Allegato A
Seduta 227 del 10/7/1997

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INTERROGAZIONI

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A) Interrogazioni:

SGARBI - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere:
in seguito al gravissimo incidente che ha causato la morte di decine di albanesi, quale responsabilità abbia la Marina italiana e quali provvedimenti intenda assumere il Presidente del Consiglio dei ministri perché sia fatta chiarezza sulle modalità dell'accaduto.(3-00953)
(2 aprile 1997)

SGARBI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere:
in seguito al grave incidente che ha causato la morte di decine di albanesi, quali siano i provvedimenti che il Ministro interrogato ha determinato di assumere nei confronti del comandante della motonave Sibilla. (3-00954)
(2 aprile 1997)

B) Interrogazione:

GIOVANNI PACE, PEPE e LANDI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che agli interroganti risultano i seguenti fatti:
è ormai nota la vicenda dell'incrociatore italiano «Vittorio Veneto», insabbiatosi il 22 aprile 1997 a quattrocento metri dalla riva della spiaggia di Valona in Albania;
nel numero di giugno del mensile Area è stato pubblicato un articolo, a firma P. Cooper e T. Dal Passo, dal titolo «Avanti miei Prodi, indietro tutta»;
da tale articolo risulta che l'unità di trasporto e sbarco «San Giorgio» (matricola L-9892) della Marina militare - capace di trasportare trecentocinquanta soldati, trentasei mezzi corazzati e tre elicotteri e attualmente impiegata in Albania nell'«operazione Alba» - è finita il 17 aprile 1997 contro una lingua di roccia a pelo d'acqua, peraltro segnalata in tutte le carte nautiche, sia civili sia militari;
l'urto ha provocato uno squarcio sotto la carena alto dieci metri e lungo trenta, che stava per far affondare la nave;
testimoni del disastro, sempre secondo l'articolo, sono state le telecamere della Rai, volute, a quanto risulta agli interroganti, dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro della difesa per filmare lo sbarco italiano a Durazzo, cosa che, anzi, avrebbe comportato la violazione delle procedure militari di sicurezza su attracco e sbarco, nonché della segretezza che dovrebbe garantire ogni operazione militare. Il «San Giorgio», infatti, arriva a marcia indietro ad una velocità di oltre dieci nodi e imbocca la rada; poi si verifica l'incidente;


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dallo stato maggiore è partito l'ordine di concludere l'operazione, con l'appoggio della gemella «San Giusto», e di far rientrare in segreto il «San Giorgio» nel porto di Taranto, dove è giunto alle ore 2 di notte del 18 aprile 1997;
dopo poche ore, il comandante del «San Giorgio» è stato sostituito, mentre attualmente la nave, con una vistosa toppa a mezz'acqua, è ormeggiata nel porto di Brindisi;
ancora nell'articolo è riportato che, dopo aver tentato di negare l'accaduto, lo stato maggiore della difesa ha minimizzato l'entità del danno, mentre, stando a fonti della Marina militare, l'incidente sarebbe stato causato dall'urto con «un albero di uno scafo semiaffondato nella rada di Durazzo», sfuggito, non si sa come, ai rilevamenti del dragamine. La stima prudenziale dei danni sarebbe di cinquanta miliardi di lire, cifra che tuttavia rischia quantomeno di raddoppiare;
non si riesce a comprendere come l'azienda radiotelevisiva pubblica Rai abbia potuto tenere nascosto all'opinione pubblica un fatto tanto grave, di cui pure sarebbe stata diretta testimone -:
se quanto riportato nell'articolo risponda a verità;
in caso positivo, di chi siano le responsabilità del disastro e di chi sia la decisione di mantenere la segretezza;
come sia possibile che, stando alla versione delle fonti ministeriali, l'albero di uno scafo albanese provochi nello scafo di acciaio di una nave militare da trasporto, lunga ben centotrentatré metri e larga venti, una falla grande come una palazzina di tre piani;
sulla scorta del disastro del «San Giorgio», come si sia potuti arrivare, appena cinque giorni dopo, all'insabbiamento dell'incrociatore «Vittorio Veneto»;
chi dovrà rispondere dei danni di entrambi i disastri, stimati attorno ai trecento miliardi di lire, di fronte alla Corte dei conti.(3-01158)
(2 giugno 1997)

C) Interrogazioni:

