Seduta n. 187 del 6/5/1997

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Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 28 marzo 1997, n.79, recante misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica (3489) (ore 9,13).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 28 marzo 1997, n.79, recante misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica.
Ricordo che nella seduta di ieri il Governo ha posto la questione di fiducia sull'approvazione, senza subemendamenti e senza articoli aggiuntivi, del suo emendamento Dis.1.1, interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge di conversione e che il relativo dibattito è stato organizzato nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, secondo quanto comunicato nella seduta di ieri.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Taradash. Ne ha facoltà.

MARCO TARADASH. Signor Presidente, essendo il primo ad intervenire mi corre l'obbligo di rimarcare le stravaganze e, addirittura, le irregolarità formali che hanno contrassegnato il percorso di questo provvedimento. Ieri ci siamo trovati in una situazione particolarmente imbarazzante per l'aula, per la valutazione non espressa da parte della Commissione bilancio sul testo del nuovo emendamento, cui si è dovuto porre rimedio. È questo soltanto uno degli incidenti formali che hanno caratterizzato una storia contrassegnata da ben più gravi incidenti sostanziali.
Il Governo è stato battuto in Commissione bilancio su questa manovra; oggi discutiamo una fiducia posta su un emendamento che non tiene minimamente conto del parere della Commissione bilancio, che stravolge in parte la prima impostazione del documento presentato dallo stesso Governo e che viene sottoposto all'attenzione della Camera attraverso la posizione della questione di fiducia.


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È la ventunesima volta che si ricorre alla questione di fiducia; in realtà ci troviamo in una situazione di consenso obbligato da parte del Parlamento e della maggioranza nei confronti del Governo. Si tratta di una storia che si trascina ormai dall'inizio della legislatura; è questo un regime nuovo, politicamente e istituzionalmente, che varrebbe la pena venisse studiato nelle università, quello del consenso obbligato imposto attraverso la posizione della questione di fiducia. La transizione italiana, che doveva portare da un regime parlamentare-assemblearista-consociativo ad un regime di tipo presidenzialista, secondo alcuni, e di premieriato, secondo altri, ma comunque restituire una logica formale di piena attribuzione sia al Governo sia al Parlamento, ha invece prodotto ed inventato fino a questo momento soltanto questa «bestia» sconosciuta e mostruosa del consenso obbligato attraverso l'imposizione della fiducia.
Probabilmente la prossima settimana ci troveremo nella stessa situazione, con riferimento ad un provvedimento anch'esso di natura economica. Sull'altro piatto della bilancia oggi si dà un colpetto a rifondazione e domani rifondazione comunista imporrà un colpetto alla maggioranza e verranno prodotti 100 mila posti di lavoro fasulli, i cosiddetti lavori socialmente utili, che andranno ulteriormente ad avvelenare l'economia meridionale e ad aggravare la pubblica amministrazione meridionale. Tale è infatti il destino di questi posti di lavoro fasulli, caratteristici di un regime assistenzialista e clientelare che noi pensavamo e speravamo - illudendoci - di avere superato.
Oggi, la manovra. Avremmo voluto sentire ieri dal ministro Ciampi innanzitutto un parere del Governo sulle decisioni della Commissione europea, cioè avremmo voluto sapere se, a parere del Governo, abbia ragione il Presidente della Repubblica, Scàlfaro, quando dice che a Bruxelles ci sono dei «ragionieri» (offesa rivolta con questi termini da parte del Presidente della Repubblica ad una categoria professionale, ma anche ai commissari dell'Unione europea), che oltre tutto truccano le cifre, perché non tengono conto dei pareri, diversi dai loro, che organi internazionali hanno espresso, persone che non meritano neppure l'appellativo di autorità, pur essendo il governo formale dell'Unione europea. Vorremmo sapere se abbia dunque ragione il Presidente Scàlfaro in queste sue esternazioni, oppure se il Governo si rimetta ed abbia fiducia nella Commissione europea e nel percorso sul quale anche il Governo italiano aveva convenuto. Un percorso di convergenza di alcuni parametri che la Commissione europea è periodicamente chiamata ad esaminare e sul quale deve esprimere una valutazione. Poi, spetterà ai politici, ai Presidenti, ai Capi dei Governi dei paesi dell'Unione europea prendere la decisione finale, ma intanto le regole del gioco, accettate anche dal Governo italiano, fanno sì che alla Commissione europea sia demandato il compito di esprimere delle valutazioni.
Allora, vorremmo sapere dal Governo se accetti ancora queste regole del gioco oppure se abbia ragione il Presidente Scàlfaro quando dichiara, in nome degli interessi della patria, che quelli sono dei ragionieri e che i nostri conti non possono essere sottoposti a dei ragionieri ma devono essere soggetti al primato della politica. Un tempo tutto ciò aveva un altro nome, si chiamava «partito unico della spesa pubblica», quello che ha distrutto l'economia del paese; oggi Scàlfaro, il Presidente della Repubblica, lo chiama «primato della politica», usando una terminologia che apparteneva ad una qualche estrema sinistra.
In primo luogo, vorremmo sapere questo. In secondo luogo, vorremmo conoscere la valutazione sulle valutazioni, cioè cosa pensi il Governo del parere della Commissione europea. Evidentemente, dai fatti mi pare che il Governo accetti questo parere, visto che si dà da fare per modificare la manovra. Ma naturalmente noi sappiamo bene, e lo sapete anche voi, che queste modifiche non porteranno da nessuna parte: si tratta ancora una volta di belletti, di maquillage; non servono ad affrontare i nodi strutturali della spesa

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pubblica, tanto meno ad impostare la possibilità di un ritorno dell'economia italiana a livelli di competitività internazionale, tagliando i rami secchi della nostra economia pubblica e dando fiato, ossigeno all'economia privata, costruendo infrastrutture e opere pubbliche, non - come chiede una parte della sinistra - per dare lavoro a qualcuno attraverso l'assunzione pubblica, ma per dare lavoro a molti facendo sì che le opere pubbliche siano la premessa perché l'iniziativa privata, le opere private possano avere uno slancio. Questo è particolarmente vero per il meridione che, se ha bisogno - e ne ha molto - di opere pubbliche, ne ha soltanto perché finalmente venga data la possibilità ai privati di cominciare a lavorare senza dover sfidare, da una parte, l'inefficienza dello Stato e, dall'altra, l'efficienza della criminalità organizzata.
Su queste questioni vanno date delle risposte e non si possono porre i problemi - come sempre vengono posti - in termini di «rimpallo» di responsabilità tra una maggioranza dell'Ulivo e una minoranza di rifondazione comunista, che compongono però la maggioranza governativa. Noi non possiamo dire: «la spesa sociale è squilibrata e dunque, per far piacere a rifondazione, meno previdenza e più assistenza». Ma non è un piacere a rifondazione: togliere alla previdenza e dare all'assistenza si chiama costruire una società democratica, significa consentire diritti di cittadinanza agli esclusi e agli emarginati. Quindi, significa spendere per produrre occupazione, spendere per i disabili e gli handicappati, spendere per la scuola; significa semplicemente vivere all'interno di una società liberaldemocratica. E non può essere rifondazione a richiamare queste logiche, che sono evidentemente normali o dovrebbero essere all'interno di un sistema democratico liberale. È vero il contrario: all'interno della maggioranza si vuole tutto e il contrario di tutto e lo si vuole subito, ma possibilmente mai.
Questa è la realtà delle procedure adottate all'interno della maggioranza. E noi ci avviamo ad essere decapitati dalla Commissione europea, e poi dai politici evocati da Scàlfaro, nella nostra possibilità di partecipazione all'unione monetaria, perché non vogliamo, o non siete in grado di farlo - questa è la realtà - per la vostra cultura, per le vostre lobbies, per i vostri sindacati, per le vostre corporazioni della pubblica amministrazione, per il vostro ministro del tesoro, che è diventato una super-holding, il più grande complesso industriale dell'Europa occidentale e probabilmente del mondo, che regge le fila dell'economia molto più di quanto il sistema delle partecipazioni statali non facesse in passato.
Voi, onorevole ministro per i rapporti con il Parlamento e onorevole Maciotta, forse vi illudete di essere favorevoli alla liberalizzazione dell'economia, alle privatizzazioni; fatto sta che noi assistiamo invece ad un ingolfamento sempre più pericoloso ed inquietante del Ministero del tesoro e non vediamo mai avviarsi le privatizzazioni. Questa è una realtà del Governo dell'Ulivo, come realtà del Governo dell'Ulivo è l'aumento progressivo della pressione fiscale e la non diminuzione della spesa pubblica. Queste sono realtà; si rimanda sempre a un domani la risoluzione dei problemi, quella risoluzione che ci potrà e ci dovrà portare in Europa.
Guardate che è inutile giocare con le cifre e con le manovre. Voi sapete benissimo che o nel prossimo documento di programmazione economico-finanziaria sarà davvero affrontata la situazione della crisi italiana di qui al 2000, oppure potremo poco baloccarci con le manovre e con i compromessi di volta in volta raggiunti con il trio Cofferati-D'Antoni-Larizza oppure con Fausto Bertinotti ed i suoi amici. Questo gioco delle parti non nasconde i fatti, in realtà nasconde alibi; è la vostra maggioranza che è costruita sul trio D'Antoni-Cofferati-Larizza, sul potere dei sindacati, sulla loro prepotenza nel mercato del lavoro, ed è costruita su rifondazione comunista, perché rifondazione comunista interpreta un'anima di sinistra, marxista, comunista, o cattocomunista, che è presente dentro il PDS

