fa riferimento ad un progetto strategico di istruzione che possa costruire l'Europa del ventunesimo secolo. Tale progetto strategico è basato essenzialmente sull'assunzione coraggiosa e determinata della posta in gioco costituita dalla nuova conoscenza che elegge l'istruzione, la formazione, la ricerca, la cultura e l'innovazione quali fondamenti dinamici. «L'istruzione, motore e finalità dello sviluppo, è al crocevia dell'avventura dei popoli in questa fine secolo e sul suo terreno si gioca l'epopea dell'anima europea in questa svolta della sua storia», così recita il documento introduttivo dei lavori della Conferenza dei ministri e proprio per questo ruolo affidato all'istruzione occorrerebbe prima di tutto definire le norme generali sull'istruzione, in mancanza delle quali ogni proposta di riforma che pure aspiri ad essere strutturale e globale si presenta ineluttabilmente in termini parziali e relativi.
Noi di alleanza nazionale, pur coscienti, come ho detto all'inizio del mio intervento, della necessità di questa riforma, non possiamo accettare il disegno di legge così come ci perviene dal Senato. È per questo che, non avendo avuto la possibilità temporale di confrontare la nostra proposta di legge con il provvedimento in esame, abbiamo presentato anche in aula alcuni emendamenti che, tanto dal punto di vista numerico, quanto sotto il profilo del loro contenuto, non hanno alcun carattere ostruzionistico, ma vogliono invece rappresentare il nostro reale e leale contributo al miglioramento della riforma in discussione.
Non possiamo certamente accettare che le riforme del sistema formativo nascondano strategie precise e pertanto ci auguriamo che il ministro e la maggioranza dei colleghi creino una aggregazione del consenso necessaria a garantire il varo di una legge alla quale abbiano contribuito tutte le forze politiche.
Credo che questo servirebbe anche all'intero mondo scolastico quale necessaria dimostrazione di un'unità di intenti e di attenzione, utile ad affrontare il passo successivo: quello della riforma complessiva del sistema scolastico italiano.
Noi di alleanza nazionale stiamo dimostrando con molta coerenza di volere e di sapere cogliere la sfida che sul tema scuola la società tutta ci ha lanciato (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia - Congratulazioni).
Non farò delle citazioni a sostegno delle mie posizioni e di quelle che esprimo a nome del gruppo di rifondazione comunista, perché ho imparato, nella mia pratica di studiosa e di insegnante, la parzialità e la non validità delle citazioni estrapolate dal contesto in cui sono state inserite dai loro autori. Infatti, le citazioni estrapolate dal loro contesto, come quelle riportate in questa sede dall'onorevole Aprea - che è mia amica, ma su tale questione ci troviamo su posizioni opposte - non servono a sostenere il proprio pensiero. È quanto mi ha insegnato il metodo scientifico, che deve essere applicato anche nello studio di discipline umanistiche.
Parlavo del «valore scuola». Ebbene, quale valore attribuisco alla scuola? Un valore nella formazione della personalità e a tale proposito richiamo la Costituzione. Alla scuola spetta il compito di provvedere alla formazione dei giovani, ad una formazione che deve essere critica. Infatti, quando le menti si aprono alla critica e cominciano a guardare dentro le cose - secondo quanto prevede l'etimologia del termine che viene da|gk|gr|gi
Ho insegnato per venticinque anni e posso affermare che la gratificazione massima l'ho avuta quando ho riconosciuto che i miei allievi, al termine del corso scolastico, hanno compiuto le loro scelte in maniera libera, senza dissipare la loro vita, pur seguendo strade molto diverse dalla mia, a livello culturale e politico. Questo è il «valore scuola» ed io ho lavorato per esso. A mio parere, la scuola non deve solo essere lo strumento che apre la porta al lavoro; il lavoro va inteso, pur essendo importantissimo, come una relazione tra sé e il mondo, tra il singolo e la comunità di appartenenza (politica ed economica) e tra questi mondi e il sé, non va inteso come termine di mercato e a tal fine deve lavorare la scuola. Di qui nasce la necessità di una riforma dei cicli, da attuare entro l'anno 2000, dopo un dibattito profondo, chiaro, sereno e aperto.
Il gruppo di rifondazione comunista ha dubbi sul suo progetto, signor ministro, esprime un parziale consenso su quello della riforma dei cicli ed è decisamente contrario a quello sulla parità, che peraltro
ha suscitato dubbi in tutto il paese e tra le stesse forze politiche. Rifondazione comunista ha predisposto un proprio progetto di legge e avanzerà proposte specifiche per la realizzazione della riforma dei cicli.
Dobbiamo pensare però che ancora permangono le vecchie regole, che l'esame di Stato sperimentale dura ormai da ventinove anni. Come commissaria interna ed esterna, come presidente in città del nord, del sud e del centro, dalla bellissima Siracusa alla bellissima Torino, da Milano alla splendida Firenze, ad altri centri minori, tutti egualmente importanti, ho avuto la possibilità di conoscere da vicino le diverse realtà. Quando fu introdotta questa riforma la necessità di un cambiamento era impellente, ma la sperimentazione era finita, a mio parere, già al suo inizio: gli esami di maturità spesso erano disorganici ed estemporanei nelle prove, pur con la buona volontà e l'impegno dei commissari - a volte anche del ministero - e spesso con insoddisfazione da parte degli studenti e delle studentesse.
Nel momento in cui ci accingiamo a riformare l'esame di maturità, dobbiamo pensare al contesto in cui va inserito. A tal fine dobbiamo pensare ad un recupero culturale a favore dei giovani e dei docenti, recupero presente nel progetto del Governo. Infatti, attraverso le prove scritte ed il colloquio, si valorizzano tutte le discipline in modo diretto ed indiretto. In sostanza si compie una valutazione non formalistica del curriculum scolastico perché è lo stesso consiglio di classe che garantisce il credito formativo degli studenti, avendoli seguiti direttamente per un minimo di due anni. Dunque il consiglio di classe conosce molto meglio dei commissari i propri studenti.
Passando al merito del provvedimento, sono convinta (e parlo a nome di rifondazione comunista) che i suoi aspetti positivi risiedano anche nella formazione e nella composizione della commissione, nell'articolazione delle prove nonché nella valutazione.
Anche in questo elemento è presente un recupero culturale, il riconoscimento di un percorso individuale degli alunni e della classe e la previsione di una maggiore stabilità emotiva nei maturandi. Questa stabilità e questi maturandi mi stanno personalmente molto a cuore, anche al di là della legge, perché mi è cara la loro gioventù e il loro futuro, compreso il mio e quello del paese. Auspico che la loro gioventù non abbia dissipazioni nell'esperienza e che non abbia quegli «inciampi» terribili che leggiamo nelle cronache dei giornali. Ecco, una buona scuola potrebbe essere anche questa: che dia non imposizioni e diktat esterni, ma che dia, anche attraverso le discipline e la relazione con tutte le componenti che fanno parte della scuola, consapevolezza di sé nella famiglia, nella società e nelle cose più o meno concrete della vita dei giovani, che facciano poi le loro scelte.
Vi è poi un altro elemento positivo nel disegno di legge al nostro esame. Con tale provvedimento, teoricamente, sono finiti i «diplomifici», cioè quelle fabbriche di diplomi che incassavano molti soldi sulle spalle degli studenti (4-5 milioni per ogni anno: è uno scandalo!). Non li voglio citare, ma vi sono alcuni istituti i responsabili dei quali sono finiti davanti ai tribunali con l'accusa di truffa! Vi sono degli studenti che noi abbiamo esaminato con la pena nel cuore perché conoscevamo sia l'entità della spesa che c'era dietro a quegli esami e a quel colloquio sia l'inconsistenza di una preparazione anche minima. Non solo, ma si registravano certe furbizie, suggerite dagli insegnanti di questi «diplomifici», che fanno e facevano orrore e che magari contavano sulla ignoranza degli insegnanti. Cito l'esempio di una volta che come primo argomento a piacere mi era stato portato Vincenzo Monti, sperando evidentemente che io non sapessi nulla sull'argomento; ed invece, purtroppo per loro, per piacere mio ricordo ancora la data di nascita e di morte, tutti i luoghi dove si è recato nei suoi numerosi «spostamenti poetici» o di vita e i titoli di tutte le sue opere!
Dicevo che con il disegno di legge in esame vengono chiusi quei «diplomifici» ai quali ho fatto riferimento. Gli esterni
avranno la possibilità di dare gli esami nelle statali e nelle parificate, con obbligo di frequenza e senza salti vorticosi di anni di studio; per cui - citerò la mia città, così non farò torto a nessuno - lavorando ad Urbino, avrei potuto dare un esame a Roma senza avere mai frequentato e avendo studiato semplicemente sulle dispense e sugli appunti: è una cosa che fa orrore non tanto alla cultura in generale, quanto alla cultura se considerata come una parte fondamentale ed un gradino di inizio fondamentale della nostra vita (anche della vita del nostro paese!).
Per la tutela di quanti desiderano per motivi di lavoro o personali e per tutelare necessariamente la libertà di chi vuole prendere un diploma, ci auguriamo che il loro titolo di studio, con il provvedimento al nostro esame, possa avere davvero una valenza culturale e che rappresenti anche una gratificazione di una preparazione, di una frequenza e di una criticità non aleatoria ma reale. Questo aspetto del provvedimento si può quindi riassumere nel seguente modo: meno speculazioni e più presenza e rispetto anche delle individualità!
In questo progetto è tutto buono e tutto bello (|gk|ga|gl|go
Qualche perplessità, dunque, esiste. Per esempio ci auguriamo che per la prova multidisciplinare, essendo la commissione composta di quattro membri esterni e quattro membri interni ed avendo un presidente esterno (e questo è un fatto molto positivo), non sapendo come fare, ciascun commissario ponga domande sulla propria materia (lettere, storia greca, filosofia, storia dell'arte, magari anche fisica e quant'altro), sperando che sia lo studente a raccapezzarsi in questa multidisciplinarietà. Personalmente auspico - al riguardo presenteremo anche un ordine del giorno - che il colloquio multidisciplinare e la terza prova scritta, a carattere pluridisciplinare, non restino affidate alla buona volontà dei singoli, ma vengano stabiliti chiaramente dei paletti, nel rispetto dell'intelligenza dei docenti, della preparazione e intelligenza degli studenti, affinché questi ultimi diano il meglio di sé, non sull'improvvisazione ma sulla sostanza.
