Allegato A
Seduta 208 del 10/06/1997

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INTERPELLANZE ED INTERROGAZIONI

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A) Interpellanze:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
le norme che regolano il bilinguismo e la toponomastica sul territorio della provincia autonoma di Bolzano confermano in maniera inequivocabile la bilinguità della provincia autonoma di Bolzano, anche in materia di toponomastica;
in particolare, l'accordo di Parigi del 5 settembre 1946 (articolo 1) concede ai cittadini di lingua tedesca l'uso, su di una base di parità, della lingua tedesca e della lingua italiana nelle pubbliche amministrazioni, nei documenti ufficiali, come pure nella nomenclatura topografica bilingue;
inoltre, lo Statuto speciale richiama, tra l'altro, il tema dalla bilinguità della toponomastica in più articoli, disponendo precisamente: all'articolo 8: «Le province hanno potestà di legiferare entro i limiti indicati nel precedente articolo 4 nelle seguenti materie: comma 2), toponomastica, fermo restando l'obbligo della bilinguità»; all'articolo 101: «Nella provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca se la legge provinciale ne abbia accertata l'esistenza ed approvata la dizione». All'articolo 102, inoltre, si dettano norme a tutela delle popolazioni ladine e della loro cultura e toponomastica;
la giunta provinciale di Bolzano ha presentato un disegno di legge in materia di ordinamento della toponomastica provinciale, teso a regolamentare le norme in materia ed il cui testo presenta una palese violazione di quanto previsto dalle norme sopra citate -:
quale valutazione e quali provvedimenti il Governo intenda assumere anche in relazione alle dichiarazioni, apparse sulla stampa locale, di alcuni sindaci della provincia autonoma di Bolzano, che hanno dichiarato la loro intenzione, nel caso fosse approvato tale disegno di legge, di cancellare di fatto tutti i toponimi italiani, lasciando soltanto la denominazione in lingua tedesca.
(2-00265) «Biondi».
(30 ottobre 1996)

Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro per la funzione pubblica e gli affari regionali, per sapere - premesso che:
in provincia di Bolzano, i toponimi in lingua tedesca vennero aboliti dal regime fascista, che li sostituì con nomi in lingua italiana, pochi dei quali derivanti


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da forme preesistenti (per lo più ladine) e molti inventati o semplicemente tradotti. Ripristinati dall'accordo di Parigi, i nomi geografici in lingua tedesca e ladina vengono oggi usati comunemente, ma ancora non risultano ufficializzati, per la mancanza di un'iniziativa specifica da parte del consiglio provinciale di Bolzano;
la competenza primaria della provincia autonoma di Bolzano in materia di toponomastica viene prevista dagli articoli 101 e 102 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige (Sud-Tirol);
alcune forze politiche, fra cui il partito etnico di maggioranza Sudtiroler Volkspartei, non intendono precedere alla legalizzazione dei nomi tedeschi e ladini, perché vorrebbero contestualmente cancellare quasi tutti o una buona parte dei nomi in lingua italiana;
la maggioranza della popolazione (stando ad un sondaggio realizzato nel 1992), sia di lingua italiana sia tedesca e ladina, è contraria a interventi di tipo traumatico, che verrebbero percepiti dalla popolazione italiana come un «avviso di sfratto», e teme un riaccendersi del conflitto etnico per motivi futili;
la Sudtiroler Volkspartei, consapevole di non avere consenso all'interno del consiglio provinciale di Bolzano, dove tutti i gruppi consiliari di lingua italiana e quello interetnico sono fermamente contrari alla cancellazione dei nomi geografici italiani, si è rivolta al ministro Bassanini con la richiesta di discuterne all'interno della «commissione dei Sei» (consultiva del Governo) e di trovare una soluzione in quella sede;
non si vede come la «commissione dei Sei» possa appropriarsi di una competenza propria della provincia autonoma di Bolzano;
la proposta della Svp è di fare una distinzione tra microtoponomastica e macrotoponomastica, che sarebbe fonte di dissidi continui, perché non esiste alcuna regola scientifica per distinguere toponimi piccoli e grandi, e di affidare la microtoponomastica (qualsiasi cosa ciò significhi nelle intenzioni dei proponenti) ai comuni;
dalle dichiarazioni della Svp, che ha la maggioranza assoluta in quasi tutti centosedici comuni della provincia di Bolzano, si arguisce che i comuni potrebbero intervenire nella questione senza rispettare l'articolo 101 dello statuto, che prevede esplicitamente il bilinguismo dei toponimi;
già nell'Accordo di Parigi De Gaspari - Gruber tra Austria e Italia venne garantita ai cittadini di lingua tedesca la «parificazione delle lingue italiana e tedesca nelle pubbliche amministrazioni, nei documenti ufficiali, come pure nella nomenclatura topografica bilingue»;
nel nuovo Statuto del 1972, agli articoli 101 e 102, si ribadisce l'obbligo del bilinguismo nella toponomastica di Bolzano. L'articolo 101, infatti, così recita: «Nella provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l'esistenza e approvata la dizione». L'articolo 102 inoltre, prevede che le popolazioni ladine abbiano diritto al «rispetto della toponomastica e delle tradizioni delle popolazioni stesse»;
la Raccomandazione D della risoluzione n.4 del 1967 dell'Onu invita a sua volta gli Stati membri a rispettare la toponomastica bilingue nei territori bilingui o plurilingui. Essa recita espressamente: «Si raccomanda che in paesi nei quali si parlano più lingue, l'autorità locale: a) riporti i toponimi in ognuna delle lingue ufficiali e qualora sia opportuno anche in altre lingue; b) indichi chiaramente la parità di ordine o l'ordine di successione dei nomi ufficiali e c) pubblichi questi nomi ufficialmente riconosciuti in carte ed elenchi»;
il quadro giuridico su cui si basa l'autonomia della provincia di Bolzano prevede quindi espressamente il bilinguismo dei toponimi;