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come è presente dentro i popolari e attraversa anche altre formazioni della maggioranza di Governo.
Dovete decidervi a rimettere in discussione radici di potere, non più soltanto radici culturali: quelle sono state spezzate, non sono state rimesse in discussione, sono lì ed avvelenano il vostro passato e quindi il vostro presente ed il vostro futuro, perché non le avete volute aprire, guardare e leggere fino in fondo. Le radici di potere sono invece ben presenti e forti e rappresentano l'unica garanzia che voi avete per poter restare in maggioranza in questo paese. Allora le pagliacciate sull'imitazione, non più della Vergine o di Cristo ma di Tony Blair, lasciamole a Striscia la notizia.
Concludo, signor Presidente, ricordando che il Polo per le libertà, e forza Italia in particolare, in un documento, in un ordine del giorno che verrà discusso al termine di questo dibattito, ha illustrato i provvedimenti necessari per arrivare a quello che non può non essere l'obiettivo di un Governo, cioè l'azzeramento entro il 2000 del disavanzo pubblico oppure il suo allineamento alla media dei tre paesi europei più virtuosi, perché questo è l'unico obiettivo vero rispetto al deficit. Se noi non saremo in grado, nel momento in cui l'unione monetaria avrà preso l'avvio, di non avere comportamenti diversi da quelli della media virtuosa dei paesi europei, allora l'unione monetaria per noi sarà una mera chimera, perché evidentemente il gioco dei mercati farà sì che i tassi italiani saranno più favorevoli agli investitori e tutta l'Europa dovrà correre il rischio di vedere il risparmio affluire in Italia. Allo stesso modo mettiamo una pietra sopra il problema dei problemi, quello del cambio tra marco e lira; in altri termini quello del peso del debito pubblico sull'economia dell'Europa. Ma di questo non si parla nel nostro paese! Se non vi deciderete a dichiarare almeno le intenzioni concrete, attraverso forme parlamentarmente corrette e quindi attraverso il documento di programmazione economica e finanziaria (che dovrà arrivare entro le prossime settimane e che non potrà essere rinviato - come molti di voi vogliono - al mese di ottobre) avrete perso anche quel minimo di credibilità che forse ancora in qualche illuso, a livello di Unione europea, può esistere nella fiducia che l'Italia possa davvero raggiungere questo obiettivo; un obiettivo, quello di partecipare all'unione monetaria, che è prezioso, indispensabile, inderogabile per il nostro paese, ma che voi avete via via bruciato nel tempo e che anche con questa manovra vi incaricate di incenerire.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Carazzi. Ne ha facoltà.

MARIA CARAZZI. Signor Presidente, colleghi, signori rappresentanti del Governo, a nostro avviso questa manovra risponde - come ha detto anche il Governo - al fine di recuperare lo scostamento dall'obiettivo del 3 per cento riferito all'indebitamento della pubblica amministrazione. Tale scostamento è stato identificato dai risultati presentati nella relazione trimestrale di cassa del marzo scorso e qui viene operata una correzione rispetto agli andamenti tendenziali.
Nello stesso tempo la manovra sembra tenere conto dei sintomi di ripresa dell'attività produttiva e dei consumi e della necessità di non soffocarli.
Ieri il ministro Ciampi ci ha indicato, nella previsione dei prossimi sei mesi, un andamento positivo del fabbisogno. Ma una cosa è valutare questo fabbisogno entro i parametri interni (e qui c'è effettivamente un andamento positivo), altra cosa è valutarlo rispetto ai parametri di convergenza. A proposito di tali parametri credo che stia per giungere il momento in cui molti paesi dell'Unione (paesi forti e non deboli) si chiederanno se sia il caso di insistere su indicatori che tutti quanti (compresa la Germania) fanno fatica a raggiungere. In ogni caso, nella situazione data, il ministro del bilancio ha detto che è indispensabile mandare un segnale ai mercati. Se è così, riteniamo una scelta accettabile quella di «ricavare» parte del recupero di questo scostamento dal versamento


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anticipato sul trattamento di fine rapporto da parte delle imprese. È un versamento anticipato di imposte ma ho sentito - ed io ci credo - il ministro Ciampi affermare in Commissione che le imprese sono liete di sapere che si chiede loro solo un contributo di anticipo di imposta, già peraltro contenuto nel collegato alla finanziaria, che costituisce poi credito di imposta da utilizzare per il versamento delle ritenute applicate ai trattamenti di fine rapporto che saranno corrisposti a decorrere dal gennaio del 2000.
È stato inoltre stabilito un fondo di garanzia per provvedere ad eventuali aperture di credito per imprese che ne facciano richiesta per mancanza di liquidità. Oltre alle esenzioni originariamente previste che riguardavano le imprese con più di quindici dipendenti, che già andavano a salvaguardare una fascia non insignificante di piccole imprese artigiane, sono state anche richiesti ulteriori sconti.
Abbiamo manifestato e manteniamo delle perplessità sulla drammatizzazione operata su questo punto da certe imprese e da Confindustria. Non solo fuori di qui, cioè da parte di Confindustria e degli imprenditori, ma anche qui, in Commissione ed in aula, alcuni componenti della stessa maggioranza hanno richiesto con una drammatizzazione, a mio avviso fuori luogo, un alleggerimento ancora più consistente.
Il risultato è l'aggiunta di esclusioni riguardanti i nuovi assunti dopo il 30 ottobre 1996. E questo è giusto, purché, come è scritto nell'articolato, essi abbiano determinato un incremento del numero degli addetti: così si evitano tentazioni di comportamenti elusivi da parte delle imprese.
È stata poi introdotta un'altra mitigazione, sotto forma di franchigia relativa ai dieci dipendenti di più recente assunzione, anche per le imprese più grandi. Spiace però vedere che il minor gettito derivante da queste attenuazioni sia stato riequilibrato con provvedimenti di varie agevolazioni e ampliamenti rispetto a condoni per inadempienze fiscali e contributive. Si tratta di norme che nella prima versione di questo provvedimento, che noi preferivamo, erano più limitate. Per buona ventura non si è usata a copertura la ventilata recrudescenza del blocco del pubblico impiego.
Su questi condoni attendiamo con interesse i dati che dovrebbero adesso cominciare ad arrivare relativi al gettito. Comunque si sia realizzato il gettito derivato dai suddetti condoni, tributari e contributivi, noi pensiamo che non ne debbano più essere concessi.
Altri dati attendiamo con interesse e sono quelli che dovrebbero fare luce sul fenomeno degli aiuti statali alle imprese. Sono aiuti che derivano da varie e numerose leggi di incentivazione industriale; sono favori fiscali la cui dimensione ancora non è chiara né al Parlamento né, forse, al Governo, che però ha promesso di procedere ad una documentazione in materia.
Anche in questo provvedimento sono previste misure fiscali a sostegno dell'innovazione. Vorremmo comprendere, una volta per tutte, quali ricadute abbiano avuto e avranno questi aiuti alle imprese.
Abbiamo visto positivamente all'interno di quello che era l'articolo 6, commi 1-4, le sanzioni stabilite per gli imprenditori che violino la normativa in materia di part time appena definita dal collegato 1996.
Quanto all'articolo 7, sulle conseguenze che può avere questa accelerazione della dismissione delle case degli enti previdenziali, abbiamo chiesto che fossero introdotte cautele, che infatti richiamano l'articolo 6 del decreto legislativo n.104 del 1996, anche se ciò non basta a dissipare i timori che abbiamo di possibili contraccolpi sulle situazioni di chi si troverà interessato da questa accelerazione del programma, anche se abbiamo visto che vi è la previsione di prestiti a condizioni agevolate in favore di conduttori che vogliano esercitare il diritto di prelazione.
Detto questo riconfermo, come è già stato detto dalla collega Moroni in discussione generale, che la manovra risulta nel complesso ricevibile. Tuttavia vorrei aggiungere