Altro aspetto molto positivo è la pubblicizzazione dei risultati delle prove scritte, affinché non si verifichino più quelle situazioni di incertezza del passato. Lo studente deve sapere come è stato valutato nelle prove scritte ed il disegno di legge lo prevede. Confidiamo anche che la circolare applicativa del Ministero - credo sia prevista per ogni legge - sia la più chiara possibile, in modo da stabilire i punti fondamentali per contemperare le esigenze e le compatibilità tra le materie, la prova multidisciplinare e, naturalmente, i docenti.
Tutto buono, tutto bello? Certo, il testo approvato dal Senato è migliore di quello originario presentato dal Governo; evidentemente la discussione è servita, il confronto è stato positivo. Sarebbe potuta accadere la stessa cosa anche in questo ramo del Parlamento, ma l'urgenza ha fatto velo ed ha posto un freno che rifondazione comunista ha accettato perché comunque si tratta di un testo migliorativo e perché la nuova forma di esame possa essere esperita per il 1998. Si tratta, come dicevo, di una riqualificazione culturale, non eccelsa, non eccezionale, però un riconoscimento che il mondo della scuola, compresi gli studenti, si attendeva.
Una prova conclusiva degli studi superiori è prevista dalla nostra Carta fondamentale; e la Costituzione non si cambia d'emblée, come si beve un bicchier d'acqua, e non si cambia nemmeno con la superficialità - lo dico con forza - la spavalderia e l'improntitudine stravolgente insita per esempio nei risultati della bicamerale. Non è dunque accettabile la proposta dell'opposizione di abolire il titolo di studio. Sappiamo, tra l'altro, dove si incanalerebbe questa proposta: in
quella declassificazione culturale così cara a chi fa della scuola privata unicamente una piazza di mercato, cioè quei «diplomifici» a cui questo provvedimento chiude - almeno sulla carta - la porta.
Ci basta, ministro, questo provvedimento? Mi basta? No, si tratta di un provvedimento che chiude una parte della nostra storia; però deve automaticamente porsi sul tappeto la riforma dei cicli, con il rispetto della democraticità e unitarietà del processo formativo; i finanziamenti garantiti alla scuola statale (certamente non i tagli); il riconoscimento del lavoro dei docenti e del personale della scuola che - lo sappiamo bene - sono stati sommersi da circolari estremamente burocratiche (anche se nel provvedimento in discussione alcune forme di burocrazia vengono eliminate), mentre necessitano di un loro «bene stare» nella scuola in cui operano, nell'ambito di un progetto che dia alla scuola statale la possibilità di essere al centro della società con il suo pluralismo e la possibilità di avvicinare saperi diversi, di imparare senza pressioni, nella libertà e senza cappe culturali, ideologiche o religiose. Ovviamente faccio riferimento alla scuola statale; quella privata troverà i suoi canali legali di finanziamento appunto - come recita la Costituzione - senza oneri per lo Stato. Come dicevo prima, la Costituzione non si cambia così all'impronta; credo che di ciò si debba tenere conto (Applausi dei deputati dei gruppi di rifondazione comunista-progressisti, della sinistra democratica-l'Ulivo e misto-verdi-l'Ulivo).
La responsabilità di tutto ciò non è del ministro, ma del ritardo che il Senato ha imposto. Questa, però, non è una buona ragione per far accettare alla Camera un provvedimento così importante per milioni di studenti e per le loro famiglie, così rilevante nell'ambito di una riforma complessiva della scuola.
Dobbiamo dare atto al ministro di aver affrontato con impegno e determinazione tutta la materia, con le proposte di riforma complessiva del ciclo secondario e dell'istituzione, di un sistema di valutazione e dell'autonomia. Ma proprio per questo, trattandosi di provvedimenti in itinere ci sembra ancora più necessario valutare con attenzione e serietà una proposta di riforma dell'esame di Stato che possa andare incontro realmente ad un'esigenza di innovazione e di qualità che alla scuola ormai sono indispensabili.
Comprendo che l'aspettativa sia grande, ma proprio per questo il Governo non può non tener conto del contributo che i deputati, con i loro emendamenti, possono e devono dare per migliorare la riforma.
Ad un tale provvedimento è infatti giusto che diano il loro contributo tutte le forze politiche. Comprendo l'emergenza e l'esigenza di una rapida approvazione, non voluta, come ci ha detto il ministro stesso. So anche che egli avrebbe considerato con attenzione gli emendamenti presentati, tra l'altro senza alcuna intenzione ostruzionistica, ma sono convinto che, a fronte dell'impossibilità di una
serena e compiuta valutazione della riforma, sarebbe più opportuno un rinvio di un anno piuttosto che dare alla scuola nuovi esami di Stato, per così dire, sperimentali, seppure con il tentativo di recuperare qualche miglioramento attraverso ordini del giorno e regolamenti.
Dai numerosi interventi svolti in Commissione, che ho riletto attentamente, e da quelli svolti in Assemblea è emersa spesso la preoccupazione circa l'esigenza di un'eccessiva rapidità di approvazione, motivata dall'interesse della scuola. Ci si rende conto della difficoltà e del rischio di una riforma inadeguata, ma nello stesso tempo ci si inchina ad un'esigenza, quella dell'interesse generale della scuola, nella consapevolezza che però tale esigenza verrà soddisfatta solo parzialmente. È una contraddizione grave, nella quale cadono spesso anche deputati della maggioranza, che ho colto in diversi interventi, nel rispetto di una decisione governativa comprensibilissima - come dicevo - a cui la maggioranza dovrebbe adeguarsi. Ci sembra francamente un atteggiamento riduttivo rispetto all'enorme richiesta di sapere, di qualità del sapere che sale dal paese.
Già nel dibattito sulla parità, è emerso, da parte di tutti i gruppi, il grande problema dell'istruzione in Italia. «Education, education!», diceva l'onorevole Mussi riecheggiando in quest'aula Tony Blair e riferendosi ad una migliore qualità dell'istruzione che lo stesso Mussi definiva le nuove miniere di re Salomone. Tutti - non solo in Italia e non solo in Europa - abbiamo capito quanto sia strategica la formazione per il futuro del mondo e per la qualità della vita. Proprio per questo ed alla luce degli errori del passato non dobbiamo aver fretta di risolvere un problema così delicato come quello della riforma dell'esame di Stato, che non può non essere inserito e valutato in un ambito e più ampio di riforme che lei, ministro, dopo anni di immobilismo ha affrontato, come dicevo prima, con determinazione. A volte, però, si deve avere il coraggio di non ottenere un risultato immediato, nonostante le esigenze concrete, proprio perché queste esigenze sono molto più profonde e sentite di quanto tutti noi possiamo immaginare.
Non voglio entrare nel merito del provvedimento, di cui hanno parlato a lungo colleghi del Polo ed anche della maggioranza. Non posso però non svolgere alcune considerazioni di fondo oltre quella sul rischio dell'eccesso di rapidità di approvazione.
Sia l'onorevole Sbarbati sia l'onorevole De Murtas - parlo di due deputati della maggioranza che si collocano, diciamo così, all'estremità di quello schieramento - hanno rilevato la mancanza di una fase di sperimentazione. L'uno ha sottolineato che si andrà all'introduzione delle nuove prove d'esame senza aver prima sperimentato le nuove modalità di approccio, di metodologia e di accertamento che i docenti dovrebbero utilizzare e con i quali gli studenti dovrebbero interagire, ma accetta l'azzardo, così come ha dichiarato in Commissione. Questo azzardo, però, a mio parere va a scapito della riforma e, quindi, degli studenti, dei docenti e delle famiglie.
L'onorevole Sbarbati ha fatto giustamente presente che non è stato mai effettuato un monitoraggio serio delle risorse fino ad oggi utilizzate ed ha sottolineato che sarebbe stato preferibile attribuire alla riforma il carattere della sperimentazione, almeno fino al momento dell'entrata in vigore del riordino dei cicli scolastici. Numerosi colleghi hanno anche rilevato come il testo uscito dal Senato sia stato peggiorato rispetto a quello governativo, il che non mi sembra un buon risultato ed è un motivo in più per considerare con attenzione gli emendamenti della Camera.
Un altro aspetto che mi preme sottolineare è quello della necessità di un raccordo più stretto tra la scelta della scuola secondaria e quella universitaria, esigenza del resto in qualche modo sottolineata anche dall'onorevole Dedoni; mi riferisco sempre al dibattito svoltosi in Commissione, dove l'onorevole Dedoni ha sostenuto come l'esame debba consentire un collegamento tra la preparazione con
seguita e le aspirazioni successive nel campo delle università e delle attività professionali. La scuola secondaria, qualunque essa sia, non può non preparare al lavoro o al corso di laurea che lo studente va a scegliere e l'esame dovrebbe avere proprio come obiettivo la verifica - e non solo - della preparazione del candidato.
Non dico che il provvedimento non contenga sostanziali novità, anche se ho sentito l'onorevole Lenti definirlo non decisamente nuovo; esso contiene comunque qualcosa di innovativo. Sono convinto, però, che ci sia bisogno di ulteriore lavoro.
È positiva l'introduzione del credito scolastico, anche se aumenterei la percentuale di 20 punti per dare maggior peso alla valutazione dell'andamento degli studi dello studente, per conferire maggiore importanza all'itinerario formativo del giovane, a quello che ha reso negli anni precedenti. Quanto alla commissione, non condividiamo la decisione salomonica dei quattro membri esterni e quattro interni. Se si afferma l'autonomia, se si vuole dare fiducia alle singole scuole, non vedo perché, a parte il presidente, i membri non debbano essere interni.
Un altro aspetto che non possiamo accettare è la differenza di trattamento per la scuola non statale, di cui all'articolo 7, il quale oltre ad introdurre il principio che il candidato esterno può presentarsi agli esami di idoneità solo per la classe immediatamente superiore a quella successiva ed a quella per cui ha titolo, dovrebbe però prevedere che ciò valga per tutte le altre scuole. È un'osservazione che in Commissione ha svolto anche l'onorevole Riva.
