Seduta n. 192 del 13/5/1997

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Discussione del disegno di legge: S. 2272 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 1997, n.60, recante interventi straordinari per fronteggiare l'eccezionale afflusso di stranieri extracomunitari provenienti dall'Albania (approvato dal Senato) (3637) (ore 17,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni,del decreto-legge 20 marzo 1997, n.60, recante interventi straordinari per fronteggiare l'eccezionale afflusso di stranieri extracomunitari provenienti dall'Albania.
Avverto che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che i presidenti dei gruppi parlamentari di forza Italia e di alleanza nazionale ne hanno chiesto, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento, l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare.
Il relatore, onorevole Maselli, ha facoltà di svolgere la sua relazione.

DOMENICO MASELLI, Relatore. Signor Presidente, signori del Governo, colleghe deputate, colleghi deputati, il decreto-legge


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che ci interessa in questo momento è un breve provvedimento composto soltanto da quattro articoli, ai quali se ne aggiunge uno sulla copertura, che tende a fronteggiare l'emergenza che in data 19-20 marzo si è determinata per il crollo del Governo albanese e l'arrivo sulle nostre coste di alcune migliaia di profughi. Si trattava quindi di far fronte ad una autentica emergenza e di compiere delle scelte.
Il presente decreto-legge è stato adottato il 20 marzo 1997 ed era stato preceduto, come richiede la legge, da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 19 marzo 1997 che decretava lo stato d'emergenza. Si tratta quindi di un decreto che applica tale stato di emergenza. In realtà, esso integra quanto è già previsto dal decreto-legge 30 dicembre 1989, n.416, convertito nella legge n.39 del 1990, più nota come legge Martelli. Praticamente, opera dentro quella legge applicandosi alla situazione di emergenza.
Come ho detto qualche minuto fa, vi sono vari precedenti. In particolare, devo ricordare il decreto-legge 24 luglio 1992 per l'emergenza dell'ex Iugoslavia, che fu poi convertito nella legge n.390 del 1992, e il decreto-legge 24 giugno 1994 per l'emergenza nel Ruanda, convertito nella legge 8 agosto 1994, n.502.
Dovendo fare un breve esame del decreto, vorrei rilevare che l'articolo 1 autorizza il ministro dell'interno ed i prefetti delle province ad operare anche in deroga alle leggi vigenti, ma entro il nostro ordinamento, in relazione alle attività di soccorso e di assistenza. In realtà, il comma 2 stabilisce che la cura a favore degli albanesi è riservata a quelli maggiormente esposti a grave pericolo.
Nel terzo comma vi è la descrizione delle attività di assistenza e nel quarto si indicano le modalità per il rimpatrio, mentre nel quinto si affidano al ministro dell'interno, su delega del Presidente del Consiglio, le funzioni di coordinamento degli interventi dei ministri competenti, delle amministrazioni dello Stato, degli enti locali, delle organizzazioni con finalità umanitaria.
Questo primo articolo, quindi, presenta un'attività di carattere umanitario e prevede, pertanto, che il nostro paese, per un periodo limitato a 60 giorni o al massimo a 90 giorni, possa intanto esercitare questa cura per le persone che ci chiedono assistenza.
Nell'articolo 2 si prevede la possibilità per il questore di rilasciare un nulla osta provvisorio di ingresso - questo legittima già lo strumento della decretazione d'urgenza, perché si tratta di un istituto nuovo - e soggiorno valido per 60 giorni e prorogabile fino a 90 giorni.
Nel secondo comma vengono descritte le cause di revoca del nulla osta e il terzo presenta le formalità con cui può avvenire un respingimento ad opera del questore. Il quarto reca le azioni per impedire il realizzarsi di reati e vi è una distinzione tra respingimento ed espulsione, che può avvenire soltanto in questo caso.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 17,20).

DOMENICO MASELLI, Relatore. C'è qui, nel comma 5 dell'articolo 2, la necessità, che il Governo ha già avvertito attraverso circolari, di chiarire a chi si riferisca la possibilità di espulsione, in quanto si usa un termine strano («lo straniero»), ma evidentemente qui ci si vuole riferire esclusivamente a questo caso. È evidente che si deve dare un'interpretazione ristretta al comma.
Nell'articolo 3 ed anche nell'articolo 4 sono previste le coperture finanziarie per questo intervento di carattere umanitario. Nell'articolo 5, invece, ci si limita a fissare l'entrata in vigore del decreto nel giorno stesso della sua emanazione.
In realtà, da questo punto di vista siamo di fronte ad un decreto molto limitato, che non può e non deve essere ritenuto generale e che è poi seguito da un secondo decreto-legge per quanto ri


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guarda l'operazione in Albania. Pertanto non posso che chiedere il voto favorevole con i limiti indicati per questa temporanea presa di posizione su un problema così difficile e che al Governo sembra di poter in questo modo affrontare (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIANNICOLA SINISI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Serra. Ne ha facoltà.

ACHILLE SERRA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, ritengo mio dovere sottolineare brevemente ancora una volta le molteplici carenze che hanno contraddistinto l'azione di Governo prima ancora dell'esplosione del fenomeno Albania. Intendo sottolineare come sia stato colpevolmente e gravemente sottovalutato il vulcano che si accendeva a pochi chilometri da casa. Io stesso, in una prima fase, ebbi a criticare i servizi, convinto com'ero dell'impossibilità per un Governo di reagire in modo così sprovveduto di fronte ad un fatto di tale gravità. Con il tempo abbiamo appurato che i servizi avevano fatto per intero il loro dovere ed avevano segnalato quanto stava per accadere in Albania. Ciononostante il Governo si è fatto trovare assolutamente impreparato.
Appare anche superfluo ricordare che, a fronte di un'immigrazione così scomposta, il Governo si sia mosso con superficialità ed improntitudine; superficialità ed improntitudine tradotte peraltro in disposizioni spesso equivoche impartite ai nostri militari, alla nostra marina, a volte con conseguenze tragiche. Dopo questa prima fase lunga e sconcertante si è tentato, con un decreto, di limitare i danni. Questo decreto oggi diventerà legge, ancora una volta a colpi di maggioranza; purché quando il Governo pone la fiducia non abbia a sostenere che lo fa per l'ostruzionismo dell'opposizione, giacché lo fa perché questa maggioranza non vuole dialogare. Ancora una volta questa maggioranza respinge ogni emendamento al decreto (da più parti riconosciuti validi); li respinge per questione di tempo, ma comunque li respinge. È doveroso ricordare con forza che il rifugiato per motivi umanitari non è figura assimilabile all'immigrato; non può e non deve essere considerato come un immigrato di emergenza. Il richiamo di motivazioni non solo politiche non può giustificare scelte normative che finiscono per integrare il primo nell'ambito di una generale politica dell'immigrazione. Se si vuole realmente garantire a chi è veramente disperato, malato, a chi effettivamente non può badare a se stesso la protezione e l'assistenza di cui necessita, è indispensabile evitare che di tale intento si servano anche coloro che disperati non sono, che malati non sono ma strumentalizzano la disperazione altrui per entrare clandestinamente nel nostro paese al fine di portare avanti traffici illeciti, in particolare di sostanze stupefacenti.
Il rifugiato per motivi umanitari deve avere assistenza limitata nel tempo ed il provvedimento che siamo chiamati ad approvare deve contenere tutti gli elementi che rendano l'assistenza mirata a fornire esclusivamente efficaci strumenti di protezione. Diventa quindi prioritario introdurre nel contesto normativo tutti gli elementi per circoscrivere esattamente l'ambito in cui l'accoglienza, e quindi la protezione, devono essere assicurate. Diceva il collega Gasparri che il testo è stato emendato in peggio, ed aveva ragione.
Signor sottosegretario, dinanzi alla I Commissione del Senato ella ebbe a sostenere che si trattava di misure temporanee, che trovano il loro precedente nei provvedimenti adottati in occasione della vicenda della Bosnia. Non è così. Non è così, onorevole sottosegretario, perché il decreto relativo agli eventi bellici in Bosnia fu emanato il 27 maggio 1992 ed allora il Governo non subiva il condizionamento


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di rifondazione comunista. Si deve proprio ad un emendamento di rifondazione comunista al Senato - di fronte al quale il Governo non poteva che, come sempre, alzare le mani - se è stata introdotta nel testo la previsione che al rifugiato per motivi umanitari vengano garantiti interventi connessi con l'inserimento, l'integrazione socio-culturale, la formazione professionale e l'istruzione. Nulla di più contraddittorio rispetto alle finalità del decreto: è il tentativo da parte dell'estrema sinistra di scambiare il rifugiato con l'immigrato e garantire nel tempo la permanenza nel nostro paese a quanti vi hanno approdato e vi approderanno in cerca di fortuna.
Ma vi è un altro punto che va rimarcato con forza. Quando i primi 15 mila albanesi giunsero in Italia e furono sistemati in campi di accoglienza, il Governo si affrettò a sostenere che non vi sarebbe stato alcun rischio di allontanamento. Ciò era assolutamente impossibile: per mancanza di strutture, per mancanza di norme, per mancanza di polizia e di forze dell'ordine. E soprattutto per la facile previsione che, venuti a conoscenza dei sessanta giorni per il rimpatrio, costoro di volta in volta si sarebbero allontanati e si sarebbero resi clandestini. Così è stato ed almeno 3 mila hanno clandestinamente lasciato il posto di accoglienza, andando necessariamente - doverosamente dico, per mangiare - ad alimentare le fila della piccola e media criminalità e a ricongiungersi con quei connazionali, che già da tempo operano nel nostro paese, dediti allo spaccio e al traffico di stupefacenti e allo sfruttamento della grande prostituzione.
È necessario prevedere il trasferimento immediato in idonei campi di accoglienza, ove sia assicurato il ricovero e il controllo, con regole rigorosissime, dei predetti stranieri, finché al termine dei sessanta improrogabili giorni costoro possano essere rimpatriati.
E ancora, al comma 1 dell'articolo 2 si legge: «Il Ministero dell'interno, fatte salve le esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza dello Stato, cura l'avvio degli stranieri di cittadinanza albanese bisognosi di assistenza umanitaria e di protezione, se esposti in patria a grave pericolo per l'incolumità personale (...)». Ma chi sono i bisognosi dell'assistenza umanitaria? Chi sono? La polizia e i carabinieri sono forse in grado di stabilire l'excursus, il precedente di ciascun individuo in patria? E allora i più bisognosi sono da identificare in donne e bambini? E perché non gli anziani? E perché non i giovani, se veramente bisognosi? Credo che questo sia un sistema a maglie larghe di grande pericolosità.
È questo un periodo di grande delicatezza, signor sottosegretario; il paese sta vivendo un periodo difficile, con rischi che scaturiscono anche da chi con incoscienza parla addirittura di differenza e di divisione tra italiani. E allora è doveroso alzare il livello dell'attenzione e porsi il problema di non alimentare, con una politica demagogica, sentimenti che una simile emergenza, quella dei profughi albanesi, può aggravare imperdonabilmente, con il pericolo inevitabile di amplificare tendenze razziste contrarie alla nostra cultura, ai nostri valori, alla nostra democrazia (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fontan.Ne ha facoltà.

ROLANDO FONTAN. Ho già espresso precedentemente alcune motivazioni che inducono ad affermare la non urgenza di questo provvedimento. Ma in quella votazione sui presupposti di necessità ed urgenza abbiamo notato che il Polo si è astenuto e quindi di fatto ha dato il via libera a questo provvedimento o perlomeno per la deliberazione sulla sussistenza dei requisiti di urgenza. Una prima constatazione politica è che, ancora una volta, l'unica forza di opposizione all'interno di questo Parlamento è la lega nord per l'indipendenza della Padania.
Abbiamo visto che il Polo e i suoi componenti «vanno» in televisione, rilasciano interviste sui giornali, «vanno» a scandalizzarsi, a schierarsi, a «sparare»


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contro, ma poi qui in aula fanno passare un po' alla chetichella, diciamo così, il provvedimento. È questa la realtà che - per fortuna - deve rimanere agli atti, ma che deve anche essere conosciuta da tutti i nostri cittadini, in particolar modo dai cittadini padani.
Al fondo di ciò c'è un problema, c'è una ragione e non soltanto rapporti di intese, «inciuci» vari che affiorano o meno sistematicamente. Nella posizione del Polo è evidente che c'è una precisa tutela di quella parte del paese che è in primis interessata alla venuta degli albanesi, vale a dire il Mezzogiorno.
È evidente - è un concetto che è già stato espresso ma che desidero riprendere - che c'è un interesse, di carattere anche economico se vogliamo, di parziale fratellanza, un interesse di copertura di certi fenomeni più o meno delinquenziali che esistono nel meridione e sono in contatto con la mafia albanese. È questa la realtà dei fatti! Noi stigmatizziamo il comportamento del Polo con queste motivazioni.
Molto spesso in quest'aula si parla... Anche ieri l'altro il buon Scàlfaro ha parlato di grandi principi, ha richiamato l'attenzione dei cittadini sui grandi principi e ha difeso questo Stato-Italia; però non ha detto che questo Stato-Italia non è in grado di far fronte ad evenienze come quella degli albanesi. Non ha detto che non è in grado di non accogliere tutta quella parte di carcerati o comunque di malavitosi che si sono riscontrati; non ha detto che in questa operazione tanto urgente sono arrivate anche persone che erano state espulse; né ha detto che lo Stato italiano non è riuscito a tenere a bada, nonostante gli sforzi delle forze dell'ordine, 3-4 mila di questi albanesi che se ne sono andati. Evidentemente se ne sono andati per le loro ragioni, perché senz'altro questi non sono i migliori o i buoni albanesi!
Quindi noi siamo fortemente preoccupati che, anche sotto forma di falsa umanità, si incentivino forme più o meno acute di criminalità. A tale riguardo vorrei solo ricordare alcuni dati (la fonte è quella del Ministero dell'interno). Nel 1996 sono state 12.335 le denunce e le indagini che hanno interessato gli extracomunitari provenienti dall'Albania (in pratica quasi il 18 per cento delle denunce che hanno riguardato gli extracomunitari).
Voglio altresì ricordare che sempre nel 1996, in Italia, sono stati arrestati 2.885 albanesi, pari ad oltre il 12 per cento degli extracomunitari arrestati. Voglio ancora ricordare (la fonte è sempre quella del Ministero dell'interno) che alla data del 31 gennaio 1997 nelle nostre carceri erano detenuti 993 albanesi, pari a circa l'11 per cento della popolazione carceraria extracomunitaria, che è composta - lo ricordo - da 9.514 persone. Ho voluto richiamare questi dati per mettere in evidenza come, prima del recente flusso di albanesi, fosse già presente nel nostro paese una situazione di criminalità determinata da persone provenienti da quello Stato. Ebbene, lo Stato italiano non ha fatto altro che aprire le braccia ed agevolare questo tipo di criminalità, permettendole di venire in Italia a potenziare e a rinvigorire - semmai ce ne fosse bisogno - la criminalità italiana.
Sarebbe stato invece opportuno prendere questi disperati - perché vi è una parte che non può essere classificata come disperata - e riportarli nel loro paese, mettendo eventualmente in piedi dei campi per queste persone sempre nel loro paese, come peraltro è già stato fatto negli anni passati in altre situazioni, richiamate dal relatore. Stavolta però non si è proceduto in questo modo.
A noi risulta che questo afflusso di albanesi ha interessato l'Italia, ma non la Grecia, che pure confina con l'Albania e le è molto vicina per storia e cultura, né la giovane repubblica della Macedonia, divenuta repubblica - e questo è un buon auspicio anche per la Padania - due anni e mezzo fa (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Del resto, in Macedonia vi è una parte di popolazione albanese. Ciononostante tale esodo non ha interessato la Macedonia, ma ha interessato, guarda caso, l'Italia, lo Stato italiano.

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Se esaminiamo con attenzione il testo del decreto-legge, vi troviamo molte incongruità. Innanzitutto vengono dati pieni poteri ai prefetti, poiché l'articolo 1 del decreto-legge prevede la possibilità di operare anche in deroga alla normativa vigente. In sostanza i prefetti sono autorizzati a fare quello che vogliono. Ciò vuol dire che, mentre normalmente il cittadino italiano è costretto a rispettare nella sua vita quotidiana le leggi, il cittadino albanese vi può derogare e può ricevere un trattamento completamente diverso da quello del cittadino italiano o per lo meno da quei cittadini italiani che si trovano in gravi difficoltà come taluni cittadini albanesi. È evidente che questa è una grande vergogna, un segno di chiaro razzismo, egregio Presidente Scàlfaro!
Procedendo nell'esame dell'articolo 1, vediamo che non soltanto i prefetti possono non osservare la normativa vigente, quelle regole tanto osannate e richiamate, ma possono derogare anche alle norme sulla contabilità generale dello Stato. In parole del popolo, essi possono «spendere e spandere» quanto vogliono, tanto forse un giorno lo Stato interverrà. Spero non si tratti di un'altra fregatura per quanti verranno direttamente interessati da tali misure. Voglio ricordare a tale proposito l'esperienza vissuta da alcuni albergatori che nel 1992 offrirono alloggio a persone che si trovavano in questa identica situazione e che alla fine dovettero ristrutturare l'albergo senza ricevere dallo Stato i soldi necessari. Spero che questa volta le cose non vadano così.
Ad ogni buon conto in questo caso non viene seguita alcuna regola sulla contabilità; quel che è peggio è che non si sa quanto costerà questo tipo di aiuto allo «Stato Italia».
Si sa solo che verranno spesi 21 miliardi per le forze dell'ordine, però non si sa quanto le prefetture possono spendere. Inoltre non è stata fatta alcuna previsione (almeno il Parlamento non ne è a conoscenza) circa i costi presunti dell'operazione, mentre sarebbe interessante conoscerli soprattutto relativamente ai modi di reperimento delle risorse. Sappiamo già che ci saranno future manovrine, piccole e grandi, destinate a risolvere questo problema.
Poi ci si viene a dire che bisogna accogliere chi è «maggiormente esposto a grave pericolo per l'incolumità personale»!

SERGIO COLA. Il «maggiormente» è stato abolito dal Senato.

ROLANDO FONTAN. Non si dà nessuna spiegazione sull'avverbio «maggiormente» né si spiega quale sia il «grave pericolo per l'incolumità personale», tutto è lasciato alla discrezione di non si sa chi. Si tratta davvero di una previsione estremamente grave, analoga a quella contenuta nel terzo comma dell'articolo 2 del decreto-legge che evidenzia la precisa volontà di rendere stabile la permanenza degli albanesi in Italia. Attenzione, è questa la precisa volontà contenuta in questo decreto-legge! Quando uno Stato si impegna a provvedere, per motivi d'urgenza, all'integrazione sociale e culturale, alla formazione professionale e all'istruzione di persone che dovrebbero rimanere temporaneamente sul suo territorio, è evidente che ci si trova di fronte ad una vera e propria contraddizione. In sostanza si vogliono istruire, «professionalizzare» ed integrare gli albanesi, che al momento sono circa 14 mila e che sono certamente destinati ad aumentare nel tempo, perché è evidente che quelli rimasti in patria non avranno alcun motivo per rimanervi quando verranno a conoscenza che qui in Italia si provvederà alla loro istruzione, alla loro professione ed integrazione sociale, secondo quanto previsto dalle modifiche introdotte dal Senato. È ovvio che verranno tutti di corsa nel nostro paese!
C'è poi il problema del termine che, nonostante l'urgenza assegnata al provvedimento, non viene indicato. Tutto è lasciato alla speranza che il flusso termini. Lo Stato non è capace di reagire di mantenere l'ordine pubblico; è uno Stato che di fronte all'emergenza di una situazione del genere spera che il flusso termini. Ma in che tipo di Stato ci


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troviamo? Siamo ancora in uno Stato o siamo simili all'Albania?