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una cosa sul motivo che ha mosso tutta questa manovra di aggiustamento, cioè l'obiettivo di convergenza al famoso 3 per cento.
Se proprio volessimo dimensionare e scandire la politica economica in riferimento a parametri europei, altri indicatori esisterebbero, altri potrebbero essere i valori prescelti. Oltre all'ossessivo martellamento sul raggiungimento di questo rapporto del 3 per cento fra indebitamento della pubblica amministrazione e prodotto interno lordo, esisterebbero, ad esempio, obiettivi economicamente e socialmente più sensati: dico solo quello dichiarato ma poi non praticato della coesione.
L'Unione europea ufficialmente prospetta nei suoi obiettivi la necessità di perequazione al massimo livello possibile delle condizioni di reddito delle diverse regioni europee. La Comunità dovrebbe farsi carico di meccanismi che aumentino tale coesione: invece domina incontrastata l'assolutizzazione di questo valore convenzionale del 3 per cento.
Con questa specifica manovra, comunque, pensiamo che i sintomi di ripresa economica e dei consumi non siano posti a rischio e, quindi, come abbiamo già affermato, possiamo approvarla.
Concludo manifestando apprezzamento per una affermazione che ho sentito ieri nell'intervento del ministro del bilancio e del tesoro, il quale ha detto che il Governo deve adottare «una linea fondata sulla realizzazione di condizioni di efficienza del sistema» ed ha aggiunto: «mirando nel contempo ad una maggiore equità nella creazione e distribuzione della ricchezza». Se questo obiettivo sarà realizzato, certo non sarà l'appoggio di rifondazione comunista a venirgli meno (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lembo. Ne ha facoltà.

ALBERTO LEMBO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo qui per discutere dell'ennesima manovra del Governo Prodi che, temiamo, non sarà idonea a raggiungere i parametri di Maastricht. In primo luogo, tale manovra è diretta a conseguire soltanto alcuni parametri fondamentali, tralasciando quello rispetto al quale l'Italia si scosta maggiormente dal cosiddetto «sentiero di convergenza», vale a dire il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo. In secondo luogo, essa prescinde dalla considerazione degli effetti recessivi che la manovra stessa potrà dispiegare sull'economia reale del paese che, impoverendosi, come noi temiamo, non potrà garantire il maggior gettito fiscale previsto. Sono quindi delle ipotesi tutte da verificare e che noi temiamo non porteranno ai risultati auspicati dal Governo.
Fin dall'inizio abbiamo sospettato che con il presente provvedimento vengano imposti ancora una volta inutili sacrifici supplementari al paese, in particolare, come sempre, alla sua parte più produttiva, la Padania, allontanandola, invece di avvicinarla, dal traguardo dell'unione economica e monetaria. Già ieri avevo risposto in modo piuttosto sarcastico al ministro Ciampi ed oggi vorrei aggiungere che il fatto più grave è rappresentato dal tentativo di raggranellare un po' di spiccioli per tirare a campare qualche giorno di più, mascherando questo tipo di azione sotto motivazioni alte e nobili.
Durante la discussione delle precedenti manovre e manovrine, abbiamo fatto più volte presente come il Governo non abbia mai provveduto a riequilibrare la spesa pubblica a favore delle regioni della Padania, che sono poi la vera fonte di quella ricchezza che viene redistribuita in tutto il paese. Purtroppo la redistribuzione della ricchezza, decisa dai detentori del potere per favorire interessi particolari o esigenze molto forti e pressanti, rende impossibile aiutare regioni meno abbienti in cui ci sono situazioni di forte disagio - un disagio per altri versi presente anche da noi - e rende impossibile anche l'attuazione di politiche sensate e coerenti per la nazione nel suo complesso. Anche ieri ho detto al ministro Ciampi che di strutturale in questo Governo vi è solo il ricorso alla


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fiducia ed oggi intendo ribadire che nella politica del Governo manca ogni intervento strutturale, il che è grave. Inoltre si agisce in una cornice complessiva per cui, come cercherò di dimostrare, si finge che esista una realtà italiana omogenea, mentre così non è. Applicare uno schema rigido ad una realtà diversa e fingere che le cose stiano in modo diverso dalla realtà, porta a grossi inconvenienti.
Questa manovra, come tutte le precedenti, non è in grado di contribuire alla creazione delle condizioni per un nostro ingresso nell'area della moneta unica europea. Infatti, se il Governo continuerà a persistere su questa linea politica, non entreremo né ora né mai a far parte dell'Europa e tale esclusione, che appare sempre più probabile, comporterà minore competitività per le aziende del nostro paese, la maggioranza delle quali tutti sappiamo in quale parte dello stesso siano concentrate. Di conseguenza si determinerà un impoverimento progressivo per le regioni della Padania, che vedranno ridotto il numero delle loro imprese (che sono poi quelle che danno da vivere a tutti, non dimenticatevelo). Inoltre, in assenza di aziende capaci di competere sui mercati, la disoccupazione, al nord, al centro e al sud, continuerà a crescere. E questo non possiamo permetterlo, pertanto cercheremo di impedirlo in tutti i modi. Quindi non ci stancheremo mai di denunciare questa situazione e difenderemo, come è nostro dovere, prima di tutto l'occupazione nelle regioni di cui siamo rappresentanti.
Abbiamo più volte invitato il Governo ad un ripensamento della sua politica economica, perché ci sono altre spese da tagliare ed altri soldi da incassare senza aumentare la pressione fiscale. In ogni caso la via da seguire non è quella di manovre o manovrine puramente fiscali, ma di interventi normativi di portata generale, addirittura costituzionale.
A questa richiesta ci viene risposto con le manovre, le manovrine e i minuetti della bicamerale. Se questa è la volontà effettiva di riforma di questa maggioranza, di questa classe politica, di tutto il complesso istituzionale dello Stato italiano, c'è veramente poco da sperare!
Tornando alla manovrina, i compromessi raggiunti tra le varie componenti all'interno della maggioranza hanno portato ad incertezze e a «mezzi» passi (metà avanti e metà indietro) che non sono assolutamente risolutivi. Non possiamo accettare che il Governo faccia tutto ed il contrario di tutto anche in materia fiscale con interventi «pasticciati» nella sostanza e nella forma. Penso ai due clamorosi infortuni: il primo è quello del ministro Bassanini in occasione della precedente richiesta di fiducia, il secondo è quello verificatosi ieri qui in aula quando sono state dichiarate cose non rispondenti ai principi della correttezza istituzionale. C'è tutto, c'è il vizio nella forma e nel merito.
Ciò che resta è la persecuzione fiscale dei produttori. È certo che ogni intervento di tipo economico e finanziario presenta questa costante: gli imprenditori, gli artigiani e i lavoratori dipendenti della Padania vengono comunque sempre tartassati. Non vorrei dilungarmi sull'argomento ma finalmente, una volta tanto, ci viene data ragione. Penso alla questione delle quote latte, al risultato della Commissione di indagine sulla gestione delle quote latte perché quello che avevamo sempre detto, denunciando l'incostituzionalità di un provvedimento, si è rivelato esatto («hanno sfondato dappertutto»). Vi sono colpe centralizzate, ubicate a Roma, nel ministero, colpe centralizzate in organizzazioni di categoria, per cui pagano soltanto meno di 15 mila produttori del nord, della Padania. Questa è realtà, non fantasia, e quindi non potete smentirci al riguardo.
Mi permetto, visto che il tempo lo consente, di fare una rapida carrellata storica. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, il guaio, come ho già osservato in qualche altra occasione, ha una data di nascita ben precisa: 20 marzo 1865. Tutti i nostri guai nascono da quella data, nascono dalla legge sull'unificazione amministrativa del Regno d'Italia, quando con un documento stampato, che andava contro un'osservazione scrupolosa della

