Seduta n. 212 del 17/6/1997

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Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni sui fatti della Somalia (ore 9,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento delle interpellanze Tassone n.2-00536, Orlando n. 2-00541, Diliberto n. 2-00544, Casini n. 2-00546, Chiavacci n. 2-00547, Mussi n. 2-00548, Paissan n. 2-00549, Gasparri n. 2-00550, Pisanu n. 2-00551, Lembo n. 2-00552, Mattarella n. 2-00553 e delle interrogazioni Pittella n. 3-01201, Ruffino n. 3-01202, Veltri n. 3-01211, Comino n. 3-01220, Pezzoni n. 3-01221, Crema n. 3-01231, Piscitello n. 3-01233, Sbarbati n. 3-01235 e Bampo n. 3-01236 sui fatti della Somalia (vedi l'allegato A).
Ricordo che, secondo quanto convenuto nella Conferenza dei presidenti di gruppo di ieri, lo svolgimento dei documenti all'ordine del giorno inizierà con l'intervento del Governo. Successivamente avranno luogo gli interventi in replica relativi alle interpellanze, per i quali è previsto un tempo complessivo di venti minuti per gruppo (trenta per il gruppo misto). Seguiranno quindi le repliche degli interroganti secondo l'ordinaria procedura.
Il ministro della difesa ha facoltà di rispondere.

BENIAMINO ANDREATTA, Ministro della difesa. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quella di oggi è una seduta particolarmente importante, ma che avremmo tutti voluto non si svolgesse per la gravità dei fatti e delle accuse che l'hanno provocata.
Il Governo è unanimemente impegnato a fare chiarezza ed a fornire al Parlamento tutti gli elementi in proprio possesso e si augura che dalle risultanze dei vari organi che stanno indagando, emerga in maniera inequivocabile una verità che siamo tutti ansiosi di conoscere, e per l'accertamento della quale ci siamo subito adoperati e continueremo ad adoperarci senza alcun indugio.


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Voglio precisare subito un concetto con inequivocabile fermezza: non ci saranno da parte del Governo e dell'amministrazione militare incertezze, tentennamenti, coperture o ritardi. È assolutamente indispensabile giungere, in tempi rapidi, alla verità su quanto accaduto, non solo per ciò che concerne singoli episodi, ma anche, più in generale, per accertare entità e diffusione di fenomeni devianti e contrari ai valori militari, che possono essersi verificati nel corso dell'intera operazione Ibis nei confronti della popolazione civile, nonché eventuali responsabili nella catena di comando.
È una verità che dobbiamo a noi stessi, alle vittime di questi episodi, agli italiani ed al popolo somalo, ma anche alle Forze armate, che corrono il rischio oggettivo di essere accusate e macchiate nella loro collettività ancor prima che vengano individuati contorni e dimensioni di quanto realmente accaduto.
La verità, tutta la verità in tempi rapidi, è il solo modo che io conosca per rendere veramente giustizia. Sono in gioco valori fondamentali che riguardano la dignità dell'uomo e l'onore delle Forze armate, riguardano cioè tutto il paese e le sue istituzioni. La verità può ferire, ma non offende mai; essa va ricercata con senso di giustizia, ricordandoci che la responsabilità nella nostra concezione del diritto è sempre individuale. Di questo dobbiamo essere tutti consapevoli, a cominciare dal Parlamento. A tutti noi è richiesto grande senso di verità e responsabilità; è un problema questo su cui non possono esistere maggioranza ed opposizione, ma un comune senso di giustizia e di verità.
È anche una questione su cui sarebbe fuorviante ed insensato muoversi secondo logiche militariste o antimilitariste, riproducendo, al di là del merito, antiche guerre di religione che dovrebbero appartenere ad un passato superato da tempo.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, le interpellanze e le interrogazioni che figurano all'ordine del giorno della seduta odierna sono sostanzialmente riconducibili tutte alla richiesta di informazione sugli episodi riportati, ad accertare se il Governo ne avesse avuto notizia, a conoscere gli accertamenti disposti ed i provvedimenti adottati nonché le eventuali conseguenze per i reparti di appartenenza dei militari coinvolti, se si possano ipotizzare ripercussioni sulle missioni all'estero nelle quali sono impegnati attualmente i nostri militari e quali misure potranno essere previste per i programmi di formazione e di addestramento.
Prima di illustrare la posizione del Governo sugli episodi che hanno originato le interpellanze e le interrogazioni, e prima di fornire chiarimenti sui vari punti sollevati dagli onorevoli deputati, ritengo utile - anche per meglio inquadrare quanto esporrò più avanti - ricostruire brevemente il contesto politico che fu all'origine dell'intervento italiano in Somalia. Come dichiarò l'allora ministro degli esteri Colombo proprio davanti a questa Assemblea il 10 dicembre 1992, in occasione del dibattito sull'approvazione della missione in Somalia ed in Mozambico, il Governo italiano decise di aderire all'invito, rivolto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione n.794 del 3 dicembre 1992, di partecipare con proprie forze militari ad un'iniziativa diretta a ristabilire in Somalia le condizioni di sicurezza necessarie per le operazioni di soccorso umanitario.
La Somalia era un paese nel quale prevaleva la logica del confronto militare che si sviluppava in un quadro estremamente drammatico di condizioni di vita e di sicurezza della popolazione malgrado tutti gli interventi della Comunità internazionale ed anche del Governo italiano, che avvertivano l'esigenza di compiere uno sforzo sostanziale per la ricostruzione del paese.
Sul piano bilaterale eravamo impegnati fortemente con un'azione politica a tutto campo, in stretto collegamento con le principali organizzazioni internazionali e con alcuni paesi che maggiormente avvertivano la necessità di un impegno finalizzato a ricomporre le divergenze esistenti tra i diversi movimenti somali ed a fornire un aiuto consistente alla popolazione.

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Tenuto conto della complessità dell'ambiente nel quale i nostri militari dovevano operare, della difficoltà della situazione sotto il profilo della sicurezza, che trovò preciso riscontro nella citata risoluzione del Consiglio di sicurezza, che autorizzava l'invio di una forza militare multinazionale, operante sotto il capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, cioè anche con ricorso - se necessario - all'uso della forza per l'assolvimento della missione (essenzialmente incentrata sulla protezione dei convogli con gli aiuti per la popolazione e dei centri di raccolta), le unità da impiegare in Somalia vennero individuate tra i reparti dotati di particolare prontezza operativa e ben addestrati per tutte le situazioni, con una prevalenza di militari scelti tra volontari o tra volontari a firma prolungata.
In Somalia, nel corso delle due operazioni Restore hope e Continue hope, la prima dal 13 dicembre 1992 al 4 maggio 1993, condotta sotto l'egida dell'ONU da parte di una forza a guida statunitense (l'UNITAF), la seconda sotto comando delle Nazioni Unite dal 4 maggio al 24 marzo 1994, sono state impiegate nell'ambito del nostro contingente, denominato Ibis, complessivamente, oltre 12 mila uomini con una presenza media in territorio somalo di circa 2.400 unità appartenenti a varie unità dell'esercito, aggregate inizialmente alla brigata paracadutisti della «Folgore» e successivamente, nel settembre 1993, alla brigata meccanizzata «Legnano».
A queste unità dell'esercito si sono affiancati un reparto di velivoli da trasporto dell'aeronautica militare ed unità anfibie con il battaglione «San Marco» della marina, quest'ultimo solo nella prima fase, fino al marzo 1993.
Come è noto, al comando dei nostri uomini si sono avvicendati tre generali: Gianpiero Rossi, dall'inizio fino al maggio 1993 con il passaggio della forza sotto comando ONU; Bruno Loi, al comando della brigata «Folgore» da maggio a settembre e Carmine Fiore, al comando della brigata «Legnano» fino al ritiro dei contingenti nel marzo 1994.
È impossibile ricapitolare l'insieme delle attività svolte dal nostro contingente in oltre 15 mesi di presenza in Somalia. Tuttavia, vorrei ricordare come le nostre forze fossero responsabili del controllo di una vasta area, ampia circa 150 chilometri sul fronte a mare e profonda oltre 350 chilometri da Mogadiscio fino ai confini dell'Etiopia.
L'ampiezza dell'area da controllare ci dà un'idea della dispersione delle nostre forze sul territorio somalo e, quindi, della necessità di una grande autonomia sia in termini di iniziativa che di responsabilità da parte dei vari reparti distaccati sul terreno, a considerevole distanza gli uni dagli altri e dal comando della forza a Mogadiscio.
Quanto all'attività svolta, alcuni dati quantitativi forse possono meglio esprimere il senso di ciò che è stato fatto dal contingente Ibis. Sono stati allestiti un ospedale da campo, un ambulatorio mobile e sei presidi sanitari in tutte le località sopra citate, i quali hanno complessivamente fornito a favore della popolazione somala oltre 200 mila interventi medici, 9 mila giornate di ricovero e circa 600 interventi chirurgici.
Altrettanto intensa è stata l'attività a favore dei contadini somali con 32 mila interventi veterinari e 200 mila trattamenti antiparassitari di disinfestazione.
Sono stati ristrutturati ed alimentati 22 orfanotrofi, assistite 100 scuole e ripristinati 10 pozzi di acqua potabile. Sul piano operativo sono stati scortati 600 convogli, operati oltre 300 rastrellamenti che hanno consentito il sequestro di circa 4 mila pezzi di armamento leggero e pesante; sono stati attuati circa 800 posti di controllo e percorsi complessivamente oltre 5 milioni e mezzo di chilometri.
Complessivamente, le nostre Forze armate si sono trovate coinvolte in 232 azioni di fuoco che, voglio ricordarlo, hanno causato 8 morti e 45 feriti. Sono dati, questi che ho citato, molto significativi per inquadrare l'operato del nostro contingente sotto il profilo militare ed umanitario in un contesto certamente difficile.

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Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo è il quadro nel quale si è collocato il nostro intervento in Somalia, dove siamo andati non per velleitario protagonismo, ma perché sentivamo di non poterci sottrarre ad un obbligo di solidarietà nei confronti di un paese che storicamente era a noi vicino, un paese nel quale ci siamo recati per svolgere una missione con una forte connotazione umanitaria e dove ci siamo poi trovati coinvolti in un aspro scontro civile caratterizzato da un clima di particolare violenza. Una violenza che ha determinato lacerazioni profonde nella forza multinazionale sul modo in cui affrontarla; non a caso, su questo punto emerse un'obiettiva divergenza tra l'Italia e le Nazioni Unite circa la congruità tra i mezzi impiegati e l'obiettivo da raggiungere.
Il punto di dissenso riguardava il grado, i limiti e le modalità nell'uso della forza da parte delle forze dell'ONU nello svolgimento di missioni a sostegno della pace, seppure nell'ambito del capitolo VII della Carta. Era nostra opinione che le continue operazioni di combattimento e di guerriglia urbana che colpivano indiscriminatamente, causando anche vittime civili, esasperassero lo stato d'animo della popolazione somala, allontanando il perseguimento degli obiettivi della missione. È per questo motivo che il nostro contingente nel suo complesso cercava di evitare col proprio comportamento e con le direttive operative impartite dai suoi comandanti di assumere iniziative aggressive, come talvolta caldeggiato dal comando multinazionale, che potessero ingenerare situazioni conflittuali e di scontro a fuoco. Ne è riprova il comportamento dei nostri reparti nel famoso scontro a fuoco del 2 luglio 1993 al check point «pasta», nel quale i nostri reparti scelsero di ripiegare e di rispondere al fuoco in modo controllato, e per questo furono allora aspramente criticati per non aver reagito con tutta la potenza di fuoco a loro disposizione per evitare di compiere una strage nei confronti della popolazione civile, composta per lo più di donne e bambini dietro ai quali si facevano scudo i guerriglieri somali nell'attacco alle nostre forze. Voglio anche ricordare che in quello scontro perirono tre nostri uomini.
Similarmente, quando il generale Loi ricevette il 5 luglio l'ordine di riconquistare anche con la forza entro il 9 luglio il check point «pasta», egli, sentito il Governo, decise di tentare il recupero della posizione usando la via della persuasione con gli anziani e i notabili del quartiere, tentativo che, come è noto, riuscì con successo.
È per questo motivo, per la linea di condotta responsabile che abbiamo sempre cercato di tenere con fermezza, autorevolezza e uso controllato della forza solo quando necessario, che le atrocità e i comportamenti devianti riguardanti i nostri militari ci feriscono profondamente e ci spingono con determinazione alla ricerca della verità senza coperture. Io stesso, quando ho assunto la responsabilità della Farnesina, nell'aprile del 1993, ho seguito la situazione in Somalia e le attività del nostro contingente in una fase tutt'altro che facile sia sul piano interno somalo sia su quello internazionale, che portò tra l'altro, a seguito di gravi scontri a Mogadiscio il 5 giugno nei quali morirono 23 militari pakistani, ad una modifica del mandato della forza delle Nazioni Unite attraverso una risoluzione del Consiglio di sicurezza che autorizzò l'uso della forza contro i responsabili di attacchi ai contingenti, compreso l'arresto e la detenzione dei responsabili stessi. Le divergenze tra il nostro paese e le Nazioni Unite alle quali ho fatto prima riferimento portarono il Governo a ritirare, nell'agosto del 1993, il grosso delle nostre unità fuori da Mogadiscio, ridislocandole all'interno con gli altri reparti lungo la cosiddetta via imperiale.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, in alcune interrogazioni si fa riferimento ad un servizio pubblicato sul settimanale Epoca che reca la data del 15 giugno 1993 (ma il giornale uscì nelle edicole una settimana prima), nel quale vennero riportate immagini di somali fatti prigionieri dal nostro contingente, legati mani e

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piedi e bendati. Desidero al riguardo far presente che sulla documentazione fotografica e sul servizio pubblicato dal settimanale il comandante del contingente Loi nominò in data 10 giugno una commissione d'inchiesta composta da tre ufficiali per accertare i fatti e per stabilire le cause e le eventuali responsabilità. Dalle risultanze dei lavori della commissione, riunitasi due giorni dopo a Mogadiscio, emerse che il 17 aprile dei militari appartenenti al 180 reggimento paracadutisti, dopo un rastrellamento, avevano catturato due somali che, insieme ad altri complici, avevano costituito un posto di blocco su una pista, dove estorcevano beni di proprietà di autisti e di passanti, e che, nel corso dell'intervento dei nostri militari, avevano aperto il fuoco contro l'unità italiana. Al termine dell'operazione i due somali erano stati legati e bendati con mezzi di fortuna e successivamente, al termine dell'attività operativo-umanitaria del nostro reparto, consegnati alla polizia somala.
La commissione ebbe anche modo di accertare che i due somali - i quali erano stati catturati in flagranza di reato e, come ho detto, dopo aver aperto il fuoco contro i nostri militari intervenuti su richiesta dei somali che avevano subito minacce ed estorsioni - erano stati legati mani e piedi per impedire loro di portare offesa al personale italiano e di fuggire. I due prigionieri erano stati anche bendati per evitare che venissero a conoscenza della dislocazione delle sistemazioni difensive del campo militare del reparto in operazione.
La stessa commissione peraltro, pur riconoscendo la liceità dell'arresto e la necessità di impedire comunque la fuga e la possibilità di nuocere, sulla base di quanto previsto dalle regole di ingaggio concluse che il trattamento riservato ai prigionieri, pur trovando riscontro in diversi manuali addestrativi ed in procedure standardizzate di paesi della NATO, era stato realizzato con modalità tali da ritenersi valicati i limiti stabiliti dalle stesse regole di ingaggio per quanto atteneva l'uso di metodi restrittivi della libertà di movimento e ravvisava nell'operato del personale interessato - cito testualmente - «un comportamento eccessivamente ed inutilmente costrittivo per garantire l'inoffensività dei prigionieri».
Il comandante del contingente, prendendo atto in data 12 giugno della relazione della commissione e concordando sulle conclusioni alle quali essa era pervenuta, rimise ai comandanti di corpo la definizione dei provvedimenti disciplinari ritenuti opportuni, applicando - cito ancora - «il principio della rispettiva responsabilità in funzione del grado, incarico e coinvolgimento al momento dei fatti». Su questo episodio avviò contestualmente degli accertamenti preliminari anche la procura militare della Repubblica presso il tribunale militare di Roma, al fine di verificare l'eventuale esistenza di reati militari, la quale, non ravvisando ipotesi di reato nel comportamento dei militari, dispose l'archiviazione del procedimento.
Desidero assicurare, a proposito di questo episodio, che alla luce dell'ulteriore documentazione di cui vasta è stata l'eco sulla stampa, nonché sulla base delle dichiarazioni rilasciate da taluni componenti del nostro contingente, è stata riaperta un'inchiesta sia penale che amministrativa.
In alcune interrogazioni si segnala che notizie su episodi devianti sarebbero già da tempo circolate in vari ambienti, inclusi quelli militari, e nel chiederne conferma si domanda di conoscere se tali notizie rispondano al vero e di quali ulteriori notizie il Ministero sia a conoscenza. Al riguardo posso affermare che esistono alcune informative nel servizio di informazione militare, a suo tempo inoltrate alle autorità competenti, e relative a voci circolanti in ambiente somalo, riprese anche da taluni volantini a firma di associazioni e di autorevoli anziani diffusi in Mogadiscio, nei quali venivano riportate notizie relative a non meglio qualificati comportamenti censurabili nei riguardi di donne somale, delle istituzioni locali e della religione musulmana, nonché a maltrattamenti di prigionieri. Nel caso dei

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documenti, il controllo delle sigle e dei nomi non ha però permesso di pervenire ad un serio riscontro delle informazioni, poiché le associazioni erano inesistenti o gli anziani interpellati negavano di aver apposto ai testi le loro firme. Anche le accuse appaiono spesso improbabili, poiché esse si riferiscono sistematicamente anche all'intenzione, attribuita ai nostri soldati, di indurre i somali ad abbandonare la fede islamica e a convertirsi al cristianesimo. Le stesse fonti riferiscono anche di un avvenuto rimpatrio di tre militari di leva per presunte violenze ad una donna somala, senza peraltro indicare elementi in grado di consentire un concreto riscontro. Ho dato disposizione di approfondire questo episodio. Sono comunque in grado di fornire i dati relativi ai provvedimenti disciplinari che furono adottati nel periodo complessivo della missione in Somalia. Essi hanno riguardato 4 ufficiali rimpatriati per comportamento scorretto nei confronti di somali; 13 ufficiali puniti per motivi di non grave entità; 12 sottufficiali puniti per motivi che vanno dalla presenza in luoghi non consentiti allo scarso impegno nel servizio; 192 militari di truppa puniti per motivi vari di non particolare gravità e 18 denunciati alla procura militare per reati che vanno dall'uso e detenzione di sostanze stupefacenti a lesioni personali, a violata consegna (due sentinelle lasciavano entrare e si intrattenevano con due donne somale). Su uno dei più gravi episodi emersi sulla stampa, quello della camionetta di somali saltata in aria con molti morti, i primi accertamenti e le prime testimonianze, anche sulla base di risultanze agli atti dell'ufficio storico dell'esercito, hanno permesso di ricostruire una versione dei fatti sostanzialmente diversa da quella prospettata nell'intervista di Panorama. In sostanza, la camionetta somala sarebbe saltata su una mina, come proverebbe il vasto cratere osservabile nel luogo dell'incidente. La vicenda è comunque alla valutazione della competente autorità giudiziaria e militare.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella maggior parte delle interrogazioni si chiede di conoscere quali misure il Governo abbia ritenuto di adottare non appena resi pubblici sul settimanale Panorama, in due successive circostanze, episodi di sevizie o di violenza ai danni di cittadini somali, a seguito del pentimento tardivo di ex militari in ferma prolungata dalla coscienza - come ha scritto un giornalista - intermittente. Ci tengo a ricordare che prima ancora, sin dalla comparsa su La Gazzetta del Mezzogiorno del 21 aprile di quest'anno di un servizio su presunte torture compiute da militari italiani in Somalia, il sottosegretario Brutti ed io abbiamo personalmente interessato la procura militare di Roma, che aveva peraltro già aperto un fascicolo sul contenuto di quell'articolo. Successivamente, non appena uscì il 5 giugno l'anticipazione del primo servizio su Panorama, la gravità delle immagini e degli episodi denunciati spinse lo stato maggiore dell'esercito a promuovere immediatamente l'apertura di un'inchiesta interna affidata al generale di corpo d'armata Francesco Vannucchi, con il compito di accertare la veridicità e l'esatto contesto dell'episodio documentato dal settimanale e comunque appurare se vi fossero stati, da parte di nostri militari impiegati nel contingente Ibis, alti episodi del genere. Il generale Vannucchi è da giorni attivamente impegnato a ricostruire comportamenti individuali o di gruppo attraverso audizioni a Roma e a Livorno di tutti gli ufficiali dal grado di capitano in su che hanno prestato servizio in Somalia e sui risultati dei suoi accertamenti riferirà - ovviamente - anche all'autorità giudiziaria.
Il pomeriggio del 12 giugno, mentre ero impegnato a Bruxelles in una riunione dei ministri della difesa della NATO ho preso visione dell'anticipazione del secondo servizio giornalistico di Panorama con la denuncia di comportamenti gravissimi da parte di nostri militari. Mi parve subito necessario ed opportuno assumere un'iniziativa che allargasse anche ad autorevoli esponenti della società civile il compito di accertare i fatti e di verificare le eventuali disfunzioni ed omissioni da parte del

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comando dell'operazione Ibis. Decisi pertanto di disporre subito, di intesa con il Presidente del Consiglio, la costituzione di una commissione mista di inchiesta. Tale commissione, partendo dai singoli episodi sino a quel momento denunciati, o da altri che dovessero emergere, doveva avere il compito di ampliare il campo dell'indagine per accertare entità e diffusione di fenomeni devianti e contrari all'onore militare verificatisi nel corso dell'intera operazione nei confronti della popolazione civile, nonché accertare eventuali responsabilità della catena di comando. Il giorno dopo il Consiglio dei ministri, interpretando i sentimenti di indignazione, di sgomento e di condanna dell'opinione pubblica, avallava unanimemente la costituzione presso il Ministero della difesa della commissione di inchiesta della quale, come è noto, sono stati chiamati a far parte il professor Ettore Gallo in qualità di presidente, l'onorevole Tina Anselmi, la professoressa Tullia Zevi, il generale di corpo d'armata dell'esercito Antonino Tambuzzo ed il generale di corpo d'armata in ausiliaria dei carabinieri Cesare Vitali.
Lo stesso giorno, il Presidente della Repubblica decideva di convocare per domani pomeriggio il Consiglio supremo di difesa.
Il provvedimento di istituzione della commissione fa riferimento alle dichiarazioni rilasciate da taluni ex appartenenti al contingente italiano circa presunte condotte dei nostri militari gravemente lesive dei principi di umanità e solidarietà e precisa nei seguenti termini i compiti della commissione: accertare l'effettiva consistenza delle situazioni di illiceità anche già oggetto di indagine da parte dell'autorità giudiziaria; verificare eventuali disfunzioni di carattere operativo-gestionale, anche rispetto ad azioni di comando che possano aver favorito la realizzazione di condotte illecite o comunque in contrasto con le finalità dell'operazione umanitaria; predisporre relazioni affinché l'amministrazione, quale persona offesa dal reato, possa a norma di legge presentare memorie ed indicare elementi di prova nel corso del procedimento giudiziario, così attivamente collaborando con la stessa autorità giudiziaria all'accertamento della verità, anche in sede penale, per il perseguimento dei responsabili.
Si è ritenuto di dover compiutamente definire i poteri da attribuire alla commissione, connotandoli della massima incisività, al fine di garantirne efficacia e rapidità d'azione, pur nel dovuto rispetto dei limiti derivanti dall'ordinamento giuridico, soprattutto con riferimento alle competenze dell'autorità giudiziaria che, come è noto, non ammette interferenze di alcun genere. In particolare, la commissione ha la facoltà di ispezionare ed acquisire ogni documentazione utile esistente presso il Ministero della difesa, procedendo all'audizione di tutti coloro che la commissione valuti in grado di produrre elementi di informazione utili all'accertamento della verità in ordine alla complessiva condotta del contingente nazionale nell'operazione, tenuto conto delle finalità umanitarie della medesima. Al riguardo, il Ministero della difesa assicura ogni intervento di competenza affinché, sulla base delle vigenti disposizioni e delle prescrizioni eventualmente impartite dalla linea gerarchica, il personale militare e tutte le strutture dell'amministrazione forniscano ogni più leale e fattiva collaborazione alla commissione d'inchiesta per il migliore esercizio delle attribuzioni conferite con il decreto istitutivo. Si tratta quindi di un complesso di poteri sicuramente adeguati al perseguimento degli obiettivi dell'organo collegiale di indagine, tenuto conto in particolare del rapporto di supremazia speciale che inerisce alla relazione gerarchica militare, sicché è indubbio che il personale militare, in quanto tenuto a rispettare in modo maggiormente rigoroso le disposizioni e le prescrizioni che allo scopo verranno impartite dall'autorità di forza armata, deporrà senza reticenze di sorta e in modo veridico.
Inoltre è apparso estremamente utile per l'espletamento dell'attività di indagine prevedere l'accesso da parte della com