Concludo affrontando la questione del valore legale del titolo di studio, di cui ha già parlato l'onorevole Valentina Aprea, del valore legale di quel «pezzo di carta», che non solo non garantisce che vi sia stata una reale preparazione ma, proprio per questo motivo, non serve neanche all'accesso al lavoro.
Mentre il mondo si evolve vertiginosamente, nell'ambito lavorativo e professionale stiamo ancora discutendo sul valore legale di qualcosa che, nei fatti, valore non ha. Le differenze tra una scuola e l'altra, tra un ateneo ed un altro, non sono certo colmate dal valore legale del titolo. Se esistono, le differenze dipendono dai contenuti reali dell'insegnamento impartito. L'abolizione del valore legale toglie certamente allo Stato il monopolio della scuola ed è per questo evidentemente che non viene accettato, ma mette tutte le scuole nelle condizioni di automigliorarsi, come diceva Sturzo. A questo punto una citazione me la permetto anch'io, anche se molto rapida, onorevole Lenti. Le citazioni, però, servono e la storia e la cultura ne sono piene. Evidentemente, dipende da chi si cita. Questa abolizione non solo mette tutte le scuole nelle condizioni di automigliorarsi, ma elimina automaticamente i «diplomifici». Ci togliamo quindi il pensiero tutti quanti, perché oltre tutto non li condividiamo!
È arrivato il tempo di concretizzare quei principi ai quali anche l'attuale maggioranza oggi si appella. Il principio di sussidiarietà implica che lo Stato compia un passo indietro rispetto alla società per metterla in condizione di raggiungere i fini che le sono propri, tra i quali fine primario è l'istruzione. Bisogna prendere atto non solo che la scuola, così come, non funziona, ma che non potrà funzionare neppure con timide riforme. Non vorrei che tra dieci anni la sinistra democratica, come ha fatto in altri ambiti, per esempio nel campo della famiglia (sento con piacere quello che afferma la ministra per la solidarietà sociale), della bioetica o della parità (anche se non vi sono i mezzi per sostenerlo, si è verificato un cambiamento, un'evoluzione, che abbiamo guardato con grande interesse), si rendesse conto dell'inutilità del valore legale del «pezzo di carta» fine a se stesso e intendesse abolirlo, avendo però nel frattempo contribuito a frenare il vero sviluppo del paese, che tanto dipende dalla formazione (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Signor Presidente, signor ministro, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, gli esami di Stato furono introdotti nell'ordinamento scolastico italiano nel 1923 con i regi decreti che davano attuazione alla riforma Gentile. Successivamente l'Assemblea costituente stabilì la rilevanza costituzionale di questo sistema con l'attuale comma 5 dell'articolo 33 della Costituzione, senza tuttavia cristallizzarne la normativa. Nel 1969 venne realizzato un riordinamento degli esami di Stato, di maturità, di abilitazione e di licenza nella scuola media, con il decreto 15 febbraio 1969, n.9, che avrebbe dovuto disciplinare la materia in via sperimentale. La validità delle disposizioni del provvedimento veniva invece prorogata dalla legge 15 aprile 1971, n.146, «sino all'entrata in vigore della legge di riforma della scuola secondaria».
È importantissimo, credo, fare riferimento a questa normativa per inquadrare il lavoro che stiamo svolgendo. Affrontare la riforma degli esami di maturità prima della riforma complessiva della scuola secondaria superiore, oltre ad apparire un grave errore logico, ritengo anche che sia un procedimento illegittimo, alla luce della suddetta legge n.146 del 1971. In ogni caso, un raccordo fondamentale con il disegno di legge sul riordino dei cicli scolastici sarebbe stato essenziale per superare le difficoltà insite nella disciplina vigente e per dare inoltre ai cittadini un segnale positivo nel senso che le riforme sono davvero possibili anche per quanto riguarda la scuola. Per cinquant'anni la riforma di quest'ultima è stata bloccata contro l'interesse dei cittadini, in particolare dei più giovani e dei più deboli perché ancora alla ricerca di lavoro, per veti incrociati di tipo ideologico tra democrazia cristiana e partito comunista, dovuti a motivazioni identitarie che avevano come mero scopo il consenso elettorale demagogico.
Per la lega nord per l'indipendenza della Padania il segnale che viene dato oggi al paese con queste politiche di marketing su un tema così scottante come quello della scuola risulta ancora una volta una chiara manifestazione di una incapacità di programmare ed attuare le riforme in modo organico ed autentico, a tutela degli interessi dei cittadini prima che degli interessi elettorali dei partiti.
Ma veniamo all'esame del testo in discussione. Manca innanzitutto una visione europea degli esami finali della scuola secondaria. Nel giugno 1993, il Consiglio d'Europa (della cui Assemblea parlamentare ho il piacere di fare parte) ha promosso in Finlandia un seminario di ricerca sul tema della valutazione dell'alunno e del ruolo degli esami finali.
È emerso chiaramente che l'esame finale nella scuola secondaria non ha più il ruolo che aveva qualche decennio fa, come peraltro è stato già sottolineato.
Diverse università stabiliscono autonomamente propri requisiti di ammissione, talora introducono veri e propri esami.
I datori di lavoro per poter operare una selezione fanno riferimento più che alle informazioni fornite dal certificato finale a molti altri elementi che questo non rende disponibili.
In ogni caso è acquisito a livello europeo che l'abolizione del valore legale del titolo di studio costituisce un presupposto per un sistema scolastico più pubblico che statale, cioè rispettoso di spazi fondamentali assunti in modo rilevante, nella quasi totalità dei paesi europei, dagli istituti di istruzione non statali.
Nel complesso il provvedimento di cui discutiamo più che una legge quadro pare una normativa del ministero simile ad un'ordinanza con un rinvio complessivo al sistema del regolamento che appare nettamente in contrasto con il nuovo quadro giuridico relativo all'autonomia scolastica e al riordino dei cicli.
In ogni caso, quanto previsto non appare sufficiente a rendere l'esame di
maturità momento di valutazione finale del percorso formativo, oltre che momento di certificazione del livello di conoscenza ed abilità acquisite.
Innanzitutto l'esame orale: rimane praticamente l'attuale colloquio che elimina molte discipline, senza contare che a livello europeo l'esame orale costituisce l'eccezione piuttosto che la regola.
Come potrà - ci domandiamo - essere un reale momento di interscambio culturale tra alunno e docente su elementi di interesse multidisciplinare, risultando composta la commissione di ben otto docenti più il presidente? Risulta evidente l'incapacità di questa prova orale di essere coerente con il lavoro svolto in classe.
L'esame deve poter accertare e valutare anche l'attività svolta dallo studente sulla base delle autonome scelte compiute dalla singola scuola. In caso contrario l'autonomia didattica, pur prevista dalla Bassanini, non trovando riscontro in sede di valutazione finale, verrebbe svuotata di significato. Le materie ed i corsi organizzati dalle singole scuole ad integrazione dei programmi nazionali devono poter entrare nel curriculum a pieno titolo e quindi essere oggetto di verifica in sede di esame.
La dizione adottata dal Senato, inoltre, è equivoca ed annacquata anche rispetto a quella del progetto presentato dal Governo sulla stessa materia. Limitare gli argomenti a quelli di carattere multidisciplinare ripercorre in altra forma l'errore del colloquio-farsa interdisciplinare dell'attuale esame.
Per quanto riguarda poi le modalità della terza prova scritta, esse si prestano particolarmente ad una valutazione di tipo oggettivo, che andrebbe quindi opportunamente valorizzata. Sarebbe grave non cogliere l'occasione per introdurre tale innovazione.
Le sperimentazioni ultradecennali hanno dato esiti positivi, ma non hanno mai trovato un consenso ufficiale, malgrado il concetto di valutazione di tipo oggettivo sia stato introdotto in quasi tutti i paesi europei ormai da anni. Un minimo di oggettività ridurrebbe anche le macroscopiche ingiustizie nella valutazione tra un candidato e l'altro, che quasi sempre si verificano in tutte le commissioni a causa della totale discrezionalità concessa.
Si può invece comprendere il rifiuto di una totale valutazione oggettiva dei candidati, essendo tale modalità estranea alla nostra tradizione scolastica; sarebbe ingiustificata la ripulsa ad introdurre qualche elemento di oggettività.
Per quanto riguarda, in terzo luogo, il credito formativo, si tratta di una previsione in sé valida ed innovativa, ma nel provvedimento in esame viene usata in forma oscura e talora non coerente. Per esempio l'integrazione del credito nell'ultimo anno per situazioni trascorse non ha più senso. Eventuali situazioni di svantaggio devono essere prese in considerazione nel momento in cui si verificano e non successivamente, quando diversi possono essere i docenti, la scuola o il contesto in cui vengono prese in considerazione.
In quarto luogo, la composizione della commissione nel testo licenziato dal Senato risulta mediata verso il basso: quattro membri interni più quattro esterni potrebbero creare seri problemi circa la funzionalità della commissione stessa.
La scelta operata dal Senato, oltre a comportare un maggior onere di spesa rispetto all'iniziale testo governativo, non offre alcuna garanzia, poiché è macchinosa e persevera in una visione centralista del sistema, in contraddizione anche con un semplice decentramento di funzioni.
Per la lega nord per l'indipendenza della Padania meglio sarebbe una commissione composta da tutti gli insegnanti dell'ultimo anno di corso e da un presidente nominato dal provveditore agli studi. La nomina da parte dei provveditori garantirebbe un maggior rapporto tra formazione culturale degli esaminandi e degli esaminatori, arrivando entrambi dallo stesso territorio. Inoltre, con un solo presidente esterno, le spese sarebbero certamente inferiori a quelle attuali.
Complessivamente, il disegno di legge proveniente dal Senato evidenzia una sistematica discriminazione nei confronti della scuola non statale, per gli alunni
della quale si introducono normative particolari in contrasto - come è già stato detto - con la legge n.86 del 1942. Se l'orientamento politico del ministero va realmente verso un sistema scolastico integrato, non è accettabile l'affermazione fatta in sede di VII Commissione del Senato secondo cui l'esame di Stato può essere presieduto solo da insegnanti di Stato, poiché nel sistema integrato la pari dignità dovrebbe essere il principio ispiratore di ogni decisione.