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realtà profondamente differenziata, anche allora, si è voluto fingere che l'Italia fosse una, che gli italiani potessero essere amministrati e governati con le stesse regole. Queste stesse regole ci hanno imbrigliati in una situazione che ci ha portati allo sconquasso di adesso; e non è che non ci fossero menti lucide a denunciare anche allora la situazione. Per non fare ingiustizie cito soltanto tre nomi di politici e pensatori che avevano perfettamente previsto che cosa sarebbe successo. Il piemontese Massimo D'Azeglio, il toscano Eugenio Alberi, il siciliano Vito D'Ondes Reggio hanno tentato in tutti i modi di evitare questa catastrofe, facendo riferimento ad una realtà profondamente diversificata anche allora, perché esistevano differenziazioni di popoli, di indole, di attitudine che richiedevano interventi profondamente differenziati. D'altra parte esistevano codici, complessi di norme riferiti alle realtà degli antichi Stati italiani e ogni popolo aveva il «vestito» fatto su misura per le proprie necessità. Perché, se non vogliamo usare la parola popolo ma altri termini di riferimento, le condizioni imprenditoriali, di lavoro, le condizioni di ogni genere erano diverse e quindi richiedevano un'applicazione diversificata. Vorrei rivolgere una domanda a qualche vostro predecessore che non è più qui, ma di cui avete raccolto l'eredità: perché nelle province o comunque nei territori appartenenti alla cessata monarchia austro-ungarica sono state mantenute in vigore norme amministrative differenziate dopo l'annessione allo Stato italiano e non si è voluto fare lo stesso per altre componenti annesse allo Stato centralista e unitario italiano? Forse che il Veneto ed il Regno delle due Sicilie non avevano gli stessi diritti e la stessa dignità di qualche brandello di territorio che l'Italia ha occupato con le armi e contro la volontà delle sue popolazioni? Qualcuno dovrebbe rispondere a tale quesito.
Tornando all'argomento (credo, peraltro, che non sia stato ozioso fare un riferimento storico di quel tipo), vogliamo invitare il Governo e la maggioranza a prendere atto dell'esistenza di due economie profondamente diverse e di conseguenza dell'utilità per tutti i cittadini viventi oggi nei confini dello Stato italiano di procedere a forme di differenziazione consensuale. Ho già detto in che modo; tanti altri se ne possono trovare: l'importante è andare a centrare effettivamente il bersaglio, in modo che le regioni che sono già pronte possano procedere all'immediato ingresso nell'unione monetaria precedendo le altre che, grazie agli aiuti, ai fondi strutturali dell'Unione europea e soprattutto grazie agli effetti di svalutazioni competitive della loro moneta, avranno la possibilità di riorganizzare il loro sistema industriale, artigianale e finanziario in maniera tale da proporre successivamente la loro candidatura all'ingresso nell'unione monetaria europea.
Ricordo fra l'altro - perché anche questo viene spesso volutamente dimenticato, immolandolo sull'altare della visione unitaria - che un rapporto diretto con la Comunità europea da parte di regioni omogenee, identificate anche a livello comunitario, è già un'indirizzo di politica generale che porta di fatto al superamento di rigidi vincoli nazionali. Lo Stato italiano centralista continua a violare anche direttive comunitarie o a non applicare possibilità date dalla Comunità europea.
Perché i produttori di latte bavaresi sono in grado di rapportarsi con la Comunità europea, con un monte quote bavarese e non della Repubblica federale tedesca, mentre noi dobbiamo avere una quota unica nazionale e fare riferimento a questa? Perché i viticoltori di altri Stati europei possono fare riferimento alle loro produzioni locali in relazione alle quote stabilite dagli accordi comunitari e quelli italiani, invece, sono obbligati - anche questi! - al rispetto di presunte norme che porterebbero a doversi comportare così quando invece non è assolutamente vero?
Il Governo la smetta di raccontarci frottole di questo genere. Cominci a far vedere se effettivamente intende intervenire in maniera concreta a sostegno delle realtà economico-produttive italiane. Allora dia spazio, dia ciò che è già possibile

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e che gli altri Stati (Francia, Spagna, Germania ed altri) applicano già; ci dia la possibilità di autoregolarci a livello territoriale e di dialogare con l'Europa (cosa, questa, che altri popoli dell'Europa stanno facendo: penso, ad esempio, ai bavaresi, ai catalani), mentre ciò è assolutamente negato a noi veneti, lombardi, piemontesi ed emiliani da questo Stato che ha una visione idolatra dell'unità.
Come rappresentanti dei cittadini della Padania, che verranno gravemente danneggiati da questa manovra, abbiamo lavorato in questo Parlamento per migliorare le proposte del Governo; e l'abbiamo fatto fino a quando è stato possibile. Di fronte ad un Governo e ad una maggioranza che hanno dimostrato chiaramente di non volere un confronto in sede parlamentare con gli schieramenti di opposizione (non mi riferisco solo alla presunta opposizione del Polo, ma a tutti gli schieramenti di opposizione: ci siamo anche noi, grazie al cielo, e ci hanno mandato qui i nostri elettori a fare da guastafeste!) e che non vuol tenere conto delle conseguenze di questa manovra, dichiariamo - anche di fronte a quest'aula e ai cittadini che rappresentiamo - che non abbiamo potuto fare di più. Si cerca di fare il possibile, ma quando si viene «chiusi» ed esclusi l'unica soddisfazione che resta è, appunto, di avere fatto il possibile.
Possiamo dire soltanto allora che, se verrà sostenuta una manovra come questa, volutamente di contenuto vago, indefinito e palesemente insufficiente a migliorare la situazione economica e finanziaria del paese Italia nel suo complesso, non rimarremo inerti (lo ripeto: non rimarremo inerti) ad aspettare che la stessa sorte colpisca ancora una volta i nostri popoli della Padania.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.