VOLONTÈ, TERESIO DELFINO, GRILLO e MARINACCI. - Ai Ministri per le politiche agricole e dell'ambiente. - Per sapere:
se non ritengano urgente e necessario un intervento a sostegno dei produttori della pianura Padana colpiti dalle recenti calamità naturali, che hanno interessato sia le colture ortofrutticole sia i seminativi, soia e mais, con danni che in alcune zone hanno raggiunto il cento per cento della produzione;
se non ritengano opportuno investire immediatamente gli assessorati regionali all'agricoltura per una rapida delimitazione e verifica dei danni, anche per consentire l'erogazione delle integrazioni al reddito previste dalla riforma della politica agricola comunitaria, e se non ritengano di adeguare le disponibilità finanziarie del fondo di solidarietà nazionale per far fronte a tali esigenze.
(3-01323)
(2 luglio 1997)

de GHISLANZONI CARDOLI. - Al Ministro per le politiche agricole. - Per sapere - premesso che:
nella giornata di lunedì 16 giugno 1997 violenti fenomeni temporaleschi, accompagnati da forte vento e grandine di straordinaria intensità, hanno causato ingenti danni alle colture agricole nel basso pavese, nella zona di Stradella e nella Lomellina orientale;
in particolare, i maggiori danni si registrano nei comuni di San Zenone, Corteolona, Zerbo, Costa de' Nobili, Spessa, Torre de' Negri, Albaredo, Portalbera, San Cipriano, Sannazzaro de' Burgondi, Scaldasole, Ferrera Erbognone, Pieve Albignola, Mezzana Bigli;


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nella notte tra il 16 e il 17 giugno 1997 ulteriori danni si sono registrati nei comuni di Rivanazzano e Voghera a causa di un violento nubifragio;
in seguito a detti eventi atmosferici, risulta gravemente compromesso ogni tipo di raccolto agricolo (frumento, mais, pomodoro, barbabietole, uva e frutta di ogni tipo);
nelle zone interessate tali danni si aggiungono a quelli provocati nei mesi scorsi da un lungo periodo di siccità, accompagnato da gelate improvvise -:
se non ritenga opportuno dichiarare immediatamente lo stato di calamità naturale per le zone colpite dai disastrosi fenomeni atmosferici e favorire l'accesso, da parte degli agricoltori, alle provvidenze previste dalla legge n.185 del 1992.
(3-01335) (7 luglio 1997)

LOSURDO. - Al Ministro per le politiche agricole. - Per sapere - premesso che:
il giorno 16 giugno 1997 e nei giorni successivi la provincia di Pavia è stata colpita da violenti temporali, caratterizzati soprattutto da intense grandinate con chicchi di grosse dimensioni; i danni maggiori si sono verificati nelle zone di Pavia, nella cosiddetta Bassa pavese, in Lomellina e nel Vogherese, soprattutto con riguardo alle coltivazioni agricole tipiche delle zone, quali mais, barbabietole e frumento -:
quali interventi intenda adottare in proposito e, soprattutto, se non ritenga di dover dichiarare lo stato di calamità, sussistendo nella fattispecie i requisiti richiesti dalla legge n.185 del 1992.(3-01339)
(8 luglio 1997)

D) Interrogazione:

RALLO. - Al Ministro della sanità. - Per sapere - premesso che:
esiste in località Torrebianca del comune di Erice il presidio ospedaliero «Rocco La Russa» (in passato adibito a sanatorio antitubercolare dell'Inps), immobile di grande pregio e valore, ubicato in una zona salubre e perfettamente idonea ad ospitare strutture ospedaliere, costituito da un edificio di quattro piani per complessivi ottomila metri quadrati e da un grande parco di circa sessantamila metri quadrati;
nel 1986, al fine di utilizzare detto presidio ospedaliero per allocarvi alcuni reparti dell'ospedale provinciale «Sant'Antonio Abate» di Trapani, che non trovavano (e non trovano tuttora) decente sistemazione per gravissime carenze di spazio, considerato anche che i due immobili facevano capo al medesimo ente ospedaliero, «Sant'Antonio Abate e Rocco La Russa», il comitato di gestione della Usl n.1 di Trapani deliberava di procedere ad una profonda ristrutturazione (ivi compreso un modesto ampliamento) del presidio ospedaliero «Rocco La Russa» ed indiceva la gara per la progettazione e l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione dell'immobile, utilizzando i finanziamenti in conto capitale concessi dall'assessorato regionale alla sanità, per l'importo complessivo di lire 11.066.000.000; il sistema prescelto era quello dell'appalto-concorso, essendosi in presenza di una progettazione che comportava complesse opere di impiantistica speciale;
effettuata la gara, aggiudicata alla ditta risultava vincitrice (con provvedimenti regolarmente dichiarati esecutivi dall'organo di controllo), registrato il relativo contratto, erogata anche la prevista anticipazione del dieci per cento dell'importo netto di appalto da corrispondere all'impresa aggiudicataria ai sensi della legge regionale n.21 del 1985, i lavori iniziavano regolarmente;
ad un certo punto (erano ormai trascorsi cinque anni dalla indizione della gara), quando sembrava che la vicenda fosse avviata a soluzione e che le istituzioni sanitarie del luogo potessero sperare nella prossima fruizione di un immobile che avrebbe potuto risolvere molti degli annosi problemi logistici, si verificavano