Inoltre, sembra assurdo dividere le classi al momento della verifica finale: è indicativo di prevenzione e di discriminazione. Se la scuola non statale deve entrare a pieno diritto nel sistema integrato previsto nel disegno di parità governativo quale erogatrice di un servizio pubblico, è tempo di darle la fiducia che merita, mettendo tutta la scuola - statale e non statale - in un sistema pubblico integrato in leale competizione per qualità e costi.
Così pure, per quanto riguarda l'articolo 7, dovrebbero essere cassate le evidenti discriminazioni tra scuola statale e non statale. Se lo scopo è la regolarità del corso di studi, il limite di recupero anni deve valere in assoluto, non a seconda della sede di esame prevista. È evidente un'aprioristica ed inaccettabile condanna di inaffidabilità nei confronti di tutte le scuole non statali.
Così pure per quanto riguarda l'articolo 2, comma 1, la serietà del corso di studi si deve ottenere fissando regole precise per la frequenza degli alunni interni o la modalità di sostenimento degli esami per i candidati privatisti, non limitando la libertà di istituzione di scuole e quindi la formazione delle relative classi sancita dalla stessa Costituzione.
Un'ultima annotazione è la sottolineatura dell'assenza totale di risorse a sostegno delle riforme annunciate, compresa quella di cui stiamo parlando oggi, e complessivamente a sostegno del comparto scuola, che ne limita fortemente i futuri risultati riformatori.
Devo infine sottolineare - come peraltro è già stato fatto - che su questo testo non è avvenuta alcuna reale, seria, oggettiva valutazione emendativa in Commissione. Fino a che permane il sistema bicamerale perfetto, il ruolo delle Camere deve essere allo stesso livello, significativo e centrale, nella valutazione di uno strumento legislativo adottato. L'urgenza del problema che sta alla base del provvedimento non giustifica una non adeguata valutazione dello stesso, anzi costituisce un serio pericolo di inefficacia di applicazione.
In ogni caso, a nome della lega nord per l'indipendenza della Padania, devo affermare che ledere i principi costituzionali attuali sulla competenza legislativa, limitando i tempi e i modi che essa normalmente prevede, solo per il fine di una produzione governativa accelerata, in vista di risultati di immagine, mina alla base ogni tentativo serio ed efficace di programmare un futuro europeo per la scuola in questo paese e complessivamente dà un segnale fortemente negativo da parte delle istituzioni di essere capaci di riformare se stesse.
Ho detto esami conclusivi e non di maturità, perché si è voluto sottolineare, fin dal titolo del provvedimento, la differenza tra il nobile fideismo gentiliano, che assegnava alla scuola la missione di maturare i giovani, e il più umile ma
realistico pragmatismo dei nostri tempi, che riconosce soltanto alla vita la possibilità di rendere maturi gli uomini e le donne. Precisazione, signor ministro, che a me - e forse anche a lei - ricorda quella di Benedetto Croce a proposito della parola «professore», da lui usata come epiteto contro ignoranti in cattedra che si atteggiano a filosofi, ma non certo contro il maitre de école dal quale non si pretende - scriveva nelle pagine sparse raccolte da Laterza - che esso sia filosofo, ma che possegga cultura, buona informazione, chiarezza di intelligenza, modestia e dignità, ciò per cui lo si tiene in pregio e che è poi tutt'altro che comune e volgare. Agli esami di maturità - epiteto che sta per falsi esami - noi oggi sostituiamo l'esame conclusivo che - ripeto, con Croce - come ogni cosa buona e bella, è tutt'altro che comune e volgare.
Prima di addentrarmi anch'io in qualche considerazione costruttivamente critica, che spero sia utile al Governo durante il monitoraggio cui sottoporrà il nuovo esame per arrivare alle rifiniture permanenti, desidero ricordare per flash solo un paio di cardini del nuovo esame che, anche se laicizzato, riempirà ancora una pagina memorabile nella vita di chi lo avrà sostenuto. Il primo, ampiamente ricordato questa mattina, sta nello svolgimento di tre prove scritte: quella di italiano intesa non più in senso professorale - ecco che torna l'epiteto -, ma quasi come franca confessione di ciò che si è appreso e di come si vede la vita, dunque cultura critica e non meramente ricevuta; la prova della materia caratterizzante del corso, già oggi prevista; e poi, soprattutto, la terza prova scritta, inter o pluridisciplinare, novità utilissima anche ai fini della migliore valutazione degli studi e dei metodi con i quali ogni singola scuola si qualificherà domani nel sistema delle autonomie ed ai fini dell'orientamento universitario o professionale. Prevalenza, dunque, delle prove scritte nell'economia generale dell'esame, riconosciuta anche nel punteggio in centesimi con l'aggiunta, ai fini di una valutazione anche meritocratica e perciò legittimamente selettiva, della pubblicità degli esami scritti.
Un secondo punto significativo della riforma sta nelle commissioni esaminatrici, con un presidente esterno ed una commissione divisa a metà tra membri esterni ed interni. È un equilibrio che dà garanzie sufficienti - come è stato ricordato della maggioranza - contro il timore della commercializzazione dei diplomi da parte di qualche scuola riconosciuta o parificata ed è perciò garanzia in merito al valore legale dei titoli di studio almeno fin tanto, signor ministro, che incenseremo il tabù del valore legale, che a mio parere è sempre più legale e sempre più senza valore. Tale garanzia, comunque, è e resta prerogativa dello Stato. Lo sottolineo anche per tranquillizzare vestali e sacerdoti del laicismo statal-corporativo della scuola, timorosi per un verso che il Governo voglia darci la parità tra scuola pubblica statale e non e rammaricati, per altro verso, che il problema non sia affrontato adeguatamente già in questa riforma degli esami di Stato. Il problema è affrontato, come tutti sappiamo, in altro testo legislativo.
A noi che sosteniamo questa riforma degli esami resta peraltro il dovere di ribadire che essa non è un contenitore senza contenuti e che è necessario approvarla oggi, anche se restano da sistemare nel quadro quasi tutti gli altri tasselli del grande disegno riformistico dell'Ulivo: cicli, parità scolastica, programmi, professionalità dei docenti, autonomia scolastica, riqualificazione universitaria, orientamento. Avrebbe soddisfatto anche noi che, pure, ci dichiariamo antilluministi, una riforma contestuale e quindi globale dei cicli della parità e degli esami come vorrebbe forza Italia, forse sottovalutando il rischio che in tale mare magnum tutti i navigli di questa flottiglia scolastica vadano a fondo...
noi che l'esame finale è il completamento del curriculum scolastico preuniversitario, che dover portare subito all'approvazione del Parlamento, esposto ad ingorghi di riformismo scolastico, la riforma degli esami favorisce la critica di voler riformare solo gli aspetti formali - appunto, gli esami - senza precisazioni sui contenuti; che non è facile riformare l'esame senza avere prima riformato gli esaminatori; che occorre tenere lontane dalla scuola le einaudiane parole magiche e così via. Ma rispondiamo che, a parte il desiderio di votare questa riforma prima d'aver fatto tutti i capelli bianchi, in tempo utile per poterla applicare agli esami dell'anno prossimo, c'è margine per eventuali correzioni se il Governo concorderà con le Commissioni parlamentari di merito - e specie con quella, stavolta sacrificata, della Camera - il monitoraggio della riforma, sicché i regolamenti integrativi siano il più possibile ricettivi delle esigenze che emergeranno dalla sperimentazione.
Ricordiamo ai critici che questa riforma era stata sempre invocata come urgente, per riparare ai danni di promozioni generalizzate che hanno diffuso l'immoralità di massa nelle nuove generazioni, diseducate dalle famiglie e dalla scuola a pensare che tutto può essere strappato alla cosiddetta società (la scuola-parcheggio, i voti alti, le promozioni al 96 per cento, cui fa da contrappasso la laurea per soli tre universitari su dieci immatricolati).
Infine, voglio ricordare che qui non si è costruito prima l'esame allo scopo di trarne indicazioni per la riforma della scuola secondaria. Chi ha disegnato il nuovo esame ha disegnato anche la riforma della scuola e dunque le due riforme sono fra loro coerenti e conseguenziali. Certo, noi non ci aspettiamo dalla riforma degli esami i risultati che debbono invece venire dalle altre riforme, ma a dir poco da essa ci aspettiamo la fine, dopo ventotto anni, del sessantottismo amorale, sperando di non ricadervi, signor ministro, attraverso statuti antagonisti degli studenti e, come direbbe la onorevole Finocchiaro, delle studentesse e perfino parodie delle istituzioni ad uso degli scolaretti, irrise questa mattina nella prima pagina de La Stampa. Ci aspettiamo da questa legge una spinta a tutte le altre riforme varate o in cantiere (organi collegiali, programmi, cicli, autonomia, stato giuridico) e un bel giorno - perché non essere sfrontatamente audaci, signor ministro - persino la riforma dei concorsi universitari, con buona pace dei baroni che si arrogano il diritto di garantirsi da soli la composizione della comunità scientifica e lo scrivono pure negli articoli di fondo sul Corriere della sera.
Non so se al termine di tutto questo lavoro avremo un corpus juris «berlinguerensis»; so per certo che, dopo decenni di incertezza e stagnazioni, l'Italia sta oggi affrontando i ritardi accumulati per l'obbligo, la riforma della scuola secondaria superiore, il rafforzamento della formazione professionale, il riordino degli studi universitari, il sistema scolastico nazionale integrato. Ne risulteranno, credo, le condizioni per un'Italia più moderna, se è vero, come dimostrano certi miracoli del terzo mondo, perfino nella lontanissima Asia, che la modernità di un paese si gioca nella scuola. In autunno, colleghi, dibatteremo la qualità della nuova scuola, che si fonderà su alcune convinzioni che a me sembrano far parte di una nuova cultura per l'Italia.
Innanzitutto, la tradizionale trasmissione di conoscenze consolidate viene superata dall'innovazione continua e quindi dall'instabilità dei contenuti del sapere: la riforma dei cicli ne prende atto.