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anche il quadro giuridico internazionale, pur rammentando che le raccomandazioni dell'Onu non sono di per sé vincolanti, non potrebbe che confermare il bilinguismo. Nella raccomandazione E della stessa risoluzione si legge al punto e): «Se per un oggetto esiste più di un nome standardizzato, si riportino tutti i nomi; inoltre si diano indicazioni su forme antecedenti del nome dello stesso oggetto»;
non irrilevante ai fini della comprensione del modo di procedere è anche il punto e 1) della raccomandazione C: «Devono essere evitati cambiamenti toponomastici non necessari»;
la soluzione della questione sudtirolese è stata possibile solamente applicando il metodo del consenso e le questioni che rivestono rilievo etnico (essendo in grado di scatenare emozioni conflittuali) dovrebbero continuare ad essere affrontate con questo metodo e non mai affrontate con il principio di maggioranza, soprattutto considerando che in Sudtirolo la maggioranza coincide con quella etnica -:
come intenda procedere il Governo nei riguardi di questa questione e se sia consapevole che essa è in grado di riaccendere in modo incontrollabile il conflitto tra i gruppi in provincia di Bolzano;
se il Governo ritenga indispensabile sentire tutte le diverse posizioni presenti nella provincia, considerando che nella «commissione dei Sei» vi è una rappresentanza molto parziale della realtà sudtirolese, certo non in grado di raggiungere soluzioni consensuali in nome della popolazione;
se il Governo non ritenga che lo statuto, che è legge costituzionale e che costituisce un compromesso in cui ognuno ha vinto e perso in egual misura, ma che garantisce la pace fra i gruppi linguistici, debba essere rispettato soprattutto nel suo principio fondamentale, che è il bilinguismo;
se il Governo ritenga che il significato e il valore dello statuto possa venir messo in discussione della fondamenta se non si rispetta il bilinguismo dei toponimi, che costituisce uno dei tre punti dell'accordo De Gasperi-Gruber, su cui si fonda l'ancoraggio internazionale del «Pacchetto»;
se il Governo non ritenga che, al contrario di quanto viene fatto dal partito etnico di maggioranza della provincia di Bolzano, che ha imposto una serie di divieti nelle sperimentazioni didattiche dell'insegnamento della seconda lingua, il bilinguismo debba essere incentivato e consolidato come strumento indispensabile alla pace e alla comprensione di tutti coloro che vivono in Sudtirolo.
(2-00266) «Boato».
(30 ottobre 1996)

B) Interrogazione:

GIOVANARDI, MATTEOLI, SELVA, MANZIONE, BASTIANONI, PALMIZIO, RIVOLTA, REBUFFA, GASPARRI, PANETTA, BERSELLI, FOLLINI, TERESIO DELFINO, PERETTI, MARZANO e TASSONE. - Ai Ministri dell'interno, dell'ambiente, dei lavori pubblici e dei trasporti e della navigazione. - Per conoscere - premesso che:
domenica 13 ottobre 1996 è stato inaugurato, in località Bruciata di Modena, l'ipermercato «Grandemilia», il più grande della regione, edificato in fregio alla strada statale n.9 Emilia e in prossimità del casello autostradale della A1 "Modena-nord";
contrariamente a quanto previsto dal bando di gara per l'acquisizione dell'area e dalle condizioni per l'autorizzazione, prima dell'apertura dell'ipermercato non è stata costruita la tangenziale ivi prevista, ritenuta indispensabile per alleggerire il traffico, né sono stati realizzati, a carico del vincitore, i parcheggi previsti;
di conseguenza, si è creata una situazione infernale di collasso della circolazione, con il blocco per ore ed ore