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missione agli atti nella disponibilità dell'autorità giudiziaria penale, ovviamente nelle ipotesi definite dalle vigenti disposizioni del codice di procedura penale, in quanto le acquisizioni in parola potrebbero rivelarsi di estremo interesse per l'esatta valutazione del rispetto da parte del nostro contingente delle norme di comportamento definite dalle regole di ingaggio.
Mi sono incontrato ieri pomeriggio con i componenti la commissioni e ho assicurato loro che da parte del Ministero della difesa verrà fornita ogni più efficace e tempestiva assistenza al fine di assicurare l'assolvimento dei compiti affidati alla commissione. Ho chiesto ai membri della commissione di preparare entro trenta giorni un primo rapporto con le prime indicazioni, rapporto che, come ogni altra comunicazione tra la commissione ed il Governo, sarà mia cura presentare sollecitamente alle Camere.
Questa ricostruzione dei fatti e le iniziative assunte dimostrano la tempestività e la sollecitudine con cui il Governo si è mosso davanti ad episodi che hanno turbato profondamente la coscienza civile del paese ed offeso l'onore delle forze armate. Analoga sensibilità, desidero sottolinearlo, è stata dimostrata dai vertici militari, anch'essi fortemente impegnati nell'accertamento della verità. Sabato scorso i generali Bruno Loi e Carmine Fiore richiedevano allo stato maggiore dell'esercito, dando prova di profonda sensibilità istituzionale, di essere sollevati dai loro incarichi, allo scopo di favorire l'accertamento della verità e delle eventuali responsabilità, e nella serata dello stesso giorno venivano resi noti i nominativi dei componenti la commissione, che ha iniziato ieri i suoi lavori.
Le inchieste dovranno essere rapide, nella massima trasparenza, e dovranno portare ad un accertamento preciso e senza ombre sul comportamento del nostro contingente in Somalia. È nell'interesse di tutti che tutto sia chiarito, che chi deve pagare paghi e che le degenerazioni colpevoli di pochi o di tanti - questo lo accerteremo - non trascinino nel discredito quanti hanno onorato l'uniforme d'Italia anche a prezzo della propria vita, come testimoniano i numerosi caduti in Somalia che ho ricordato.
Ho voluto sentire ieri anche l'ambasciatore Mario Scialoia, che io stesso da ministro degli esteri nominai capo della delegazione diplomatica speciale in Somalia e che svolse quelle funzioni dal 3 agosto 1993 al 20 aprile 1994. L'ambasciatore Scialoia aveva contatti quotidiani con i responsabili delle varie fazioni, nonché con intellettuali ed esponenti somali di tutte le differenti tribù ed aveva anche un rapporto di stretta collaborazione, pure quotidiana, con il comandante del nostro contingente, con il comando delle Nazioni Unite e con i comandi degli altri contingenti. L'ambasciatore Scialoia è stato categorico nel farmi presente che in nessuna circostanza gli sono mai state rappresentate da parte somala e dagli altri suoi interlocutori episodi singoli o collettivi di sevizie di nostri militari a danno di somali, mentre voci su comportamenti devianti da parte di militari di altri contingenti circolavano diffusamente in Mogadiscio. In un'unica occasione il nostro diplomatico, poco dopo il suo arrivo a Mogadiscio, venne convocato dal Presidente Ali Mahdi insieme al generale Fiore: in tale circostanza, l'esponente somalo si lamentò con lui e con il comandante del nostro contingente dell'episodio su cui aveva riferito Epoca a giugno. Il nostro comandante, nello spiegare che il volto degli arrestati era stato talvolta coperto per impedirne l'identificazione da parte di informatori o complici, anche ai fini della loro sicurezza personale, assicurò che in futuro sarebbero state adottate misure diverse.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, le notizie finora emerse, peraltro da chiarire nel loro complesso, ci inducono a riflettere sulla necessità di meglio approfondire l'aspetto dell'addestramento e della formazione dei nostri militari impiegati in missioni umanitarie all'estero. Di fronte a situazioni come quella somala, infatti, caratterizzata da un contesto ambientale turbolento e fortemente disagiato, retto da

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culture diverse e da logiche di difficile comprensione, è anche possibile che giovani addestrati per essere dei combattenti abbiano perduto il senso della loro missione e anche lo spirito delle regole della stessa disciplina militare, che avrebbe imposto loro l'immediata denuncia di episodi devianti. In particolare, quelli tra loro moralmente più deboli e maggiormente esposti a modelli culturali di importazione e nello stesso tempo figli di una società che contiene tuttora inaudite sacche di violenza e di razzismo possono mettere in atto comportamenti aggressivi o sadici e comunque privi del più elementare rispetto per la persona umana.
Va comunque osservato che la difficoltà di disporre di forze adeguate ai compiti umanitari nell'intricata e difficile situazione somala è emersa con tutta chiarezza nei comportamenti gravissimi addebitati e già accertati di membri o di reparti di altri contingenti.
Un insegnamento che ci viene da questa tristissima vicenda, che offende i sentimenti migliori del paese e l'onore delle Forze armate, riguarda la necessità di compiere ogni sforzo per migliorare e rinnovare l'addestramento e la formazione di coloro che vengono inviati in armi in terra straniera per le operazioni a supporto della pace. Il diritto umanitario è oggetto di trattazione specifica nell'ambito dei corsi formativi svolti presso gli istituti e i reparti preposti alla formazione del personale in servizio permanente e dei volontari dell'esercito. In particolare, presso la scuola di guerra, la tematica è sviluppata al massimo livello di approfondimento da parte del centro di studi e diffusione del diritto umanitario nei conflitti armati. Per quanto riguarda i volontari, durante i tre mesi di corso presso i reggimenti incaricati del loro addestramento, vengono sviluppate nozioni sul trattamento dei prigionieri di guerra e sulle principali norme di diritto umanitario riferite a questi ultimi. Aggiungo che ai militari impegnati in Somalia, come a quelli in servizio oggi in Albania, sono state impartite dai rispettivi comandanti precise direttive sulle disposizioni che regolano il trattamento dei prigionieri e i rapporti con la popolazione civile.
I comportamenti che stiamo esaminando non possono tuttavia far dimenticare quanto di positivo è stato fatto dai nostri militari in Somalia per portare un segno di soccorso umano, sociale e sanitario alla popolazione somala, come testimoniano le cifre degli interventi in questo campo che ho menzionato in precedenza e come hanno riconosciuto in più circostanze le stesse comunità somale, la stampa presente e gran parte delle organizzazioni di volontariato. È questa capacità già dimostrata in tante occasioni dalla stragrande maggioranza dei nostri militari che va rafforzata e garantita a tutti coloro che sono chiamati ad operare in situazioni difficili all'estero. A questo scopo ritengo che potrebbe essere utile introdurre nella formazione dei militari anche l'apporto di operatori delle organizzazioni umanitarie, da sempre impegnate a portare assistenza a popolazioni in difficoltà e a confrontarsi con realtà culturali e umane diverse.
Un'ultima considerazione su un tema sul quale tanto si è parlato: la proposta di scioglimento della brigata «Folgore». Vorrei anzitutto rilevare che stiamo parlando di un reparto molto qualificato del nostro esercito che in quella occasione in Somalia, come poi in Bosnia ed oggi in Albania, ha collettivamente fornito prestazioni eccellenti imponendosi anche all'ammirazione dei contingenti degli altri paesi.
Ho già ricordato che la responsabilità penale è sempre individuale e l'onore militare può essere messo in discussione solo se riguarda comportamenti dell'intero reparto. Qualora peraltro emergessero elementi sintomatici di un addestramento o di una formazione che in qualche misura apparisse meno idonea a trasmettere i valori del cittadino-soldato, il Governo adotterà ogni opportuna ed adeguata iniziativa correttiva nell'ambito dei processi di formazione degli uomini.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, quello di oggi non è un dibattito che a mio avviso si possa concludere con le consuete formule dei regolamenti parlamentari;

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qui non c'è nessuno che si possa dichiarare soddisfatto o non soddisfatto. Come ho detto qui è in gioco innanzitutto la credibilità delle istituzioni, prime fra tutte le Forze armate, l'esercito in particolare e quella del paese.
Il Parlamento, il Governo, gli italiani tutti, le Forze armate hanno bisogno di sapere, esigono delle risposte in tempi rapidi affinché si faccia definitivamente chiarezza sugli episodi che sono stati denunciati ed una volta accertate le responsabilità vengano adottati provvedimenti esemplari. Lo dobbiamo certamente alle donne e agli uomini della Somalia, lo dobbiamo a quanti si sono generosamente impegnati in quella missione, lo dobbiamo alle migliaia di soldati che in questo momento prestano servizio all'estero in varie missioni internazionali e lo dobbiamo soprattutto a noi stessi per ricreare un corretto rapporto tra la popolazione e le nostre Forze armate e con la nostra coscienza così turbata da questi episodi. Grazie, Presidente.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor ministro della difesa.
Ha facoltà di replicare l'onorevole Tassone.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ho ascoltato attentamente la relazione che il ministro della difesa ci ha testé fatto.
Il ministro della difesa ha fatto riferimento al quadro di politica internazionale del 1992-1993, periodo in cui l'Italia ha partecipato alla missione dell'ONU, all'Unisom; debbo però dire al ministro che egli ha detto di meno di quanto affermò a suo tempo, il 15 luglio 1993, in un'intervista su la Repubblica quando era ministro degli affari esteri. Allora ha fatto riferimento chiaramente alla confusione che c'era in Somalia; ha parlato delle Forze armate e della presenza militare dell'ONU come quella delle crociate, ha parlato di... Gerusalemme liberata! Ha parlato chiaramente dello scontro che c'è stato tra le nostre Forze armate e gli Stati Uniti d'America.
Signor ministro, cerco di formulare una valutazione sulla relazione inerente alla vicenda che è alla nostra attenzione. Anche noi siamo profondamente colpiti dalle notizie che sono state diffuse e prendo atto del fatto che anche lei questa mattina è apparso colpito da tutto ciò. Forse quando lei è stato intervistato a Bruxelles e quando ha parlato di goliardia aveva sottovalutato la gravità di alcuni episodi. Siamo tutti convinti della necessità di acclarare la verità per il bene del paese e per difendere le istituzioni militari.
Non sarebbe quindi giusto partire da queste vicende e da questi episodi che avviliscono e mortificano le Forze armate per coinvolgere l'intera istituzione militare. Ho sentito da certa parte proporre lo scioglimento della «Folgore», ma non ritengo che tutto ciò possa essere accettato.
Concordo sul fatto che non si debba fare alcuna differenziazione fra maggioranza e minoranza, però, signor ministro Andreatta, non per fare polemica, la vorrei invitare a rivolgere una simile sollecitazione al suo sottosegretario Brutti, il quale ha affermato chiaramente che la «Folgore» in fondo può essere salvata perché ha incontrato un simpatizzante o un iscritto al partito democratico della sinistra.

MASSIMO BRUTTI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Che sciocchezze!

MARIO TASSONE. Signor sottosegretario Brutti, lei può anche fare gesti di intolleranza, per carità, siamo abituati, però in un momento particolare come questo la sua battuta e la sua frase non hanno certamente aiutato a scoprire la verità né forniscono un sostegno alla istituzione militare.
È vero che non bisogna fare alcuna distinzione fra maggioranza e opposizione, ma bisogna comprendere in quale direzione si stia andando per quanto attiene all'accertamento della verità.
Dico subito che è necessario individuare i responsabili. Io sono fra coloro che non hanno enfatizzato molto, formulando apprezzamenti, il gesto dei generali


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Loi e Fiori, perché reputo si trattasse di un atto dovuto rispetto ai fatti accaduti. Desidero inoltre ricordare al ministro della difesa che per molto meno nel 1993 il generale Rizzo, comandante nella regione tosco-emiliana, per una vicenda rosa, la vicenda Monticone, si dimise senza che il Governo allora in carica pronunciasse una parola di apprezzamento e di riconoscenza nei confronti del generale. Quella vicenda portò anche alle dimissioni del generale Canino, del capo di stato maggiore dell'esercito. Ebbene, nemmeno le dimissioni del capo di stato maggiore dell'esercito ebbero un qualche effetto nella valutazione e sul comportamento del Governo.
Non vi è dubbio allora che dobbiamo accertare la verità, cosa che, signor ministro, non si fa attraverso le commissioni d'inchiesta interne all'amministrazione della difesa (mi riferisco a quella presieduta dal generale Vannucchi), né attraverso le commissioni nominate dal Governo. Per quanto attiene a quella nominata da Prodi, faccio mie le preoccupazioni espresse dal presidente Gallo, il quale ha fatto presente come la commissione non sia tutelata dalla legislazione e che si è chiesto quali sarebbero i poteri della commissione, la quale, infatti, è priva di poteri coercitivi e coattivi, né ha poteri ricollegabili a quelli della magistratura. Pertanto gli accertamenti che essa potrebbe fare sarebbero estremamente superficiali. Invece vogliamo conoscere la verità.
Per quanto attiene alla cosiddetta commissione Vannucchi, devo dire che quest'ultimo sta parlando molto: ha tenuto delle conferenze stampa e sta anticipando anche alcune soluzioni. Non è un modo di comportarsi decoroso e dignitoso per un presidente di una commissione di inchiesta o di indagine che sia. Non credo che il Governo stia facendo qualcosa a tale riguardo e voglio segnalare questo fatto proprio per il contributo che l'opposizione deve dare alla maggioranza.
Sembra che Vannucchi sia impegnato a dare interviste ai giornalisti, mentre questa vicenda è seria. C'è da chiedersi se l'intenzione del Governo sia davvero quella di accertare la verità attraverso la commissione voluta da Prodi, alla quale la legge n.400 non assegna alcun potere particolare (in questo concordo con le osservazioni di Barbera). Ecco dunque il motivo per il quale sono favorevole all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta, secondo quanto prevede una proposta di legge che i parlamentari del CDU stanno preparando. È nostra intenzione dare a tale Commissione tempi rapidissimi per chiarire le responsabilità e le eventuali coperture sulle vicende di cui ci stiamo occupando.
C'è un altro dato sul quale desidero richiamare la sua attenzione, con il consenso del Presidente di questa Assemblea. Onorevole ministro, sempre nella sua intervista del 15 luglio 1993, lei ha parlato di uno stato di disagio e di una situazione di incertezza, ma è mai possibile che, a seguito delle notizie di stampa, da parte dell'amministrazione della difesa dell'epoca, oltre che quella di oggi, non sia stata assunta alcuna iniziativa per l'accertamento della verità? È dovuto scoppiare il caso perché, purtroppo, in Italia si agisce solo sulla scia di episodi scandalistici o scoop giornalistici (come in questa vicenda).
Il problema non è quello di capire quale sia stato l'episodio, tanto più che lei, signor ministro, non ha fatto riferimento ad alcun episodio particolare certamente anche per riserbo nei confronti del lavoro di questa commissione di inchiesta, o di indagine che sia, sulla quale ho già espresso il mio giudizio.
Ma la polizia militare che accompagna le nostre truppe non era a conoscenza di nulla? Il SIOS non era a conoscenza di nulla? E questo famoso SISMI non era a conoscenza di nulla, non sapeva delle vicende internazionali e di quelle interne della Somalia? Eppure sento dire che il SISMI avrebbe indicato alcune vicende, alcuni episodi che però non dovrebbero coinvolgere le Forze armate. Forse qualcuno ha insabbiato? Prendo atto della sua dichiarazione di non voler insabbiare alcunché. Non c'è dubbio però che occorre

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fare chiarezza. Esistono queste «veline», i servizi effettuati dalle nostre strutture della sicurezza? Se non esistono, mi chiedo perché i servizi debbano essere mantenuti in vita, anche se occorre modificare la legge n.801, almeno nella parte relativa al controllo esercitato dal Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato. Quale ruolo svolgono in realtà questi servizi? Esistono queste «veline»?
Signor ministro, lei avrebbe dovuto dare risposta a queste domande perché per me è impensabile che, nel caso in cui quegli episodi si siano svolti davvero (e lo metto in termini dubitativi), i vertici delle Forze armate non sapessero nulla. Faccio fatica a comprendere tutto questo.
Bisognerebbe affrontare la questione in maniera diversa. Quante volte, signor ministro, in questa stessa sede le abbiamo chiesto di prestare maggiore attenzione alla qualità delle nostre Forze armate, alla loro professionalità, alla necessità di passare al servizio volontario di leva! La sua risposta alle nostre interpellanze non è stata adeguata all'esigenza di far sì che lo strumento militare corrisponda alla volontà del nostro paese di essere presente sullo scacchiere internazionale.
Ritengo che una valutazione da parte sua, signor ministro, sarebbe stata quanto meno opportuna perché le esecrazioni rispetto alle torture e alle violenze perpetrate non sono sufficienti se poi non comprendiamo la situazione interna delle nostre Forze armate. Signor ministro, se lei non affronterà realmente il problema come ministro della difesa e come rappresentante del Governo nel suo complesso, soggiacerà alle interpretazioni antimilitariste sempre presenti nel nostro paese e nel nostro Parlamento. Mi pare che in questa sede scopriamo l'importanza delle Forze armate semplicemente quando, per esigenze di politica internazionale, dobbiamo inviare i nostri militari al di fuori dei confini nazionali.
Il Governo dovrebbe quindi esprimere una valutazione complessiva sulla situazione delle nostre Forze armate.
Tutti i problemi emersi dalla vicenda in esame - sulla quale si sono soffermati i giornali - lasciano in noi un senso di grande amarezza. Tale sentimento è determinato dagli episodi avvenuti in Somalia; a tale riguardo vorremmo comprendere se si sia trattato soltanto di episodi, come io penso: se così fosse, essi andrebbero circoscritti e limitati nella loro gravità.
Vorrei soprattutto capire che cosa si intenda fare per il futuro e se le nostre Forze armate siano nelle condizioni di operare in termini adeguati e di grande dignità. Preciso che le Forze armate non rappresentano una struttura separata del paese, esse fanno parte della coscienza nazionale e sono nel cuore del paese e debbono esprimere quindi degli alti valori. Non vi dovrebbe essere una «interdazione» di valori di umanità, di correttezza e di dignità, ma le Forze armate, nel momento in cui sono impegnate in missioni fuori area, debbono rispettare questi grandi valori di dignità e di umanità.
Sottolineo, peraltro, che noi abbiamo inviato all'estero i nostri soldati senza fissare per la loro missione delle regole certe. Ma le ricordo, signor ministro, che dopo la vicenda del pastificio in Somalia il nostro contingente fu trasferito altrove.
Vorrei ora fare un'ultima considerazione. Signor ministro, lei ci dovrebbe parlare - perché lo si è fatto moltissimo - dei nostri militari che hanno dato consenso ed hanno concorso con il loro operato alle azioni della polizia di Mogadiscio: essi hanno infatti addestrato una certa polizia di Mogadiscio... È possibile che non si sapesse nulla al riguardo? Auspico che sulla vicenda venga accertata la verità, soprattutto nell'interesse delle Forze armate. Vi è qualcuno che non nutre interesse per questa verità ma noi, invece, la vogliamo perseguire (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CDU, di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Orlando.

FEDERICO ORLANDO. Signor Presidente, ministro, colleghi, poiché questa è


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la prima volta che prendo la parola in quest'aula sulla questione della Somalia, il mio primo pensiero è rivolto ai quattordici soldati italiani morti in quel paese ed ai cento rimasti feriti. Ricordo che essi sono stati inviati in quella terra africana da questo Parlamento e dal Governo. Al loro ricordo, unisco la mia solidarietà di persona umana e di liberale alle vittime somale di alcuni nostri soldati. Mi sembra di poter dire che tutti - sia i nostri soldati sia quei cittadini somali - siano stati vittime di errate politiche di interferenza in faccende internazionali - o spacciate come tali - che spesso sono soltanto faccende tribali, se non proprio criminali; mentre, invece, vengono confuse o non distinte dalle autentiche scelte democratiche di politica internazionale e di solidarietà.
Mi compiaccio con il Governo Prodi per il suo operato e gli rinnovo, anche in questa occasione, interamente la mia fiducia per la tempestività con la quale ha avviato il procedimento di chiarificazione di una situazione più che incresciosa. Mi compiaccio di meno, invece, per certe venature ideologiche di qualche nostra ministra, sia pure giustificata dalla legittima partecipazione umana a quegli eventi.
Ringrazio il ministro Andreatta per quello che ci ha detto questa mattina e per non aver ripetuto la parola «omertà», che forse qualche giorno addietro gli è sfuggita ed è dispiaciuta ad ambienti militari che molto probabilmente non hanno assolutamente nulla da rimproverarsi in questa circostanza, né in altre. Infine ringrazio il sottosegretario Brutti, sia per la sua attiva presenza su tutti i teatri operativi, sia per le informazioni che ci reca, così come la settimana scorsa ha fatto l'amico sottosegretario Rivera per le questioni relative all'Albania.
È relativamente inutile, a mio giudizio, scomodare, come è stato invece fatto, il fascismo delle Forze armate, il machismo, il superomismo: sono tutti veleni che corrono nel sangue della nazione italiana non da oggi e certamente da ancor prima che il fascismo si configurasse come fenomeno politico. D'altra parte basta ispirarsi, guardarsi intorno a quello che fanno i democraticissimi eserciti che in tempi non lontani, quando io ero ragazzo, combattevano per le famose libertà atlantiche. Mi riferisco ai pestaggi da parte di marines per esercitazione - come si legge questa mattina sulla Gazzetta del Mezzogiorno dal diario di uno dei nostri parà in Somalia - oppure ai comportamenti dei guerriglieri urbani di tutte le tinte, di destra, di sinistra, di centro, e magari dei nostri vicini croati, serbi e bosniaci (ripeto: non soltanto serbi).
Meno inutile, invece, signor Presidente, signor ministro, è forse ricordare che anche l'esercito, e non soltanto gli assistenti di filosofia del diritto ed altri uomini di cultura dell'università di Roma, è il frutto della violenza e della vigliaccheria della cultura sessantottina e settantasettesca che continua ad avvelenare il nostro paese, così come fascismo, «machismo» e superomismo hanno avvelenato la prima metà del nostro secolo. Era la cultura della P38, la cultura di quelli che dicevano che uccidere un fascista o un carabiniere non era reato; la cultura che ha insegnato alle generazioni che oggi esprimono i parlamentari, i professori, gli ufficiali delle Forze armate, l'irrisione di ogni cultura ricevuta dal passato, di ogni rispetto umano, familiare, ideologico per l'altra parte. Il primato dell'edonismo e dell'egoismo edonista, l'ideologia della violenza di parte come strumento di liberazione della parte che è sempre messa più in alto dell'umanità, sicché oggi Fujimori e Pol Pot, entrambi all'onore della cronaca, non sono tuttavia giudicati diversamente l'uno dall'altro, neanche se si volesse fare il conto dei milioni di teschi accumulati dall'uno o dall'altro. Altri avevano già insegnato, signor Presidente, signor ministro, che la violenza delle nazioni è l'igiene del mondo e così sono state fatte le grandi guerre mondiali.
Dunque noi oggi abbiamo da difenderci dalle conseguenze di una cultura scolastica della violenza e del disimpegno da ogni responsabilità umana, che è benzina in una società come quella italiana, unica

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nell'Europa occidentale a conoscere fenomeni di criminalità organizzata di massa. Io domando a voi, domanderei al ministro dell'interno, ma domando anche al ministro della difesa, quanti mafiosi, quanti camorristi, quanti giovani «picciotti», magari anche ex sessantottini o soltanto mafiosi, sono via via finiti nei reparti più violenti dell'esercito.