DANIELE ROSCIA. Peggio!

ROLANDO FONTAN. Nell'ambito dell'operazione «Alba» si pone il problema di tutelare quei cittadini e quelle imprese che sono in territorio albanese. Sembra di capire, leggendo i vostri giornali ed ascoltando le vostre false televisioni, che si tratta di un'operazione che non serve per mantenere l'ordine pubblico ma che ha solo finalità di facciata, volta cioè ad acquistare credito internazionale (più che credito alla fine si rivelerà un discredito). In Albania vi sono cittadini ed imprese italiani e padani che vorrebbero avere qualche garanzia. Questa gente sta perdendo tutto; noi inviamo lì l'esercito, spendendo centinaia di miliardi, ma questo non può intervenire! Ricordo che noi, deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, abbiamo presentato alcuni emendamenti finalizzati ad assegnare questo compito di tutela dei nostri concittadini - siano essi italiani che padani - anche in Albania.
Alla luce di tali considerazioni, mi pare non sussistano le motivazioni di urgenza e le ragioni per giudicare positivamente il provvedimento al nostro esame. Mi pare, invece, che ci troviamo di fronte a delle false motivazioni che il Governo adduce ancora una volta per giustificare l'emissione di alcuni provvedimenti, che vengono date in pasto alla gente; quest'ultima, tuttavia, si sta accorgendo che il «naso di Pinocchio» sta crescendo ogni giorno di più!
Voi potrete fare tutto ciò che volete e potrete utilizzare tutti i vostri strumenti di regime per cercare di far entrare nel paese molti extracomunitari, ma forse questo modo di fare alla fine vi si ritorcerà contro come un boomerang. Del resto, da un po' di tempo a questa parte, abbiamo assistito a tutta una serie di azioni che per fortuna - forse è il segno del destino - si sono risolte proprio in boomerang nei vostri confronti.
Noi riteniamo che anche questa operazione - che voi considerate di «grande umanità» e noi una grande truffa - sarà per voi un boomerang. Tanti auguri!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.

SERGIO COLA. Pur comprendendo a pieno le ragioni che inducono i deputati della lega ad assumere determinati atteggiamenti, non posso consentire nella maniera più assoluta che si possa venir meno ad un dovere sacrosanto di ogni parlamentare. Noi siamo qui per legiferare; rappresentiamo il potere legislativo ed abbiamo dei sacrosanti doveri da rispettare, tra i quali quello di essere obiettivi - ancorché spinti da motivazioni di carattere politico, che a volte arrivano alla esasperazione - almeno di fronte a determinati provvedimenti. Quando ci si chiede di riconoscere o meno la sussistenza dei motivi di necessità ed urgenza per un decreto-legge e si dice da parte della lega - con riferimento a ragioni di merito, ma non a quello che era il tema in discussione - che tali motivazioni non sussisterebbero, ricorrendo a ragioni veramente assurde e fuor di luogo, si viene meno a quel dovere e si viene presi, in modo irrefrenabile, da una esigenza di rottura. La rottura si può anche avere, ma solo quando si passa all'esame del merito del provvedimento.
Ribadisco, pertanto, di non accettare - nella maniera più assoluta - il richiamo critico di Fontan al Polo di avere in un certo modo assecondato il riconoscimento dei requisiti di necessità e di urgenza per il decreto-legge n.60 del 1997. Credo che un parlamentare - e le forze politiche - si debba distinguere soprattutto per l'obiettività delle valutazioni che fa, in particolare con riferimento a determinati provvedimenti. Noi, deputati di alleanza nazionale, lo facciamo sempre perché ci prefiggiamo in ogni occasione di rispettare il senso dello Stato; poiché il senso dello Stato italiano è da noi estremamente sentito, non accettiamo questo tipo di rilievi e di provocazioni.
Ciò premesso, entriamo finalmente nel merito del provvedimento.


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Forse in sede di Commissione affari costituzionali feci una gaffe: non mi ricordavo la data di emissione del provvedimento - il 20 marzo 1997 - e la posposi addirittura alla approvazione del provvedimento per la missione di pace in Albania. La gaffe era forse motivata da un lapsus freudiano per una ragione molto semplice: ancorché datato 20 marzo 1997, io ho inteso il provvedimento «a futura memoria», cioè volto a riparare i guasti e le carenze di una missione di pace che noi di alleanza nazionale abbiamo contribuito a far approvare, perché abbiamo il senso dello Stato e perché ci comportiamo sempre obiettivamente, senza lasciarci prendere da motivazioni di carattere politico e fazioso quando ci sono gli interessi della nazione al di sopra di tutto. Gli interventi sull'Albania, soprattutto quelli svolti dal presidente di alleanza nazionale e da altri rappresentanti del Polo furono estremamente significativi, di una logica stringente: abbiamo votato perché l'Italia non poteva assolutamente fare una brutta figura, ma soprattutto perché la missione di pace doveva avere come priorità l'assistenza. È vero che non vi è possibilità di intervento avente finalità di polizia, però l'obiettivo doveva essere l'assistenza degli albanesi in loco, per impedire che essi potessero venire in Italia e contribuire a peggiorare il nostro già precario assetto socio-economico e politico.
Ebbene, devo ritenere - per questo parlo di provvedimento «a futura memoria» - che la missione di pace non abbia sortito i risultati sperati. Uscendo dal formalismo del provvedimento forse vi sarebbe stata la possibilità di controllare i tre o quattro punti delle coste albanesi da cui partono sistematicamente le navi clandestine organizzate da capi mafiosi, da associazioni chiaramente delinquenziali. Tutto questo non è stato fatto, ma mi si potrebbe obiettare che non rientrava nei compiti della missione di pace perché l'unica funzione doveva essere quella dell'assistenza umanitaria; siamo perfettamente d'accordo, però di fatto si è verificata una situazione a dir poco allarmante.
Ed allora il quesito che pongo sulla base di un'obiettiva valutazione del merito del provvedimento è il seguente: questo decreto-legge è in condizione di risolvere i problemi posti dalla crisi albanese? E soprattutto è un provvedimento che nel merito si concilia con la ratio iniziale, cioè la temporaneità dell'assistenza? Ritengo che sulla scorta di un'attenta lettura delle norme, non possiamo assolutamente fare tale valutazione positiva. Il comma 2 dell'articolo 1, poi ripreso dall'articolo 2, prevede, per esempio, che «Le predette attività sono svolte, in coerenza con i principi e i doveri di accoglienza umanitaria, quali misure di protezione temporanea a favore degli stranieri di cui al comma 1» - cioè gli albanesi, ma si poteva anche evitare di dirlo perché era automatico - «esposti a grave pericolo per l'incolumità personale in relazione agli eventi in atto nelle aree di provenienza e alle loro particolari condizioni». Questa disposizione trova poi una successiva esplicitazione, ancorché per un emendamento approvato dal Senato, all'articolo 2.
La dizione «esposti a grave pericolo per l'incolumità personale» in relazione agli eventi che accadono in Albania è estremamente rigorosa - è questa la prima questione che pongo - ma poi non trova attuazione concreta nel momento in cui si deve risalire alla fonte di informazione per arrivare a valutare la sussistenza effettiva di questo grave pericolo per l'incolumità. È un quesito doveroso che io pongo, e al riguardo abbiamo presentato proposte emendative.
Abbiamo ascoltato proteste in tutta Italia - ecco la nostra doglianza, la ragione per la quale siamo stati costretti ad astenerci sulla sussistenza dei requisiti di necessità e di urgenza - da parte dei sindaci che hanno avuto modo di accogliere gli albanesi per questa diramazione o collocazione a macchia d'olio, senza alcuna organicità. Mi pare che il comma 3, quando parla di trasferimento nelle province, alimenti la protesta e la faccia ritenere effettivamente fondata, tant'è che noi abbiamo proposto di creare centri di

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accoglienza - lasciamo stare il numero - che evitino i disagi che sono stati segnalati più volte.
Come non criticare poi l'aspetto contraddittorio con la ratio del provvedimento, che dovrebbe avere un carattere di temporaneità? Non ce l'ho con il Governo, giacché l'innovazione è venuta dal Senato; mi chiedo tuttavia come si concili tale carattere con l'attivazione di procedure, ivi comprese quelle connesse all'inserimento, all'integrazione sociale e culturale, alla formazione professionale ed all'istruzione. Tutto ciò non è il presupposto di una temporaneità, ma di una permanenza definitiva che non può assolutamente passare, altrimenti noi dovremmo regolare non l'assistenza morale e sanitaria ai profughi, bensì quella sociale agli immigrati, giacché si tratta di una regolamentazione che riguarda esclusivamente gli immigrati, non certo i profughi.
Proseguendo nell'esame del provvedimento, per quanto riguarda il richiamo alla protezione, rilevo che il Ministero dell'interno, fatte salve le esigenze di tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza dello Stato, dovrebbe attivare iniziative a favore degli stranieri di cittadinanza albanese bisognosi di assistenza umanitaria - e fin qui nulla quaestio - e di protezione se esposti in patria a grave pericolo per l'incolumità personale. Ebbene, in questo caso il torto del Senato - come lo consideriamo noi - è relativo, in quanto la modifica introdotta dall'altro ramo del Parlamento trova giustificazione appunto nell'articolo 1, nel quale si parla di protezione e si impone un rigore enorme nell'attuare l'accoglienza senza una fonte informativa che dia certezza sul fatto che coloro che vengono in Italia siano esposti realmente ai rischi indicati. È una lacuna che non può non essere evidenziata e non so come farete a revocare, ad eliminare, a neutralizzare gli effetti nefasti che si potrebbero produrre se non ci consentirete di emendare il testo in questa parte. È un'osservazione, questa, che non potrà non essere tenuta nella giusta considerazione.
Noi stiamo ovviamente discutendo ad ampio raggio, ma va segnalata un'altra anomalia. Siamo i primi a ritenere che occorra un'assistenza umanitaria, che dovrà essere limitata a sessanta e non a novanta giorni; tuttavia, qualora ne sussistano le condizioni, il questore deve - e non «può», come previsto - rilasciare il nullaosta. E non vale l'eccezione di cui al comma successivo, nel quale si prevede che non viene rilasciato - è lapalissiano, è logico, è una ripetizione inutile - agli associati per delinquere ed agli spacciatori di droga. Ripeto, è ovvio che il nullaosta non potrebbe giammai essere rilasciato a delinquenti. Si tratta dunque di un'anomalia che non mi sento di condividere e che avevamo cercato di eliminare attraverso emendamenti che non si vuole discutere, perché c'è fretta di arrivare ad una conclusione che sarà un aborto nel vero senso della parola.
L'ultima annotazione che voglio fare prima di giungere alla conclusione, riguarda una forma di ipocrisia del Governo, un'ipocrisia a nostro giudizio inammissibile. Si afferma che il respingimento deve essere effettuato; ma si dice nel contempo che, avverso il respingimento che trova immediata attuazione, è ammesso il ricorso alla giustizia amministrativa. Ma com'è possibile concepire questa illogicità di carattere giuridico?
Il respingimento significa innanzitutto allontanare dalla costa chi vi approda, senza che costui sia ancora realmente entrato nel territorio nazionale e soprattutto senza che abbia avuto alcuna permanenza e residenza nello Stato italiano. Mi si deve dire allora che senso avrebbe, a fronte di questa fattispecie concreta, un ricorso alla giustizia amministrativa. Tale ricorso deve essere presentato quando una persona è stata effettivamente in Italia, ha ottenuto il nullaosta dal questore e quel nullaosta è stato poi revocato. In questo caso nasce l'interesse legittimo a ricorrere alla giustizia amministrativa, ma certamente non nel caso di respingimento.
Vi è un'ultima annotazione che intendo fare. Noi avevamo cercato di tipicizzare gli interventi, le condizioni per poter

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consentire il rilascio del nullaosta e l'abbiamo fatto - ne faceva cenno l'onorevole Gasparri - attraverso un esame delle condizioni di carattere soggettivo. Avevamo pertanto proposto e proponiamo - ed insisteremo su questo emendamento - che sono da considerarsi bisognosi di assistenza umanitaria e di protezione, ai sensi dell'articolo 1, i minori di età inferiore a 14 anni, le donne in stato di gravidanza o con figli di età inferiore ai 14 anni, gli anziani di età superiore a 70 anni, gli ammalati non in grado di deambulare e di compiere autonomamente gli atti quotidiani di vita, i minori di età inferiore a 18 anni che hanno fratelli di età inferiore a 14 anni. Una tipicizzazione questa tassativa, che avrebbe potuto anche essere integrata od ampliata, ma che avrebbe creato le premesse per dare attuazione al rigore normativo della formulazione dell'articolo 1, cui ho fatto riferimento poc'anzi.
Come vedete, noi non facciamo alcun tipo di ostruzionismo, ma cerchiamo di essere ligi alla nostra funzione ed ai nostri doveri di tutelare non solo il territorio italiano, facendo sì che esso non sia invaso da delinquenti, ma anche gli albanesi. Il nostro paese è sempre stato sul piano dell'ospitalità ricettacolo di tutti per la grande generosità degli italiani, ma non si può né si deve approfittare troppo, soprattutto quando questi effetti nefasti hanno come ragion d'essere un provvedimento veramente sconclusionato, contrario alle enunciazioni.
In conclusione, la nostra valutazione sul provvedimento è estremamente negativa. Avremmo potuto rivederla solo se si fosse provveduto ad introdurre quelle modifiche che, purtroppo, non potranno essere svolte. Per questo, ove ciò non avvenisse, già in fase di discussione sulle linee generali ribadisco la valutazione negativa del gruppo di alleanza nazionale (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Teresio Delfino. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame conferma certamente che la grave situazione determinatasi con l'eccezionale afflusso di extracomunitari provenienti dall'Albania non può essere ignorata. Il provvedimento testimonia altresì in modo inoppugnabile l'impreparazione del Governo rispetto a questi tragici avvenimenti. Queste responsabilità dell'esecutivo derivano da un approccio superficiale e da una valutazione dei flussi verso il nostro paese del tutto inadeguati anche in relazione agli avvertimenti ed ai rapporti circa quei flussi che pure in qualche misura erano stati fatti pervenire al Governo.
Appare quindi singolare che un Governo così intempestivo nell'accogliere le sollecitazioni ad individuare provvedimenti preventivi, che avrebbero sicuramente limitato il fenomeno, si trovi poi a dover assumere in stato di necessità un provvedimento del quale rileviamo alcune profonde ambiguità.
Nel merito del provvedimento, sul piano generale dobbiamo anzitutto verificare come esso all'articolo 1 non fissi alcun concreto parametro per la valutazione delle cause che giustificano le misure a favore degli stranieri esposti a grave pericolo per l'incolumità personale. È una questione che sicuramente dovrebbe trovare un affinamento legislativo, perché altrimenti credo che, in mancanza di prova contraria, dovrebbe valere l'affermazione dell'interessato.
Troviamo poi nel provvedimento una sorta di delega per l'azione dei prefetti delle province interessate che esclude qualsiasi rapporto con le autorità degli enti locali. Francamente ne siamo stupiti: nel momento in cui il Governo, attraverso diversi disegni di legge e proposte, ha cercato nelle scorse settimane di dimostrare di voler in qualche misura aumentare i poteri e le responsabilità degli enti locali, verifichiamo invece nel decreto-legge la mancanza di qualsiasi riferimento ad essi riguardo agli obblighi di assistenza umanitaria che si determinano con l'arrivo degli albanesi. Crediamo quindi che


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anche questo debba essere rilevato, non a fini strumentali, perché vi è ovviamente la necessità di evitare che, proprio per l'inconsistenza dell'azione preventiva del Governo, ricadano sulle teste dei cittadini delle diverse comunità locali provvedimenti e misure rispetto ai quali si dovrebbe determinare un rapporto ed un dialogo con le autorità locali.
Sostanzialmente, quindi, non si può convenire su un'impostazione che tenderebbe surrettiziamente a consentire il consolidamento della presenza di questi soggetti nel nostro paese. Credo sia illuminante in tale direzione quanto previsto dal comma 3 dell'articolo 1, nel quale sostanzialmente si prevede che tra le attività consentite per fare fronte alla situazione di emergenza vi siano l'assistenza igienico-sanitaria e le attività necessarie all'inserimento, all'integrazione sociale e culturale, alla formazione professionale e all'istruzione. Mi domando come queste misure, in sé certamente condivisibili per immigrati che giungano nel nostro paese in base a flussi regolamentati, possano effettivamente realizzarsi per coloro che vengono ospitati per un tempo molto limitato.
Credo quindi francamente che si voglia aggirare il problema e con questo trovare già un meccanismo (lo dirò poi più approfonditamente con riferimento all'articolo 2) per inserire proroghe e deroghe che consentano il mantenimento degli albanesi nel nostro paese. Rileviamo quindi, rispetto all'articolo 1, che l'esigenza di adottare serie misure di sicurezza e di avere la capacità di coniugare un'azione forte di legalità con una reale solidarietà viene di fatto strumentalmente prevista non tanto per offrire un aiuto limitato nel tempo, quanto per incardinare nel provvedimento una serie di azioni e di norme che favorirebbero il consolidamento degli albanesi nel nostro paese.
Affermiamo pertanto con franchezza che non vogliamo che il richiamo ai principi e ai doveri di accoglienza umanitaria copra le inefficienze di uno Stato che ha fortemente dimostrato le sue carenze nel momento in cui doveva anticipare la situazione che poi si sarebbe verificata. Intendiamo inoltre sollevare un'ulteriore questione con riferimento al provvedimento in esame, quella relativa al nullaosta previsto dall'articolo 2.
Riteniamo che il rilascio del nullaosta provvisorio di ingresso e di soggiorno, valido per 60 giorni e prorogabile fino a 90 giorni, richieda la previsione, in modo preciso e determinato all'interno del provvedimento, di quello che succederà dopo. Ciò è previsto per coloro che sono dediti ad attività criminose e per coloro ai quali venga revocato il nullaosta provvisorio, ma, per quanto riguarda i soggetti ai quali quest'ultimo non venga revocato e giunga quindi alla scadenza dei 60 o dei 90 giorni, sappiamo già, sulla base di esperienze passate, che se nel provvedimento non si specificherà chiaramente che non sono possibili altre proroghe, di fatto anche questa norma sarà in qualche misura, in via analogica, superata. Pertanto, le misure previste con riferimento al rimpatrio degli albanesi non si verificheranno.
In conclusione, signor Presidente, riscontriamo nel decreto-legge in esame, così come è stato presentato dal Governo ed approvato dal Senato, una indeterminatezza tale che si può immaginare qualsiasi omissione, qualsiasi discrezionalità, se non addirittura qualsiasi abuso. Diciamo con fermezza che non abbiamo alcun pregiudizio rispetto all'esigenza di dare assistenza umanitaria a chi si trova veramente in difficoltà. Ma riteniamo che se le misure da adottare immediatamente, al momento della scadenza, non saranno severe, precise e ben chiare il tasso di ambiguità delle norme farà sì che, come successivamente potremo verificare, gli albanesi, nonostante gli impegni del Governo, rimarranno nel nostro paese. E non mi riferisco soltanto a quelli che nel frattempo, per il modo in cui è stata organizzata l'accoglienza, si sono già resi irreperibili, ma anche a quelli che, ottenuto un nullaosta provvisorio, anziché accettare il rimpatrio rimarrebbero comunque come irregolari nel nostro paese.