PIETRO ARMANI. Signor Presidente, il Polo per le libertà, in particolare alleanza nazionale, ha ritenuto molto grave che, dopo la bocciatura in Commissione bilancio della manovra integrativa di cui al decreto-legge n.79, il Governo abbia precipitosamente chiesto la fiducia, nonostante gli emendamenti di alleanza nazionale fossero una sessantina e quelli di tutto il Polo non fossero più di 100-150. Il grosso degli emendamenti, ancora una volta, era infatti della lega, che a questo punto ha incentivato il Governo a porre la fiducia. Quindi al collega Lembo, il quale ha affermato che il Polo fa un'opposizione di facciata, faccio presente che, in realtà, chi fa il socio occulto del Governo è proprio la lega, con quella massa di emendamenti che sostanzialmente, ripeto, spingono il Governo a porre la fiducia.
Il Governo, dicevo, si è affrettato a chiedere la fiducia, nonostante i pochi emendamenti, il cui numero tra l'altro eravamo anche disposti a ridurre, e nonostante quel voto negativo in Commissione, che poteva essere molto indicativo e poteva aprire un discorso di disponibilità a modificare, a migliorare questa manovra nel raccordo fra maggioranza e opposizione. Ma il discorso di ieri dell'onorevole Mussi, arrogante, mi ha fatto pensare ad un suo predecessore di un partito cosiddetto «fratello» che alcuni decenni fa, in un'Assemblea dell'ONU, si tolse una scarpa e la battè violentemente sul banco. Quell'arrogante discorso dell'onorevole Mussi dimostra come questa maggioranza non vuole, in realtà, che il Parlamento discuta, ma vuole semplicemente andare avanti come un bulldozer per occupare tutti gli spazi di potere ed ottenere i risultati che ritiene di dover ottenere senza rispetto per il Parlamento.
Il discorso del ministro Ciampi è stato, poi, non tanto arrogante quanto patetico. Rispetto molto la storia, il passato del presidente Ciampi, ma ieri egli è stato assolutamente patetico, soprattutto quando si è nascosto dietro una carta velina, cioè quando ha sostenuto che il principale emendamento del Polo, che sostituiva l'anticipo della tassazione sul TFR con il netto ricavo di alcune privatizzazioni, non poteva essere accolto perché, in realtà, quell'emendamento portava entrate in conto capitale (derivanti dalle


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privatizzazioni) al conto corrente, dimenticando che esisteva proprio l'esempio della STET a consentire tale operazione. In quel caso, infatti, cioè nel caso dell'acquisto dall'IRI da parte del Tesoro della partecipazione STET, in realtà non si trattava di coprire, di assorbire passività dell'IRI in capo al Tesoro - passività di cui il Tesoro era comunque responsabile - ma essenzialmente di realizzare la copertura delle perdite a conto economico dell'IRI per il 1996, perché altrimenti l'IRI sarebbe stato costretto a portare i libri in tribunale o ad invocare gli articoli 2446 e 2447 del codice civile. Non si trattava, quindi, di assorbire passività di cui il Tesoro era già responsabile, ma semplicemente di coprire perdite a conto economico, esattamente come avrebbe fatto l'emendamento dell'opposizione, che anticipando al 1997 i ricavi netti dalla vendita del 15 per cento dell'ENI e di altre quote dell'ENEL negli anni successivi avrebbe sostanzialmente mantenuto stabile, se non incrementato, l'avanzo primario che, caro Presidente, cari colleghi, è la vera sostanza del risanamento della finanza pubblica. Infatti in questi anni, a parte il fatto che il fondo per l'ammortamento del debito pubblico non mi sembra si sia particolarmente incrementato, in realtà abbiamo assistito alla crescita, nonostante l'aumento dell'avanzo primario, dell'ammontare complessivo del debito pubblico accumulato. Il problema, dunque, è gonfiare l'avanzo primario, facendo in modo che, attraverso ciò, non solo si riduca il servizio interessi del debito pubblico, ma anche si asciughi gradualmente la dimensione delle nuove emissioni di debiti successivamente rinnovati alla scadenza.
Il problema, pertanto, era di sostenere la crescita dell'avanzo primario e non il formalismo del passaggio di fondi d'entrata dal conto capitale alla parte corrente, che tra l'altro - come ha riconosciuto il Presidente della Camera nel momento in cui ha ritenuto ammissibile il nostro emendamento - non è codificato nell'ambito dei parametri e dei principi che governano l'approvazione delle manovre di finanza pubblica in Parlamento; né è codificato in modo rigido nemmeno a livello di Unione europea (Eurostat).
Era dunque patetica la dimostrazione del ministro Ciampi, anche perché era volta a sostenere un principio sostanzialmente incostituzionale: l'anticipo della tassazione sul TFR è palesemente incostituzionale, come è stato dimostrato anche dall'ufficio bilancio della Camera: non cito, quindi, un documento di parte, ma un documento altamente autorevole e neutrale. Ebbene, in esso emergeva chiaramente a partire dal duemila - anno non certo proiettato nel futuro, ma il terzo dei prossimi tre anni che saranno oggetto del documento di programmazione economico-finanziaria - un saldo finanziario negativo di 1.185 miliardi, che andava crescendo nel tempo sviluppandosi fino al 2005 o al 2008, a seconda delle valutazioni. In realtà voi, ancora una volta, avete operato un anticipo di entrate, fra l'altro su una capacità contributiva che non esiste. Infatti, l'articolo 53 della Costituzione prevede chiaramente che bisogna colpire la capacità contributiva, ma l'anticipazione dell'imposta sul TFR significa colpire una capacità contributiva che non esiste, che è solo virtuale. Avete dunque violato l'articolo 53 della Costituzione; ma la Corte costituzionale certamente chiuderà un occhio, visto che è stata eletta in un certo modo.
Avete, inoltre, violato l'articolo 81 della Costituzione, il che è ancora più grave. Sarete costretti a modificare nella prossima legge finanziaria la normativa: su un totale di 100 mila miliardi di manovre finanziarie, comprese quelle ereditate dal Governo Dini, effettuate dal Governo Prodi, circa il 60 per cento è rappresentato da anticipi di entrate e posticipazioni di spese. Voi, dunque, a cominciare dall'eurotassa, con la prossima legge finanziaria dovrete sostituire entrate non ricorrenti con entrate strutturali. Già si parla, quindi, di ripristino della famigerata e assurda minimum tax e di ulteriori «tartassamenti» a carico delle categorie dei lavoratori autonomi e delle imprese; quindi, sostanzialmente, continuate a seguire