MAURO PAISSAN. È una fissazione quella del sessantotto!

FEDERICO ORLANDO. Sì, è una fissazione, e sono molto contento di non aver mai rivisto le mie posizioni in materia.

MARIA LENTI. Questa è sociologia facilissima e anche banale, non è politica!

PRESIDENTE. Colleghi!

FEDERICO ORLANDO. Vorrei sapere, signor Presidente, quanti sparatori del sessantotto e del settantasette, quanti giovani mafiosi siano finiti nelle formazioni più violente dell'esercito e quali note caratteristiche facciano più titolo per le ferme dei volontari. Le sarei grato, signor ministro, se su questo punto mi fornisse qualche chiarimento.
Dunque, più scuola, più bonifica sociale; meno «leoncavallini», meno corpi separati nelle caserme, meno filosofi del diritto, meno perdonismi, meno amnesie ed amnistie, meno spinelli liberi, meno massacri del sabato notte. Più obblighi, signor Presidente: siamo padri di famiglia, ricordiamolo a noi stessi ed agli altri; dunque, più obblighi e più bocciature a scuola e nella vita... (Commenti dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti) anche perché a bocciare comunque sarà la vita.
Anche gli stupratori della Somalia, caro Mantovani, sono dei bocciati dalla vita.

MARIA LENTI. Intanto hanno stuprato!

FEDERICO ORLANDO. Ma vorrei sapere quante bocciature quegli stupratori hanno avuto a scuola; quanti calci nel sedere la società civile ha dato a questi giovani irresponsabili (Commenti dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti)!

ROLANDO FONTAN. Nessuno!

PRESIDENTE. Colleghi!

FEDERICO ORLANDO. Una democrazia liberale sa che gli uomini si costruiscono non insegnando loro pietismo e lassismo, ma doveri e valori. Ciò vale per i soldati come per i politici e per i giornalisti, quei giornalisti, miei autorevoli o non autorevoli colleghi, che per quattro o cinque anni hanno fatto finta di niente di fronte alla pioggia di notizie che raggiungeva le redazioni, salvo poi ingrandire gli avvenimenti quando alcune foto, condite di sadismo sessuale - che in redazione è uno dei condimenti più apprezzati - non hanno più consentito di nascondere la realtà dei fatti in una terra nella quale avremmo dovuto svolgere una missione di pace.
Onorevole Andreatta, lei ha un compito molto delicato ed importante; mi permetta però di dirle che forse il suo collega Berlinguer ne ha uno ancora più importante (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Giovanardi.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, mi trovo in difficoltà giacché ho ascoltato l'intervento di Andreatta-Andreatta e quello di Andreatta-Brutti.
Vengo all'intervento Andreatta-Andreatta. I dati citati, il giudizio espresso sulla missione, ricordando i contrasti fra il comando italiano e gli americani e la stessa ONU; il tener fermo le ragioni della civiltà, dell'umanità, del colloquio con tutti i somali; il rifiutarsi di usare la forza in maniera indiscriminata verso quelle


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popolazioni; il richiamo all'episodio relativo ai prigionieri; ebbene, tutto questo porterebbe alla conclusione che i generali Loi e Fiore avrebbero dovuto ricevere una medaglia d'oro per essersi comportati sul campo in maniera ineccepibile. Ripeto, ineccepibile, giacché anche l'episodio citato e le responsabilità di Loi rifulgono come esempio di comandante che, anche in una situazione nella quale banditi hanno sparato contro le truppe italiane, cercando di uccidere, ha fatto sì che queste persone venissero trattate in maniera civile, pur se con quel «pizzico di» che, com'è stato giustamente fatto, andava punito dal comandante.
Mi sono domandato, in questi giorni, dopo aver letto Avvenire ed anche altri giornali: da parte di tutti i giornalisti, dei missionari, dei volontari, dei servizi segreti, delle ambasciate, dei somali, possibile che da parte di tutti vi sia stato un silenzio assoluto in ordine a questi fatti? Sono fatti sconvolgenti che oggi stanno travolgendo l'Italia; eppure nessuno aveva sentito parlare di episodi che fossero un minimo generalizzati o comunque in numero tale da essere rilevati. Nessuno ha rilevato niente. Poi arriva il fulmine a ciel sereno: tre episodi, perché di questo stiamo parlando, vero? Finché eravamo ad Andreatta-Andreatta, sono stati citati questi casi.
Poi siamo arrivati ad Andreatta-Brutti che non si è soffermato sulle cose gravissime che poi hanno avuto le note conseguenze di questi giorni, comprese le dimissioni dei generali volute, per televisione, proprio da Andreatta-Brutti. Non è, infatti, che Fiore e Loi se ne siano andati; lo hanno fatto perché sono stati scaricati dal Governo nella persona del sottosegretario il quale, alla televisione di Stato, ha detto: «Debbono pagare». Però, devono pagare subito, prima ancora di accettare se abbiano o meno delle responsabilità.
Andreatta-Brutti ha parlato di questi gravissimi episodi, che sono tre. Uno è quello ridicolo, grottesco, della camionetta saltata sulla mina, di cui qualcuno ha riferito a pagamento (bisogna vedere, infatti, anche quanti soldi prendono questi testi per andare a dire certe cose), che è già stato ridicolizzato. Ne rimangono due, di cui stiamo parlando adesso. Uno è quello di quel Rambo terribile che abbiamo visto ieri sera in televisione e di cui riferiscono i giornali questa mattina, quel Rambo «all'amatriciana», veramente tremendo, un uomo intriso di cultura della guerra che, comunque, se ha commesso qualcosa di sbagliato, deve essere punito.
L'altro episodio è quello, gravissimo, della violenza sessuale. A Bologna, negli ultimi due mesi, la cosiddetta banda degli incappucciati ha già violentato quattro ragazze. Ma allora il sindaco di Bologna e, ragionando in certi termini, il ministro dell'interno, dovrebbero dimettersi subito perché sono coinvolti nei fatti di quella città, dove opera una banda di bolognesi che imperversa violentando le ragazze. Ma vogliamo ragionare?

ADRIANO VIGNALI. Chi l'ha detto che sono bolognesi?

FABIO EVANGELISTI. Potrebbero essere di Asiago!

CARLO GIOVANARDI. Appunto. Infatti, io non chiedo le dimissioni del sindaco di Bologna. Quei violentatori possono essere bolognesi o stranieri; dico solo che prima di assumere delle decisioni, di far dimettere gli ufficiali - di costringerli a dimettersi - vorrei capire quali responsabilità abbiano, che cosa abbiano fatto. Vorrei capire perché davanti a tutto il mondo da tre giorni stiamo dipingendo la missione italiana in Somalia come una massa di efferatezze, come una violenza generalizzata, che non appare da nessuna parte, ma che viene dipinta come tale.
Abbiamo chiesto allora le commissioni d'inchiesta ed io sono assolutamente d'accordo, ma mi domando quali. La commissione d'inchiesta del Governo, infatti, ha già concluso i suoi lavori, l'ho letto sul Corriere della Sera. Due giorni fa su quel giornale ho letto le conclusioni del presidente Ettore Gallo e di Tina Anselmi, con cui si arrivava già alla conclusione che loro avrebbero dovuto riformare l'esercito


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- il quale non è democratico e non corrisponde ai canoni che un esercito moderno dovrebbe possedere - eliminando le incrostazioni.
Ieri, inoltre, alla televisione ho sentito - e mi dispiace che nessun altro in quest'aula lo abbia rilevato - Tullia Zevi accostare il compito che lei avrà nella commissione di inchiesta al processo di Norimberga e al caso Eichmann.Sono rabbrividito e mi sono offeso come italiano e ritengo che tutti gli italiani debbano sentirsi offesi. Ma cosa c'entrano il processo di Norimberga ed il caso Eichmann con le cose di cui stiamo parlando?

ALBERTO LEMBO. Cosa c'entra la Zevi!

CARLO GIOVANARDI. Vorrei che il ministro Andreatta-Andreatta o Andreatta-Brutti me lo spiegasse. Capisco che Andreatta-Andreatta deve fare i conti con la linea dura del PDS e di rifondazione comunista. Tutti i giornali lo hanno scritto: il PDS ha deciso la linea dura. Ma la linea dura rispetto a cosa? Non dobbiamo - o non dovevamo - accertare la verità? Dovevamo capire - perché nessuno lo ha ancora capito, compresi i servizi - se vi siano stati episodi di deviazione collegati alla responsabilità di singoli (e, quindi, le inchieste servono per accertare queste responsabilità e per punire nella maniera più severa chi abbia commesso azioni delittuose), o se, invece, vi fosse da parte del nostro contingente - da cui le responsabilità dei comandanti - un comportamento al di fuori delle regole.
Ma se così fosse, signor ministro, signor sottosegretario, voi fino ad una settimana fa avete dormito? Se infatti dormivano Loi e Fiore, i quali non sapevano nulla, voi, che siete ministro e sottosegretario da un anno ed un mese, nell'arco di questo tempo mai, da nessuna fonte, militare, civile o religiosa, da parte somala o dalle ambasciate, vi era arrivato il sentore che qualcosa non funzionasse? Torno a dire, infatti, che o si tratta di casi singoli ed allora stiamo assistendo ad una montatura gigantesca, perché su uno, due o tre episodi, che vanno puniti, si è costruita una crisi nazionale e la diffamazione complessiva del ruolo dell'Italia e delle nostre Forze armate nel mondo, oppure, misteriosamente, siamo davanti a vicende macroscopiche - lo rilevava il collega Tassone - che, conoscendole, avete coperto. Peraltro, io lo escludo, perché credo che né Andreatta, né Brutti o Rivera (che apprezzo perché in questa vicenda è stato più sobrio) fossero a conoscenza di queste nefandezze degli italiani in Somalia e le abbiano coperte.
Se non è così, torno a domandare perché, sottosegretario Brutti, avete sostanzialmente chiesto la testa dei generali comandanti. Quali responsabilità avrebbero questi ultimi che, come ha detto Andreatta, si sono comportati nel modo migliore possibile, che hanno resistito, proprio in nome della nostra civiltà, dei nostri valori, della nostra umanità, della formazione dei nostri soldati, di fronte a chi, in particolare gli americani, voleva spingerli a commettere brutalità contro la popolazione? Perché hanno dovuto fare da capri espiatori?
Sono domande che purtroppo non hanno avuto nessun tipo di risposta da parte del ministro, il quale in metà del suo intervento ha proposto la medaglia d'oro per i generali e poi si è avventurato nella descrizione della commissione di inchiesta, che è surreale sia per le cose che hanno detto i suoi componenti sia per la sua stessa composizione. I compiti ad essa assegnati, infatti, dovrebbero essere svolti da persone che abbiano una notevole formazione tecnico-giuridica. Tullia Zevi e Tina Anselmi devono verificare le procedure interne all'esercito e i meccanismi di funzionamento delle forze armate: ma a che titolo? Con quale formazione? Con quale preparazione? Non si capisce. È un omaggio alle donne, si dice. Ma le donne potevano essere scelte tra i magistrati, gli avvocati, i professori universitari dotati di competenze specifiche. Sono state forse scelte a seconda dell'area politica di appartenenza?


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ALBERTO LEMBO. A seconda del colore!

CARLO GIOVANARDI. Si è trattato di un omaggio alle femministe militanti?

MAURA COSSUTTA. L'autorevolezza è conquistata di fatto!

CARLO GIOVANARDI. L'autorevolezza non si conquista di fatto, onorevole collega. Si conquista con una professionalità specifica, e non con i pregiudizi politici! Certo, ho capito anch'io perché Tullia Zevi e Tina Anselmi sono state scelte, l'ho letto sul Corriere della Sera e l'ho sentito al TG1. Da quello che hanno detto, la commissione di inchiesta è già chiusa: è più un plotone di esecuzione che una commissione di inchiesta! Hanno già sciorinato i loro pregiudizi sui giornali ed è chiaro che da quella commissione e da quei componenti non mi aspetto altro che comizi di tipo politico. Del resto, li hanno già fatti!

MARIA LENTI. Confondi i pregiudizi con i valori!

PRESIDENTE. Colleghi!

CARLO GIOVANARDI. Non è una commissione di inchiesta! È così! Le interviste non le ho rilasciate io e si tratta di una questione di elementare correttezza. Non capisco come persone nominate sei ore prima si siano potute permettere di dire certe cose sul principale quotidiano italiano e al TG1. Torno a ripetere che rifiuto e mi sdegno che si possa solo pensare ad Eichmann, al processo di Norimberga, ai nazisti, ai campi di sterminio nel momento in cui si fa parte di una commissione di inchiesta. E questo lo dice uno che fa parte del direttivo dell'associazione Italia-Israele!

MAURA COSSUTTA. Ai diritti umani, però, sì!

TERESIO DELFINO. Stai zitta!

PRESIDENTE. Onorevole Giovanardi, non vorrei avere una funzione censoria, ma le restano 16 secondi.

CARLO GIOVANARDI. Sono insoddisfatto, anche se capisco che il ministro Andreatta è stato condizionato ancora una volta da una maggioranza in cui le parti che hanno senso dello Stato e che con serenità (sia pure con qualche sbavatura, perché anche lui si è fatto trascinare nell'omertà per cercare di rabbonire la sua sinistra) cercano di avere un minimo di senso dello Stato nell'affrontare i problemi vengono trascinate su una strada assolutamente indifendibile, che causa danni incalcolabili all'immagine internazionale dell'Italia e alle nostre Forze armate e che provoca danni molto maggiori rispetto all'esigenza assoluta di circoscrivere gli episodi...

MARIA LENTI. Soprattutto ha creato vittime!

CARLO GIOVANARDI. Compagna, lo abbiamo capito, la vostra posizione è nota, ma non c'entra con l'obiettività dei fatti! Voi avete un obiettivo politico.
L'ultima cosa che voglio dire, collega, è proprio questa. Credo che tutti stiamo capendo (almeno tutti quelli che non sono in malafede) che qualcuno vuole giocare non perché è emozionato per le foto che ha visto, ma perché vuole approfittare di questa occasione per regolare dei conti in senso politico (Applausi dei deputati del gruppo del CCD) e lo ha anche scritto. Ciò è doppiamente offensivo, perché vorrei ricordare ai colleghi (nessuno lo ha fatto) che 8 ragazzi sono morti, non di polmonite né di raffreddore, ma sono stati uccisi; e 36 sono stati feriti e alcuni vivranno su una sedia a rotelle per tutta la vita per essere andati in Somalia in nome di certi principi!
Tutto questo dovrebbe essere considerato, mentre nella polemica veemente di una parte della sinistra viene sempre rimosso. Aspetterò quindi i prossimi due mesi per vedere come la commissione di inchiesta concluderà i suoi lavori; riteniamo


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comunque che le conclusioni a cui perverrà siano già inquinate da evidenti pregiudizi ideologici (Applausi dei deputati del gruppo del CCD).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Nardini.

MARIA CELESTE NARDINI. Signor Presidente, doverosamente il ministro ha richiamato la verità, mi auguro non solo come categoria, ma come pratica politica; tuttavia siamo ancora molto lontani dalla verità. La cerchiamo e la cercheremo forse insieme, ma quello che ci preoccupa, signor ministro, è quanto lei ci ha detto: è indispensabile richiamare alla memoria i fatti, ma è preoccupante se i ministri della difesa, degli esteri, i Governi, i capi di stato maggiore che si sono succeduti ed i generali continuano a fare quadrato, a non riconoscere ed a fare silenzio su quel luogo e quei tempi della politica in cui queste cose sono accadute. Non si è visto, non si è saputo e non si è detto nulla: questo è grave e ci allontana ancora molto dalla verità.
Ciò che non potrà accadere è che questa vicenda, questa ferita inferta ad un popolo, a uomini e donne, si possa chiudere esclusivamente con l'esemplare punizione dei colpevoli, punto e basta: i colpevoli, i diretti colpevoli è evidente - non enfatizziamo questo dato - che dovranno essere puniti, per un elementare senso della giustizia. Allo stesso modo naturale e dovuto è il gesto dei generali Loi e Fiore.
Tuttavia è anche necessario, signor ministro e signori del Governo, signor Presidente ed onorevoli colleghi e colleghe, indagare più a fondo poiché sono venuti al pettine nodi molto stretti della politica della difesa e della politica estera. Il primo riguarda gli interventi militari, siano essi di peace keeping od umanitari che dir si voglia, la necessità dei quali oggi è sempre più crescente e richiesta, direi quasi essenziale, funzionale però a questo nuovo ordine mondiale. Infatti l'intervento di guerra, se ci pensate bene, è sempre preceduto da una serie di immagini che renderanno, nella coscienza diffusa della gente, l'accettazione scontata e quindi inevitabile dell'intervento delle Forze armate. Come dimenticare i volti dei bambini somali, le barche piene di profughi o di clandestini provenienti dall'Albania o le immagini strazianti della guerra iugoslava! Ma, ancor oggi, quanti popoli sono costretti, dall'altra parte del mondo, a subire ingiustizie e sfruttamento? È allora necessario fare una grossa operazione di verità, e questo richiede il nostro tempo, richiede una politica di vero rinnovamento!
La drammatica situazione di guerra e morte in Somalia non è forse attribuibile a responsabilità storiche generali dei paesi occidentali (il colonialismo, l'asservimento economico e politico, il disequilibrio tra nord e sud)? E 30 mila marines e 2 mila uomini dei battaglioni «San Marco» e «Folgore» non sono stati un colpo di spugna sulla storia di cui quei paesi sono responsabili?
E ancora, signor ministro, in ordine al ruolo della NATO, che con unanime consenso ma non senza malessere all'interno dell'Assemblea dell'Atlantico del nord, procede verso l'ampliamento delle proprie funzioni, senza il minimo senso critico anche da parte del nostro Governo, non si prefigura, con tale potenziamento, una minaccia verso le aree di crisi, soprattutto a sud? Non è forse questa la logica della creazione del nemico? È la politica con la «p» maiuscola quella che dovrebbe saper negoziare, mediare, guardare alle ragioni dei soggetti ed alle vocazioni dei territori: è questa politica che ha ceduto il passo a quella delle armi e temo che voi pensiate proprio questo. Ed è questo che distanzia rifondazione comunista dalle forze di questo Governo, non ragioni ideologiche. E l'ONU cosa dovrebbe essere davvero, oggi?
Il principio di ingerenza democratica può richiedere anche l'uso della forza per fermare la barbarie, ma un potere così delicato non può che essere previsto, studiato e gestito da un organismo imparziale, al di sopra delle parti, quale l'ONU non è stato nell'operazione in Somalia; questo organismo non può infatti


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essere dominato dalla logica dei rapporti di forza tra le grandi potenze ed i loro interessi, né il Pentagono può trovare i fondi per l'ONU in Somalia e non avere i soldi per i caschi blu in Bosnia perché lì l'ONU doveva fallire. Il principio di ingerenza umanitaria è giusto teoricamente, ma pericolosissimo per come è stato applicato nell'operazione Restore hope in Somalia, perché è servito a conferire autorità morale ad un intervento militare che aveva ben altri fini. Chi è andato in soccorso è il primo responsabile della tragedia somala. Il governo di Siad Barre è stato sostenuto in primo luogo dagli italiani; nella tristissima divisione delle aree la Somalia ricade nell'influenza italiana. È così che si pensa il mondo, è così che si pensa al mondo, è così che si pensa ai poteri.
E ancora, quali reali interessi avevano gli Stati Uniti? In politica interna, certo, Bush vincolò il neopresidente Clinton ad una politica di intervento ed in politica estera ha contato la posizione del Corno d'Africa, che permette di controllare lo sbocco del mar Rosso e quindi la rotta petrolifera che dal golfo Persico raggiunge il Mediterraneo. In questa vicenda l'uso spietato della violenza, della forza e della crudeltà, anche qui lo stupro come affermazione bruta dell'essere maschio e le donne, ancora una volta, rappresentano il sud di tutti i sud: tutto questo, ministro, può nascere - certamente, forse - dalla follia di singoli, ma è poco credibile. Vi è nella formazione un'esaltazione della forza, un uso della violenza come pratica; vi è una costruzione del nemico che non capiamo. Se il nemico è scomparso, se la guerra è ripudiata, se gli interventi prefigurati sono di peace keeping, peace enforcing, allora quali sono i contenuti culturali e dove si addestrano i nostri militari italiani? Non è forse necessario che i soldati studino davvero la dichiarazione dei diritti dell'uomo? Non è forse necessario, ministro, un attimo di pausa e pensare che il transito dei volontari a lunga ferma nella polizia va sospeso? Non è forse necessario, signor ministro, di fronte a questa evidenza, fermarsi un attimo a ripensare il modello di difesa che ha nel suo nucleo l'esercito professionale? Ministro, abbiamo chiesto queste cose ed a ciò lei non ha risposto.
L'ordine della guerra è sempre la sconfitta della ragione. Signor ministro, credo che sia venuto il tempo di proporre, in sede di conferenza intergovernativa di riforma dei trattati sulla politica estera e la sicurezza comune, la creazione di un corpo civile europeo di pace con funzione di peace keeping istituito dall'Unione europea sotto gli auspici delle Nazioni Unite. In questa fase delicatissima per l'organizzazione delle forze, dei poteri, dei paesi e dei soggetti del Mediterraneo, riteniamo assai preoccupante che l'unica politica che pensiamo di condividere sia quella dell'allargamento della NATO. Ancora una volta questo ci dice che siamo lontani dalle posizioni di questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Spini.

