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La seduta, sospesa alle 19,15, è ripresa alle 19,30.
PRESIDENTE. Passiamo allo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sull'incidente verificatosi oggi nell'ospedale da campo «Taurinense» a Valona.
GIOVANNI RIVERA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, onorevoli deputati, questa mattina a Valona alle ore 9,15 circa si è verificata una esplosione in un locale adibito a deposito di materiali e attrezzature per lavori di ordinaria manutenzione sito nell'area dell'ospedale da campo «Taurinense».
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Romano Carratelli. Ne ha facoltà.
DOMENICO ROMANO CARRATELLI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la vicenda di questo giovane alpino che perde la vita per un incidente che forse poteva essere evitato e nel quale altri tre soldati - Francesco Seminara, Paolo Spagnolo e Sergio Chiaramello - rimangono feriti è uno di quegli avvenimenti che lasciano, da un lato, un senso di frustrazione e, dall'altro, una profonda commozione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Giannattasio. Ne ha facoltà.
PIETRO GIANNATTASIO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, a nome del gruppo di forza Italia esprimo il mio più vivo cordoglio per la perdita dell'alpino Vaira e per quanto è accaduto ai nostri militari, di cui due sono militari di leva. Non posso fare a meno di esprimere il più grande dispiacere di fronte a queste perdite di soldati di leva, perché ci troviamo di fronte al caso in cui forse queste perdite potevano essere evitate se fossimo riusciti ad avere quei contingenti di volontari che, proprio per la loro volontarietà e per i corsi di addestramento che svolgono, nonché per l'esperienza che acquisiscono con questo addestramento,
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ruffino. Ne ha facoltà.
ELVIO RUFFINO. Signor Presidente, esprimiamo anche noi il più sincero cordoglio per la famiglia del giovane caduto in Albania, ai genitori, alla sorella e al fratellino di Diego Vaira, ed auguriamo una pronta e completa guarigione ai tre soldati feriti, Francesco Seminaro, Paolo Spagnolo e Sergio Chiaramello.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Comino. Ne ha facoltà.
DOMENICO COMINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, anche a nome dei colleghi del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, desidero porgere alla famiglia Vaira le mie più sentite condoglianze per la tragica e prematura scomparsa del figlio Diego, alpino di leva impegnato nella missione militare in Albania.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.
MARIO TASSONE. Anche a nome dei miei colleghi deputati del CDU, esprimo alla famiglia Vaira le più sentite condoglianze, un grande cordoglio, un grande vuoto per questo dramma che colpisce ancora le forze armate e soprattutto un giovane. Esprimo anche la mia solidarietà ai feriti, con un augurio di pronta guarigione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Leccese. Ne ha facoltà.
VITO LECCESE. Signor Presidente, anche i deputati verdi si uniscono all'espressione di cordoglio per i familiari del giovane Diego Vaira e di solidarietà per gli altri militari coinvolti in questo incidente, che ha dell'incredibile. Forse, come hanno detto alcuni colleghi, tale incidente poteva essere evitato, ma saranno ovviamente l'indagine e gli accertamenti successivi a chiarirci meglio la dinamica dell'incidente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pozza Tasca. Ne ha facoltà.
ELISA POZZA TASCA. Presidente, nel breve minuto a mia disposizione non voglio esprimere solo la mia partecipazione al dolore della famiglia del giovane Vaira, ma anche manifestare il mio cordoglio a quella famiglia più grande che è la forza militare di protezione, che ho conosciuto in Albania in questi giorni.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Nardini. Ne ha facoltà.
MARIA CELESTE NARDINI. Signor Presidente, a titolo personale e a nome del gruppo di rifondazione comunista-progressisti esprimo la mia partecipazione al dolore della famiglia del giovane caduto. La nostra è una posizione di grande rigore morale e di profondo dolore a fronte della morte di un giovane militare.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, ritengo anch'io che sia opportuno tacere, lo dico chiosando l'intervento testé conclusosi, perché mi sembra davvero di dubbio gusto commemorare un ragazzo che oggi ha perso la vita nell'adempimento del suo dovere con delle motivazioni di carattere politico che oggi sono veramente fuori luogo e stonate.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.
CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, desidero associare il gruppo del centro cristiano democratico al cordoglio per la perdita di un giovane ed aggiungere una considerazione. Devo dire che in questo Parlamento a volte sfioriamo livelli di grottesco difficilmente immaginabili. Faccio riferimento ad alcuni interventi di colleghi i quali, pur prendendo spunto da un fatto luttuoso, hanno fatto una serie di speculazioni di tipo politico.
PRESIDENTE. È così esaurita l'informativa urgente del Governo sull'incidente verificatosi oggi nell'ospedale da campo «Taurinense» a Valona.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sul sistema radiotelevisivo.
ALBERTO LEMBO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ALBERTO LEMBO. Presidente, non mi pare che le cose stiano esattamente in questo modo: non mi pare che gli altri argomenti all'ordine del giorno siano stati tutti esauriti. Le chiederei di verificare e di procedere secondo quanto previsto. Se poi si vuole chiedere un'inversione dell'ordine dei lavori, è un altro discorso; ma non mi risulta che i provvedimenti da affrontare siano stati esauriti, secondo quello che era l'ordine del giorno della seduta odierna.
PRESIDENTE. Onorevole Lembo, nella Conferenza dei presidenti di gruppo si era stabilito che nella seduta notturna si sarebbe svolta la discussione sulle linee generali sul provvedimento che ho testé annunciato. Precedentemente deve intendersi esaurita la sessione pomeridiana e, con la stessa, anche le votazioni; tant'è vero che l'onorevole Acquarone aveva già dichiarato scaduto il termine delle votazioni.
ALESSANDRO CÈ. Ma cosa sta dicendo, Presidente?
PRESIDENTE. Dichiaro... (Commenti del deputato Cè).
ALESSANDRO CÈ. Ci sono delle regole alla Camera e bisogna rispettarle (Commenti del deputato Lembo)!
PRESIDENTE. Onorevole Lembo, mi perdoni, ma lei forse non era in aula quando l'onorevole Acquarone aveva chiaramente annunciato che questo sarebbe stato il prosieguo dei nostri lavori. E quindi io sto facendo quanto è stato già annunciato alla Camera! Se lei non era presente in aula, questo mi dispiace, però in questo momento noi apriamo la seduta notturna in cui era espressamente previsto che avremmo svolto la discussione sulle linee generali del disegno di legge n.3755.
sinistra democratica-l'Ulivo: 1 ora e 6 minuti;
Il relatore per la VII Commissione, onorevole Giulietti...
DOMENICO COMINO. Presidente!
PRESIDENTE. Che cosa c'è, onorevole Comino?
DOMENICO COMINO. Intervenendo sull'ordine dei lavori, vorrei sapere a che titolo lei abbia arbitrariamente invertito l'ordine del giorno della seduta odierna per portare in discussione un provvedimento che era all'ultimo punto dell'ordine del giorno odierno, quando questa Assemblea si è pronunciata su una inversione specifica che riguardava la discussione e l'eventuale conversione dei tre decreti-legge, precedentemente esaminati; successivamente, si sarebbe dovuto procedere al ripristino dell'ordine del giorno originario, così come è stato confermato dalle dichiarazioni del Vicepresidente di turno, onorevole Acquarone, che in tal senso si è pronunciato in quest'aula.
PRESIDENTE. Onorevole Comino, non posso accedere alla sua richiesta perché il fatto che noi avremmo proceduto in questo modo è già stato stabilito dall'onorevole Acquarone quando tutti i colleghi, anche degli altri gruppi, erano presenti in aula assieme a quelli del suo gruppo.
ALESSANDRO CÈ. Io ero presente al banco del Comitato dei nove e Acquarone non si è espresso in questo modo!
PRESIDENTE. Onorevole Cè, lei non ha la parola, si segga!
ALESSANDRO CÈ. Lei non può fare quello che vuole in quest'aula!
PRESIDENTE. E lei non può urlare in quest'aula. Onorevole Cè, la prego, si accomodi e si comporti come si conviene!
ALESSANDRO CÈ. La seduta notturna era prevista per le 20,30. Allora aggiorniamoci alle 20,30! Lei non è depositario del regolamento, Presidente!
PRESIDENTE. Prego, onorevole Giulietti.
GIUSEPPE GIULIETTI, Relatore per la VII Commissione. Il disegno di legge che discutiamo questa sera, che riguarda il riordino del sistema radiotelevisivo, è un provvedimento assai atteso e concerne non solo, e non più solo, il sistema televisivo in senso classico, ma il sistema delle telecomunicazioni. Ci si pone infatti l'obiettivo di chiudere una lunga fase di conflitto e di aprire la strada ad un processo di liberalizzazione e di integrazione anche nel settore delle telecomunicazioni.
GIACOMO CHIAPPORI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIACOMO CHIAPPORI. Presidente, stiamo discutendo un tema molto importante, relativo alle telecomunicazioni, ma credo che sia altrettanto importante l'audizione, presso la X Commissione, sull'IRI e quindi sulla Finmeccanica. Considerato l'argomento trattato nella X Commissione e poiché si parla dell'Ansaldo, dell'Oto Melara e via dicendo, che sono una grossa parte dell'IRI e della Finmeccanica, oggi rappresentate da Tedeschi in Commissione, credo che sia mio diritto chiedere che o l'Assemblea o la Commissione vengano sconvocate.
PRESIDENTE. Onorevole Chiappori, la riunione della X Commissione è stata
GIACOMO CHIAPPORI. Presidente, l'ordine del giorno dell'Assemblea, però, non era questo e quindi, evidentemente, è stata autorizzata la seduta della Commissione. Ora è cambiato l'ordine del giorno dell'Assemblea e quindi dovrebbe essere cambiato...
PRESIDENTE. No, onorevole Chiappori, non è cambiato l'ordine del giorno dell'Assemblea!
GIACOMO CHIAPPORI. Presidente, oggi abbiamo fatto o no un'inversione dell'ordine del giorno?
PRESIDENTE. Mi perdoni, onorevole Chiappori.
GIACOMO CHIAPPORI. Quando?
PRESIDENTE... proprio perché l'ordine del giorno dell'Assemblea prevedeva per la fase notturna della seduta una discussione sulle linee generali, non votazioni.
GIACOMO CHIAPPORI. Quindi in quell'occasione è stata autorizzata la seduta della Commissione?
PRESIDENTE. Era stabilito che questa sera in aula si sarebbe svolta la discussione sulle linee generali di questo disegno di legge.
GIACOMO CHIAPPORI. Mi scusi, Presidente, ma vorrei sapere se in quella occasione avete autorizzato la riunione della Commissione.
PRESIDENTE. Onorevole Chiappori, mi sembra di essere stato chiaro: non possiamo tornare perennemente sugli stessi argomenti!
ERNESTO STAJANO, Relatore per la IX Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, con il disegno di legge che oggi viene sottoposto all'Assemblea si conclude una fervida stagione di impegno e di lavoro che ha consentito di porre due punti fermi definitivi in ordine al sistema delle telecomunicazioni in Italia.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
ANTONIO MACCANICO, Ministro delle poste e delle telecomunicazioni. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Landolfi. Ne ha facoltà.
MARIO LANDOLFI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, purtroppo non posso esprimere lo stesso ottimismo dei relatori. Disegno di modernizzazione, fine di un conflitto, fine del monopolio: riecheggiano le stesse espressioni di entusiasmo che questa Assemblea ha ascoltato quando fu varata la legge Mammì. Anche allora si parlò di fine del far west dell'etere e si inneggiò alla fine del monopolio televisivo, peraltro già abbondantemente eroso dalla giurisprudenza costituzionale. Subito dopo, però, gli stessi che avevano inneggiato al varo di quella legge ne divennero i più accaniti censori, imputandole tutti i mali, i guasti e le storture del sistema dell'informazione radiotelevisiva nazionale.
PRESIDENTE. Onorevole Landolfi, poiché il tempo della discussione è contingentato, il tempo in più che lei «ruba» viene sottratto a quello complessivamente attribuito al suo gruppo.
MARIO LANDOLFI. Dicevo che anche questa è una pagina che noi vogliamo archiviare, ministro, perché ci sarebbe piaciuto - proprio perché si parlava di politica industriale - poter arrivare ad equiparare le aziende italiane, pubbliche e private, per farle partecipare tutte alla realizzazione della piattaforma digitale, senza situazioni e condizioni di privilegio! In tale settore si registra invece un «doppiopesismo» che non ci convince e che suona male alla luce della sfida - importantissima e fondamentale - tecnologica e culturale che il paese deve affrontare ed eventualmente combattere. In questo mondo e in questo settore si fronteggiano dei «giganti» e sarebbe un guaio se noi ci presentassimo con i muscoli di un lattante (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Merlo. Ne ha facoltà.
GIORGIO MERLO. Signor Presidente, signor ministro, è ormai quasi un anno che il disegno di legge sulle telecomunicazioni è in discussione e finalmente questo importante e decisivo provvedimento arriva all'esame della Camera. Un provvedimento che innesca un meccanismo di irreversibile liberalizzazione - lo ricordava il relatore Giulietti, che ringrazio, insieme al relatore Stajano, per il lavoro svolto in Commissione - del comparto delle telecomunicazioni e soprattutto favorisce e promuove la piena integrazione degli operatori italiani nei mercati europei ed internazionali.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bosco. Ne ha facoltà.
RINALDO BOSCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, è davvero un peccato parlare in un'aula semideserta. Se anche avessi l'intenzione di convincere qualcuno magari a cambiare idea, sarebbe molto difficile. Come dicevo, è un peccato, perché quello su cui discutiamo è un argomento molto importante.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Panattoni. Ne ha facoltà.
GIORGIO PANATTONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, il disegno di legge che stiamo portando all'attenzione di questa Assemblea è di grande rilevanza, di quelli che segnano un momento importante nella vita di un paese.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Panattoni.
GIORGIO PANATTONI. Ma anche con l'augurio...
PRESIDENTE. Onorevole Panattoni, mi perdoni...
GIORGIO PANATTONI. Presidente, sono l'unico deputato del mio gruppo che è iscritto a parlare!
PRESIDENTE. Sì, lo so, ma il tempo previsto dal regolamento per gli interventi nella discussione sulle linee generali è di trenta minuti per ogni deputato. Quindi, è vero che lei non sta sottraendo del tempo ai suoi «successori»...
GIORGIO PANATTONI. Che non ci sono!
PRESIDENTE. ...ma sta andando oltre il tempo previsto dal regolamento. La invito pertanto a concludere!
GIORGIO PANATTONI. Ho concluso.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Romani. Ne ha facoltà.
PAOLO ROMANI. Signor Presidente, signor ministro, colleghi (pochi per la verità: nella solita compagnia di giro che abitualmente va ai convegni; questa sera però vi è un minore ascolto di quello che abitualmente riusciamo a raccogliere nei convegni esterni), prima di entrare nel merito del provvedimento, volevo sottolineare alcuni punti che potrebbero disegnare e definire la cornice all'interno della quale andiamo ad inserire il grande mondo della comunicazione, che stiamo cercando di regolare con la legge al nostro esame.
PAOLO GALLETTI. Però qualcuno deve votarlo quell'ordine del giorno!
PAOLO ROMANI. Io ho fatto una chiacchierata informale con il ministro, il quale mi ha proposto un punto di mediazione cui forse la tarda ora della notte ci ha consentito di accedere, nonostante il nostro disaccordo iniziale e su questo punto siamo riusciti ad andare avanti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.
PAOLO GALLETTI. Signor Presidente, colleghi, signor ministro, in apertura del mio intervento voglio fare una dichiarazione a nome dei parlamentari verdi dell'Ulivo perché vorrei che anche il Governo l'ascoltasse con attenzione e ho timore di dimenticarmi di farla in conclusione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bocchino. Ne ha facoltà.
ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, interverrò per pochi minuti, solo per aggiungere alcune considerazioni a quanto già detto dal collega Landolfi e a quanto diranno i colleghi Urso e Butti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rogna. Ne ha facoltà.
SERGIO ROGNA. Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, parlo a nome del gruppo dei popolari e democratici. Il mio collega che ha parlato precedentemente, l'onorevole Merlo, si è occupato in particolare del settore delle telecomunicazioni. Io mi soffermerò invece più sul settore, sul versante televisivo. Queste sono le due competenze dell'autorità che la legge in esame presso questo ramo del Parlamento si appresta a varare.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Luca. Ne ha facoltà.
ALBERTO DI LUCA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, signor sottosegretario, la materia legislativa in tema di telecomunicazioni, sia a livello europeo sia italiano, è vasta e complessa. Sin dalla sua nascita questo settore si è basato su tecnologie che hanno portato alla definizione del mercato in termini di monopolio.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Butti. Ne ha facoltà.
ALESSIO BUTTI. Signor Presidente, ho preso qualche appunto ascoltando alcuni autorevoli interventi di colleghi che mi hanno preceduto. Visto il contingentamento dei tempi, per lasciare spazio anche al collega Urso, entro immediatamente nel merito di alcuni particolari.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Urso. Ne ha facoltà.
ADOLFO URSO. Presidente, speravo di poter intervenire prima, come era previsto nell'elenco delle iscrizioni a parlare, ma evidentemente è successo qualcosa che mi ha fatto scivolare in fondo all'elenco.
PRESIDENTE. Onorevole Urso, il motivo per cui lei è slittato nell'ordine degli iscritti a parlare sta nel fatto che l'onorevole Bocchino ha proposto alla Presidenza questo scambio. Naturalmente io pensavo che lei fosse consenziente; la sua garbatissima protesta mi fa dubitare che così fosse. Le chiedo scusa...
ADOLFO URSO. Io non ero intervenuto né avevo sollecitato precisazioni in merito, perché non volevo mettere in imbarazzo colui al quale avevo detto prima che invece l'ordine andava rispettato. Poiché la persona che aveva ascoltato questa cosa non ha avuto il garbo di venire da me a chiedermi scusa per l'errore che ha commesso nel non comunicarle questo, sono stato costretto ad intervenire pubblicamente e di ciò mi dispiace.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
In base alla prassi seguita in tali circostanze, sull'informativa potrà intervenire un deputato per gruppo per non più di cinque minuti.
Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per la difesa.
La causa dell'esplosione è ancora in corso di accertamento ma, allo stato dei fatti, sembra riconducibile alla manipolazione di un ordigno esplosivo non italiano, probabilmente una bomba da mortaio di fabbricazione cinese.
L'accidentalità dell'esplosione ha trovato conferma nelle prime testimonianze raccolte e negli accertamenti svolti da una squadra specializzata di carabinieri intervenuti su ordine del generale Luciano Forlani, comandante della forza multinazionale di protezione.
Nell'esplosione ha perso la vita l'alpino Diego Vaira, nato il 24 ottobre 1977 a Fossano, in provincia di Cuneo, ed in servizio di leva al reparto di sanità «Taurinense», con incarico di motorista per gruppi elettrogeni.
Sono inoltre rimasti feriti, all'esterno del locale, il maresciallo capo Francesco Seminara, nato ad Agira, in provincia di Caltanissetta, il 18 gennaio 1961, effettivo al reparto di sanità «Taurinense» con incarico di elettrogenista, il quale ha riportato una ferita alla mano sinistra; il caporal maggiore Paolo Spagnolo, nato ad Avellino il 30 aprile 1973, volontario in ferma breve presso il reparto di sanità «Taurinense» con incarico di aiutante di sanità, il quale ha riportato una lieve ferita lacerocontusa all'avambraccio sinistro; il caporale Sergio Chiaramello, nato a Savigliano, in provincia di Cuneo, il 26 luglio 1977, in servizio di leva al reparto di sanità «Taurinense» con incarico di elettricista, il quale ha riportato lievi ferite in varie parti del corpo.
La salma dell'alpino Vaira è stata ricomposta e trasferita all'aeroporto di Tirana per il successivo rientro in patria.
Sull'accaduto è stata aperta un'inchiesta e sono tuttora in corso indagini per stabilire l'esatta dinamica dell'incidente, mentre le competenti autorità giudiziarie, ordinaria e militare, sono state informate dai carabinieri.
Desidero unirmi, a nome del Governo, alle espressioni di cordoglio già manifestate da questa Assemblea e rivolgo un sincero pensiero di umana solidarietà ai familiari del giovane Vaira, partecipando al loro dolore.
La missione «Alba» ha avuto nella sua evoluzione una serie di incidenti, più o meno gravi, ma questo è probabilmente quello di maggiore significato. Pare assai importante sottolineare e richiamare l'attenzione del Parlamento sul fatto che questo soldato, come gli altri che sono rimasti feriti in questa circostanza, apparteneva alla brigata alpina «Taurinense» ma al reparto sanitario; erano cioè quelli con maggiore partecipazione, con maggiore senso civico, con maggiore solidarietà nei confronti di una comunità che non apparteneva a loro, ma che apparteneva però ad una concezione ampia dell'essere umano; l'appartenere a questo reparto sanitario rende più amara la constatazione di questo incidente.
Non abbiamo elementi per non ritenere che le notizie forniteci dal sottosegretario Rivera rispondano a verità ed attendiamo anche noi lo svolgersi dell'indagine disposta opportunamente dalle autorità per trarre valutazioni e convincimenti. L'occasione però non può essere sottaciuta né ignorata. Ci pare assai importante che il Parlamento, le forze politiche in esso presenti esprimano in questa vicenda il loro cordoglio e la loro partecipazione al dolore. In questo senso anche noi vogliamo rivolgere alle famiglie del giovane Vaira e degli altri feriti, nonché all'intero corpo, i sensi della nostra partecipazione al loro dolore.
forse avrebbero potuto comportarsi con maggiore cautela di fronte a questi ordigni rinvenuti. Non conosciamo ancora la dinamica del fatto, come ci ha detto l'onorevole Rivera, ma egli ci ha comunicato che i soldati erano in un magazzino in cui si trovava questa bomba di mortaio e dove evidentemente ci si è avvicinati all'ordigno senza la dovuta esperienza e quindi si è provocata l'esplosione.
Ma tornando al fatto di aver dovuto inviare dei militari di leva, perché evidentemente non erano sufficienti i contingenti dei volontari, dobbiamo riandare a monte e rivedere la finanziaria del 1993, in cui era previsto un impegno del Governo ad emanare un regolamento che consentisse a coloro i quali scelgano il volontariato nelle Forze armate di ottenere al termine di questi anni di volontariato qualcosa che non li ributtasse nella disoccupazione. Oggi ci troviamo a non poter reclutare volontari nelle Forze armate perché a questi garantiamo solamente un precariato. Ebbene, proprio la finanziaria del 1993, la legge n.537, all'articolo 3, comma 65, dispone che il Governo si impegna entro 60 giorni ad emanare un regolamento per offrire a questi volontari una possibilità di passare nelle forze di polizia, in maniera da non ritornare nella disoccupazione dopo otto anni di servizio. Signori, dal 1993 ad oggi sono passati quattro anni; questo regolamento che è stato promesso non ha trovato ancora applicazione e noi, potendo reclutare oltre 42 mila volontari a ferma prolungata oppure a ferma effettiva, ancora non riusciamo a superare il numero di 11 mila volontari. Allora siamo costretti a ricorrere a soldati di leva.
Dobbiamo fare un esame di coscienza e chiedere al Governo come mai non sia ancora possibile reclutare i volontari e garantire loro un futuro e, soprattutto, perché non sia possibile arrivare alla definizione di un regolamento, che mi risulta essere ancora davanti al Consiglio di Stato. Nel frattempo, nel 1996, abbiamo approvato un decreto-legge con il quale abbiamo istituito il servizio effettivo per la leva, anche questo uno dei provvedimenti che si vanno ad incrociare con le vecchie promesse della finanziaria del 1993.
Sarà bene allora che chi fa le leggi controlli quello che sta avvenendo perché, se avessimo garantito ai volontari la possibilità di avere un lavoro e di non finire nel precariato né di tornare alla disoccupazione, forse avremmo avuto più volontari e forse l'alpino Vaira non sarebbe stato costretto ad andare in Albania per prendere il posto di un altro.