Secondo: tale instabilità ha reso necessario, più che nozioni di tutta una formazione generale, metodiche di indirizzo, pur possedendo la memoria storica.
Terzo: la cultura degli anni ottanta dei paesi avanzati si basa sulla centralità delle risorse umane e perciò la cosiddetta piena scolarità riunisce ormai cultura, istruzione e formazione: la differenza, ormai soltanto italiana, tra scuola di cultura e scuola professionante è regressiva.
Quarto: i paesi europei si sono adeguati con soluzioni diverse, attraverso
leggi quadro di riordino dell'intero sistema, che hanno in comune l'elevazione dell'obbligo scolastico.
Quinto: in Italia la mancanza di un quadro generale ha contribuito ai ritardi accumulati per l'obbligo, la riforma della scuola, il rafforzamento della formazione, il riordino delle università.
Sesto: una riforma generale della scuola appare ancora oggi a molti opera di pazzi (uso il titolo di un articolo di Eugenio Scalfari). Se ci si è accinti a progettarla è perché si è finalmente superata nei più la paralizzante contrapposizione tra cultura e professione e ci si è posti invece il problema di quali debbano essere i risultati dei vari cicli ed indirizzi in termini di conoscenze culturali e di saperi tecnici e pratici.
Settimo: questa coscienza del problema opera, oltre che sull'elevazione dell'obbligo, sull'architettura del sistema, che da piramidale - dove ogni piano è propedeutico a quello successivo - assume struttura modulare, dove ogni segmento consolida risultati spendibili in termini culturali e professionali.
Ottavo: alla funzionalità della struttura concorrono primariamente la professionalità dei docenti, l'autonomia scolastica, il sistema di valutazione, la collaborazione delle famiglie, la coscienza dei giovani di poter conseguire il diritto alla formazione entro il diciottesimo anno di età.
Ci auguriamo, signor ministro, che questi principi, valori ed obiettivi possano specchiarsi nell'atto e non più nel rito conclusivo del nuovo esame, al quale assicuro oggi il voto favorevole del mio gruppo (Applausi).
Cadono infatti sotto la formidabile e forsennata campagna di rieducazione berlingueriana i fortilizi di una razionale composizione educativa alla quale, con intelligente premura, si erano dedicati uomini come Croce, Casati, Gentile, e che le rovinose «riformette» degli anni sessanta e settanta non erano riuscite a smantellare del tutto.
Se nei giorni che seguiranno all'onorevole Berlinguer riuscirà di cancellare fin nella dizione il vecchio esame di maturità, potrà andare orgoglioso di un primato che non era riuscito a nessun altro in questo secolo: distruggere quell'esame per le scuole classiche e di cultura che, onorevole Orlando, a Croce che lo aveva ideato da ministro della pubblica istruzione nel 1920, appariva come uno strumento per garantire la qualità della formazione nel mentre si ingegnava nella diffusione massima delle scuole popolari. Linea che fu ripresa da Giovanni Gentile e che dominò la sua attività di grande e lungimirante riformatore.
Qualche anno fa il compianto amico, professor Vittorio Enzo Alfieri - curioso esemplare di liberale crociano imbevuto di gentilianesimo, almeno per ciò che riguardava la politica pedagogica - ebbe ad osservare che l'esame di Stato dei due filosofi veniva concepito come un esame di cultura e non già mnemonico e nozionistico; un accertamento di capacità più che di contenuti. E lo si doveva condurre come esame di gruppo, cioè tutti gli insegnanti della commissione avrebbero dovuto ascoltare, senza leggere il giornale, le singole prove. E il criterio di giudizio? Avrebbe dovuto essere globale, cioè di maturità generale e non già obbedire al gretto criterio fiscale delle votazioni da calcolarsi e mettersi in rapporto meccanicamente.
Ho richiamato questa osservazione di Vittorio Enzo Alfieri per sottolineare quanto cammino sulla strada sbagliata si
sia fatto sino a pervenire alla distruzione dell'esame di maturità sostituito con un esame tendente, nella formulazione offertaci dal ministro Berlinguer, ad annullare tutti gli elementi positivi contenuti nell'antico esame. E quando dico «antico esame» non intendo davvero riferirmi all'esame sin qui in vigore, proposto dal ministro Sullo nel febbraio del 1969 con un decreto, convertito nell'aprile successivo (il ministro allora era Ferrari Aggradi), in via - come si disse - «provvisoria e sperimentale». Una via «provvisoria e sperimentale» che è durata circa un trentennio e che la dice lunga sulle capacità riformistiche dei ministri che sin qui si sono succeduti.
Certo, bisogna cambiare, e la proposta di alleanza nazionale in questo senso credo che avrebbe potuto offrire valide indicazioni qualora fosse stata presa in considerazione, ma non si può pensare di cambiare nel senso che ci viene proposto. Contenuti e metodo, infatti, ci lasciano a dir poco sconcertati.
Il disegno di legge del quale ci occupiamo è rimasto fermo al Senato per alcuni mesi, come è stato più volte rilevato stamane. Adesso il Governo e la maggioranza vogliono imporci un'approvazione rapida, dolorosa, consapevolmente sbagliata e a tal fine programmaticamente respingono il confronto con le opposizioni, accingendosi a rigettare tutti gli emendamenti per non far tornare il provvedimento in Senato. Anche questo dovevamo sperimentare: la teorizzazione da parte del ministro Berlinguer e di autorevoli esponenti della maggioranza, secondo i quali - come ci è stato detto in VII Commissione, nei giorni scorsi - un ramo del Parlamento (in questo caso la Camera dei deputati) sarebbe praticamente a sovranità limitata, dal momento che non ci si consente di intervenire sul testo licenziato da palazzo Madama con emendamenti migliorativi.
La sola parola d'ordine, dunque, onorevoli colleghi, è fare presto e poco impronta se il provvedimento è scadente, lacunoso, come riconoscono anche alcuni colleghi dell'Ulivo.
Onorevole Berlinguer, possiamo dare al paese, agli studenti, una legge che viene riconosciuta manchevole in alcune delle sue parti più importanti soltanto perché lei ha deciso che dal prossimo anno gli esami di Stato debbono svolgersi secondo altri criteri? Possiamo consentirci il lusso un po' spregevole, in verità, di non adoperarci tutti - maggioranza e opposizione - per fare una buona legge a vantaggio degli studenti ma anche della società italiana nel suo complesso? Possiamo disattendere le speranze di quanti ci chiedono di provvedere a qualificare maggiormente l'uscita dalle scuole di coloro che dovrebbero assicurare l'avvenire a sé stessi e alla nazione? Questi sono interrogativi, signor ministro, che non pongo strumentalmente, mi creda!
La pubblica istruzione è una materia che dovrebbe essere sottratta alla demagogia e io credo sinceramente che qui demagogia non ne faccia nessuno. Ritengo anzi che il ministro con molta serietà si stia industriando per far passare il suo progetto. Ma sbaglia perché gli sfugge la complessità del problema e sembra pertanto più incline ad attuare pezzi di riforma che una riforma globale della scuola. Questo è il mio appunto leale!
Se così non fosse avrebbe legato la riforma degli esami di Stato ad un progetto complessivo raccordandoli per cominciare, come è stato rilevato dall'onorevole Napoli, con il disegno di legge sul riordino dei cicli scolastici che il Governo oltre tutto ha già presentato.
Tuttavia, quel che emerge di negativo dal disegno di legge di Berlinguer e che costituisce la sua principale caratteristica ed il suo più forte limite è l'assenza di una seria verifica della maturità dei candidati. Siamo piuttosto di fronte, onorevoli colleghi, ad un comunissimo esame di licenza, insufficiente ad accertare la competenza degli studenti nelle varie discipline e a fornire un giudizio complessivo sul loro grado di formazione. Basta dare, del resto, uno sguardo alle prove che i candidati dovranno sostenere per renderci conto della inadeguatezza della riforma.
La prima prova scritta, come recita il disegno di legge, «intesa ad accertare la padronanza della lingua italiana o della lingua nella quale si svolge l'insegnamento, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato, consentendo la libera espressione della personale creatività», in questa formulazione non significa niente. In che cosa, insomma, consisterà? Sarà il vecchio tema, ancora valido come io ritengo, o qualcosa d'altro? Non si può essere così vaghi ed imprecisi.
La terza prova, a carattere pluridisciplinare, non è un oggetto misterioso, come ad una prima lettura potrebbe apparire, ma è un orrendo e sconcertante mostro espressivo, che assomiglia tanto ad uno di quei test che vengono proposti per superare l'esame al fine di ottenere la patente di guida.
L'esame orale è molto simile all'attuale colloquio, criticato da più parti, e persiste il mantenimento della penalizzazione di alcune discipline, le quali, valutate meno importanti, non si sa perché, non saranno studiate nell'ultimo anno. Non sarebbe meglio che l'esame orale si svolgesse su tutte le materie dell'anno in corso?
La composizione della commissione - anche questo è stato già detto - è a dir poco cervellotica: quattro membri esterni, quattro membri interni, più il presidente. Cosa accadrà con due gruppi di docenti contrapposti e paritari?
Mentre aspetti nodali della materia vengono rimandati al regolamento di attuazione della legge, sottraendoli quindi all'esame ed alla deliberazione del Parlamento, il disegno di legge berlingueriano rivela tutto il suo ideologismo ispiratore prescrivendo che all'esame di Stato sono ammessi soltanto gli alunni delle scuole statali che abbiano frequentato l'ultimo anno di corso, mentre per gli alunni della scuola non statale si introducono vincoli particolari che sembrano ignorare la legge n.86 del 1942, che regola la scuola parificata e legalmente riconosciuta, e risultano in evidente contrasto con l'articolo 33 della Costituzione che, come sappiamo, prescrive che la legge deve assicurare alle scuole non statali, che chiedono la parità, piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello delle scuole statali. Una dimenticanza ideologica del ministro, con tanti saluti alle promesse elettorali dell'Ulivo in merito alla parità scolastica.