VALDO SPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è questo forse uno dei dibattiti più impegnativi che deve affrontare la Camera dei deputati. Dobbiamo saper parlare - e farlo in modo convincente - all'opinione pubblica interna ed internazionale che ci chiede ragione di queste fotografie, di questi fatti, che chiede se la democrazia italiana sia in grado di andare fino in fondo alle esigenze di verità e di giustizia. Al tempo stesso dobbiamo parlare alle Forze armate, a chi in questo momento è in Bosnia, in Albania, che si chiede se si trova lì sempre con la fiducia ed il consenso del popolo e del Parlamento italiani. Questo compito credo riguardi effettivamente tutte le ali, tutti i partiti, tutti gli schieramenti del nostro Parlamento. All'indomani della pubblicazione da parte di un settimanale della prima fotografia di violenze che sarebbero state perpetrate da appartenenti alle truppe italiane in Somalia, ci permettemmo di consigliare al Governo di venire subito in


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Parlamento e di predisporre subito gli elementi e gli strumenti per l'accertamento dei fatti e della verità. Purtroppo, qualche giorno è passato e nel frattempo altre fotografie sono state pubblicate. Devo però dare atto che dopo la pubblicazione della seconda fotografia gli strumenti per l'accertamento della verità sono stati posti in essere dal Governo con tempestività.
È necessario ricostruire la dinamica dei fatti denunciati e rispondere al legittimo quesito che viene posto: forse questi fatti sono stati accompagnati da altri, forse accanto ai fatti che si sono potuti verificare ve ne sono altri. Ebbene, di fronte a tale quesito il Governo ha ritenuto di dare vita ad una commissione indipendente, questo è il passo politico importante che è stato compiuto: una commissione presieduta da un ex presidente della Corte costituzionale che per la sua vita e per il suo passato di combattente per la libertà e di grande giurista certamente dà notevoli garanzie; una commissione che nel suo complesso, tanto per i suoi membri civili quanto per quelli militari, dà effettivamente garanzie di indipendenza; infine, una commissione in cui siedono anche donne di grande rilievo nella vita del paese ed io credo che anche questo elemento di abbattimento della separazione tra i sessi all'interno delle Forze armate sia di notevole rilievo ed interesse.
Mi sia consentito però dire anche qualcosa di più: il mio gruppo, la sinistra democratica, prende atto di un fatto molto preciso, ossia che questa commissione non parte senza meta, per lidi sconosciuti, ma ha una scadenza immediata, un mese, per presentare un primo rapporto. Diciamo allora con molta chiarezza, rivolgendoci anche ai colleghi che hanno sollevato dubbi (tutti i dubbi naturalmente sono legittimi, in questa situazione, purché siano costruttivi) sulla portata di questa commissione, nonché rivolgendoci idealmente al presidente Gallo ed ai membri della commissione, che se a questi ultimi i poteri non sembrassero sufficienti, se la disciplina giuridica con la quale agisce non sembrasse adatta ed opportuna per l'accertamento della verità, senz'altro non escludiamo - lo ripeto anche in questa sede - la possibilità di procedere anche ad accertamenti di natura parlamentare. Siamo consapevoli, però, che gli accertamenti di natura parlamentare, per la loro forma giuridica, sono indubbiamente più lenti, hanno bisogno di una procedura più lunga e complessa, mentre la necessità di accertamento della verità è immediata e precisa ed estremamente sensibile ai tempi del suo stesso svolgimento.
Come dicevo, se in qualche modo la commissione riscontrasse dei limiti al suo operato, credo che nessuno nel Parlamento italiano - tanto meno noi - si sottrarrebbe alla responsabilità di utilizzare gli strumenti parlamentari. Dobbiamo però nel contempo chiarire due aspetti. In primo luogo, qui si tratta di condurre inchieste ed eventualmente processi per fatti di responsabilità di singoli, non si tratta certo di fare un processo all'esercito nel suo complesso. Non è un processo alle Forze armate, ma a responsabilità e fatti ascrivibili a singoli o ad eventuali responsabilità e negligenze di catene di comando, come è stato precisato dal ministro della difesa. In secondo luogo, possiamo affermare con cognizione di causa che questa Camera, anzi questo Parlamento non si occupa delle Forze armate solo quando avvengono cose spiacevoli o scandali: il Parlamento si è occupato ed intende occuparsi dei problemi delle Forze armate e del loro necessario adeguamento in tutta la dimensione che la questione assume, e che noi avvertiamo, tramite una definizione precisa del loro ruolo all'interno della società italiana, che avvenga mediante un'adeguata riforma a livello sia legislativo sia regolamentare. Ecco, allora, i due pilastri della nostra azione. Per quanto riguarda la Somalia, certamente sappiamo che ci siamo tutti svegliati con grande rammarico, con grande dolore, perché al corpo italiano di partecipazione alla spedizione delle Nazioni Unite erano state rivolte in passato accuse contrarie a quelle di cui ci

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occupiamo oggi: in particolare, era stato richiesto addirittura il sollevamento del suo comandante perché non aveva sparato verso una folla in cui erano mescolati banditi e civili, proprio per il timore di poter colpire i civili. Quindi, grande è stato il nostro rammarico. Però, questo non significa giustificazionismi, perché per quanto dure fossero le condizioni di ambiente - e lo erano, perché i morti parlano chiaro, perché purtroppo la spedizione politicamente non era stata inquadrata bene dalle Nazioni Unite, riconosciamolo: la spedizione non era stata inquadrata politicamente bene e chi si è trovato lì ne ha poi subito le conseguenze - violazioni delle Convenzioni di Ginevra e dei più elementari diritti e del rispetto della personalità umana non sono in nessun modo accettabili e quindi vanno come tali perseguite. Nel contempo, però, proprio di fronte al giudizio complessivo che fu dato della spedizione in Somalia, che è stato dato di quella in Bosnia e che viene dato in questo momento di quella in Albania, non possiamo pensare di avere un esercito che, consapevolmente o programmaticamente o come ordini o come direttive, fosse diretto a questo tipo di attività. Le omissioni, se vi sono state, sono di diverso segno; possono essere state omissioni di vigilanza, di controllo, di preparazione, di addestramento, ma non credo che in questo momento possiamo dare una definizione che veramente allora ci metterebbe in difficoltà e in crisi nel nostro paese.
Come dicevo prima, sono in moto procedimenti molto precisi. Domani si riunisce il Consiglio supremo di difesa e sappiamo che l'attuale Presidente della Repubblica ha fatto un uso molto parsimonioso di questo supremo organo collegiale per i problemi della difesa previsto dalla nostra Costituzione. Quindi, la sua riunione di domani riveste una particolare solennità e vorrei anche dare atto al Presidente Scàlfaro di essersi mosso per questa convocazione in un momento particolarmente difficile e delicato. Così come vorrei dare atto al Governo che, appunto, si affida ad una commissione con caratteristiche di indipendenza e di autorevolezza esterna.
Direi che queste sono al momento attuale del dibattito le conclusioni che possiamo trarre e cioè che questa commissione venga dotata di suoi poteri effettivi, che possa agire, che entro un mese ci possa dare un primo rapporto da cui si possa delineare l'ampiezza del problema. E anche dall'iniziativa dell'inchiesta interna del generale Vannucchi, dalla convocazione degli ufficiali, ci attendiamo di capire - perché un generale, un comandante, alla fine un sesto senso, un fiuto, non può non averlo - la dimensione del fenomeno o comunque una sua delineazione. Su questa base, certamente, bisognerà procedere a colpire le responsabilità.
Su questa base bisogna anche dire che quando chiediamo ad appartenenti alle Forze armate non delle vacanze, non delle villeggiature, ma spedizioni pericolose e comunque difficili, faticose, in una condizione di lavoro molto grave, molto intenso e impegnativo, questo avviene in un contesto di attenzione del Governo e del Parlamento verso i problemi delle Forze armate, verso la loro riforma, verso la loro efficienza, verso il miglioramento delle loro capacità operative e anche verso capacità di formazione più adeguata.
In questo contesto, credo che non sia nemmeno sbagliato ricordare che questo Parlamento si sta avviando ad abbattere l'ultima barriera che alle donne rimane nei confronti della pubblica amministrazione. Il divieto per le donne di partecipare ai concorsi per ufficiali, sottufficiali e volontari di truppa sarà abrogato da questo Parlamento. Da questo non ci attendiamo miracoli, ma certo ci attendiamo un aspetto controbilanciante rispetto ad una serie di fenomeni che sono stati qui lamentati.
In conclusione, signor Presidente e onorevoli colleghi, una democrazia è forte se sa guardarsi allo specchio, se sa guardare fino in fondo la verità, per quanto spiacevole possa essere, e questo noi chiediamo al Governo e alla commissione

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e siamo pronti eventualmente anche ad assumerci le relative responsabilità. Ma una democrazia è forte anche se ha Forze armate moderne e democratiche, capaci di condurre avanti il loro compito al servizio della pace interna ed internazionale (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Gasparri.

MAURIZIO GASPARRI. Presidente, colleghi, ministro, rappresentanti del Governo, alleanza nazionale segue con la necessaria, doverosa attenzione e cautela tutto ciò che si sta verificando a margine di questa vicenda. Certamente, il nostro amore per i valori della patria e la nostra solidarietà alle Forze armate non ci impediscono di dire e di ribadire anche in questa occasione che non siamo e non saremo certamente disposti in alcun modo a coprire, ad avallare singole, individuali responsabilità che si dovessero accertare, in termini concreti e non soltanto nei termini giornalistici, perché non possiamo accettare processi e sentenze giornalistiche o dichiarazioni che ad anni di distanza non si sa bene quale fondamento nei dettagli possano avere.
Quindi si faccia ciò che è necessario, si accerti ciò che deve essere accertato, si cerchi di andare al di là delle immagini fotografiche. In questi casi anche i dettagli sono importanti per vedere se si tratta di elettrodi, di fili telefonici o di quant'altro. Ma non è questa la sede per gli accertamenti. Si potrebbe obiettare che i dettagli contino poco, ebbene credo che si debba verificare, anche da questo punto di vista, la portata degli eventi.
Purtroppo non sarebbe la prima volta che operazioni militari di tale natura possano comportare, a margine, taluni episodi, ma ciò non deve comportare la demolizione della credibilità delle Forze armate nel loro complesso. Ed allora noi vogliamo ribadire che non accettiamo processi generalizzati; vogliamo denunciare il tentativo di cogliere questa occasione per smantellare strutture militari. Qualcuno ha chiesto addirittura lo scioglimento, la dissoluzione della brigata «Folgore». Vogliamo ricordare in quest'aula a coloro che hanno avanzato tale richiesta e a quanti non hanno replicato forse con la dovuta chiarezza (oggi, per la verità, il Governo ha detto qualcosa in materia) che quella brigata è uno dei tanti reparti delle Forze armate, caro collega, che ha tradizioni, benemerenze rispetto alla storia nazionale, alla storia non solo militare ma anche alla storia delle operazioni di pace. Dai tempi della missione in Libano ai giorni nostri l'Italia è stata impegnata in molte occasioni in operazioni militari di pace. In alcune di esse, ovviamente, è stata anche impiegata la forza, del resto quando si parla di operazioni di pace non si deve essere ipocriti! Nei primi anni ottanta, nel corso dell'operazione in Libano, si agì in un contesto delicato; proprio in quel periodo, per fortuna, le nostre truppe andarono esenti da attacchi ma ci furono, per esempio, reparti, quelli degli Stati Uniti, che furono oggetto di attentati drammatici, non dimentichiamolo!
Anche quella della Somalia fu una storia sicuramente di scontri militari; vi sono state delle vittime tra i somali, un fatto questo che ci ha rattristato, ma vi furono anche vittime, come è stato ricordato, tra le nostre Forze armate. Ed allora non si colga l'occasione strumentalmente per invocare scioglimenti o quant'altro.
Diamo anche atto del senso di responsabilità di alcuni ufficiali (si è già detto dei generali Loi e Fiore), ma riteniamo che anche in questo caso non si possa arrivare a delle sentenze anticipate. Bene hanno fatto alcuni colleghi a rilevare che taluni esponenti di commissioni in via di costituzione non possono rilasciare interviste ed emettere sentenze, così come è accaduto. Ho letto ad esempio l'intervista rilasciata dall'onorevole Anselmi e non mi pare sia questa la serenità con la quale ci si deve accingere ad esaminare una vicenda di tal fatta.
Voglio anche dire, caro ministro, che forse ci sarebbe da verificare altre strade. Si darà luogo adesso a questa commissione;


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io non saprei giudicare la competenza dei singoli, peraltro si potrebbe discutere sulla qualità delle persone, per carità! Ma perché allora in sede parlamentare qualcuno ha parlato di una Commissione d'inchiesta (uno strumento complicato, occorrendo una legge). Perché allora non attivare immediatamente un'indagine conoscitiva? Tutti i gruppi parlamentari sono rappresentati in Commissione; questo sarebbe uno strumento che potrebbe essere attivato in tempi rapidi visto che non si tratta di costituire un'apposita Commissione, l'indagine infatti si svolgerebbe nell'ambito della stessa Commissione difesa. Né occorrerebbe molto tempo per individuare un ristretto numero di persone che possano in breve tempo esperire delle verifiche che siano di conforto per tutte le azioni di competenza del Governo e della magistratura ordinaria e militare per i reati che eventualmente si possono configurare e che anzi, probabilmente, anzi quasi certamente, potranno essere riscontrati.
Questo può essere anche un modo per evitare processi anticipati e dare al Parlamento una sua dignità. Peraltro si tenga poi conto che quasi tutte queste missioni internazionali, compresa l'ultima in Albania, sono state «confortate» da un ampio consenso parlamentare che è andato ben al di là delle composizioni delle maggioranze del momento. C'è quindi una legittimità di tutti i gruppi, a mio avviso, di contribuire ad una verifica e ad un accertamento. In Albania, come tutti sanno, è in corso un'operazione che è «scaturita» da una maggioranza ben più ampia di quella di Governo.
Ciò premesso vorrei anche dire un'altra cosa. In questi giorni abbiamo letto molto sulla crisi e sul degrado delle Forze armate, ebbene penso che il Governo e molte forze politiche non possano limitarsi a versare lacrime di coccodrillo. Prima ho sentito un collega che mancava solo che dicesse: a letto dopo «Carosello»! Ha fatto una serie di elenchi di buoni comportamenti con un moralismo che francamente sembrava un po' retorico e un po' bolso.
Penso che, in relazione alle Forze armate, occorra sempre occuparsi della loro qualità e del loro addestramento. Negli ultimi anni noi siamo stati impegnati in scenari internazionali delicatissimi. Ho citato quelli del Libano, del golfo Persico, della guerra tra l'Iraq ed il Kuwait (quella fu infatti una guerra), della Somalia.
Quindi, abbiamo bisogno di uno strumento militare adeguato, di qualità, verificato. Da anni, ad esempio, chiediamo una vera discussione sul modello di difesa. Siamo fautori dell'esercito basato sulla professionalità. È anche vero che oggi ci troviamo in una situazione ibrida: abbiamo la leva obbligatoria e abbiamo alcuni reparti volontari con ferma prolungata, ma non c'è una cultura di professionalità. Non credo si debbano temere corpi separati. Altre nazioni hanno adottato questo modello e se, dopo le necessarie verifiche, si riscontra che questi corpi presentano livelli di qualità e standard adeguati, si può evitare la presenza di singoli, che ci possono essere nelle Forze armate, che tengano comportamenti del genere.
Poco fa il collega Giovanardi citava i casi di Bologna. In Italia vi è stato il caso della «Uno bianca». Si è trattato di una tragedia enorme, tuttavia non si è chiesto lo scioglimento della polizia di Stato perché quattro o cinque folli criminali avevano fatto quello che avevano fatto. È una vicenda che non può infangare centomila uomini e donne, che ogni giorno rischiano la vita con la divisa della polizia per garantire la sicurezza dei cittadini.
Attenti allora alle generalizzazioni! Attenti anche a trascurare le Forze armate! Qualcuno ha detto in precedenza che ben fa il Capo dello Stato a riunire domani il Consiglio supremo di difesa, ma perché solo in un caso del genere ha luogo una riunione di questo tipo? Ve ne fu un'altra due anni fa, che proprio noi dai banchi dell'opposizione sollecitammo, perché era necessario porre fine ad alcune disattenzioni rispetto allo stato delle Forze armate. Si riunisca allora ordinariamente

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questo strumento per verificare il benessere delle Forze armate e per stimolare alcune iniziative!
Siamo inchiodati da anni - qualcuno dirà che la colpa è nostra, ma il nostro comportamento è diretto a richiamare l'attenzione su altri temi - sulla discussione riguardante l'obiezione di coscienza. Dibattiamo invece delle vere riforme delle Forze armate, della loro modernizzazione, di tutte le verifiche che è necessario fare!
Riteniamo che questa occasione debba servire ad accertare le responsabilità, a colpire i responsabili - fatto sul quale non ci deve essere alcuna esitazione né remora - ma anche a riflettere sul fatto che lo strumento militare è indispensabile per una politica estera e per una politica di pace che a volte ha bisogno anche della forza per essere efficace. Non credo che l'azione italiana e internazionale in Somalia possa essere riassunta in alcuni gravi episodi di violenza, perché si è trattato di una azione necessaria per ripristinare un minimo di regole in quel paese.
Cogliamo questa occasione per comprendere che le Forze armate devono essere seguite, rispettate, sottoposte a verifica e forse riformate come noi sosteniamo da tempo, ma che non possono essere processate e «schiaffate» in prima pagina in certe occasioni.
Vorremmo poi conoscere, e speriamo vengano effettuati accertamenti anche su quel versante, la veridicità di alcune affermazioni. Vorremmo sapere quanto sono state pagate, vogliamo conoscere i costi e i traffici che avvengono intorno ai giornali. Leggiamo il prezzario! Il tizio in questione ha detto: ho avuto solo 15 milioni. Ebbene, non si sa se quelli siano i prezzi di mercato delle fotografie. Caio forse le ha vendute ad un prezzo maggiore.
Cerchiamo di verificare le fonti e di valutarne l'attendibilità, ma soprattutto non dimentichiamoci delle Forze armate perché questo è uno strumento indispensabile per una politica internazionale e di difesa di un paese. Chiediamo allora che anche il Consiglio supremo si occupi ordinariamente di tali problematiche e noi saremo pronti a dare il nostro contributo per verificare quanto è necessario accertare. Ma a processi sommari, a smantellamenti e a decimazioni noi non ci prestiamo e abbiamo apprezzato la sensibilità dimostrata dagli alti ufficiali e pensiamo che anche il Governo dovrà fare un esame di coscienza sulle sue eventuali responsabilità ed inerzie (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia e del misto-CDU).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Paissan.

MAURO PAISSAN. Signor Presidente, prendiamo atto positivamente di alcune delle dichiarazioni rese questa mattina dal ministro della difesa Andreatta. Ne cito alcune: la verità, tutta la verità in tempi rapidi; la verità può ferire ma non offende mai; chi deve pagare, paghi, pochi o tanti che siano, e così via.
Noi le apprezziamo anche perché vengono dopo affermazioni o dichiarazioni più o meno fraintese, ma non altrettanto nette e non altrettanto apprezzabili rese dallo stesso ministro della difesa nei giorni scorsi e dopo dichiarazioni di altri anch'esse poco o per nulla responsabili. Mi riferisco a quella di ieri del generale Vannucchi, capo di una commissione di inchiesta dell'esercito, che all'inizio dei propri lavori definisce ingigantite le notizie e le vicende sulle quali deve ancora indagare.
Quale credibilità possono avere le risultanze della commissione di inchiesta dell'esercito se il suo diretto responsabile ha già emesso un giudizio su alcuni fatti specifici e non ha, collega Giovanardi, richiamato una cornice di valori e di principi, che è questione diversa?

CARLO GIOVANARDI. La camionetta se l'è...

MAURO PAISSAN. Il generale Vannucchi ha parlato di fatti ingigantiti, e questo già vanifica il risultato di quella commissione di inchiesta.


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Non abbiamo neppure apprezzato la dichiarazione di ieri del sottosegretario di Stato per la difesa, onorevole Rivera, il quale ha richiamato il concetto di attenuanti perché prima di tutto occorre verificare se sia stato commesso un reato. Potrebbe anche verificarsi il caso che, a seguito del lavoro della magistratura e della commissione di inchiesta, possano non risultare responsabilità specifiche.

DOMENICO GRAMAZIO. È una montatura!

MAURO PAISSAN. Prima di questo lavoro di inchiesta ci si appella già al concetto di attenuante per gli eventuali responsabili! Non si può certo apprezzare questa differenza di toni e di contenuti nell'atteggiamento della compagine governativa e all'interno del dicastero della difesa (Commenti dei deputati Giovanardi e Gramazio).

PRESIDENTE. Onorevole Gramazio!

MAURO PAISSAN. Ugualmente difficile è apprezzare le parole di quell'ufficiale della «Folgore» secondo cui le testimonianze e le dichiarazioni di alcuni «parà» non sarebbero credibili perché fatte da chi oggi porta i capelli lunghi e un orecchino.
DOMENICO GRAMAZIO. Mettitelo pure tu!

MAURO PAISSAN. Se un ufficiale ha questo concetto dei giovani d'oggi, dobbiamo porci un interrogativo sul tipo di cultura trasmessa in quelle caserme e in quei reparti.
La verità è che i fatti denunciati da alcuni ex soldati e testimoniati dalle foto sono agghiaccianti, raccapriccianti e configurano dei veri e propri crimini di guerra, crimini contro l'umanità. Sarà la magistratura a verificarli. Io non me la sento di esprimere condanne preventive. Alcune delle foto ritraggono una sequenza di fatti che vanno verificati, mentre altre mostrano situazioni che non richiedono tale verifica (mi sembra che la violenza alla donna somala sia esplicita), comunque le responsabilità personali dovranno essere accertate. La verità è che quelle foto e quelle dichiarazioni hanno infranto un atteggiamento costante non solo all'interno delle Forze armate ma anche all'interno di tutte le cosiddette istituzioni totali, quello che lo stesso ministro della difesa ha definito una sorta di omertà che caratterizza tutti i corpi chiusi.
Le denunce che sono state fatte necessitano, non appena verificati i fatti, di un conseguente atto ufficiale dello Stato italiano nei confronti del popolo somalo: se quegli atti sono stati commessi, va chiesto scusa al popolo somalo. I reati sono reati, ha affermato il Capo dello Stato...

FILIPPO MANCUSO. Ah! Un pensiero profondo!

MAURO PAISSAN. Questo riguarda sia gli autori dei fatti specifici sia le responsabilità degli ufficiali sia nel caso di una complicità diretta per chi era a conoscenza di quei comportamenti sia nel caso di una negligenza nel controllo sull'operato dei propri subordinati.
Erano totalmente sconosciuti questi comportamenti? Esprimo dei dubbi. Signor ministro della difesa, lei ha ricordato le famose foto del settimanale Epoca.
È agli atti parlamentari una interrogazione firmata da un nostro collega di allora, l'onorevole Crippa, che chiedeva conto al Governo in carica - di cui lei faceva parte, signor ministro - della denuncia pubblicata da quel settimanale. Ricordo che il generale Loi già allora spiegò quei fatti (mi riferisco all'arresto di somali che venivano incappucciati e legati) come normali comportamenti per «legare semplicemente» - queste sono le parole da lui utilizzate - dei prigionieri. Quell'interrogazione non ebbe risposta!
Signor ministro, lei ha ricostruito i fatti ed ha fatto riferimento ad una commissione di inchiesta che ha accertato un comportamento «eccessivamente e inutilmente restrittivo» (lei ha utilizzato questo termine, citando la stessa commissione).