Il tragico incidente conferma come i nostri militari operino in Albania in situazione di difficoltà e di oggettivo pericolo. Ci induce altresì alle verifiche ed alle riflessioni cui poc'anzi ci richiamava l'onorevole Giannattasio e che del resto stiamo affrontando in Commissione difesa con una utile ed ormai quasi conclusa indagine conoscitiva.
Questo incidente è l'ultimo di una serie, per fortuna fino ad oggi nessuno di essi è stato mortale, quasi sempre dovuti a proiettili in ricaduta o ad infortuni stradali. Ricordiamo il recente grave ferimento del militare colpito da una pallottola vicinissima al cuore. Tutto ciò è accaduto nonostante la missione sia stata condotta con grande perizia ed efficacia ed in modo tale da influire decisivamente sulla stabilizzazione concreta, ancorché sempre precaria, della situazione albanese e, al di là delle più ottimistiche previsioni che potevamo fare, badando bene a non coinvolgere le forze internazionali nella guerriglia diffusa provocata dalle bande criminali.
C'era chi, anche in questo Parlamento, ha criticato il rigore nella conduzione
della missione, fermamente gestita all'interno del mandato ONU e di una consapevole valutazione delle reali possibilità. Qualcuno voleva un atteggiamento più aggressivo e rambista, con l'assunzione diretta di compiti di polizia. Qualcun altro si è stupito che al giungere delle nostre truppe non siano cessati per incanto ogni conflittualità ed ogni disordine, compresi i flussi migratori.
Il tragico incidente che è costato la vita al giovane volontario di leva, Diego Vaira, ci richiama alla realtà, e credo debba indurre tutti i gruppi parlamentari ad una maggiore consapevolezza nella discussione in quest'aula, nella quale spesso si sentono ipotesi spregiudicate ed immaginifiche, avanzate dimenticando le fatiche ed i rischi reali che poi dovranno essere sostenuti concretamente sul campo e ci indurrà - credo e spero - ad un più esatto e pieno apprezzamento della decisiva funzione che svolgono le nostre forze armate nelle missioni di pacificazione.
Abbiamo sentito in quest'aula preconizzare l'inevitabile fallimento della missione in Albania o il suo oggettivo sostegno al presidente Berisha. Dalla parte opposta abbiamo sentito richieste non meditate di maggiore aggressività e determinazione. Per fortuna tutto questo è confluito quasi sempre in un impegno unitario del Parlamento a sostegno della missione, una missione che in realtà ha dimostrato tutta la sua efficacia su una linea di cauta concretezza, da noi molto apprezzata.
Stavamo già valutando i tempi di un rientro nel segno di un sicuro successo quando la tragedia ci ha richiamato a considerare l'alto rischio che corrono i militari italiani e quindi il grande valore che assume, anche in termini morali, la loro presenza in Albania. È un insegnamento tragico e prezioso che questo Parlamento non deve dimenticare troppo presto (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).
Ho sentito parlare di tragedia, di disgrazia, di fatalità. L'alpino Vaira era in forza al reparto aviotrasportato di sanità della brigata alpina «Taurinense», che conosco bene perché ho fatto il servizio militare in quella brigata. Il reparto aviotrasportato di sanità non ha compiti di pronto impiego e la sua operatività è essenzialmente riconducibile all'allestimento e alla gestione di ospedali da campo. Il sottosegretario ha confermato che l'incarico dell'alpino non era propriamente operativo, né lo era quello dei militari coinvolti nell'esplosione.
Allora ci domandiamo: che faceva un ordigno esplosivo in un ospedale da campo? Come mai soldati di leva hanno potuto accedere e maneggiare esplosivi, non avendone né la perizia né la specificità professionale? E perché, in presenza di un ordigno esplosivo, non è stato richiesto l'intervento di personale in grado di maneggiarlo con perizia?
L'impressione che abbiamo è che, al di là delle dichiarazioni di facciata, tutta la missione «Alba» - ce lo testimoniano episodi più o meno recenti - sia stata improntata all'imperizia del Governo, che non si è minimamente capacitato di verificare il livello organizzativo di coordinamento delle forze impiegate. Le responsabilità vanno equamente divise fra chi ha voluto fortemente questa missione militare, per un recupero di credibilità sul piano internazionale, e quelle forze politiche che con il voto favorevole o di astensione l'hanno approvata in quest'aula.
Le parole di circostanza servono a poco. Noi rispettiamo e condividiamo il dolore della famiglia Vaira, ma non vogliamo essere accomunati alle responsabilità di altri. A suo tempo ci pronun
ciammo contro la missione militare in Albania e a distanza di mesi riteniamo che il convincimento che allora avemmo modo di esprimere sia rafforzato dai tragici avvenimenti di cui stiamo discutendo (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Non vorrei che questa circostanza desse la possibilità a qualche forza politica di rimettere in discussione quello che il Parlamento ha deciso per l'Albania e quello che stanno facendo le nostre forze armate. Non credo che sarebbe giusto. Sarebbe un atto spregiudicato, che non possiamo raccogliere e non possiamo accettare, se siamo un Parlamento responsabile e se non attendiamo queste vicende drammatiche e tragiche per esprimere posizioni di parte, posizioni che certamente non hanno nulla a che fare con la politica e con l'impegno del nostro paese.
Farò un'altra considerazione. Più volte noi, anche con qualche polemica, abbiamo chiesto al ministro della difesa e al Governo nel suo complesso che le nostre forze armate si qualificassero sempre di più sul piano professionale. Abbiamo reiteratamente sottolineato questa esigenza soprattutto dicendo che non era possibile mantenere ancora una struttura di leva e forze armate di leva e non ricorrere a strutture professionali.
Ritengo che questo dato debba essere tenuto presente da parte del Governo perché non sappiamo nel dettaglio come si siano svolti i fatti. Indubbiamente, sul piano dell'imperizia e forse della scarsa professionalità dobbiamo pur dire qualcosa: non sono certamente responsabili né la vittima né i feriti, bensì coloro che non si sono preoccupati molto per dare una qualificazione professionale alle nostre forze armate.
Signor sottosegretario, quanto è avvenuto oggi a Valona ricorda drammaticamente un'altra tragica esplosione: quella avvenuta il 24 gennaio 1996 nei locali del battaglione logistico di Sarajevo. In quell'occasione persero la vita il caporal maggiore Gerardo Antonucci e due sottufficiali portoghesi, mentre rimasero feriti sei militari italiani. In quell'occasione l'ordigno venne portato dentro il campo dai portoghesi, per gioco, per un gioco tragico e fatale, ma la sorveglianza era stata affidata agli italiani.
Viene da chiedersi se l'incidente di Sarajevo non sia servito a niente in termini di garanzie, di maggiore sicurezza e prudenza. L'incidente di stamane è accaduto presso l'ospedale da campo Taurianese a Valona; il giovane di leva che è deceduto non aveva alcun incarico operativo ed era stato assegnato all'ospedale, quindi non aveva niente a che fare e a che vedere con gli esplosivi. Forse, come a Sarajevo, si è trattato di un'imprudenza.
Lungi da noi, da me, utilizzare in modo strumentale questa vicenda, questo tragico incidente; sarebbe però il caso, sottosegretario, che questi incidenti servano poi a qualcosa, soprattutto a fare in modo che gli ambienti in cui si svolgono le azioni militari siano dotati di maggiori sicurezze e che episodi di tale imprudenza non abbiano più a ripetersi.
Concludo il mio intervento ribadendo le espressioni di cordoglio per i familiari del giovane Diego Vaira, e la solidarietà per i militari coinvolti.
Mi sono sentita protetta e garantita nel mio ruolo di osservatore OSCE e mi sento di dover testimoniare al paese il ruolo e l'importanza di quanto stanno facendo i nostri soldati in Albania, tenendo alto l'onore della guida e della responsabilità europea affidata loro.
È necessario fare immediatamente chiarezza sulle cause che hanno determinato l'incidente per dare risposte certe ai familiari del giovane Vaira e al paese intero, e per evitare ogni possibile strumentalizzazione dell'accaduto.
Onorevoli colleghi, questa morte viene a portare una nota di tristezza in quella che fino ad oggi è stata una missione di pace esemplare (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Questa vicenda non deve comportare una anticipazione dei tempi rispetto a determinate questioni, perché ciò rappresenterebbe una distorsione dei fatti. Sento già evocare la necessità di apportare modificazioni al servizio di leva. Probabilmente ciò è necessario, tuttavia eventi così tristi ci devono indurre ad una riflessione più approfondita, che non svolgeremo questa sera, perché non valuteremo in questa occasione la «missione Alba».
A nostro parere, infatti, siamo chiamati in tempi brevi a misurarci sul significato di missioni del genere. Credo che il Parlamento si sia già reso conto in questi anni dell'insufficienza delle proprie prerogative di controllo e di indirizzo rispetto alle missioni militari fuori del territorio nazionale anche in caso di proclamazione di stato di emergenza. I normali strumenti di controllo si sono rivelati spesso non in grado di assolvere a questi compiti fondamentali per un Parlamento democratico.
L'Italia si è presentata ai grandi impegni militari all'estero senza che il Parlamento abbia potuto esercitare pienamente il suo ruolo. Dal Libano alla Somalia, dal Mozambico al Ruanda, alla guerra del Golfo, all'operazione Sharp Guard dell'Adriatico, per finire con la Bosnia e l'Albania, le nostre Forze armate sono state impegnate in missioni internazionali delicatissime, che rappresentano parte decisiva della nostra politica estera.
Alle difficoltà di controllo e di indirizzo su missioni che si svolgono fuori dal territorio nazionale si devono sommare quelle inerenti al segreto militare ed alla riservatezza delle operazioni dei nostri contingenti. Se questo secondo aspetto è obbligatorio per garantire l'incolumità dei reparti e l'efficacia delle operazioni, esso pone comunque un problema di controllo di tali atti da parte del Parlamento.
Per conciliare questi aspetti, signor sottosegretario, abbiamo presentato una proposta di legge con la quale si chiede di istituire un comitato di controllo e di indirizzo delle missioni militari fuori dal territorio nazionale. È una delle questioni da porre sul tappeto così come probabilmente si deve tornare a riflettere sul sistema della leva, sulla formazione dei reparti e sulle missioni da svolgere. Si deve partire dal servizio di leva e forse la
mia posizione risulta dissonante in quest'aula, ma ritengo che nelle caserme forse non si dovrebbe solo insegnare ad obbedire e a combattere, ma anche a disobbedire e a non combattere, a riconoscere gli ordini giusti da quelli sbagliati (Commenti dei deputati del gruppo di alleanza nazionale) e a preferire il dialogo all'affermazione della ragione con la forza.
Sono valori che oggi forse nelle caserme non ci sono e quindi dobbiamo sforzarci di dare alle forze militari una nuova formazione culturale volta al rispetto della vita umana. Anche in tal senso mi associo al dolore dei familiari del giovane caduto. Non si tratta solo di inesperienza o di imperizia del militare, molto probabilmente c'è anche qualche cos'altro, su cui in questo momento è opportuno tacere (Applausi).
A nome del gruppo di alleanza nazionale non posso che rinnovare i sensi della partecipazione di tutti noi al dolore dei familiari di Diego Vaira. Personalmente ho fatto parte della Taurinense e quindi sono un commilitone del giovane militare, sia pure ad anni di distanza.
Non posso non ricordare che questa sera si sta svolgendo una cerimonia che tutti avremmo sperato non avesse luogo ma che tutti, votando come ho fatto a favore dell'invio dei nostri ragazzi in Albania, temevamo che prima o poi potesse svolgersi e ci auguriamo che sia l'ultima volta che ciò accade prima del rientro delle truppe addette alla missione.
È indubbio che la missione presenta dei rischi, dei margini di pericolo che oggi si sono mostrati fatali per Vaira e per gli altri ragazzi feriti.
Ritengo però che si debba pretendere, oltre alle condoglianze, una chiarezza assoluta sui fatti. Da come vengono descritti dalle agenzie di stampa e dalla relazione del sottosegretario c'è qualcosa di incomprensibile. Tra l'altro dovrebbe essersi trattato di un proiettile di mortaio, perché le bombe di mortaio non esistono ma, a parte questo, è difficile immaginare che un militare, sia pure di leva, abbia maneggiato con tale imperizia un oggetto potenzialmente pericoloso addirittura con una sega per cercare di tagliarlo. Bisogna indagare a fondo per capire cosa sia effettivamente successo. Inoltre, sempre dai dati, non sembra che questa sia stata un'azione di «guerra» (lo dico tra virgolette) o di rappresaglia, ma una semplice imperizia, comunque un atto che è costato la vita ad una persona.
Sarebbe davvero poco serio ed indebito in questa sede allargare il caso ad un giudizio complessivo sulla missione in Albania e sulle Forze armate. Nessuno di noi vuole soluzioni «rambiste», come ha detto qualcuno, piuttosto chiediamo che vi sia chiarezza sui compiti, sui modi in cui si svolgono all'estero le missioni. Tutti ci chiediamo, per esempio, perché non fossero presenti degli artificieri o più in generale possiamo chiederci se non sia necessario che le nostre truppe all'estero siano composte da uomini non di leva ma professionalmente più preparati ai compiti affidati loro. Qui possiamo affrontare il discorso più ampio relativamente al servizio di leva e all'organizzazione delle Forze armate.
Tutto questo oggi tocca un episodio doloroso ma serve anche a far comprendere la necessità di ricordarsi delle Forze armate prima che si verifichino fatti di questo genere, prevedendo fondi adeguati per poter poi disporre di reparti capaci di intervenire là ove il Parlamento legittimamente chiede che essi intervengano. Non dimentichiamo inoltre che in Albania il controllo del territorio non è come viene fatto credere a molti italiani, specialmente nel sud, che ci sono cioè ancora delle forze che puntano alla disgregazione del
l'Albania e che sono in qualche modo vicine alla nuova forma politica che è andata al potere domenica scorsa.
Queste comunque sono cose che non hanno molta attinenza con l'argomento di cui dobbiamo parlare. Questa sera dobbiamo avere un momento di serena e sofferta partecipazione al dolore di una famiglia, di una città (di Fossano, in provincia di Cuneo), ricordandoci che un ragazzo, una volta di più, compiendo il proprio dovere e non disubbidendo agli ordini, è morto. Questo è ciò che ci tocca in maniera profonda e ci porta ad un momento di riflessione e di silenzio (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Nel nostro paese negli ultimi quattro anni sono morti 1.200 giovani dai diciotto ai ventitre anni sul fronte del divertimento (parlo del problema delle discoteche); ogni settimana muoiono cinque o sei giovani in collegamento ad uno specifico fenomeno. Come è noto giacciono cinque o sei proposte di legge che prendono in esame il problema ma nessuno dei colleghi presenti sembra particolarmente preoccupato. Da una parte dunque ci sono 1.200 morti e dall'altra oggi si verifica un doloroso incidente. Esprimo dunque la mia solidarietà alla famiglia colpita. Ma cogliere questa occasione per intentare, come qualcuno ha fatto, un processo alle Forze armate o per riaprire il discorso sulla missione di pace in Albania è davvero fuori luogo. Ribadisco ancora una volta il cordoglio del gruppo del CCD e qui mi fermo.
Avverto che le Commissioni VII (Cultura) e IX (Lavoro) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Che cosa succede, onorevole Cè?
Dichiaro pertanto aperta la discussione sulle linee generali.
Informo la Camera che i presidenti dei gruppi parlamentari di forza Italia e alleanza nazionale ne hanno chiesto l'ampliamento, senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Si è di conseguenza provveduto al contingentamento del relativo tempo, a norma dell'articolo 24, comma 6, del regolamento.
Sulla base di tale contingentamento, il tempo a disposizione dei gruppi è così ripartito:
forza Italia: 55 minuti;
alleanza nazionale: 49 minuti;
popolari e democratici-l'Ulivo: 44 minuti;
lega nord per l'indipendenza della Padania: 42 minuti;
misto: 41 minuti;
rifondazione comunista-progressisti: 38 minuti;
CCD: 35 minuti;
rinnovamento italiano: 35 minuti;
totale: 6 ore e 45 minuti.
E se tanto deve essere, esigo una formalizzazione della richiesta di inversione dell'ordine del giorno con il voto dell'Assemblea, affinché si possa procedere all'esame di quell'argomento.
In quel momento, eventualmente, doveva essere sollevata la questione e posta in votazione. Non essendo stata sollevata in quel momento ed essendosi chiaramente stabilito che non si sarebbe più proceduto a votazioni e che si sarebbe
ripreso l'ordine del giorno dopo l'informativa del Governo nell'ambito della prevista sessione notturna con la discussione generale sul provvedimento di legge che ho testé annunciato, questo dato, ormai, deve intendersi acquisito. Non possiamo modificarlo in questo momento, quando già tutti gli altri colleghi di tutti gli altri gruppi (Commenti dei deputati Calzavara e Cè)...
Il relatore per la VII Commissione, onorevole Giulietti ha facoltà di svolgere la sua relazione.
Onorevole Giulietti, proceda.
Onorevole Giulietti...
Noi crediamo che esista la possibilità in questo settore di chiudere una pagina di lunghi conflitti e di aprirne un'altra; una pagina, come ha evidenziato anche il dibattito che si è svolto in Commissione, meno segnata dai conflitti di interesse, dall'assenza di aggiramento delle regole, dal blocco sostanziale dell'innovazione in questo settore, che significa anche blocco dello sviluppo e del lavoro. Di questo si è discusso al Senato in oltre dieci mesi di mediazione, di questo si è discusso alla Camera, con grande serenità, all'interno delle Commissioni, con la partecipazione di tutti i gruppi parlamentari. Non a caso questo provvedimento già al Senato, dopo una lunga discussione, ebbe il voto favorevole della maggioranza, l'astensione del Polo, il voto contrario della lega, che comunque ebbe un atteggiamento di grande partecipazione ai lavori in Commissione ed in aula.
Penso che lo stesso dibattito nell'aula della Camera, se sarà condotto con la stessa serenità che ha caratterizzato il dibattito al Senato, potrà portare ulteriori affinamenti anche nel corso della discussione e delle votazioni. Non credo ci si debba chiudere in pregiudiziali o in arroganze che sarebbero sbagliate, ma si debba assumere un atteggiamento di ascolto delle posizioni sia dei gruppi della maggioranza sia di quelli delle opposizioni, del Polo e della lega. Ritengo che si debba, fino a quando sarà possibile, non blindare il provvedimento, ma raggiungere forme di positiva mediazione e di larga convergenza.
Quello che si è svolto in Commissione non è stato affatto un dibattito rituale e di mera ratifica. Si era parlato all'inizio dei lavori della Camera di un testo da approvare in fotocopia rispetto al Senato. Insisto: il clima di partecipazione e di collaborazione intelligente da parte di tutti ha consentito - basti dare un'occhiata al nuovo testo base - miglioramenti ed affinamenti, ma anche modifiche che rappresentano, a mio giudizio, in modo fedele la discussione. Credo che di questo si debba dare merito al Governo, ai presidenti delle Commissioni, ma anche
a tutte le forze politiche, nessuna esclusa, per il modo con il quale hanno condotto questa discussione. Penso, per esempio, a questioni molto delicate sulle quali si sono pur registrate divergenze di opinione; penso - e mi rivolgo al Governo - alla fonte di nomina dell'autorità che nel provvedimento è assegnata al Governo stesso, alle preoccupazioni che sono state manifestate da più parti e alla grande responsabilità che avrà la Presidenza del Consiglio e il ministro Maccanico nella scelta di un presidente che, sono certo, non potrà non essere di grande equilibrio, proprio per le caratteristiche che questo dibattito ha avuto.
Ritengo - devo dirlo perché il dibattito lo ha registrato - che la discussione sulle garanzie che è stata sollecitata dalla maggioranza, ma con molta forza anche da parecchi colleghi delle opposizioni, debba richiamare la nostra attenzione sia sulla fonte di nomina - mi riferisco anche al dibattito nella bicamerale -, sia alla riforma della RAI, che fa parte del tema delle regole del gioco, sia alla questione del conflitto di interessi, che non è una questione nominativa, ma una grande questione politica, che va però collocata nel tema delle regole del gioco e delle garanzie. Mi pare che questa sia stata una sfida venuta da più parti, dai colleghi, dalle opposizioni, e che non vada respinta. Credo anzi che i resoconti del dibattito, su questo punto - una grande sfida sulle regole, a prescindere da chi governa in questo paese - debbano essere assunti quale parte integrante del voto e degli ordini del giorno, come memoria collettiva di questa riflessione, che qui si apre, che non considero conclusa con questo provvedimento, ma che dovrà concludersi nell'iter dei provvedimenti che riguardano il sistema radiotelevisivo e la definizione delle regole del gioco, compresa la legge elettorale.
Vedete, non a caso nel testo si è voluto precisare - mi rivolgo anche ai colleghi dell'opposizione che hanno posto tale questione - non solo il ruolo dell'autorità di garanzia, ma anche, con l'accoglimento di alcuni emendamenti non secondari, il ruolo e la funzione della Commissione parlamentare di vigilanza. Credo sia stata una risposta positiva ad una richiesta che non è solo delle opposizioni, essendo una norma finalizzata alla garanzia ed al controllo.
Ritengo che tale tematica, che riguarda non solo il servizio pubblico ma anche le regole, debba essere meglio affrontata nel disegno di legge n.1138 e nel provvedimento di riforma della RAI, dove alcune questioni relative non solo ai vertici ma anche agli assetti societari, al ruolo della vigilanza, ed ai diritti generali possono trovare una più adeguata risposta ed un ulteriore affinamento.
Il dibattito ed il voto in Commissione hanno consentito di meglio coordinare, con una scelta a mio giudizio intelligente, il rapporto tra le diverse autorità, non solo quella concernente la libera concorrenza ed il mercato, ma anche le nuove autorità sul diritto alla riservatezza e sulla tutela dei diritti delle persone e quella sull'energia.
Richiamo l'attenzione di tutti i colleghi sul testo, giacché ritengo che esso vada votato non per le ragioni che attengono alla mediazione politica, che è solo un aspetto, ma anche per gli elementi di profonda innovazione contenuti nel provvedimento, che a mio giudizio sono stati poco valorizzati anche perché ritengo che il testo sia stato poco letto.
Molto importante, a mio giudizio - in merito interverrà anche il presidente Stajano che completerà la mia relazione -, è stato anche il lavoro svolto per l'armonizzazione con le direttive europee, con il regolamento in materia di telecomunicazioni, con i compiti dell'autorità e con le funzioni degli uffici dell'autorità del garante. Penso alla questione degli standard, al controllo sulla salute, ad un argomento posto non solo dai colleghi dell'Union valdota|fmne e della minoranza di lingua tedesca, ma dallo stesso onorevole Bosco, relativo al tema della tutela delle minoranze linguistiche, con previsioni specifiche in alcune zone come Aosta, Trento, Bolzano e il Friuli-Venezia Giulia. Si tratta di emendamenti che ad alcuni
possono sembrare minori ma che, a mio giudizio, individuano contenuti che possono consentire una nuova ripresa anche della piccola e media impresa ed una pluralità di culture e di linguaggi. Ritengo tali proposte emendative tanto importanti quanto l'emendamento sulla piattaforma digitale, che non è l'unica tematica del provvedimento. Non a caso abbiamo riformulato l'intero testo sul consiglio degli utenti, quindi sulla parte che riguarda gli interessi generali.
Particolare attenzione - e mi permetto di rivolgermi al Governo, giacché la questione è stata posta con forza da numerosi emendamenti di tutti gli schieramenti - va riservata al futuro potenziamento e funzionamento degli uffici dell'autorità di garanzia. Guardando alla storia passata, quale potrebbe essere l'errore peggiore? Mettere in funzione l'autorità senza affidarle gli strumenti, le potenzialità, i mezzi e le dotazioni necessari. Credo che sarebbe stato giusto un ulteriore aumento dell'organico dell'autorità (il Governo ha presentato un emendamento che trovo molto sensibile alle richieste provenienti da tutte le forze politiche). Dobbiamo spingere, dunque, sia per l'aumento degli organici sia per una sicurezza delle procedure concorsuali (penso ad un emendamento dell'onorevole Follini, che è stato recepito), sia per dare certezza di funzionamento all'autorità di garanzia. In proposito, è stato riformulato interamente il comma 8 sulle procedure relative ai ricorsi ed alla loro attivazione da parte dei cittadini e delle associazioni, nonché sulla questione del doppio grado di giudizio per quanto riguarda proprio i ricorsi.