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della statale n.9 fra Modena e Reggio Emilia e dell'accesso al casello autostradale di "Modena-nord" -:
quali iniziative intendano intraprendere per impedire che la più grande arteria di comunicazione statale Est-Ovest e l'accesso al casello autostradale dell'A1 "Modena-nord" siano bloccati a causa di omissioni ed inadempimenti rispetto a quanto previsto per autorizzare l'apertura al pubblico dell'ipermercato «Grandemilia». (3-00424)
(5 novembre 1996)

C) Interrogazione:

MICHELANGELI, MARCO RIZZO, ORTOLANO e NESI. - Al Ministro per i beni culturali e ambientali. - Per sapere - premesso che:
la professoressa Emilia Alessandrone Perona, direttrice dell'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, in una nota indirizzata al consiglio d'amministrazione dell'istituto stesso, che qui si riporta per ampli stralci, denuncia una grave decisione del museo nazionale del Risorgimento di Torino:
«Credo doveroso richiamare la vostra attenzione sulla recente decisione del Museo Nazionale del Risorgimento di Torino di rimuovere dall'aula del Parlamento italiano di Palazzo Carignano le 170 bandiere del movimento sindacale e politico italiano, provenienti dal fondo "Mostra della Rivoluzione fascista" dell'Archivio Centrale dello Stato.
Mi sono risolta a scrivere in proposito a voi, e a quanti di voi fanno parte anche degli organismi del Museo, perché ritengo che l'Istituto, che insieme al Centro Gobetti realizzò la mostra "Un'altra Italia nelle bandiere dei lavoratori" - inaugurata nel 1981 dal Presidente Pertini e divenuta permanente nel 1986 - e che ha condotto lo studio storico e iconografico sulle bandiere, avrebbe dovuto essere informato tempestivamente, insieme alle istituzioni pubbliche che sostennero finanziariamente l'iniziativa, dei rischi che corre la collezione, ed essere messo in condizione di esprimere un parere meditato.
È noto infatti che essa appartiene all'Archivio Centrale dello Stato, a cui tornerebbe non appena venissero meno gli impegni presi dal Museo per la sua esposizione.
Non si pretende con queste osservazioni di interferire nelle decisioni di un altro Istituto, ma si chiede che siano note e chiare a tutti le ragioni che rischiano di privare la Città di una collezione unica nel suo genere e che si possano considerare i possibili interventi per evitarlo.
In altri termini, penso che non possa essere considerato come un caso di ordinaria amministrazione, di pertinenza di un Ente privato, il destino di una raccolta che Torino ha acquisito grazie ad un concorso di volontà e di energie e che ha rilevante valore storico per le seguenti ragioni: a) essa documenta, pezzo per pezzo, le violenze fasciste del 1919-1922, che sono all'origine della costituzione del fondo stesso; b) il corpus così costituito offre un panorama di eccezionale varietà e ricchezza della cultura politica delle classi lavoratrici del secondo Ottocento e del primo Novecento. La mostra, col relativo apparato di ricostruzione storica e semiologia raccolto nel catalogo, ha costituito infatti un punto di riferimento per ricerche analoghe svolte successivamente (per esempio, in Piemonte, le tante iniziative conservative, espositive, editoriali sulle bandiere delle Società di Mutuo soccorso) e per gli studi italiani e stranieri sulla cultura, la simbologia, la ritualità del movimento operaio;
la raccolta esposta a Torino fa parte di un giacimento - la Mostra della Rivoluzione fascista - a sua volta «storico» per ciò che rappresenta rispetto alla mentalità, alla cultura e all'autorappresentazione del fascismo.
Su un altro aspetto di questa raccolta, e cioè sul suo valore evocativo di lotte e sconfitte duramente pagate, non mi soffermo.