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Ha poi aggiunto le seguenti parole: «È stata affidata ai responsabili militari l'adozione di eventuali provvedimenti disciplinari». Non ha però precisato se questi ultimi siano stati adottati, perché poi ha citato solamente la somma complessiva dei provvedimenti disciplinari riguardanti l'intera operazione Somalia.
«Siamo comunque qui di fronte al superamento dei limiti» - continua la sua citazione - «delle regole di ingaggio»; cioè, di fronte ad una evidente illegittimità di comportamenti.
Non solo, ma sul quotidiano la Repubblica nei giorni scorsi è stata riportata la testimonianza di un cittadino somalo presidente di un'associazione di intellettuali somali, che ha dichiarato di essersi recato ad interloquire con il generale Loi a Mogadiscio per denunciare gli atti di violenza commessi dai nostri soldati e che, quest'ultimo, lo avrebbe cacciato in malo modo rifiutando persino il colloquio.
Aggiungo inoltre che su il quotidiano Il Mattino abbiamo letto nei giorni scorsi un articolo nel quale si parlava di rapporti del SISMI, inviati al CESIS, sulla situazione in Somalia e custoditi presso la Presidenza del Consiglio. In uno di questi rapporti (datato 1993) si parla della missione e di comportamenti («si parlerebbe», perché non so se la fonte sia autentica) violenti e di barbarie effettuate durante le operazioni di cattura. Preciso che questo fatto lo avevamo indicato nella nostra interpellanza, ma lei, signor ministro, non è intervenuto al riguardo confermando o smentendo questi rapporti (Commenti del deputato Giovanardi).
Ora, comunque, ci troviamo in presenza di una commissione istituita dal Governo, di cui noi apprezziamo anche la composizione, il fatto, cioè, che ne facciano parte civili e militari, uomini e donne (Commenti del deputato Giovanardi)...
Al collega Giovanardi, che questa mattina è molto nervoso, dico che basta e avanza essere stato presidente della comunità israelitica italiana per affidare titolo, autorevolezza e credibilità alla signora Tullia Zevi (Applausi dei deputati dei gruppi misto-verdi-l'Ulivo della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, e di rifondazione comunista-progressisti) per indagare su un fatto che riguarda i diritti dell'uomo: basta e avanza, collega Giovanardi!

CARLO GIOVANARDI. Mi spieghi perché?

MAURO PAISSAN. E non ha diritto a giudicare la credibilità della signora Zevi.

CARLO GIOVANARDI. Questo è razzismo alla rovescia!

MAURO PAISSAN. Noi aspettiamo che questa commissione svolga presto il proprio lavoro (Commenti del deputato Lembo). Signor Presidente, il fatto che un deputato parli in quest'aula di lobby ebraica mi fa venire i brividi!

PRESIDENTE. Anche a me: spero che non sia stato detto (Commenti del deputato Lembo).

GIORGIO MALENTACCHI. Lo dicono loro!

MAURO PAISSAN. È stato detto da un collega e ripetuto in questo momento!

PRESIDENTE. Collega, lei sa cosa c'è dopo la lobby ebraica: vi sono stati i campi di sterminio!

CARLO GIOVANARDI. Stiamo parlando della Somalia!

MAURO PAISSAN. Collega Giovanardi, stiamo parlando di diritti dell'uomo!

CARLO GIOVANARDI. Ma quali sono?

DOMENICO GRAMAZIO. Parlaci dei soldati italiani morti in Somalia!

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia.


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CARLO GIOVANARDI. Stai accusando il Governo di non dire la verità! È il tuo Governo che dice che non è vero!

PRESIDENTE. Onorevole Giovanardi, vi sono opinioni diverse, questo è chiaro (Commenti del deputato Gramazio)! Onorevole Gramazio, la prego, magari approfitti del tempo per acquistare una cravatta!
Prosegua pure, onorevole Paissan.

MAURO PAISSAN. Signor Presidente, nella nostra interrogazione evidenziavamo anche altri aspetti che spero che il Governo voglia tener presente nelle successive occasioni di dibatti parlamentari.
Noi mettevamo in risalto anche l'aspetto, che ci inquieta, della componente razzista che potrebbe esserci nei comportamenti denunciati. È un problema che non riguarda, ovviamente, solo i militari, ma il fatto che si tratti di persone di pelle nera richiama una sorta di licenza in più alla violenza, all'offesa, all'umiliazione, alla negazione della dignità e della vita altrui. E poi la violenza di tipo sessuale - quelle immagini delle azioni contro la donna somala hanno impressionato tutti - richiama anche in questo caso il valore della cultura che viene trasmessa ai giovani e ai militari.
C'è poi il problema dei reparti cosiddetti speciali - come la «Folgore», ma non solo - che rischiano di apparire come «accademie e palestre» di violenza, di cultura del tipo «Rambo». Lei, ministro, ha detto che se venisse accertato che in quei corpi, in quei reparti, viene praticato un addestramento che sollecita comportamenti violenti si adotterebbero correzioni nell'impostazione dell'addestramento medesimo. In altri paesi, come il Canada, si è arrivati allo scioglimento di quei reparti quando si è dimostrato che quei comportamenti non erano singoli, ma facevamo parte della cultura, della struttura, del modo di essere dei reparti stessi. Noi ribadiamo la stessa richiesta qualora questo venisse dimostrato dalle prossime indagini ed inchieste.
Infine, signor Presidente, invito i gruppi parlamentari e le forze politiche che fanno parte della maggioranza, in particolare il PDS, a riflettere sul fatto che di tutto ciò nulla sapremmo se avessimo un modello di difesa di soli volontari, di soli professionisti (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti). Coloro che hanno denunciato questi fatti sono soldati di leva, comunque militari tornati poi alla vita civile; questo non perché i militari di carriera siano meno umani da questo punto di vista, ma perché una logica di istituzione chiusa, senza interscambio con la società civile, ovviamente porta ad una chiusura di tipo corporativo. Il fatto che vadano e vengano dalla istituzione militare cittadini che poi tornano alla vita civile, al lavoro, al contatto con altri valori, con culture diverse da quella militare, è senz'altro positivo ed influisce positivamente sulle intere forze armate. Spero che di questo potremo discutere presto, seriamente e serenamente, affrontando il tema più complessivo del modello di difesa nel nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi misto-verdi-l'Ulivo e di rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Pisanu.

BEPPE PISANU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che davanti alla denuncia, seppure generica e confusa, di fatti così gravi e sconvolgenti, sia nostro dovere riflettere a cuore caldo, ma a mente fredda, altrimenti corriamo il rischio di perdere il senso della misura e delle valutazioni politiche che pure dobbiamo fare.
Abbiamo una prima esigenza: quella di accertare la verità dei fatti dei quali fino a questo momento sappiamo poco. Abbiamo gli elementi conoscitivi che ci ha poc'anzi fornito il ministro della difesa; abbiamo dichiarazioni a tratti confuse e per certi aspetti contraddittorie di militari ed ex militari; abbiamo ricostruzioni giornalistiche sostenute da fotografie sconvolgenti; abbiamo indicazioni più precise soltanto da una fonte, la società degli intellettuali somali, la quale ha indicato


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13 casi tra ufficiali, sottufficiali e soldati di truppa responsabili di atti di violenza, precisando peraltro che ben più numerosi e più gravi sarebbero stati gli atti analoghi compiuti nel corso della stessa missione da militari degli Stati Uniti, del Canada, del Pakistan e del Belgio.
Sia ben chiaro: si trattasse anche soltanto di un caso, la nostra condanna non potrebbe che essere ugualmente severa e la nostra esigenza di verità ugualmente forte. Nessuna sottovalutazione dunque dei fatti, ma attenzione alle generalizzazioni, ai pregiudizi antimilitari ed alle sentenze sommarie: sono infatti in gioco il buon nome e l'onore di istituzioni preziose, il buon nome e l'onore di uomini che finora hanno dato prove convincenti di spirito di servizio, di senso del dovere e di senso dello Stato. Ma attenzione anche alle reazioni emotive; mi riferisco, ministro Andreatta, anche alle sue prime reazioni, pur se non avrei molto da ridire, perché riconosco che in realtà il «nonnismo», se da un lato confina con la goliardia, dall'altro confina davvero con la tortura. Mi riferisco, però, soprattutto alle intemperanze delle due ministre della solidarietà sociale e delle pari opportunità, le quale avranno pure una competenza specifica in materia, ma che bisogno c'è di annunziare inflessibilità di decisioni e severi propositi? Aspettino l'accertamento dei fatti e nel frattempo se ne stiano zitte.
Mi riferisco inoltre alle richieste venute dagli schieramenti della maggioranza di scioglimento della «Folgore», come se la «Folgore» nel suo insieme fosse coinvolta in comportamenti devianti, come se i comportamenti devianti ascritti dalla società degli intellettuali somali a 13 militari italiani si potessero estendere ai 12 mila militari italiani che hanno operato in Somalia.
Ci sono state, anche in campo internazionale, reazioni sconcertanti che debbono preoccuparci e che debbono indurre, signor ministro, il Governo ad una qualche presa di posizione. Penso soprattutto a certi ambienti degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite, che, come giustamente ha ricordato lei, nel corso della missione non esitarono ad accusare il generale Loi di troppa diplomazia e di troppa accondiscendenza per non aver voluto usare le armi nella riconquista del check point «pasta», che avrebbe significato un'autentica strage.
Ritengo che il Governo debba assumere una qualche iniziativa, anche nelle sedi internazionali, per chiarire la nostra posizione in questa vicenda.
Ritengo anche, però, che debba esigere chiarezza e giudizi misurati da parte dell'opinione pubblica e delle organizzazioni internazionali, anche delle Nazioni Unite, che non possono nascondere la loro tragica debolezza nella pusillanimità dei silenzi con cui fino a ieri - sembra che ora stiano cambiando atteggiamento - hanno guardato a questa vicenda.
Dobbiamo farlo perché le Forze armate italiane sono impegnate in diverse parti del mondo e tutti debbono prendere atto che esse sono all'altezza della situazione e perfettamente consapevoli dei compiti affidati loro e, proprio per questo, anche in grado di affrontare con tranquilla coscienza e reprimere come devono essere repressi comportamenti devianti, atrocità - come si è detto - da qualunque parte commesse. Innanzitutto, dobbiamo però fare luce sui fatti, accertare le responsabilità ed assumere decisioni conseguenti. A me, signor ministro, non pare che lo strumento migliore sia quella strana commissione mista istituita dal Governo e che, in realtà, è e può essere, a norma della legge n.400, soltanto un organo amministrativo da lei istituito e posto alle sue dirette dipendenze.
Non voglio fare polemiche di poco conto: capisco il valore simbolico, morale e politico della decisione del Governo. Va però chiarito subito che quella commissione è amministrativa e non può avere poteri e compiti politici che sono propri soltanto delle Commissioni parlamentari di inchiesta.
La commissione accerti i fatti e questi fatti - condivido, se ho ben compreso, la linea illustrata dal ministro - siano valutati dal Governo e portati all'attenzione

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del Parlamento, che è la sede ultima e più autorevole delle valutazioni. Proprio perché condivido questa linea, mi permetterei però di dire al collega Tassone ed al presidente della Commissione difesa, il quale ha pronunciato in questa sede parole sagge, che forse è meglio attendere l'esatta descrizione dei fatti che il ministro della difesa ci fornirà e soltanto dopo aver acquisito la piena conoscenza dei fatti, decidere se dar vita o meno ad una Commissione parlamentare d'indagine - come suggerisce il collega Gasparri - o d'inchiesta, che dovrebbe approfondirli nella loro complessiva valenza politica.
Nel frattempo, però, il ministro chiarisca ai membri della sua commissione amministrativa, per i quali nutriamo il massimo rispetto, quali sono i limiti esatti del loro mandato. Ciò è indispensabile, soprattutto alla luce delle improvvide dichiarazioni rese da taluni di loro alla stampa all'indomani della nomina, prima ancora che si riunissero.
Abbiamo sentito dire da parte dei commissari che è necessario compiere accertamenti severi perché c'è bisogno - cito testualmente - «di maggiore democrazia nelle nostre Forze armate, di un processo di indispensabile umanizzazione delle medesime». Questi sono propositi fuori misura, al di fuori di ogni possibile mandato che lei, signor ministro, possa aver conferito, sono privi di senso comune e ancor di più di senso dello Stato. Che cosa vuol dire democratizzare le Forze armate? Le Forze armate sono organizzazioni rigorosamente gerarchiche, in cui la disciplina è un valore e il principio di autorità è indiscutibile. Esse sono poste al servizio dello Stato democratico, sono controllate e guidate da un Governo e da un Parlamento democratici, ma non possono essere, per loro natura, organizzazioni democratiche.
E che cosa vuol dire umanizzazione indispensabile delle nostre Forze armate? Forse che sono disumane (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)? Intendiamoci bene anche a questo riguardo, perché è proprio da tali atteggiamenti, da tale subcultura che derivano giudizi e valutazioni abnormi, che finiscono per alterare il senso stesso delle cose. L'esercito, tutti gli eserciti del mondo sono di per sé organizzazioni concepite per uccidere riducendo al minimo il rischio di essere uccisi. Gli eserciti sono, in questo senso, una delle più alte espressioni della violenza posta esclusivamente nelle mani dello Stato, che l'amministra secondo le sue regole. Questa è un'idea semplice e terribile, che i miei padri pastori della brigata «Sassari» riassunsero in una celebre esortazione alla battaglia che poi è passata sui manuali militari: «Occhite, occhite ka' inoghe non k'at tribunale», «Uccidete, uccidete che qui non c'è tribunale».
È necessario fare chiarezza, perché da tali considerazioni non possono certo derivare attenuanti di alcun genere per comportamenti devianti, ma deve scaturire una più scrupolosa valutazione dei rischi a cui è esposto chi è chiamato in nome dello Stato a usare la forza, la violenza: rischi a cui è umanamente esposto un militare in situazioni di guerra e in situazioni, forse più complesse e delicate, di non guerra, e tuttavia di guerra, come le missioni umanitarie, le missioni politiche, le missioni di interposizione armistiziale, di ricostruzione della pace, di mantenimento della pace stessa. È giusta dunque, signor ministro, l'esigenza di porre maggiore attenzione all'addestramento dei nostri militari preposti a servizi così delicati, ma occorre più scrupolo e più sensibilità, in Parlamento e nel paese, verso la delicatezza, la difficoltà oggettiva che i nostri militari incontrano nel comportarsi in tali situazioni.
È bene anche approfondire ulteriormente e diffondere lo studio del diritto umanitario. Noi dobbiamo curare con orgoglio l'immagine di umanità dei nostri soldati, perché questo è un titolo di vanto; è paradossale, però, che oggi i nostro soldati siano sottoposti ad un'accusa generica di disumanità.
Concludo, onorevoli colleghi, chiedendo a nome del gruppo di forza Italia che innanzitutto si accertino scrupolosamente i fatti e che i responsabili diretti ed

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indiretti siano puniti in maniera esemplare. Chiedo che i fatti accertati e le decisioni conseguenti del Governo vengano poi sottoposti alla valutazione del Parlamento, perché esso è la sede vera delle valutazioni conclusive. Ma nel frattempo nessuno pronunzi giudizi affrettati, condanne sommarie: ne vanno di mezzo istituzioni delicate e sensibili, ne va di mezzo la stessa immagine internazionale del nostro paese, già sfigurata in queste ultime settimane da iniziative che non voglio qualificare, provenienti soprattutto da partiti della maggioranza. In queste ultime settimane abbiamo visto un partito della maggioranza di Governo muovere attacchi inauditi al ministro degli esteri ed all'intera amministrazione della Farnesina, attacchi che implicano intrusioni pericolose nel ginepraio politico dell'Albania, esponendo i nostri militari ad ulteriori rischi, in una missione internazionale di per sé complicata. E più di recente, anche stamattina, dalle stesse file della maggioranza, perfino da parte di membri del Governo, abbiamo sentito valutazioni tra le più approssimative e generalizzazioni tra le più pericolose degli episodi di cui si parla.
Stiamo attenti, perché gli alti uffici civili e i vertici militari che debbono fronteggiare situazioni così complesse e delicate non possono reggere a lungo il peso della diffidenza, o soltanto della freddezza del Governo, del Parlamento o di parti della maggioranza! Il paese non può reggere a lungo una frattura psicologica e morale fra le Forze armate e la società civile. Le Forze armate sono società civile in divisa, sono un pezzo importante di società civile (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)!
Il Governo stia più attento, non faccia finta di nulla, non ignori gli aspetti particolarmente delicati e decisivi chiamati in causa da questa vicenda. Si assuma, il Governo, le proprie responsabilità, tuteli davvero le amministrazioni affidate alle sue cure, non subordini il senso dello Stato all'esigenza di tenere unita la propria maggioranza e, se non è in grado di fare questo, se ne vada (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Lembo.

ALBERTO LEMBO. Signor Presidente, colleghi, signor ministro, desidero innanzitutto ricordare che tra le funzioni del Capo dello Stato l'articolo 87 della Costituzione prevede il comando delle Forze armate; inoltre sappiamo bene che in questa veste il Capo dello Stato presiede il Consiglio supremo di difesa. Credo non sia ozioso partire da queste considerazioni, perché si tratta di funzioni che costituzionalmente gli spettano e non possono essere dimenticate. Il Capo dello Stato non può abdicare a questo ruolo; sotto di lui, in ordine gerarchico, vi è il ruolo politico del ministro della difesa e, scendendo ulteriormente, vi sono il capo di stato maggiore della difesa e poi i capi di stato maggiore delle varie armi. Quindi anche in Italia vi è una precisa gerarchia, che vede al vertice organi civili e soltanto successivamente organi militari.
Ho fatto questa premessa perché riteniamo necessario che vi sia un trattamento equo: infatti, se è vero che sono i militari ad operare (ed operando sono evidentemente i più esposti ai rischi), i politici sono coloro i quali li inviano ad operare, ne hanno il controllo e pertanto non possono abdicare alla loro responsabilità. Noi rifiutiamo a priori - lo dico in modo chiaro e forte - ogni azione di sciacallaggio nei confronti dei militari solo perché sono militari. Personalmente, aggiungo che rifiuto una manovra del genere come ufficiale in congedo che a suo tempo ha servito con onore. Se qualcuno pensa oggi di potersi vendicare sulla «Folgore» per i fatti di Livorno o sulla base di altre motivazioni di vario genere, una posizione del genere deve essere respinta. L'onore di uomini o di reparti non può infatti essere esposto al ludibrio di alcune forze politiche: tanto per essere chiari, quelle forze politiche che hanno ripetutamente chiesto, caro collega Paissan, per anni ed anni, che


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l'Italia uscisse dalla NATO, quelle stesse forze che sostenevano pienamente la massima operatività possibile del patto di Varsavia, che non mi risulta fosse un'organizzazione dedita a scopi assistenziali e benefici.

MAURO PAISSAN. Non stai parlando dei verdi!

ALBERTO LEMBO. Qui non si tratta, una volta tanto, di Padania o di Italia. La questione va al di là, è molto più ampia. Qui si deve accertare la verità ma anche difendere la funzione, che esiste ed è al di sopra delle parti, delle forze armate che sono, sono state e saranno sempre, in qualunque ordinamento statuale (quindi con riferimento all'Italia o ad altre forme statuali che possono sorgere), espressione di uno Stato organizzato e garanzia di libertà e di sovranità dei popoli. Esistono regolamenti, leggi, convenzioni e trattati internazionali oltre che principi etici ed umanitari, ma non si deve dimenticare che quando si fa uso delle armi (cosa non piacevole né gradita per alcuno, ma che talvolta si rende necessaria) ciò avviene nell'interesse di un'intera collettività. Se esistono regole precise per quanto riguarda il confronto tra componenti armate (faccio dunque riferimento esplicito ad uno scenario di guerra dichiarata), vi sono anche altre situazioni che prevedono la caduta o l'attenuazione delle garanzie per atti di guerriglia ed operazioni di vario genere, che possono essere eseguite da parte di civili che agiscono in veste paramilitare. Sembra sia questo proprio il caso della situazione in cui si è trovato coinvolto il contingente italiano in Somalia.
È evidente che non siamo disponibili a giustificare alcun abuso; non difendiamo questa posizione e non abbiamo alcuna condiscendenza nei confronti di abusi di alcun genere - se accertati -, come specificheranno altri colleghi, ma neanche alcuna presunzione di colpa per chi porta una divisa e svolge servizio in armi, solo sulla base di questi presupposti. Non è un crimine vestire una divisa, non è un crimine portare le armi, non è un crimine farne eventualmente uso sulla base delle direttive che sono state ricevute. Non accettiamo la visione manichea che vorrebbe i buoni disarmati ed i cattivi armati; una valutazione che vorrebbe intrinsecamente buono l'obiettore di coscienza ed intrinsecamente cattivo il militare di leva o in servizio effettivo, peggio ancora se volontario in corpi speciali.
Signor Presidente, signor ministro, anche se potrà sembrarle strano, i deputati della lega nord per l'indipendenza della Padania sono molto spesso, direi regolarmente, presenti (vi abbiamo partecipato anche con lei, sottosegretario Rivera) a cerimonie patriottiche e militari, perché l'onore, il valore, il dovere ed il sacrificio non hanno confini e chi ha servito con onore una patria ed una bandiera merita rispetto ed onore. Anche se ha perso la guerra, anche se qualcuno pensa che si sia collocato dalla parte sbagliata.
Passo da un episodio all'altro, molto diversi fra loro ma che ritengo significativi. Meritavano, credo, onore i soldati del Regno delle due Sicilie massacrati dagli invasori piemontesi dopo la presa della fortezza di Civitella del Tronto, considerati banditi perché il Regno d'Italia aveva già annesso le loro terre. Ricordo i bersaglieri volontari della repubblica sociale trucidati dai comunisti titini a Gorizia: erano giovani volontari che credevano di aver servito la parte giusta e non credo si fossero macchiati di particolari crimini.
Chiediamo che siano trattati con rispetto i nostri soldati e che non vi siano giudizi preconcetti, questo è il senso dei nostri interventi di oggi in aula. Proprio questo - e vengo al testo dell'interpellanza - è però uno dei punto che meno ci convincono, anche dopo l'intervento del ministro. La commissione governativa, al di là dei suoi poteri e della sua composizione, quindi al di là di questa stranezza che non credo dovrebbe esistere, mostra alcune evidentissime lacune ed è fonte di grandissime preoccupazioni, che abbiamo espresso nel dispositivo dell'interpellanza chiedendo «quali titoli, quale rappresentatività e quale competenza specifica abbiano


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le persone di Ettore Gallo, Tina Anselmi e Tullia Zevi, tutti qualificati come rigorosamente appartenenti a parti politico-sociali da almeno cinquant'anni, tenuto anche conto della circostanza che da tale appartenenza», ormai così codificata, così radicata nel loro essere, «potrebbe derivare il sospetto di un giudizio dettato dall'emozione e comunque non fondato su una sufficiente conoscenza della realtà militare».

TIZIANA VALPIANA. Vergognati!

ALBERTO LEMBO. Signor ministro, per vari motivi non sono le persone più adatte, tanto meno il presidente Ettore Gallo, persona che oltre cinquant'anni fa ha mostrato anche una concezione molto personale dell'esercizio del potere e della giustizia, quando, pretore a Lonigo e componente del comitato di liberazione nazionale, diede un'interpretazione molto molto personale della giustizia: ci sono ancora testimoni viventi dei fatti della primavera del 1945. Veda in ogni caso, signor ministro, di chiarire i compiti di queste persone, che non ci ispirano alcuna fiducia.

FRANCESCO GIORDANO. Ti scordi che l'Italia è nata dalla Resistenza!

ALBERTO LEMBO. Nessuna fiducia.
Signor Presidente, signor ministro, il gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania ha votato contro - lo ricorderete bene - la missione in Albania per una serie di motivazioni che ritenevamo allora estremamemte concrete. A maggior ragione, oggi, in vista di un ulteriore dibattito e di un ulteriore voto per la proroga della missione in Albania, riteniamo che non esistano le condizioni per il mantenimento di tale missione, nel momento in cui si spara sull'esercito, a ragione o a torto, nel momento in cui i militari italiani a vario livello sono coinvolti da dubbi, sospetti, accuse. Tanto più se risultasse che effettivamente ci sono stati dei fatti e che questi sono stati coperti, non si dovrebbe proseguire un'operazione di quel genere: potrebbe scuotere il morale delle truppe, potrebbe esporre a rischi maggiori i militari impegnati, anche perché, come più volte è stato ricordato, quanto si dice o si scrive in Italia viene regolarmente visto, sentito e letto anche in Albania.
Riteniamo che per tutti questi motivi (e chiudo, signor Presidente, ma sicuramente il collega mi concederà ancora qualche secondo) la missione in Albania sia ulteriormente a rischio e non vorremmo che poi vi fossero strascichi di questo genere anche lì, con siluramenti o punizioni inflitti o suggeriti in modo sommario nei confronti di vertici militari, mentre il Governo continua a permanere tranquillo al suo posto e tutti i vertici della difesa non in divisa si lavano le mani di quello che è potuto accadere, come temo si laverebbero le mani di quello che potrebbe accadere in Albania.
Non devono continuare a pagare solo i militari; questi devono essere perseguiti se hanno colpe, ma devono pagare tutti quelli che abbiano comunque una responsabilità in episodi che esulino da un comportamento corretto e consono alle regole internazionali relative ad operazioni di questo genere (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Albanese.