Vi sono altri elementi concernenti l'articolato, e mi avvio alla conclusione, anche perché rimando alla relazione generale per quanto concerne altri aspetti. Vorrei però ricordare che sono state reintrodotte, in materia di piano delle frequenze, alcune competenze dei comuni, delle province e delle regioni. A chiunque sia attento al tema del decentramento, consiglierei di rivedere tutta la parte relativa al ruolo degli enti locali in materia urbanistica e di tutela delle norme urbanistiche. Credo sia stata compiuta un'operazione insieme di grande intelligenza e di grande attenzione.
Nell'articolo 2 si affronta un tema molto delicato che voglio porre in questa sede, anche per rispondere ad alcune preoccupazioni - espresse da colleghi di diversi schieramenti ed anche del Polo - riguardo la piattaforma digitale. Credo sia stata compiuta una scelta che riguarda la politica industriale del nostro paese. Questo è forse uno degli aspetti più importanti delle modifiche apportate al testo dalla Camera, non solo in merito alla piattaforma, ma a numerose altre norme (penso al piano delle frequenze).
Si compie una scelta a favore della costituzione di una piattaforma comune nazionale. Mi auguro che a questo proposito saranno presentati degli ordini del giorno - peraltro già annunciati - per fugare ogni dubbio. Piattaforma comune nazionale non significa l'ipotesi - che non ci troverebbe favorevoli, lo dico con grande nettezza - di una piattaforma pubblica formata esclusivamente dalla STET e dalla RAI e che non si ponga il problema di far convergere le imprese pubbliche e private di questo paese per costruire un rapporto positivo con aziende anche straniere che però assicurino all'Italia un'entrata in Europa degna degli altri sistemi industriali europei. Mi rifaccio ad una questione posta, credo, dagli onorevoli Landolfi e Romani, quella del significato della piattaforma nazionale.
Se il Governo non avesse predisposto questo emendamento, non avremmo avuto una scelta a favore della piattaforma comune nazionale, ma una «fibrillazione» delle imprese pubbliche e private e il ritorno ad una competizione che va superata. Credo - ma la gestiremo insieme - che questo tipo di proposta favorirà un'integrazione tra le grandi imprese di questo paese, che le metterà al servizio anche della piccola e media impresa, che non può essere trascurata. Poiché so però che esistono delle preoccupazioni al riguardo, ritengo che gli ordini del giorno potranno ulteriormente precisare questo elemento di scelta di politica industriale,
ma anche di grande apertura, che penso debba tradursi nei prossimi mesi in una più chiara scelta di politica industriale nel settore ma anche, come dire, in una più precisa definizione del ruolo della piattaforma.
Penso sia stata scelta la strada giusta e che insieme potremo indirizzarla nel migliore dei modi, sapendo che vi è anche una libertà del mercato e che sarebbe grave che ciascuno di noi od il Governo pensasse di «mettere le brache» ad un qualcosa che, per sua definizione, non può essere stretto all'interno di una norma che in qualche modo la strangoli o la trasformi in altro. Ecco perché la ritegno una scelta giusta.
Un'altra decisione di politica industriale - ne parlerà più dettagliatamente l'onorevole Stajano - forse poco notata, ma condivisa da tutti i gruppi, è stata la riduzione dell'IVA al 4 per cento per quanto riguarda la partita delle nuove installazioni. Come accennavo, sono scelte che non richiameranno l'attenzione di nessuno, ma guardate che il cuore dell'innovazione introdotta dalla Camera non sta altrove; sta nel tentativo di inserire alcuni elementi di politica industriale e, quindi, di contribuire all'ottimo lavoro già svolto dal Senato con l'autonomia di questa Camera e la partecipazione collettiva. Ecco perché ritengo ciò positivo.
La scelta della piattaforma sarebbe troppo poco se avessimo ragionato soltanto nell'ottica della grande impresa nazionale, dimenticando - sulla questione del «traino», che è stata posta all'interno della Commissione: potremmo discutere ulteriormente - che questo provvedimento sarebbe stato debole se non ci fossimo posti la questione della piccola e media impresa nel settore delle telecomunicazioni e della radio e della televisione.
Inviterei i colleghi a valutare gli articoli 2 e 3; la parte di testo più ricca di emendamenti (che non sono merito della maggioranza o dell'opposizione, ma del lavoro e del confronto comune di tutte le forze politiche) riguarda proprio la piccola e media impresa. Ricordo le precisazioni sul piano delle frequenze; la differenza tra televisione e radiofonia nazionale, che è stato un lungo errore del passato; le definizioni di emittente commerciale e comunitaria, la polarizzazione - aspetto posto nel dibattito con molta forza anche dagli amici del partito popolare - dell'emittenza comunitaria e dell'emittenza delle associazioni senza scopo di lucro, della difesa delle diverse culture e dei diversi linguaggi; ricordo ancora la semplificazione amministrativa, che ha ucciso molte imprese, e la scelta di ridurre le sanzioni che, come sapete, per la piccola e media impresa erano pesantissime; i provvedimenti ai quali ho già fatto riferimento.
Penso si sia fatto un passo in avanti - che credo che il Governo preciserà meglio - che dovrà essere ulteriormente «rifinito» con il provvedimento n.1138, perché qui inizia il nostro lavoro, ma l'impegno comune deve essere quello di far partire il dibattito dal Senato sul provvedimento n.1138, sulla riforma della RAI e sul conflitto di interesse, perché questo è un insieme di regole che debbono accompagnarci in un viaggio che, a mio giudizio, dovrebbe essere concluso entro l'anno; non perché ciò serve ai partiti, ma perché serve al sistema industriale del paese, al suo lavoro e ai cittadini, che hanno diritto ad un insieme di servizi e ad una pluralità di messaggi.
Qui - lo dico all'onorevole Bosco - si pone anche la questione del «traino», che non è l'unica questione avanzata dalla lega. La lega ha posto numerose questioni, delle quali molte, credo, sono state recepite all'interno del testo (Commenti del deputato Bosco). Mi sembra che il mio sia tutt'altro che un atteggiamento di chiusura; sto dando atto proprio della partecipazione della lega, al Senato come alla Camera. Nel testo in esame sono stati recepiti molti emendamenti formulati anche dai colleghi della lega, come da tutti gli altri.
Dicevo che qui si pone il problema del «traino» sulla piccola e media impresa, sul quale esistono diverse posizioni; vi è chi sostiene che ciò può creare nuovo mercato e chi invece afferma che bisogna
fare attenzione, perché il «traino» potrebbe riportare la piccola e media impresa sotto il controllo assoluto delle grandi concessionarie nazionali. Questo è il tema (non ne vedo altri) sul quale ieri si è registrato un elemento di divergenza molto forte.
Ho terminato, anche perché la nostra è una relazione a più voci, come lo è stato tutto il dibattito. Ritengo che il disegno di legge in esame sia un provvedimento di modernizzazione, di chiusura di un conflitto negli articoli 1, 2 e 3, senza la quale non si possono realizzare quelle condizioni di liberalizzazione e di modernizzazione contenute negli articoli 4 e 5, che sono stati il frutto di un intenso lavoro svolto dalla Commissione presieduta dall'onorevole Stajano. Sono presenti molti dei colleghi che in questi mesi hanno lavorato al regolamento, che dovrà essere seguito con particolare attenzione e coordinato e correlato con il testo che approveremo, perché qui vi è la parte che consente una nuova espansione per la nostra impresa e un nuovo livello di competizione. È di questo che abbiamo bisogno, e non di un ritorno alla cultura del monopolio, sia esso pubblico o privato. La cultura del monopolio - voglio essere chiaro - è chiusa, è cessata, non è riproponibile, non è più una stagione alla quale rivolgersi.
Per queste ragioni, che non sono solo di convenienza politica o di mediazione tra le parti (che non sarebbero sufficienti), ma sono riflessioni di merito legate al sistema industriale e allo sviluppo delle telecomunicazioni, ritengo che sia possibile in tempi brevi (me lo auguro) esprimere sul provvedimento in esame non un voto di maggioranza, ma un voto che vada ben oltre i confini della stessa. Un voto che sia accompagnato da un largo consenso, che a mio giudizio sarebbe positivo per tutti nell'affrontare i prossimi provvedimenti, a partire dal progetto di legge n.1138.
Credo che questa occasione di lavoro comune non debba essere dispersa e che le ragioni del dialogo con le opposizioni e le posizioni che anche la maggioranza manifesterà debbano essere difese cercando fino all'ultimo all'interno di quest'aula di trovare, attraverso l'accordo, la via più rapida per l'approvazione del disegno di legge in discussione. Altrimenti, non vi è dubbio che esso, essendo molto atteso dal sistema industriale e dal «sistema-paese», debba comunque essere approvato entro il 31 luglio dalla Camera e dal Senato, dopo il grosso lavoro che è stato compiuto, perché nessuno comprenderebbe le ragioni di un ritardo rispetto ad un provvedimento così atteso.
Mi consenta, Presidente, di rivolgere un ringraziamento a tutti gli uffici che vi hanno lavorato, perché si tratta di un provvedimento difficile. Vorrei rivolgerlo adesso, perché non so come voteranno i gruppi, in quanto il dibattito è ancora aperto. Credo che, anche a nome del presidente Stajano, si debba rivolgere anche un ringraziamento a tutte le forze politiche, in qualunque modo esse si esprimeranno al termine dell'esame del provvedimento, perché esso è stato comunque segnato dall'intensa partecipazione dei singoli parlamentari e di tutti i gruppi (Applausi).
appositamente autorizzata in contemporanea ai lavori dell'Assemblea. La sua richiesta quindi non è accoglibile.
La Commissione è stata autorizzata a riunirsi...
Vorrei che lei capisse questo, perché evidentemente non ci siamo ancora intesi. Il fatto che questa sera all'ordine del giorno sia stato posto questo provvedimento corrisponde ad una decisione assunta nell'ambito della Conferenza dei presidenti di gruppo.
Evidentemente lei non è stato informato di questo, ma la decisione è stata presa in quella sede.
Ripeto: poiché si prevedeva che non vi sarebbero state votazioni nella parte notturna della seduta odierna, è stata autorizzata la riunione della Commissione.
La prego di verificare presso il suo capogruppo, o chi ha partecipato alla Conferenza dei presidenti di gruppo, se quanto le ho detto corrisponde al vero.
Il relatore per la IX Commissione, onorevole Stajano, ha facoltà di svolgere la relazione.
È stata un'attività che si è articolata in più fasi e che ha comportato l'attuazione, per via regolamentare, di numerose direttive comunitarie che da tempo erano inattuate nel nostro ordinamento.
Attraverso questo disegno di legge, infine, assistiamo all'affermazione di alcuni principi fondamentali. Finalmente viene riconosciuta anche in Italia la regola della concorrenza tra i vari gestori di telecomunicazioni; finalmente ci avviamo ad un momento di completa liberalizzazione dei servizi.
Si tratta di una piccola rivoluzione che avrà grandi conseguenze sul nostro sistema economico, che cambierà il nostro modo di rapportarci al mondo delle telecomunicazioni, che è anche mondo di comunicazione tout court.
Sono certo che da questa iniziativa legislativa e da questo sforzo normativo
l'intero sistema economico italiano trarrà vantaggi, li trarranno soprattutto i cittadini che si troveranno ad avere servizi più efficienti e, attraverso la maggiore competitività, anche costi più bassi.
Lo sforzo che è stato compiuto in passato dalla Commissione che ho l'onore di presiedere si completa oggi attraverso una legge che è una legge di sistema. Essa per una parte - per gli articoli 4 e 5 - regola più propriamente il settore delle telecomunicazioni, ma nei suoi articoli 2 e 3 dà una sistemazione a regime - ed anche dal punto di vista transitorio - all'ampia querelle che si è sviluppata in molti anni relativamente alle vicende del settore televisivo e radiofonico nel paese.
Siamo finalmente in grado, anche in questo settore, di non avere più una situazione deregolamentata, in cui la libertà diveniva spesso licenza ed i confini tra il lecito e l'illecito non erano sempre distinguibili.
Poniamo finalmente termine ad un far west, ad una situazione in cui sembrava che la forza avesse maggiore incisività del diritto, nell'incertezza di quest'ultimo. Certo, il complesso del lavoro manifesta elementi di grande soddisfazione, perché si è pervenuti ad una mediazione equa, intelligente, ad una mediazione che riesce a dare a tutti il senso di un lavoro ben fatto, ben compiuto, nell'interesse dei cittadini, ma affida anche ad un regime transitorio la sistemazione definitiva, la possibilità che si giunga al punto fermo, al momento terminale di questo processo.
L'esame di questa normativa transitoria, nel corso delle riunioni delle Commissioni congiunte VII e IX, ha dato luogo da più parti a qualche momento di tensione, perché non tutti hanno compreso il senso di un regime transitorio così articolato e sviluppato anche attraverso qualche snodo non completamente fluido, non completamente adeguato ad una forte volontà normativa. Ma non bisogna dimenticare quel che insegnava un filosofo idealista, anzi l'idealista per antonomasia: tutto ciò che è reale è razionale. E tutto quel che si è sviluppato in Italia nel settore delle televisioni e delle radiodiffusioni non può essere cancellato con un tratto di penna da un Parlamento o da un legislatore troppo zelante, poco attento a come si strutturano i rapporti economici all'interno di una società complessa come la nostra.
Questo regime transitorio è pertanto a mio avviso pienamente condivisibile e serve a dare il senso di un progresso che in questa materia si sta sviluppando anche dal punto di vista normativo e che si completerà attraverso l'identificazione di un protagonista istituzionale, cioè l'authority per le telecomunicazioni, che viene costituita dall'articolo 1 del testo che stiamo esaminando. Avremo un ente regolatore; ci sarà la possibilità di disporre di un soggetto dotato di adeguata imparzialità e neutralità, che controllerà i comportamenti, applicherà sanzioni, stabilirà regole, darà indicazioni cogenti; sarà cioè in grado, come accade in altri ordinamenti, di assicurare che lo sviluppo delle attività imprenditoriali in questi settori così delicati avvenga sempre nel rispetto delle regole ed in coerenza con quei principi di libertà di espressione e di pluralità nell'espressione stessa che sono doverosi in qualsiasi democrazia degna di questo nome.
In questo senso vanno lette le regole anti-trust che fanno riferimento ai principi affermati dalla Corte costituzionale in più sentenze e da ultimo nella sentenza n.420 del 1995.
Nel corso del dibattito nelle Commissioni riunite VII e IX l'attenzione dei relatori e del Governo si è concentrata sulla necessità di apportare a questo testo non modifiche strutturali, che non apparivano necessarie, tranne su un punto su cui si è già soffermato l'onorevole Giulietti, relatore per la VII Commissione, che ne ha fornito ampia ed adeguata spiegazione: il punto relativo alla piattaforma digitale. Dicevo che l'attenzione si è soffermata su una serie di snodi che avevano necessità di essere chiariti, perché nel testo del Senato non risultavano perfettamente comprensibili; si erano determinate disorganicità, talvolta contraddizioni.
In qualche altro caso (penso ad esempio alla problematica relativa all'eliminazione del doppio grado di giurisdizione in tema di impugnazione dei provvedimenti dell'Autorità) c'era stata forse eccessiva preoccupazione nei confronti della speditezza da garantire ai provvedimenti dell'Autorità, che andava però a sacrificare alcuni principi di garanzia del nostro ordinamento costituzionale che non potevano essere e non sono stati poi ritenuti sacrificabili dalle Commissioni riunite. Si è però anche su questo punto fatto un intervento, a mio avviso molto valido, che ha riservato la competenza in primo grado solo al TAR del Lazio e che ha comunque garantito una maggiore speditezza in ordine ai provvedimenti cautelari.
Sono certo che, attraverso la strada adottata, otterremo congiuntamente due benefici effetti: la conservazione di una garanzia piena e totale, non eccezionale rispetto ad altri casi presenti nel nostro ordinamento; nello stesso tempo, non sacrificheremo la speditezza delle decisioni dell'authority.
Un altro punto sul quale ci si è molto intrattenuti è quello relativo ai poteri della Commissione di vigilanza. In proposito c'è stato un impegno molto apprezzabile, e per larga parte condivisibile, del presidente Storace, il quale ha rappresentato con grande efficacia i problemi che la Commissione si trova ad affrontare in caso di inosservanza rispetto agli indirizzi che la stessa legittimamente propone ed impone al concessionario del servizio pubblico. Tuttavia queste osservazioni non potevano essere accolte, per lo meno nella formulazione da lui proposta, per due fondamentali considerazioni, che voglio riproporre oggi e che potranno essere approfondite nel corso del dibattito sui singoli emendamenti proposti.
La prima considerazione è che non è questa la sedes materiae per articolare una così incisiva formulazione normativa in ordine ai provvedimenti della Commissione parlamentare di vigilanza in rapporto alle competenze sanzionatorie dell'authority. L'altra attiene alla necessità di considerare compiutamente questo problema con riferimento alla riforma che la RAI dovrà avere, con depressione del suo livello di politicità, anche in rapporto ai meccanismi di indicazione dei vertici aziendali.
La discussione è stata estremamente accesa anche sul punto - non mi soffermerò sulle questioni sulle quali si è intrattenuto assai brillantemente l'onorevole Giulietti, le cui conclusioni ed argomentazioni pienamente condivido - relativo ai poteri delle regioni e più in generale degli enti locali in rapporto con i vari strumenti che devono adottare per rendere possibile la realizzazione delle reti sul territorio. La soluzione adottata, a mio avviso migliorativa di quella già varata dal Senato, consente di pervenire ad un equilibrio assolutamente adeguato.
Si riserva all'autorità la possibilità di emettere i provvedimenti concessori per quello che attiene alle grandi reti che in realtà prescindono dalle aree metropolitane e si sviluppano a livello regionale o nazionale. È stata invece lasciata ai comuni la possibilità di disporre questi interventi e al tempo stesso è stata regolata la loro discrezionalità in modo da non determinare sovraccarico sui gestori con adempimenti ultronei rispetto alle finalità che possono essere legittimamente perseguite in questa materia dagli enti locali. È stata comunque assicurata la possibilità di sviluppare meglio la collaborazione e la definizione dei vari piani territoriali di realizzazione delle opere per il tramite delle conferenze dei servizi, che potranno giovarsi della nuova disciplina di cui all'articolo 14-bis della cosiddetta legge Bassanini 2. Un altro punto che è stato oggetto di una grande discussione e che probabilmente lo sarà anche nel prosieguo del nostro lavoro conclusivo è quello relativo al ruolo delle emittenti minori ed in particolare il tema del cosiddetto «traino pubblicitario», cioè la possibilità per le televisioni locali di raccogliere pubblicità nazionale, concedendo nello stesso tempo ai concessionari di pubblicità la possibilità di andare al di là dei limiti consentiti ordinariamente.
Credo che su questo tema il Governo abbia manifestato una responsabile attenzione e penso che continuerà a manifestarla. Sono certo che alla fine si potrà pervenire ad una soluzione che contemperi le giuste esigenze di non introdurre ulteriori eccezioni o deroghe vaste a norme già molto derogate, almeno nella disciplina transitoria, e di assicurare alle televisioni locali i mezzi necessari per poter svolgere la loro attività. Su questo punto, mi auguro che tutte le forze politiche abbiano un atteggiamento responsabile, in modo da consentire che il provvedimento possa avere all'interno dell'aula di Montecitorio un iter sereno e, naturalmente, veloce, evidentemente entro tempi ragionevoli.
Per quel che attiene infine alla questione relativa all'authority - ne parlo per ultimo, anche perché ne ha già parlato, come ho detto, l'onorevole Giulietti -, vorrei far presente, anche per respingere molte delle critiche che sono state mosse al provvedimento nel corso delle Commissioni riunite VII e IX, che il meccanismo adottato relativamente all'indicazione dei componenti della commissione mi pare risponda ad una logica di condivisibile equilibrio. Quando ad un organismo come l'authority per le telecomunicazioni si attribuiscono competenze così vaste, è evidente che non si può non considerare, accanto alla dimensione di professionalità tecnica, anche una dimensione lato sensu politica. E in questo senso, mi pare sia perfettamente giustificato l'affidamento alle Camere della scelta degli otto componenti dell'authority, nelle sue due articolazioni. La scelta del presidente affidata al Governo ma con il parere delle Commissioni parlamentari completa questo iter di responsabilità istituzionale e caratterizza perfettamente ed in modo omogeneo e coerente la struttura di un organo che, ripeto, ha competenze vastissime, non solo amministrative, ma anche normative, sia pure a livello regolamentare, ed infine relativamente all'irrogazione di sanzioni, anch'esse amministrative. Quindi, era indubbiamente necessario ottenere un livello di qualificazione che discendesse dal massimo organo depositario della sovranità popolare e cioè dal Parlamento nella sua complessità, sia pure nell'ambito di questa articolata strutturazione.
Si è raggiunto poi un punto di equilibrio molto valido, a mio avviso, nel lasciare all'authority una possibilità di vasta autorganizzazione, attraverso la possibilità di regolare con propri strumenti normativi (un regolamento di autonomia) tutta una serie di snodi che attengono alla struttura dell'ente, alla sua dimensione organizzativa, alle sue possibilità operative, anche con riferimento - ripeto - ad una autorganizzazione nell'esercizio dei suoi poteri e delle sue competenze. Si è accesa una discussione in ordine alla necessità di introdurre la figura del segretario generale. La scelta fatta dalle Commissioni riunite di non pronunciarsi su questo punto risponde ad una logica che non è negativa in assoluto - questo è bene chiarirlo - relativamente all'introduzione della figura del segretario generale, ma è di non normazione specifica su questo punto. Come ho già detto, si vuole lasciare all'authority la possibilità di scegliere e di determinare in autonomia questa o altre forme di organizzazione interna.
Prima di concludere, vorrei richiamare l'attenzione di tutti i deputati sul particolare valore che, a mio avviso, va attribuito complessivamente all'introduzione dell'authority. Si tratta, a mio avviso, di una scelta che facciamo non soltanto per riprodurre anche nel nostro ordinamento strumenti che sono stati in precedenza adottati da più antichi sistemi economici o democratici, ma anche perché, finalmente, si vuole riuscire ad individuare un soggetto capace di regolare una così vasta materia e di farlo con quel livello di attendibilità, di credibilità, di prestigio che sono necessari tutte le volte che si va ad assumere decisioni che spesso riguardano vicende economiche di enorme rilevanza.
Il fatto che il Governo ed il Parlamento abbiano scelto di affidare ad un soggetto terzo, in qualche misura estraneo alla sfera delle determinazioni politiche in senso stretto, questi così larghi compiti,
rappresenta, a mio avviso, il senso ed il segno di una nuova politica, di una politica in cui coloro che sono eletti dal popolo, coloro che portano la responsabilità del governo del paese sono anche capaci di dismettere potere, di dismetterlo nei confronti delle regioni, nell'ambito di un più ampio disegno costituzionale, e di dismetterlo, in specie, nei confronti di un organismo autonomo di garanzia.
Ed è bello poter constatare con soddisfazione che oggi con questa legge noi porremo un'altra valida pietra nella costruzione di una nuova immagine dello Stato: uno Stato che non è più occhiuto difensore della sua sfera di competenze ma che è in grado di valutare, volta per volta, quali sono gli strumenti più idonei per risolvere i problemi dei cittadini.