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la strada delle tassazioni sulle attività produttive per non incidere sulla spesa. Siete ancora il Governo e la maggioranza della ridistribuzione di una ricchezza che si sta sempre più riducendo, rispetto alla prospettiva, viceversa, di modificare in senso migliorativo il rapporto disavanzo-PIL incidendo sul PIL, cioè aumentando la produzione di ricchezza invece di aumentare le entrate fiscali.
Ebbene, da questo punto di vista, mi dispiace deludere il ministro Ciampi, che ha sparso ottimismo a larghe mani in questa aula nella seduta di ieri.
In realtà, il traguardo dei 42 mila miliardi realizzato come disavanzo nei primi quattro mesi del 1997 rappresenta, seguendo la metodologia dell'Eurostat, oltre il 60 per cento dei 74.301 miliardi di indebitamento netto della pubblica amministrazione: cifra che, ridotta a sua volta dalla manovra che stiamo discutendo, (nell'ipotesi che essa dia i frutti che il Governo si attende: ipotesi alla quale non credo, come del resto già dimostra la legge finanziaria 1997, che frutta il 30-40 per cento in meno rispetto a quanto si attendeva il Governo), ossia passando da 74 mila miliardi a 62 mila miliardi, quei 42 mila miliardi costituiscono già una bella quota rispetto, appunto, ai 62 mila miliardi che si dovrebbero totalizzare nell'intero anno.
Il ministro Ciampi dichiara di attendere fiduciosamente l'autotassazione di giugno. In maggio vi saranno aumenti di spese e tiraggi di tesoreria, ma a giugno dovremmo avere un saldo positivo. Verrà poi il magnifico novembre della seconda tranche dell'autotassazione. Ebbene, noi già oggi sappiamo che il Tesoro non è in grado di controllare i flussi di tesoreria, ce l'ha confessato il sottosegretario Giarda in Commissione bilancio. Voi, quindi, non siete in grado di controllare i flussi di tesoreria e vi troverete alla fine dell'anno con dei buchi che dovrete ancora coprire, nonostante gli incassi delle autotassazioni, e dopo la manovra finanziaria del 1998 avrete bisogno di un'altra manovra. Così, dal 1992 andiamo avanti di manovra in manovra e la pressione fiscale è cresciuta.
Il ministro Ciampi confida molto, inoltre, sulla riduzione dei tassi e dell'inflazione. L'inflazione, però, è ridotta semplicemente perché la gente non consuma e, cara collega Carazzi, io non credo che vi siano sintomi di ripresa economica. I dati che ci forniscono gli istituti di ricerca (non quelli telecomandati dal Governo, quali CER, Prometeia e compagnia cantando: tutti sotto il controllo dell'esecutivo), i dati internazionali ci dicono che il PIL del 1997 crescerà non dell'1,2 per cento, come si prevede ufficialmente, ma al di sotto dell'1 per cento, probabilmente tra lo 0,5 e lo 0,8 per cento. Quando verso la fine dell'anno vi accorgerete di questo, dovrete obiettivamente introdurre altre manovre.
Vi è, poi, il problema dei tassi. Ministro Ciampi, noi sappiamo perfettamente che il 22 maggio si riunisce il comitato direttivo della Federal reserve e che probabilmente questo comitato deciderà un sia pure piccolo (speriamo piccolo) aggiustamento al rialzo del tasso ufficiale di sconto americano. Sappiamo, altresì, perfettamente che i mercati internazionali attendono dalla Gran Bretagna un altro aumento dei tassi. E voi pensate che il governatore della Banca d'Italia sia così matto da abbassare ancora, in un contesto di questo tipo, il tasso di sconto perché fa comodo a Prodi? Credo che ciò sia assolutamente impensabile e voi, quindi, vi trovate di fronte ad una manovra che aggiunge pressione fiscale su altra pressione fiscale: il che porterà ancora una volta alla crescita dell'evasione. Interverrete allora con i tratti di corda, con le torture a carico dei presunti evasori, ma non capite che l'evasione nasce dal fatto che, quando un soggetto è costretto a pagare imposte del tutto assurde, l'unica sua possibilità di difesa è fuggire da questo Stato e da questa situazione.

GAETANO COLUCCI. È legittima difesa.

PIETRO ARMANI. Vi trovate di fronte ad un paese che non vuole pagare le imposte, perché non ritiene che il denaro


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pubblico sia speso bene. Fatevi questo esame di coscienza, andate a vedere come viene speso il denaro che voi ricavate dalle tassazioni. Andate a vedere come questo denaro venga sottratto alle attività produttive e vi accorgerete che la gente è stufa, come dimostrano le manifestazioni di piazza, che non sono fatti estemporanei od organizzati dai sindacati, come avveniva nel 1994, ma effettive reazioni della gente.
Concludendo, questa manovra è assolutamente inaccettabile ed alleanza nazionale voterà contro di essa e, nelle piazze oltre che in Parlamento, farà capire agli italiani che il tentativo di questo Governo è quello di schiacciare sempre di più l'attività produttiva, in quanto pensa soltanto a redistribuire una ricchezza che non esiste più o che tende sempre più a ridursi e che fra poco tempo non ci sarà più (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Carlo Pace. Ne ha facoltà.

CARLO PACE. Grazie, onorevole Presidente, onorevoli membri del Governo, onorevoli colleghi. Può apparire singolare che un rappresentante dell'opposizione esordisca ringraziando il Governo ma io, invece, compio questo singolare atto ed esordisco ringraziando appunto il Governo.
Ringrazio il Governo perché con l'emendamento su cui ha posto la questione di fiducia ha accolto i miei due emendamenti 7.3 e 8.1, in tal modo dimostrando - ed è per ciò che lo ringrazio - che l'opposizione che alleanza nazionale muove in Parlamento non è, come ripetono ancora una volta alcuni giornali oggi, un'opposizione ostruzionistica ma è invece costruttiva.
Se il Governo accetta proposte di cambiamento che provengono dall'opposizione dimostra che quest'ultima svolge il suo compito in maniera onesta e costruttiva e che se si oppone alle manovre del Governo lo fa per evitare al paese i guasti che gli errori del Governo stesso comportano.
Uno dei miei due emendamenti tende ad evitare che i crediti che la pubblica amministrazione vanta siano ceduti a trattativa privata. Credo che richiamando l'attenzione su questo fatto, cioè chiedendo che vi sia, viceversa, una pubblica gara, si eviti che qualcuno possa essere trovato con le mani nel sacco. L'altro emendamento che è stato accolto, che dimostra anch'esso la correttezza e la costruttività della nostra opposizione, riguarda la possibilità, per gli inquilini acquirenti di immobili che gli enti previdenziali dovranno dismettere, di ottenere non un mero prestito di durata indeterminata, che potrebbe essere anche di tre mesi, ma un mutuo ipotecario, che si distingue dal mero prestito per la circostanza sia di una durata adeguata sia del minor costo che comporta, in quanto correlato ad una seria garanzia.
Questa piccola premessa serve a dimostrare che alleanza nazionale non fa ostruzionismo ma opposizione, fa quanto il paese da essa si aspetta.
Esaurita la premessa, passo ad un secondo punto per ricordare quanto avvenne una ventina di anni addietro, sul finire di quel periodo tra i più bui della nostra economia, in cui, lungi dal guadagnare l'Oscar della lira, come anni prima si era fatto, guadagnammo l'Oscar dell'inflazione classificandoci all'ultimo posto, rispetto ai paesi europei, per il livello particolarmente elevato che quest'ultima aveva raggiunto. Al culmine di quel periodo, Guido Carli insorse chiedendo uno statuto dell'impresa. Non se ne fece niente ma oggi, purtroppo, ci rendiamo conto che il non averne fatto niente pesa ancora come un macigno sulla nostra economia. Manca la certezza dei diritti per gli imprenditori e per l'impresa; la questione del trattamento di fine rapporto va inquadrata proprio sotto questa luce. Quando l'imprenditore sa di poter contare su risorse per effettuare i suoi investimenti, in quanto dovrà consegnare tali risorse al momento in cui i suoi dipendenti cesseranno l'attività lavorativa perché andranno in pensione, egli sa di poter alleggerire il proprio costo di produzione