ARGIA VALERIA ALBANESE. Signor Presidente, il gruppo dei popolari e democratici si dichiara soddisfatto degli impegni assunti stamane dal Governo e dal ministro della difesa. Qui ribadiamo la nostra fiducia e la nostra solidarietà, quella stessa solidarietà che innanzitutto dichiariamo a tutte le vittime della violenza, alle famiglie dei somali torturati, alle famiglie dei soldati italiani uccisi o feriti in quella missione umanitaria come nelle altre.
Ci auguriamo che dalla stigmatizzazione della violenza si passi ora celermente ad accertare la verità, ad individuare le responsabilità, ad intraprendere


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gli atti dovuti affinché chi ha sbagliato paghi, secondo quanto la legge prevede: questo spetta al Governo, attraverso la autorevole commissione d'inchiesta nominata, alla magistratura, al ministro della difesa. Il Parlamento avrà modo di valutare gli sviluppi delle indagini per prendere successive decisioni.
Ma oggi alla politica, a chi rappresenta il paese e ne orienta lo sviluppo spetta però un impegno in più. Si è manifestato, signor Presidente, signor ministro, colleghi, nei gesti e negli atti rivelatisi in quei gesti di violenza - a cui guardiamo ancora increduli e inorriditi - un malessere, un disagio, che evidentemente esiste nelle nostre Forze armate e che non possiamo ancora continuare ad ignorare. In particolare, ci deve far riflettere l'episodio dello stupro di gruppo, ancora più orribile in quanto esercitato non da privati cittadini ma da militari nell'esercizio di un mandato, militari rappresentanti in quella terra di una volontà solidaristica espressa da questo Parlamento e quindi dal popolo italiano. Ciò ci interroga in maniera inquietante e ci vede moralmente coinvolti.
Per questa corresponsabilità è richiesto quindi alla politica, alle forze politiche, oltre alla condanna delle violenze perpetrate, di porsi l'interrogativo: perché un soldato o più soldati, istruiti ed addestrati per salvare vite umane e per prestare soccorso a popolazioni in sofferenza, arrivano a compiere tali gesti?
Signor Presidente, signor ministro, è stato scritto in questi giorni che nella cultura predominante nelle forze politiche italiane lo strumento militare e il ruolo delle Forze armate nella nostra organizzazione democratica occupano uno spazio residuale, marginale; si fa finta, cioè noi facciamo finta spesso che non ci siano. Credo che questa affermazione corrisponda in parte a verità. Mi chiedo quanti degli eletti in rappresentanza del popolo conoscano i meccanismi che regolano la vita di quelle comunità ristrette, forse un po' chiuse, che sono le Forze armate, le brigate, i reparti, le caserme. Ci siamo chiesti cosa è cambiato nell'organizzazione della vita dei nostri soldati, mentre in Europa, nel mondo, nella politica, nella scuola, nella pubblica amministrazione negli ultimi dieci anni tutto non è più come prima? Ad una politica della difesa sempre più coincidente con processi diplomatici di collaborazione e interazione a livello europeo e internazionale, quali processi formativi hanno corrisposto nella formazione dei giovani militari? A quali modelli «valoriali» fanno oggi riferimento i giovani arruolati, ad esempio, nella brigata «Folgore», nel battaglione «San Marco»? Forse oggi ci è chiesto di contribuire a delineare una nuova identità delle Forze armate italiane, in linea con quello che il nostro tempo richiede, in linea soprattutto con le scelte di politica estera che noi stiamo compiendo.
Le missioni umanitarie a cui l'Italia è chiamata a partecipare sono ormai all'ordine del giorno. Dobbiamo quindi sempre più specializzare i nostri militari in tal senso ed in numero sempre maggiore. Ma ciò richiede, per chi partecipa a tali missioni, la consapevolezza collettiva e personale di una forte identità, un know how completo rispetto agli obiettivi delle missioni, la conoscenza ed il rispetto per le culture altre, per le diversità rappresentate dai popoli che si vanno ad aiutare. Occorre introdurre forse anche un appoggio maggiore e un costante supporto e monitoraggio psicologico per i militari impegnati in tali delicate missioni.
Unitamente a tali considerazioni vorrei ricordare che le nostre Forze armate, i nostri giovani si sono comportati con onore nelle tante missioni umanitarie a cui in questi anni hanno partecipato. Con onore, sacrifici e dedizione, ripeto, e di ciò siamo loro grati! Questo lo dobbiamo tenere ben presente, colleghi, nel chiedere verità e giustizia; questo auspichiamo che tengano presente anche le Commissioni d'inchiesta finora costituite.
Signor Presidente, signor ministro, i popolari e democratici sono impegnati a sostenere con il Governo un'azione riformatrice che porti ad un ammodernamento significativo delle nostre Forze armate, un'azione che vada nel segno di garantire più trasparenza, un maggior rapporto con

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la società, con il mondo della cultura e dell'educazione. Siamo impegnati a non ignorare più i lavoratori delle Forze armate, ma occorre costruire intorno alle nostre scelte riformatrici in materia di difesa un consenso democratico, una maggiore consapevolezza popolare; occorre nel contempo non chiedere più solo ai nostri soldati obbedienza e senso del dovere ma un consenso intelligente e corresponsabilità nell'azione.
Forse una delle mancate riforme degli anni ottanta riguarda proprio il mondo militare e, se mi consentono, è forse mancato l'ingresso a pieno titolo nel mondo militare di quel soggetto innovatore, protagonista delle grandi trasformazioni di questo secolo, che sono le donne. Ne parlava prima il presidente Spini. Noi confidiamo che questo ingresso (e stiamo lavorando perché ciò accada in tempi brevi) favorisca una nuova mediazione culturale tra la società civile e il mondo delle Forze armate, una mediazione culturale indispensabile per una vera modernizzazione. Le donne, esperte della vita e della cura della persona, non potranno che favorire un'accentuazione democratica e solidaristica dell'organizzazione del nostro esercito, della nostra marina, della nostra aeronautica, della nostra Guardia di finanza e - perché no? - dell'Arma dei carabinieri.
Signor ministro, a questo Governo spetta tale delicato compito riformatore in un'epoca difficile, in cui gli obiettivi e le ragioni della politica economica a livello europeo sembrano prevalere sulle ragioni della ricerca di un nuovo contratto sociale tra i cittadini e le istituzioni.
Noi abbiamo fiducia; confidiamo che il Governo sappia coniugare il perseguimento degli obiettivi di risanamento finanziario, di riforma della pubblica amministrazione, di riforme istituzionali, con l'esigenza non più eludibile di garantire riforme importanti anche in quel delicato e strategico settore della vita sociale e civile rappresentato dalle forze armate, arrivando al più presto alla definizione del nuovo modello di difesa. Buon lavoro, signor ministro (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo e di rinnovamento italiano)!

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Albanese.
Ha facoltà di replicare l'onorevole Tremaglia.

MIRKO TREMAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, innanzitutto un sentito omaggio ai caduti della «Folgore», a tutti i nostri caduti, ai feriti, ai mutilati, per la missione di pace in Somalia.
Signor Presidente, devo dire che vi è in questo mio atteggiamento un atto di assoluta solidarietà alla «Folgore», brigata gloriosa in guerra e in pace, per tutte le missioni che abbiamo avuto nel mondo: dal Libano alla Bosnia, al Mozambico, alla Somalia, all'Albania. Attenzione a non sbagliare, soprattutto in termini morali, le vostre valutazioni!
Signor Presidente, offro una mia testimonianza. Quando ero presidente della Commissione esteri, ho avuto più volte la visita di inviati dalla Somalia, di Alì Mahdi, del generale Aidid. Questo si verificò durante, ma soprattutto dopo la nostra missione in Somalia, ed il loro era un atto di riconoscimento e di ringraziamento. Non dimenticate che il generale Aidid lanciò poi un messaggio per il ritorno degli italiani. La richiesta fu fatta a me, perché gli italiani tornassero per la riconciliazione e per la ricostruzione della Somalia. Fossero stati i massacratori, i torturatori, questo certamente non sarebbe mai avvenuto. Troppe falsità sono state divulgate in questi giorni, ci sono stati troppi soldi dietro ad una speculazione certamente immonda. Tiravano al bersaglio. Il ministro questa mattina ha fatto giustizia di un primo dato sconvolgente perché quella camionetta saltò su una mina. Eppure quante ingiurie, quanti insulti su un fatto specifico nei confronti della «Folgore» e delle nostre Forze armate! Non so se poi gli elettrodi divengano fili del telefono, ma l'accertamento ci deve essere contro ogni violenza.


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Vi è poi il fatto dello stupro, che è un fatto abietto, un fatto che non deve essere soltanto condannato perché occorre fare un accertamento assoluto della verità. Io sono ritenuto un «forcaiolo» - si dice - e pertanto chiedo che finisca per sempre in galera chi compie un atto del genere che è veramente contro la civiltà! Ma che c'entra la «Folgore» in tutto questo? Non si possono fare i processi sommari. È già stato detto da altri che questi sono singoli episodi da accertare, fatti singoli che non possono implicare giudizi e processi sommari nei confronti del nostro esercito.
Tuttavia questa mattina è riemerso un dato molto importante anche sotto l'aspetto politico. Infatti, signor ministro, che cosa ha chiesto rifondazione? Ha chiesto di sciogliere la «Folgore», ha chiesto le dimissioni del generale Loi e del generale Fiori, cosa che è avvenuta puntualmente, ha chiesto di sospendere il capo di stato maggiore - sono le dichiarazioni di Cossutta - ed ha richiesto addirittura che il Capo dello Stato italiano domandi scusa al popolo somalo. Sono richieste molto gravi, anche sul piano dei rapporti internazionali. Facciamo attenzione perché la nostra amicizia, la grande amicizia tra il popolo italiano e il popolo somalo non può essere messa in discussione. Guai a chi vuole rompere questi rapporti per ragioni di politica interna oppure per un'espressione culturale che è veramente al di là di ogni limite! Si è arrivati così alla convocazione del Consiglio supremo della difesa, quasi fossimo alla vigilia dello scoppio di una terza guerra mondiale.
Cari colleghi, è necessario che ci riportiamo alla verità. Basta con lo sciacallaggio, che ha un effetto spaventoso nei confronti dell'Italia per quanto attiene ai rapporti internazionali, anche al di là del processo alle Forze armate che qui si vuole fare o che qualcuno vuole fare con una strumentalizzazione che non è improvvida: è indegna! Si tratta infatti di una vera e propria indecenza.
Prestiamo attenzione, perché noi facciamo parte degli organismi internazionali, dell'UEO, della NATO e abbiamo bisogno di rispetto, di considerazione e di stima per quanto riguarda la politica della difesa comune europea. Occorre che le nostre Forze armate siano quello che sono sempre state. Difatti mi pare che a tale proposito il ministro della difesa abbia colto giustamente quando gli altri, in particolare gli americani, ci accusavano, proprio nella missione in Somalia, di essere troppo umanitari.
In queste verità sorge o risorge un fatto politico di grande rilievo. Signor ministro, o il Governo respinge anche formalmente, con estrema decisione, le richieste di rifondazione comunista oppure, se ciò non avviene, bisogna trarne delle conclusioni. Attenzione, perché c'è di mezzo la nostra missione in Albania e non vorremmo che venisse fatto il tiro al bersaglio contro i nostri soldati, qualificati come i torturatori e come coloro che non sanno rispettare gli stranieri, come coloro che non hanno un senso morale e civile.
Attenzione, signor ministro, non possiamo non ripensare su quanto è stato detto e ripetuto questa mattina perché, non dimentichiamolo, rifondazione comunista è un partito che appoggia il Governo, che è essenziale alla sua maggioranza. Il Governo deve respingere in modo totale ed assoluto le accuse pesantissime che sono state qui lanciate e le richieste che appaiono davvero allucinanti. Il Governo decida, perché rifondazione comunista mantiene un atteggiamento coerente, ribadito questa mattina da chi ha parlato a nome di quel partito con queste parole: «Noi siamo, come mai, lontani dalle posizioni di questo Governo, firmato: rifondazione comunista». Se così è, se questo atteggiamento verrà mantenuto, bisognerà fare una nuova riflessione sulla nostra missione in Albania.
Concludo augurando che si giunga definitivamente ad un atto di giustizia nei confronti della «Folgore», come atto di riparazione e di riconoscimento nei confronti di tutti i soldati e dei generali Loi e Fiore che hanno svolto compiutamente il proprio dovere. Quindi onore alla «Folgore»,

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e onore alle nostre Forze armate (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Mantovani.

RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, colleghi e colleghe, signor ministro, non si può descrivere quanto abbiamo visto venire alla luce, purtroppo per iniziativa personale di soldati pentiti per quanto avevano visto e fatto, se non con le parole dell'orrore, della nausea, dello schifo. Ci è toccato ieri sentir dire (e lo abbiamo sentito riecheggiare nelle parole di qualche collega) che c'è una differenza se si tortura un uomo con degli elettrodi o se, usando dei fili telefonici, si convince quell'uomo che lo si sta per torturare, quasi che quest'ultimo caso fosse meno grave. È qualcosa che fa vergogna a questo Parlamento e che disonora i parlamentari che hanno espresso tale concetto in quest'aula.
Non si può minimizzare ciò che è venuto alla luce e, come si sa, come le persone dotate di buon senso sanno, quando emergono episodi di questa natura si tratta spesso della punta dell'iceberg, non di casi isolati. La voglia che abbiamo sentito riecheggiare in molti interventi di circoscrivere, di minimizzare, di relegare in un angolo questi episodi ci preoccupa molto; la voglia non di spianare la strada alla commissione di inchiesta governativa affinché possa ricercare fino in fondo la verità su quanto è avvenuto, la voglia di imbavagliarla, di limitarla, di ostacolarla nel suo lavoro ci preoccupa moltissimo. Ci preoccupa anche il fatto, signor ministro, che ancora non sia chiaro del tutto quali compiti tale commissione possa realmente svolgere.
La vicenda della Somalia presenta anch'essa molti lati oscuri sui quali fino ad oggi non si è indagato. Invitiamo la commissione di inchiesta appena nominata a prendere visione degli atti della commissione sulla cooperazione internazionale che a nostro giudizio possono essere utili ai fini dell'indagine. Invitiamo la commissione a verificare i lati oscuri sulla presenza del nostro esercito in Somalia in relazione ad episodi di ruberie, traffici e quant'altro. Forse, la giornalista Ilaria Alpi avrebbe avuto qualcosa da dire a questo riguardo! Anche a lei è stata tappata la bocca nel modo drammatico che tutti conosciamo.
Preciso che da parte nostra non è mai mancata la solidarietà umana nei confronti di qualsiasi vittima di tali vicende. Per noi la solidarietà umana non è diversa se è indirizzata nei confronti di un cittadino italiano che veste la divisa dell'esercito italiano, o nei confronti di un civile o di un cittadino somalo che ha subito torture e stupri o al quale è stata data la morte.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LORENZO ACQUARONE (ore 12,25)

RAMON MANTOVANI. Mettere su due piani diversi queste solidarietà, è un qualcosa che ci preoccupa e che abbiamo peraltro sentito riecheggiare nel corso dell'odierno dibattito parlamentare.
Vorrei ora proporre al Governo due riflessioni.
L'esercito - come è già stato detto da altri colleghi - è una struttura chiusa e, a mio avviso, il ministro Andreatta ha fatto bene a richiamare (anche se non ho condiviso il senso di quel ragionamento) la questione del «nonnismo» che si verifica all'interno dell'esercito, come un terreno di cultura anche rispetto agli episodi e agli orrori ai quali abbiamo assistito. Devo però aggiungere che chiunque abbia una esperienza (ed io l'ho fatta, poiché ho servito il paese in divisa) della vita all'interno dell'esercito e delle caserme, sa che il «nonnismo» è uno degli elementi congeniali alla subordinazione dell'individuo alla organizzazione militare e come tale è sempre stato tollerato, se non addirittura implementato, dalle gerarchie militari! Questa è la verità! Tutto ciò si verifica nell'esercito italiano, ma pure nell'esercito degli Stati Uniti (nell'ambito del quale sono esplosi di recente degli scandali in


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tal senso) e in qualsiasi formazione militare dell'est e dell'ovest, del nord o del sud del mondo!
Credo che nel 1997 non si possa non riflettere sulla funzione e sulla logica interna che caratterizzano istituzioni chiuse come quella dell'esercito. Tuttavia, noi, invece di sottoporre ad una critica tali istituzioni e di trasformarle in qualcos'altro di diverso da ciò che sono state nel passato, le stiamo esaltando: basta leggere le rassegne stampa del periodo nel quale vennero inviate le nostre truppe in Somalia e quelle del momento in cui ha avuto inizio la missione «Alba» in Albania! Rispunta, ricresce e viene alla luce nuovamente una cultura - o meglio: una subcultura - militarista, che non è a nostro avviso tollerabile in un paese democratico! Del resto, sta aumentando un uso sempre più pervasivo delle Forze armate in ogni campo della società civile e della politica estera. Possiamo addirittura parlare di una «militarizzazione» della politica estera! Riscontriamo infatti l'uso dell'esercito per fronteggiare l'immigrazione e per - a nostro avviso in modo assolutamente improprio - portare aiuti militari: poi si scopre che l'ammontare delle relative spese (come è avvenuto in Somalia) si aggira tra l'8, il 9 e il 10 per cento al massimo della spesa totale sostenuta; mentre il restante 90 per cento è stato destinato all'esercito!
Si fanno le nuove guerre - come quella del Golfo - ed interventi militari per portare una pace che non è una pace che trova la sua fonte di diritto nelle istituzioni sovranazionali, ma nel volere di una parte dei paesi del mondo!
Ricordo che l'altro ieri si sono svolte le elezioni in Croazia e che hanno votato 300 mila croati della Bosnia, con ciò violando sia le previsioni di Dayton sia ogni accordo che era stato preso e facendo un ulteriore passo in avanti verso la costituzione della grande Croazia e della grande Serbia (noi le condanniamo entrambe!).
Questo è il risultato del fatto che è fallita la missione ONU e che ad essa si è sostituita la missione NATO. Il fallimento della missione ONU è stato voluto dagli Stati Uniti d'America, che poi hanno guidato la missione NATO. Noi siamo contrari a questa logica e a questa cultura.
La seconda riflessione che voglio svolgere è dura da pronunciare, ma non ho esitazioni a farlo. Quanto abbiamo visto in quelle foto è una metafora delle relazioni tra i nostri paesi, tra il nord e il sud del mondo. Questa è la drammatica realtà che abbiamo di fronte agli occhi tutti i giorni: 1 miliardo 300 milioni di donne e di uomini vivono in uno stato di assoluto abbandono; 40 milioni di morti di fame ogni anno, e potrei fare un elenco lunghissimo, ma non mi basterebbe il tempo a disposizione e forse neppure tutta la giornata per ricordare i drammi, i disastri, le miserie umane e sociali che ci sono nel mondo!
Quando un nostro soldato muore bisogna esprimere solidarietà, ma a volte bisogna avere anche il coraggio di chiedersi se quel soldato non sia stato per caso sacrificato sull'altare di interessi sporchi delle multinazionali, dei trafficanti di armi, delle banche, che fanno speculazioni finanziarie con quei paesi, delle multinazionali agroalimentari, che devastano i territori per produrre cose che si possono consumare solo nei paesi occidentali! La solidarietà umana che esprimiamo nei confronti di quei soldati non può obnubilare la nostra intelligenza, non può cancellare, non può farci mettere una benda agli occhi per non vedere come spesso queste missioni vengano utilizzate nella difesa degli interessi neocoloniali e imperialistici dei nostri paesi, dell'occidente opulento (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti)!
Noi non accettiamo questa logica ed è vero, ci sentiamo lontani, lontanissimi, dalla linea di politica estera e di politica militare di questo Governo! Non si meraviglino i colleghi della destra, anzi si meraviglino che sia accaduto in Italia un fatto, cioè che proprio per questa lontananza noi non abbiamo scambiato le

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nostre divergenze con una poltrona da sottosegretario, ma abbiamo voluto mantenere netta questa distinzione.
Noi ci auguriamo che la commissione d'inchiesta faccia il suo lavoro; in ogni caso sappia il Governo e sappia il Parlamento che non faremo mai mancare né la nostra solidarietà al popolo somalo, né la nostra vigilanza e la nostra attenzione per come verranno condotte le cose in futuro (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Fronzuti.

GIUSEPPE FRONZUTI. Signor Presidente, onorevole ministro, dopo l'esauriente, razionale e realista esposizione del mio capogruppo, onorevole Giovanardi, intendo aggiungere solo un piccolo contributo, una breve analisi su alcuni punti sui quali a me sembra non ci si sia soffermati in modo adeguato.
Le notizie, e forse anche le esagerazioni che hanno investito come un uragano le Forze armate, e più in particolare la divisione «Folgore», sono di una gravità estrema, non tanto e non solo nel contenuto, tutto da accertare, verificare e scandagliare fin nei minimi particolari, quanto per la campagna denigratoria che ne è seguita contro le Forze armate e i loro apparati. Desta preoccupazione e forte meraviglia che episodi di tal genere siano stati tenuti nascosti per ben quattro anni e poi pubblicizzati con grande amplificazione. Come parlamentare cattolico-liberale esprimo, anche a nome del gruppo del CCD, viva indignazione per le cose riferite, se realmente accadute. Tuttavia, debbo anche esternare il mio rammarico e la mia insoddisfazione per come è stato consentito l'uso indiscriminato di una informazione di parte che ha mirato anche e soprattutto a demolire, a screditare un settore assai delicato dello Stato, cioè le Forze armate.
Sono ricomparse le posizioni antimilitariste di talune forze politiche, che astutamente approfittano di un tale fatto per massacrare, flagellare una delle più stimate, apprezzate e preparate formazioni militari. Se vi sono stati abusi, dopo averne accertato la veridicità, andranno esemplarmente perseguiti, condannati e puniti; ma è comunque inaccettabile che da un fatto certamente isolato e non generalizzato si voglia far scaturire una riprovevole condanna dell'intera struttura della «Folgore» e più ancora dell'esercito, per far prevalere una politica antimilitarista proprio alla vigilia della creazione del nuovo modello di difesa, che prevede tra l'altro un esercito volontario e professionista.
Il Parlamento ed il Governo hanno il dovere di rasserenare la pubblica opinione, dando uguale risalto all'accertamento della verità, specie se questa contraddice le testimonianze finora raccolte.
Per concludere, vorrei svolgere una riflessione su quanto è stato affermato da parte di alcuni esponenti della maggioranza. È sconcertante per me che uomini dei gruppi della maggioranza rivolgano al Governo domande relative a rapporti segreti che nasconderebbero pericolose verità. Se tale dato ha un minimo di attendibilità, invito il ministro a dissipare questo grave sospetto (Applausi dei deputati del gruppo del CCD).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Francesca Izzo.