In tal senso vorrei ricordare che a questa authority (e questo è un altro segno dei tempi, dei buoni tempi che viviamo pur in mezzo a tante difficoltà) potranno rivolgersi tutti i cittadini per poter vedere riconosciuti i loro interessi, le loro legittime aspettative, le condizioni di una reale parità tra i vari operatori che esercitano la loro attività sul mercato.
Vorrei concludere esprimendo un ringraziamento prima di tutto al presidente Castellani, che insieme a me ha condotto il lavoro nell'ambito delle Commissioni riunite; un ringraziamento poi al relatore Giulietti, che insieme a me ha lavorato, nell'arco di numerose sedute, per tentare di rendere più semplice l'iter di questo provvedimento; un ringraziamento ancora a tutti i deputati che spesso anche fino a tardissima ora hanno con la loro presenza, con i loro interventi, reso possibile il risultato che oggi sottoponiamo fiduciosi all'attenzione dell'Assemblea. Vorrei esprimere poi un ultimo ringraziamento ai funzionari della Camera, davvero eccellenti, sia per la VII che per la IX Commissione, i quali con la consueta maestria e con l'abituale abnegazione sono riusciti a determinare le condizioni perché questo provvedimento possa andare in porto in termini così rapidi.
Con queste conclusioni vorrei formulare l'auspicio che il testo, eventualmente ulteriormente migliorato nel corso del dibattito in aula, possa presto, anche per l'intervento del Senato che si renderà necessario a seguito dell'approvazione di numerosi emendamenti al testo che ci è stato trasmesso, divenire legge. Ho la certezza che si tratterà di una buona legge (Applausi).
Ritengo utile fare questa introduzione per invitare anche ad un sano realismo quanti oggi - legittimamente, per carità, perché questa legge rappresenta comunque l'esito di un lavoro faticoso, duro ed estenuante - vorrebbero accompagnare con le fanfare il varo di questo provvedimento.
L'onorevole Giulietti ha parlato di fine della guerra delle televisioni; lo ha detto stasera e lo aveva già annunciato qualche ora fa, in una dichiarazione diffusa da agenzie di stampa. Addirittura si parla di una guerra che, grazie a questo provvedimento,
sarebbe definitivamente archiviata. A tale proposito io avrei qualche interrogativo da porre all'Assemblea, al Governo, a noi stessi e ai relatori. Si può immaginare di parlare di fine della guerra, onorevole Giulietti e onorevole Stajano, nel momento in cui si predispone un meccanismo di nomina della presidenza dell'authority, mettendola nelle mani del Governo, dell'esecutivo, che dovrà nominare il vertice di un organismo che tutti riteniamo imparziale? E noi dovremmo credere all'imparzialità di questo futuro presidente quando i precedenti di questo Governo, anche in materia, fanno pensare il contrario? Dovremmo credere all'imparzialità del vertice dell'autorità nominata da questo Governo quando lo stesso Governo e la maggioranza hanno nominato Siciliano alla RAI, Chicco Testa all'ENEL e Guido Rossi alla STET? Un militante intellettuale e due ex parlamentari del partito di maggioranza relativa installati prontamente al vertice di enti e di istituzioni che dovrebbero restare terze rispetto alla dialettica, al confronto ed allo scontro tra le forze politiche!
Ecco perché ritengo che, altro che lanzichenecchi, colleghi della maggioranza: qui è stata fatta un'occupazione scientifica dei gangli vitali, dei posti che contano! Consentiteci almeno di esprimere una riserva sull'imparzialità di queste nomine che il Governo si accingerebbe a fare, ferme restando queste modalità di nomina.
Aver scelto simili modalità, nonostante la fondatezza delle obiezioni delle opposizioni, significa aver posto una seria ipoteca su un organismo titolare e depositario di funzioni delicate ed importanti se si getta lo sguardo al processo di innovazione tecnologica in atto.
Un processo, voglio ricordarlo fugacemente, che porta all'unificazione, se non alla fusione, di settori delicatissimi, come quello della informazione, della telecomunicazione, dell'informatica. Si è anche evocato il «grande fratello » di orwelliana memoria, ma sappiamo che non è così, perché si tratta di enfatizzazioni. È indubbio che si tratta di un organismo delicato, che non può essere ridotto e trattato alla stregua di un'autorità di regolazione. Lo ha detto l'onorevole Giulietti nella sua relazione in Commissione, quando ha giustamente ricordato che su questa materia dobbiamo prestare molta attenzione alla vita delle aziende ma soprattutto alle vicende che riguardano i cittadini. Sappiamo che questa materia così delicata ed importante ha riflessi immediati sulle scelte fondamentali del paese in termini di politica industriale, di qualità dell'informazione, della natura e del ruolo del servizio pubblico, di rapporto fra il servizio pubblico e l'emittenza privata, di raccolta delle risorse pubblicitarie e quindi del rapporto tra emittenza locale e nazionale nonché del rapporto tra informazione scritta e informazione radiotelevisiva.
Ho raccolto il senso di quello che l'onorevole Giulietti ha dichiarato poco fa, quasi contraddicendo quello che aveva detto in precedenza, ma spesso accade. L'atto del Senato che recava il n.1021 era un disegno di legge importante, perché puntava all'adeguamento e all'armonizzazione della nostra legislazione a quella degli altri paesi europei, all'istituzione di un'autorità per la privatizzazione della STET, all'avviamento del processo di liberalizzazione all'interno del mondo delle telecomunicazioni. Tutto questo è vero però - sostiene il collega Giulietti - è un intervento parziale, perché bisogna tener conto di altri argomenti, quelli contenuti nell'atto Senato n.1138, che vanno inseriti nel provvedimento oggi al nostro esame.
Sappiamo bene che quei punti da me elencati devono essere presi in considerazione da una buona legge, ma sappiamo anche che questa è una legge di compromesso, né poteva essere diversamente; una legge che è costata mesi di trattative, di bracci di ferro, di mediazioni estenuanti. Fra i tanti ringraziamenti, credo che uno particolare sia dovuto al ministro Maccanico, che ha condotto con la consueta
accortezza e capacità di mediazione un provvedimento che in qualche momento ha avuto una vita incandescente.
Una legge di compromesso però, onorevole Giulietti e onorevole Stajano, non è necessariamente una legge di pacificazione. Se dobbiamo parlare di pacificazione riferita alla scottante materia dell'emittenza, abbiamo necessità di una legge che smobiliti gli animi rispetto a questa materia che, come ho detto, è incandescente. Nella passata legislatura è stata quella che ha determinato ed innescato meccanismi con ripercussioni impensabili.
Abbiamo avuto conferma ieri della mancata smobilitazione degli animi a proposito della questione del conflitto di interessi che, riproposta sotto forma di emendamento, non è certo infondata, soprattutto se si fa valere a 360 gradi, quando non è mirata. Certamente tutti comprendono che esiste una bella differenza tra l'invocare la questione del conflitto di interessi nei riguardi del Presidente del Consiglio ed evocarla a carico del capo dell'opposizione: nel primo caso si pone una questione di regole, nel secondo caso si fa un ricatto. Questa è la verità! Questo è accaduto ieri, onorevole Giulietti, non il secolo scorso! È accaduto ieri e ciò è appunto l'indice e la spia di quello che affermavo poc'anzi, quando sostenevo che non basta una legge a pacificare il settore, se non vi è la consapevolezza del caso italiano in questo campo e del fatto che il nostro sistema è cresciuto in fretta e male! E noi oggi possiamo valutare le anomalie di tale sistema, dall'una e dall'altra parte, cioè sia sul versante dell'emittenza privata sia su quello del servizio pubblico (dico questo anche se può sembrare strano creare una simmetria in tal senso). Noi da una parte abbiamo un grosso gruppo privato che è costretto a convivere con un sistema politico che avverte come ostile (e questo non è degno di un paese democratico e civile!) e, dall'altra parte, un servizio pubblico - che si configura come tale solo di nome - che nella realtà diventa ed è da tempo il «megafono» del Governo e della maggioranza!
Quindi, questi due corni del dilemma - emittenza privata e servizio pubblico - concorrono a formare un sistema che contiene numerose anomalie e che forse non ha precedenti nei sistemi degli altri paesi europei o occidentali.
La questione del conflitto di interessi la voglio quindi porre in maniera diversa da come viene fatto normalmente, nel senso che se si tratta di liberare un leader politico dal suo peso, vi è anche la necessità di liberare una volta per tutte, onorevole Vita, il servizio pubblico dalle incrostazioni partitocratiche che oggi si risolvono nel «servile ossequio» al Governo e alla maggioranza. Una reale legge di pacificazione del settore avrebbe dovuto tenere ben presenti questi aspetti. È in questo senso che si spiegano alcune iniziative assunte dall'opposizione, che non tendevano a creare un regime di ingessatura per il servizio pubblico. Noi non abbiamo mai inteso fare questo; abbiamo invece voluto porre un problema nelle forme e nei modi che ci erano consentiti. Invece, parlando ad esempio delle sanzioni - una questione sulla quale abbiamo dibattuto a lungo, anche in maniera aspra, forte e serrata - la nostra richiesta è stata forse equivocata. Ministro, a tale riguardo vorrei annunciarle che noi molto probabilmente terremo conto del suo suggerimento. Lo faremo, proprio perché vogliamo dimostrare che ci interessa il principio e non essere animati da «spiriti di vendetta» che non hanno senso. Si è però preferito lasciare il servizio pubblico nel limbo della irresponsabilità, adducendo motivazioni plausibili, ma soprattutto affermando che la RAI, essendo un'azienda come le altre, non può essere ingessata, ma deve stare sul mercato come le altre aziende. Ma allora questo principio deve valere sempre; deve valere anche quando si concedono deroghe e quando poi quell'azienda, che deve stare sul mercato come le altre, viene invece in qualche modo privilegiata.
Che cosa si riconosce in tal modo? La centralità del servizio pubblico e quindi una differenza sostanziale tra servizio pubblico ed emittenza privata; tant'è vero che al servizio pubblico si concede ciò che non si dà...
Credo che sotto questo profilo oggi possiamo e dobbiamo prendere atto che non solo si scioglie il nodo del cosiddetto monopolio televisivo, ma si spezza un monopolio pubblico che sino ad ora ha caratterizzato pesantemente il sistema complessivo di questo comparto, che è sempre più strategico per l'economia del nostro paese. Del resto, la privatizzazione delle telecomunicazioni - come abbiamo detto più volte in Commissione - è decisiva per molteplici motivi: dal volume degli introiti complessivi, che rappresentano potenzialmente il 30 per cento nella capitalizzazione di borsa in Europa, alla possibilità di attrarre ulteriori capitali privati e costruire alleanze strategiche.
Nelle telecomunicazioni le privatizzazioni totali per offerta pubblica si sono avute prevalentemente nei paesi in cui i mercati sono evoluti e soprattutto nei paesi che hanno intrapreso un processo di apertura alla competizione, piuttosto che in quelli che hanno mantenuto e garantito i monopoli, limitandosi ad introdurre la regolamentazione delle tariffe. Per questo ritengo che una autorità unica per i mercati delle televisioni e delle telecomunicazioni si è resa necessaria da un'integrazione di diversi mercati, è ormai inevitabile, anche se nessuno può ancora definirne tempi e modalità precise. Un'autorità, dunque, dotata di forti e marcati poteri di indirizzo, di regolazione, di sanzione sull'intero settore delle telecomunicazioni, sottratta, almeno così speriamo, al condizionamento ed alla pressione del potere politico.
Credo che un'autorità di questo tipo possa rappresentare oggi una grande ed importante occasione di innovazione politica ed istituzionale. Sottolineo che sarà necessario, però, entro un arco di tempo ragionevole - penso due o tre anni -, fare i bilanci e procedere in sede amministrativa e, se fosse necessario, anche in sede legislativa, ad eventuali aggiustamenti per favorire una migliore e più veloce liberalizzazione. Sarebbe pericoloso, infatti, se le diverse istanze amministrative regolatrici non fossero capaci di adeguarsi ai
tempi dell'innovazione nella progettazione, nel consumo, nella produzione, a vantaggio dell'utenza.
L'autorità, dunque, deve essere finalizzata alla costruzione del libero mercato delle telecomunicazioni, garantendo il pluralismo dell'informazione. Recentemente il CENSIS ci ha detto che le telecomunicazioni italiane valgono quasi 50 mila miliardi l'anno e il giro di affari complessivo supera già la quota degli 80 mila miliardi, inglobando l'informatica e l'universo nascente della multimedialità. Su questo versante scontiamo, come tutti ben sappiamo, un forte ritardo, soprattutto nei settori chiave del salto multimediale, l'informatica diffusa e il cablaggio, che da altre parti è partito con la TV per fare poi da trampolino di lancio alla multimedialità. Insomma, come si leggeva nei giorni scorsi su Il Sole 24 Ore, il computer trasforma tutto, ma nel nostro paese stenta ancora a farsi largo.
Rispetto ai paesi più industrializzati del mondo l'Italia occupa un ruolo decisamente marginale, se è vero che solo una persona su dieci è in possesso di un personal computer, circa un terzo rispetto agli americani. Lo stesso discorso vale, a maggior ragione, per Internet: in Italia si continua a parlare di un settore in forte espansione, ma sui 41 milioni di utenti nel mondo, gli italiani che hanno accesso alla rete delle reti sono appena 400 mila. Del resto, sappiamo che notizie non confortanti arrivano anche dal cablaggio, dove vi è ancora molto da costruire.
Credo che con il disegno di legge in discussione si affronti definitivamente un capitolo che continua a pesare come un macigno sulla situazione politica italiana; mi riferisco alla perdurante anomalia del nostro sistema radiotelevisivo. Si avvia una stagione in cui al centro della discussione cominceranno a prendere corpo gli equilibri nuovi della televisione del futuro, con un'offerta ai cittadini molto più ampia rispetto agli attuali canali della TV generalista.
Su tale aspetto si inserisce anche la questione della piattaforma digitale, ampiamente discussa in Commissione; pertanto spero che non ci si torni più molto nel dibattito che si avvierà a partire da domani. Tale tematica riveste un'importanza decisiva in vista della disciplina e dell'impatto che i nuovi canali tematici avranno sui cittadini. La piattaforma digitale si trascina anche il rilancio di un'indispensabile politica industriale, senza creare discriminazioni di sorta. Sotto questo profilo, non possiamo non rilevare che lo stesso conflitto di interesse sarà un elemento su cui la riflessione dovrà essere più compiuta e meno frettolosa, come ricordava molto bene il relatore Giulietti, rispetto ad un passato anche recente; tuttavia abbiamo fatto bene a non inserire la materia né in questo disegno di legge né nel disegno di legge n.1138 sulla disciplina delle comunicazioni.
Noi crediamo che il conflitto di interesse non debba trasformarsi in una crociata contro qualcuno, rispolverando una cultura giacobina o partigiana. Siamo altresì convinti che questo nodo dovrà essere sciolto alla luce delle recenti esperienze del passato. Vero è che nel nostro paese si sono succeduti due periodi nettamente contrapposti: il primo caratterizzato da una normativa rigida e blindata, fondata sul monopolio pubblico e sulla riserva assoluta allo Stato di un'attività; il secondo caratterizzato non tanto dalla deregolamentazione, quanto dall'assoluta mancanza di regole e principi. Questa seconda fase, pur riguardando inizialmente un solo comparto, quello privato, ha finito, a lungo andare, per travolgere anche le regole esistenti nel settore pubblico, creando così le condizioni per un passaggio brusco non solo da un regime pubblicistico ad uno privatistico ma - quel che è più grave secondo il nostro parere - da un'economia governata ad un sistema sostanzialmente anarchico, ovviamente in balia degli interessi più forti.
La distribuzione delle risorse del sistema fra i vari protagonisti è, del resto, la fotografia più chiara della situazione che si è venuta a creare negli anni. Non solo, dunque, si è persa l'occasione di regolare i più complessi snodi dello sviluppo,
ma si sono compromesse le basi più elementari di ogni ordinato sistema, dall'assenza di piano di assegnazione delle frequenze, all'assenza di un regolare regime di concessione di autorizzazioni, costringendo i più deboli ad operare, ancora una volta, in condizioni di massima precarietà. È fin troppo evidente che un tale stato di cose abbia finito non solo per travolgere le regole dello specifico settore dell'informazione radiotelevisiva, ma per incidere, date le connessioni strettissime, sui principi più generali relativi alla forma di Stato ed alla forma di Governo, modificando nella prassi la sostanza di alcuni grandi principi costituzionali, primo fra tutti quello sul pluralismo che la Corte costituzionale più volte ha richiamato tra i capisaldi fondamentali del nostro sistema.
È indispensabile, dunque, ritrovare la strada di un più corretto ed equilibrato sviluppo del nostro paese in questo settore, non solo per un necessario aggancio alle logiche di sviluppo degli altri paesi, ma anche per affermare quei valori di pluralismo imprenditoriale che sono, e restano, la premessa ineliminabile per una democrazia compiuta.
Si deve evitare la tentazione di un progetto completamente nuovo che richieda una nuova e prevedibilmente lunga fase di assimilazione e comunque di attuazione, puntando invece - come d'altra parte si è fatto - su alcuni essenziali correttivi, mirati agli snodi essenziali del sistema, che consentano ad un tempo il rientro in un regime più fisiologico e la partenza verso una nuova fase di sviluppo.
Se con questo disegno di legge si raggiunge un risultato importante in vista della piena realizzazione delle telecomunicazioni, non possiamo non sottolineare che, per completare la riforma del settore, è necessaria l'approvazione dell'altro disegno di legge n.1138, i cui aspetti principali riguardano elementi cruciali per il futuro del settore. La riforma, cioè, sarà completa nel momento in cui approveremo anche il secondo provvedimento.
È ovvio inoltre che in questo contesto sarà decisivo procedere alla riforma del servizio pubblico radiotelevisivo, un servizio pubblico che non potrà più soltanto coincidere con la gestione di canali televisivi generalisti via etere, anche perché per poter qualificare la RAI nei mercati globali, favorendo l'ingresso di capitali privati nel suo assetto societario, sarà indispensabile dotarla anche di organi di governo compatibili con una moderna impresa di servizio pubblico.
Vi è infine un aspetto importante, almeno a nostro parere. Proprio perché crediamo che televisione e telecomunicazioni abbiano a che fare con il modo della democrazia, abbiamo ritenuto essenziale il confronto con l'opposizione, voluto e praticato con forza dal ministro Maccanico e dai sottosegretari, in particolare l'onorevole Vita. Si tratta cioè di regole che non rispondono solo ai problemi della democrazia economica, ma anche a quelli della democrazia in generale, vale a dire la possibilità per i cittadini di essere informati e di informare; la possibilità cioè di comunicare, presupposto essenziale di ogni rapporto sociale. Sotto questo profilo assume quindi un'importanza decisiva lo stesso rapporto tra il sistema delle telecomunicazioni ed i cittadini.
Non sempre, però, il pluralismo di mercato è sufficiente a risolvere i nodi dell'interesse dei consumatori e degli utenti o delle qualità del prodotto. È decisivo, allora, rendere il cittadino utente e consumatore un soggetto attivo che possa godere di diritti. Come ci ha detto recentemente la Corte costituzionale, la violazione della normativa anti-trust, la posizione dominante o l'abuso di posizioni dominanti non ledono solo i diritti dei concorrenti nel mercato, ma anche quelli dei cittadini interessati al servizio.
Dunque, l'integrazione nel sistema delle telecomunicazioni spalanca scenari nuovi che sono stati recentemente ricordati. Le televisioni, così come la radiofonia, la comunicazione privata come quella pubblica, i cablaggi, la connessione ed il diritto all'accesso in esse, sono chiamate a rispettare e rispecchiare le libertà e le pluralità culturali, religiose e sociali di un paese.
Il fatto che su questa norma si sia con pazienza trovato un delicato equilibrio non solo sui principi portanti (ed io spero che il confronto che si avvierà da domani in quest'aula non contenga elementi ostruzionistici, ma si ispiri ad un atteggiamento di dialogo privo di pregiudiziali politiche), quindi la possibilità e l'intelligenza di aver trovato questo equilibrio anche su molti delicati punti del testo necessari a garantire a ciò che già esiste ed opera nel settore dell'intrattenimento e delle telecomunicazioni di fare del futuro comunicativo italiano incombente lo specchio il più possibile rispettoso - se si vuole, il meno deformante possibile - del pluralismo della nostra comunità, è un atto al quale credo che ognuno di noi debba riconoscere il sigillo più autentico della funzione parlamentare, vale a dire quello della ricerca del bene comune.
Si è pervenuti positivamente alla decisione di trovare equilibrata tutela alle televisioni sorte in Italia ed agli attori italiani della telecomunicazione, per sostenerli e consegnarli in modo vivo alla grande e forte competizione della comunicazione globale. Ecco perché siamo allora convinti che con l'istituzione dell'autorità si potrà porre definitivamente fine alla guerra dell'etere italiano, facendo ordine in quello che è stato definito il far west dell'emittenza televisiva. Questo è dunque un provvedimento che è un capitolo importante non solo per la strategia riformista e democratica del Governo Prodi, ma anche e soprattutto per rafforzare la democrazia italiana in un settore, storicamente delicato, del rapporto con i cittadini (Applausi).
Intervengo nella discussione sulle linee generali sul disegno di legge del Governo in merito all'istituzione di quello che secondo me è un ulteriore organo dello Stato centralista, a cui si vogliono attribuire tutte le competenze immaginabili in materia di telecomunicazioni, ovvero in campo radiotelevisivo, di trasmissione dei dati, telefonia e tutto ciò che riguarda gli accordi di piattaforma e l'evoluzione tecnologica delle telecomunicazioni, dal satellite al cavo in fibra ottica, compresi tutti i regolamenti, le concessioni, le autorizzazioni, il riordino delle frequenze in etere e tutte le successive connesse applicazioni e trasformazioni, incluse quelle che ci porteranno dall'attuale sistema analogico a quello digitale.
Questo settore rappresenta nella nostra società il più importante avvenimento socio-economico della cosiddetta era post-industriale. La crescita esponenziale degli investimenti, nonché dei fatturati delle aziende che gestiscono il settore, evidenzia quanto vivo e grande sia l'interesse dei cittadini per questa innovazione, che riveste importanza non solo per gli aspetti economici, ma anche sotto il profilo socio-culturale. Stiamo infatti assistendo ad una profonda trasformazione del nostro modus vivendi, del nostro modo di lavorare, di studiare, di trascorrere parte del nostro tempo libero. Allo stesso tempo siamo testimoni di quanto veloce sia l'evoluzione del settore delle comunicazioni; basti pensare ai primi personal computer e confrontarli con quelli attuali, più evoluti, che consentono di collegarsi alle reti telefoniche, ai fax e al mondo intero attraverso Internet, che altro non è che la punta dell'iceberg dei servizi multimediali.
Ciò dimostra come avanzi con sempre maggiore interesse il mondo delle comunicazioni, qualunque esse siano, e come la nostra società sia fortemente attratta e risponda a questi nuovi servizi, che nella maniera più evidente si palesano con l'esplosione della telefonia mobile. Siamo ben consci di come si stia stravolgendo il modo di comunicare sull'intero pianeta, tanto che si parla ormai non più di un sistema-paese ma di un sistema globale. È
un futuro, quello che ci aspetta, destinato a cambiare radicalmente il nostro modo di vivere; penso al telelavoro, alle teleconferenze, alla telemedicina, all'uso e alla diffusione dell'attuale elaboratore elettronico, che nelle nostre case non sarà più un semplice personal computer, ma uno strumento che adopereremo come televisore, come videotelefono, come macchina da scrivere, come elaboratore, come foto e video riproduttore, come strumento di collegamento con il mondo, con il quale da casa supereremo confini e barriere doganali, dove non beni o atomi verranno trasportati ma bit ed informazioni, che nel futuro costituiranno la vera ricchezza.