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L'hanno fatto da loro pari Sandro Pertini, Francois Mitterand, Gilles Martinet, Norberto Bobbio e molti altri ancora.
Nel 1981 la sua collocazione nell'aula del Parlamento Italiano - mai utilizzata per lo scopo per il quale era stata costruita - apparve una sorta di risarcimento morale, una justice de Clio - come scrisse una storica francese - un dare voce a ceux qui n'ont pas eu d'Histoire.
Parve anche non improprio che, attraverso quei documenti, un terzo soggetto a sua volta attore della storia d'Italia, entrasse nel Museo Nazionale del Risorgimento, dilatandone l'impostazione dinastica e politico-militare.
Ora questo patrimonio rischia di essere perduto per Torino, già particolarmente sguarnita di percorsi museali e didattici dedicati alla storia contemporanea (si pensi alla tormentata e tuttora non risolta questione del Museo della Resistenza e alle improbabili ipotesi di un Museo della Deportazione).
Ci si chiede, inoltre, come mai in una città dove le istituzioni culturali sopravvivono faticosamente - come ben sa questo nostro Istituto - si trovino risorse non indifferenti per disfare quello che è stato realizzato, senza che neanche se ne conoscano le ragioni e si discutano le priorità e le possibili alternative» -:
quali iniziative intenda intraprendere, alla luce delle notevoli considerazioni esposte dalla professoressa Alessandrone Perona, per bloccare una simile iniziativa del museo, che oltretutto suonerebbe come un'offesa al movimento operaio sindacale e politico italiano, a meno che non si voglia perseguire un'opera di revisionismo storico che oltretutto vuole considerare anche la messa in «cantina» dei simboli più significativi delle lotte antifasciste, quali quelli rappresentati dalle «bandiere», per di più in un momento in cui tale simbolo per l'Italia è sentito in maniera così forte contro ogni attacco secessionista ed autoritario. (3-00273)
(2 ottobre 1996)

D) Interrogazioni:

ANTONIO PEPE, GIOVANNI PACE e SELVA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Ministro dei beni culturali e ambientali. - Per sapere - premesso che:
è apparsa su organi di stampa nazionale la notizia secondo cui nei giorni 24 e 25 aprile 1997 a Londra saranno venduti all'asta i beni, gli apparecchi, i documenti ed altro materiale che già appartennero al premio Nobel italiano Guglielmo Marconi, oggi di proprietà della Gec Marconi, fondata dallo scienziato un secolo fa;
tale vendita comporterebbe la frantumazione del patrimonio scientifico e storico di Guglielmo Marconi e la dispersione di documenti di valore storico e scientifico notevoli;
la vendita medesima dà la possibilità all'Italia di tornare in possesso di tali beni, con tutte le conseguenze che ciò comporterebbe a livello di studio e di immagine - :
quali provvedimenti urgenti intendano assumere per partecipare all'asta ed acquisire allo Stato italiano un patrimonio così importante. (3-00725)
(12febbraio 1997)

SELVA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dei beni culturali ed ambientali e delle poste e delle telecomunicazioni. - Per sapere - premesso che:
il nome di Guglielmo Marconi è una delle glorie di cui l'Italia può andare fiera nel mondo;
la sua opera è all'origine della più grande rivoluzione tecnologica di questo millennio;
l'archivio dell'inventore della radio si trovava da anni in un laboratorio di Greta Baddow, nell'Essex, «ereditato» dalla «Gec Marconi»;


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di fronte alle preoccupazioni espresse anche dalla figlia dell'inventore, principessa Elettra Giovannelli Marconi, circa il rischio che il prezioso archivio venisse smembrato, diverse interrogazioni erano state presentate per «allertare» il Governo;
permanendo di fatto il disinteresse dell'Italia all'acquisizione, la società «Gec Marconi» ha deciso di venderlo, trovando l'acquirente nel Museo della scienza di Londra - :
quali passi siano stati compiuti dal Governo Prodi, conterraneo di Guglielmo Marconi, per acquisire l'archivio;
quali siano le ragioni, se questi passi sono stati compiuti, per le quali, anziché di un museo o di un ente italiano, l'archivio è diventato proprietà del Museo della scienza di Londra. (3-00952)
(2 aprile 1997)

E) Interrogazione:

TURRONI e PECORARO SCANIO. - Al Ministro dei beni culturali e ambientali. - Per sapere - premesso che:
recenti lavori di scavo a Roma, in piazza del Pantheon, hanno messo alla luce importanti reperti archeologici, tra i quali la perfetta antica pavimentazione della piazza risalente all'anno 120 dopo Cristo;
la predetta pavimentazione sembra estendersi sotto tutta l'attuale piazza del Pantheon fino a piazza della Maddalena e costituisce un ritrovamento eccezionale di straordinario interesse archeologico e culturale;
la costruzione di un cosiddetto «tunnel intelligente», che utilizza il piano della pavimentazione storica come base per la gettata in cemento dei cordoli di sostegno al tunnel medesimo, compromette un bene archeologico di eccezionale interesse che impone invece la sua conservazione e tutela -:
se abbia autorizzato e, in caso positivo, in base a quali criteri, opere che compromettono l'antica pavimentazione della piazza;
se abbia prescritto, attraverso propria autorizzazione, il sistema di posa del cosiddetto «cunicolo intelligente» con getti in cemento armato direttamente sull'antica pavimentazione;
per quali motivi non abbia richiesto una modifica di un progetto così poco rispettoso di un monumento storico eccezionale, consentendone la fruizione attraverso la delicata, attenta e rispettosa progettazione di un intervento che garantisse l'accessibilità all'antico livello della piazza. (3-01014)
(17 aprile 1997)