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due fatti strani: il parere negativo espresso dal comune di Erice sul progetto riguardante l'opera e l'invito rivolto dall'assessorato regionale della sanità alla Usl n.1 ad annullare l'aggiudicazione della gara, giusta parere dell'ufficio legale della presidenza della regione siciliana, che riteneva illegittima la procedura dell'appalto-concorso;
era strano che il comune di Erice rigettasse il progetto, contestando il contrasto con lo strumento urbanistico unitatamente al modesto ampliamento previsto, giacché per casi del genere, considerato l'evidente pubblico interesse, poteva agevolmente essere deliberata dal consiglio comunale una variante allo strumento urbanistico, da sottoporre poi all'approvazione dell'assessorato regionale al territorio e ambiente;
era strano che l'assessorato regionale alla sanità e l'ufficio legale della presidenza della regione eccepissero l'illegittimità dell'appalto-concorso, ignorando che le complesse opere di impiantistica speciale consentivano (secondo alcuni, addirittura, imponevano) il ricorso a tale sistema di gara;
nel 1994, infine, la Usl n.1 di Trapani, aderendo a quanto disposto dall'assessorato regionale alla sanità, procedeva all'annullamento della delibera di aggiudicazione della gara, con ciò dando l'avvio ad un contenzioso con la ditta aggiudicataria che potrebbe riservare amare sorprese per la pubblica amministrazione;
dopo la sospensione dei lavori (20 gennaio 1992), l'edificio del presidio ospedaliero «Rocco La Russa» è divenuto facile preda di vandali e di saccheggiatori, i quali hanno asportato tutto l'asportabile, danneggiando inoltre gli infissi e le strutture stesse, al punto da lasciare temere addirittura che, nel giro di poco tempo ancora, l'immobile possa essere non più recuperabile ad una civile fruizione; e ciò mentre le strutture sanitarie del territorio Trapani-Erice sono concentrate praticamente nel solo «Sant'Antonio» oltre ogni limite di sopportabilità di tale struttura, come evidenziato tra l'altro in precedenti atti ispettivi presentati dal sottoscritto;
frattanto, i finanziamenti destinati alla ristrutturazione del «Rocco La Russa» sono stati stornati a favore di iniziative diverse, mentre la bozza del piano regionale della sanità semplicemente ignora l'esistenza di quell'immobile -:
quali iniziative intenda attuare direttamente e quali d'intesa con i competenti uffici della Regione siciliana per accertare se nell'intera vicenda i comportamenti della pubblica amministrazione siano stati esenti da pecche e, in ogni caso, per sottrarre il presidio ospedaliero «Rocco La Russa» alla devastazione e renderlo alla fruizione degli utenti della sanità pubblica; se non ritenga inoltre di sottoporre il caso alla speciale Commissione parlamentare d'inchiesta sulle strutture sanitarie. (3-00187)
(2 agosto 1996)

E) Interrogazione:

GASPARRI. - Ai Ministri della sanità e di grazia e giustizia. - Per sapere - premesso che all'interrogante risultano i seguenti fatti:
con delibera n.1643 del 1995, l'azienda sanitaria locale di Rimini e Riccione ha nominato direttore amministrativo il dottor Falcini, malgrado questi non avesse i requisiti richiesti dall'articolo 5 del decreto legge n.411 del 1995. Al fine di poter effettuare tale nomina, lo stesso direttore generale dell'ente, dottor Domeniconi, avrebbe attribuito alla casa di cura San Lorenzino di Cesena un numero di posti letto autorizzati superiore a quello ufficialmente risultante. Inoltre, non risulta che la società Axiter spa, alle cui dipendenze il dottor Falcini ha lavorato dal 1989 al 1993 e che è stata computata dal direttore generale fra i requisiti per la nomina, possa rientrare fra le attività previste dalla legge per poter concorrere all'incarico;