Da qualche parte ho letto che qualcuno, con molta fantasia, già immagina un Parlamento virtuale, immagina che in videoconferenza, alla fine di una giornata di lavoro, tutti i cittadini si riuniscano per discutere e votare direttamente le leggi che ci devono governare. Chissà cosa potrà accadere! In questi ultimi anni abbiamo visto nascere e crescere nuove terminologie, i siti web, i word processor, telepass; sta già crescendo un nuovo mondo in cui si può comunicare, confidarsi, conoscersi e sentirsi virtualmente vicini anche a distanza di migliaia di chilometri entrando in quel mondo virtuale che ci permetterà di visitare, di acquistare, di vedere cose che stanno all'altro capo del mondo o dialogare da un continente all'altro per scambiarsi informazioni, notizie, semplici consigli, verso una lingua universale, per essere presenti e competitivi sui mercati internazionali.
Deriva da qui il problema di porre regole internazionali a difesa dei soggetti più deboli e dei minori, che in assenza di tali regole possono essere vittime di nuovi tipi di reati on line, con accesso, ad esempio, al mercato della pornografia virtuale, dal quale non potremmo difenderci come dalle chat line domestiche limitandoli alle sole ore notturne.
Tutto questo è, in piccola sintesi, il futuro cui andiamo incontro, questo è il progresso che, se sapremo usarlo bene, potrà stravolgere il nostro mondo anche sotto il profilo ambientale. Pensiamo alla montagna, o meglio alla gente di montagna, che quanto meno per certi aspetti potrà più facilmente godere di alcuni servizi, oggi riservati alle città, e che per tale motivo hanno portato allo spopolamento delle nostre valli, con pregiudizio per il presidio ambientale che quegli abitanti esercitano onde prevenire ed evitare quei disastri ecologici che si verificano spesso con l'abbandono del territorio. Tutto ciò può consentire un sensibile risparmio sul costo energetico di un paese, un risparmio nel tempo dei collegamenti, che non devono essere più materiali se non per il trasporto delle merci, un minor traffico, cioè meno interventi sulle strade e meno incidenti, un risparmio sanitario e soprattutto un minore inquinamento ambientale.
Per giungere a questo si devono elaborare strategie, programmi scolastici di alfabetizzazione informatica, creare banche dati, informatizzare la pubblica amministrazione.
Per combattere veramente l'evasione fiscale dovremo giungere alla moneta elettronica e per far ciò è necessario adoperarsi al fine di completare le infrastrutture ed il cablaggio del paese fino all'ultimo marciapiede.
Occorre, quindi, stabilire le regole di gestione, al fine di evitare posizioni dominanti che contrastino con i principi fondamentali della democrazia.
Ebbene, colleghi, quali garanzie possiamo avere noi, rappresentanti del popolo, che questi personaggi che verranno chiamati a coprire tali ruoli, a seguito di accordi e di intrecci tra i maggiori partiti, che verranno chiamati a gestire l'autorità saranno rispettosi interpreti delle volontà dei cittadini che noi rappresentiamo? Non dobbiamo dimenticare quanto è già avvenuto per la nomina dei membri del Consiglio superiore della magistratura.
Colleghi, credo che argomenti così importanti per il futuro dovessero essere discussi nella sede più appropriata, cioè in Parlamento, in un'apposita Commissione, in rappresentanza del popolo intero. Avrebbero dovuto essere discusse e fissate quelle norme che, invece, con questo
disegno di legge sono delegate ad un costituendo organo, il quale semmai dovrebbe essere solo garante del rispetto della legge.
Il lavoro svolto in Commissione mi ha deluso profondamente e credo che qui in aula sarà possibile osservare come il duopolio Roma-Polo e Roma-Ulivo, a fronte di argomenti così importanti e rivoluzionari per il mondo futuro, abbia incentrato la discussione su un solo argomento: le televisioni. È su di esse che la RAI, da una parte, e Mediaset, dall'altra, hanno trovato un accordo che tutela i reciproci interessi.
Non dobbiamo dimenticare che la televisione è quello strano elettrodomestico che è presente in tutte le case come un pulpito dal quale i due poli predicano, demonizzano, spaventano, disinformano per il loro tornaconto. Tutto ciò in barba a qualsiasi principio di democrazia!
Pur non condividendone i principi, consci di non avere la forza per rigettare il disegno di legge proposto, abbiamo cercato di migliorarne il testo, proponendo emendamenti costruttivi al fine di favorire la crescita e lo sviluppo di nuove emittenti.
La lotta di interessi in atto ci ha esclusi perché, come si sa, chi non è in linea con i potenti di Roma è considerato un sovversivo, un attentatore della Costituzione ed un pericolo per quell'unità a tutti i costi.
Qui si perpetra un imbroglio ai danni del popolo, che è falsamente informato e tenuto democraticamente - lo dico tra virgolette - all'oscuro degli interessi che si sviluppano sempre all'ombra dei più forti i quali, come avviene ancora oggi in quest'aula, raggiungono accordi per il reciproco vantaggio nel nome del paese.
Questo vale anche per rifondazione comunista, che qui vedo rappresentata da un solo deputato, che con il voto finale a questo disegno di legge vota anche gli accordi raggiunti dalla maggioranza con il partito dell'onorevole Berlusconi.
Il popolo della Padania ha capito quali sono i giochi meschini di Roma e dice «basta». Si tratta di un vero e proprio atto di espropriazione delle scelte operate dal popolo celato sotto il manto della democrazia apparente: una delega ancora più grave di quelle che questa maggioranza si è già concessa in materia fiscale.
È un atto che viola anche le più elementari regole della democrazia, come il rispetto della volontà del popolo che, con voto referendario, si era espresso a stragrande maggioranza in favore della privatizzazione del servizio pubblico radiotelevisivo: un indirizzo disatteso, ancora una volta nell'interesse di partito e non del popolo.
Non si tratta ovviamente di parlare di Roma-Polo o di Roma-Ulivo, come ha detto l'onorevole Bosco con l'amabile polemica di forma di sempre, ma del polo-paese che finalmente affronta un tema strategico.
Si tratta di un complesso di norme che riguardano la costruzione dell'autorità di regolazione del mercato delle comunicazioni in diretta correlazione con la liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni ed il riassetto del settore radiotelevisivo.
Con questo atto di legge si arricchisce il quadro di novità introdotte nell'ordinamento italiano dopo il recepimento delle direttive europee: la formulazione del regolamento di attuazione, che - non vorrei dimenticare - è il telecommunication act italiano, ed il decreto n.115, recentemente approvato, in tema di comunicazioni mobili e di terzo gestore di telefonia cellulare.
Voglio dare volentieri atto a questo Governo e a questa maggioranza di aver affrontato con determinazione e competenza questo grande disegno di riforma,
dopo anni di immobilismo e di cultura di interessi corporativi, che tanto negativamente hanno segnato il recente destino del paese.
Due però sono gli atti ancora da compiere strettamente collegati con la materia che oggi stiamo discutendo. Il primo è il riordino della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, che comprende anche le nuove regole di definizione del consiglio di amministrazione della RAI e che è attualmente in discussione alla Commissione cultura della Camera. Il secondo, forse ancora più importante, è il disegno di legge n.1138, il cosiddetto Maccanico due (a me piace questa personalizzazione, perché finalmente si identifica una responsabilità di innovazione con una persona fisica e non con un fatto così astratto come sovente sono i numeri delle leggi), che completa le regole del mercato radiotelevisivo e che è in calendario alla Commissione trasporti del Senato.
Noi sottolineiamo ancora una volta che i tre provvedimenti devono marciare insieme, non per un fatto astratto ma per un fatto di completezza normativa, per un'esigenza specifica e strutturale, e che la riforma sarà completata solo con la loro definitiva e complessiva approvazione. Quindi è un impegno di sostanza, non un impegno di percorso o di forma.
Su questo punto ribadiamo come sinistra democratica la necessità di trovare una coerenza globale sulle linee discusse e ormai definite in misura largamente sufficiente, tenendo conto della relazione tra le diverse misure previste; che non ci siano, in altri termini, sconnessioni tra un disegno e l'altro, perché la riforma è una riforma complessiva che si tiene insieme con la coerenza dei diversi provvedimenti.
È evidente il nostro impegno in questa direzione, respingendo qualche tentativo di strumentalizzazione o qualche attacco di troppo di interessi specifici che, devo dire, poco o nulla hanno a che vedere con l'interesse del paese, che richiede invece un'equilibrata soluzione atta a favorire la convivenza di operazioni pubbliche e private, la promozione dell'innovazione nel rigoroso rispetto dei diritti degli utenti e lo sviluppo del mercato, per stimolare anche in questo settore la crescita di nuove iniziative e di nuova occupazione, che sono l'obiettivo finale di qualunque azione si rivolga ad un settore così promettente di opportunità occupazionali.
Noi siamo oggi in un momento delicato di trasformazione della struttura del settore delle comunicazioni, dove è molto forte la presenza del monopolio pubblico e dello Stato come gestore diretto di servizi a larga diffusione, dove la presenza privata è limitata di fatto a pochissimi operatori e dove le piccole e medie aziende a carattere territoriale sono fragili e schiacciate dal peso del duopolio dominante nel paese. Questa è una soluzione sicuramente molto fragile e passibile di gravi rischi di scarso sviluppo (chiamiamolo così).
Il problema politico che questo Governo ha affrontato e che così grande importanza ha per l'avvenire del paese è caratterizzato da molte e diverse esigenze, a volte parzialmente contraddittorie. Proverò ad elencarne qualcuna perché questa riflessione ci abitui a considerare la complessità dei problemi e quindi anche la complessità delle soluzioni che dobbiamo trovare.
Primo punto: difendere comunque i valori accumulati in tanti anni di monopolio, restituendoli al paese nelle forme più opportune per favorire crescita e occupazione, secondo le regole del mercato, accettandone la liberalizzazione secondo le direttive europee e definendo un sistema di regole eque e non discriminatorie nei confronti di tutti i soggetti che intendono operarvi. La sottolineatura, in questo caso, è che i valori del monopolio sono un asset del paese; vediamo di non sprecarli con processi di alienazione o di privatizzazione frettolosi o con obiettivi carenti.
Secondo punto: trovare un equilibrio equo tra i protagonisti attuali, senza cedere ad un evidente conflitto di interessi - su questo punto tornerò più in dettaglio - ma anche senza deprimere realtà industriali e di mercato oggi comunque
importanti nel panorama dei valori del paese. La sottolineatura è: smettiamola di considerare un valore industriale, sia esso pubblico sia esso privato, solo dal punto di vista della politica o della sua collocazione o della sua tendenza; consideriamolo per quello che è, con grande pragmatismo e soprattutto con una forte difesa dei valori che rappresenta.
Terzo punto: mantenere e sviluppare un servizio universale - e mi permetto, con una certa forzatura intellettuale permessa in questa sede, di chiamare così anche il servizio pubblico radiotelevisivo, oltre a quello telefonico - in grado di rispondere alla domanda di mezzi, di contenuti, di modalità e di informazioni in linea con la disponibilità della tecnologia e con le esigenze e i diritti dei cittadini moderni, inseriti in un sistema efficiente e competitivo. La sottolineatura é: sia pubblico sia privato devono avere pari opportunità di cavalcare le innovazioni; in caso contrario, penalizzeremmo il paese, prima ancora che un settore.
Quarto punto: incentivare l'introduzione dell'innovazione e della nuova tecnologia, diffondendone l'uso e promuovendo l'integrazione delle diverse soluzioni tecniche, applicative e di servizio. La sottolineatura è: la politica come sintesi e non solo come insieme di provvedimenti parziali; ne avremo un esempio tra qualche minuto.
Quinto punto: avviare e realizzare i processi di privatizzazione necessari per uscire dal monopolio, con una politica industriale attenta all'obiettivo di creare nel paese le condizioni per un effettivo uso innovativo e distribuito delle ricchezze accumulate; attenzione agli sprechi o alla sottovalutazione di queste possibilità: pensiamo alla possibilità di accesso delle piccole e medie imprese a questo processo, ad adeguate politiche territoriali, alla creazione di consorzi e di nuova imprenditoria su base locale, alla definizione di contratti di servizio con le pubbliche amministrazioni locali e ad altre forme specifiche per indirizzare lo sviluppo. La sottolineatura in questo caso è: una politica di privatizzazione non può fare a meno di una rigorosa guida strategica che ne tragga i giusti frutti in termini di politica industriale e di occupazione.
Voglio qui citare l'esigenza ormai matura di istituire anche in Italia una struttura finanziaria di incentivazione del rischio industriale, cioè un adeguato approccio al cosiddetto venture capital, la cui assenza tanto negativamente segna il mercato italiano da un punto di vista dell'innovazione e della diffusione della tecnologia. È un tema appassionante che ci dovrà vedere coinvolti in un prossimo futuro.
Questo disegno di legge, che meglio sarebbe chiamare un grande disegno di riforma, prendendo atto del suo contenuto tanto innovativo, pone le basi per quello che abbiamo detto e richiede un'attenta valutazione delle possibilità che apre, dei vincoli che elimina e di quelli, per fortuna pochi, che ancora mantiene.
Esso è frutto di una lunghissima discussione, svolta per nove mesi, come è stato detto, di un duro scontro di interessi pubblici e privati. Sottolineo «pubblici», perché non è vero che lo scontro è avvenuto solo tra uno Stato teorico e una serie di interessi privati, ma è stato un duro scontro di interessi, anche pubblici, che hanno purtroppo segnato questa storia così travagliata. Oggi stiamo raggiungendo la conclusione di questo iter complicato, per definire finalmente un assetto idoneo a rispondere alle sempre più pressanti esigenze del paese.
Venendo un pochino più al merito, a me pare di rilevare due aspetti fondamentali, che occorre tenere ben presenti nel valutare questo disegno di legge e sui quali vorrei fare qualche considerazione di merito.
Il primo si riferisce all'equilibrio proposto per rispondere alle esigenze degli operatori presenti ed alle loro necessità di difesa del business e delle sue potenzialità di crescita. Questo equilibrio, raggiunto con grande difficoltà, non è soddisfacente; risente di molti, forse troppi, compromessi; lascia aperte molte opzioni poco definite e piene di insidie. Ma è nostra
conclusiva opinione che occorra chiudere la partita e affrontare con maggiore serenità il problema della pianificazione del futuro e delle grandi opportunità che esso presenta per il paese.
C'è però un problema, che è necessario sottolineare, per garantire queste condizioni di successo. Bisogna operare perché le scorie e i vincoli del presente e del compromesso raggiunto non danneggino e non compromettano il futuro. Sarebbe grave che gli interessi così forti che hanno caratterizzato il confronto sino ad oggi continuino a frenare la realizzazione degli assetti che la legge prevede. Mi riferisco ad alcuni aspetti di grande rilevanza, che provo ad elencare.
Il primo è la necessità di uscire dal monopolio delle telecomunicazioni, dove l'attuale peso del monopolista pone resistenze estremamente forti al cambiamento. È un tema reale, con il quale credo ci scontriamo tutti i giorni: bisogna avere il coraggio di affrontarlo con grande determinazione. Il secondo punto è la necessità di accelerare la introduzione della nuova tecnologia. Vorrei ricordare in questa sede, che è una sede politica, il tempo perduto nell'assegnazione delle frequenze al radiomobile, il ritardo nell'introduzione della tecnologia DECT della telefonia mobile cellulare, il ritardo della gara per il terzo gestore (per citare i tre ritardi più grandi). Vorrei cioè che si prendesse atto che in questo caso il sistema delle leggi in qualche modo ha frenato lo sviluppo, cosa molto grave per un paese come l'Italia, che deve recuperare un forte gap negativo rispetto ai paesi più avanzati.
Questa considerazione ci invita ad affrontare il sistema delle leggi in linea con le esigenze di un segmento che è caratterizzato da una grande dinamica e dove il tempo è certamente la variabile strategica più importante. Non si può, per burocrazia o per carenza di leggi, compromettere l'introduzione delle innovazioni in un paese, perché questo si traduce direttamente in una riduzione del suo livello di competitività internazionale.
Altro punto che mi sembra importante è la costruzione della piattaforma digitale comune nazionale. Probabilmente, il mantenimento a terra di due reti analogiche - unico paese in Europa - rallenterà lo sviluppo della nuova utenza digitale, anche in questo caso con perdita di competitività rispetto all'Europa. Occorre essere chiari sulla proposta contenuta in questa legge. Questa proposta di piattaforma digitale rimuove il vincolo alla RAI di partecipare, se le condizioni lo consentiranno, alla piattaforma comune nazionale: di questo si tratta. Oggi ci è parso di capire, anche da recenti affermazioni dei vertici di Mediaset, che quest'ultima vorrebbe un'esclusiva per se stessa e mano libera per operare e magari anche una deroga per raccogliere più risorse pubblicitarie. Questa è la prova provata che il conflitto di interessi è reale ed è tutt'altro che sopito. Può non essere così senza dirigismi inutili, permettendo a tutti i soggetti pubblici e privati di giocare ad armi pari.
Il quarto punto riguarda la promozione di nuovi servizi, frutto dell'integrazione di tecnologia e applicazione, che dovranno essere incentivate se vogliamo realizzare quello sviluppo reale che è nelle premesse di questa legge.
Da questi esempi emerge con chiarezza che la strada da compiere è ancora molta ed impegnativa e che occorre operare con grande determinazione. Occorre quindi che al di là dell'impegno del Parlamento e del Governo perché sul piano legislativo vengano approntati gli strumenti adatti a regolare e a indirizzare correttamente la riforma, vi sia un forte impegno di politica industriale: la grande assente di questo anno di politica, per altri versi così innovativa nel nostro paese, che forse ha privilegiato troppo i parametri per il riequilibrio dei conti, condizione assolutamente necessaria, riportando una grande vittoria che credo il mondo ci sta riconoscendo per i veri e reali meriti che essa contiene, ma che non è bastata a fronteggiare l'emergenza numero uno del
paese, che si chiama disoccupazione e speranza nel futuro, soprattutto per le nuove generazioni.
Questo forte impegno di politica industriale deve essere un disegno strategico di riferimento per massimizzare le opportunità del sistema industriale italiano e le ricadute in termini occupazionali. Si consideri che il settore della telecomunicazione non è solo un insieme di industrie verticali ma un fattore trasversale della società; il suo sviluppo si traduce immediatamente in un avanzamento reale di tutta la società nel suo complesso e non solo di qualche specifica industria. È questa una considerazione che talvolta si dimentica, ma soprattutto si sottovaluta quando è necessario trovare, a livello di Governo, un sistema di concertazione globale a livello di sistema, che - devo dire - pur essendo difficile è possibile realizzare e sarebbe quanto mai opportuno in questa fase di sviluppo del paese.
È evidente allora come questa riforma, contenuta in questa legge, costituisca un'occasione unica ed irripetibile nella storia del nostro paese e come occorra non perdere tale occasione per dare una risposta forte ai problemi dello sviluppo e della disoccupazione che, lo ripeto, continuano a costituire l'emergenza numero uno del paese.
Non facciamo solo le riforme come sistema, ma traiamone delle conclusioni industriali reali, incentiviamo la realizzazione concreta di quanto stiamo disegnando affinché ciò si traduca in sviluppo; e quest'ultimo è la matrice dell'occupazione.
Vi è poi un secondo aspetto importante che a mio avviso merita di essere sottolineato e valutato con serietà. Esso riguarda il rapporto tra le regole ed il mercato; mi pare che esso sia uno dei temi centrali di questo disegno. Al riguardo vorrei rilevare che buona parte del dibattito in corso su questo problema mi pare spesso totalmente fuorviante e che non tenga affatto conto della specifica situazione italiana che, lo ricordo, è una situazione nella quale il 50 per cento delle industrie è in mano pubblica e l'80-90 per cento dei servizi è gestito dal pubblico.
In questa situazione è impensabile prevedere di uscire da un contesto di pesante presenza dello Stato nel settore industriale, una presenza diretta come operatore industriale e fornitore di servizi, senza un sistema di regole articolato per gestire la transizione verso il nuovo assetto.
Il sistema delle regole, secondo questa logica, non è un sistema per comporre conflitti, ma un sistema strategico per pianificare lo sviluppo, la trasformazione e la modernizzazione del paese.
Invito a considerare nel disegno di legge questa prospettiva del sistema delle regole, perché molte delle discussioni che abbiamo fatto sono state «tirate per i capelli» per obbedire a qualche piega di qualche interesse specifico, mentre questa visione strategica forse ci porterebbe a qualche considerazione e a qualche decisione più coraggiosa e certamente più in linea con le esigenze del paese.
Non credo si possa consegnare direttamente al mercato e solo alle sue regole liberiste la realizzazione dei nuovi equilibri e reputo quindi che il sistema delle regole sia fondamentale per l'ottimizzazione degli interessi del paese e non per i soli interessi dei singoli operatori.
È dunque fondamentale che tutti i soggetti partecipino alla costruzione del sistema delle regole con l'obiettivo di realizzare un nuovo assetto e non con lo scopo di conservare quello vecchio. È un invito che rivolgo a tutti i settori, compreso quello politico, perché innovare e cambiare vuol dire avere il coraggio di privilegiare il nuovo rispetto all'esistente, mantenendone ovviamente tutti i valori possibili.
Questo vale, come è evidente, ancora di più per le strutture pubbliche, che troppo spesso - non vorrei citare qui solo il monopolio dei telefoni, ma mi viene quasi bene, visto che giochiamo in casa, citare quello delle poste - si oppongono con molta tenacia al cambiamento per far
vivere privilegi di corporazione che in qualche modo si sono consolidati nel paese.
Svolte queste considerazioni di carattere generale, che mi pare sottolineino la grande rilevanza del disegno di legge in esame, vorrei evidenziare alcuni punti critici per dare qualche suggerimento di indirizzo.
Il primo riguarda l'autorità. Occorre garantire con comportamenti adeguati, in primo luogo, che questa autorità venga varata e cominci ad operare in fretta. Non è la stessa cosa operare, con grande buona volontà e con assoluta dedizione che credo i fatti di questi mesi abbiano largamente dimostrato essere al di sopra di ogni sospetto, con una autorità dipendente o con un ministero. Sono due cose diverse ed occorre che questo cambiamento venga introdotto nel paese il più in fretta possibile. In secondo luogo, questa autorità deve essere dotata dei necessari poteri di intervento. In terzo luogo, deve poter operare senza burocrazia e blocchi eccessivi. Abbiamo discusso a lungo sui vari livelli di giudizio e su cosa significhi per una autorità avere la delega a decidere o dover essere sottoposta a burocrazie eccessive, con il risultato di rallentare i processi strategici che dovrà gestire.
Vorrei svolgere un'ultima considerazione, che faccio anche in questo caso giocando in casa: l'autorità sottrarrà potere al Ministero delle poste e telecomunicazioni. Occorre che quest'ultimo si adegui rapidamente alla nuova situazione, dal momento che non si può cambiare tutto perché tutto resti come prima e mi pare che ogni tanto questa tentazione a qualche livello sia largamente evidente, poiché la dislocazione attuale delle risorse probabilmente non è quella futura.
Il secondo riguarda il rapporto tra l'autorità, i grandi operatori nazionali, le piccole e medie imprese e le amministrazioni locali. Questi rapporti devono essere improntati ad equità e trasparenza per evitare, come è troppo spesso successo in passato, che prevalgano i più grandi ed i più forti. La nostra struttura industriale non è solo dei forti, ma vorrei dire che essa è programmaticamente dei medi. Non possiamo allora disegnare un sistema che privilegia sistematicamente i grandi e penalizza quasi sistematicamente i più deboli; dobbiamo avere invece un sistema di leggi, di interventi e di operatività che metta tutti sullo stesso piano e dia a tutti le stesse opportunità.
Un altro punto che mi sembra rilevante, soprattutto sotto il profilo politico è il rapporto tra l'autorità e il decentramento. È un tema che emergerà ed è una questione da bicamerale e da riforme istituzionali, ma dovremo affrontarla. Sarà difficile operare i grandi processi di decentramento salvaguardando contestualmente l'unicità dell'autorità senza pensare che anch'essa sarà articolata sul territorio in forme adeguate e compatibili con il nuovo disegno di Stato che stiamo approntando. Questo non è un tema di oggi, ma ne dobbiamo tenere conto in questo contesto.