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È una situazione che abbiamo già visto troppe volte nel passato, per cui non possiamo immaginare di comportarci nello stesso modo anche in questa occasione sulla base degli alti princìpi di assistenza umanitaria.
Sono queste le ragioni per le quali affermiamo che il provvedimento in esame è inadeguato e quindi siamo contrari.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gnaga. Ne ha facoltà.

SIMONE GNAGA. Intervenire su questo disegno di legge di conversione, come su qualunque altro avente ad oggetto la situazione albanese, richiama tutti noi a ritrovare le nostre responsabilità non solo per quanto è avvenuto in un recente passato, ma anche in uno più lontano.
È vero che i flussi migratori sono più ampi quando le distanze sono limitate.
In Albania vi è stato tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta un regime totalitario estremamente chiuso, che non ha permesso contatti in grado di favorire l'evoluzione dei diritti civili universalmente riconosciuti in occidente. Bisogna dire che da quegli anni è iniziata una corsa da parte di taluni italiani - forse anche soggetti legati alla malavita organizzata - che hanno trovato in Albania l'occasione per sfruttare quel popolo. Questo era davanti agli occhi di tutti noi, come è stato detto in precedenza. L'Italia predispose un aiuto, concretizzatosi nell'operazione Pellicano, peraltro durata anni e che ha visto l'intervento delle nostre truppe al fine di assicurare assistenza materiale e logistica.
Il problema è che in territorio albanese non si è operato un controllo sulle modalità di distribuzione degli aiuti e chi doveva gestirli non è intervenuto. La nostra missione in Albania fu dunque un fallimento (altre hanno avuto sicuramente esiti positivi), come quello registrato in Somalia.
Non parlo del Libano né del Mozambico, ma la missione Pellicano in Albania non ha dato i frutti sperati a livello europeo. Infatti l'Albania fa parte del Consiglio d'Europa ed i suoi esponenti all'interno di questa organizzazione internazionale hanno chiesto un grande contributo a tutti gli Stati membri, dichiarandosi disponibili a fornirne anche loro uno adeguato. Noi però non siamo riusciti a far crescere né la classe politica né il paese: non era compito nostro, ma del popolo albanese; tuttavia nel momento in cui interveniamo sul territorio dobbiamo registrare il fallimento. Non possiamo tuttavia affermare la responsabilità dell'Italia in tal senso; possiamo però addossargliene una per non essere riuscita a fornire risposte efficienti non solo in loco, ma neanche in Italia, all'interno dei nostri confini.
Dovremmo offrire un aiuto vero e non una misericordiosa carità, che può apparire anche offensiva, a poche migliaia di profughi. Siamo un paese che si vanta di far parte del G7 e che ritiene di appartenere alle democrazie occidentali avanzate. Ebbene, un paese di 54 milioni di abitanti non può essere messo in crisi, anche istituzionale, da 12 mila profughi. Bisogna poi vedere quanti di questi 12 mila profughi sono realmente all'interno dei nostri confini, ma di questo parlerò in seguito.
Tornando alla politica estera dirò che, fallendo la prima missione, abbiamo deciso (ma non è questo l'oggetto del provvedimento) di continuare con questa politica fallimentare. All'interno dell'organizzazione internazionale del Consiglio d'Europa (ne sono testimoni vari colleghi che ne fanno parte) gli unici soggetti che, a fronte di un rapporto da parte della Commissione difesa e politica che raccomandava a tutti gli Stati membri di intervenire immediatamente per garantire subito gli aiuti ad un paese membro, hanno presentato emendamenti erano parlamentari italiani, dell'una e dell'altra parte. Non farò i nomi: chi fa parte del Consiglio d'Europa li conosce. Oltre tutto, questi emendamenti sono stati oggetto di una dialettica molto accesa all'interno della Commissione difesa e politica del Consiglio d'Europa. L'Italia si richiamava


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alle sue responsabilità e questa potrebbe essere un'ulteriore giustificazione al fatto che parlamentari italiani presentassero proposte di modifica. Ma gli emendamenti presentati da esponenti di entrambe le parti sono stati talmente oggetto di derisione da parte della Commissione da non esser messi ai voti e sono stati ritirati dalle stesse persone che li avevano presentati. Tutto questo è agli atti del Consiglio d'Europa e i delegati che erano presenti possono testimoniarlo. Ma non si tratta di questo, quanto del fatto che noi nemmeno all'interno di organizzazioni internazionali siamo riusciti a far valere una nostra voce efficace e chiara. Questo, all'interno del Consiglio d'Europa. È poi di oggi (almeno, io ne ho conoscenza da oggi) una comunicazione del ministro degli esteri Dini al presidente della delegazione parlamentare italiana, onorevole Iotti, con la quale informa che dall'interno dell'Albania richiedono un cambiamento dell'organizzazione internazionale, che dovrebbe intervenire direttamente ed essere maggiormente soggetto in loco. Si richiede, in pratica, non dico una sostituzione, ma una complementarietà nelle funzioni in loco, passando dall'OCSE al Consiglio d'Europa. Il ministro degli esteri insiste poi perché ciò sia oggetto di colloquio con il presidente del Consiglio d'Europa in modo da consentire un intervento regolare, come era inizialmente previsto, con l'OCSE come soggetto principale.
Ho detto tutto questo per far capire come in politica estera vi fosse già una situazione altamente confusa, come già le fonti e le notizie che ci pervenivano prima ancora dell'intervento fossero assolutamente non concrete, spesso non prive di dubbi. Tanto che lo stesso sottosegretario per gli affari esteri nel corso di una trasmissione televisiva disse che non sapeva con chi parlare; tutti ricorderanno che l'onorevole Fassino disse di non sapere quale fosse il suo interlocutore, con chi poter parlare. Ecco quali erano le problematiche. Allo stesso tempo, il relatore, giustamente, parla del crollo del Governo. Ma un crollo di Governo non giustifica di per sé (facendo riferimento alla sovranità nazionale) un intervento militare estero. È il crollo di un sistema, non un crollo di Governo, a motivarlo. Un crollo di Governo, di cui ho sentito parlare, è legittimo; in Albania, invece, per le varie mancanze di politica estera è venuto a mancare proprio il sistema, quindi punti di riferimento. Non so se questi siano venuti a mancare; in questo caso non era compito mio né di altri, ma di esponenti del Governo, alcuni dei quali dicevano che non sapevano con chi parlare (si tratta di affermazioni pubbliche) mentre altri hanno portato avanti il loro compito - come hanno ritenuto - nel miglior modo possibile.
Passando alla politica interna, nello stesso tempo ci siamo trovati in una situazione direi di allarmismo estremo, per le notizie che apparivano quotidianamente sui giornali per le vicende che avvenivano in Albania. In Italia c'era un ritorno di immagine come se arrivasse un'orda di disperati nei confronti dei quali dovevamo per forza intervenire per dare un'immediata assistenza.
Certo, trovo giusto dare un'assistenza, però questo provvedimento parla di temporaneità e dov'è la temporaneità alla luce della norma del comma 3 dell'articolo 1? Come è già stato ricordato, non era questo il testo originario, ma questa norma è stata introdotta da un emendamento presentato al Senato dal gruppo di rifondazione comunista e poi approvato (quindi anche altri lo hanno accettato). Un emendamento di cui si può rimanere sorpresi se si considera - è la posizione non solo mia ma di tutto il gruppo - il carattere di temporaneità di un provvedimento del genere. Ebbene, in un provvedimento avente un carattere di temporaneità, il comma 3 dell'articolo 1 inserisce anche «attività proprie connesse con l'inserimento, l'integrazione sociale e culturale e la formazione professionale e l'istruzione»! Ciò nei confronti di profughi o di cittadini albanesi, che poi oltre tutto non è detto siano solo albanesi, perché potrebbero essere cittadini stranieri di zone limitrofe all'Albania, come il Kossovo o la

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Macedonia, che per motivi legittimi di salvezza o di ricerca di aiuto vengano in Italia. È vero che nel titolo del provvedimento si parla di stranieri provenienti dall'Albania, ma appunto non di «albanesi», per cui dall'Albania possono provenire anche cittadini di altre nazionalità.
Con questa aggiunta da parte del Senato viene meno il carattere di temporaneità e si introduce un concetto di permanenza, si prevede già un intervento futuro. Permettetemi di avere dei dubbi, nel momento in cui si va prefigurando il voto per gli extracomunitari che da anni risiedano in Italia. Non voglio collegare le due cose né fare un intervento demagogico o strumentale, però è lecito avere dei dubbi sulla reale efficacia di un emendamento del genere, che è passato con l'assenso di tutti.
Per sottolineare come la maggioranza sia così chiusa, ricordo quel che è avvenuto in Commissione affari sociali. Posso capire che esistano problemi di tempo quando si discute in maniera dialettica anche per dare un minimo supporto, pur sapendo che non ci sono i fatidici numeri, ma neanche in sede di parere in Commissione c'è stata la possibilità non dico di avere una soddisfazione personale o di gruppo, ma di dare almeno un contributo o di mettere in evidenza che anche soggetti dell'opposizione hanno lavorato, hanno fornito il loro apporto. In questo caso, non c'è verso: sono stati «blindati» persino i pareri delle Commissioni!
Uno di questi, proprio sul comma 3 dell'articolo 1, è stato espresso dalla Commissione affari sociali ed in esso si parla persino di ricongiungimento familiare, senza specificare dove. In Commissione un esponente della maggioranza, l'onorevole Ciani, oltre tutto con una valida esposizione, ha affermato che «è importante prevedere la possibilità di ricongiungimento familiare, privilegiando il luogo in cui risiedono i genitori». Ora, sappiamo tutti - è un dato oggettivo - che chi viene come profugo dall'Albania non giunge gratis, ma purtroppo deve pagare; ha una doppia disgrazia, perché oltre ad essere profugo in partenza, in fuga, paga una discreta cifra che va ad alimentare le casse della malavita organizzata. Ma alla luce di quell'affermazione si può pensare che ci siano bambini di 4 o 5 anni che da soli fuggano, pagando, per poi ricongiugersi con i genitori in Italia?
È evidente che qui si dà adito a dubbi soprattutto perché il ricongiungimento dovrebbe essere specificato; esso non è previsto, ma in ogni caso nel parere lo era. Noi della lega nord, ma anche altri, abbiamo chiesto che nel parere fossero specificate le modalità del ricongiungimento. Niente, anche in questo caso chiusura totale!
Fermo restando quella idiosincrasia (ormai non più dialettica costruttiva) che esiste tra la lega nord e vari esponenti delle prefetture, voglio ricordare il caso di un prefetto di una provincia toscana. Questi ha affermato pubblicamente che per quanto fatto non era tenuto ad informare il sindaco e che aveva agito in funzione di un'immediata efficacia; ciò gli ha permesso di non informare il sindaco (quello di Castiglion della Pescaia non è certo un sindaco della lega), e lo ha detto pubblicamente, come se niente fosse.
Vorrei ancora ricordare certe situazioni presenti in alcune zone della Toscana (e qui ci sono colleghi che ne sanno anche più di me). Per esempio quello di Siena è un comune, peraltro amministrato anche bene dal sindaco Piccini, che, come tutti sapete, non accetta di avere al suo interno campi nomadi. Ebbene, in una frazione della provincia è stato mandato un numero di nomadi superiore al numero di abitanti della stessa frazione.
Sono problemi, questi, che si sommano a quelli di politica interna, come è stato detto in precedenza. Secondo le stesse affermazioni del ministro dell'interno, sono migliaia i profughi presenti sul nostro territorio di cui abbiamo perso le tracce ed è evidente che una simile situazione necessita di provvedimenti immediati, ma soprattutto chiari. La sanzione nei confronti di chi viola una norma deve essere chiara ed applicata immediatamente. Purtroppo in Italia si vive in una situazione in cui l'applicazione della sanzione

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non fa più parte della norma e quindi mancando questa chiarezza viene a decadere molto spesso anche l'applicazione della norma nella sua integrità. Ma questo aspetto non è oggetto del provvedimento in esame.
Possiamo tuttavia richiedere che, in ogni caso, si mobilitino tutte le forze dell'ordine per ricercare queste migliaia di persone che (come è già stato detto) necessariamente, se non altro per mangiare, saranno costrette ad alimentare anche la microcriminalità presente sul territorio.
Passiamo ora alla politica sociale. Gli interventi socio-sanitari sono necessari nei confronti di queste persone. Ma dove vengono effettuati? Molto spesso in questi campi non c'è nemmeno la possibilità di poter effettuare immediate analisi, immediati interventi socio-sanitari per consentire a queste persone di affrontare quello che sarà sicuramente un periodo disagevole (un periodo che, in base al provvedimento in esame, va da sessanta a novanta giorni). Possiamo dare loro tutta l'istruzione o la formazione professionale che vogliamo ma in ogni caso secondo il provvedimento il periodo va comunque da sessanta a novanta giorni.
I provvedimenti non sono stati immediati né sono molto chiari; per determinati settori, non sappiamo nemmeno (non essendoci i libretti sanitari) a quale profilassi sanitaria si siano sottoposti i profughi albanesi fin da quando erano nel loro territorio.
La situazione è dunque estremamente caotica né riusciamo a sapere quanti siano i profughi presenti in Italia. Oltretutto questi continuano ad arrivare, per cui bisognerebbe vedere cosa fanno le nostre truppe del contingente multinazionale sul territorio, visto che continuano a partire non barchine ma barche abbastanza ampie e in grado di imbarcare un numero elevato di profughi. E faccio notare che non è che ce ne dobbiamo accorgere nel momento in cui queste sono arrivate a 40-50 miglia dalle nostre coste! Oggi con un sistema satellitare di controllo è possibile persino vedere gli albanesi mentre si imbarcano sulle loro spiagge. Non si tratta di una attività di spionaggio né è anormale effettuare una azione di prevenzione in loco.
Una funzione di deterrenza potrebbe essere svolta dalla presenza di un maggior numero di truppe. In tal modo si potrebbe arrestare l'azione della malavita organizzata e questa cesserebbe di incassare miliardi; inoltre ciò comporterebbe anche per noi un minore esborso di denaro. Infatti, questa gente non arriva nell'«America», come si suol dire, ma giunge in un paese che non è in grado di dare una risposta efficace ai suoi problemi.
Sempre l'articolo 1, comma 3, parla di risarcimento di eventuali danni. Ebbene, gli eventuali danni a chi andrebbero risarciti? Anche tale problema è stato oggetto di discussione nella XII Commissione, perché non è chiaro chi sia il soggetto da risarcire e di quali danni dovrebbe essere rimborsato. Si dovrebbe trattare di danni provocati da cittadini albanesi, o per meglio dire da cittadini stranieri provenienti dall'Albania, perché questo è il termine giusto, e subiti da cittadini italiani? Oppure si dovrebbe trattare della situazione opposta? Dallo spirito della norma desumo che riceveranno eventuali risarcimenti soltanto cittadini albanesi per danni provocati da cittadini italiani.
Inserire una simile previsione in una norma è vago e non è funzionale all'obiettivo reale che si dovrebbe raggiungere, quello di dare una immediata e temporanea assistenza a cittadini europei, perché di cittadini europei si tratta, che hanno bisogno di aiuto e che è giusto aiutare.
Non dobbiamo però prenderci in giro, perché questo provvedimento non aiuta, ma consente di coprire delle carenze di ordine legislativo, logistico ed organizzativo dell'Italia. In un momento in cui si parla tanto di mondializzazione e di globalizzazione dei mercati, se ci mettono in difficoltà 12 mila profughi provenienti dall'Albania, pensiamo ai problemi che incontreremo quando ci saranno flussi migratori ben superiori.

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Quindi non siamo in grado di far fronte a simili problemi, anche se credo che, se fossimo organizzati molto meglio e in modo molto più razionale sul territorio, potremmo ancora far fronte alle esigenze di un simile numero di profughi. Non si possono mandare a Chiusdino, nella frazione Palazzetto, che ha 80 residenti, 120 albanesi, perché ciò vuol dire creare delle zone a rischio. Prima o poi dei conflitti si determineranno, senza responsabilità dell'uno e dell'altro. È normale, non giusto, ma logico! Non è segno di maturità né di senso di coscienza; sarebbe invece senso di coscienza dare una risposta efficace ed immediata a questi cittadini.
Ci troviamo però in una situazione tale che non si possono sostenere tesi del genere neanche in Commissione, perché qualsiasi tipo di provvedimento viene «blindato», né è possibile trovare espressione in un parere diverso da quello voluto dalla maggioranza. Quindi è impossibile qualsiasi tipo di azione all'interno della Camera.
Perché dobbiamo continuare ad andare avanti in un modo così provvisorio? Perché non si riesce ad effettuare una redistribuzione sul territorio non solo dei profughi, ma anche degli stessi cittadini italiani, dal momento che ve ne sono molti che hanno esigenze analoghe a quelle dei profughi, se non maggiori? Perché andiamo avanti con provvedimenti di carattere temporaneo che però esplicano interventi permanenti. Questo avviene forse per poter sfruttare in futuro le eventuali carenze contenute nella norma o le conseguenze positive di un atto di questo genere? Tutto questo non è possibile per problemi sia di politica estera (come ho già detto) sia di politica interna. Non dimentichiamo che in questo momento registriamo la totale assenza dello Stato dal territorio.
Signor sottosegretario Sinisi, se non si riescono a fermare otto persone con un blindato che riescono ad arrivare a piazza San Marco a Venezia, immaginiamo se riusciremo mai a controllare 4 mila persone, di cui non sappiamo né nome né cognome, che vanno in giro per l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)! Non prendiamoci in giro! Non può esserci un controllo valido ed efficace sul territorio, vuoi per l'ampiezza vuoi per la lunghezza dei confini marittimi; non siamo nemmeno in grado, come ho già detto, di controllare quando e da dove partono le navi, anche se sarebbe sufficiente avvalersi di un banalissimo sistema satellitare, attraverso il quale è possibile sapere tutto quello che avviene sul territorio albanese e quindi prevenire le ondate di profughi.
Concludo il mio intervento affermando la mia totale contrarietà ad un provvedimento del genere sottolineando che (mi auguro che nessuno interpreti le mie parole in modo strumentale) da parte mia non c'è alcun sentimento di tipo etnico. Dobbiamo dare una valida assistenza a queste persone ma il provvedimento al nostro esame contiene solo un insieme di affermazioni demagogiche con l'auspicio di dare, di qui a cinque anni, non si sa bene cosa. In particolare esso non darà una risposta efficace anche a quei cittadini italiani che spesso non ricevono alcuna garanzia da norme come quella contenuta nell'articolo 1, comma 3. Intendo dire che non tutti i cittadini italiani hanno la garanzia della formazione professionale, dell'istruzione e dell'integrazione sociale e culturale, ma penso che non ci sia nulla di razzista nell'affermare che occorre pensare a tutti, anche ai profughi albanesi, ma soprattutto agli italiani che ne hanno bisogno (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

VASSILI CAMPATELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

VASSILI CAMPATELLI. Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VASSILI CAMPATELLI. Giunti a questo punto della discussione, vorrei svolgere


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una brevissima considerazione richiamando l'attenzione dei gruppi e la loro disponibilità su un possibile approdo dei nostri lavori nella giornata odierna e, conseguentemente, su quelli di domani. Valutando anche il numero delle iscrizioni a parlare nella discussione generale e gli interventi che hanno già avuto luogo, forse potremmo convenire di giungere questa sera (chiedo una disponibilità in questo senso che risponda alle esigenze di tutti i gruppi) all'esaurimento della discussione generale e della discussione sul complesso degli emendamenti, con l'espressione dei relativi pareri, al fine di utilizzare le ore che restano di questo pomeriggio. Chiediamo dunque l'impegno di tutti (e a tal fine chiediamo anche una formalizzazione da parte della Presidenza) per decidere di passare nella giornata di domani alle votazioni.
Noi crediamo che in tale maniera si possa avere tempo e modo per lo svolgimento del confronto in aula, che si possa rispondere alle esigenze di illustrare le posizioni di tutti i gruppi e che si possa anche - in parte - rispondere alle esigenze che hanno spinto pure noi, alcune ore or sono, a proporre l'inversione dell'ordine del giorno.
Consegno queste riflessioni e questa proposta all'attenzione del Presidente e dei rappresentanti dei gruppi ed auspico, a questo punto, che si possa convenire su un percorso di quel tipo, al fine di consentire a tutti i colleghi di poter organizzare il prosieguo della giornata lavorativa.

