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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già articolo 1 del disegno di legge n.3229, stralciato con deliberazione dell'Assemblea il 12 marzo 1997: Disposizioni in materia di incarichi di medicina generale.
ANTONIO SAIA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, voglio premettere innanzitutto un ringraziamento alla Conferenza dei presidenti di gruppo per la sensibilità dimostrata. Infatti, dopo che ho sollecitato in aula l'esame di questo provvedimento, per urgenze di carattere oggettivo, esso è stato prontamente messo all'ordine del giorno dei lavori dell'Assemblea.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
MONICA BETTONI BRANDANI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Del Barone. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE DEL BARONE. Signor Presidente, colleghi, signor sottosegretario, la discussione che si è svolta in Commissione è stata esaustiva e completa, pur avendo fatto registrare qualche punta di dissonanza. Tuttavia, poiché sono sempre convinto che quando vi sia buona volontà è possibile pervenire ad una conclusione
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Cè, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
ANTONIO SAIA, Relatore. Rinunzio alla replica, signor Presidente.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
MONICA BETTONI BRANDANI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Signor Presidente, vorrei ringraziare il relatore e la Commissione in tutte le sue componenti, che hanno permesso di varare il disegno di legge in esame, il quale elimina le incongruenze che si erano venute a determinare tra la normativa vigente in base al precedente accordo collettivo nazionale e quella entrata in vigore e pubblicata con notevole ritardo nel settembre 1996.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Saia.
Il disegno di legge n.3229-ter deriva dallo stralcio delle disposizioni dell'articolo 1 del disegno di legge n.3229, vale a dire del disegno di legge originario, recante norme in materia di incarichi di medicina generale e di posti per la formazione di medici specialisti.
Si è ritenuto urgente esaminare la seconda parte di quel disegno di legge, vale a dire quella riguardante i posti per la formazione dei medici specialisti, e pertanto la Commissione ha ravvisato l'esigenza di dividere quel disegno di legge in due provvedimenti: il disegno di legge n.3229-bis, approvato in Commissione in sede legislativa, e il disegno di legge n.3229-ter, oggi alla nostra attenzione.
Il disegno di legge al nostro esame intende garantire l'applicazione del nuovo accordo collettivo nazionale per i medici di medicina generale e per i medici che intendono coprire i posti di guardia medica (oggi detta «continuità assistenziale») a decorrere dalla formazione delle graduatorie regionali per l'anno 1997, risolvendo le difficoltà connesse, da una parte, alla data di entrata in vigore dell'accordo e, dall'altra, allo svolgimento del primo corso di formazione in medicina generale previsto, in attuazione della normativa comunitaria, dal decreto-legislativo n.256 del 1991, posto che il nuovo accordo collettivo nazionale attribuisce ai titolari dell'attestato di formazione un punteggio particolarmente elevato, pari a 12 punti, che corrispondono all'incirca a 4 anni di lavoro.
Le difficoltà di comprensione sono state ingenerate dal fatto che il nuovo accordo, benché raggiunto nel gennaio 1996 e firmato dalle parti nel maggio dello
stesso anno, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale soltanto a settembre, quando erano già abbondantemente scaduti i termini per la presentazione delle domande relative al 1996 che, in base ai precedenti accordi n.314 del 1990 e n.41 del 1991 riguardanti la medicina generale e la guardia medica ed unificati successivamente in un unico accordo, avrebbero dovuto essere presentate entro il mese di giugno dell'anno precedente. Dunque, allorché è entrato in vigore il nuovo accordo, erano già scaduti i termini per le domande per le graduatorie relative al 1997. Occorre aggiungere che un ulteriore elemento di confusione si è ingenerato per il fatto che, mentre il precedente accordo (vigente nel 1996 in regime di prorogatio) prevedeva che il termine per la scadenza delle domande fosse al 30 giugno 1996 e con i titoli posseduti al 31 maggio 1996, con il nuovo accordo (quello entrato in vigore nel settembre 1996) i termini sono stati fissati al mese di gennaio dell'anno precedente e, conseguentemente, i titoli dovevano essere posseduti entro il 31 del mese precedente, cioè il 31 dicembre. In poche parole, per le graduatorie relative al 1997 sarebbe stato necessario presentare le domande entro il 31 gennaio 1996 e possedere i titoli al 31 dicembre 1995. Vi è stata dunque una modifica dei termini per la presentazione delle domande che ha creato molte difficoltà che il Governo prima e successivamente la Commissione affari sociali sono stati chiamati a risolvere. È stato individuato un modo per la creazione delle graduatorie sia per gli anni 1996 e precedenti sia dal 1997 in poi.