FRANCESCA IZZO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, le risposte ed i chiarimenti che lei, onorevole Andreatta, ha fornito sulle iniziative prese dal Governo sono impegnative e convincenti. È forte l'impegno a fare piena luce sulla fondatezza e sull'ampiezza di sconvolgenti episodi di sevizie e stupri dei quali si sarebbero macchiati militari italiani delle forze di pace in Somalia.
Mi sento inoltre di esprimere il più vivo apprezzamento per la prontezza e la determinazione con le quali il Governo Prodi ha reagito alle prime notizie apparse sui giornali ed al disorientamento di un'opinione pubblica sconcertata, scossa e bisognosa di avere piena e totale fiducia


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nel suo esercito, attualmente impegnato in una delicata missione di pace in Albania.
Mi associo anch'io alle espressioni di solidarietà che sono state pronunciate in questa sede per tutte le vittime, quelle somale ed i nostri caduti, i nostri soldati morti in Somalia.
Vorrei sottolineare con soddisfazione l'immediata comprensione da parte del Governo della gravità dei fatti in ordine ai quali ora si vuole stabilire la verità, solo la verità. Non vi è stata, dunque, alcuna sottovalutazione, come invece era accaduto - nonostante le precisazioni che lei, onorevole ministro, ha fatto qui questa mattina - nel 1993, quando vennero pubblicate foto nelle quali comparivano parà della «Folgore» che legavano, incappucciavano e incaprettavano alcuni prigionieri somali. Allora si scelse di minimizzare; oggi il Governo Prodi dà un segnale diverso: nessuna criminalizzazione indiscriminata dell'esercito e di nessuna delle sue formazioni più prestigiose come, per una sorta di riflesso condizionato, hanno dichiarato esponenti dell'opposizione, ergendosi a difensori d'ufficio del presunto onore violato dei militari italiani. Il Governo, le forze di maggioranza, tutti i partiti sono difensori dell'onore del nostro esercito. Il messaggio inviato al paese è chiaro e limpido. Primo: affermare in maniera forte la fiducia nelle nostre Forze armate; ciò è risuonato chiaro e limpido nel discorso svolto questa mattina alla Camera dall'onorevole Andreatta. Secondo: le violenze, le sevizie e gli stupri sono crimini gravissimi, che non è assolutamente tollerabile possano essere compiuti da appartenenti al nostro esercito. Terzo: dinanzi alla denuncia di simili atti non vi è che una via, quella di un'indagine seria e rapida per accertare i fatti, individuare e punire gli eventuali responsabili materiali e chi, avendo il compito del controllo, non lo ha esercitato oppure ha tollerato e coperto azioni colpevoli.
La rapida costituzione di una commissione di inchiesta composta da illustri personalità di grande prestigio, dotate di equilibrio, di competenza e di indiscussa autorità morale risponde all'esigenza dei cittadini di sapere in tempi ragionevolmente brevi la verità - solo la verità - sulla missione italiana in Somalia.
È stato un segnale dotato di grande valore simbolico quello di nominare per la prima volta delle donne in una commissione incaricata di indagare su comportamenti ed azioni delle Forze armate. Esso testimonia una nuova sensibilità, una volontà di operare diversamente dal passato, innanzitutto di non considerare l'esercito un mondo ancora chiuso alle istanze della società, che è fatta di donne e di uomini e che, dinanzi all'accusa di stupro, si riconosce e si dà atto che una commissione di inchiesta formata di soli uomini non avrebbe rassicurato un'opinione pubblica, davvero profondamente turbata dalle immagini di violenze che abbiamo visto.
La violenza che è stata consumata sul corpo della donna somala è un atto criminoso, odioso e ripugnante, verso il quale nessuna indulgenza può essere consentita. Sappiamo purtroppo quanto lo stupro sia diffuso come un'orribile arma di guerra. In Bosnia l'opinione pubblica ha dovuto assistere impotente al sistematico ricorso da parte dei due fronti in lotta a questo feroce strumento di annientamento del nemico. Attraverso l'appropriazione e la violazione del corpo femminile si è tentato di portare la strategia della pulizia etnica fino alle più estreme e feroci conseguenze.
Abbiamo gridato all'orrore ed è diventato più forte il movimento che chiede che questo delitto sia inserito tra i crimini di guerra. Richiamare qui la Bosnia può apparire fuori luogo ed improprio e certo nessun parallelismo e nessuna analogia possono essere stabiliti. Eppure trovo che il delitto di stupro compiuto dai soldati di una forza internazionale di pace inviata per difendere, proteggere ed aiutare proprio quella parte della popolazione, donne e bambini, che è inerme ed esposta alle violenze della guerra sia ancora più grave.
Non si tratta di cedere a pulsioni ideologiche, come dice l'onorevole Orlando, e non è neppure - come ha

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affermato l'onorevole Pisanu - che le ministre Livia Turco ed Anna Finocchiaro Fidelbo siano cadute in intemperanze, né - come ha sostenuto l'onorevole Giovanardi - che si siano usate queste argomentazioni per oblique finalità politiche o per smantellare l'esercito od alcuni suoi reparti. Non si può più accettare come normale una cultura, un atteggiamento mentale che erge una malintesa virilità a modello positivo; una cultura per la quale disporre a proprio piacimento del corpo di donne - in particolare se si tratta di donne appartenenti ad altre razze, culture o religioni - ed usarlo anche nella maniera più degradante ed umiliante sia segno di distinzione, di affermazione della propria identità di maschio bianco dominatore; anzi sia una sorta di rito che sancisce la propria superiorità di uomo e di bianco. Atteggiamenti «machisti» e razzisti non solo perdurano, ma hanno anche trovato ulteriore alimento in modelli importati anche da altri paesi, e vanno pertanto combattuti.
In un'epoca nella quale la funzione degli eserciti diventa sempre più quella di intervenire in tutte le aree di crisi del mondo con missioni di pace, è determinante diffondere una cultura del rispetto di chi è diverso, a cominciare dal diverso più prossimo, le donne.
Ho accolto con grande piacere l'autocritica pronunciata dalla ministra Livia Turco a proposito dell'ingresso delle donne nell'esercito, per il quale il nostro gruppo si sta impegnando in maniera molto decisa. Non credo che di per sé l'ingresso delle donne nell'esercito possa rappresentare una panacea e sia portatore di una cultura, di una concezione diversa, ma l'istituzione rigidamente monosessuale dell'esercito non potrà sicuramente che trarre vantaggio dalla presenza delle donne: più rispetto e più tolleranza, più umanizzazione. Umanizzazione, onorevole Pisanu (mi dispiace che non sia presente), significa non ritenere lo stupro una delle normali, banali occorrenze che possono accadere a soldati impegnati in azioni militari. Questo non deve mai più accadere.
Vorrei svolgere un'ultima considerazione. Ho sentito molti rappresentanti dell'opposizione criticare il Governo perché non avrebbe sufficientemente difeso l'onore del nostro esercito. Non si difende l'onore delle nostre istituzioni, a cominciare da quella militare, minimizzando, sopendo, insabbiando. L'onore si difende innanzitutto accertando la verità e poi estirpando ogni seme di violenza, di prevaricazione; in tal modo si costruisce un esercito a misura di interessi nazionali, che si devono affermare in un mondo sempre più interdipendente e bisognoso di pace e sviluppo per tutti (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Gnaga.

SIMONE GNAGA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, vorrei ricollegarmi a quello che ha già anticipato il collega Lembo in merito all'esigenza di avere una forza militare al di fuori dei confini. Non è da molti anni che l'Italia vive un'esperienza del genere. I nostri militari hanno fatto parte dei contingenti militari di pace e di forze di peace keeping; abbiamo quindi l'esigenza di inviare truppe, forze militari in zone ad alto rischio. Se non vi fosse tale esigenza, potremmo inviare tranquillamente i volontari della Caritas o della Croce rossa, che peraltro sono già presenti. Nelle zone ad alto rischio, dunque, sono presenti forze militari che hanno una certa volontà politica.
Non le nascondo, signor ministro, che in questo momento sono abbastanza emozionato perché, come ho già detto la settimana scorsa intervenendo nel dibattito sull'Albania, sono - e lo dico con fierezza - un paracadutista della «Folgore» ed ho fatto parte di un contingente militare di pace. Ho passato otto mesi della mia vita in Libano nel primo battaglione «Tuscania» e sono fiero di aver fatto parte di quel battaglione! Trovo vergognoso, semmai, non che il Governo non abbia subito respinto determinate


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affermazioni, ma che non abbia tutelato il buon nome di questo reparto della «Folgore». Non si può, come ha fatto il sottosegretario Brutti, affermare che la polizia non è stata sciolta quando sono stati arrestati i fratelli Salvi! Ferma restando la chiarezza che deve essere fatta sulla situazione e la gravità dei fatti qualora risultassero veri, non possono essere paragonati ai fratelli Salvi dei militari che hanno rischiato la vita per una missione di pace! Non si doveva rispondere in questo modo da parte del sottosegretario!
Per quanto riguarda le affermazioni che ho sentito da parte di alcuni esponenti della maggioranza, non c'è niente di male se il Governo prende le distanze da affermazioni del tutto demagogiche, figlie del 1968, che ho sentito ripetere anche oggi e che sono tutt'altro che inerenti alla situazione in Somalia. Ho condiviso solo alcuni passaggi in cui si domandava il motivo per il quale le denunce non siano state fatte quattro anni fa. Mi chiedo inoltre perché persone che qui parlano in modo estremamente competente (ho sentito parlare di nonnismo, di solidarietà nei confronti delle donne, tutti argomenti certamente condivisibili, ma che non c'entrano niente con l'argomento in discussione) (Commenti del deputato Valpiana)... Siete sicuramente più responsabili di noi di fronte ai militari, perché noi siamo contrari alla missione in Albania! Vi sono militari della «Folgore» che in questo momento si trovano in una zona ad alto rischio e voglio vedere come reagiranno! Oltretutto, in base al trattato di Petersberg, sappiamo benissimo che i militari non possono rispondere né disarmare i civili.
Inoltre in Somalia non era presente solo la «Folgore»: questo lo preciso soprattutto a chi non fosse informato, ai colleghi che intervengono dicendo cose da ignoranti, da gente che non ha nemmeno prestato il servizio militare e che comunque non sa cosa voglia dire vivere per mesi e mesi facendo dodici o quattordici ore di servizio; comunque, è risaputo, si tratta per la maggior parte di volontari, che prestano la loro opera volentieri, con onore ed orgoglio. Pertanto non è giusto ascoltare affermazioni di esponenti politici, che ho sentito qui ma che soprattutto ho letto sui giornali, secondo i quali (non l'ho certo detto io, né l'onorevole Mantovani, bensì l'onorevole Bertinotti o il senatore Manconi) bisogna sciogliere la «Folgore»: si tratta di affermazioni irresponsabili, che non sono frutto di una razionale dialettica, ferme restando le accuse mosse, nel caso in cui le denunce fossero valutate come veritiere. È quindi necessario fare chiarezza, cosa che avrebbe dovuto avvenire quattro anni fa, quando emersero le prime voci.
È assolutamente vergognoso che esponenti politici di grande prestigio nazionale abbiano subito chiesto di sciogliere la «Folgore»: mi spiegate come possano i nostri militari presenti in quei territori essere sereni quando svolgono operazioni di quel genere? Ci troviamo infatti in presenza di una sentenza già passata in giudicato, non soltanto di fronte all'opinione pubblica, ma anche di fronte a quelli che dovranno essere i capri espiatori, perché di questo si tratta, di trovare dei responsabili! E non saranno il ministro della difesa dell'epoca né i rappresentanti politici che assunsero la decisione di inviare le truppe: saranno certamente il maresciallo od altri. Giustamente vi è anche una responsabilità personale in determinati atti, però prima bisogna accertare come siano andate le cose.
Senza voler cercare giustificazioni, voglio sottolineare che è necessario far riferimento alla situazione in cui un militare si trova in determinate condizioni: nulla giustifica quello che è avvenuto, ma tutto deve essere vagliato nei minimi particolari, senza forme di isterismo da una parte o dall'altra, bensì con senso di responsabilità e non procedendo con affermazioni demagogiche figlie del 1968, né con affermazioni di segno opposto, volte a garantire ad ogni costo la tutela e l'onore dell'esercito. L'onore dell'esercito e della «Folgore», signor ministro, si tiene alto da solo; con i suoi atteggiamenti la «Folgore» lo ha sempre tenuto alto, con

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grande senso di responsabilità, a partire dalla missione di pace in Libano fino a quella in Somalia, rispetto al ruolo dei militari che andarono in compartecipazione per la missione in Iraq.
La «Folgore» è stata in Curdistan; oggi è in Cambogia con parte del I battaglione «Tuscania», inquadrato nelle truppe ONU. La «Folgore» è presente, è specializzata. Ho sentito parlare di «istruzione nazional-fascista» all'interno della «Folgore», ma ci siete stati, all'interno della «Folgore»? Anziché stare dietro ai luoghi comuni, sapete qual è l'istruzione militare che si impartisce? Certo è un'istruzione rigida, che prevede una rigida disciplina, non vi è dubbio, ma quando quei soldati sono stati chiamati a compiere il loro dovere, sono state compiute azioni assolutamente in regola e soprattutto efficienti. In questo momento, queste stesse truppe, compresa la «Folgore» sono presenti in Albania. La lega nord è contraria alla missione in Albania; pur con tutto ciò occorre senso di responsabilità nel fare certe affermazioni; pur con tutto ciò occorre far sì che i nostri militari non siano facile preda non soltanto dell'opinione pubblica interna, ma di quella albanese, che si trova a contatto con i nostri mass media ed organi di stampa, che quindi possono vedere. Potrebbero esservi gruppi, come in Somalia, dove non vi erano fazioni vere e proprie con un senso di gerarchia ed una responsabilità immediata; si era di fronte a fazioni nell'ambito della quali, pur facendo riferimento a capi tribù, era molto difficile riuscire a trovare il responsabile di determinate azioni. In quella situazione sono stati uccisi nostri militari dopo cinque giorni dal loro arrivo. Due militari sono stati uccisi mentre facevano footing, non mentre imbracciavano le armi! Non voglio entrare in un discorso di carattere politico e parlare della sovranità di un paese, ma spesso davanti a loro queste persone usavano come scudo, con un comportamento ancora più vigliacco, donne e bambini. Non è la prima volta, purtroppo, che succede che la situazione trasformi degli uomini in animali. Spero non si tratti di questo, spero che queste cose non siano vere, ma sulla vicenda è giusto che venga fatta chiarezza, senza però emettere prima sentenze, come l'opinione pubblica ha già fatto. È giusto che venga fatta chiarezza, il Governo deve fare chiarezza, ma invito il Governo - mi rivolgo anche al sottosegretario Brutti che prima non c'era - a moderare la questione ed a non paragonare la vicenda dei fratelli Salvi, appartenenti alla polizia, con quella dei soldati inviati in missione in Somalia. Si tratta di due fatti completamente diversi. Da un lato abbiamo animali violenti, dall'altro persone che, nella loro condizione di soldati che hanno rischiato la propria vita, fino a prova contraria, è giusto siano garantite, soprattutto da questo Governo.
Signor Presidente, signor ministro, concludo dicendo di essere fiero di aver fatto parte di un corpo come la «Folgore» (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Passiamo alle repliche degli interroganti.
Ha facoltà di replicare l'onorevole Pittella.

GIOVANNI PITTELLA. Onorevole Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, come ha detto bene poco fa l'onorevole Francesca Izzo la risposta che questa mattina ci ha dato il Governo e le azioni decise nei giorni scorsi si iscrivono nel novero delle risposte di chiarezza e di rigore che fanno onore ad un paese civile e ad una comunità che sa unire allo sgomento ed alla vergogna per le nefandezze compiute da pochi la consapevolezza che la parte sana dei nostri militari, come la parte sana del paese, rigetta ogni indulgenza ed esige comportamenti esemplari.
Quella che si è consumata è una pagina di abusi, di sevizie, di torture, di omicidi e perfino di violenze sessuali agghiaccianti, che hanno impresso una macchia di disonore al patrimonio di civiltà che ci siamo conquistati durante le molteplici missioni nel mondo e che


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stiamo testimoniando nella stessa delicata e nevralgica missione in Albania. Una pagina che non può essere chiusa frettolosamente e meno che mai superficialmente. Ho letto giustificazioni che farebbero ridere se non subentrasse immediatamente la consapevolezza della gravità dell'accaduto; ho letto sottovalutazioni che lasciano di sasso: «scherzi da bar», «teste calde», «patologie da tipo di stadio»; ho ascoltato anche questa mattina ragionamenti contorti, protesi a dire: di che vi meravigliate? Così va il mondo!
Né vale a tranquillizzare la propria coscienza il pensare all'efferatezza di altri; non c'è «mal comune, mezzo gaudio» quando sono calpestati i diritti umani. Né, mi si consentirà, vale il rilievo, pur legittimo, di un ritardo imperdonabile nella denuncia; ciò che conta è la realtà effettuale: quella esiste, purtroppo, e svelarla subito o dopo non attenua il disvalore della medesima.
Oggi il Governo ci ha fornito le informazioni che avevamo chiesto ed ha già testimoniato con atti concreti l'impegno a colpire chi si è reso protagonista di azioni inqualificabili. Di questo siamo grati al Governo ed attendiamo, con fiducia e rispetto, i risultati delle indagini della magistratura. Ritengo però che la vicenda, nella sua orribile nefandezza, debba servire per lanciare un messaggio alto e forte a tutti gli uomini dei nostri corpi militari, un messaggio di fiducia, un messaggio di rifiuto di ogni accusa generica, di ogni demonizzazione, certo, ma anche richiamare solennemente che non esiste un confine oltrepassabile tra il rispetto della dignità di ogni uomo - avversario, nemico, ostaggio o prigioniero che sia - e il compimento di azioni aggressive e lesive, fisicamente e moralmente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Ruffino.

ELVIO RUFFINO. Signor Presidente, numerosi colleghi del mio gruppo sono già intervenuti e quindi non ho considerazioni sostanzialmente nuove da aggiungere. Anch'io mi dichiaro soddisfatto delle risposte del Governo e soddisfatto del modo in cui il nostro paese ha reagito, con un sussulto morale, con il rifiuto di quello che era successo. Oggi sta subentrando l'esigenza di una più attenta e specifica ricerca della verità, di un dimensionamento di quello che è avvenuto, sta emergendo la volontà di andare a fondo per conoscere le responsabilità singole e le possibili concause di carattere generale.
Ci stiamo dimostrando come un paese sano e credo che il modo in cui il Governo ha agito dia una garanzia sia al paese sia alle Forze armate, che vanno tutelate, ma all'interno della loro capacità di rispondere alla pubblica opinione, sia all'opinione pubblica internazionale che, anche considerando il nostro impegno all'estero, ha bisogno di questo tipo di garanzie.
Non ci faremo trascinare ad esprimere conclusioni prima degli approfondimenti. Non vogliamo emettere sentenze sulla «Folgore» o sulle Forze armate. Vogliamo sapere esattamente cosa sia successo. Sappiamo che le nostre Forze armate hanno dato prove positive e che la «Folgore» è essenziale per la nostra funzione all'estero. Sappiamo quale sia stato il nostro ruolo in Somalia e, nelle sue linee generali, l'abbiamo apprezzato. Oggi sono emersi questi episodi sui quali vogliamo si vada a fondo per sapere tutta la verità.
Non siamo d'accordo con l'iniziativa annunciata dal generale Ramponi, ex senatore di alleanza nazionale, di formare un comitato per la difesa delle Forze armate. Quel comitato già esiste: è composto dai cinque membri della commissione di inchiesta governativa, e dai due magistrati, uno civile e uno militare, che stanno indagando. Quello è il comitato che potrà indicare le responsabilità, colpire i colpevoli, ridare l'onorevole alle Forze armate.

CARLO GIOVANARDI. Che c'entra la commissione di inchiesta governativa?

PRESIDENTE. Onorevole Ruffino, la prego di non raccogliere le interruzioni dell'onorevole Giovanardi.


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ELVIO RUFFINO. È quasi impossibile, però.
Le destre avrebbero voluto forse una commissione di soli militari, di soli addetti ai lavori, ma ciò sarebbe stato, credetemi, un errore grave. Quella commissione sarebbe stata sospetta nelle sue conclusioni, diciamolo; come sono sospette le prime frettolose conclusioni del generale Vannucchi. Troppo grave è l'accusa perché non sia sollecitato un accertamento al di fuori dei normali canali dell'amministrazione, al di fuori del giro dei competenti: che ci sia anche una verifica, come dire, morale, un approfondimento di carattere etico-morale all'interno di questa verifica, che dovrà essere naturalmente specifica, come è stato detto.
Per quanto riguarda l'ipotesi di una Commissione parlamentare, credo che, come è stato sostenuto da Spini, essa non sia da escludersi, ma avrebbe tempi e modi sicuramente non idonei alla situazione. Eventualmente, se si porrà tale questione, la potremo verificare più avanti. Un'indagine conoscitiva mi pare del tutto irrilevante nella situazione attuale. Quindi, potremo sempre tornare sulla questione, ma in questo momento mi pare che il modo in cui ci si sta attrezzando sia quello che può dare più garanzie di interventi immediati rassicurativi per tutti noi.
Infine, un ultimo elemento. Paissan ha detto che la professionalizzazione delle Forze armate farebbe sì che queste cose si possano riprodurre o comunque non vengano alla luce. Ricordiamoci che sarebbe costituita da volontari a ferma breve la componente più numerosa di professionisti. Non pensiamo a professionisti a vita per le Forze armate del futuro, ma ad allargare il numero dei professionisti nel nuovo modello di difesa e poi, eventualmente, andando avanti verso lidi più lontani, a Forze armate con una base di militari a ferma breve, di tre o cinque anni. Quindi, Forze armate comunque molto legate alla società, alla nostra democrazia ed in grado di avere quella capacità di rapporto positivo con il paese che peraltro noi pensiamo le Forze armate abbiano già in questo momento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Veltri.