PRESIDENTE. Onorevole Campatelli, lei ha rivolto un invito alla Presidenza, che però non può far altro che chiedere l'opinione sulla sua proposta ai rappresentanti dei gruppi che hanno un numero rilevante di propri deputati iscritti a parlare nella discussione sulle linee generali.
Chiedo pertanto agli onorevoli Lembo e Gasparri se intendano accogliere o integrare la proposta testé formulata dall'onorevole Campatelli, oppure se intendano esprimere un diniego al riguardo.
Prego, onorevole Lembo.

ALBERTO LEMBO. È abbastanza curioso ascoltare una richiesta come quella testé formulata dall'onorevole Campatelli che, solo poche ore fa, aveva avanzato una proposta di inversione dell'ordine del giorno. Preciso, peraltro, che se vi è stato un gruppo che ha votato contro tale proposta è proprio quello della lega nord per l'indipendenza della Padania; mentre la maggioranza ha appoggiato la richiesta, il Polo si è astenuto...

SERGIO COLA. Non è vero: il Polo ha votato contro!

ALBERTO LEMBO. ...e noi abbiamo votato contro.
Ora, invece, poiché la maggioranza si trova inguaiata e con i lavori dell'Assemblea che stentano ad andare avanti, lancia segnali di aiuto.
Fatta questa premessa sulle posizioni dei vari gruppi in aula, noi non abbiamo una preclusione ad accettare questa richiesta, nel senso che le iscrizioni a parlare dei deputati del nostro gruppo nella discussione sulle linee generali possono essere spostate - accogliamo quindi la richiesta - alla discussione sul complesso degli emendamenti, anche perché in questo modo vi sarà comunque lo spazio per potersi pronunciare sul merito della questione.
Per quanto riguarda l'ordine dei lavori dell'Assemblea, ci interessa avere dal Presidente la conferma non tanto e non solo dell'orario di chiusura della seduta odierna (perché è già stato stabilito che dovrà terminare alle 21), quanto l'assicurazione che comunque, con l'espressione dei pareri sugli emendamenti, l'esame di questo punto dell'ordine del giorno verrà rinviato alla seduta di domani.
Ripeto: quella che è stata formulata dall'onorevole Campatelli è una richiesta curiosa e per certi versi abbastanza divertente, ma in ogni caso non siamo contrari ad accoglierla, sempre tenendo presente che - guarda caso! - tale


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proposta viene rivolta proprio da chi era del tutto contrario a procedere in questo modo nei lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Mi pare che l'onorevole Lembo abbia integrato la proposta formulata dall'onorevole Campatelli con la richiesta di rispettare l'orario previsto per il termine della seduta.
Onorevole Gasparri, nel prendere atto che l'onorevole Campatelli è favorevole a quest'ultima richiesta, vorrei conoscere la sua opinione al riguardo.

MAURIZIO GASPARRI. A nome del gruppo di alleanza nazionale, mi associo alla richiesta formulata dall'onorevole Lembo, perché anche noi siamo interessati alla discussione sul merito degli emendamenti che avverrà domani e perché non intendiamo offrire pretesti formali per evitare un esame sereno sul merito del decreto-legge, affinché si possa anche correggerlo senza considerarlo un testo sacro ed intangibile. Solo i dieci comandamenti sono tali!

PRESIDENTE. Mi pare di capire, quindi, che secondo le indicazioni emerse si convenga di rinunciare agli interventi nella discussione sulle linee generali prevedendo invece gli interventi dei colleghi nella discussione sul complesso degli emendamenti.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Vorrei fare soltanto una osservazione a titolo del tutto personale, Presidente, ma credo di interpretare lo stato d'animo di diversi colleghi di vari settori.
Presidente, nel caso specifico mi pare che possa andar bene il modo su cui si sta convenendo di procedere e che lei si accinge a disporre e, cioè, che gli iscritti a parlare nella discussione sulle linee generali restano prenotati per la discussione sul complesso degli emendamenti. Si tratta di una specie di traslazione della discussione e dei contributi che potrebbero venire da essa alla discussione sul complesso degli emendamenti. Non cambia molto nella sostanza e può anche andar bene nella fattispecie; tuttavia, quello che mi comincia seriamente a preoccupare, e forse avrebbe dovuto preoccuparci da prima, è che tutte le difficoltà di ordine politico e procedurale che su una serie di argomenti si vanno manifestando nei rapporti tra maggioranza e opposizione e nei lavori del Parlamento si stanno di fatto risolvendo - su questo richiamo l'attenzione degli onorevoli colleghi - in un costante sacrificio delle discussioni generali. Mi riferisco, in particolare, al fenomeno per il quale stiamo ormai confinando tutte le discussioni nei tempi morti e deserti di quest'aula.
Tutto questo, naturalmente, è solo in parte responsabilità delle forze politiche, in parte lo è anche della Presidenza e della Conferenza dei presidenti di gruppo, in parte lo è di ciascuno di noi parlamentari e dei gruppi nel loro insieme. So benissimo quali possano essere le concause convergenti su tutto questo, ma attenzione, perché stiamo dando un ulteriore contributo di tipo istituzionale - oltre a quello che stiamo già dando, e che il Governo sta dando, in termini politici - al declassamento delle funzioni del Parlamento, anche mediante la messa all'angolo del dibattito parlamentare.
Tutti comprendiamo che le «ostruzioni» di per sé non sono atti da cui possono derivare effetti positivi, se non in quanto legittimati da arbitri e situazioni intollerabili che una maggioranza o un Governo possono porre in essere. Tutti comprendiamo che i tempi lunghi non sono più graditi né a noi né, tanto meno, all'opinione pubblica, ma non possiamo fare a meno di riflettere seriamente su quanto nelle aule parlamentari - parlo al plurale - si sta verificando.
Non possiamo pensare, onorevoli colleghi e onorevole Presidente, di risolvere i problemi che ad ogni piè sospinto si pongono nel procedere dei nostri lavori


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con il mettere al bando o con l'imporre il silenziatore a quella che dovrebbe essere la parte nobile, la parte nevralgica dei lavori parlamentari, cioè il dibattito. Compito di ciascuno di noi e dei nostri gruppi è quello di rivalutare la funzione, la congruità e la dimensione del dibattito ma, attenzione, compito nostro e anche della Presidenza e della Conferenza dei presidenti di gruppo e dei direttivi dei gruppi è quello di rimettere al centro del Parlamento il saper parlare, il sapersi confrontare, al fine di dare un contributo critico all'esame dei provvedimenti.
Ho preso lo spunto da questa circostanza specifica per la quale, ripeto, può anche andar bene la traslazione di una sorta di discussione generale sull'argomento, ma dobbiamo stare attenti a non dare un ulteriore contributo alla liquidazione del ruolo fondamentale e delle prerogative più gelosamente difendibili del Parlamento stesso.

PRESIDENTE. Mi paiono accettabili, onorevole Benedetti Valentini, le sue indicazioni.

ELIO VITO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Sarò brevissimo, Presidente. Rispetto alle interessanti osservazioni del collega Benedetti Valentini, rilevo che mi pare che stiamo svolgendo una discussione generale in un giorno in cui, teoricamente, dovrebbe essere massima l'attenzione dell'Assemblea. Effettivamente non possiamo chiedere altro di più che svolgere una discussione generale di martedì pomeriggio; quindi mai come in questo caso stiamo svolgendo un dibattito in condizioni dove teoricamente l'attenzione da parte del Governo e dell'aula è massima. Non è questo, pertanto, il punto.
Rispetto alla proposta del collega Campatelli, vorrei ribadire una volta per tutte quanto è già stato detto al Governo e alla maggioranza, visto che mi pare sia questo che viene chiesto dai rappresentanti della maggioranza ai gruppi dell'opposizione, in una condizione che può anche essere un pochino spiacevole ed umiliante perché si rischia di fare un processo alle intenzioni dei gruppi di opposizione, dei quali, tra l'altro, non ci si vuole neanche fidare quando assumono impegni, nonostante abbiano dimostrato di tenervi fede. Ribadisco quindi con chiarezza qual è il nostro punto di vista su questo e sugli altri provvedimenti, sul confronto parlamentare opposizione-maggioranza, opposizione-Governo.
Onorevole Campatelli, se avessimo voluto fare ostruzionismo, avremmo fatto intervenire i nostri deputati in dissenso in ordine alla deliberazione ai sensi dell'articolo 96-bis, e in quel caso non ci sarebbe stata chiusura della discussione generale che tenesse.
Non è quindi questo il nostro intendimento. Se avessimo voluto fare ostruzionismo, anziché iscrivere tre deputati di forza Italia (che poi si sono ridotti a due), anziché ridurre il numero degli iscritti a parlare del gruppo di alleanza nazionale, avremmo mantenuto un numero tale di iscritti da costringere la maggioranza a chiedere la chiusura della discussione. Ma noi non intendiamo offrire a questa maggioranza ed a questo Governo debolissimo, pieno di contraddizioni politiche interne su qualsiasi tema si affronti in Assemblea (dal «pacchetto» Treu all'Albania in questa settimana ed alla manovra di Pasqua nella settimana scorsa), un Governo debolissimo politicamente e numericamente, l'alibi di un ostruzionismo - che infatti non facciamo - per dare la possibilità al Governo debolissimo di evitare il confronto di merito con l'opposizione e di ricorrere o alla posizione della questione di fiducia o alla chiusura della discussione generale.
Sul provvedimento in questione, così come stiamo facendo su tutti i provvedimenti, anche su quello della scorsa settimana, il Polo ha presentato venti emendamenti. Noi, come opposizione, non vogliamo altro che il Governo, rispetto alle nostre proposte di merito che lo stesso


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sottosegretario Sinisi dichiara essere condivisibili, ci dia una risposta di merito. Per noi sarebbe inaccettabile che ci venisse risposto non sul merito, ma appellandosi al fatto che, essendoci una sola settimana di tempo, il provvedimento va licenziato nel testo del Senato; ripeto, ciò sarebbe inaccettabile. Si tratterebbe di una modifica di fatto del sistema bicamerale oggi vigente: non si può svolgere la discussione su un decreto-legge solo in un ramo del Parlamento; non si può dire ai colleghi Gasparri e Serra che non è possibile accogliere i loro emendamenti perché sono deputati e non senatori, e viceversa, su un altro provvedimento, dire ai colleghi senatori che non si possono accogliere i loro emendamenti perché un testo è rimasto quaranta giorni alla Camera e quindi al Senato se lo devono «bere» così com'è.
Non accettiamo, dunque, una tale risposta. Il parere del Governo, per quanto possa essere favorevole ad alcune proposte dell'opposizione, a cosa deve essere subordinato? Alla verifica tecnica con gli uffici del Senato per valutare se sia possibile che si scomodino a tenere aperta l'Assemblea del Senato un giorno in più. Si tratta di verifiche politiche. E noi abbiamo bisogno di una risposta politica da parte del Governo e della maggioranza. Se il Governo ritiene che alcuni emendamenti dell'opposizione, nell'ambito del confronto parlamentare, siano migliorativi del testo e concretizzino la primaria facoltà del deputato di emendare i provvedimenti (quando non esisteva ancora l'iniziativa legislativa, era previsto almeno il diritto emendativo sui provvedimenti dei consiglieri del re) e se non intende stravolgere quello che è il principale diritto di un deputato, ce lo dica. Se non intende farlo - come non è possibile farlo - allora chiediamo un «sì» o un «no» sul merito.
Onorevole Campatelli, stia tranquillo, per quanto ci riguarda - l'ho già detto - questa sera possiamo chiudere la discussione sulle linee generali, possiamo esaurire la discussione sul complesso degli emendamenti, possiamo addirittura chiedere alla Presidenza di prevedere le votazioni per domani pomeriggio; se volete stare più tranquilli, facciamogli dare il preavviso regolamentare per le votazioni.

VASSILI CAMPATELLI. Troppo buono!

ELIO VITO. Ma dovete dirci se siete favorevoli o contrari ai nostri venti emendamenti. Se siete favorevoli, allora è compito del Governo e della maggioranza approvare le modifiche ed assicurare che il Senato si riunisca in tempo utile. Se invece siete contrari, dovete dirci un «no» sul merito e dovete essere pronti a pagare il costo politico che può derivare dal respingere proposte dell'opposizione che voi stessi considerate migliorative, poiché possono contribuire al miglioramento della gestione dell'ordine pubblico e della sicurezza. I nostri emendamenti prevedono quelle modifiche che le stesse Forze armate e le forze di pubblica sicurezza vi chiedono, poiché sulla base del decreto formulato, male, dal Governo, come tutti i provvedimenti dell'esecutivo, non riescono ad applicare le norme che voi, ministro Bogi, avete scritto. Non rida, perché è così!

GIORGIO BOGI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Non rido!

ELIO VITO. Avete previsto disposizioni che sono impossibili da eseguire e che mettono in difficoltà chi le deve attuare, oltre a mettere a rischio i cittadini.
Presidente, la proposta dell'onorevole Campatelli, per quanto ci riguarda, è inutile. Volete fare la «traslazione» degli iscritti a parlare? Fatela, fate l'interposizione temporale e tutto quello che volete, purché il Governo ci dica qual è la sua opinione sui venti emendamenti presentati dal Polo. Deve avere il coraggio di dire «sì», se è favorevole, e «no» se è contrario. Se è favorevole, deve assicurare l'approvazione del provvedimento, con ulteriori modifiche, in tempo utile al Senato; se è contrario, deve esserlo sul merito. Dovete dire, sottosegretario Sinisi,


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che quelle proposte non sono migliorative. In Commissione avete detto di no perché non c'è tempo per modificare il provvedimento. Questa è per noi una motivazione inaccettabile, umiliante per il Parlamento.
Avremmo potuto risolvere tutto, Presidente, se questa mattina, in quell'ora e 10 minuti che sono stati dedicati dalla Commissione all'esame degli emendamenti, anziché dichiarare che quegli emendamenti erano giusti ma non vi era il tempo di riesaminare il provvedimento al Senato (non so quale funzionario ci dice che non può riunirsi di venerdì), il Governo avesse dichiarato di condividerli e di accettarli. Gli emendamenti sarebbero giunti in Assemblea nel testo della Commissione, avremmo votato quel testo e saremmo già tornati ad occuparci del pacchetto Treu.
Onorevole Campatelli, ci dispiace che lei abbia voluto una dichiarazione pubblica di affidabilità. Per quanto ci riguarda non abbiamo alcuna difficoltà a ribadire l'atteggiamento dell'opposizione in merito al confronto parlamentare: nessun alibi ad un Governo debolissimo. L'esecutivo deve venire in Parlamento e confrontarsi con le proposte dell'opposizione. Non vi abbiamo mai dato e non vi daremo mai l'alibi per utilizzare quegli strumenti eccezionali, che sono diventati la prassi e la normalità, attraverso cui il Governo riesce a sopravvivere in Parlamento nonostante non abbia la maggioranza nel paese (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Mi sembra che tutti gli interventi, in realtà, siano favorevoli alla proposta fatta relativamente all'aspetto tecnico. Sul piano politico, evidentemente, lo sguardo si volge al rapporto tra maggioranza e Governo e tra quest'ultimo e l'opposizione. Mi sembra che queste siano le ultime parole a corredo dell'intervento dell'onorevole Vito.
Prima di procedere alle repliche del relatore e del Governo - sottosegretario Sinisi, non mi guardi ed attenda il suo turno; dopo di che credo che lei possa un po' aiutarci a sbloccare la situazione -, poiché alcuni colleghi che erano iscritti a parlare hanno acconsentito a trasferire di fatto, per così dire, con la buona volontà di tutti, i loro interventi sul complesso degli emendamenti, chiedo all'onorevole Lembo quali siano i colleghi della lega che intendono parlare in questa fase.

ALBERTO LEMBO. Signor Presidente, tutti quelli presenti in aula.

PRESIDENTE. Anche lei, come me e come gli altri, intende rispettare il termine delle ore 21?

ALBERTO LEMBO. I colleghi che intendono ora parlare non sono obbligati a farlo, quando giungerà il loro turno, se non lo ritengono. Al momento sono presenti ed hanno diritto di intervenire. Chiamati, dichiareranno se intervengono o meno.

PRESIDENTE. La ringrazio per la collaborazione, onorevole Lembo.
Dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Maselli.