A tal fine il primo comma dell'articolo 1 del disegno di legge prevede l'integrazione delle domande già presentate allegando i titoli acquisiti entro il 31 maggio 1996, mentre il comma 2, attesi i ritardi di alcune regioni nell'attivazione dei corsi di formazione, equipara, ai soli fini della presentazione delle domande e per coloro che alla data del 31 dicembre 1996 non siano stati posti in grado di concludere il ciclo formativo, la frequenza al primo corso al possesso del titolo, che dovrà essere comunque acquisito al momento del conferimento dell'incarico. Infatti molte regioni, poiché nei precedenti accordi i termini per i titoli erano fissati al 31 maggio, avevano organizzato i corsi per farli concludere tra il mese di gennaio e quello di maggio. Sono cinque o sei le regioni in questa situazione.
Essendo intervenuto il nuovo accordo, che ha anticipato di cinque mesi la scadenza dei termini, molti laureati in medicina che stanno frequentando il corso si sarebbero trovati esclusi a causa di un ritardo da parte delle regioni; ciò avrebbe provocato l'insorgere di controversie ed anche vertenze nei confronti delle regioni.
Il dibattito in Commissione ha evidenziato la necessità di assicurare, ai fini dell'assegnazione delle zone carenti, un migliore equilibrio tra la posizione dei titolari dell'attestato di formazione rispetto agli altri medici, da anni inseriti nelle graduatorie, anche prospettando modifiche all'accordo collettivo nazionale, non ritenute proponibili in questa sede in considerazione dei criteri di ammissibilità degli emendamenti stabiliti dalla circolare del Presidente della Camera del 10 gennaio 1997.
La Commissione ha altresì convenuto sull'opportunità di modificare disposizioni relative ai cosiddetti diritti acquisiti, disciplinati dal citato decreto legislativo n.256 del 1991, ritenendo che alla posizione dei soggetti abilitati all'esercizio professionale della medicina e chirurgia alla data del 31 dicembre 1994 debba essere equiparata quella dei soggetti immatricolati al corso di laurea in medicina e chirurgia prima della data di entrata in vigore del decreto n.256 del 1991. Resta comunque da valutare la compatibilità di tali disposizioni con la normativa comunitaria vigente.
A questo proposito, la Commissione presenterà un ordine del giorno indirizzato al Governo per chiedere che tutti i soggetti immatricolati al corso di laurea in medicina e chirurgia entro il 1991, cioè alla data di entrata in vigore del citato decreto n.256, possano essere abilitati a svolgere le funzioni di medicina generale
o di guardia medica. Infatti, chi all'epoca si iscriveva al corso di laurea in medicina e chirurgia sapeva di poter comunque fare il medico di base e di non dover essere soggetto ad ulteriori esami. La Commissione all'unanimità ha perciò ritenuto opportuno presentare in Assemblea un ordine del giorno.