La riforma degli esami di Stato, onorevoli colleghi, ho l'impressione si inquadri nell'ambito di quella sottile, ma non priva di clamori, «rivoluzione» - chiamiamola così - che il ministro Berlinguer da oltre un anno sta portando avanti, per lo più a colpi di circolari e con un evidente impatto sui mass media. C'è una tendenza - ha osservato il grande latinista Ettore Paratore - a maltrattare il nostro patrimonio di conoscenze educative e pedagogiche: parole gravi ma difficilmente non condivisibili.
Non so francamente, onorevoli colleghi, cosa di preciso nel ministro Berlinguer determini questo suo furore - chiamiamolo così - iconoclasta. Non credo neppure che sia dovuto al perseguimento di un disegno gramsciano, come dicono quelli che di Gramsci sanno poco. Forse lo stesso Berlinguer ha smarrito un grande insegnamento - non me ne voglia - dell'intellettuale suo conterraneo riferito alla formazione culturale delle giovani generazioni. Acutamente osservava Gramsci, tra i dolori del carcere di Turi, che «occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere e molto faticoso, con uno speciale tirocinio, oltreché intellettuale, anche muscolare e nervoso. È un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza».
Sarebbe bene, signor ministro, che, se proprio vuole dimenticare Gentile, si ricordasse almeno di Gramsci (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia - Congratulazioni).
Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole De Murtas.
Ci accingiamo a portare avanti l'iter legislativo per cambiare la disciplina approvata nel lontano 1969, nella forma del decreto-legge, una forma che né io né il Governo abbiamo ritenuto propria per affrontare tale materia e che allora fu seguita per motivi di necessità e di urgenza, istituendo una pratica valutativa che poi è uscita dallo status necessitatis per durare oltre misura.
Raccolgo con molto piacere le sollecitazioni generali avanzate, perché sicuramente, come tutti hanno colto, questo è un disegno di legge importante che si fonda innanzitutto su una prescrizione costituzionale, il famoso articolo 33 la cui stesura ha tanto «affaticato» i nostri costituenti, che prescrive un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione degli stessi.
I costituenti hanno dato all'Italia una delle Costituzioni europee più belle, come viene riconosciuto da tutti, che però per certe parti ha fatto il suo tempo. Anche nella sua parte più duratura, la prima (quella che contiene appunto l'articolo 33), vi sono elementi segnati dal tempo. Forse oggi, se fossimo chiamati a redigere una nuova Costituzione, non scriveremmo più che per il passaggio da ogni grado di istruzione è obbligatorio un esame di Stato, forse non scriveremmo questo, perché la cultura docimologica successiva ha segnato passi importanti, ma dura lex sed lex.
Noi possiamo non condividere alcune parti dell'ispirazione di quella disposizione. In questa sede ne sono state richiamate alcune, riportando il parere di personalità del rilievo di Einaudi e di Sturzo e si è fatto riferimento anche ad alcuni voti contrari in sede di Assemblea costituente. Ma questa è la Costituzione che è in vigore, e noi non possiamo prescindere da essa! Non solo, ma il rispetto della prescrizione costituzionale è un obbligo per questo Parlamento che, troppe volte, peraltro, non ha emanato leggi di attuazione costituzionale (alludo al comma quarto dell'articolo 33 della Costituzione). Noi ci dobbiamo attenere ad esso; e tuttavia abbiamo il dovere di fare una legge che, prescrivendo un esame di Stato o modificandone la natura, assorba al suo interno la cultura docimologica più recente in tema di valutazione del percorso formativo dei nostri ragazzi; e che faccia ciò anche in base a quanto è stato detto in Finlandia, certamente in modo molto pregnante (il riferimento è opportuno), ed anche valutando un'altra circostanza che non era presente ai costituenti e che noi abbiamo proposto nel disegno di legge sui cicli scolastici, derivandola da statistiche ormai affermate nei paesi evoluti: mi riferisco a quella che abbiamo definito il diritto formativo fino ai diciotto anni (non l'obbligo, che è altra disposizione; ma il diritto formativo fino ai diciotto anni) e, cioè, all'idea che in questo caso l'esame di Stato chiuda un'esperienza, un'avventura, una carriera scolastica che noi vogliamo nel futuro non immediatissimo - se si può dire così - e non incombente - ma per il prosieguo della nostra storia futura - assicurare a tutti i ragazzi fino al diciottesimo anno di età.
Quindi, questo esame di Stato dovrà riguardare il compimento degli studi nel futuro di tutti, a quei livelli: cosa che non era prevista ai tempi della predisposizione
della Costituzione, quando la frequenza della secondaria superiore era limitata a pochissime persone (questa era l'esperienza dei costituenti). E quindi anche la natura della prova acquista oggi una differenza. Tuttavia, il modo in cui nel 1969 - mi si consenta questa valutazione - è stata inferta una ferita ed un colpo alla serietà della prova, è un qualcosa da cancellare.
La ringrazio, onorevole Malgieri, del fatto che lei abbia ricordato, con una venatura affettuosa nel sottolineare la comune corregionalità con Antonio Gramsci, un martire della storia italiana che ha pagato con la vita le sue idee! Alcuni di noi - pochi - sono cresciuti con quell'insegnamento, soprattutto relativamente al significato della fatica di studiare. E questo è ciò che ha informato la nostra politica!
Sono diventato molto curioso del modo in cui si possa costruire un'immagine, con estrema efficacia comunicativa, su una persona, descrivendola nel modo esattamente opposto a quello che essa è. So bene che questa è una responsabilità di chi ha consentito che ciò avvenisse (in questo caso della mia persona), ma la mia concezione degli studi è quella del rigore. Anche quelle notizie che sono state diffuse sul debito formativo non rispettano il senso dell'intervento a seguito dell'abolizione dell'esame di riparazione, che voleva riparare a qualcosa avvenuto dell'anno precedente, accentuando gli elementi di rigore nella celebrazione degli scrutini. Ma lascio da parte queste considerazioni; le ho richiamate solo per cogliere l'occasione di ribadire il profondo convincimento che se quell'intervento non ha avuto successo - ed io penso di sì, altri potrebbero pensare di no - non è strettamente dipeso dalla volontà, dall'indirizzo. La scuola è un luogo dove si impara e si insegna; è anche un luogo dove si sta insieme, dove ci si educa alla cittadinanza attraverso la convivenza e l'esperienza comune ma, ripeto, è innanzitutto il luogo dove si impara e si insegna. Non perdo occasione per ribadirlo perché ne sono profondamente convinto.
L'onorevole Napoli ha voluto soddisfare una curiosità: come mai chi è lassista presenta un disegno di legge che estende a tutte le discipline l'esame? Non c'è questa contraddizione. Questo disegno di legge è la carta d'identità, dal punto di vista dell'accentuazione della severità, o per meglio dire del rigore, che ha voluto segnare quasi fin dall'inizio l'indicazione di una politica. Mi sono domandato perché da anni le cifre sulle promozioni oscillino tra il 95 e il 98 per cento. Non voglio con questo dire che saremmo felici se vi fossero più bocciature; per carità, le bocciature sono un insuccesso grave nella vita di ciascuno, ma sono necessarie quando corrispondono al profitto scolastico. Perché siamo giunti a questo? Peraltro ci siamo giunti con un esame, quello vigente, sostanzialmente facile rispetto a quello che è stato modificato nel 1969, perché l'oggetto della prova è stato ridotto ed ha indotto certi comportamenti già dall'inizio dell'ultimo anno (comunque da una certa data) rispetto allo studio di discipline che si sa non saranno state oggetto di esame, mutilando severamente il complesso formale delle conoscenze dovute e riducendo l'esame a prove troppo limitate. Temevo anche che una proposta di questo genere avrebbe impattato con una reazione studentesca molto ampia che invece su questo tema, fortunatamente, non c'è stata, forse per senso di responsabilità. Dalle notizie che abbiamo, le famiglie e gli studenti valutano positivamente l'introduzione di maggior rigore nell'esame.
Credo ci siano imperfezioni in questo provvedimento; forse ero più affezionato al testo presentato dal Governo che in questa sede qualcuno ha giudicato migliore, qualcun altro peggiore, rispetto a quello varato dal Senato. Il Governo non può esprimere un giudizio sul lavoro legislativo di una Camera perché è il Parlamento che fa le leggi; tuttavia, tornando alla circostanza che ha mosso il Governo a voler subito promuovere una riforma legislativa dell'esame finale, il punto di partenza è la valutazione del comportamento delle commissioni che,
pur avendo un oggetto più ristretto di esame, sono giunte a promuovere la quasi totalità del candidati.
Se voi parlate con i commissari e svolgete alcune indagini - noi le abbiamo fatte - verificherete che, da parte loro, si esprime una progressiva valutazione circa l'inanità della prova, oltre a preoccupazioni di altra natura, sulle quali dovremmo riflettere, per il possibile gravame giurisdizionale sulla decisione, che nella vita scolastica ha costituito non un rispetto del diritto, bensì un elemento di turbativa. Su questo, anche se non oggi, dovremmo ritornare. Nel passato il giudizio tecnico era inappellabile; oggi il dilagare legalistico nella cultura del paese sta incrinando i rapporti fra valutazione tecnica e congruità giuridica. Non aggiungo altro, perché la materia è delicata; vorrei però che fosse compreso il significato di quanto ho affermato. L'insegnante, l'esaminatore non può vivere con l'ossessione che un verbale redatto in qualche misura non da giuristi possa esporre il giudizio tecnico, e quindi inappellabile, ad una valutazione giuridica in sede giurisdizionale, che annulla la validità tecnica di quel giudizio. Questo è un altro dei punti sui quali dovremmo in qualche misura riflettere ed intervenire.