DOMENICO MASELLI, Relatore. Naturalmente svolgerò una replica piuttosto breve, anche perché vi sarà poi necessità di discutere anche sul complesso degli emendamenti.
Vorrei garantire al collega Serra che noi non confondiamo i rifugiati con gli immigrati e credo anche che non sia legittimo affermare che, per mangiare, gli eventuali 3 mila fuggiaschi siano per forza passati alla microcriminalità. Questo è chiaramente un processo alle intenzioni che non siamo in grado di fare. Possono esserci anche molte altre ragioni, come, ad esempio, il raggiungimento di eventuali parenti che si trovino in Italia, anche se ci auguriamo che ciò non avvenga. Siamo attenti però a dare dei segnali che possono non corrispondere alla realtà.
Vorrei anche dire al collega Fontan che se è vero che in un anno sono stati


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arrestati più di 3 mila albanesi, vuol dire che un controllo c'è, che questo nostro paese non è senza controllo, altrimenti quegli arresti non sarebbero avvenuti.
All'onorevole Cola ho molto da dire anche per l'amicizia che ci lega da sempre. Non si può certo venire meno al dovere di dire la verità, ma è strano che l'amico Cola affermi di voler correggere quello che ha detto in Commissione perché non aveva guardato le date e poi, di fatto, lo ripeta qui.
In realtà, il 20 marzo l'operazione in Albania non era ancora cominciata e addirittura non si poteva ancora ipotizzare nelle forme in cui è stata successivamente ipotizzata; altri passaggi sono avvenuti dopo, perché si è dovuto attendere il consenso dell'ONU, le richieste di altri organismi eccetera. Certamente, inoltre, questo decreto-legge, proprio per la sua temporaneità, non può essere nelle condizioni di risolvere i problemi che sono stati posti dalla crisi albanese; altrimenti non sarebbe un decreto-legge, perché automaticamente mancherebbe la sua funzione, che è quella di tampone provvisorio. Questa è la funzione di un decreto-legge: ben altra è quella di una legge organica. Da questo punto di vista, quindi, non mi meraviglio per il fatto che il decreto non possa provvedere.
Del problema se il questore debba o possa rilasciare il nulla osta abbiamo già parlato questa mattina in Commissione: mi sembra che sia un problema interessante, intelligente ma chiaramente il «può» non indica che «deve» rilasciare il nulla osta. Nel momento stesso in cui si indicano le condizioni per il rilascio, mi sembra che esse siano relative al «può» e che quindi si chiarisca questo aspetto. Se si prevedesse un «deve», le condizioni potrebbero sembrare in qualche modo aleatorie: quindi, non si «deve» ma si «può», se vi sono le condizioni previste. Mi sembra che questo sia il senso della disposizione, anche se devo dare atto che non sempre le forme dei decreti e delle nostre leggi sono quelle che tutti ci auguriamo, cioè chiare e comprensibili ai cittadini, come abbiamo detto tante volte.
Per quanto riguarda il problema di tipicizzare le condizioni ed il dovere di tutelare non solo gli italiani ma anche gli albanesi, sono naturalmente d'accordo. Lo stesso voglio dire a Teresio Delfino, che chiede una precisazione perché i novanta giorni non siano superati: in realtà, non è richiesta una precisazione, perché sono indicati due termini. Mi fa piacere sentire che non vi è alcun pregiudizio ad aiutare chi è in difficoltà, anche se si osserva che occorre un intervento preciso e perciò si è contrari: ecco, vorrei dire che, se non vi è pregiudizio, non vi è neanche la possibilità di fissare le qualità, perché quando avrete fissato tutte le qualità di chi è in bisogno ve ne sfuggirà sicuramente qualcuna, come è umano; anzi, più specifichi, più sei incompleto.
Sono stato contento del lungo discorso di Gnaga: quaranta minuti per far perdere tempo e tuttavia alcune cose interessanti le ha dette. Per esempio, ricordarci della nostra emigrazione non è un male. Vi erano però delle inesattezze: non è vero che il Consiglio d'Europa non ci abbia ascoltato; lo scorso 24 aprile vi è stata una raccomandazione sull'Albania nell'ambito della quale hanno parlato Brunetti, Martelli, Pozza Tasca, Polenta, Squarcialupi, Besostri. Quanto al crollo del Governo o del sistema, in effetti posso essere stato incerto tra Governo e sistema: in realtà il sistema non è crollato, non avendo il Presidente dato le dimissioni ed essendosi poi formato un altro Governo; ma questo rileva soltanto come prova che si stanno ascoltando le varie personalità.
Il problema dei bambini che si ricongiungono ai genitori è un problema grave. In realtà, vi sono stati bambini che purtroppo hanno viaggiato davvero da soli; non è colpa nostra, chiaramente, ma è nostro compito cercare di identificarli e di farli ricongiungere con i loro genitori, nel nostro paese o in Albania. Non possiamo certamente lasciare questi bambini nelle condizioni in cui sono arrivati; anche se non per colpa di noi italiani, vi sono stati casi di bambini abbandonati, di bambini che, forse apposta, sono stati separati dai genitori.

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A mio avviso, non possiamo sempre dire che gli albanesi alimenteranno la microcriminalità. Vorrei che su questo vi fosse molta chiarezza tra di noi, in quanto occorre distinguere tra i criminali e quelli che hanno autenticamente bisogno, verso i quali dobbiamo essere aperti.
Nell'intervento dell'onorevole Benedetti Valentini ho sentito un grande appello che non posso non condividere, anche se credo che oggi la nostra società (mi permetto di esprimere un'opinione personale) non sia più, come nell'ottocento e nel primo novecento, la società dei grandi discorsi organici. Ritengo che si possa occupare meno spazio ed avere una maggiore incisività. Se trovassimo nel nostro regolamento delle formule per cui i tempi si abbreviano ma l'incisività aumenta, sarebbe un vantaggio per tutti, anche per chi ci segue al di fuori di qui e deve apprezzare il nostro Parlamento. In questo caso, se i tempi fossero ridotti, potremmo essere più presenti in un dibattito che investe alti problemi morali come quello che stiamo svolgendo in questo momento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIANNICOLA SINISI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Presidente, onorevoli colleghi, la replica che ha svolto il relatore mi esonera dal dover ripetere argomenti che già sono stati puntualmente illustrati dall'onorevole Maselli. Ritengo che sia invece doverosa da parte mia una precisazione, che può avere suscitato dei dubbi perché è stata posta in maniera tranchant, come un'affermazione che avrei fatto in ordine all'inemendabilità del provvedimento in esame. Io non conosco un istituto giuridico del genere; ho rappresentato la preoccupazione, credo assolutamente legittima, che il decorrere del tempo potesse non consentire una trattazione approfondita del provvedimento e - giustamente - quell'ampiezza del dibattito che viene qui reclamata.
Non intendo affatto sottrarmi, peraltro, alla discussione nel merito di ciascuno degli emendamenti che sono stati presentati, pur dovendo fare una distinzione tra gli altri e quelli proposti dal Polo per le libertà, che pure sono stati discussi stamattina nel Comitato ristretto, dove ho rappresentato la possibilità che taluni di essi possano trovare un sostanziale accoglimento attraverso provvedimenti di tipo diverso rispetto all'emendamento. Nel momento in cui discuteremo i singoli emendamenti presentati, avrò la possibilità di illustrare le ragioni sulla base delle quali ritengo che quegli emendamenti non siano necessari e, pur tuttavia, le ragioni che li ispirano hanno una loro profonda legittimazione. Ma quali altri strumenti sono dati? Alcuni di essi hanno già una disciplina di carattere secondario attraverso fonti normative e regolamentari che il Ministero dell'interno ha già adottato. In questo senso, intendo illustrare ciascuna delle posizioni del Governo in relazione a ciascuna delle esigenze che il Polo per le libertà, ed in particolare alleanza nazionale e forza Italia, hanno rappresentato nei venti o ventuno emendamenti presentati.
Analogamente avrei fatto per gli emendamenti presentati dai deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, ma debbo dire che mi è stato davvero difficile entrare in una discussione costruttiva davanti a molti emendamenti che recano soltanto, per gruppi, l'elencazione di malattie probabilmente infettive sulle quali i deputati di quel gruppo hanno evidentemente ritenuto di dover intrattenere il Parlamento ed il Governo, anch'essi per una legittima contrapposizione rispetto al provvedimento adottato dal Governo.
Non intendo né fare una critica per questa scelta né censurare in alcun modo la volontà di presentare oltre 150 emendamenti. Debbo però soltanto ribadire la difficoltà di instaurare un dialogo costruttivo sulla base delle proposte che sono state avanzate dai deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania.
Pertanto, avendo ritenuto di comprendere la proposta dell'onorevole Campatelli,


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accolta dall'Assemblea, di concludere questa sera anche la discussione sul complesso degli emendamenti e di procedere pure all'espressione dei pareri, mi riservo, comunque, nell'espressione del parere su ciascuno degli emendamenti che verranno formulati di esprimere un compiuto parere del Governo su quella che, a nostro avviso, è la soluzione migliore per rendere ancora più efficace il merito di questo provvedimento.

PRESIDENTE. Do lettura del parere espresso in data odierna dalla Commissione bilancio:
La V Commissione (Bilancio), esaminato per quanto di competenza il disegno di legge n.3637, di conversione in legge del decreto-legge 20 marzo 1997, n.60, ed i relativi emendamenti contenuti nel fascicolo n.1;
considerato che successivamente all'emanazione del decreto-legge n.60 del 1997 è stato emanato il decreto-legge 24 aprile 1997, n.108, recante norme per la partecipazione italiana alle iniziative internazionali in favore dell'Albania, il cui articolo 6 ha apportato modificazioni al decreto-legge n.60 del 1997, modificando in particolare la forma di copertura finanziaria: infatti, a seguito dell'emanazione del decreto-legge n.108 del 1997, la copertura finanziaria del decreto-legge n.60 del 1997 viene posta a carico del capitolo 4239 dello stato di previsione del Ministero dell'interno e non più a carico del capitolo 4302 del medesimo stato di previsione, come previsto dall'originario articolo 4, comma 2, primo periodo, del medesimo decreto-legge n.60, senza che peraltro sia espressamente disposta l'abrogazione del citato periodo;
constatato che il Governo non ha assunto alcuna iniziativa mirata a coordinare le disposizioni contenute nel decreto-legge n.60 del 1997 con quelle introdotte dal decreto-legge n.108 del 1997, in particolare per quanto attiene alla copertura finanziaria dei previsti interventi; esprime
PARERE FAVOREVOLE
a condizione che la norma di copertura finanziaria recata dall'articolo 4, comma 2, del decreto-legge n.60 del 1997 sia coordinata con le modificazioni introdotte dall'articolo 6 del decreto-legge 24 aprile 1997, n.108;

NULLA OSTA
sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n.1, che non rivestono implicazioni di carattere finanziario.

Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione, nel testo della Commissione identico a quello approvato dal Senato.
Avverto che gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi presentati sono riferiti agli articoli del decreto-legge, nel testo della Commissione identico a quello approvato dal Senato.
Avverto altresì che non sono stati presentati emendamenti riferiti all'articolo unico del disegno di legge di conversione (per gli articoli, gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi vedi l'allegato A).
Avverto infine che i deputati Giancarlo Giorgetti e Roscia hanno comunicato di sottoscrivere tutti gli emendamenti presentati da colleghi del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania.
Passiamo agli interventi sul complesso degli emendamenti ed articoli aggiuntivi riferiti agli articoli del decreto-legge.
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibile, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 8, del regolamento, l'articolo aggiuntivo Fontan 4.02, volto a conferire al contingente militare italiano il mandato di tutelare cittadini e beni italiani in Albania, in quanto non strettamente attinente alla materia recata dal decreto-legge, che interviene unicamente in ordine all'afflusso di cittadini albanesi in Italia.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Gasparri. Ne ha facoltà.

MAURIZIO GASPARRI. Presidente, abbiamo presentato un numero limitato e mirato di emendamenti perché siamo interessati


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ad una modifica reale del decreto e non tanto a contestarne la portata e l'efficacia.
I nostri emendamenti correttivi, tra l'altro, si inquadrano nella critica che stiamo rivolgendo al complesso dell'azione che il Governo sta esercitando di fronte alla crisi albanese.
Noi abbiamo notoriamente votato a favore di quella missione militare, determinando una maggioranza che altrimenti il Governo non avrebbe avuto alla Camera dei deputati, perché eravamo e siamo convinti dei doveri storici e morali che l'Italia ha nei confronti della comunità internazionale - mi riferisco all'ONU, all'OSCE e ad altri organismi - che ci ha sollecitato ad assumere insieme ad altri paesi una iniziativa di carattere militare per fronteggiare la crisi albanese e distribuire aiuti.
Abbiamo anche votato a favore di quella missione - non lo nascondiamo - ritenendo che l'intervento dovesse contribuire, insieme ad altre azioni, a contenere il flusso incontrollato di clandestini (tali li possiamo giudicare) che dall'Albania vengono verso l'Italia.
Ad alcune settimane di distanza dobbiamo dire che il bilancio è assolutamente negativo. Le regole di ingaggio dell'ONU sono assolutamente castranti per le nostre forze militari e per quelle degli altri paesi. Abbiamo visto che i militari non sono potuti intervenire di fronte agli assalti alle aziende: poi si dice che bisogna creare lavoro in Albania! Se si fanno distruggere le aziende che vi sono, non si capisce a cosa serva la presenza militare!
Abbiamo appreso che le sparute e - ahimè - disorganizzate forze di polizia locale hanno chiesto soccorso due o tre giorni fa alla forza multinazionale per ripristinare l'ordine e la legalità nel territorio albanese, ma la forza multinazionale ha detto alla polizia albanese - o a ciò che ne resta - che non poteva intervenire. Abbiamo visto arrivi di navi in Italia, ma soprattutto partenze dall'Albania, magari non dai porti principali, ma dai pressi di Scutari o da altre insenature, di navi, di gommoni, di battelli di ogni dimensione verso l'Italia. E la forza multinazionale non ha contribuito a dissuadere, prevenire, bloccare la partenza, perché questo non è previsto dalle regole di ingaggio che sono veramente limitanti. Non si capisce a questo punto quale sia lo scopo. Si dice sia quello di distribuire aiuti umanitari, ma non ho visto distribuire un pacco di pasta o un chilo di farina da questa forza multinazionale o dai civili da essa protetti. Per cui se oggi, come singolo parlamentare, mi si riproponesse il quesito «missione sì, missione no», probabilmente, sulla base dell'efficacia prodotta dalla missione, ragionerei in maniera diversa.
Ma noi eravamo favorevoli a quella missione anche per il combinato disposto della presenza militare in Albania per aiutare e dissuadere e contenere il flusso, e della sicurezza in Italia attraverso le norme del decreto-legge oggi al nostro esame per la conversione che riguarda - qui non si tratta di regola di ingaggio: è un problema italiano, non dell'ONU, dell'OSCE, della NATO o di altri - il modo di contenere la presenza di clandestini in Italia.
Noi siamo molto insoddisfatti degli esiti di applicazione di questo decreto, che come tale ha già prodotto effetti. Tra l'altro, ricordo che era stato proclamato in gran fretta lo stato di emergenza nazionale dal Governo, quasi a coprire la sua impotenza, la sua incapacità a fronteggiare questa crisi albanese, prevedibile non solo in questi mesi ma da secoli, visto che è da secoli che ci troviamo questo problema sulle spalle. Esistono infatti in molte parti d'Italia comuni dove sono presenti comunità di origine albanese che rappresentano la testimonianza di esodi di 400-500 anni fa. Non si può dunque dire che si è trattato di un'evenienza così imprevedibile. Peraltro, il crollo del regime comunista ha determinato fenomeni di instabilità ed anche questo dato ci porta ad una considerazione cauta e di comprensione, perché indubbiamente questo popolo è così stremato ed incapace di autogoverno a causa di alcuni decenni di un regime tra i più odiosi, tra i più

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stalinisti, tra i più totalitari, tra i più isolazionisti; fatto che forse andrebbe ricordato ad alcuni colleghi in quest'aula che nella loro denominazione hanno quella parola, «comunismo», di cui è ancora in atto la testimonianza dei danni prodotti negli scenari europei, mediterranei e, in questo caso, adriatici.
Cosa vogliamo dunque modificare in questo decreto? Proprio l'interpretazione di alcune norme perché, in particolare l'articolo 2, contiene alcune previsioni estremamente generiche. A parte il fatto (mi associo a ciò che è stato detto da altri colleghi) che il Governo viene qua... Poco fa c'è stata una scena comica perché si interpellava Nocino o Nocilla - non so come si chiami - un funzionario, per sapere se al Senato si faceva in tempo ad esaminare questo provvedimento. Interpelleremo anche Limoncello e Amaretto di Saronno dopo il Nocino! Non so se il Parlamento abbia una sua sovranità o se siano stimatissimi funzionari quelli ai quali chiedere se vi siano i tempi o i termini. I tempi e i termini del dibattito e del confronto sono quelli che sono!
Ripeto che l'attuale emergenza albanese è un fatto di questi anni, dal 1991, dal crollo del regime di Enver Hoxha, comunista, ma si tratta di un'emergenza secolare, che risale a quando i funzionari del Senato non erano nati e non so se i loro predecessori fossero già in grado di determinare il flusso degli immigrati o i tempi dei Parlamenti. Un po' di serietà, quindi! E ci si consenta di dire che al Senato questo decreto è stato emendato in peggio, perché è stata aggiunta, all'articolo 1, una normativa che parla di integrazione sociale, culturale, formazione professionale e istruzione. Che si possa dare istruzione ad un bambino o ad una persona che sta qualche settimana in Italia può essere anche un fatto interessante. Non vorremmo però che l'aggiunta fatta al Senato faccia sì che, rispetto a qualcuno entrato in Italia provvisoriamente, per i sessanta, massimo novanta giorni previsti, poi avviato ad un corso di formazione professionale (caso mai riservato ad un adulto e non ad un bambino), al momento del suo ritorno si dica che, poverino, sta facendo il corso di formazione, ha quasi imparato un mestiere e dunque possiamo farglielo fare in Italia, dove sappiamo quanto siano abbondanti le possibilità occupazionali, grazie soprattutto all'azione di questo Governo che ha fatto sì diminuire l'inflazione, come ci ricorda ogni giorno, ma anche esplodere i dati della disoccupazione nel sud ed altrove. Quindi, non mi pare, oggettivamente, che ci siano dei margini. Peraltro, si dice «aiutiamoli lì», però i militari - e l'ho già detto prima - non salvaguardano aziende e posti di lavoro per gli albanesi in Albania.
Allora, noi chiediamo, ad esempio, di eliminare queste estensioni senatoriali. Diceva prima il collega Vito che al Senato si è potuto modificare il testo, e alla Camera no, e lo si è modificato in peggio, cari colleghi del Governo.
Poi, c'è un punto molto delicato sul quale vorrei soffermare l'attenzione dell'Assemblea e del Governo. All'articolo 2 si parla di trattenere in Italia, per un tempo limitato, persone - albanesi, ovviamente - bisognose «di assistenza umanitaria e di protezione, se esposti in patria a grave pericolo per l'incolumità personale». Ecco, su questo punto noi chiediamo di intervenire, perché è un concetto molto vago: «esposti a pericolo e bisognosi di protezione». Se venisse un albanese in stato di depressione, con l'esaurimento nervoso, sarebbe anch'egli - il collega Carlesi, che fa lo psichiatra, me lo potrebbe confermare - bisognoso di protezione: una persona che ha un esaurimento nervoso ha bisogno di protezione e di aiuto. Ma insomma, credo che sarebbe un'estensione eccessiva.
Poi, come si accerta il grave pericolo in patria? Questa forza multinazionale non può difendere le aziende, non può aiutare la polizia albanese, non distribuisce gli aiuti - può darsi che sia distratto, ma non ho visto nulla al riguardo -, non blocca i porti, non blocca le navi, allora che fa? Almeno ci dia le notizie, il bollettino della

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pericolosità: a Durazzo oggi hanno sparato otto colpi di pistola, a Valona no, a Scutari tutto bene.
Sabato scorso sono stato in Puglia e ho saputo che a Lecce ci sono stati due morti, uccisi dalla criminalità italiana, a cui qualcuno ha sparato. Allora, in base a quel concetto, dei cittadini leccesi potrebbero chiedere di andare in Albania, perché nella provincia di Lecce c'è uno stato di pericolo. Ma questo potrebbe valere per la provincia di Campobasso, dove ieri è stato sequestrato un minore, o per qualsiasi altra provincia, anche del nord, dove si compiano reati con armi da fuoco, perché c'è, cari colleghi della lega, la criminalità anche al nord, e non mi riferisco alla banda Buson, ma ce ne sono altre un po' più pericolose che compiono reati e sparano. Allora, uno potrebbe dire «sono esposto a grave pericolo a Tradate e voglio andare a vivere a Parigi»! Non è un concetto plausibile questo. Chi lo accerta? Qual è questo pericolo? Come viene codificato?
Noi quindi proponiamo al Governo di specificare di quali persone si tratti. Giorni fa ho avuto un franco scambio di opinioni con il ministro dell'interno - si dice così in diplomazia quando non si è d'accordo - il quale mi ha detto «Mah, le donne, i bambini e gli anziani». Ora, la matematica e la demografia insegnano che più della metà della popolazione mondiale è composta di donne. Non ho dati aggiornati sull'Albania, ma non ritengo che sia un'eccezione: ritengo che forse qualcosa più della metà del popolo albanese sia composto da donne. Se aggiungiamo a questo 50 e qualcosa per cento i bambini e gli anziani, arriveremo a due terzi della popolazione. Ergo, teoricamente, su tre milioni di albanesi, due milioni sarebbero ricoverabili in Italia, si dice, per sessanta più trenta giorni, ma poi sappiamo come vanno le cose.
Allora, noi diciamo che in primo luogo non c'è oggi una situazione di guerra civile in Albania. Ci sono casi di violenza, per carità, gravi e da debellare, ma purtroppo ce ne sono anche in altre parti del mondo. Ci sono stati paesi sudamericani dove sono state attaccate le ambasciate, uccisi diplomatici, condotti sequestri per mesi. Ci sono altre parti del mondo dove sono in atto fenomeni militari pericolosissimi e guerre in corso. Perciò, riteniamo che non si possa riconoscere oggi lo status di profugo a chiunque venga dall'Albania, perché si dovrebbe accertare una persecuzione. Ci può essere il congiunto di un esponente politico che, soprattutto in un clima elettorale, potrebbe essere vittima di rappresaglie e costui potrebbe rientrare nei casi di asilo politico. Ci può essere altro, ma non si può considerare profugo chiunque.
Queste parole, cari esponenti del Governo, non le diciamo solo noi. Giorni fa l'ambasciatore alle Nazioni Unite, Fulci - ambasciatore dell'Italia non del Polo; non so per chi voti, non ho la fortuna di conoscerlo personalmente - ha rilasciato più interviste riprese da tutti i giornali, che hanno così titolato: Il Tempo del 6 maggio, «Rimandiamo indietro tutti gli albanesi»; Il Giornale del 7 maggio, «L'ambasciatore dell'Italia all'ONU: rimpatriamo anche donne e bambini», e così via. Al di là dei titoli, che ovviamente non fa l'ambasciatore Fulci, egli non ha smentito le frasi. In quelle interviste egli afferma che nel momento in cui le navi entrano nelle acque territoriali il problema non è più della forza multinazionale di pace, ma dell'Italia (così dice l'ambasciatore all'ONU, che se ne intenderà). E allora - chiede il giornalista Maurizio Molinari de Il Tempo - cosa dovrebbe fare l'Italia? Risponde Fulci: «Dovrebbe rimandare indietro tutti i profughi che arrivano». Compresi donne e bambini, chiede il giornalista? «Sì» - risponde Fulci - «compresi donne e bambini perché in Albania non c'è una situazione di guerra civile. Tutti possono essere rimandati indietro perché nessuno rischia la vita in quel paese». Non più di quanto la rischino quei cittadini di Lecce o di altre città italiane per via della criminalità, forse un po' più accentuata, per il degrado dell'ordine pubblico. Ergo, non si può fare una considerazione del genere.