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potrebbero essere ipotizzabili vari reati da parte del direttore generale dell'azienda, in quanto questi avrebbe operato una gestione del personale con criteri di discriminazione politica e forti disparità nel trattamento: ad esempio, a suo tempo non ha volutamente rimosso dall'incarico di direttore amministrativo del presidio ospedaliero riminese il ragionier Francesco Tassinari, condannato da un tribunale fuori dal territorio riminese ad un anno e sei mesi di reclusione per falso in atto pubblico, mentre non ha esitato a sospendere dalle loro funzioni altri dirigenti, anche apicali, in quanto destinatari di avvisi di garanzia; non attiva alcun provvedimento verso dirigenti amministrativi che hanno violato l'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n.3 del 1957, mentre ha rimosso addirittura dal settore medico dell'Arpa un titolatissimo dirigente apicale solo perché questi ostacolava le facili gare relative alle miliardarie forniture di reagenti chimici; ha rimosso, senza giustificazione alcuna, dalle loro legittime funzioni, acquisite con concorsi, titoli e curricula, dirigenti di alto livello, medico o amministrativo, come la dottoressa Kinigù, l'economo Carabini, l'ingegner Frassini ed i dottori Motulese e Beverini, destinandoli ad uffici dove la loro professionalità non viene riconosciuta, con il risultato di aver un contenzioso legale ed amministrativo notevole e di screditare il servizio pubblico a favore di quello privato;
tutti i primari dell'azienda a suo tempo si sono costituiti in organo permanente al fine di avere un maggior ruolo nelle scelte tecnico-sanitarie dalle quali il dottor Domeniconi li ha esclusi, costringendo alle dimissioni l'ex direttore sanitario;
uno dei revisori dell'azienda, il dottor Eligio Sarti, nominato dalla ragioneria generale dello Stato, ha denunciato in verbali agli atti l'operato amministrativo e gestionale del direttore generale al ministero del tesoro, visto che risulta nei bilanci dell'amministrazione sanitaria riminese un «buco» di circa trenta miliardi, che i cittadini saranno chiamati a ripianare con le nuove tasse regionali;
malgrado questa gravissima situazione finanziaria, che coinvolge anche precise responsabilità della regione Emilia-Romagna, si continuano a sperperare cifre ingenti per attività clientelari, come l'ammissione a ruoli dirigenziali amministrativi di alcuni dipendenti della ex Usl n.41 che, malgrado la mancanza di titoli (lauree ed anzianità), furono dichiarati vincitori e nominati in ruolo, omettendo l'azienda Usl di Rimini di sollecitare la decisione di merito da parte del Tar. Si rileva anche come il direttore generale, in spregio alla gravità della situazione, abbia avocato a sé la responsabilità dell'ufficio stampa e relazioni con il pubblico, al solo scopo di affidare ad una ditta a lui vicina le attività stampa, incarico ripetutamente prorogato senza alcuna trattativa privata e in violazione della legge n.50 del 1994. Si rileva ancora che sussistono forti sospetti sulla gestione e sui costi di vari appalti, anche recenti, sia relativi a lavori edili sia inerenti all'acquisto di materiale e servizi, il tutto a costi fuori dai parametri di mercato ed in alcuni casi con l'acquisto di prodotti non conformi ai macchinari esistenti, e perciò inutilizzabili;
risulta in corso una inchiesta presso la procura della Repubblica di Firenze volta a verificare i motivi per i quali la procura della Repubblica di Rimini non abbia proceduto in atti contro alcuni ex giudici, medici ed analisti per il ruolo da questi svolto nel cosiddetto «scandalo delle provette d'oro», con cui si è cercato di coinvolgere la comunità di San Patrignano nel miliardario giro dei furti di reagenti chimici, e per gli atti illegittimi messi in atto da questa lobby trasversale al fine di controllare le nomine all'interno del laboratorio di analisi;
risulta all'interrogante che il dottor Chicchi, dirigente del centro trasfusionale, avrebbe occupato, in virtù della propria parentela con il sindaco di Rimini, importanti aree operative esterne alle proprie funzioni e competenze, come le diagnosi

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su epatiti, allergie, eccetera, mentre sono restate vacanti le relative posizioni mediche;
risultano essere in corso altre due inchieste presso la procura della Repubblica di Rimini, una per gli appalti nei servizi di soccorso ed ambulanze e l'altra sul sindaco Chicchi, presumibilmente per avere questi omesso atti d'ufficio a seguito di segnalazioni dell'ufficio ambientale -:
se il Ministro della sanità non ritenga utile ed urgente disporre un'ispezione tecnico-amministrativa presso l'azienda sanitaria locale di Rimini, attivando anche il procuratore regionale della Corte dei conti della sezione giurisdizionale per la regione Emilia-Romagna, al fine di verificare le varie responsabilità nel disastro finanziario della Usl riminese;
quali iniziative il Ministro di grazia e giustizia ritenga utile ed opportuno avviare vista l'inerzia del procuratore della Repubblica di Rimini, che l'interrogante ritiene un organo giurisdizionale ormai screditato per la propria contiguità con il potere politico riminese e per i provvedimenti disciplinari attivati presso il Consiglio superiore della magistratura.
(3-00697)
(5 febbraio 1997)