ELIO VELTRI. Signor Presidente e signor ministro, tutti abbiamo avvertito un'emozione profonda, un'indignazione e uno sgomento di fronte ai racconti e alle foto che abbiamo visto. Quindi, non si può minimizzare, ma neanche generalizzare giudizi superficiali prima che siano accertati i fatti. Io la prego di trasmettere un messaggio ai membri delle due commissioni, quella presieduta dal generale Vannucchi e quella presieduta da Ettore Gallo: che osservino un doveroso silenzio prima di aver concluso i loro lavori, altrimenti c'è il rischio che il loro lavoro venga inficiato, si presti a polemiche.
Nella mia interrogazione chiedevo un intervento cautelare a carico dei comandanti. Esso è venuto con le dimissioni degli stessi, che erano un atto dovuto, a mio parere. Poi, richiamavo il precedente di Epoca: i comportamenti allora denunciati furono definiti dallo stato maggiore un eccesso di zelo. Forse, se si fosse fatta un'indagine approfondita allora, oggi non ci troveremmo in queste condizioni.
Abbiamo bisogno innanzitutto di un'inchiesta rapida, che accerti la verità dei fatti denunciati e soprattutto l'estensione del fenomeno, la responsabilità dei comandanti e dei soldati. Poi, una volta accertata la gravità dei fatti, c'è bisogno che le punizioni - come ha sollecitato lo stesso ex comandante dello stato maggiore dell'esercito, Canino - siano esemplari.
Da questo punto di vista, la commissione presieduta da Ettore Gallo mi tranquillizza e spero che le conclusioni non siano contraddittorie con quelle cui perverrà la commissione presieduta dal generale Vannucchi, altrimenti il lavoro del Parlamento e del Governo non sarebbe facilitato.
È necessario inoltre, signor ministro, chiarire la cultura delle missioni di pace. Molti ragazzi nostri soldati hanno detto che erano in guerra. No, quando si


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compiono missioni di pace, non si è in guerra! Quindi, è necessario che i nostri ragazzi conoscano il diritto internazionale, che è improntato a principi umanitari e di solidarietà e che quindi cambi la cultura, che spesso non è mutata affatto, all'interno di alcuni corpi. Sono rimasto molto impressionato perché di fronte a questa domanda: «Scusate, i comandanti tolleravano?», i ragazzi hanno risposto: «I comandanti non solo tolleravano ma ci incitavano, in qualche momento». Ciò deve preoccuparci grandemente.
Infine voglio dire che le decisioni rapide ed esemplari sono necessarie anche per altre ragioni. Primo, noi ci troviamo in Albania e quindi i nostri soldati, che sono esposti al giudizio dell'Europa e del mondo, devono essere certi di avere con loro non solo il Parlamento ma tutto il paese. Secondo, in Somalia noi svolgiamo una mediazione politica che deve iniziare; abbiamo quindi bisogno di tranquillità e di essere credibili. Ma in Somalia noi dobbiamo evitare i tribunali islamici, che potrebbero avere appunto la tentazione di sostituirsi alle nostre autorità: il che sarebbe gravido di conseguenze.
Mi auguro che in questo Parlamento non ci si divida; bisogna evitare le contrapposizioni tra chi con molta superficialità chiede lo scioglimento della «Folgore» e chi potrebbe essere tentato, anche di fronte all'accertamento di fatti gravi , di difendere tutto e tutti. Questo, signor ministro, non sarebbe utile né al paese né alle nostre Forze armate le quali, quando hanno agito in missioni di pace e si sono fatte onore, hanno avuto la consapevolezza tangibile che il paese è stato insieme a loro e le ha sostenute e credo che ciò avverrà ancora.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Rizzi.

CESARE RIZZI. Signor Presidente, signor ministro, di solito per un'interrogazione si dice se si è soddisfatti o meno della risposta. Io veramente non saprei cosa dire, perché alla mia interrogazione non è stata data alcuna risposta.
Ho un forte dubbio, perché se non ci fosse stato un certo Michele Patruno a denunciare i fatti... Si legge: «Le torture consistevano prima nel privarli di acqua e con prigionieri legati; poi libero sfogo alla fantasia dei militari». Alla domanda: «Perché non ha parlato prima?» il Patruno risponde: «Perché avevo paura delle conseguenze»; all'altra domanda se il generale Bruno Loi sapesse, il Patruno risponde: «Girava molto in tutti i campi». Come a dire che non poteva non sapere.
Mi meraviglia anche il fatto che il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio, in interviste televisive, si siano indignati, scandalizzati, nauseati di quanto è accaduto in Somalia.
C'è allora da chiedersi se sapessero o non sapessero. Se non sapevano, questo è molto grave, anzi gravissimo. Quando infatti dei militari, dei generali sono a conoscenza di fatti ed un Capo dello Stato e un Presidente del Consiglio non ne sanno niente, c'è da immaginarsi in mano a chi sia il paese. C'è da aver paura in questo momento!
L'allora capo di stato maggiore della difesa Corcione ha addirittura detto di escludere qualsiasi forma di maltrattamento dei nostri soldati nei confronti dei somali. Ma allora, signori miei, cerchiamo di capirci! Quella che stiamo recitando è una commedia oppure si tratta di fatti realmente accaduti?
Ho già detto prima che il ministro non ha dato alcuna risposta alla mia interrogazione. C'è però una cosa che mi interessa sapere dal ministro. Ebbene, vorrei sapere dal ministro se si possa escludere una relazione tra i fatti testimoniati dal Patruno e l'agguato alla giornalista Ilaria Alpi ed a Miran Hrovatin, che potrebbe configurarsi come una rappresaglia somala in relazione al comportamento efferato dei militari italiani, o se non si debba pensare ad una relazione tra i fatti sopra descritti, visto che la attività condotta dalla citata giornalista avrebbe potuto portarla a conoscenza dei fatti.
Signor ministro, c'è da chiedersi inoltre se i fatti in questione siano reali, ma penso non vi siano dubbi al riguardo,


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perché disponiamo di materiale fotografico in abbondanza. Non penso infatti che le fotografie siano state scattate, come qualche deficiente - così lo definisco - sostiene, soltanto per gioco. Non si può dire che si sia solo giocato, che siano fatti dei piccoli giochetti. Non credo che fotografie del genere siano state scattate nel giardino di casa con il «nero» della situazione, parliamoci chiaro, signor ministro.
Pertanto i fatti ci sono, visto che anche il Capo dello Stato manifesta un forte disagio per quanto è accaduto. La lega nord chiede solo chiarezza di fronte all'opinione pubblica. Se questi fatti sono reali, come io penso, considerato che veniamo interpellati al riguardo ed anche a me sono state rivolte delle domande a tale proposito dalla gente della strada, dai nostri elettori, dai militanti, come politico devo concludere dicendo che mi vergogno di essere un deputato di questa Repubblica italiana (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Pezzoni.

MARCO PEZZONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono già intervenuti su questa drammatica, importante e delicata questione molti miei colleghi ed io condivido le cose che in quest'aula hanno detto questa mattina gli onorevoli Spini, Francesca Izzo, Pittella, Ruffino e Veltri.
Il ministro Andreatta ha detto che la questione principale, che noi condividiamo come gruppo della sinistra democratica, è rappresentata dalla ricerca della verità senza coperture. Diamo quindi atto al Governo di essere intervenuto con grande tempestività e senso di responsabilità.
Desidero però soffermarmi su un'altra questione che il ministro ha trattato nella parte conclusiva del suo interessante intervento, quella culturale, relativa alla formazione, alla capacità o meno delle nostre Forze armate di affrontare la sfida rappresentata dalla realizzazione delle missioni di pace a livello internazionale. Infatti, il modo migliore di difendere l'onore dell'esercito e di dimostrare una reale fiducia nei confronti dell'esercito italiano non è quello che ho avvertito questa mattina in tanti discorsi di minimizzare stupri, torture e violenze, come se facessero inevitabilmente parte della logica militare, ma al contrario è quello di scommettere e di avere fiducia nelle nostre Forze armate. Perché un conto è - mi rivolgo soprattutto al collega Pisanu - la logica della forza legittima, basate sulle regole dell'esercito, sulle regole militari cui ci si deve attenere nel corso di una missione, altra cosa è la trasgressione di tali regole.
Stupri, torture e violenze, di cui poi verificheremo la gravità, non debbono appartenere ad un esercito moderno, efficiente, che ha interiorizzato il senso della disciplina. A maggior ragione vanno messe in discussione la nostra presenza nella Nato, le missioni internazionali in Libano e in Somalia, oltre a quelle in Albania e in Bosnia, per le quali chiediamo l'accertamento della verità. Nello stesso tempo chiediamo ai vertici dell'esercito italiano di non chiudersi a riccio, di non ascoltare amici troppo interessati perché, se l'esercito è parte della società civile - come io credo - esso deve confrontarsi con tutta la società civile e con il Parlamento, cercando di introdurre al proprio interno elementi nuovi di garanzia. Infatti si stanno modificando la natura e la funzione dell'esercito dei paesi occidentali avanzati e soprattutto di quelli più attenti ai principi del diritto internazionale.
Se in passato la regressione, la deviazione, il culto iniziatico della profanazione del corpo dell'altro, del diverso, il «machismo» ed il nonnismo (a cui ha fatto riferimento il ministro Andreatta) erano funzionali ad elaborare logiche di violenza - quella che Edgar Morin ha chiamato «l'età del ferro dell'umanità» - che ci si può fare? È inevitabile. Oggi un corpo di pace deve poter elaborare prima altre logiche, altre motivazioni; al proprio interno deve mantenere una cultura dei


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diritti umani e del diritto internazionale. Siamo convinti che un esercito moderno debba avere questo tipo di sensibilità.
Ecco le nuove garanzie che chiediamo per l'esercito italiano, un esercito che si prepara ad essere sempre di più un esercito internazionale, un futuro corpo di pace europeo (penso anche alla convenzione che lo Stato italiano firmerà con l'ONU per mettere a disposizione forze di intervento umanitario al servizio del diritto internazionale). Un esercito siffatto non può delegare garanzie solo all'esterno; non basta un Governo progressista o illuminato, con una cornice istituzionale più democratica, ma occorre strutturare l'innovazione all'interno dell'esercito stesso. È questo l'obiettivo al quale dobbiamo puntare. Perché allora non pensare (mi rivolgo ai massimi responsabili militari) a predisporre una sezione interna all'esercito, formata da ufficiali di collegamento con professionisti della società civile, per la formazione delle relazioni ambientali e la tutela dei diritti umani? Forse si dovrebbe creare un ufficio di assistenza permanente all'estero che curi i rapporti tra le nostre Forze armate e la società civile in cui esse operano, avvalendosi di psicologi e di esperti sociali. Pensiamo ad un esercito che si apra a componenti della società civile pur mantenendo il principio della responsabilità gerarchica, ad un esercito più moderno che incorpori questa innovazione e sia in grado di compiere le missioni di pace in ottemperanza al diritto internazionale e nel pieno rispetto dei diritti umani.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Crema.

GIOVANNI CREMA. Signor Presidente, signor ministro, mi sembra che correttamente il Governo abbia intrapreso in modo tempestivo le iniziative necessarie. Noi dobbiamo accertare la verità dei fatti, fare luce se siano state commesse atrocità nel corso della missione umanitaria in Somalia di quattro anni fa ad opera di appartenenti a reparti italiani, insieme a contingenti di altri paesi, episodi che sembra fossero già noti da tempo e che erano stati liquidati con eccesso di zelo da parte dello stato maggiore.
Bisogna far luce sulle responsabilità a tutti i livelli, di ogni ordine e grado.
Ma che dire delle affermazioni di Michele Patruno, ex caporal maggiore dei parà? Egli si è così espresso testualmente: «Non è vero che per quattro anni io abbia ritenuto di non denunciare, perché già nel novembre del 1993 i giornali avevano la notizia, ma non l'hanno voluta pubblicare». Che dire, se non accomunare chi non ha informato l'opinione pubblica alla stessa vergogna che tocca i violentatori!
Ciò che invece non dobbiamo fare è trarre giudizi nei confronti delle Forze armate o di singoli reparti, con motivazioni ideologiche o con vecchie versioni e solidarietà (penso alle posizioni espresse dall'estrema destra e dall'estrema sinistra in quest'aula nei confronti della brigata «Folgore»). Va invece salvaguardata l'istituzione Forze armate ed il personale che lealmente le serve, in primo luogo condannando e isolando gli irresponsabili comportamenti di coloro che, disonorando prima di tutto sé stessi, vengono meno al giuramento di fedeltà alla Costituzione repubblicana. Tutto va fatto con grande senso di responsabilità e discrezione; mentre alcuni, chiamati a svolgere alte responsabilità in questa vicenda, vivono e consumano il tutto con il clamore dei tempi, volendo apparire, dichiarare e fare a tutti i costi notizia! Il Governo li richiami al servizio del paese, al senso di responsabilità e al senso della misura. Beata riservatezza, beata cultura antica e oggi trascurata di chi ha servito il paese e le istituzioni come i nostri padri!
Per il nostro impegno militare in Albania e le altre missioni di pace, il paese e l'opinione pubblica (anche quella internazionale) hanno bisogno di una celere operazione di verità: occorre far presto luce su quanto è avvenuto e senza condizionamenti di sorta, senza alcuna ragion di Stato!
Signor ministro, i deputati socialisti che rappresento ritengono opportuno, contemporaneamente all'accertamento della veridicità


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degli episodi denunciati - e, se accertati, alla conseguente azione penale -, porre in essere una indagine approfondita sulla preparazione e le attitudini non solo militari che i nostri contingenti dovrebbero avere, onde rafforzare quei principi di rispetto dei diritti umani che ogni singolo individuo dovrebbe possedere e che acquistano tanto più valore in circostanze che mettono a rischio la vita stessa di chi deve praticarli.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Danieli.

FRANCO DANIELI. Signor ministro, non esprimo soddisfazione in questa sede perché, come lei ha giustamente affermato, soddisfazione o meno potrà essere espressa all'esito dell'attività di indagine e di accertamento delle due commissioni. Esprimo però apprezzamento per il momento scelto dal Governo per la sua azione e soprattutto per la sua iniziativa, quando ha ritenuto di istituire una commissione (presieduta dal professor Gallo) in grado di fugare anche i dubbi che potevano essere comunque persistenti nel caso in cui vi fosse stata semplicemente un'attività di indagine in sede amministrativa. Esprimo quindi una valutazione positiva rispetto alla metodologia che il Governo ha ritenuto di dover adottare in questa vicenda. Una convinzione, però, me la sono fatta su un punto di questa vicenda, che potrebbe sembrare non dico ultroneo ma marginale; più che una convinzione è una conferma ed una valutazione che avevo già maturato: quella della assoluta inutilità dei tribunali militari!
Mi auguro che il Presidente della Camera e i presidenti dei gruppi parlamentari vogliano finalmente prevedere all'ordine del giorno l'inizio dell'esame legislativo delle diverse proposte di legge presentate da diversi gruppi (e tutte finalizzate all'abolizione dei tribunali militari), affinché possano essere discusse. È una convinzione che ho ulteriormente maturato anche in relazione a questa vicenda perché, se ci fosse stata un'autorità giudiziaria realmente dotata di strumentazioni, di volontà, di capacità di indagine, così come ne è dotata la magistratura ordinaria, verosimilmente di questi fatti saremmo venuti a conoscenza in tutti i loro aspetti, anche quelli minori, già da diversi anni.
Nel 1993 non solo Epoca, ma anche Sette ed Avvenimenti pubblicarono notizie, fotografie, servizi, fornendo anche informazioni su fatti specifici, comunque su un clima che da più parti veniva denunciato in relazione a quella missione. Male fece il tribunale militare a chiudere quella vicenda celermente, in maniera molto affrettata, senza i necessari approfondimenti: di qui la certezza che ho maturato dell'inutilità storica dei tribunali militari. Mi auguro che la Camera voglia affrontare questo tema, giungendo ad approvare una normativa volta al superamento di questa struttura sicuramente ormai antistorica.
Mi consenta poi, signor ministro, di riprendere una valutazione svolta dal collega Pezzoni, peraltro indicata anche nella mia interrogazione. Proprio nell'interrogazione che ho sottoscritto insieme ai colleghi Piscitello e Scozzari abbiamo scritto che «i maggiori stanziamenti concessi al settore militare devono servire anche per una professionalizzazione dei soldati, che devono essere educati innanzitutto come uomini, come persone consapevoli che conoscono la storia, le tradizioni, le difficoltà e il contesto del paese nel quale vengono inviati in missione». Credo che questa professionalizzazione sia ancora scarsa; non dico che non ci sia, però sicuramente non è organica, non è strutturata sul lungo periodo e rischia pertanto di essere saltuaria, fornita semplicemente nell'imminenza delle iniziative. Al riguardo il collega Pezzoni poco fa ha avanzato una proposta, che condivido, relativa ad una integrazione tra soggetti, organizzazioni della società civile e contingenti che operano all'estero in missioni di pace. Ciò configurerebbe un'utile sinergia, un'utile commistione ed anche un utile antidoto a degenerazioni, o sviamento dalla finalità istituzionale, che potrebbero comunque sempre manifestarsi in queste occasioni.


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Concludo augurandomi - come lei, signor ministro, ha puntualmente espresso - che su queste vicende venga scoperta finalmente la verità, senza alcuna reticenza, senza alcuna copertura, senza alcun dubbio; che si proceda in maniera rapida, molto netta, e che le commissioni possano lavorare anche integrando gli atti ed i documenti che si accingono ad esaminare per evitare che ci siano valutazioni divergenti. Sarebbe peraltro utile che il Governo esprimesse anche una valutazione rispetto all'utilizzazione degli esiti delle due commissioni, affinché, qualora risultassero corrispondenti al vero - e secondo me purtroppo gran parte di verità vi è, stando alla documentazione che sembra essere oggettiva - questi episodi non abbiano a ripetersi e i colpevoli siano puniti, secondo il principio che la responsabilità penale è personale, andando però anche ad indagare se qualche contesto deviato possa aver favorito queste degenerazioni dei singoli.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Sbarbati.

LUCIANA SBARBATI. Signor ministro, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, siamo abbastanza soddisfatti della risposta fornita in quest'aula ed anche del comportamento attento e tempestivo che il Governo ha dimostrato in questa delicatissima vicenda. Una vicenda per la quale, signor Presidente, sento aleggiare da questa mattina una grande ipocrisia: l'ipocrisia di chi strumentalizza e pone l'esercito in una condizione difficile sotto il profilo psicologico, politico e culturale, in un momento delicato in cui l'esercito stesso è impegnato, con un contingente importante, nella missione di pace in Albania. Vi è poi un'ipocrisia ancor più subdola che aleggia un po' in tutti noi, per cui pensiamo che andare in una missione di pace significhi essere totalmente fuori dalla guerra o da quella che potrei definire una sorta di violenza ambientale che comunque infetta chiunque si rechi, anche in missione di pace, in un territorio in cui la guerra generale o civile è innescata. Ciò, tuttavia, non giustifica alcuno né può giustificare atti di tale barbarie e di inaudita ferocia come quelli che sono sotto i nostri occhi, sotto gli occhi di tutti, e sui quali va fatta assoluta chiarezza. Lo richiede il paese, ma ancor più quell'esercito la cui dignità in questa sede molti hanno voluto giustamente valorizzare e difendere.
Proprio per questo, signor ministro, ritengo che la commissione nominata dal Governo, importantissima e composta di persone di grande levatura morale e civile, debba avere poteri forti o quantomeno che quelli conferitile vengano effettivamente e definitivamente chiariti; a meno che non vi sia un atteggiamento di ambiguità che questo Governo non potrebbe assolutamente permettersi né potrebbe essere sopportato dal nostro paese. Lo dico perché lo stesso Gallo, chiamato a presiedere questa commissione, ha sollevato qualche dubbio e ha praticamente detto che occorrerà chiarire se, per esempio, i poteri attribuiti alla commissione siano coercitivi per quanto riguarda le comunicazioni e le convocazioni. Infatti questa commissione non può essere di rilievo minore rispetto ad una eventuale Commissione di inchiesta parlamentare.
Per questo motivo, se i poteri verranno definiti in maniera più precisa, nel senso che ho indicato, noi appoggeremo interamente l'azione del Governo. Tuttavia, temendo che ciò non avvenga, il partito repubblicano, attraverso i suoi rappresentanti, ha presentato una proposta per l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta che abbia gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria, giacché a tale Commissione di inchiesta - come tutti sappiamo - non è opponibile, per esempio, il segreto d'ufficio. Inoltre, tale organo avrebbe la facoltà di richiedere tutti gli atti, dei quali è possibile entrare in possesso, per far luce definitivamente su una vicenda tanto sciagurata che certamente non fa onore al popolo italiano e per la quale noi dobbiamo le scuse ai somali colpiti, donne, bambini e uomini.
Voglio poi ricordare all'onorevole Pisanu che anch'egli probabilmente ha una


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madre ed una moglie e che quindi non può permettersi di affermare ciò che ha detto in quest'aula: le due ministre debbono stare zitte. Si vergogni, invece, di aver fatto tale affermazione, anche perché credo che le due ministre, al pari degli altri ministri, abbiano senz'altro dignità e diritto di parola; inoltre, non secondariamente, in quanto donne offese profondamente nella loro dignità di esseri umani (appunto, di donne), hanno il sacrosanto diritto e dovere di esprimere la loro profonda indignazione e di chiedere che sia fatta giustizia fino in fondo, perché da sempre la violenza della guerra e la violenza barbara anche al di fuori della guerra - poiché ritengo che, quando uno si macchia di tale tipo di violenza, non ha bisogno della miccia della guerra per scatenarsi nell'intera brutalità della sua essenziale barbarie interiore - colpiscono le donne.
Dunque, bene hanno fatto le due ministre ad avanzare le loro richieste: lo hanno fatto a nome di tutte le donne, di quelle somale ed italiane, di tutte le donne del mondo, che in quanto donne, quindi nella loro fragilità umana e nella loro grandezza, hanno sempre sopportato, insieme ai bambini ed ai più deboli, il carico pesante delle bestialità e degli orrori della violenza e della guerra (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo e di rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Bampo.

PAOLO BAMPO. Presidente, le parole pronunciate dal ministro consentono a me di essere molto rapido ed a lei di chiudere presto la seduta. Dico questo perché sono assolutamente insoddisfatto della risposta che ho ricevuto alla mia interrogazione, in quanto la risposta è del tutto mancata. Non vi è stato alcun riferimento al contenuto dell'atto ispettivo. Mi riservo pertanto di presentare un'interrogazione a risposta scritta ed anticipo in questa sede anche la presentazione di una proposta di legge per l'istituzione di una Commissione di inchiesta. Ho sentito poc'anzi preannunciare un'iniziativa analoga dei deputati repubblicani e ciò non può che farmi piacere.
Debbo condannare un fatto che può forse rientrare nella prassi, ma che io reputo grave. Mi riferisco alla censura, ricevuta dagli uffici della Camera, su una parte del testo della mia interrogazione. Gli uffici, probabilmente, hanno ritenuto di dover tutelare la segretezza dei servizi addirittura togliendo dal testo in questione la stessa parola «servizi», nonché la denominazione SISDE e SISMI.
Non voglio ricorrere, come purtroppo ho sentito fare - e lo sottolineo - da parte di molti colleghi nei rispettivi interventi, ad un uso strumentale di quest'aula come di una palestra per acrobazie dialettiche. Ho ascoltato discussioni su massimi sistemi, sul modello di difesa e su molti altri temi non pertinenti al fatto che la guerra non può giustificare il passaggio dall'essere uomo ad essere animale.
Il dubbio esternato nella mia interrogazione è molto grave e ritenevo che avrebbe portato il ministro a banalizzare per nascondere o, quanto meno, a smentire categoricamente quanto io affermavo. Nelle parole del ministro, invece, non ho trovato alcuna risposta, che avrebbe potuto anche essere negativa. Il mio interrogativo, però, meritava una risposta ed ora credo che quel dubbio possa diventare certezza: Ilaria Alpi potrebbe essere stata uccisa perché sapeva anche di questi fatti?
Voglio rileggere la considerazione contenuta nella mia interrogazione: «Chi uccide, violenta e tortura dimostra una lucida spietatezza che lascia supporre anche qualsiasi altra iniziativa delittuosa per la copertura delle proprie attività». Sono accuse forse non precise, ma che comunque meritavano una considerazione da parte del ministro.
Vengo ad un'ultima riflessione sul grande censore italiano, il quale come Capo supremo delle Forze armate non ha sentito il carico della propria responsabilità sui fatti accaduti, ma si è limitato a minacciare e denunciare. È troppo poco


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per chi è il capo supremo delle Forze armate fingere di non sapere anche perché, se non sapeva, forse è ancora peggio: è una nota di demerito più grave del fatto di sapere e non aver fatto nulla perché le cose andassero per il verso giusto.
Quindi, egli che è un uomo di altri tempi...

PRESIDENTE. Onorevole Bampo, le devo ricordare che per disposizione regolamentare non si possono rivolgere critiche a chi, rivestendo cariche pubbliche, non ha facoltà di replicare. La prego pertanto di attenersi a questa regola di correttezza parlamentare, ribadita anche recentemente.

PAOLO BAMPO. Va bene. Mi adeguo e concludo il mio intervento.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze e delle interrogazioni sui fatti della Somalia all'ordine del giorno.
Sospendo la seduta fino alle 15,30.

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