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Per presentarci in maniera seria a questo dibattito abbiamo commissionato agli uffici legislativi una verifica delle normative: la definizione governativa del bisognoso di protezione che versa in stato di pericolo non esiste nel diritto internazionale, dove si parla semmai di profughi. Ma quello del rifugiato è un discorso diverso e che il diritto internazionale ha disciplinato.
In questo momento in Albania non vi sono fenomeni di sistematica persecuzione politica che potrebbero determinare la concessione dello status di rifugiato a persone che dovessero andare via per pogrom etnici, per scontri e via dicendo. Sicuramente ci sono delle bande armate ma se le forze multinazionali non intervengono per disarmarle allora noi ci interroghiamo non sul complesso degli emendamenti, caro Presidente, ma sul complesso degli interventi internazionali ed italiani.
Pertanto noi proponiamo con una serie di emendamenti di eliminare tutti questi discorsi molto vaghi sulla formazione. Facciamoli in Albania i corsi di formazione! Si prendano delle iniziative per insegnare dei mestieri agli albanesi. Noi non escludiamo assolutamente degli aiuti in loco agli albanesi e alle persone di tutto il mondo. E ne sono già stati fatti con finanziamenti del Governo italiano. Ricordo che abbiamo finanziato la polizia albanese! Quando in televisione si vedono quelle scene di veicoli che vengono mandati avanti dalla polizia (li abbiamo visti nelle settimane passate ma oggi non se ne vedono più), dobbiamo ricordarci che quelli sono veicoli della IVECO, prodotti dalla FIAT di Agnelli, quello che incontra D'Alema due giorni prima del voto, nella città dove ha sede, e quindi simpatizza forse per gli albanesi perché sono stati comunisti, così come simpatizza per D'Alema e Castellani.
La FIAT si è arricchita anche con la dissoluzione dell'Albania perché il Governo italiano ha finanziato acquisti di veicoli IVECO per la polizia albanese. Dobbiamo rifarlo? Rifacciamolo, aiutiamo gli albanesi! Lo abbiamo fatto in Somalia, lo abbiamo fatto altrove... Se la polizia funziona forse non scappano verso Bari, Brindisi, Trani o altri posti.
Ho visto l'impotenza del ministro dell'interno quando ho sentito che nei porti di Trani e Barletta (come ha ricordato Amoruso) c'è stato non solo l'arrivo ma anche la dazione di denaro a trasportatori di presunti profughi clandestini. Ho visto che alcuni trafficanti sono stati arrestati ma temo che non tutti lo siano stati. Qualcuno, a Bari, con l'arrivo della nave Irini è stato arrestato e già processato. Ma ci sono persone che sono state intervistate e hanno detto: ho pagato 4 milioni per cinque figli. Quindi questi 4 milioni li hanno presi da qualche parte! Non so se siano tutti azionisti delle società piramidali, ma in ogni caso qualcuno paga e qualcuno viene pagato. C'è dunque una disponibilità. E se quella signora albanese i 4 milioni li avesse «trattenuti», in Albania, dove con 4 milioni una famiglia vive abbastanza bene! In Italia, dove il costo della vita è un po' più elevato, il Governo Prodi sta costringendo un numero maggiore di famiglie a vivere con 4 milioni annui, figuriamoci se in Albania con quella cifra non si possa sopravvivere. Denunciamo dunque questa impotenza.
È vero, una parte, anche se ridotta e limitata, è stata espulsa. Con un nostro emendamento proponiamo di individuare queste categorie e parliamo di diritto di accoglienza provvisoria dei minori al di sotto dei 14 anni, degli anziani al di sopra dei 70 anni, delle madri che abbiano figli minori. Proponiamo addirittura che si possano accogliere provvisoriamente ragazzi di età inferiore ai 18 anni che debbano provvedere a propri congiunti al di sotto dei 14 anni; che si accolgano ammalati, non deambulanti e non in grado di provvedere a se stessi.
Con questo tipo di paletti che proponiamo al Governo di recepire, non si esclude un intervento di tipo umanitario in Italia. Ma quanti possono essere i bambini di 6 anni o le madri con bambini piccoli? Un numero certamente ridotto. È questa un'opportunità che noi indichiamo

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proprio per far sì che non si dica: ma allora nessuno? Parliamo sempre di accoglienza provvisoria.
Certo, l'ambasciatore Fulci indica misure ancora più drastiche che noi sostanzialmente condivideremmo ma vogliamo sfidare il Governo a vedere se almeno si riesce a fissare dei paletti. Se arriva un malato non deambulante credo che nessun parlamentare di nessun gruppo sarebbe disposto a rimandarlo indietro!
Ricordo che in passato abbiamo accolto i bambini di Sarajevo, orfani e vittime dei bombardamenti. Abbiamo accolto i bambini di Chernobyl. In Italia e in tanti altri paesi questi bambini, vittime di radiazioni nucleari, sono stati accolti e «trattenuti» presso dei comuni per cercare di dar loro un sollievo. Non siamo assolutamente contrari alle soluzioni umanitarie. Vedete, ho citato quello di Chernobyl che è un caso che non ha nemmeno attinenza a fatti di guerra. Ma non riteniamo che l'Italia debba e possa accogliere tutti. Abbiamo già accolto più di 10 mila persone in questa ultima crisi; parlo degli albanesi più o meno censiti e vorremmo sapere quanti sono entrati clandestinamente in Italia.
Ho visto la situazione di degrado che c'è in alcune zone del sud che non lo meritano. Sabato pomeriggio, nella piazza centrale di Lecce, tre agenti della Guardia di finanza - erano presenti anche altri parlamentari con me, tra i quali l'onorevole Poli Bortone - sono entrati in una farmacia per pesare tre grossi sacchi di hashish abbandonati nella periferia di Lecce in pieno giorno. Questo vuol dire che in un paese come l'Italia, dove la circolazione di droga è già notevole, arriva con molta di questa gente altra criminalità. Ho visto ragazze, minorenni e donne adulte, prostituirsi in grande quantità nelle strade italiane. Mi chiedo allora se sia questa l'accoglienza che dobbiamo riservare a queste persone. Non sarebbe meglio rimandare la ragazza sedicenne in Albania con la propria famiglia ed evitare che si prostituisca sulle strade tra Napoli e Caserta o alla periferia di Roma e di Milano? Credo non sia molto umanitaria l'accoglienza che, per così dire, viene fatta in Italia!
Invitiamo quindi il Governo ad essere molto più attivo e fermo. Infatti siamo insoddisfattissimi dell'azione del Governo, della sua impotenza. Vedere notevoli quantità di droga abbandonate ci fa pensare a quanta ne è stata commerciata.
Mi chiedo inoltre - lo dico anche se la questione non è trattata dal provvedimento oggi in esame, ma perché ne faremo oggetto di discussione delle prossime sedute - se non sia diritto della forza multinazionale e dell'Italia chiedere, ad esempio, agli albanesi la distruzione delle coltivazioni di marijuana che ci sono in quel paese. Diamo loro i semi, diamo loro casomai l'ulivo, cari colleghi dell'Ulivo, da piantare (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale), ma non possiamo finanziare un paese - e lo dico perché a tale riguardo adotteremo delle iniziative - che consente coltivazioni di marijuana. Non vogliamo una Colombia nel Mediterraneo! Lo ha detto nei pochi momenti di veglia anche l'onorevole Andreatta.
Ebbene, anche con gli emendamenti a questo decreto-legge vogliamo dare un segnale di maggiore fermezza, pur nella solidarietà, e di vigilanza, perché dobbiamo aiutare gli albanesi, ma anche gli italiani che vedono la loro vita ed il loro lavoro sempre più minacciati (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale - Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Anghinoni. Ne ha facoltà.

UBER ANGHINONI. Signor Presidente, mi riservo di intervenire sui singoli emendamenti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Amoruso. Ne ha facoltà.

FRANCESCO MARIA AMORUSO. Signor Presidente, il brillante intervento dell'onorevole Gasparri ha un po' «bruciato»


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i temi che desideravo affrontare, ma forse è bene che certe cose siano ribadite.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, la nostra posizione oggi è abbastanza chiara. Il provvedimento è giunto dal Senato ricco di disposizioni che non possono essere da noi accettate. Abbiamo perciò presentato un numero limitato di emendamenti, diretti a contribuire al varo di un provvedimento efficace, serio ed attento ai problemi che dobbiamo affrontare. Invece, ci siamo trovati di fronte, come è ormai consuetudine da parte del Governo e della maggioranza, ad un muro invalicabile che non ci ha consentito di integrare il provvedimento in discussione.
Pertanto non possiamo condividere il provvedimento così come ci giunge dal Senato. Tale provvedimento non è all'altezza della gravità del fenomeno che non è nuovo, onorevoli colleghi, ma che non è mai stato seriamente affrontato. Basti ricordare una data: agosto 1991, porto di Bari; in quell'occasione 18 mila albanesi crearono una situazione drammatica e numerose persone svolsero la loro azione in quel frangente, a cominciare dagli esponenti del volontariato che fecero sì che la situazione determinata da quell'ondata non divenisse drammatica, ma potesse essere risolta attraverso il rimpatrio.
Il provvedimento in esame è in linea con la posizione di un Governo che, per quanto attiene all'Albania, si è caratterizzato svolgendo un'azione intempestiva, non dimentichiamolo.
Il 5 marzo il ministro degli esteri rispondeva qui alla Camera ancora in maniera generica su quanto stava avvenendo in Albania, quasi fosse un fatto di routine, quasi non ci fossero già i segnali che un Governo attento, attraverso le normali forme di intelligence, avrebbe dovuto percepire e quindi contrastare prestando la massima attenzione. Si è dato vita così ad un'azione intempestiva, confusa, priva di risposte precise perché si è badato di più a perseguire gli obiettivi politici, dimenticando che in Albania si susseguivano eventi che portavano un giornale come Le Monde a pubblicare che non esisteva più uno Stato europeo. Mentre scompariva un esercito, si dissolveva la polizia, non c'era più un governo, in Italia il Governo e la maggioranza dell'Ulivo disquisivano sulla validità delle elezioni albanesi, come se il principale problema fosse quello del cambio della guida politica in Albania.
Oggi l'emergenza è chiara, per fortuna non è più di natura alimentare, per cui quando ci si lamenta della missione militare italiana e si fa riferimento alla risoluzione n.1101 del 28 marzo 1997 del Consiglio di sicurezza dell'ONU che autorizza solo operazioni di distribuzione di aiuti umanitari in Albania, mentre non prevede nulla sulle funzioni di polizia e sul problema dell'accoglienza, rimaniamo alquanto perplessi.
La missione a questo punto assume una funzione residuale, quella di trasporto e scorta di aiuti umanitari (funzione che fino ad oggi peraltro non è mai stata esercitata) che appare spropositata per la sua imponenza e per i relativi costi. Sarebbe stata invece auspicabile un'azione come quella che ha ispirato - lo ha ricordato poc'anzi l'onorevole Gasparri - il nostro voto favorevole a quella missione, una funzione di polizia, secondo quanto richiesto dallo stesso Governo albanese.
L'ho già detto prima, l'emergenza non è più, per fortuna, di tipo alimentare ma di ordine pubblico, di sicurezza perché in Albania intere zone sono dominate da bande armate criminali collegate con la delinquenza italiana al punto che il presidente della regione Puglia ha parlato di possibili salti di qualità dello stesso fenomeno mafioso e delinquenziale in Puglia. Non va dimenticato che in questa regione, che rappresenta il principale punto di riferimento per gli albanesi, si è sviluppata quella che viene definita la «quarta mafia», la quale è destinata a crescere proprio per i continui contatti con la delinquenza organizzata albanese, russa, lituana e georgiana che lì confluisce dalla penisola balcanica (qualcuno sostiene che provenga anche da continenti diversi da quello europeo). C'è il pericolo dunque di

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un salto di qualità della malavita con gravissimi problemi che occorre fronteggiare.
Ci rivolgiamo in modo particolare al sottosegretario Sinisi, anche per la sua origine pugliese, per sottolineare la necessità di disarmare questo popolo. Sembra infatti che tra i civili in Albania attualmente circolino circa 150 mila kalashnikov . C'è il pericolo che questi fenomeni producano una destabilizzazione in un'area ad alto rischio come quella balcanica e da qui deriva l'importanza di una missione che avrebbe dovuto essere qualcosa di più. Penso ad un controllo più minuzioso di un esodo che sta assumendo livelli preoccupanti.
È un esodo che potrebbe essere definito non certamente come un fenomeno legato - e questa è la caratteristica degli albanesi che giungono in Italia - alla qualifica di profughi degli albanesi. Come sappiamo, il diritto internazionale prevede solo la condizione di rifugiato ma, come è stato giustamente sottolineato, oggi non esistono in Albania quelle persecuzioni politiche che potrebbero garantire la qualifica di rifugiato. Oggi, in effetti, ci troviamo soltanto di fronte ad un fenomeno di grande immigrazione verso le coste italiane ed in particolare verso la Puglia! È un fenomeno immigratorio al quale si sono date - come sempre - risposte confuse, intempestive e a volte superficiali. Come superficiale fu l'azione del ministro dell'interno allorquando decise di non far proseguire l'utilizzazione delle Forze armate sulle coste pugliesi per poter controllare questo fenomeno. Non si è prorogata quella missione perché si riteneva che non fosse necessaria la permanenza delle Forze armate. Sottolineo, peraltro, che si è dovuto far fronte anche a costi elevati per lo smantellamento delle strutture militari che erano state predisposte su tutta la costa. Dopo di che, oggi ci troviamo ad affrontare questo grande fenomeno con l'utilizzo di forze dell'ordine in una zona ad alto rischio e ad alta densità delinquenziale. Dalla lettura dei giornali ogni giorno si apprendono notizie di omicidi e di situazioni di pericolo che si verificano in Puglia. Oggi le coste pugliesi rappresentano il punto di sbarco del contrabbando della droga e delle armi e della prostituzione. Oggi in Puglia arriva di tutto e le forze dell'ordine si trovano a fronteggiare, con il limitato numero di agenti presenti sul nostro territorio, fenomeni di grave difficoltà.
È allora certamente necessario dare la possibilità a chi giunge in Italia con quella veste, di avere certamente un momento di attenzione da parte del Governo, ma non si può sottovalutare l'esodo non giustificato che oggi proviene dall'Albania. Esso, infatti, non è giustificato ad esempio da situazioni di guerra civile o da fenomeni particolari. È stato dimostrato che esso è pilotato dalla malavita organizzata: si comprano le navi in Montenegro ad 1 milione di dollari e, attraverso il sovraccarico di queste carrette del mare con centinaia o addirittura di migliaia di persone, si ricavano importi di dieci o cento volte superiori a quelli pagati. Ecco quanto avviene in Puglia.
Mi accingo ora a richiamare alcuni dati statistici. Dalla lettura di tali dati emerge che i profughi giunti in Puglia dal 14 marzo al 6 maggio di quest'anno sono stati 15.661; di questi solo 438 hanno richiesto asilo politico e 1.549 in quel periodo sono stati i rimpatriati (si è trattato di un numero esiguo!).
Invece di scrivere nel testo del decreto alcune cose come quelle previste ad esempio dall'articolo 2, si sarebbe potuto invece prevedere lo stazionamento nei porti della Puglia di navi da trasporto italiane in grado di reimbarcare immediatamente tutti coloro i quali non sono nelle condizioni di dover essere assistiti. È chiaro che l'assistenza e l'aiuto non si negano a nessuno, ma tutti coloro i quali non sono nelle condizioni previste da un emendamento che noi abbiamo presentato si possono immediatamente reimbarcare ed essere ricondotti nei porti dai quali sono partiti. Non è difficile. Come non è difficile prevedere ad esempio l'utilizzo della forza multinazionale nell'azione di controllo della costa, perché è chiaro che dopo che una barca o una nave è arrivata

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sulle coste pugliesi, diventa difficoltosa ogni operazione. Non è difficile invece fermarla ad esempio nel momento in cui quelle barche o quelle navi partono da un porto albanese, se sul territorio non si vuole effettuare un'altra azione di sostegno alla polizia locale nel cercare di impedire questo fenomeno.
Nel ribadire che non può essere rifiutata la prima accoglienza, vorrei ricordare che la regione Puglia - con una grande mobilitazione che ha visto il grande contributo del volontariato e spesso la superficialità del Governo e di chi doveva invece dirigere e controllare tutte le operazioni - ha creato ben 19 centri di accoglienza!
Ecco allora la necessità di rivedere un provvedimento che prevede misure di protezione temporanea, nel quale poi leggiamo che nei 60 e 90 giorni, dopo le modificazioni apportate dal Senato, sono previste «attività proprie connesse con l'inserimento, l'integrazione sociale e culturale e la formazione professionale e l'istruzione». Mi chiedo se il Governo italiano non sappia, per esempio, che al riguardo ci sono i miliardi messi a disposizione, attraverso l'Interreg, dalla Comunità europea, che la regione Puglia stava utilizzando per creare queste strutture, queste realtà in Albania.
Chiediamo allora maggiore attenzione e la possibilità di fornire un contributo serio a risolvere questo fenomeno. Non possiamo assistere al depauperamento, alla riduzione imprecisata di una popolazione che, tra l'altro, supera di poco i tre milioni di abitanti. Assisteremo forse tra poco alle elezioni a cui tanto si aspira, alle quali non potranno partecipare decine di migliaia di elettori. Ma questo sarebbe un danno grave anche per la stessa democrazia in Albania.
Ecco perché giungono numerosi appelli, e sono quelli, come diceva prima l'onorevole Gasparri, del nostro ambasciatore all'ONU, sono gli appelli di monsignor Ruppi, arcivescovo di Lecce, uomo impegnato nell'assistenza e nell'accoglienza ai vertici della Caritas, il quale sul giornale Roma dell'8 maggio così si esprimeva: «È giusto che tale forza sia e rimanga una forza di pace e svolga solo azioni umanitarie, ma credo che sia anche intervento umanitario scoraggiare esodi inconsulti che non fanno che aggravare la situazione albanese». E ricordo anche il grande appello del presidente della regione Di Staso, che chiede che la Puglia diventi artefice della valutazione di questi fenomeni, nell'affrontare questo problema. La Puglia è la regione frontaliera dell'Albania e lo Stato non può affrontare il problema albanese senza considerare la regione Puglia.
Da questo provvedimento ci si aspetta e ci si aspettava chiarezza di linea politica, in modo da precisare la strategia italiana per l'Albania, oggi d'emergenza e domani oltre l'emergenza, garante della sicurezza in Italia, certa degli aiuti a un paese che a noi deve tornare ad essere amico e vicino (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Dozzo. Ne ha facoltà.

GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, torniamo questa sera a parlare dell'Albania, che ha impegnato il Governo, la maggioranza e la minoranza non più di alcune settimane fa in un aspro dibattito.
Al collega Gasparri, che si chiedeva se il voto positivo che il Polo aveva espresso all'epoca circa l'invio della forza multinazionale in Albania fosse oggi così indispensabile, vorrei ricordare che purtroppo quel voto favorevole del Polo ha mantenuto in piedi il Governo Prodi. Pertanto, se adesso il collega Gasparri si interroga sulla poca funzionalità di quella forza di intervento, la sua è una critica a posteriori, sono un po' lacrime di coccodrillo, perché già si sapeva all'epoca delle scarse possibilità di intervento della forza multinazionale. Purtroppo quel voto favorevole pesa, e pesa in maniera politica - checché si dica che il Polo fa opposizione a questo Governo -, pesa in maniera forte e determinata per non aver voluto, quella volta, incidere profondamente su questo Governo.


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Tornando, signor Presidente, al decreto-legge in esame ed agli emendamenti a proposito dei quali, con particolare riferimento a quelli presentati dalla lega, il sottosegretario Sinisi, tra le righe, ha fatto capire che non li avrebbe tenuti in grande considerazione per la loro tipologia, vorrei ricordare al sottosegretario che ad un decreto-legge di questo genere si risponde con emendamenti dello stesso genere; ad un decreto così ipocrita si risponde con siffatti emendamenti.
Signor sottosegretario, quando nel testo si fa cenno a particolari attività che dovrebbero essere avviate, per esempio, per l'integrazione sociale e culturale, la formazione professionale e l'istruzione, mi sembra si assuma un atteggiamento ipocrita, considerato inoltre che si prevede che i permessi di soggiorno temporanei possano durare da sessanta a novanta giorni. Il Governo allora dovrebbe spiegarmi come possa riuscire in così poco tempo a fornire corsi di formazione; se infatti è capace di realizzare formazione professionale ed istruzione per gli albanesi in sessanta o novanta giorni, allora - mi consenta di dirlo, signor sottosegretario - una formula analoga potrebbe essere prevista per tutti quegli operai disoccupati o in cassa integrazione che da anni cercano un lavoro nel nostro paese.
Vi è poi il problema dello stato di emergenza. Il Governo ha decretato lo stato di emergenza, il che è quanto meno assurdo; lo ha fatto, tra l'altro, conferendo ampi poteri ai prefetti, poteri discrezionali che contrastano anche con le leggi di questa Repubblica. Infatti, per esempio, interferiscono con le prerogative dei sindaci, i quali in un certo senso vengono messi da parte nel momento in cui si decide di entrare in possesso di taluni edifici; molti sindaci, sicuramente quelli della lega nord per l'indipendenza della Padania, hanno già dichiarato di non essere disponibili a fornire strutture per dare alloggio agli albanesi.
È poi prevista la possibilità che i prefetti reperiscano alloggi adottando altre soluzioni, per esempio quella della requisizione di alberghi. Mi chiedo allora se in questo Stato esista ancora la proprietà privata, visto che un prefetto ha il potere di requisire gli alberghi per le finalità che ho indicato.
Bisogna poi verificare se gli albanesi versino nello status di rifugiato politico. Infatti, signor sottosegretario, se effettivamente esiste in Albania una situazione di emergenza politica, dalla quale può derivare lo status di rifugiato politico, allora mi sembra non sia il caso di ospitare persone che dovrebbero combattere - lo dico tra virgolette - per la libertà e la democrazia nel proprio paese. Ho visto, comunque, giungere in Italia persone che nulla hanno a che vedere con la condizione del rifugiato. Tuttavia il decreto fa sì che gli albanesi possano essere considerati «esposti a grave pericolo per l'incolumità personale», così come previsto nell'articolato. Mi domando, signor Presidente, colleghi, se tale pericolo non possa essere corso anche in certe zone di questo Stato. Ogni giorno - è cronaca - in alcune zone vengono commessi delitti che sono compiuti in tutti gli altri Stati del mondo. In Albania esiste una situazione di disagio che riguarda alcuni abitanti, ma è prettamente di ordine pubblico e non vedo come si possa attribuire lo status di rifugiato politico a queste persone.
Si diceva prima della forza di intervento e delle scarse - anzi nulle - possibilità che ha quella forza di far cessare certi atti malavitosi che si compiono in Albania. Mi chiedo allora - visto che i costi di questa missione sono elevati - che contributo dia in questo momento la forza multinazionale di cui lo Stato italiano fa parte alla soluzione dell'emergenza in Albania, visto che è sotto gli occhi di tutti l'impossibilità non solo di esercitare forme di controllo ad personam per quanto riguarda certi episodi, ma anche di intervenire su fatti ben precisi, magari per salvare quelle situazioni in cui sono coinvolti anche cittadini italiani.
Quali sono state le cause di questo problema? Signor sottosegretario, se non rimuoviamo le cause che hanno dato la stura a questa situazione non si possono risolvere i problemi «importando» da noi

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gli albanesi e magari trovando loro alloggio ed occupazione. La causa la conosciamo benissimo, è il dissesto finanziario. In prima battuta non vi sono state ragioni politiche; poi, naturalmente, si sono aggiunte anche crisi politiche ma, come dicevo, inizialmente la causa è stato il dissesto finanziario. Quando allora il nostro gruppo parlamentare in quest'aula sosteneva già a suo tempo che l'unica soluzione era quella di stanziare dei fondi ad hoc per far fronte alla situazione in cui si venivano a trovare gli albanesi truffati ricostituendo fondi di riserva, ci veniva risposto che ciò non era possibile.
Abbiamo allora intrapreso la via dell'intervento pseudomilitare, la via dell'«importazione» di personaggi, moltissimi dei quali, purtroppo, appartengono alla criminalità, come si vede giorno per giorno lungo le nostre strade, non solo nel sud ma anche nel nord: ormai la mafia albanese è così potente da avere espulso in certe zone gli altri gruppi malavitosi che prima erano presenti sul territorio.
Se questa è la soluzione dei problemi e se il decreto al nostro esame vuole riportare il Governo ad una linearità di comportamento, riteniamo che esso sia assolutamente insufficiente. Non sono tanto gli emendamenti che possono migliorare o meno il testo di un decreto, ma la volontà dell'esecutivo di porre rimedio a certe situazioni. Abbiamo constatato che da parte del Governo Prodi questa volontà non c'è, non c'è mai stata e non ci sarà in futuro. Continueremo quindi ad avere sbarchi di immigrati clandestini, ad assistere ad un via vai di navi con a bordo migliaia e migliaia di persone e ad ingrassare ancora una volta la malavita albanese.
In conclusione, abbiamo presentato una serie di emendamenti con l'intento di far riflettere il Governo (se ne ha la volontà, anche se penso che non l'abbia assolutamente), che deve rivedere in toto la propria posizione e definirne per il futuro una più ferma: aiutare innanzitutto in loco gli albanesi, facendoli rimanere nella loro terra, quindi non esportandoli come una merce qualsiasi in uno Stato che assolutamente non ha bisogno di altri immigrati (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bampo. Ne ha facoltà.

PAOLO BAMPO. Signor Presidente, chi come me è stato parlamentare nella XII legislatura ricorda forse che in passato il tema del controllo delle coste è stato affrontato con una serie di decreti: essi contenevano norme con le quali si stabilivano non solo le formule numeriche per le forze militari e di polizia addette al controllo, ma anche dove gli immigrati dovessero essere eventualmente indirizzati (se ben ricordo, almeno uno di quei provvedimenti veniva definito «decreto-Puglia»).
Il dibattito, allora, era parzialmente incentrato sull'opportunità di chiamare i luoghi di ammassamento centri di accoglimento, oppure centri di respingimento: questa volta, per fortuna, tale sterile polemica ci è stata risparmiata, pur restando vivo il problema di fondo dello stazionamento sul nostro territorio degli immigrati, più o meno clandestini. Il provvedimento in discussione si è reso necessario per l'incapacità del Governo Prodi di mantenere fede agli stessi propri impegni: lo voglio ricordare a chi, in nome di un falso umanitarismo, dimentica l'approvazione in massa, con il solo voto contrario della lega e di rifondazione comunista, del decreto di avvio della cosiddetta operazione Alba.
Rispetto alla missione Alba, il Governo e i suoi sostenitori, sia quelli di maggioranza sia quelli di minoranza, giustificavano l'invio di un contingente militare italiano in Albania con la necessità di un controllo diretto delle coste albanesi, anziché di quelle italiane, per impedire all'origine l'immigrazione clandestina. Tale fatto, secondo gli illuminati sostenitori, avrebbe dovuto comportare due grandi vantaggi: l'impedire la partenza degli albanesi dal proprio paese e il risparmio che sarebbe seguito dal non


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dover provvedere all'accoglimento e al sostentamento degli eventuali immigrati.
Si disse, e noi non lo dimentichiamo, che la lega era ottusa, in quanto non comprendeva che con la propria posizione ostacolava proprio ciò che auspicava, cioè che non giungessero più clandestini: i fatti - come non dubitavamo, conoscendo l'inadeguatezza della capacità organizzativa e progettuale del Governo Prodi - hanno dato ragione alla lega ed hanno evidenziato la scarsa lungimiranza e la presunzione della compagine governativa. È sotto gli occhi di tutti che gli esodi non sono terminati: anzi, sono proseguiti come e forse più di prima. Abbiamo potuto rilevare le gravi lacune emerse in tutti i settori, tra cui ricordiamo gli speronamenti più o meno volontari (è ancora da chiarire), gli incagliamenti (più di uno), la fuga di decine di imbarcazioni colme di albanesi, la mancanza di protezione agli imprenditori italiani, difesi solo dai loro operai costretti al ricorso alle armi per salvaguardare il loro posto di lavoro, a rischio della propria pelle.
Scarse, se non nulle, sono state le espulsioni, che avrebbero limitato non solamente le nostre spese ma anche il dilagare della malavita, come evidenziato dai dati che il collega Fontan ha voluto ricordare nel suo intervento in discussione generale.
Nel frattempo, non dobbiamo fare finta di non vedere che la permanenza nelle zone «calde» dell'Albania comporta gravi rischi per l'incolumità dei nostri soldati, che non riescono comunque ad adempiere il compito prioritario di bloccare gli esodi.
In definitiva, i nostri giovani sono in Albania in ostaggio di un ruolo passivo, che li pone nella condizione di non poter intervenire in favore dei nostri connazionali. Essi sono in quel paese a svolgere il ruolo di bersagli viventi, mentre gli albanesi continuano a venire in Italia!
Con la presentazione del decreto-legge attualmente in discussione il Governo, dando ragione a quanto ho detto, prende atto della propria incapacità di tradurre in atti le sue parole. Il Governo è costretto ad adottare un decreto che costerà notevolmente al contribuente, come è già costata notevolmente la missione «Alba». Programmare lo stazionamento degli immigrati legalizzandone la posizione e, peggio, prevedendo la somministrazione di servizi integrativi denota la volontà di perseguire un disegno tipico della sinistra, già sperimentato anni or sono in Russia, quello di diminuire i valori dell'identità di una popolazione attraverso immissioni esterne. Il Governo Prodi se ne frega delle necessità di questa gente! La maggioranza vuole trasformare gli immigrati stranieri in cittadini italiani!
È stato detto in altre occasioni che è giusto legalizzare la clandestinità e addirittura dare il voto agli immigrati. Ebbene, attraverso l'ipocrisia contenuta in questo decreto, si vuole incrementare la popolazione italiana, col chiaro intendimento di allargare la base consensuale e di voto della sinistra. Volutamente non ho fatto riferimento nel mio intervento al termine profugo, perché, se effettivamente si fosse voluto fornire solo assistenza e protezione a cittadini stranieri rientranti nei parametri di definizione del termine in questione, sarebbero stati più chiari i paletti dell'intervento governativo. L'ambiguità di questo provvedimento non solo non bloccherà i flussi migratori, ma - ricordiamocelo bene - li incrementerà, disegnando nell'immaginario collettivo albanese l'Italia come il paese del Bengodi. La chimera dell'integrazione sociale degli albanesi con gli italiani, a spese di questi ultimi, spingerà altri albanesi a venire in Italia. Altro che limitazione!
Amici della sinistra, ricordiamoci che non siamo uno Stato ricco, non possiamo permetterci quindi generosità fini a se stesse. Oggi anche la Padania fa fatica a confrontarsi con la sfida dei parametri di Maastricht; forse, però, a voi interessa allontanarvene sempre di più, forse voi non volete entrare in Europa. Dove andrebbero poi tutti questi albanesi? Certamente non nel meridione d'Italia, già notevolemente compromesso nella sua condizione occupazionale. Andrebbero al nord, ed è là che voi li volete! Li volete

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al nord per recuperare presso questi derelitti un po' di consenso elettorale laddove la lega raccoglie il proprio. Non so se ve ne siete accorti o se vi fa comodo così, ma non ci sono più soldi per nessuno.
Si parla di stringere la cinghia, vengono minacciate restrizioni sullo Stato sociale, sono in pericolo le pensioni, e voi volete impegnare nuove risorse per l'attuazione di un disegno di così basso profilo, neppure politico ma partitico. Un giorno spero che qualcuno dia una spiegazione ai contribuenti se dopo l'eurotax, che ha fallito lo scopo di permettere all'Italia di entrare in Europa, verrà inventata una qualche addizionale per consentire all'Albania di entrare in Italia.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come mi ero permesso di segnalare prima, intervenendo sull'ordine dei lavori...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Benedetti Valentini.
Onorevoli colleghi, vi prego di prestare attenzione!

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Dopo aver manifestato buone intenzioni e lei - bontà sua - avermi dato ragione in linea di principio - poche cose sono frustranti come il sentirsi dar ragione in linea di principio, mentre si fa esattamente il contrario - abbiamo fatto esattamente la solita cosa (non mi illudevo che fosse diversamente) e cioè abbiamo relegato in un opportuno spazio innocuo e deserto la discussione sulle linee generali, trasformata in discussione sugli emendamenti.
Mi permetto molto modestamente di far presente a lei, quale Presidente di turno, e ai colleghi sensibili all'argomento che, per quanto mi riguarda, dopo aver correttamente intensificato l'azione di sensibilizzazione nelle varie sedi di competenza su questo problema, cominciando ovviamente dal mio gruppo, anche a titolo e per iniziativa personale darò luogo a comportamenti coerenti con questo mio stato di preoccupazione e di allarme nel prosieguo dei lavori parlamentari.
Tutto ciò premesso...
Chiedo ai colleghi di consentirmi, gentilmente, di svolgere il mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, onorevole Vito, vi prego!

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Tutto ciò premesso - è argomento che trovo degno di una qualche attenzione da parte di chi può nutrire ancora un po' di sensibilità a questo proposito - voglio sottolineare che il fatto che vi sia una pluralità di interventi da parte di deputati del gruppo di alleanza nazionale testimonia, se pure ve ne fosse necessità, della grande attenzione che, almeno il nostro settore politico, dedica alla esplosività e delicatezza di questo argomento che rischia di essere trattato in maniera cronachistica o di essere bruciato, come ormai è nella società contemporanea, sull'onda dell'inseguire la notizia, se non addirittura di precederla, e di fare di tutto spettacolo e di tutto esclusivamente notizia di consumo. Si tratta, invece, di una situazione di straordinaria delicatezza e di grandissima capacità di riverbero sia sul Mediterraneo intero, sia sulla nostra comunità nazionale.
A questo riguardo voglio dire che mi sembra inutile parlare ancora di come il nostro Governo sia stato impreparato e sprovveduto su questo argomento, perché significherebbe infierire inutilmente su una situazione che è sotto gli occhi di tutti. E sarebbe anche inutile stare ad insistere sul tenore e sulla linea equivoca delle disposizioni, ammesso che ve ne siano state, che il Governo ha impartito agli organi esecutivi, alle forze dell'ordine e alle Forze armate, su come affrontare questa emergenza, perché i fatti hanno parlato più di qualunque notazione polemica.
Scusate, colleghi!


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PRESIDENTE. Colleghi della lega, vi prego!