Il comma 3, introdotto dalla Commissione, ha carattere interpretativo della norma transitoria n.1 dell'accordo collettivo citato, quella che si riferisce alle modalità di entrata in vigore della nuova convenzione rispetto ai tempi, e prevede che la copertura delle zone carenti di assistenza primaria e di continuità assistenziale (cioè l'ex medicina di base e i turni di guardia medica) di fatto determinatesi fino al 31 dicembre 1996 avvenga sulla base dei criteri previsti dai precedenti accordi collettivi nazionali, anche qualora tali carenze non fossero state rilevate dalla ASL né pubblicate sul bollettino regionale. In quel caso, infatti, ci sarebbero state inadempienze da parte della ASL delle regioni in quanto i precedenti accordi dettavano criteri rigidi per la presentazione alla regione dell'elenco delle zone carenti e, da parte delle regioni, per la pubblicazione delle zone carenti. Quindi, se avesse operato il nuovo accordo nazionale sulle zone carenti create precedentemente, probabilmente si sarebbe verificato un danno nei confronti di coloro che pur avendo in precedenza i requisiti si sarebbero dovuti confrontare con chi ne aveva di nuovi. È stata perciò fissata la data del 31 dicembre 1996 come quella dalla quale entrano in vigore a tutti gli effetti le norme previste dal nuovo accordo nazionale, il n.484 del 1996.
La Commissione non ha inteso recepire l'osservazione espressa dalla Commissione lavoro, che chiedeva di valutare l'opportunità di limitare tale disposizione alle zone carenti di medicina generale e dei turni vacanti di guardia medica rilevati dalle aziende sanitarie locali, ma non ancora pubblicati sul bollettino regionale entro la stessa data. Questo, appunto, per il motivo che dicevo prima e cioè perché sarebbe stato leso il diritto di chi invece all'epoca aveva i requisiti e magari ha dovuto attendere a causa di talune inadempienze da parte delle ASL o delle regioni nella presentazione dell'elenco delle zone carenti di assistenza primaria e di continuità assistenziale. Se fosse stata accolta questa indicazione della Commissione lavoro, si sarebbe di fatto vanificato l'emendamento approvato in Commissione.
Detto questo, raccomando all'Assemblea una rapida approvazione del disegno di legge n.3229-ter, allo scopo di assicurare certezze alle regioni nella fase di predisposizione delle graduatorie e di assegnazione delle zone carenti ed uniformità nell'applicazione della normativa vigente. Voglio dire che ad oggi, non essendovi una chiara norma interpretativa di come fare «ingranare» la vecchia e la nuova normativa, si registrano comportamenti estremamente difformi. Sono al corrente del fatto che alcune regioni interpretano la disposizione in un certo modo ed altre in maniera differente; non solo, ma nella stragrande maggioranza delle regioni italiane la formazione delle graduatorie e l'assegnazione per la copertura delle zone carenti è ferma proprio perché le regioni non sanno come comportarsi nella attribuzione dei punteggi e nell'assegnazione dei posti vacanti.
favorevole, rilevo che a quest'ultima si è giunti con il provvedimento al nostro esame.
Non ribadirò gli aspetti del provvedimento evidenziati con molta precisione dal collega Saia; mi limiterò semplicemente a dire che avere avuto il coraggio - di questo si è trattato! - di dividere in due un provvedimento che era nato con le due «facce» della medicina generale e degli specialisti è stato un atto di concreta sensibilità. Si è infatti consentito in maniera estremamente rapida a quegli specialisti, che si erano visti privare della possibilità di specializzarsi l'anno precedente, di raggiungere immediatamente l'obiettivo dell'occupazione. L'iniziativa portata avanti in questa occasione ci ha inoltre consentito di «arare» in profondità il terreno della medicina generale.
Non intendo contraddire alcuna delle considerazioni svolte dall'onorevole Saia per il motivo di fondo che - naturalmente, sotto la vigile presidenza dell'onorevole Bolognesi - su questa materia abbiamo lavorato in particolare noi due, in una unione di dissonanze e di assonanze che ci ha consentito poi di pervenire ad una conclusione positiva. È evidente, però, che quando si deve giungere ad una mediazione, ognuno è costretto a rinunciare a qualche cosa: se così non fosse stato, io avrei forse esasperato quel concetto che vedeva collocare «in una terra di nessuno» coloro i quali avessero avuto la possibilità di adire al titolo tra il primo giugno ed il 31 dicembre 1996. Tuttavia, ribadisco che abbiamo inteso privilegiare un esito complessivamente positivo della vicenda.