Lasciatemi dire che la verità è che noi oggi ci troviamo - ed è questa la ragione prima di talune difficoltà della nostra scuola - nel mezzo di un cambiamento di cultura comportamentale nel paese, di atteggiamenti delle famiglie e dei ragazzi che non riguardano solo la scuola, ma la loro stessa vita e che si riverberano nella scuola nei confronti delle discipline; atteggiamenti che sono in qualche misura arcaici. La docimologia, l'attività di valutazione finale, forse è uno degli elementi più in crisi. Badate, troverete che tale discorso è ricorrente ed antico, risale agli anni venti; mi riferisco all'oscillazione fra la necessità di valutare la maturità, cioè a dire la capacità complessiva dello studente di aver assorbito l'iter formativo nel suo complesso come crescita intellettuale, e la conoscenza delle discipline. È questo ciò che altrimenti viene definito antinozionismo. Permettetemi di osservare, parenteticamente, che non sono antinozionista, avendo anche svolto per tanti anni questo mestiere. Infatti, senza nozioni non c'è cultura; non esiste cultura fatta di chiacchiere o solo di capacità di parlare. Stiamo attenti, perché anche la soluzione di questo problema, che tutti i grandi intellettuali della nostra storia hanno richiamato essendo - come dicevo - un tema ricorrente nel quale ci si cimenta anche se la pratica va in un'altra direzione, sta nel conciliare l'esigenza di valutare il ragazzo perché ha studiato ed appreso alcuni aspetti essenziali della disciplina, prova ineludibile (altrimenti, infatti, non si impara e non si fatica ad imparare), con la capacità di valutare fino a che punto lo studente abbia introiettato il suo itinerario scolastico, le nozioni, trasformando tutto ciò in cultura. Questo è il punto delicato, me ne rendo conto, a cui forse non si risponde formalmente e compiutamente. Tuttavia, nel provvedimento in discussione - lo dirò fra breve - abbiamo introdotto qualche risorsa che ci consentirà, in una fase successiva, di intervenire, ma non nell'immediato, nel tempo, al fine di adeguarsi costantemente a tale bisogno.
Ci auguriamo che venga colto il messaggio che rivolgiamo all'opinione pubblica e prima di tutto al corpo docente, alle migliaia e migliaia di docenti che devono occuparsi di questo aspetto: preparare ed esaminare. Quello che vorremmo cogliere e che fosse colto, il messaggio che vogliamo lanciare, è che gli esami di maturità devono diventare più seri - questo è il termine che voglio usare - e più rigorosi. Le forme valutative si adegueranno nell'inevitabile torsione realizzativa ed applicativa di questo testo; l'importante, però, è che i docenti colgano l'intenzione politica del Governo e del Parlamento che gli esami diventino più seri. Questo messaggio è contenuto nella circostanza che le prove da due diventano tre, anche se l'ultima - dirò poi una parola su questo - è ellittica rispetto alle prime due, e nell'ulteriore circostanza che sia la terza prova sia il colloquio avranno
in sé un momento di valutazione della conoscenza delle singole discipline, senza gerarchia fra queste, perché nel testo non vi è questa gerarchia.
Mi auguro che noi riusciamo a trasmettere quanto dicevo. Sarà poi determinante il comportamento delle commissioni nel fare di questa proposta o di questo testo qualcosa che procede come deve procedere.
Vengo al valore legale. Si deve fare attenzione perché alcune formulazioni invecchiano di per sé e dobbiamo capire che cosa significhino. Nell'ottica europea, quando i sistemi scolastici saranno più vicini tra di loro e la mobilità nel mercato unico europeo del lavoro sarà sostanzialmente o progressivamente assicurata, varranno le norme europee che, in maggioranza, non contemplano una disciplina del valore legale. Oggi, però, un'abolizione ex lege di esso sarebbe soltanto l'occasione di una contrapposizione, puramente ideologica, sul problema ed una tale soluzione non ci fa maturare, perché il valore legale di un titolo opera su due versanti: nelle libere professioni e sul mercato del lavoro o nell'impiego pubblico e su entrambi i fronti vi è una risposta. Nelle libere professioni e nel mercato del lavoro il valore legale dei titoli non c'è più, perché è il mercato che sceglie il professionista od il titolato sulla base della sua capacità.
In tutti questi decenni abbiamo gravemente abbassato la guardia rispetto all'obbligo costituzionale di accedere al pubblico impiego per concorso e certamente non consento con questa linea. Ed allora, la difesa di se stesso che il mondo pubblico ha è quella della reintroduzione sistematica della prova concorsuale per l'accesso al proprio interno. Il valore legale, infatti, perde anche nel mondo pubblico. Ciò a cui non possiamo comunque rinunciare è una testimonianza formale del compimento di un iter.
Se allora estraiamo da questo vocabolo la sua valenza formulativa e nient'altro, credo che non siamo su posizioni così contrapposte. Nel momento in cui nell'università e nella scuola abbiamo proposto un itinerario di autonomia, abbiamo delineato un processo nel quale la qualità dell'insegnamento, nell'uno e nell'altro ordine formativo, scuola ed università, diventa preminente rispetto al cosiddetto pezzo di carta, anche perché oggi quest'ultimo, a differenza del passato, non assicura più il lavoro. Vi è allora un processo reale al quale dobbiamo guardare e che dobbiamo incoraggiare, non ideologizzare con formule. Ecco perché ritengo che dobbiamo guardare a tutto ciò con estrema attenzione.
Sono stato criticato da taluno perché organicistico, nel senso che il disegno di legge sui cicli è stato definito avveniristico ed appunto organicistico. Sono stato più frequentemente criticato da altri, anche da coloro che non amano l'organicismo (come ricordava l'onorevole Orlando, e lo ringrazio per questo), perché non c'è un disegno organico, perché si fa il tetto prima di costituire l'edificio. Ho più volte detto quello che penso in proposito. Insisto su una organicità logica rispetto ad una organicità sistematica; sono convinto che il Parlamento italiano oggi non sia in grado di licenziare testi unici o grandi leggi con numerosissimi articoli. Non lo vuole e non riesce a farlo, per cui si finirebbe nei libri dei sogni o negli archivi delle Camere! Era quindi più opportuno politicamente, più realistico ma anche più efficace, conservare il disegno ma distinguere la sedes materiae dei diversi provvedimenti.
Oggi il Parlamento ha le proposte del Governo in materia scolastica ed anche in materia universitaria; le ha praticamente tutte, o quasi tutte. La capacità di collegare tali proposte in itinerari legislativi distinti è messa alla prova ed il Governo si adopererà perché sia facilitata. Mi pare peraltro non si possa negare che ormai esiste un insieme di provvedimenti. Non avremmo già l'autonomia come legge se ci fossimo agganciati ad un unico provvedimento con decine e decine di articoli. È qui la risposta.
Questo disegno di legge, naturalmente, può essere inorganico ed è legittimo che sia criticato, ma non si può negare, penso, che esista comunque un insieme di pro
poste che marciano nella direzione non di un terremoto, di una rivoluzione o di una picconatura, ma di un cambiamento, non iconoclasta ma per certi versi molto rispettoso di determinate tradizioni, e tuttavia un cambiamento. Perché abbiamo previsto l'esame di maturità prima? Per un ragionamento crociano (perché anche Croce lo ha molto enfatizzato), cioè perché fissare un traguardo che, nel momento della sua formulazione, fosse logicamente organico (anche se non nel senso della sistematica giuridica) con un disegno induce comportamenti, crea le condizioni perché gli operatori, docenti e discenti, si muovano sapendo dove devono arrivare e che cosa devono superare. Questa idea molto autorevole è presente anche in letteratura.
Confido moltissimo nel fatto che, se il provvedimento che stiamo esaminando sarà accolto nelle sue intenzioni, fin dall'inizio dell'anno scolastico i ragazzi si muoveranno sapendo che non andranno alla cabala della prova passata, che non potranno trascurare nessuna materia, che si dovranno preparare in modo più diligente e che non potranno cominciare a studiare soltanto nelle ultime settimane. Ed i docenti dovranno attrezzare i ragazzi a questo tipo di prova, che non è affatto inorganica rispetto a quanto abbiamo proposto con la riforma dei cicli, che sta molto dentro l'idea dell'autonomia scolastica e si fonda su di essa.
Certo, il provvedimento ha anche dei difetti, ma consentitemi di fare un breve richiamo agli elementi positivi, che molti dei colleghi intervenuti hanno ricordato. L'idea del credito formativo, per esempio, è importante, perché restituisce equità alla prova ed elimina quel momento di aleatorietà derivante da un incontro fuggevole di pochi minuti, è qualcosa di più tra l'esaminatore e l'esaminando. Soprattutto nel medio periodo esso induce comportamenti anche negli anni precedenti all'ultimo per quello che poi può diventare un credito.
Lo stesso discorso vale per l'insieme delle materie da portare all'esame e per il tentativo che vi è - certo, è previsto in una legge che poi si dovrà attuare e chissà come ciò avverrà nella pratica - di rendere il colloquio un momento in cui si valutano sia le conoscenze sia la conoscenza del ragazzo, la sua maturazione.
Permettetemi anche di segnalare - vorrei dire una parola al collega Dalla Chiesa - che la prima prova è volta ad acclarare la capacità di fare un componimento: non vogliamo abolirla, ma vi sono oggi diversi modi di scrivere un pensiero (e non solo di scrivere), anche un pensiero altrui, come succede nel 99 per cento dei casi anche con l'attuale formula del tema (non ci illudiamo!). Bisogna valutare la capacità di comporre (perciò «componimento») e contemporaneamente la conoscenza della lingua italiana: non credo sia secondario! Avete letto che vi sono nelle università corsi di italiano per ingegneri, matematici e letterati per supplire ad una carenza della scuola! Questo potrà, domani, indurre un comportamento: non sogno che, di colpo, tutti i ragazzi imparino l'italiano, però certamente devono sapere che saranno valutati per come scriveranno in italiano.
Mi pare che questo non abbia nulla a che fare con un cultura iconoclasta: è l'esatto opposto, è il desiderio di dire che la prima prova è, insieme, di maturità intellettuale e di capacità tecnica. Non si può usare un pronome come un aggettivo insieme ad un complemento di specificazione, come ho sentito in alcuni interventi anche nelle sedi più altolocate! Credo sia molto importante che questo sia stato introdotto: è un elemento di qualità.
C'è discussione sulla composizione della commissione: noi avremmo preferito una commissione interna, ma il Senato ha pensato alla soluzione al nostro esame. Io non credo però che essa sia disastrosa. Al contrario, avrà difficoltà originaria, all'inizio, di successo. Si dovrà lavorare perché essa funzioni, se dovesse restare tale come io personalmente mi auguro (ma poi è la Camera che decide).