Un altro punto che voglio toccare riguarda l'assetto televisivo. Mi sembra abbastanza chiaro ed evidente che il compromesso raggiunto contiene molte imperfezioni e contraddizioni; è altrettanto chiaro però che conclude finalmente una stagione tormentata, il che è già un risultato positivo. Dunque non sottovalutiamolo, apriamoci al fatto che finalmente, se chiudiamo una partita delicata e a volte aggressiva, difficile da gestire, abbiamo maggiori prospettive di poterci occupare dei compiti che ci sono assegnati, di favorire cioè lo sviluppo del paese e la capacità di sopravvivere in termini adeguati in un settore competitivo come questo.
Credo anche che non si possa sottovalutare il fatto che la televisione via etere, che tanta parte ha avuto nel nostro dibattito, vedrà ridurre la sua importanza in futuro se la politica del Governo sarà tale da incentivare l'innovazione. Allora la domanda è la seguente: abbiamo posto le basi sufficienti per incentivarla davvero e quali cambiamenti dobbiamo ancora essere capaci di realizzare tutti insieme, affinché il sistema si muova con il mondo e con l'Europa, non con la conservazione
dei valori che l'Italia ha costruito e che in Europa talvolta sono estremamente deboli, anche se appaiono forti per qualche interesse particolare, pubblico o privato che sia?
Per questi motivi il giudizio che noi diamo all'impostazione globale della riforma è positiva. Vi sono però due condizioni essenziali affinché tale positività si traduca in comportamenti conseguenti: la prima è una politica comune che guardi avanti senza ripetere forzature ed errori del passato; la seconda - di preciso interesse politico oltre che operativo - consiste nella risoluzione del conflitto di interesse. È inutile e dannoso negarlo o esorcizzarlo, perché esiste, è preciso, chiaro; affrontiamolo anziché dire molto farisaicamente troppo spesso che non esiste o far finta di dimenticarlo perché vi sono interessi di altra natura. Dobbiamo invece avere il coraggio di guardarlo in faccia e dire che non si tratta solo di un problema specifico relativo a questo settore, che esso è molto rilevante, che è una categoria di carattere generale. Se è così, dobbiamo trovargli una collocazione generale per poterlo affrontare in modo strutturale e positivo.
Mi sembra che inquadrare il problema del conflitto di interesse dal punto di vista della riforma istituzionale sia la sede più opportuna per affermare che il sistema delle garanzie da approntare deve essere tale da evitare che il conflitto di interesse continui a rappresentare un elemento di distorsione del modo con cui lo Stato costruisce i suoi valori, i suoi obiettivi, il suo modus operandi.
Ecco che a me viene in mente di chiedere un preciso impegno al Governo (lo faremo con un ordine del giorno) affinché venga assunta una posizione irreversibile a questo riguardo, perché vi sia l'espressione di una volontà politica generale che, salvaguardando in particolare gli equilibri che abbiamo realizzato, disegni un futuro diverso dove questo problema sia risolto una volta per tutte.
L'ultimo punto riguarda la liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni.
Noi diamo atto a questo Governo - che vogliamo davvero ringraziare, essendo la nostra una forza responsabile di governo di questo paese - della determinazione, della competenza, dell'aggressività (talvolta) e della pazienza con le quali è riuscito ad affrontare questo problema. E ci siamo opposti alle considerazioni tutte negative fatte da Van Miert, che è venuto qui forse ancora con la sensazione di quello che stavano facendo i Governi precedenti, senza capire bene che erano cambiati una stagione, un approccio, un proponimento, un obiettivo e che questo esecutivo sta facendo ciò che tutti quelli che lo hanno preceduto non avevano fatto. Ora dobbiamo però davvero tirare le somme e passare ad una pratica coerente e in linea con gli obiettivi che la riforma si è posta.
Quali sono le aree di criticità che vedo in questo segmento? In primo luogo l'immissione di un regolamento che traduca davvero gli obiettivi che abbiamo definito, cioè che l'elaborazione della burocrazia non sia un arretramento rispetto ai principi che abbiamo tracciato, che sono quelli europei e quelli giusti che devono essere tradotti in pratica.
In secondo luogo, un iter di autorizzazione rapido ed efficace perché si possa effettivamente far partire la nuova iniziativa.
In terzo luogo, la promozione delle integrazioni di applicazioni e delle tecnologie. Questo sarà un elemento che ci porterà più rapidamente in Europa!
Concludo queste considerazioni, con un senso misto di soddisfazione, da un lato per i risultati raggiunti e per le prospettive positive che si aprono per il paese e per il settore specifico, e di parziale delusione, dall'altro, per gli innumerevoli ostacoli che molti hanno posto sul cammino della riforma e del cambiamento. Questi ostacoli e queste difficoltà sono direttamente da imputare ad un rallentamento del processo di cambiamento del paese. Io credo che ognuno debba rendersi conto fino in fondo che questo è il gioco che ha giocato.
Faccio l'augurio che si apra una stagione nuova nel paese, che veda finalmente realizzarsi un «pezzo» importante di modernità e di innovazione, sia nella politica sia nella realtà di un approccio più positivo alla prospettiva europea, di una società civile, più consapevole ed evoluta. Se saremo capaci di far ciò che oggi abbiamo pianificato e reso possibile, saremo noi i protagonisti tutti assieme, maggioranza e opposizione, dimostrando che si può cambiare, migliorare e crescere verso un paese più efficiente e competitivo, purché lo si voglia fare. E questo mi sembra un esempio da portare alla possibilità di farlo davvero (Applausi).
In primo luogo direi che la comunicazione è innanzitutto un fattore di grande sviluppo tecnologico, economico e industriale. Vi saranno investimenti colossali, ricadute sull'occupazione e sul sistema industriale! È forse l'unico settore in cui vi sarà uno sviluppo di queste dimensioni.
In secondo luogo, la comunicazione è un fattore che concorre a definire le forme di identità individuale e di identità collettiva, nel senso territoriale del termine di identità nazionale e anche internazionale. La comunicazione quindi concorrerà alla formazione di una coscienza, a riconoscersi, a parlarsi, individuo con individuo, territorio con territorio e gruppi con gruppi.
Questo definisce anche meglio il rapporto tra centro e periferia. Trattiamo sempre la periferia con una specie di delega politico-amministrativa, invece la periferia avrà la possibilità di collegarsi con il centro in una maniera più moderna, più innovativa, tecnologicamente più avanzata. È questo il futuro che ci aspetta, un futuro dove ci saranno inevitabili processi di convergenza multimediale - ne parlano tutti, ma forse pochi sanno esattamente a cosa si stanno riferendo -; ci sarà un gigantesco sviluppo che porterà da un lato alla globalizzazione dei mercati e delle comunicazioni, dall'altro ad una verticalizzazione in sede locale, ad una migliore riconoscibilità del localismo, nel senso migliore del termine, grazie anche a questo processo di innovazione.
Ci sono alcuni aspetti importanti che vanno sottolineati. L'Europa dovrebbe essere già stata investita dalla rivoluzione del multimediale, invece questo non è ancora vero. Tutti parlano di rivoluzione,
vi è la retorica del multimediale, immaginando che in Europa si sia già verificata tale rivoluzione: non è vero. Per esempio attualmente l'utilizzo di Internet nei paesi europei più avanzati del nostro - Francia, Gran Bretagna e Germania - raggiunge una percentuale dell'1-2,5 per cento; negli Stati Uniti la percentuale è del 5 per cento. La rivoluzione multimediale, dunque, deve ancora arrivare. Questo ci consente di introdurre un altro elemento: il dominio delle tecnologie appartiene ancora agli Stati Uniti, che hanno rinnovato in molti settori e stanno rinnovando anche in questo. I paesi europei, i decision maker, come abitualmente vengono chiamati, tendono a copiare il profilo della comunicazione statunitense, piuttosto che a svilupparne uno autonomo che sia tipico e specifico della cultura europea. Questo perché in Europa è accaduto un altro fatto: ci sono stati dei «colli di bottiglia» che non sono stati solo di carattere tecnologico, industriale, economico, ma anche politici, di mancata deregolamentazione. Sappiamo, però, che la deregulation non è sufficiente per sviluppare un mercato, occorrono anche degli stimoli, che possono venire dalla politica, dai Governi, dai mercati, perché questa rivoluzione, che non vi è ancora stata ma che dovrebbe arrivare, possa svilupparsi.
C'è anche un altro aspetto importante che riguarda le abitudini delle famiglie. Non possiamo giudicare il livello di investimento che ci sarà sui nuovi media in base alle abitudini di spesa sui vecchi media perché abbiamo già verificato, per esempio, che gli investimenti delle famiglie sui personal computer, sui modem, su Internet e su quant'altro, si sono aggiunti, non si sono sovrapposti ai precedenti consumi. Dobbiamo perciò immaginare anche in questo caso un gradiente di sviluppo indipendente dal passato, dobbiamo riuscire a immaginare quale possa essere il gradiente che ci attende. Questo perché qualsiasi provvedimento legislativo deve anche tener conto che le famiglie hanno bisogno di sapere quale tipo di investimento fare in base al proprio reddito, alla propria capacità di spesa. Non possiamo permettere che le famiglie si disperdano in una serie di micropagamenti, quando poi il micropagamento per un certo segmento tecnologicamente non evoluto sarà obsoleto dopo un anno o pochi mesi perché è sopraggiunto un altro più evoluto. Dobbiamo riuscire a fare in modo che ci sia uno sviluppo continuo, non fatto per passi discreti, nel senso di separati, perché la gente possa capire come spendere i propri soldi.
A fronte di questi ragionamenti, che a mio avviso fanno parte di un disegno complessivo, a tutti noi appartiene un sogno, quello di una civiltà multimediale, di famiglie che vedono TV che arrivano ovunque, TV via satellite, criptate, pay per view, video an demand. Potrà arrivare di tutto: famiglie che potranno usufruire dello stesso elettrodomestico per ricevere anche Internet (anche se il ministro sa che c'è un problemino da risolvere al riguardo perché un decreto di febbraio non consente di farlo); famiglie che potranno ricevere un telecertificato a casa, evitando le code al pensionato; famiglie che potranno verificare anche il conto bancario direttamente sul proprio televisore. Una serie di avvenimenti sta trasformando probabilmente anche la nostra vita, e le trasformazioni sono fatte, purtroppo, in questo momento da operatori che non appartengono al nostro paese. Bill Gates, che tutti conoscono, compra gli ex missili strategici della ex Unione Sovietica e lancia centinaia di satelliti, inventando una rete che consentirà di usare il telefono cellulare in qualsiasi parte del globo; sarà un apparecchio delle dimensioni dei nostri attuali telefoni cellulari.
Vi è sostanzialmente una sovrapposizione di due mondi che non hanno mai comunicato prima: parliamo di comunicazione ed è singolare il fatto che il mondo della televisione e quello della telecomunicazione non abbiano mai comunicato.
Siamo in presenza, quindi, di un'evoluzione molto rapida che deve convincere la classe politica a rivedere i propri atteggiamenti normalizzatori; che deve stimolare la classe politica a seguire, a
regolare, a stabilire interazioni con l'evoluzione tecnologica, con le modificazioni industriali ed economiche che stanno avvenendo. Cito solo un fatto: nel 2006 negli Stati Uniti non saranno più concesse licenze a chi non farà la televisione digitale, sarà dunque obbligatorio farla. Vi saranno 250 milioni di televisori che dovranno essere modificati o addirittura sostituiti; si creerà un incredibile mondo di occupazione. Gli americani sono molto più semplici di noi, caro ministro: prendono una decisione, danno il tempo alle industrie per svilupparsi e per autoriprodursi con investimenti che consentano anche alle famiglie di sapere che, per esempio, nel 2006 si dovrà investire un milione e mezzo, mille dollari di allora; la società americana si sviluppa seguendo tale meccanismo.
Ho voluto fare riferimento a questo quadro poiché ritengo che, quando ci troviamo di fronte a questo tipo di responsabilità, dobbiamo tenere conto, soprattutto in questo settore, di quelli che sono i rapidissimi sviluppi che costringono il legislatore a tenere conto del mutare degli eventi. Pertanto, la normativa deve essere di sviluppo, di stimolo e non di normalizzazione, di costrizione.
Noi ritenevamo che il provvedimento fosse figlio di due filoni importanti del dibattito che vi è stato sul riassetto complessivo della televisione e della telecomunicazione: il primo, rappresentato dal dibattito lungo ed importante che si è svolto nella Commissione Napolitano; il secondo, rappresentato dalla maturata consapevolezza da parte della classe politica di dover adeguare anche il nostro paese al processo di liberalizzazione delle telecomunicazioni, già avviato nel resto d'Europa. Ma questo non è avvenuto all'atto della presentazione del provvedimento. Accanto alla positiva definizione di un'autorità, è stato posto un quadro normativo di una rigidità senza pari rispetto alle altre normative europee. Sono dunque stati necessari mesi e mesi di dibattito al Senato prima di giungere ad una edizione riveduta e corretta del testo. Lo strabismo iniziale a favore degli operatori pubblici è stato corretto. Oggi giudichiamo che il provvedimento sia più equilibrato.
L'articolo 1 istituisce - e noi siamo d'accordo - l'authority; si trattava infatti dell'unico strumento che consente di non dover legiferare nuovamente fra due anni, di non ridefinire «ferro vecchio», com'è stato fatto a proposito della legge Mammì, un provvedimento legislativo in un settore in rapida evoluzione. Peccato però, signor ministro, per la disposizione sul presidente. Nella Commissione Napolitano avevamo definito un meccanismo di elezione che ci sembrava più equilibrato. Si è voluto invece prevedere un sistema che sostanzialmente delega al Governo la possibilità di nomina del presidente; quindi il consiglio è dispari: otto più uno. Ci auguriamo che la persona che verrà indicata - mi sembra che su questo vi sia un impegno del ministro Maccanico - sia equilibrata, forte, autorevole, imparziale.
Si sono compiuti passi in avanti sulla rilevazione degli ascolti. Ho giudicato avventuroso - lo confermo in questa sede - l'inserimento della norma che consente all'authority di essere imprenditrice di rilevazione di ascolto. Ritenevo che ciò non fosse giusto; nel corso della lunga notte che abbiamo trascorso insieme, si è raggiunta una mediazione. Il verbo «curare» ha molti significati; mi auguro che, dal mio punto di vista, abbia quello corretto. Spero che l'authority vigilerà sulle indagini d'ascolto che dovranno essere fatte. Siamo convinti quanto il ministero che le indagini di ascolto siano una cosa seria, che va vigilata e nella quale tutti si devono riconoscere.
È stato fatto un passo in avanti anche nella definizione delle competenze della Commissione di vigilanza. Riteniamo che questo sia un passo importante, perché comunque rimane una Commissione bicamerale, una Commissione istituita e comunque ci appartiene un senso di frustrazione costante, caro ministro, quando ci riuniamo; facciamo uno sforzo enorme per raccogliere l'unanimità intorno a documenti che ci consentano di approcciarci al problema del servizio pubblico
con tutta la serenità e la pacatezza che ci appartiene, senza però la necessaria forza.
Qui entriamo nel problema delle sanzioni. Abbiamo degli strumenti di analisi ma non sanzionatori. Probabilmente, l'emendamento che abbiamo presentato ieri sera era troppo complicato, ma il problema della definizione del ruolo del servizio pubblico esiste e sarà sicuramente affrontato negli altri due provvedimenti che sono all'ordine del giorno della Camera. Comunque, tale questione si porrà anche in quella sede. O vogliamo far funzionare una Commissione di vigilanza che abbia strumenti di controllo ed anche di sanzione là dove qualcosa non funziona, oppure ne faremo un'assemblea di persone che si riuniscono, che ogni tanto hanno il piacere di vedere Frecciero, il dottor Iseppi, l'onorevole Vita, l'onorevole Storace. Su questo punto, però, dobbiamo fare un passo avanti.
Quanto dicevo in premessa, ossia la rapida evoluzione del sistema, ha dimostrato ancora una volta come, guarda caso, nel passaggio tra Senato e Camera vi sia stata improvvisamente una modifica importante. Al Senato, forse, il problema era già presente; alla Camera è stato posto. L'emendamento sulla piattaforma digitale è tipico di questo sistema: vi è un'evoluzione talmente rapida che, improvvisamente, ci si è resi conto come RAI e STET dovessero partecipare alla piattaforma unica nazionale e noi di questo fatto siamo ben consapevoli, non ce lo neghiamo. Abbiamo solo fatto doverosamente presente che non si chiedeva che l'operatore o gli operatori privati avessero pari dignità - vi è stato un fraintendimento -, ma che solo in quel caso vi fosse la possibilità della partecipazione, ossia che solo nel caso in cui RAI e STET dovessero partecipare alla piattaforma digitale l'operatore privato avesse la possibilità di partecipare con pari dignità e, comunque, solo nel caso in cui l'authority (od il ministero delle comunicazioni, qualora l'authority non fosse ancora costituita) avesse consentito che ciò avvenisse. Questo era scritto nell'emendamento.
Accettiamo il punto di mediazione notturno, signor ministro; lei si è impegnato con noi ad accogliere, a nome del Governo, un ordine del giorno...
Faccio un ultimo accenno al provvedimento n.1138 ed al consiglio di amministrazione della RAI. È ovvio che l'intero riassetto passa anche attraverso la soluzione di questi due problemi. Si sono voluti scollegare i nuovi criteri di nomina del consiglio di amministrazione dal disegno di legge n.1138. Vi era infatti un passaggio politico significativo ed era importante stabilire il principio che non siamo più d'accordo sui vecchi criteri di nomina e che si dovesse addivenire a nuovi criteri; siamo convinti che il provvedimento n.1138 sia di facile soluzione, basta leggere la direttiva europea che sta arrivando. Se la esaminiamo con serenità e con tutta la tranquillità possibile, ci rendiamo conto che in essa sono contenute le norme che ci consentono di approvare velocemente, se si vuole, il disegno di legge n.1138.
In Europa se ne è parlato a lungo. Il Governo può anche definire il caso specifico italiano. Mi dovrete spiegare perché lo si voglia fare, ma a mio avviso una direttiva europea ha comunque una valenza più ampia, di generale consenso; non penso che nasca improvvisamente e casualmente perché vi sono delle lobby nazionali ed internazionali che vanno ad incidere; c'è una direttiva europea che è la prosecuzione di una vecchia direttiva - basta leggerla con attenzione - e su questo punto possiamo tranquillamente discutere.
Per concludere, il mio gruppo si augura un atteggiamento responsabile da
parte di tutte le forze politiche che hanno partecipato a questo passaggio così importante per la riforma del sistema delle comunicazioni. Ci auguriamo quindi che il duro lavoro svolto in questi mesi e in queste settimane si possa concludere nel modo migliore possibile.
Noi siamo disponibili, come abbiamo fatto al Senato, a votare il testo licenziato dalla Commissione, anche se esso è stato in alcuni punti peggiorato. Mi riferisco al doppio grado di giudizio, che è stato introdotto, mi sembra, nonostante la contrarietà dello stesso ministro e che reintroduce l'italico TAR del Lazio come supremo garante dell'immobilismo italico. Il doppio grado di giudizio rischia di paralizzare l'autorità, che dovrebbe essere uno strumento flessibile. Al di là di questo appesantimento, comunque, il testo licenziato dalla Commissione è votabile con grande difficoltà, come è già accaduto al Senato; non sarebbe votabile un testo ulteriormente peggiorato e tanto meno ordini del giorno come quelli ipotizzati poc'anzi dal collega Romani, che aumentassero ancora i rischi di abuso di posizioni dominanti, comunque motivate. Questa è una dichiarazione politica impegnativa, di cui la maggioranza ed il Governo debbono tenere conto.
In generale, nel provvedimento in esame noi vediamo alcune luci ed alcune ombre. Voglio cominciare dalle luci perché ritengo che sia importante sottolineare gli aspetti positivi del disegno di legge, come l'istituzione di un'autorità flessibile per affrontare adeguatamente la ristrutturazione del settore delle telecomunicazioni, a proposito della quale il collega Panattoni ha già detto molte cose. Altro aspetto positivo è a mio avviso l'aver inserito nel provvedimento una norma chiara, ulteriormente migliorata nel passaggio in Commissione alla Camera, in merito alla definizione dei problemi dell'inquinamento elettromagnetico e radioelettrico e alla difesa del paesaggio e dei centri storici dalla proliferazione delle parabole satellitari. Credo che questo sia un risultato importante. Vi è poi l'istituzione di un consiglio degli utenti effettivo e la possibilità per associazioni e singoli di agire in giudizio nonché di intervenire nei processi regolamentari dell'autorità. Sono risultati positivi, che rivendichiamo anche al nostro contributo sia al Senato sia alla Camera.
Dopo aver sottolineato questi aspetti positivi, non posso non rilevare le ombre presenti nel provvedimento, che all'articolo 3 contiene sette pagine di norme transitorie. Questo è il limite del disegno di legge, anche dal punto di vista quantitativo. Con tali norme transitorie si rischia di congelare la situazione attuale di duopolio o di oligopolio, che purtroppo non ha avuto, collega Romani, alcuna evoluzione. Questo è il nostro problema. Si rischia di congelare una situazione altamente insoddisfacente, che è stata stigmatizzata dalla Corte costituzionale. La mancanza di una normativa anti-trust adeguata nel nostro paese, in questo settore come in altri (ma il settore di cui si parla è di particolare delicatezza per la nostra vita democratica ed anche per la nostra vita culturale), permane con le norme transitorie in questione. Si rinvia alle calende greche il momento in cui verrà meno questa posizione dominante; sia al Senato sia alla Camera abbiamo presentato un emendamento che fissa al 1 gennaio del 2000 (il nuovo millennio) la data entro la quale dovrà andare pienamente a regime la normativa contro le posizioni dominanti. In queste norme transitorie vi è un eccesso di congelamento della situazione esistente, che non favorisce alcuna evoluzione tecnologica né l'ingresso nel mercato delle telecomunicazioni
di nuovi soggetti, soprattutto all'interno del sistema televisivo e radiotelevisivo.
Vorrei sottolineare brevissimamente - perché il dibattito non è nuovo - che oggi siamo in una situazione paradossale perché, mentre si parla di agorà telematica, in realtà abbiamo forme di neofeudalesimo telematico.
L'agorà è la piazza della politica dove tutto è a portata della voce umana e dove, quindi, tutti sono uguali perché possono parlare. Nella finta agorà telematica di oggi, che è un duopolio neofeudale, assistiamo all'esclusione della possibilità di intervenire e di parlare, quindi alla negazione del concetto di democrazia.
Le nuove tecnologie da sole non garantiscono dunque nulla, se non vi è il superamento di queste posizioni dominanti. Non è una questione contingente che riguarda una forza politica o un momento particolare del nostro paese: è un problema generale dell'evoluzione della democrazia nelle società avanzate, che altri paesi hanno già affrontato, in modo più o meno soddisfacente ma comunque con una serietà che nel nostro sta venendo meno.
Su questo punto abbiamo bisogno di affrontare con serietà il problema del conflitto di interessi, che certo rileva anche in altri settori industriali della vita civile. Tuttavia questo è un settore nel quale chi possiede le televisioni possiede un kalashnikov all'interno di un dibattito in cui tutti gli altri sono senza armi, neanche di difesa.
Noi, dunque, dobbiamo affrontare tale tema: non sarà in questo disegno di legge, sarà forse in un altro. Certamente questo deve avvenire in tempi rapidi, anche perché avendo scelto un'evoluzione del nostro sistema istituzionale verso forme di uninominalismo, di personalizzazione, di semipresidenzialismo, il possesso di uno strumento così importante rappresenta un fattore di squilibrio e potrebbe determinare una mancanza di pari condizioni di partenza nella competizione politica. Questo è un punto che abbiamo posto e porremo anche successivamente con la presentazione di un ordine del giorno.