Preciso che le date nelle quali si è pervenuti alla firma delle convenzioni sono estremamente corrette: si è fatto infatti riferimento al 25 gennaio, al maggio e al 19 settembre 1996, quando è stata data esecuzione alla convenzione stessa. Essendo io tra i firmatari più anziani delle convenzioni (ho l'impressione di essere stato presente alla firma delle convenzioni dal 1966 in poi, nella mia qualità di rappresentante del grande sindacato della federazione italiana medici di medicina generale), posso affermare che già in quella sede avevamo trattato il concetto del titolo di formazione come un fatto prioritario, che doveva dimostrare una sola cosa. Il sottosegretario presente, che è un autorevole medico, questo lo sa benissimo.
Se è vero che per entrare nell'ambito ospedaliero è ora necessaria una specializzazione che qualifichi appunto l'ambito nel quale il medico specializzato si inserisce, è altrettanto vero che non si poteva continuare a considerare un «verde pascolo» il settore della medicina generale. Abbiamo pertanto considerato che per quanto concerne il medico di famiglia - ho giurato a me stesso di eliminare il concetto di medico di base perché quello di medico di famiglia a mio avviso rende molto meglio quel rapporto medico-malato che è da sempre nel mio cuore - questa paraspecializzazione, consentitemi il termine, potesse ben adattarsi nell'ambito della formazione in medicina generale. Si rendeva infatti necessaria, ripeto, una paraspecializzazione anche per i medici convenzionati di medicina generale.
Sono pertanto sorte le questioni che ben conoscete. Non vi è stata, per così dire, dimenticanza dei colleghi che da tanti anni «bivaccavano» nelle graduatorie (ambiti pari a percentuali del 20 e 40 per cento nel primo anno, 50 per cento di possibilità di inserimento per gli specialisti e per coloro i quali avevano il titolo della formazione generale). In un certo senso è stata tamponata quella che sarebbe stata una dissonanza totale se si fosse data la possibilità di inserimento solo ai medici forniti di titolo di formazione professionale. È chiaro - come ricordava il collega Saia - che vi sono leggi comunitarie che dovranno essere rispettate; staremo allora a vedere fino a che punto e in che maniera verranno tutelati coloro i quali hanno questo titolo.
Indiscutibilmente le regioni ora «bivaccano» in un mondo nebuloso, con determinate cose che potrebbero essere fatte e che fanno preannunziare - su questo richiamo la sua attenzione, onorevole sottosegretario - il nuovo corso per
il settembre-ottobre 1997, mentre in pratica in alcune regioni non è ancora terminato il corso dell'anno precedente. Cerchiamo allora di risolvere questi problemi per evitare di trovarci con situazioni che si sovrappongono. Ci potremmo infatti trovare di nuovo di fronte ad una marea di situazioni che non vanno.
Voglio poi ricordare ciò che ha detto l'onorevole Saia in relazione all'ordine del giorno che presenteremo, sul quale vi è stato l'assenso del mio gruppo e della Commissione. Al riguardo ringrazio il relatore per avere, per così dire, «collettivizzato» tale ordine del giorno volto a risolvere il problema di quei colleghi che non avrebbero potuto avere dei diritti solo perché immatricolati al corso di laurea in medicina e chirurgia nel 1991. A tale riguardo voglio essere più preciso: avremmo dovuto stabilire la scadenza dell'agosto 1991, però concordo pienamente sull'anno solare, cioè il dicembre 1991, perché altrimenti avremmo ancora ristretto l'ambito di possibilità per quei giovani di nutrire almeno la speranza di inserimento (mi permetterò in seguito di svolgere qualche considerazione rapidissima, che potrebbe sembrare fuori tema, ma in realtà non lo è). In tal modo consentiremo a coloro i quali si saranno laureati nei sei anni (o in sette) di nutrire, almeno nel 1998, ambiti di speranza; mi guardo bene dal dire che avranno possibilità di lavoro perché, se la situazione universitaria continua a permanere tale, continueremo a parlare sempre di speranza e mai di lavoro e Dio solo sa quanto ciò mi rattristi anche per le posizioni che come presidente dell'ordine dei medici della mia città, Napoli, io difendo.
Ebbene, firmerò convintamente, insieme al mio gruppo, questo ordine del giorno, poiché ritengo che possa dipanare qualche altra questione.