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degli oneri finanziari relativi a quelle somme. In ciò non vi è nulla di indebito se tutto viene fatto nella più cristallina trasparenza. Non vi è nulla di indebito anche perché nel momento in cui si contrattano i salari si tiene conto della circostanza che la parte di salario differito che entra nel trattamento di fine rapporto resterà a disposizione dell'impresa fino al momento in cui il lavoratore non andrà in pensione. Oltre tutto, con questo meccanismo si assicura un interesse dell'impresa a trattenere i propri lavoratori, il che è commendevole, soprattutto in un paese in cui la disoccupazione è una piaga nei confronti della quale ancora non sono stati adottati interventi adeguati.
Se così stanno le cose, se il trattamento di fine rapporto è una sorta di volano a disposizione della finanza d'impresa, voler anticipare l'imposta su tale trattamento significa cambiare le regole del gioco, significa ancora una volta compiere un'operazione truffaldina a danno diretto delle imprese, ma a danno indiretto (e questo ci preme ancora di più) di tutti i lavoratori e di coloro che attendono un lavoro (e sono milioni). Per questo motivo, la norma inserita nel disegno di legge su cui il Governo ha posto la questione di fiducia non è meritevole di alcun apprezzamento positivo. Il collega Armani ha detto che ci troviamo di fronte ad una serie di interventi che non hanno niente di strutturale ma sono semplicemente dei pannicelli caldi. Come si può dire che è strutturale l'anticipare imposte che dovranno essere pagate in futuro? Questo è semplicemente uno slittamento in avanti delle entrate, e lo stesso vale per altri provvedimenti inseriti nel decreto-legge in esame.
Vi è un'altra questione che grida vendetta, quella relativa alla liquidazione dei pubblici dipendenti, che adesso, quando andranno in pensione, non potranno più contare su quell'istituto di carattere tipicamente previdenziale che serve ad affrontare le spese della riconversione della loro vita, ma dovranno viceversa attendere che si compia il periodo normale di gravidanza, cioè nove mesi. E meno male che non è venuto in mente ai signori del Governo che ci sono esseri animati, che hanno un periodo di gestazione più lungo, perché altrimenti i nostri pensionati riceverebbero le liquidazioni con un ritardo ancora maggiore, magari di tredici mesi, quelli che sono necessari per la gravidanza degli elefanti!
Debbo altresì notare che nel provvedimento in esame vi è un'altra scorrettezza, laddove, per effettuare i rimborsi, si ricorre all'emissione di titoli del debito pubblico affermando per legge che i titoli così emessi non saranno calcolati ai fini del computo del limite dell'indebitamento pubblico. Si emettono cioè titoli del debito pubblico ma si fa finta che essi non lo siano. Ciò per far finta di rispettare i parametri del trattato dell'Unione economica europea, per fingere di compiere una manovra di tipo strutturale mentre siamo sempre di fronte a rimedi provvisori e del tutto inefficaci.
Vi sono aspetti veramente singolari in questo provvedimento. Uno di essi riguarda i cosiddetti interessi per i rimborsi che ancora tanta gente attende. Si dice che su questi rimborsi verranno computati gli interessi; ma non gli interessi normali, quelli legali, che lo Stato si attende dal cittadino quando quest'ultimo paga in ritardo. No, vi è un tipo nuovo di tasso di interesse creato da questo provvedimento; il nuovo tasso di interesse è il tasso di inflazione calcolato dall'ISTAT. Pulizia vorrebbe che si dicesse pane al pane, vino al vino e rivalutazione alla rivalutazione monetaria e non la si chiamasse «interessi» gabbando così le aspettative di tanta gente che attende di essere rimborsata.
Ma vi è di più. Come è stato più volte detto il calcolo del tasso di inflazione fatto dall'ISTAT è menzognero; è un calcolo che non tiene conto dell'effettiva inflazione, se è vero, come è vero, che per fare finta che l'inflazione sia calata si è compiuta un'operazione per cui nel paniere dell'operaio e dell'impiegato entra massicciamente un insieme di cose, tipo le tariffe pubbliche, per servizi di cui, francamente,

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l'operaio e l'impiegato si avvalgono in misura assai modesta. Tutto ciò per impedire che l'inflazione appaia nella sua reale consistenza. I burocrati dell'Unione europea saranno pure ragionieri - me lo auguro perché i ragionieri sanno fare bene i conti -, ma i ragionieri non si ingannano facilmente; i ragionieri capiscono quando qualcosa è truccata e qui siamo di fronte ad un'inflazione truccata.
Vi è in fine un'ultima singolare questione, quella delle tariffe postali. Sembra cosa da niente, tuttavia questo provvedimento comprende nelle sue pieghe la facoltà concessa all'Ente poste di aumentare le tariffe. Ma per che cosa? Per rendere servizi migliori? Per fare in modo che il suo bilancio sia in equilibrio e quindi l'Ente poste possa diventare società e andare verso la privatizzazione? No, tutt'altro. Andando in direzione del tutto opposta rispetto a quella di cui si favoleggiava nel suo programma, il Governo adesso consente, anzi impone all'Ente poste di aumentare le tariffe per fare in modo di compensarlo così dei minori incassi che riceverà da un organo del Tesoro, la Cassa depositi e prestiti, per consentire a quest'ultima di prestare al Tesoro a tassi più stracciati. Già la Cassa depositi e prestiti presta al Tesoro a tassi di interesse al di sotto di quelli di mercato; adesso il Governo chiede un ulteriore sforzo e di abbattere ancora gli interessi per poter spendere con minore fatica. In cambio, scarica l'onore del più basso saggio di interesse (più basso di quello di mercato) sull'Ente poste ed impone a questo di scaricarlo sul cittadino. È questa un'altra imposta, ma non solo; questo è un altro modo per tradire la via delle privatizzazioni. In questo modo si impiega un istituto che si vuole privatizzare per svolgere una funzione, quella di esattore, che non gli è affatto propria.
Signor Presidente, basterebbero questi aspetti per spiegare l'opposizione di alleanza nazionale ed il suo voto contrario, in aggiunta alle altre motivazioni esposte con notevole chiarezza dal mio collega Armani. Tutti questi argomenti ci impongono un atteggiamento fermo di opposizione al provvedimento e l'augurio che il Governo non abbia più ad incorrere in episodi vergognosi quale quello di ieri, e non debba ricorrere ulteriormente a nascondere i suoi errori e le sue malefatte sotto il manto della questione di fiducia (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

PIETRO ARMANI. Bravo!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Teresio Delfino. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa manovra di finanza pubblica è insufficiente a raggiungere nel 1997, e ancor più nel 1998, l'obiettivo di convergenza europeo. La correzione è conseguenza delle precarietà delle decisioni precedenti; è il segno delle contraddizioni del Governo e della sua maggioranza. Le tante manovre varate non raggiungono alcun obiettivo credibile e duraturo, ma espongono il nostro paese nel suo complesso al severo giudizio della comunità internazionale.
La manovra è un capolavoro di ambiguità del Governo, che ancora una volta ricorre ad un maxiemendamento per superare le divisioni interne alla maggioranza, per mettere insieme i cocci delle sue variegate componenti. Il tecnicismo parlamentare e il ricorso al voto di fiducia diventano armi subdole e destabilizzanti per impedire il confronto parlamentare con le opposizioni; un ricorso sistematico al voto di fiducia, che diventa premessa e giustificazione della prossima fiducia, quella sul pacchetto occupazione, in una logica di scambio tra Ulivo e rifondazione comunista sempre più scandalosa, vergognosa. È una conferma ulteriore di incoerenza dell'Ulivo, che nel suo programma prevedeva, appunto, di disciplinare l'uso dei maxiemendamenti. La tesi numero 8 dell'Ulivo è ormai un lontano ricordo: di ciò che si voleva regolamentare intanto si fa un largo abuso ed uso; appartiene alle tante dimenticate promesse elettorali, sull'invarianza della pressione fiscale, eccetera.