L'altro aspetto è quello culturale. Vorrei che fossimo per un attimo disincantati; certo, le televisioni hanno tanti meriti; abbiamo imparato l'italiano come lingua nazionale, abbiamo bellissimi programmi, ma nell'insieme vi è un imbarbarimento dello spirito dovuto ad una sovraesposizione e ad un eccesso di televisione, non solo per i minori, ma anche per i maggiori. C'è un analfabetismo di ritorno, ci sono programmi scadentissimi, anche nel servizio pubblico nazionale: questo perché si è innestata una concorrenza al ribasso tra le reti del monopolista privato e quelle del monopolista pubblico, che non è quasi mai - o non è spesso - portatore di un interesse generale.
Questo è l'altro aspetto importante per il superamento del duopolio ed un motivo di insoddisfazione per il provvedimento al nostro esame.
Il collega Panattoni ha opportunamente detto che le scorie e gli interessi del presente non devono compromettere il futuro. Io condivido questa affermazione, che vorrei sostanziare, in particolare, con riferimento ad un aspetto sul quale abbiamo presentato un emendamento. Mi riferisco al fatto che in queste norme transitorie si prevede la possibilità - con una deroga, peraltro indefinita - di mantenere due canali terrestri criptati con il sistema analogico.
Avevamo già una legge, la n.422, che all'articolo 11 prevedeva che dal 27 agosto di quest'anno le tre cosiddette Telepiù potessero diffondere solo via satellite. Il Parlamento aveva introdotto questa disposizione per favorire l'innovazione tecnologica e lo sviluppo del digitale.
Se si voleva favorire l'evoluzione positiva, vi era già una norma, dunque. Del resto, i grandi paesi europei per le stesse ragioni permettono soltanto in alcuni casi una rete a pagamento a terra: in Francia vi è un solo canale e nel Regno Unito le TV a pagamento possono essere trasmesse solo via satellite.
Mantenendo un solo canale terrestre avremmo introdotto un disincentivo allo
sviluppo del digitale nel nostro paese, ma tale soluzione avrebbe potuto essere accettabile in via transitoria. Consentire invece la TV a pagamento su due canali a terra costringerà ancora una volta il nostro paese ad una gravissima arretratezza tecnologica e culturale.
Vorrei ricordare ai colleghi che un'offerta su due canali a pagamento, a terra, di programmi sportivi e cinematografici - peraltro in fortissima concorrenza con le televisioni generaliste - convincerà centinaia di migliaia di italiani ad accontentarsi di questa televisione piuttosto che scegliere quella digitale, e quindi «no» all'evoluzione tecnologica, «no» a nuova occupazione, «no» all'ingresso nel mercato di nuovi soggetti. Si sta ripetendo la vicenda di molti anni fa, che portò ad impedire la crescita delle TV via cavo per far posto a quella via etere terrestre.
Ma questa volta il ritardo potrebbe avere effetti esiziali. Mentre altre nazioni stanno incentivando lo sviluppo della piattaforma digitale, guarda caso interamente controllata da soggetti nazionali, costruendovi la propria politica industriale e culturale e favorendo l'innovazione, il nostro paese rimarrà tagliato fuori da questi scenari, con un'ulteriore aggravante: costringeremo gli operatori nazionali a perdere centinaia di miliardi investendo in un'offerta digitale che sarà necessariamente più povera di contenuti, a causa della competizione con la TV analogica riservata a pochi eletti.
Io già immagino l'obiezione di nazionalismo al Governo e al Parlamento e di protezionismo a queste mie affermazioni. È stato consentito alle aziende pubbliche che controllano le dorsali di telecomunicazioni di cedere l'uso delle stesse a consorzi guidati dai grandi concorrenti di Telecom Italia: FS e France Telecom, ENI e British Telecom, ENEL e Deutsche Telekom.
Non credo sia necessario ricordare qui come le imprese italiane vengano trattate in altre nazioni europee. Non mi risulta che i Governi abbiano caldeggiato le aziende di quei paesi a firmare accordi con le imprese italiane. Quindi abbiamo dimostrato una grande attenzione (giustamente, io ritengo) per soggetti non italiani. Non vi è alcun intento negativo verso chicchessia nella proposta che noi facciamo di ridurre ad uno i canali permessi via terra per le televisioni criptate; al contrario, mantenere la norma attuale significa permettere la sopravvivenza di una emittente a terra per tener conto delle esigenze di Canal Plus. Questo è un punto importante che abbiamo sollevato nel dibattito.
L'altro punto importante che vorrei evidenziare è la discussione che è stata introdotta qui dal collega della lega nord, che riguarda il cosiddetto «traino», vale a dire la possibilità per concessionarie nazionali di pubblicità di raccogliere questa pubblicità per le emittenti locali, aumentando il tetto pubblicitario che possono raccogliere. Credo che questa norma sia inaccettabile e la sua accettazione sarebbe per noi motivo di voto contrario al provvedimento.
Peraltro, mi appare inspiegabile che il gruppo della lega nord, che da anni conduce una giusta battaglia in favore delle norme anti-trust e di quelle sul conflitto di interessi, improvvisamente si faccia promotore di una proposta di questo tipo. Capirei se questa proposta fosse prevista per quelle concessionarie ed emittenti nazionali che raggiungano fatturati non cospicui e quindi non creino turbative di mercato della pubblicità locale. Ma la stessa vituperata legge Mammì aveva previsto il divieto di raccolta pubblicitaria per il mercato locale da parte delle emittenti nazionali, proprio per consentire una libera competizione sul mercato locale e al fine di evitare il pericolo di un controllo indiretto delle emittenti locali da parte dei grandi soggetti nazionali.
È evidente che noi abbiamo un mercato italiano pubblicitario anomalo: un solo operatore privato controlla più del 90 per cento della pubblicità destinata all'emittenza radiotelevisiva privata e questo, cari colleghi, è un canone occulto, perché quando si va ad acquistare un prodotto che ha investito nella pubblicità
che mantiene in vita queste emittenti si paga il canone senza saperlo. Peraltro, occorrerebbe una normativa chiara anche sull'etichettatura dei prodotti, per sapere quanto spendono in pubblicità, per decidere liberamente se acquistarli o meno, quindi se pagare un canone a questa o a quella televisione.
Questa anomalia del 90 per cento è insostenibile in un mercato libero e per forze che si dichiarano liberiste o anche solo liberali o anche solo democratiche. Tale quota scende ad oltre il 60 per cento qualora venga inclusa la RAI. Il vero problema quindi sarebbe (credo che i colleghi della lega dovrebbero fare questa battaglia e non quella che hanno fatto qui, ed io sarei d'accordo con loro) diminuire questa quota piuttosto che aumentarla. In secondo luogo, l'adozione di questa norma cosiddetta del «traino» creerebbe una evidente alterazione del mercato delle emittenti locali. Infatti è noto che le concessionarie di pubblicità Publitalia, grazie alle economie di scala consentite dalla presenza di tre network nazionali, a cui si potrebbero aggiungere gli altri media del gruppo Mediaset-Fininvest, hanno una potenzialità di raccolta molto forte sui mercati locali. Peraltro l'emittente beneficiaria di queste risorse si troverebbe in una posizione di grande vantaggio rispetto alle concorrenti. Una tale disposizione presenterebbe un'evidente violazione addirittura delle norme generali anti-trust sull'abuso di posizioni dominanti, in relazione a due fattispecie. Vi sarebbe innanzitutto una pesante lesione dei diritti delle concessionarie di pubblicità locale; in secondo luogo ciò avverrebbe anche con riferimento alle emittenti locali.
Mi dispiace dover constatare che la giusta ipotesi di far accedere al mercato nuove imprese televisive - è questo l'obiettivo dichiarato dalla lega - qui si tradurrebbe nel suo contrario, cioè nel rafforzamento del duopolio e dei monopoli esistenti.
In conclusione, vorrei sottolineare la necessità, accingendoci ad approvare questo provvedimento nel testo elaborato dalla Commissione senza ulteriori cedimenti, di mettere mano con forza alla soluzione del conflitto di interessi e ad una legislazione più moderna, che davvero renda possibile l'innovazione tecnologica e trasformi l'utilizzo di queste tecnologie nella possibilità di un aumento della democrazia e non nella sua depressione ovvero nella creazione di un nuovo feudalismo.
Abbiamo affrontato, in sede di Commissioni riunite VII e IX, questo provvedimento con uno spirito certamente costruttivo, ma con molte limitazioni venute da un dibattito ampio, lunghissimo, durato ben dieci mesi al Senato. Speravamo di poter migliorare il provvedimento, perché è vero che per anni si è discusso della necessità di creare una authority - anzi, si è detto che era necessaria per poter procedere alla privatizzazione della STET, come di fatto poi è avvenuto con la fusione con Telecom Italia, allorché, senza che ci fosse l'authority si sono cedute di fatto le azioni - ma poi abbiamo scoperto che questa authority nasce monca perché, se nei principi generali stabiliti dall'articolo 1 è prevista la sua piena autonomia ed indipendenza di giudizio, non vengono poi stabiliti sistemi di nomina ed organizzativi, legislativamente previsti, che ne garantiscano la piena autonomia e l'indipendenza di giudizio e di valutazione.
Creare una authority senza questi requisiti non ha alcun senso. Sarebbe bastato il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni, con le sue competenze, o il garante per la radiodiffusione e l'editoria, con le sue competenze.
Avevamo avanzato proposte che, a nostro giudizio, andavano verso la piena autonomia, perché tendevano a creare un sistema diverso di nomina del presidente
dell'authority. Siamo convinti che oggi in Italia la nomina da parte dell'esecutivo, seppure ricalca esperienze di altri paesi, visti i precedenti di «occupazione» che il Governo Prodi ha creato in questi mesi, non offre elementi di tranquillità.
Avevamo auspicato la creazione della figura del segretario generale, convinti che sia indispensabile distinguere le funzioni di indirizzo che spettano alla commissione dell'authority dalle funzioni tecniche, le più importanti, che dovrà affrontare soprattutto la struttura amministrativa ed organizzativa. Abbiamo verificato le esperienze di altri paesi e quella più importante, la statunitense, prevede un vertice apicale amministrativo, così come l'esperienza inglese.
Siamo convinti che sia necessario approvare l'emendamento che abbiamo presentato come gruppo di alleanza nazionale e come Polo delle libertà per introdurre nella normativa la figura del segretario generale; altrimenti si rischia, prevedendolo con il regolamento, di dar vita ad una figura troppo debole e quindi di sbilanciare tutto sul presidente, che è tra l'altro di nomina governativa.
Infine, un auspicio, affinché questo nuovo organismo serva a velocizzare la struttura pubblica nel settore delle telecomunicazioni. Oggi il mercato corre, corre moltissimo ed è senza frontiere. Gli operatori corrono perché vanno dietro al mercato. Gli altri paesi sono velocissimi. E noi siamo indietro non solo nella televisione, ma in tutto quello che è la multimedialità che, viste le nuove tecnologie che si affacciano, ci vede purtroppo in ritardo. Qui rivolgo un appello al Governo, finora insensibile o incapace di risolvere il problema, affinché - come ha auspicato anche Bill Gates, nella sua visita in Italia - vengano ridotte le tariffe di accesso ad Internet. È inutile che discutiamo a lungo della multimedialità, delle nuove tecnologie, della creazione di authority di garanzia rispetto a tutto questo, quando poi non siamo in grado di garantire un accesso uguale a quello che c'è negli altri paesi a coloro che vogliono cominciare ad entrare nel mondo della multimedialità.
Siamo poi convinti di aver apportato dei miglioramenti e non dei peggioramenti, come qualcuno ha sostenuto, in merito al doppio grado di giudizio e in merito ai poteri della Commissione di vigilanza RAI, affinché il Parlamento abbia un proprio ruolo.
Concludo, auspicando che il Governo accolga il nostro emendamento per la creazione della figura del segretario generale. Credo che questa potrebbe essere un'importante apertura, per dimostrare che non c'è voglia di immediata occupazione del nuovo organismo che si va a creare, ma che c'è la volontà di nominare non solo un vertice che dia un indirizzo, ma anche un vertice apicale amministrativo, che deve avere funzioni tecniche, che devono essere veramente indipendenti, veramente neutre e che non possono essere condizionate da uomini nominati con metodi che purtroppo finora non ci hanno soddisfatto (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Diciamo subito che questa non è un'altra Mammì e questo Parlamento non è il Parlamento del 1990 che ha varato la legge Mammì, tra l'altro con una bella serie di complicazioni (le dimissioni di cinque ministri e una specie di rimpasto di Governo), perché anche allora era stata una cosa difficile da far passare. E come non ricordare la legge n.10 del 1985, la
cosiddetta legge Berlusconi? Come non ricordare quella che è stata la vera frattura nella logica che si era instaurata, grazie alla Corte costituzionale, non grazie ai Governi dell'epoca? Grazie alla Corte costituzionale, che era stata la vera unica autorità indipendente in questo settore, l'unica fonte normativa che ha funzionato dagli anni settanta in poi in Italia.
Ebbene, possiamo qui situare l'inizio di questa discontinuità italiana, per cui si è arrivati ad una forma di televisione nazionale (che non avrebbe potuto essere tale per quante erano le basi di partenza), che ha bloccato sul nascere il pluralismo. Queste sono le radici del duopolio. E quanto in queste radici del duopolio siano intimamente connesse le ragioni dei conflitti di interesse che ancora oggi si trascinano è abbastanza facile verificarlo; non sono fatti di oggi.
Si è detto che i popoli che non conoscono la storia sono condannati a ripeterla. Noi invece la storia la conosciamo bene e non vogliamo ripeterla. Questo è un Parlamento diverso. Questa legge non è la Mammì - lo ripeto - ma una legge nuova, che dovrà portare effettivamente a un superamento reale della situazione esistente. Ci sono state, per arrivare a questo, due vere rivoluzioni, due liberalizzazioni. La prima, quella del settore radiotelevisivo, è nata per la verità da un fatto tutto italiano: da una rivoluzione, questa senz'altro vera perché è stata in qualche modo una rottura della legalità, la quale sembrava effettivamente violata dalla trasmissione via etere quando ciò era proibito dal codice postale, ma era stata riconosciuto dalla Corte costituzionale.
L'Italia è stato il primo paese ad entrare nell'epoca del post-monopolio ed è stato anche il primo paese ad occupare l'intero spettro televisivo senza che vi fosse alcuna pianificazione e di ciò continua a portarne le conseguenze.
Dopo di che, cosa è accaduto? È successo che la situazione italiana (che l'autorità si troverà ad affrontare) è indubbiamente del tutto anomala; lo è certamente sul piano della utilizzazione delle frequenza, ma soprattutto sul piano del mercato televisivo, in quanto è abbastanza chiaro che lo sviluppo successivo non è andato nella direzione del pluralismo, ma di un duopolio assolutamente assorbente delle risorse.
A cosa vale quindi un pluralismo di facciata, se poi effettivamente le risorse dipendono semplicemente dalla mancanza di una normativa anti-trust e non da altro? Credo che effettivamente le norme della Federal comunication commission sarebbero state quindi giudicate assolutamente liberticide dai colleghi dell'opposizione che hanno parlato prima, per quanto riguarda la situazione italiana, qualora esse fossero state realmente applicate.
Effettivamente quello che è successo non ha assolutamente alcun riflesso in altre parti del mondo; occorre quindi anzitutto una normalizzazione di questa situazione. È questo il primo gravoso compito dell'autorità, ossia quello di passare da una situazione che tutti oggi riconoscono anomala ad un'altra che diventi normale e diciamo anche moderna.
Abbiamo visto che l'altro protagonista, la RAI, il servizio pubblico, ha vissuto questa stagione con un senso di competizione portata proprio dal duopolio, e dal prevalere della logica dell'auditel, che è stato uno strumento di terribile devastazione.
Non dimentichiamoci che il servizio pubblico è stato corrotto da questa logica ed è arrivato effettivamente a perdere, in molti casi, quelle che erano le sue radici, la sua funzione! Dobbiamo riportare il servizio pubblico a quella che è la sua vera ed alta funzione. Occorre cioè pervenire ad un servizio pubblico che riesca (e questo è sicuramente importante) ad attuare quello che è il suo specifico compito, senza particolari problemi connessi alla dipendenza da un ascolto che a volte è stabilito in modo assolutamente schizofrenico. Occorre un servizio pubblico che non abbia paura di fare quello che è il suo mestiere. Ad esempio, giudico assolutamente sbagliato e forse anche colpevole continuare a dire che il nostro servizio pubblico funziona malissimo,
perché nonostante tutto esso è ancora uno dei migliori del mondo. Il che dimostra che esso ha le potenzialità per essere sicuramente un vero servizio pubblico.
In Inghilterra, presso la BBC, ho trovato un altissimo senso della propria missione: non soltanto i dirigenti, ma anche gli impiegati parlano infatti della propria missione e ciò in situazioni che dal punto di vista dell'economia sono di grandissima attenzione e di grandissimo risparmio relativamente ai costi, sono di nessuna pubblicità in onda ma di dipendenza totale dal canone e ottenendo circa il 50 per cento dell'ascolto, mantenuto con la qualità dei programmi. Ebbene, questo è il servizio pubblico a cui, in Italia, si può tendere tranquillamente e non è sicuramente un'utopia. Proprio in ciò si inserisce il discorso della piattaforma digitale. Occorre che il servizio pubblico sviluppi tutte le corde delle nuove tecnologie e sia messo nella condizione di partecipare in pieno alla nuova epoca che si sta aprendo. Il fatto che vogliamo istituire un'unica autorità significa proprio che crediamo che la convergenza vada effettivamente in tale direzione.
Per la verità, infatti, l'Italia importa l'altra liberalizzazione, quella delle comunicazioni. Dobbiamo dirci con chiarezza che, per quanto riguarda la liberalizzazione delle comunicazioni, c'è stato in Italia il recepimento delle normative europee e che tutta la nostra normativa in materia in questo momento è la traduzione di norme deliberate in sede comunitaria. È una buona cosa, ma occorre a questo punto arrivare a quell'equilibrio che consenta un reale sviluppo del potenziale italiano nel settore, senza timore di offrire ai cittadini il reale collegamento con il mondo. Si tratta di non aver paura delle nuove tecnologie e di considerarsi dei concorrenti in questo caso globali, perché quello che abbiamo di fronte è un mercato che rende molto più agevole la dimensione sopranazionale, la dimensione mondiale.
La televisione infatti è poco nazionale, è nazionale il servizio pubblico televisivo, ma la televisione o è locale o è un fatto - soprattutto quella commerciale - sopranazionale. Essa diventa sempre più un elemento di globalizzazione in cui il doppiaggio nelle varie lingue del pianeta è l'unico elemento di differenziazione, ma nemmeno più tanto.
Occorre, quindi, dare alla televisione locale, che non è una televisione a carattere generalista, bensì specializzata in quella particolare branca che è l'informazione locale, di svolgere il ruolo che le spetta e che non ha svolto negli ultimi vent'anni. Occorre pertanto cambiare la situazione.
Nel provvedimento al nostro esame ci sono alcuni elementi importanti che rafforzano il ruolo della televisione. Si parla, ad esempio, di provvedimenti che consentono la diretta dei collegamenti mobili. È una possibilità che ancora non era stata prevista e il disegno di legge in esame la attribuisce immediatamente alle televisioni. Si prevede inoltre la sperimentazione del digitale e si cambia il sistema di rilevazione degli indici di ascolto. Quest'ultimo è un fatto che reputo enormemente positivo. La rilevazione degli indici di ascolto è stata fino ad ora gestita e voluta dal mercato ed è stata guidata soprattutto dagli investitori pubblicitari, ma a fianco di questa ci può essere anche una rilevazione diversa, che non tiene conto soltanto dei mezzi importanti dal punto di vista pubblicitario, ma che tiene d'occhio tutto il panorama. In tal modo si può avere un reale spaccato dell'ascolto radiofonico e televisivo in Italia, elemento di cui al momento non disponiamo. Pertanto è necessario che l'autorità, oltre che curare le rilevazioni di ascolto, si occupi anche di questa rilevazione generale che in questo momento non fa parte dei mezzi a disposizione, non soltanto del legislatore, ma anche di chi deve utilizzare tali dati e lo deve fare correttamente.
Si tratta di un aspetto estremamente delicato e da questo punto di vista ritengo che la versione finale elaborata in Commissione consenta l'introduzione di questo nuovo elemento di libertà.
Questo non significa - dobbiamo chiarirlo - Auditel di Stato; vuol dire che allo Stato rimangono le ricerche finalizzate
all'ascolto della pubblicità allorché passa un determinato spot. Tutto questo però non può condizionare la programmazione della televisione pubblica.
Un altro elemento di grande conflittualità si riferisce alla possibilità delle concessionarie di radio e televisione nazionale di occuparsi anche delle televisioni locali. È una eventualità che abbiamo già sperimentato negli anni precedenti al 1994 in una forma attenuata dalla legge Mammì. È un fenomeno che certo non può essere considerato in modo positivo, anche perché aveva portato, nel campo già disastrato della pubblicità destinata alle televisioni locali, una reale distorsione del mercato. Di tutto quello oggi rimane una situazione (è questo uno dei problemi che abbiamo di fronte) che occorrerà portare a regime, e per far questo ci vorrà del tempo. Inoltre bisognerà valutare se nel tempo necessario per andare a regime ci si possa avvalere di norme cautelative, proprio per evitare le distorsioni del mercato, volte a consentire l'esistenza di sinergie. Il traino fatto da una sola locomotiva è certamente una distorsione, ma se ci fosse un reale pluralismo il discorso cambierebbe, soprattutto se venissero fissati dei tetti privi di effetti distorsivi.
Si tratta di condizioni molto difficili da valutare e da questo punto di vista forse occorre rinviare il discorso al disegno di legge n.1138, che è destinato a completare il panorama della normativa che questo Parlamento, diverso da quello degli anni passati, si permette di approvare in materia televisiva. Per i Parlamenti precedenti ciò rappresentava un vero e proprio tabù proprio per quel groviglio più che conflitto di interessi che li ha attraversati e che è stato uno dei mali della politica italiana.
Questa legge forse contiene un elemento di debolezza ed è l'arco di tempo necessario delle norme anti-trust. Al riguardo abbiamo qualche rimpianto anche se sappiamo che l'anti-trust sarà attuato. Tale certezza ci convince di essere sulla strada giusta, quella che consente di misurare effettivamente le quote di mercato, introducendo la normativa anti-trust all'interno di quella che regola l'impresa. Mi chiedo come cambierebbe la concorrenza in Italia se fossero davvero attuate le normative che regolano le autorità anti-trust americane.
Come dicevo, siamo sulla buona strada ma, per quanto riguarda le direttive europee, non scegliamo quali applicare, applichiamole tutte. Inoltre in materia televisiva vi sono molti esempi da prendere dal lavoro del Parlamento europeo. Penso alle quote di produzione, europea e nazionale, della programmazione televisiva. Questo è un elemento fondamentale per l'industria culturale del nostro paese; non è un elemento secondario. Di esso ci si dovrà occupare: ne rimanderemo l'esame sempre alla seconda parte del lavoro, che non potrà tardare troppo.
In conclusione devo dire che abbiamo fiducia nella Autorità perché, così come viene delineata, non è l'estensione del Garante, poiché dispone di molti più poteri; e li dovrà usare perché ciò dovrà portare ad un diverso assetto del sistema radiotelevisivo e delle telecomunicazioni. Ripeto: dovrà portare ad un sistema diverso dall'attuale, che deve cambiare! Non è accettabile che venga procrastinato in modi troppo lunghi e quindi dico fin d'ora che non dovranno esservi ulteriori proroghe; quelle che sono contenute nel disegno di legge in esame dovranno essere veramente le ultime!
Si è parlato di un sistema diverso dall'attuale. È così, perché arriveranno nelle case tanti canali televisivi, aumentando in tal modo l'offerta televisiva. Questo però non significherà che siano meno importanti i cosiddetti canali generalisti; probabilmente, rappresenteranno il 50 per cento dell'ascolto, in luogo dell'attuale 78-80 per cento (dipende da come facciamo i conti)! In realtà, però, rimangono per i prossimi anni i veicoli più grossi di questa autostrada, che saranno quelli che dovranno maggiormente osservare le regole.