Signor Presidente, onorevole sottosegretario, amico Saia, presidente della Commissione, desidero esporre rapidamente alcuni altri concetti, giacché non vorrei che, fino a quando avremo l'onore di essere deputati, anno per anno, ci trovassimo costretti a riportare determinate problematiche in questa sede, nell'ambito di una stereotipia che qualche volta non è consigliabile. Dico cose che potrebbero essere trite e ritrite, ma che voglio ora ribadire.
Il rapporto con l'università deve essere chiarito; non si può pensare di continuare ad associare la laurea in medicina e chirurgia alla disoccupazione. Ciò fa male a me, deve far male al Governo e fa malissimo alla Commissione ed a tutti coloro che sentono l'orgoglio di indicare, nella spinta al lavoro, la possibilità di vita ai nostri concittadini e, nel nostro caso, ai laureati in medicina.
In questo momento vi sono 320 mila medici; se consideriamo che nel 1964 i medici erano 82 mila, questa proporzione ci segnala che, se non si troveranno soluzioni - la panacea non esiste - o comunque un qualche rimedio, la nostra categoria sarà destinata ad un massacro culturale. Sento dunque la necessità di affermare che, se la disoccupazione delle braccia può essere tamponata in qualche modo e forse più facilmente, la disoccupazione culturale porta sempre dei danni. La storia d'Europa, anzi la storia del mondo, ci insegna che la disoccupazione culturale deve essere affrontata adeguatamente proprio per evitare che imbocchi strade che potrebbero rivelarsi deleterie.
Al momento vi sono 7-8 mila laureati in medicina all'anno, con un turn over che non esito a definire pazzesco. Infatti, da un lato entrano 7 mila, 8.500 persone e dall'altro escono 2 mila, 2.200 medici. Come possiamo pensare di tamponare il problema della disoccupazione medica senza arrivare ad una discussione precisa?
Sono dolentissimo del fatto che non sia presente il ministro Berlinguer; tuttavia lei, onorevole sottosegretario, l'onorevole Presidente e voi altri siete senz'altro più autorevoli di chi vi parla su tale questione. Dunque, come possiamo, con questo turn over, preventivare spazi occupazionali per i medici in un futuro non voglio dire immediato ma a medio termine?
Mi permetto inoltre di ricordare che, se volessi non camminare sull'asinello, animale che adoro, ma cavalcare per un secondo l'ippogrifo, sarei costretto a dire che vi potrebbero essere 70 mila medici che potrei definire forza assente; vi sono cioè 70 mila persone che, ove volessero, potrebbero laurearsi. Se questo accadesse - ma grazie a Dio non succederà - ci troveremmo davanti ad una catastrofe intellettuale che mi auguro di non dover mai vedere e che non vorrei nemmeno prospettare, anche se sono costretto a farlo per il motivo di fondo che 70 mila iscritti, da tempo, a medicina e non laureati esistono: è un dato di fatto.
Prevediamo per dieci secondi il futuro, signor Presidente e signor sottosegretario: abbiamo il 53 per cento dei medici che oscilla tra i 45 ed i 65 anni; vi è poi il 36 per cento dei medici inferiore ai 40 anni. Ciò significa che una certa massa di medici andrà in pensione presumibilmente nel 2017; partendo da questo dato, domando a me stesso e mi permetto domandare a loro ed a tutti gli autorevoli colleghi che mi ascoltano cosa si possa prospettare a questi giovani senza una posizione universitaria, affrontando però il problema non in maniera epidermica, tanto per fare della chiacchierologia, ma con la volontà precisa di indicare cosa si debba fare. Possiamo parlare di anni sabatici, di riduzione d'obbligo del 50 per cento di iscritti alla facoltà di medicina e chirurgia, di borse di studio per i meritevoli e per coloro che studiano nel senso pieno della parola; possiamo parlare ancora di prestiti d'onore, che non capisco perché non possano estendersi anche ad una categoria culturale importante quale senz'altro è quella dei laureati in medicina e chirurgia. Dobbiamo però cercare di arrivare ad una conclusione che ci faccia dire se in questo momento l'università tutela solo i professori od anche coloro che ad essa si iscrivono. Reputo questa divagazione sul disegno di legge in discussione, provvedimento che - lo ripeto - accetto, necessaria perché, accolto il disegno di legge, dovremo stabilire cosa faremo per gli anni futuri, visto che ci troveremo una vis a tergo che ci spingerà in modo netto verso risoluzioni che sono come il coraggio di Don Abbondio, o sono o non sono. Fino a questo momento non sono state.