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Detto tutto questo, voglio ricordare che un illustre magistrato, affermando cose che mi sento in buona parte di condividere, sosteneva che garantire la legge ed un clima di legalità in una nazione è, più che un problema di codici scritti, di aggiornamento normativo e di adeguamento delle norme alla realtà, un problema di clima, di sensibilità, di cultura diffusa negli operatori del diritto, a cominciare dai magistrati. Sicché, soggiungeva quell'illustre magistrato, se vi fosse tutto questo, probabilmente si potrebbe amministrare abbastanza bene giustizia, anche facendo uso del corpus iuris, che certamente non è molto aggiornato rispetto alla situazione contemporanea.
Mi permetto di dire, con un'analogia, che se il nostro Governo, e dunque la maggioranza che lo sostiene, fosse consapevole della portata e di tutti gli aspetti della situazione albanese nei riverberi dell'equilibrio politico del Mediterraneo e delle ricadute di questo esodo sostanzialmente incontrollato verso il nostro territorio nazionale di coloro che fuggono dall'Albania, se avesse una consapevolezza profonda di quelli che sono i doveri storici e nazionali italiani rispetto alla situazione per minimizzare gli impatti negativi e massimizzare gli effetti in previsione di quello che può essere in lunga prospettiva il nuovo scenario della convivenza pacifica e positiva nel bacino Mediterraneo, non ci sarebbe bisogno di tante disposizioni scritte. Quando si sente il bisogno - e, ahimè, tale bisogno lo stiamo sentendo - di molte disposizioni scritte, di molte specificazioni, di molti codicilli, questo significa che le idee non sono chiare, che non ci si fida, che non c'è una volontà politica chiara, che non c'è una strategia che tutti riescano a riconoscere e, possibilmente, anche a condividere. In questo contesto sappiamo che sono poi gli operatori delle Forze armate, delle forze dell'ordine, i prefetti, i rappresentanti sul territorio del Governo centrale e gli enti locali (che, come giustamente è stato sottolineato da qualche collega, sono i grandi ignorati da questa normativa, con una straordinaria contraddizione che non mi sento assolutamente di poter accettare) quelli sui quali si scaricano le insufficienze, le carenze, le contraddittorietà, le reticenze dell'azione di Governo.
Nel presentare e nell'illustrare i nostri emendamenti, per restare in tema (anche se, surrettiziamente, si tratta di discussione generale) posso dire che un conto è l'accoglienza come valore, come metodo, come mentalità ed anche come dovere di una grande nazione che si allunga nel Mediterraneo e si fronteggia con le realtà rivierasche. Può darsi che qualche altro gruppo non sia d'accordo; mi pare che proprio dal settore della lega qualcuno si sia prima polemicamente rivolto verso alleanza nazionale in particolare rimarcando che avremmo aiutato il Governo Prodi, che lo avremmo salvato, quasi che fosse questo l'aspetto predominante di un tema che invece, per quanto ci riguarda, è ispirato a tutt'altra filosofia, ben diversa: precisamente, quella di rispettare, adempiere, concretizzare questo grande ruolo che può, e quindi deve, avere l'Italia nel contesto del bacino Mediterraneo, proprio confrontandosi con i paesi che vi si affacciano e che sono in maggiore difficoltà. Se l'Italia è nella condizione di soccorrere gli altri nelle loro difficoltà emergenti è una grande nazione, è una nazione che ha ancora un ruolo, una parola importante da dire sul terreno delle solidarietà e della sicurezza di ordine militare, economico, sociale, della convivenza a largo spettro.
Fu questa - lo abbiamo detto molte volte - la ragione del voto positivo dato da alleanza nazionale alla missione militare di pace che si è indirizzata in terra d'Albania. Ma un conto è l'accoglienza, che è l'interfaccia di questo intervento concordato e su mandato internazionale in terra d'Albania, e un conto è essere un paese che si apre in maniera indiscriminata a tutte le fughe, a tutti gli approdi, a tutte le perturbazioni e che si adagia


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semplicemente sul letto della demagogia e dei luoghi comuni. Quando si fa apologia dell'accoglienza e non una concreta teoria-pratica dell'accoglienza, allora si ricade nella propaganda, negli slogan, nei luoghi comuni; nel migliore dei casi, nel pietismo, ma tutto questo non ci porta lontano. Ecco allora gli equivoci che si scaricano vuoi sulla nostra missione come attuata e condotta in Albania, vuoi sul versante dei problemi che riguardano il nostro territorio nazionale. Per quel che riguarda la nostra missione in Albania, che come ho detto, e comprenderete, rappresenta l'interfaccia ed è strettamente connessa ai problemi di cui ci stiamo occupando, è di tutta evidenza che ci stiamo muovendo con una somma di ipocrisie e cose non dette che rischia di creare problemi aggiuntivi rispetto a quelli che già vi sono. Si parla di elezioni a breve, di come garantirle e si dice «ecco il termine breve, ravvicinato della missione italiana e internazionale in terra di Albania». Ma davvero siamo convinti, onorevoli colleghi e rappresentanti - o rappresentante - del Governo, che celebrare elezioni - che pure è un fatto storico, importantissimo, istituzionalmente di primario rilievo in Albania come altrove - possa risolvere alla radice la sostanza dei problemi che hanno scatenato una situazione di conflittualità interna come quella albanese? Davvero abbiamo la presunzione o la buona fede di ritenere che una volta che siano pubblicati gli esiti di una consultazione elettorale questo faccia venir meno le ragioni del conflitto, della perturbazione della convivenza civile in questa comunità nazionale? Mi sembra una visione molto ottimistica.
Sicché direi di muoverci molto di più con i piedi per terra e di cominciare ad attrezzarci per dialogare, naturalmente con l'ONU, con i consessi della comunità internazionale, con la Comunità europea, per capire se non debba essere ricontrattato l'insieme dei termini della nostra missione in Albania, i suoi contenuti, i suoi parametri, le sue regole, le potestà di coloro che abbiamo mandato, con grande responsabilità sulle spalle, a rappresentarci e a rappresentare la civiltà internazionale in terra e in mezzo al popolo d'Albania.
Per essere più chiari, di fronte ad un'Albania che ci chiede di incrementare le competenze della nostra presenza, di pace ma armata e tutelata, in quel paese, poniamoci il problema di ri-trattare, nel senso di trattare nuovamente, i termini della nostra operatività in Albania. Altrimenti noi rischiamo veramente di aver mandato allo sbaraglio, senza meta, senza destino, senza prospettiva, senza un disegno operativo concreto, i nostri militari, quindi tutti coloro che in prima persona si trovano a dover scontare le ricadute negative di questo problema.
Certo, ho detto prima che un conto è l'accoglienza...

PRESIDENTE. Onorevole Benedetti Valentini, la invito a concludere.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Scusi Presidente, ma prima non ha richiamato altri con altrettanta prontezza e qui siamo tutti uguali.

PRESIDENTE. Non è che faccia discriminazioni particolari...

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Sì, siamo tutti uguali.

PRESIDENTE. Tutti uguali lo stesso, perché l'onorevole Gasparri del suo gruppo...

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Lei non ha richiamato né altri colleghi di altri gruppi...

PRESIDENTE. No, all'onorevole Gasparri ho consentito...

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. ...e nemmeno del mio gruppo.

PRESIDENTE. Vada avanti e quando è il momento la interromperò.


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DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Scusi, quello che ha fatto con l'onorevole Gasparri non mi interessa. Io sono uguale all'onorevole Gasparri, quantomeno in termini di dignità parlamentare, non c'è dubbio.

PRESIDENTE. Il punto è sul numero delle ore a disposizione di tutti.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Ho capito, ma allora lei non consegni a un solo rappresentante di un gruppo l'interezza del tempo a disposizione. Questo rientra nel discorso di metodo che ho fatto prima, sulla tutela della dignità del singolo parlamentare e del Parlamento nel suo complesso.

PRESIDENTE. È garantito il singolo parlamentare: vada avanti e quando è il momento concluderà!

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. La ringrazio, certamente lo farò, però abbia ben chiaro quello che mi sono permesso umilmente di sottolineare.
Tutto ciò premesso, dicevo, un conto è l'accoglienza e un conto è invece creare problemi aggiuntivi rispetto ai rapporti civili tra un paese in difficoltà e un paese che ha obbligo di corrispondervi o comunque ha interesse a farlo. Di qui l'esigenza, rispecchiata in taluni nostri emendamenti, della selezione e delle selettività del modo di operare sotto questo profilo. Ecco perché le indeterminatezze non sono concepibili.
Per quanto mi riguarda, ad esempio, in seno alla Commissione difesa non abbiamo potuto fare a meno di sottolineare con un certo sconcerto come si possa liquidare il problema del raccordo tra le forze dell'ordine, nel senso di forze di polizia, e le Forze armate e i loro strumenti. Tale problema viene liquidato con un passaggio del comma 4 dell'articolo 1, in cui si dice: «altresì, alle operazioni di rimpatrio, anche avvalendosi della collaborazione dei competenti organi del Ministero della difesa». Ecco, come si possa liquidare il delicatissimo problema del raccordo operativo tra ministeri e loro amministrazioni (loro reparti, per quanto concerne il Ministero della difesa) con un inciso di questo genere è cosa che francamente non riesco a comprendere.
Si tratta di indeterminatezze che possono veramente creare problemi enormi alla operatività di chi ci rappresenta in terra di Albania e anche di chi deve fronteggiare la emergenza in terra italiana.
È stato sottolineato, da ultimo, in maniera giusta e rimarcata che in questo provvedimento sono previste delle norme che tutto sembrano prefigurare meno che un'accoglienza in fase d'emergenza, di primo impatto, di accoglienza doverosa; sembrano infatti prefigurare un insediamento sul territorio nazionale di coloro che lasciano la terra d'Albania per trovare un approdo momentaneo, di primo impatto, nel nostro paese.
Ebbene, questo aspetto non può non suscitare grandi perplessità. Ho fatto solo questo esempio per non tirarla troppo a lungo (ma ne avrei potuto farne altri). Le dichiarazioni dell'onorevole sottosegretario non possono non allarmare un'opposizione che si confronta con passione e responsabilità su questo tema. Ci si dice che gli emendamenti possono essere espressione di giuste preoccupazioni o di istanze fondate, ma anche che ci saranno forse altre sedi, altri provvedimenti, altre misure in cui recepirle. Ebbene, non vedo allora come una opposizione degna di questo nome, che abbia il carico delle sue responsabilità, si possa contentare di questo tipo di assicurazioni. Starei per dire che tali assicurazioni sono tanto generiche quanto sono lo sono i passaggi del provvedimento stesso.
Per tali ragioni penso che non potremo non insistere nella parte essenziale degli emendamenti presentati e che dobbiamo richiamare la maggioranza senz'altro ma soprattutto il Governo ad un confronto più disponibile, più concreto e concludente nell'interesse nazionale e della convivenza civile internazionale.


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Con un provvedimento di questo genere avremmo dovuto, più di quanto non abbiamo fatto (ecco le ragioni della nostra delusione e dell'insistere)...

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Benedetti Valentini, le ho dato tempo quanto e più degli altri. Concluda, altrimenti le tolgo la parola!

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. ...tutelare sia coloro che sono costretti a lasciare l'Albania sia la comunità italiana nel suo più corretto e civile rapporto con queste persone che si trovano in tali difficoltà.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ballaman. Ne ha facoltà.

EDOUARD BALLAMAN. Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, certo è alquanto problematico dover discutere di una questione in cui l'Italia non doveva assolutamente entrare. Non doveva entrarci in quanto paese confinante con l'Albania e perché sono stati richiamati i vari rapporti, sicuramente corretti e gentili, che sono intercorsi tra l'Italia e l'Albania. Ricordiamoci però che l'Italia è stata anzitutto il paese che ha occupato l'Albania. Proprio per questo viene da rimarcare la posizione negativa della lega su questo provvedimento, posizione che dovrebbe essere condivisa da tutto il Parlamento.
Bisognerebbe vedere quali sono state le cause di questa crisi. Forse dovremmo puntare l'indice su quella che è stata l'incapacità del nostro Stato di tenere a bada quella criminalità organizzata che viene ritenuta, come ormai si riconosce in tutto il mondo, la causa della crisi finanziaria albanese.
Ebbene, tale criminalità, proprio grazie a queste società collegate con la criminalità organizzata avellinese, mafiosa, e probabilmente anche con la Sacra corona unita pugliese, è riuscita a derubare le riserve di questo povero paese. Si parla di 1.500 miliardi. Più un paese è indigente e più può essere vittima della criminalità.
Quindi, la criminalità organizzata è riuscita, da un lato, a ricavare cospicue somme di denaro, dall'altro, a disporre di una ingente manovalanza; infatti in un intero paese la criminalità è incrementata e sono chiari i rapporti di collaborazione tra la sacra corona unita e la criminalità organizzata albanese. Inoltre, proprio grazie ad una così cospicua manovalanza sarà possibile controllare varie regioni d'Italia. Infatti, se osserviamo i movimenti dei profughi albanesi sul nostro territorio, vediamo che vi è la volontà di disporre di una criminalità organizzata di stampo albanese nel nord Italia. Ancora prima dell'ultima invasione, la criminalità albanese rappresentava già un terzo dell'intera criminalità extracomunitaria in Italia.
Tutto ciò ha gravi ripercussioni sulla nostra economia, a cominciare dalla imminente stagione turistica. Siamo infatti a conoscenza dell'ingente numero di disdette arrivate non solo nella regione Puglia, ma anche in tutta la costiera adriatica. Quindi, alla spesa viva di queste operazioni dovremo aggiungere una serie di costi ulteriori non evidenti in un primo momento, ma determinati in via indiretta da questa operazione che a nostro avviso avrebbe dovuto essere svolta in ben altra maniera.
Il Governo e il Parlamento dovranno cominciare a preoccuparsi anche delle ripercussioni negative che si determineranno sulla imminente stagione turistica.
È inevitabile, quindi, tornare al punto di partenza e chiedersi perché l'Italia si è dovuta impegnare in questa operazione, e tralasciamo di soffermarci sui risultati. L'Italia ha dovuto prestarsi a compiere tale operazione perché la comunità internazionale sa che le colpe maggiori della crisi albanese sono italiane, della nostra criminalità che non siamo riusciti a controllare. Di conseguenza, la comunità internazionale ha decretato, giustamente, che spetti all'Italia subire i danni di tutto questo. Proprio a causa delle nostre gravissime responsabilità si è perciò capovolto


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un principio fondamentale: il non coinvolgimento dell'Italia nell'operazione.
Il quadro fin qui delineato è stato ulteriormente aggravato dal modo in cui si è gestita l'operazione. Infatti cosa dovremmo dire del fatto che un ingente numero di albanesi, qualche migliaio, è stato perso di vista?
Vengo dal Friuli, e gli abitanti della mia regione sono fortemente preoccupati per l'assegnazione di un contingente (sembra di 2 mila persone) ad alcune caserme dismesse. La preoccupazione è dettata non da sentimenti di razzismo o di intolleranza (anche perché le regioni Veneto e Friuli hanno fornito il maggior numero di «missionari»), bensì dal ricordo di quanto era avvenuto ai tempi della prima invasione albanese, quella del 1991-'92. Anche allora gli albanesi furono alloggiati nelle caserme, che erano perfettamente funzionanti al momento dell'assegnazione e che sono state ridotte in rovina durante la permanenza. Tali preoccupazioni sono state ben sintetizzate nel corso di un incontro che noi parlamentari abbiamo avuto con alcuni rappresentanti del SIULP (il sindacato di polizia), i quali hanno evidenziato l'insufficienza dell'organico anche a far fronte alla normale attività. Aggiungere ai normali compiti questa nuova incombenza significa - a detta del sindacato - portare alla completa paralisi l'attività di prevenzione svolta dalle forze dell'ordine.
Forse dobbiamo ringraziare gli albanesi per non essere sbarcati in Friuli, forse ciò non è avvenuto perché, prima di arrivare, si erano già persi. Non possiamo però tralasciare quelle affermazioni irresponsabili e lesive nei confronti della nostra realtà. Penso all'annuncio fatto in televisione che agli extracomunitari verrà riconosciuto il diritto di voto, anche se per costoro è qualcosa che non riveste molta importanza, e penso alla promessa di farli rientrare nelle liste per l'assegnazione degli alloggi. Si tratta di annunci con effetti devastanti in persone che hanno già grandi problemi da affrontare e che proprio, sulla base di speranze alimentate da questi annunci, s'imbarcano in avventure senza senso per giungere nel nostro territorio. Invece poi finiscono nelle mani della criminalità organizzata. Non parlo solo di coloro che sono capaci di imbracciare un mitra (un kalashnikov con quattro caricatori al prezzo di 75 mila lire), bensì dell'ormai riconosciuto giro della prostituzione albanese. Il crimine organizzato ha operato una vera e propria suddivisione in base alla quale la prostituzione è stata lasciata agli albanesi.
E quindi, sono altri costi che si vanno ad aggiungere a quelli che già deve subire la nostra società. Si vogliono dare finte soluzioni ai problemi e poi invece - dobbiamo riconoscerlo - i costi che andiamo a pagare sono ben più elevati di quelli già evidenziati per una missione umanitaria senza senso! I costi di questa operazione e tutti quelli aggiuntivi si sarebbero potuti investire in ben altra maniera su queste realtà, dopo che altri fossero stati indirizzati in quelle zone a mettere ordine!
Il problema è che il nostro - scusate: il vostro - finto moralismo vi permette di attribuire un atteggiamento razzista solo a coloro i quali cercano, invece, di ragionare. Il problema è che quelle da voi proposte non solo non sono delle soluzioni, ma determineranno ulteriori problemi ancora più rilevanti! Il problema è che degli albanesi, a questo punto, non interessa più ad alcuno, se non alla criminalità organizzata (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Apolloni. Ne ha facoltà.

DANIELE APOLLONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, negli ultimi anni si è fatto un gran parlare degli immigrati extracomunitari che - a detta di alcune associazioni culturali legate alla sinistra e ad associazioni cattoliche della Chiesa e dell'attuale Governo di sinistra - sarebbero uno strumento indispensabile per la nostra società.
Proprio nella introduzione al nuovo disegno di legge del Governo, recante


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interventi straordinari per fronteggiare l'eccezionale afflusso di stranieri extracomunitari provenienti dall'Albania, le assurdità riportate in questo documento sono palesi: gli italiani non fanno più figli, proprio perché vi è un altissimo tasso di disoccupazione! I problemi economici che attanagliano le famiglie italiane non si risolvono certo importando milioni di extracomunitari che, se trovano lavoro, lo rubano ad un lavoratore italiano e, se non lo trovano, per mangiare sono obbligati a delinquere. Mi auguro che l'affermazione e una politica di integrazione e di riconoscimento di diritti nei confronti degli extracomunitari non si trasformi in un obbligo di matrimonio con stranieri di colore, sulla falsariga di quello che gli invasori cinesi hanno fatto nel Tibet occupato!
La possibilità per gli extracomunitari di accedere a qualunque attività lavorativa comporterà indubbiamente una diminuzione delle possibilità per il cittadino italiano di trovare lavoro. In particolare, se consideriamo circa un milione di stranieri regolarmente soggiornanti in Italia e un ulteriore milione «sanati» con il presente decreto, raggiungiamo il considerevole numero di 2 milioni di individui con diritto a trasferire in Italia la propria famiglia!
Preso atto che in pochissimi paesi del cosiddetto terzo mondo esiste un sistema di anagrafe credibile e sulla base della possibilità per i nuovi venuti di utilizzare in pieno le leggi italiane, si può intuire facilmente come la stragrande maggioranza di questi individui potrà con un'autocertificazione accreditarsi figli, mogli, mariti e parenti vari ed inesistenti. Tutto ciò si realizzerà in dispregio alla serietà e alla correttezza! Nulla ci impedisce di pensare che molti di questi nuovi poveri andranno ad ingrossare le fila della prostituzione, della malavita organizzata e della manovalanza in nero. Di fatto, diventerà impossibile espellere dal territorio nazionale gli extracomunitari che hanno commesso reati!
All'articolo 2 si prevede una serie di regole ad esclusiva tutela di interessi dei cittadini extracomunitari presenti in Italia. In particolare, si prevede pieno diritto all'assistenza sanitaria, contributiva, alla casa, all'apprendimento della lingua italiana, all'integrazione nelle scuole medie, eccetera, mentre in Italia abbiamo pensionati ed invalidi che percepiscono pensioni che non permettono loro il minimo vitale e che si devono pagare le medicine, e il Governo attuale va a regalare piogge di miliardi agli stranieri!
È bene che gli studenti comincino, anziché fare sterili proteste all'università, ad occuparsi di politica in modo attivo, non essendoci più alcuna possibilità di lavoro. Basti pensare con quanta facilità dal terzo mondo possono arrivare lauree e diplomi falsificati o di basso profilo.
La lega nord per l'indipendenza della Padania farà quanto nelle sue possibilità per fermare questo disegno di legge di conversione che, se dovesse essere approvato dalla Camera, porterà il nostro paese verso una situazione di degrado e di emergenza totali. Mi auguro che i cittadini padani capiscano in tempo quello che il Governo Prodi, spesso con la collaborazione del Polo - come prova valgono anche le dichiarazioni a favore del voto per gli extracomunitari rilasciate dal sindaco di Milano, del Polo, Albertini - sta cercando di fare: diritto al voto per gli extracomunitari che voteranno a sinistra, diritto al voto per gli italiani all'estero, che voteranno a destra.
Concludo questa mia breve esposizione con una battuta apparsa su una vignetta del giornale La Padania: «Centomila posti di lavoro a sud, ma cosa faranno? La prossima campagna politica di Prodi». Grazie (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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