Vi sarà effettivamente la possibilità di scegliere tra diverse compagnie telefoniche; e questo rappresenta sicuramente un
altro modo di cambiare quella che è la mentalità del nostro paese, introducendo il mercato dove non c'era!
Credo che il compito dell'Autorità delle telecomunicazioni sarà indubbiamente uno dei più importanti per la modernizzazione di questo paese e ripeto che non vogliamo soltanto un paese normale, ma un paese moderno (Applausi).
Con l'avvento della tecnologia digitale, negli anni settanta, si è invece iniziato a definire un indirizzo di tipo concorrenziale in un mercato dinamico. La Comunità europea ha favorito questo sviluppo attraverso le direttive nn.387 e 388 del 1990, attuate rispettivamente in Italia nel 1993 e nel 1995.
A completare il quadro delle telecomunicazioni sono poi intervenute la n.46 del 1994, la n.51 e la n.62 del 1995 e la n.2 del 1996, che riguardano rispettivamente la comunicazione via satellite, la diffusione televisiva via cavo, il servizio di telefonia vocale e il servizio radiomobile.
La Comunità ha poi emanato la direttiva n.19 del 1996, che va a modificare la n.388 del 1990, cercando di anticipare le tappe della liberalizzazione sulla base delle indicazioni contenute nel Libro verde sulle telecomunicazioni, pubblicato il 25 ottobre 1994.
Infine, per quanto riguarda le autorizzazioni generali e le licenze individuali all'installazione di reti di telecomunicazioni ed alla fornitura di servizi, la Comunità ha provveduto con la direttiva n.13 del 1997.
Il sistema legislativo oggi presente in Italia è dominato dalla legge n.58 del 1992, che ha riformato il settore delle telecomunicazioni attribuendo alla Telecom la gestione della rete pubblica dei servizi di telecomunicazioni prima esercitati dallo Stato, dalla SIP, dall'Itacable, da Telespazio e dalla SIRM.
In sintesi, vorrei ora delineare il quadro della situazione italiana. La rete pubblica di telecomunicazioni è gestita su base di concessione ad uso pubblico dalla Telecom (anche se è noto che sono state rilasciate altre quattro concessioni ad uso privato alla SNAM, alla Società autostrade, all'ENEL e alle Ferrovie dello Stato).
Il servizio di telefonia vocale è gestito esclusivamente da Telecom. I servizi di telecomunicazioni diversi da quello di telefonia vocale, telex e comunicazioni mobili, sono stati liberalizzati attraverso il decreto-legge n.55 del 1993 ed il decreto-legge n.103 del 1995. La telefonia mobile, infine, è in condizione di monopolio TIM per quanto riguarda la tecnologia TACS, mentre per quanto riguarda il GSM esso è liberalizzato con bandi di gara e, come è noto, ad oggi sono due i gestori: TIM ed Omnitel.
Le direttive comunitarie 95/51, 95/62 e 96/19 sono state recepite dal decreto-legge n.545 del 1996, il quale attribuisce al Governo il potere di attuare tali direttive in via regolamentare. Tali regolamenti devono: sopprimere i diritti esclusivi e speciali; attribuire a ciascuna impresa il diritto di fornire servizi di telecomunicazioni e di installare reti di telecomunicazioni; disciplinare condizioni per il rilascio di autorizzazioni o concessioni. Il decreto-legge n.115 del 1997, recependo la direttiva 96/2, apre di fatto la gara per il terzo gestore di telefonia mobile e stabilisce inoltre che il regolamento che definisce il servizio radiomobile possa formare oggetto di testo unico con il regolamento di cui al decreto-legge n.545 del 1996. Tale regolamento di attuazione delle direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni stabilisce, all'articolo 2, i principi fondamentali: libera concorrenza e pluralità di soggetti; rispetto degli obblighi di fornitura del servizio
universale; tutela degli utenti; uso efficiente delle risorse; tutela dei diritti e della riservatezza. Cardini fondamentali di questo regolamento sono l'articolo 3 sul servizio universale; l'articolo 4 sull'interconnessione; l'articolo 5 sulle condizioni di accesso alla rete; l'articolo 6 sugli istituti dell'autorizzazione generale e della licenza individuale; l'articolo 8 sulla contabilità dei costi; l'articolo 9 sulla separazione contabile per i soggetti dominanti e l'articolo 15 sulla riservatezza dei dati. Come si può vedere, quindi, il quadro normativo si appresta ad essere vasto e complesso ed è necessario varare leggi chiare che aiutino la concorrenzialità nel mercato delle telecomunicazioni. La Commissione trasporti e telecomunicazioni, pur esprimendo parere favorevole sul regolamento, ha fatto diverse osservazioni. Tra queste vi sono, di particolare evidenza, quelle relative ai costi prospettici incrementali di lungo periodo e all'access deficit contribution.
È evidente come questi due aspetti possano risultare determinanti per la vera liberalizzazione e lo sviluppo del mercato delle telecomunicazioni. Il ruolo che sarà chiamato a svolgere l'authority, nell'ambito di un così complesso mosaico di leggi e regolamenti, sarà proprio quello di vigilare affinché le norme di attuazione del regolamento e le leggi che verranno varate siano individuate in maniera chiara ed univoca.
È mia opinione, peraltro molto diffusa, che la classe dirigente dell'authority debba possedere grande autorità: forti poteri e forte personalità per imporre il rispetto delle regole da parte degli operatori ed esercitare, nel contempo, un'azione di stimolo verso le imprese del settore, nella più totale autonomia dal potere politico. Deve perciò avere una profonda conoscenza del mondo delle telecomunicazioni, del mercato dei servizi, non disgiunta, però, dalla conoscenza delle esigenze della società e degli utenti e quindi dei cittadini.
Questa authority, che si affiancherà a quella sull'anti-trust, alla quale sono riservati compiti prevalentemente di controllo, dovrà essere la garante dei processi di liberalizzazione e di privatizzazione nel nostro paese. Essa dovrà fare molta attenzione alla definizione di nuove regole che, seppure nel nobile intento di favorire la liberalizzazione potrebbero, in realtà, costituire delle barriere per gli aspiranti al mercato. Si potrà parlare di vera liberalizzazione solo garantendo pari opportunità agli operatori. Se l'accesso è libero, si ottiene, certamente, un mercato libero. In un mercato libero gli operatori di rete ed i fornitori di servizi cercheranno di utilizzare diverse reti per trasmettere dati agli utenti. Per favorire la concorrenza è quindi necessario aiutare i nuovi concorrenti ed i gestori di rete ad operare interconnessioni con l'operatore pubblico e con altre reti, in modo da creare reti di reti.
Ma tutto questo non è ancora sufficiente: occorre anche assolvere al compito, non meno importante, di informazione e di indirizzo per tutto il settore delle telecomunicazioni, al fine di indicare le tendenze che si vanno determinando in ambito internazionale, onde orientare gli operatori e tutta l'industria verso una politica del settore, integrata a livello europeo se non mondiale.
Non si può non ricordare quanto, sia pure in un diverso contesto, ha compiuto l'Oftel in Gran Bretagna, sia dal punto di vista della saggezza profusa nella definizione di una politica tariffaria, sia per l'attenzione che ha sempre mostrato per l'efficienza dei gestori, per la qualità dei servizi resi agli utenti e, infine, per il contributo determinante dato in termini di indirizzi industriali strategici al competente ministero inglese.
A fronte di quanto evidenziato, desidero concludere, onorevoli colleghi, esponendo alcune valutazioni sul disegno di legge n.3755.
Credo che alcune delle competenze che in questo provvedimento vengono attribuite all'authority per le telecomunicazioni siano già superate rispetto a quelle contenute nello schema di regolamento attuativo delle direttive comunitarie. In particolare sul tema dell'interconnessione, nonché su altri temi di grande rilievo,
anche da parte di altri colleghi si è evidenziata la necessità di sollecitare, attraverso proposte emendative, un testo coerente ed in linea con il parere da noi espresso, che peraltro tiene conto ed adotta la già citata direttiva comunitaria. Il mercato che si delineerà a partire dal 1998 sarà un mercato capace di dare nuovo respiro all'economia del paese.
Noi non dobbiamo vivere la liberalizzazione come un traguardo, bensì come una partenza. È nostro compito correggere tutti gli errori e le trascuratezze del passato ed alimentare quello spirito di iniziativa e quella genialità che certo non mancano a noi italiani. Per fare questo occorre stabilire, oltre alle regole del gioco, anche l'arbitro della partita, le sue responsabilità, i suoi poteri.
Auspico, quindi, che il dibattito sul provvedimento in questione dia l'opportunità di nominare una vera authority, che nel comparto delle telecomunicazioni possa veramente far valere le regole dell'autentica liberalizzazione e dell'autentica privatizzazione, della concorrenza e della tutela degli utenti; utenti che alla fine dovranno essere i veri beneficiari del quadro normativo che andremo via via definendo anche attraverso l'approvazione di questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Credo che l'atteggiamento della maggioranza sulla questione della piattaforma digitale sia quanto meno bizzarro; sono giunto a queste conclusioni dopo aver udito alcuni interventi in sede di Commissione ed anche questa sera.
Posso comprendere gli appetiti dei colossi del video e del telefono nei confronti di un sistema che certamente offre più scelta per quanto riguarda i canali ed una maggiore qualità per l'immagine. È noto che la televisione digitale rispetto a quella analogica permette un migliore sfruttamento dello spettro delle frequenze, con tutto ciò che di importante ne consegue.
Sappiamo che Canal plus ha acquistato il 90 per cento, tra l'altro pagandolo a caro prezzo, dell'unica pay-TV operante in Italia. Canal plus ha know how, ha esperienza e soprattutto ha voglia di investire capitali. Il Governo, però, non sembra felice di questo e vorrebbe ridurre la presenza straniera - così è stato detto anche in Commissione - quando è chiaro che ai produttori italiani la nazionalità del gestore - diciamolo molto chiaramente - importa assai poco. Ricordo inoltre che quando la proprietà della pay-TV era tutta italiana molto fu fatto proprio per modificarla. Peraltro, l'identità nazionale dei proprietari non era certamente rilevante.
In poche parole, il Governo e la maggioranza vogliono che RAI e STET entrino nella Telepiù ed in Canal plus. Si tratta di una deroga all'anti-trust consentita alla RAI ma, rileggendo il testo ed ascoltando anche l'intervento dell'onorevole Giulietti, non ad altri soggetti privati. Noi crediamo invece che la deroga vada estesa anche ad ulteriori soggetti privati, tant'è che, come è stato annunciato anche dall'onorevole Giulietti, presenteremo un ordine del giorno in questo senso.
Vengo al cosiddetto traino pubblicitario. Si parla spesso - ho ascoltato poco fa anche il collega Rogna - di traino pubblicitario, di cui qui non vi è traccia; si parla anche di una presunta sudditanza da esso generata. Il traino - lo riscontro in qualità di persona molto vicina ad alcuni imprenditori del settore televisivo - è la possibilità per le grandi concessionarie di pubblicità nazionale (tra cui, ovviamente, anche la SIPRA e Pubblitalia) di raccogliere pubblicità anche per le emittenti locali, per le quali - attenzione, perché questi sono i dati - si potrebbe prevedere un maggiore introito di circa 100 miliardi, cioè poco più o poco meno
il 20 per cento del budget che attualmente è disponibile per 700 emittenti, cioè un terzo di quelle esistenti sul pianeta.
Per le grandi concessionarie, che fatturano 8-9 mila miliardi all'anno, si prevede quindi un incremento modestissimo, dell'1 per cento, forse meno. Qualcuno suppone che da questo incremento possa dipendere la sudditanza delle emittenti locali. Noi ci domandiamo allora nei confronti di chi. Della SIPRA-RAI o di Pubblitalia-Mediaset, della concessionaria che lavora per TMC o di quella che raccoglierà per MTV-Rete A od ancora per Retemia-Disney? Con questa scelta così vasta per quale motivo, francamente, le emittenti locali dovrebbero essere suddite di qualcosa o di qualcuno?
Il divieto del traino era già sancito dalla legge Mammì con molta chiarezza, ma sette anni fa, ed allora le condizioni, anche di mercato, erano ben altre. Quel divieto rispondeva al timore di un eventuale controllo indiretto dei grandi gruppi dominanti sulla piccola emittenza locale. Erano timori ingiustificati allora, figuriamoci ora ed i fallimenti delle grandi realtà consortili o circuitali, volute più per motivazioni politiche ed assistenziali che per un effettivo riscontro economico, ne costituiscono la dimostrazione più lampante.
Vengo poi alla questione dell'Autidel. L'originario disegno di legge prevedeva un normale potere di vigilanza dell'autorità nei confronti degli istituti di rilevamento. In seguito i popolari presentarono un emendamento in base al quale la commissione per i servizi e per i prodotti avrebbe potuto effettuare direttamente le rilevazioni degli indici di ascolto e di diffusione dei diversi mezzi di comunicazione. L'organo deputato al controllo ed alla garanzia avrebbe cioè dovuto sostituirsi all'istituto di rilevamento degli ascolti televisivi, che pure già esiste ed è evidente realtà. Ora, dopo le insistenze anche del Polo, l'autorità si limita - non so quanto essere soddisfatto per questo - a curare le indagini. Anche a questo riguardo dobbiamo metterci d'accordo. Cosa significa curare? Vuol dire che si accolla i costi dell'indagine (e per le televisioni girano cifre dell'ordine di 17-20 miliardi) ed anche le responsabilità per quanto riguarda l'Audiradio od i quotidiani ed i periodici? Vuol dire che garantisce la correttezza delle indagini, che le gestisce? Che cosa vuol dire curare? Non sono estremamente soddisfatto di questo compromesso, per utilizzare un termine tanto caro all'onorevole relatore Giulietti.
Vengo agli ultimi due punti, anzitutto quello relativo al piano delle frequenze. È il caso di dire che finalmente si intravede uno spiraglio; quanto meno abbiamo la certezza che il piano dovrà essere predisposto entro il 30 aprile 1998 per le televisioni ed entro il 31 dicembre per le radio. Questo è un elemento di certezza che finalmente consente a numerosi imprenditori di operare per obiettivi, come si conviene nelle imprese serie. Posso esprimere una lieve soddisfazione anche per quanto riguarda gli impianti, perché anche in questo caso, dopo mesi, probabilmente anni di insistenza, sarà consentito a comuni situati in zone con caratteristiche orografiche particolari di ottenere l'autorizzazione per l'installazione di nuovi impianti ripetitori per la ricezione via etere sia delle televisioni nazionali sia di quelle locali.
Ho voluto trattare solo ed esclusivamente questioni squisitamente tecniche in considerazione del contingentamento, anche se avrei voluto fare un «cappello» politico dopo l'intervento introduttivo dell'onorevole Giulietti. Mi fermo, anche perché credo di avere esaurito il tempo a mia disposizione; lascerò qualche minuto in più all'onorevole Urso. Cercheremo ovviamente di migliorare l'impianto legislativo con una serie di emendamenti che mi auguro possano essere esaminati già da domani.
Dedicherò pochi minuti ad una valutazione squisitamente politica del provvedimento in esame, anche perché il relatore, onorevole Giulietti, in diverse occasioni ha sottolineato la valenza politica di quella che egli chiama pace televisiva, faticoso compromesso per chiudere una vertenza, una guerra lunga non trenta ma vent'anni, che ha condizionato gli sviluppi sociali, economici, tecnologici e politici del nostro paese. Purtroppo non sarà così; non credo che sia la firma di una pace, ma di un armistizio, perché se è vero che si chiude una vertenza, si lasciano peraltro i presupposti per aprirne altre. Ciò non solo perché, come ha sottolineato qualche collega di altra parte politica, nel provvedimento in esame sono contenute numerose proroghe, e non solo perché l'evoluzione del mercato e della tecnologia è in una fase di globalizzazione dei mercati, delle idee e degli sviluppi economici che si susseguono e si rincorrono gli uni con gli altri, fino a cambiare la nostra visione del mondo. Prima un collega, fuori da quest'aula, di fronte a quello che avviene in Italia mi suggeriva quello che accade su Marte, per cui scopriamo che il diluvio universale non è avvenuto sulla Terra ma proprio su Marte, o, mentre inseguiamo la pecora Dolly e la sua clonazione, ci accorgiamo che essa può anche realizzare del plasma umano.
Molto spesso noi valutiamo quello che è accaduto nel passato senza renderci conto che il futuro è già nel presente. Dico questo perché l'autorità, per la quale anche noi abbiamo sollecitato un provvedimento in tempi brevi, giunge dopo circa dieci mesi di dibattito ed è farraginosa. Si tratta sicuramente di un'autorità forte (in Commissione ho elencato tutti i verbi che può utilizzare: esprime, elabora, definisce, cura, individua, riceve, regola, promuove e quant'altro ancora), ha molto potere ma non è indipendente.
Si può firmare una pace quando ci si riconosce nel proprio spazio, nel proprio territorio, nella propria comodità con pari dignità. Così non è. Avrei capito che l'autorità fosse stata interamente di nomina dell'esecutivo che, come accade in alcuni paesi, se ne assume la responsabilità. Certo, ciò accade in paesi diversi dal nostro, nei quali non vi è un'economia socialista e nemmeno un'economia pubblica dominata dall'esecutivo, come avviene da noi; in paesi in cui il presidente della STET - tra pochi giorni Telecom - appena nominato non definisce gli avversari «lanzichenecchi». Pensate se avessimo nominato un presidente della STET o della Telecom che avesse definito la vostra parte politica come composta da cosacchi che arrivano a saccheggiare Roma: certamente sareste rimasti sconcertati, così come rimaniamo sconcertati noi.
Come dicevo, in altri paesi la nomina è tutta governativa, perché diverso è il rapporto tra la politica e l'economia: non vi è un'economia soggetta alla politica e non c'è una politica che, di fatto, occupa l'economia, la indirizza, la promuove, la utilizza.
Questo è il campo delle regole per eccellenza - lo sottolineo richiamandomi ad un intervento svolto dal ministro Maccanico all'inizio della legislatura -, visto che è la parte centrale dello sviluppo dell'economia nei prossimi anni, quella che determinerà la scala dei valori in ogni nazione e tra le nazioni.
L'economia dell'informazione è determinata dalla convergenza tra informatica, televisione e telecomunicazione. La realtà italiana deve affrontare una difficile competizione internazionale, una difficile evoluzione tecnologica e rischiamo di avere un'autorità che viene ipocritamente definita paritaria, ma che tale non è, perché il presidente di nomina governativa può determinare in ogni momento la decisione dell'autorità, di volta in volta presiedendo una commissione ed anche il consiglio.
Avremmo preferito che il presidente fosse stato anch'esso nominato dagli otto componenti oppure, in subordine, che le decisioni dell'autorità fossero prese a maggioranza dei due terzi. Questo avrebbe assicurato reciproche garanzie alle due coalizioni che si fronteggiano come in ogni democrazia occidentale ed avrebbe fatto sì che i primi passi lungo la strada della
liberalizzazione e della privatizzazione di settori così determinanti per gli sviluppi economici, sociali e tecnologici del paese venissero compiuti nella reciproca fiducia tra le due coalizioni che, in quel modo sì, avrebbero siglato una vera pace, disarmando entrambe gli eserciti ed evitando che una mantenga un «deterrente nucleare» che l'altra non ha: la possibilità di determinare la propria maggioranza, anche al di là dell'esistenza di una maggioranza in Parlamento.
Ci rendiamo conto che non si può non procedere all'istituzione dell'autorità, anche perché i provvedimenti che riguardano le privatizzazioni saranno comunque presi senza di essa. Anche in tale contesto - non è materia di oggi, ma è sicuramente attinente - siamo preoccupati, ma non per le alleanze internazionali che si stringono, che anzi riteniamo utili al paese.
Ho osservato che da questa Camera è stata recepita una norma sulla reciprocità che nella scorsa legislatura avevo proposto in Commissione e che in quella sede era stata accolta nel «testo Perticaro». Tale reciprocità riguarda, ovviamente, i paesi extracomunitari e quelli che, a loro volta, applicano norme che impediscono agli Stati esteri di acquistare aziende all'interno del proprio territorio.
Come dicevo, non siamo preoccupati per le alleanze internazionali, quanto piuttosto per la formazione del nocciolo duro della STET-Telecom che verrà realizzato nelle prossime settimane. Non vorrei che anche in tal caso si affermasse la logica della cordata di amici che determinano lo sviluppo delle telecomunicazione nel paese.
Presteremo molta attenzione perché riteniamo importante, decisivo, determinante, lo sviluppo tecnologico per gli assetti delle nazioni e delle società al loro interno.
Ci sono altri argomenti che lasciano perplessi. Per esempio, in questa continua proroga delle proroghe che vengono concesse all'autorità, è emblematico quanto previsto al comma 5, che dispone che le competenze indicate al comma 4 possono essere redistribuite con il regolamento di organizzazione dell'autorità, per cui abbiamo un'autorità che viene suddivisa al comma 4 in due commissioni e un consiglio. In queste due commissioni, quella per i servizi e quella per le infrastrutture, vengono stabilite in maniera precisa le competenze; addirittura i componenti che il Parlamento elegge debbono essere designati a una delle due commissioni. È una visione un po' a compartimenti stagni, che è innaturale rispetto all'evoluzione del mercato e tecnologica, che invece vede una convergenza tra le due cose.
Il comma 5 prevede che queste competenze possano essere redistribuite a loro volta al loro interno. A nostro avviso sarebbe stato più opportuno che tali competenze non fossero state così suddivise in compartimenti stagni (salvo poi essere discusse dal regolamento di organizzazione) ma che ci fossero state semmai, sì, anche due commissioni in una prima fase e poi il consiglio come organo deliberante complessivo, una sorta di seconda istanza.
La pianta organica viene definita anch'essa successivamente, con decreto del Presidente del Consiglio; così anche le normative per i concorsi, definite successivamente dall'autorità; così anche la figura del segretario generale: è emblematica la proposta fatta fuori dalla Commissione e poi riportata ieri in Commissione per venire incontro alle richieste del Polo, che chiedeva la figura del segretario generale come accade in altri enti di recente formazione. La proposta era relativa alla possibilità di prevedere successivamente l'istituzione del segretario generale. Questi continui rinvii a decisioni successive sarebbero opportuni se poi l'autorità fosse effettivamente indipendente, autonoma, tale da garantire le parti politiche che qui sottoscrivono la pace e non invece un'autorità che per sua natura, per le modalità di nomina, di indicazione del presidente e per le modalità con le quali assume le decisioni, sia soggetta ad una volontà
politica ed in questo caso alla volontà politica dell'esecutivo che nominerà il presidente.
Per questo, all'inizio, parlavo non di una pace ma di un armistizio, in cui una delle parti contraenti detiene una deterrenza (potremmo definirla nucleare, ma potrebbe essere chiamata in altri modi) che obbliga l'altra parte ad accettare o ad essere soggetta a quelle che saranno poi le decisioni dell'autorità. Noi avremmo preferito che anche in questo campo, che ritengo importantissimo per gli sviluppi del paese, ci fosse stata una decisione più rispettosa delle reciproche garanzie.
Voglio dirlo, anche perché noi siamo consapevoli che questo armistizio andava firmato, perché se non si fosse firmato tutta la vita politica dei prossimi mesi sarebbe stata continuamente inquinata; e questo inquinamento non riguarda soltanto il rapporto tra le due coalizioni, ma riguarda anche lo sviluppo del sistema bipolare e quindi la concezione di unità di rapporto tra economia e politica, che deve essere libero da pregiudizi, da connivenze, da interessi.
Ecco perché noi riteniamo utile comunque firmare questo armistizio, nella speranza - io mi auguro nella certezza - che chi è maggioranza e chi sarà maggioranza nell'autorità non utilizzi l'arma in più che ha, per piegare la parte che invece in questo momento sottoscrive l'armistizio senza avere un'arma dietro le spalle.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.