Concludo ricordando che a tutte queste belle cose - mi rivolgo in particolare a lei, onorevole ed amica sottosegretario - affianchiamo anche il tema delle lauree brevi. Ho definito queste lauree un aborto: si tratta infatti di far pascolare tutti nel nostro ambito facendo passare per laurea quello che è un diploma, i concetti della dietologia, della fisiochinesiterapia, dell'infermieristica, quasi non bastassimo noi con le nostre 320 mila presenze a tamponare determinate situazioni.
A dimostrare che il mio non è un discorso qualunquista o qualunquistico - scegliete voi la terminologia - è chiaro che è necessario fissare un termine. Diciamo infatti che chi si iscrive alla facoltà di medicina e non si laurea entro 10 od 11 anni decade automaticamente dalla possibilità di laurearsi successivamente. In seguito parleremo anche della possibilità di lauree conferite a studenti extracomunitari. La mia apertura è massima e se qualcuno, ad esempio, del Ghana viene a studiare in Italia noi siamo lietissimi di impartirgli tutti gli insegnamenti che la nostra bellissima scuola medica e chirurgica può dare, ma questo sapere italiano deve poi essere proiettato nel loro paese, perché se questi studenti rimanessero da noi debbo dire onestamente che non abbiamo bisogno di bis in idem. Diciamocelo in termini chiari, perché l'argomento è pesantissimo e non è proprio il caso di fare complimenti.
In conclusione, il «sì» sarà convinto sull'ordine del giorno e su tutto il resto perché abbiamo studiato insieme la materia e ritengo sia il caso di dare ai giovani che sono in attesa la speranza; il lavoro sarà quello che sarà. Zone carenti esistono; continuità assistenziale ce n'è. Peraltro, insisto ancora su un tema che affronto in tutte le assemblee nelle quali mi capita di parlare. Il medico, per così dire, deve mangiare in un piatto solo: o
pratica la medicina generale o fa l'ospedaliero; il medico che presta servizio di guardia medica, di continuità assistenziale, deve lavorare 36 ore e basta, così come di 36 ore e basta deve essere l'emergenza. Finiamola con le diversificazioni che sono soluzioni che non reggono. Le cose devono essere serie, perché seri sono i problemi del rapporto tra medico e malato e delle troppe lauree in medicina e chirurgia.
Diciamo allora «sì» a questo provvedimento augurandoci che esso racchiuda in sé i cromosomi di una risoluzione che potrà essere quella del futuro. Però - vivaddio - questo futuro, soprattutto nel rapporto con l'università, non sia di là da venire, ma possa essere considerato in termini di mesi e di qualche anno, non all'infinito.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di replicare il relatore.
Sono convinta che il provvedimento in discussione potrà dare un quadro di certezza legislativa alle regioni e soprattutto consentirà di non violare i diritti di coloro che, indipendentemente dalla loro volontà, si sono trovati in una situazione di grave inadempienza a livello regionale per quanto riguarda i corsi di medicina generale.
Per quanto concerne i problemi sollevati dall'onorevole Del Barone, che sono all'attenzione di tutto il mondo professionale e non solo del Governo, credo che avremo occasione di confrontarci in una sede opportuna. Voglio peraltro assicurare che il ministro dell'università e il ministro della sanità stanno lavorando per dare risposte soprattutto in merito all'accesso ai corsi universitari, che tengano conto da una parte del diritto sacrosanto allo studio, quindi alla formazione (che rimane un diritto individuale), e dall'altra delle esigenze della programmazione del servizio sanitario nazionale.