Tuttavia non vi è dubbio che, se nella pratica si raggiunge l'equilibrio, questo diventa un elemento che concilia insieme una possibilità di testimonianza della conoscenza
generale del ragazzo, non soltanto nei pochi minuti dell'esame, ma da parte dei commissari che fanno parte del consiglio di classe, ed anche una possibilità di valutazione esterna.
Non mi sembra dunque che la cosa sia così peregrina. Certamente avrei preferito l'altra soluzione, come del resto è testimoniato dal testo originario del disegno di legge.
Ho prima accennato che abbiamo voluto inserire in questo provvedimento alcuni elementi evolutivi, cioè alcuni ammortizzatori temporali che possano consentire nell'attuazione pratica da parte delle commissioni e da parte delle scuole in preparazione dell'esame di ottenere una possibilità di adeguamento progressivo, senza bisogno di tornarci sopra.
Come funzioneranno le prove, come funzionerà la terza prova, che occorrerà attuare gradualmente? Badate che oggi essa sta diventando la norma, anche nell'esame per ottenere la patente di guida, senza irridere allo stesso per via della nostra sicurezza fisica. Sta diventando dunque una prova diffusa: non sarà male che si introduca anche nella scuola, visto che gli esami non finiscono mai.
Guardate che le prove strutturate, laddove sono state introdotte, e cioè negli istituti professionali di Stato, stanno dando non cattiva prova (permettetemi il bisticcio di parole). Si tratterà di vedere come si fanno, ma oggi la moderna docimologia introduce anche questi criteri di valutazione, che poi tra l'altro non sono esclusivi. È iniquo e un po' ingrato fissarsi su una, perché restano le altre due; qualcuno ha addirittura chiesto un aumento delle prove scritte, ma non so se oggi noi potremmo sopportare un tale rigore.
Inseriamo poi questo tipo di esame nell'autonomia: talune cose sono stabilite nazionalmente, altre no, e quindi cresce l'autonomia delle scuole, quella componente di autogoverno così importante, cui noi annettiamo tanta importanza (non solo noi, ma anche i Governi precedenti). Dipenderà dal modo in cui questo influirà sull'esame; dipenderà dal ruolo che il consiglio di classe avrà nel portare il credito formativo, perché sarà esso a portarlo al momento finale; dipenderà da come questi titoli di studio si collocheranno nell'Unione europea; lasciatemi dire che dipenderà anche dal modo in cui il Parlamento approverà la legge sulla parità scolastica, perché anche questo influirà sulla legge e su questo tipo di esame.
Questo testo contiene qualcosa che ora non vediamo interamente, e che mi auguro sia segnato da un forte elemento di evoluzione. Esistono delle difficoltà operative; le abbiamo significate al momento in cui il Senato procedeva ad emendare il testo, quando voleva rendere la commissione tutta esterna. L'onorevole Aprea ha sollevato la questione della fattibilità: siamo giunti alla conclusione di una fattibilità, certamente faticosa, sulla quale in sede regolamentare dovremo trovare soluzioni possibili; in qualche modo le abbiamo delineate e, come dirò fra breve, sarà poi il Parlamento ad essere investito della valutazione del regolamento in sede di parere (ma con il peso che ha un parere parlamentare), per verificare la situazione in concreto.
Una battuta sull'interpretazione costituzionale: ci sono leggi di attuazione costituzionale, come previsto dalla disciplina costituzionalistica. Con questo non vogliamo arrogarci un'interpretazione costituzionale; assolutamente. Forse non ci siamo intesi sulla lettura del testo. A questo proposito voglio dire qualcosa che ho già dichiarato in un'altra occasione, ma che voglio ripetere qui in Parlamento, nella sede propria, per quel che riguarda il disegno di legge sulla parità ma anche per ciò che concerne tutte le altre norme. C'è un solo giudice inappellabile sulla costituzionalità delle leggi, ed è la Corte costituzionale; c'è poi il libero dibattito scientifico, a questo proposito. Inoltre, c'è la facoltà del Parlamento di adottare leggi di attuazione costituzionale in piena sovranità. Nel momento in cui si approvano leggi di attuazione costituzionale, c'è la facoltà interpretativa della Costituzione che è intrinseca nell'atto normativo di attuazione. Ma la legittimità costituzionale
di una legge, che è inevitabilmente oggetto di dibattito scientifico - vivaddio - porta soltanto pareri interpretativi, pareri che sono i più autorevoli. Noi non siamo nel diritto medievale, dove il parere del giureconsulto, i consilia e le glosse diventano norme; non siamo nel diritto comune, siamo nel diritto codificato, se mi si consente una civetteria storico-giuridica. Nel diritto codificato, l'interprete della legittimità costituzionale di una legge è solo la Corte costituzionale, che è stata investita di questo problema da parte del TAR Emilia-Romagna, e che quindi si dovrà pronunciare. Se la Corte costituzionale dirà determinate cose, il Parlamento dovrà trarne automaticamente le conseguenze.
Abbiamo quindi il dovere-diritto (noi italiani, non noi parlamentari) di dibattere in sede scientifica tutte le nostre opinioni interpretative che poi arriveranno ad un punto di certezza che potrà avere come risultato o un'interpretazione più o meno evolutiva della Costituzione, oppure la necessità di revisione. È a quella fase che vorrei lasciare la decisione di come comportarci, non prima del giudizio della Corte, perché sarebbe prematuro. Personalmente - non come Governo - sono contrario ad iniziare un iter di revisione costituzionale sulla materia, ma mi ritraggo in attesa di un giudizio che, tra l'altro, non abbiamo provocato noi e che dovrà essere reso perché così ha deciso il TAR dell'Emilia-Romagna.
Il Governo non ha facoltà «blindante». Certo, ha un'opinione che può pesare, ma non ha una volontà «blindante», come ho affermato anche in sede di VII Commissione. Il Governo ha soltanto proposto problemi di tempi e di essenzialità nella scelta, come era doveroso, senza alcuna volontà prevaricatrice che sarebbe da un lato inaccettabile, da un altro insipiente e da un altro ancora impotente. Sulla questione degli emendamenti - l'ho già detto in Commissione ma lo ribadisco - si stanno esperendo tutti i tentativi per vedere se (come è stato incoraggiato anche dalla discussione in Commissione) il Senato sia in grado di procedere ad una rapidissima terza lettura in sede legislativa in Commissione, ma non abbiamo ancora avuto una risposta definitiva. Mi permetto di dire tuttavia - dissento in ciò dall'onorevole Michelini e dal suo garbatissimo intervento - che il meglio è nemico del bene e che i ragazzi italiani (non tutti ma una buona parte, penso la grande maggioranza) si aspettano di sostenere il prossimo anno l'esame di maturità con nuove regole. Sulla nostra scelta, sulla scelta di comportamento legislativo della Camera pesa quindi anche questo quesito, cui bisogna dare una risposta, lucidamente. Nel caso in cui fosse più forte l'esigenza di cambiare, anche a rischio dello slittamento dei tempi, prevarrà questa tesi. Come rappresentante del Governo, faccio un appello perché si tenti il possibile per conciliare ogni cosa e perché diventi prioritario avere una nuova disciplina per il prossimo giugno.
Naturalmente vi sono anche altre strade oltre a quella dell'intervento emendativo della norma che non rifiuto. Mi riferisco alla possibilità di influire sulla disciplina complessiva nel rapporto tra normazione primaria e secondaria - quest'ultima, quella regolamentare, prevista dal testo al nostro esame - con la possibilità di avere l'ampio concorso del Parlamento nell'esame degli strumenti di normazione secondaria che derivano dalla legge stessa, in modo forse anche più pregnante del semplice parere. Anche perché sono convinto - lo ripeto - che gran parte del successo della nuova disciplina è affidata alla sua implementazione, alle maglie larghe che abbiamo lasciato ed alla flessibilità. Va interpretato concretamente, infatti, l'accenno alla gradualità nell'attuazione, che sarà necessaria perché non possiamo fare il primo anno il salto a regime nell'applicazione della legge. Vi sono previsioni di gradualità che consentono la disciplina in sede regolamentare ed anche questo è oggetto del contributo complessivo che la Camera può dare.
Ho l'impressione che, guardando al futuro e ai lavori della bicamerale, la funzione legislativa possa essere vista in
termini meno rigidi, di pura normazione primaria, perché con il monocameralismo di domani, dal punto di vista della produzione legislativa, almeno di quella più ampia, salvo le eccezioni previste, non ci sarà più la resipiscenza delle varie letture e quindi io deputato - non parlo degli altri - mi dovrò abituare a pensare che non tutto si esaurisce nell'emendazione solo specificamente primario-legislativa. Quindi, avviare un'esperienza anche in questo senso mi pare proficuo e il Governo è assolutamente disponibile, soprattutto rispetto ad un atto così delicato come questo.
Così come sentiamo la necessità di un monitoraggio, che è stato qui richiamato da tutti e che diventa una cosa assolutamente indispensabile. La stessa Commissione della Camera può attrezzarsi a contribuire a collaborare con il Governo in questo, anche a seguito dell'attivazione delle procedure di valutazione cui abbiamo dato avvio.
Il Governo ringrazia i vari gruppi, sia di maggioranza sia di opposizione, che hanno nei loro interventi manifestato la loro disponibilità. Esso ritiene quindi che possiamo essere alla vigila di un'importante approvazione legislativa e che questo possa avvenire senza il sospetto della «blindatura», anche se in condizioni di ristrettezza dei tempi - che, come è stato amabilmente riconosciuto dall'onorevole Michelini, non sono imputabili al Governo ma al lavoro dell'altra Camera - ma tuttavia con un consenso il più possibile ampio, che dia a questo provvedimento non solo la solennità ma anche l'efficacia e il supporto che merita, nell'interesse dei nostri ragazzi e delle famiglie italiane (Applausi).
Onorevoli colleghi, avverto che la Presidenza intende sospendere i lavori alle 14, per riprenderli alle 15 o alle 15,30, salvo che non vi sia la possibilità di esaurire la trattazione del successivo punto all'ordine del giorno, e quindi di concludere la seduta, prima dell'ora prevista per la sospensione.