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Il punto più alto della mistificazione viene però raggiunto dal ministro delle finanze, che non voleva operare condoni e sanatorie di nessun genere, mentre ne realizza tre in un colpo solo: chiusura delle liti fiscali pendenti, riapertura dei termini del concordato di massa e sanatoria per i contribuenti che non si sono adeguati alla minimum tax. Questo ministro delle finanze, che voleva evitare le politiche dei condoni del passato, dei Formica, dei Colombo e dei Goria, non si è fatto neppure sfiorare da un ragionevole dubbio, mentre in passato - è agli atti parlamentari - dichiarava di essere disposto all'ostruzionismo e alla opposizione ad oltranza quando sono in gioco questioni essenziali di giustizia fiscale, gridando allo scandalo per i regali agli evasori. È un ministro che fa la parte di una tigre di carta. Ritiene evidentemente questo un metodo di lavoro, uno strumento facile da utilizzare, forse per ingraziarsi l'opposizione, gratificata da tale presunta disponibilità. Non è così, onorevole Visco; lei così facendo si squalifica pur di salvare il suo Governo. Il ministro delle finanze concorda su un maxiemendamento - che riapre i termini del concordato su cui presentò una pregiudiziale di costituzionalità - su cui oggi viene posta la questione di fiducia dal Governo. Tutto ciò il ministro delle finanze ritiene che sia insignificante? Di fronte a tale insensibilità, si deve ritenere che la demagogia e l'ambiguità costituiscano la dottrina del titolare delle finanze.
Per quanto tempo ancora si potrà sopportare questa continua violenza sulle regole e sulle procedure? Signor Presidente della Camera, dov'è la relazione tecnica, prevista dal comma 2 dell'articolo 11-ter della legge di bilancio, sul comma 3-bis del maxiemendamento, relativamente al pagamento delle pensioni conseguente alla sentenza della Corte? Le regole devono valere per tutti, per l'opposizione, per la maggioranza, ma anche e soprattutto per il Governo e la sua funzione, signor Presidente, è anche quella di garantire il rispetto delle regole per tutti, se vogliamo davvero guardare a Maastricht.
Questo Governo, con le ripetute, continue, progressive richieste di fiducia e di deleghe, con l'emanazione di decreti, ha messo in discussione il principio fondamentale che il potere legislativo spetta alle Camere, determinando una spoliazione delle funzioni proprie, rendendole incapaci di legiferare in modo normale. In attesa della normalità, caro onorevole D'Alema, riscontriamo la anormalità di un Parlamento cui viene sottratta la funzione primaria.
Cari colleghi parlamentari, è l'ennesima violenza perpetrata sul Parlamento da chi ieri si professava difensore della centralità parlamentare; un'assuefazione alla fiducia, uno strumento ormai normalizzato, reso ordinario, che documenta in modo solare ed inoppugnabile la debole coscienza democratica di questo Governo. L'unica straordinarietà, purtroppo, è rappresentata dall'impegno testardo a garantire la sua sopravvivenza a danno del paese.
La manovra correttiva risulta insufficiente ed inefficace, nella qualità e nella quantità, per raggiungere gli obiettivi europei; soprattutto, insufficiente a garantire il patto di stabilità sottoscritto a Dublino. Nonostante il giudizio severo della Comunità europea, il Governo procede sulla via dei prelievi contro le imprese, portando l'economia in una fase recessiva anziché favorire la ripresa, lo sviluppo e l'occupazione. Il Governo delle menzogne e delle rapine ha fallito nel risanamento della finanza pubblica, non crea occupazione vera e duratura, ma assistenzialismo per decreto. Questo è il Governo delle tasse, dell'impoverimento delle famiglie e dei disoccupati. In assenza di privatizzazioni concrete, il sistema industriale è sottoposto alla variabilità delle decisioni politiche. Questo Governo non ha offerto alcuna soluzione strategica. Non sono stati chiamati al gioco le banche, le società di assicurazione, i fondi pensione e le altre

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strutture finanziarie non hanno giocato un ruolo rilevante nella trasformazione del sistema.
Abbiamo assistito alla dittatura della maggioranza nelle nomine dell'ENEL, della STET e recentemente della Finmeccanica. È assente, a nostro giudizio, qualsiasi disegno di politica industriale nei settori strategici delle alte tecnologie, in una logica provinciale che esclude il paese da alleanze internazionali e da politiche di sviluppo. La caduta della produzione industriale, la mortalità delle imprese, l'aumento della disoccupazione: sono questi i tristi record di questo Governo.
Si illude chi pensa che dopo un risanamento costruito sui prelievi straordinari e sulle una tantum possa trovare spazio la seconda fase della ripresa e dell'occupazione. La confusione nel Governo a nostro giudizio regna sovrana. Solo media supini, addomesticati o in sonno impediscono al paese di avere piena coscienza della nostra drammatica situazione. Siamo alla censura e alla stampa di regime. Lo Stato sociale non è una fonte separata ed autonoma di prosperità, ma è dipendente solo ed esclusivamente dalla prosperità e dalla redditività dell'economia. Non vorremmo che questo Governo pensasse di giocare i supplementari quando il tempo è scaduto: dopo si passa direttamente ai rigori e al giudizio definitivo dell'arbitro e non dei ragionieri.
Sono queste, signor Presidente, alcune ragioni forti, insieme alle altre che per brevità regolamentare non possiamo esprimere, che motivano il nostro convinto e deciso voto contrario sul provvedimento in esame.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rubino. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO RUBINO. In questi mesi non abbiamo fatto altro che parlare della prevaricazione del Governo nei confronti del Parlamento; prevaricazione che secondo noi diventa ancor più grave perché è volta non solo verso le opposizioni, ma soprattutto nei confronti della maggioranza. Questa è la ventunesima volta che il Governo Prodi pone la questione di fiducia su provvedimenti marginali, su provvedimenti che considera importanti, come il cosiddetto disegno di legge Bassanini (che però di urgente poco aveva), su provvedimenti urgenti o che ritiene tali, come la cosiddetta manovrina di Pasqua. Ed allora ci si domanda che cosa stia facendo o a che cosa possa servire l'attuale lavoro della Commissione bicamerale. Di fatto questa non è più una Repubblica parlamentare; di fatto il Parlamento non può più dibattere sulle leggi che è chiamato ad approvare; di fatto il Governo prevarica continuamente il Parlamento, nelle componenti dell'opposizione e della maggioranza.
Cosa dire poi di una manovra che viene bocciata in Commissione bilancio con i voti determinanti di alcune componenti della maggioranza, che immediatamente dopo il voto contrario dichiarano che se il Governo avesse posto la questione di fiducia l'avrebbero votata? Con quale dignità, con quale faccia potranno presentarsi ai loro elettori dopo aver votato la questione di fiducia, pur avendo detto di non condividere assolutamente il contenuto della manovra?
Ancora oggi sui giornali si leggono dichiarazioni di componenti della maggioranza che affermano di votare questa fiducia ... con la pistola alla tempia!
Il fatto è che ventuno questioni di fiducia in poco più di un anno sono il sintomo di una grave debolezza di questo Governo, di una debolezza che la maggioranza non riesce o non vuole evidenziare al proprio interno perché componenti della maggioranza che dichiarano di votare una fiducia pur non condividendo il provvedimento esternano nei confronti del paese solo un attaccamento incredibile e morboso alle posizioni di potere che sono state conquistate con le elezioni di aprile.
Poiché sul contenuto del provvedimento altri colleghi parleranno più autorevolmente di me, mi limiterò a fare alcune considerazioni. L'articolo relativo al prelievo sul TFR (l'anticipo di imposta a carico delle aziende) rappresenta un'ennesima


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penalizzazione nei confronti delle imprese italiane, le quali, com'è noto anche ai componenti del Governo e soprattutto al ministro dell'industria (che non vedo in aula), sono tra le imprese più sottocapitalizzate a livello europeo. Evidentemente gravare ancora sulle imprese con un anticipo di imposta, che è una misura che nulla ha di strutturale sui conti dello Stato, anticipando semplicemente delle entrate (e questa è la componente più importante della manovrina), penalizza ancora una volta il mondo delle imprese.
Tutti i giorni il Governo fa un grande sbandieramento in ordine alla diminuzione dell'inflazione, ma sappiamo bene che l'inflazione diminuisce perché attualmente i consumi sono a livello zero nel nostro paese. Inoltre si sbandiera continuamente la diminuzione dei tassi ottenuti in questi mesi di Governo. Bisognerebbe però che i signori del Governo controllassero questi dati e dicessero al paese che alla diminuzione dei tassi non è corrisposta una maggiore apertura di credito da parte delle banche nei confronti delle imprese. Queste ultime infatti vivono ancora in regime di sottocapitalizzazione, non hanno più fondi per fare i propri investimenti, non godono della diminuzione dei tassi del sistema bancario perché la banche evidentemente non hanno ritenuto di cambiare il loro sistema di approccio verso il sistema delle imprese italiane: un sistema di approccio che dovrebbe essere nei confronti di un progetto e non delle garanzie che è possibile offrire. Dunque le nostre imprese vengono ancora una volta penalizzate con un provvedimento che più volte abbiamo rimarcato essere incostituzionale.
Che dire poi, come hanno fatto alcuni colleghi che mi hanno preceduto, di una maggioranza di Governo e di un Governo che hanno condotto una battaglia contro i condoni (previdenziali e fiscali) fatti in tempi precedenti e contenuti in manovre economiche, condoni che, dopo essere stati dichiarati un premio agli evasori, vengono ora inseriti nella manovra? Da qui l'incongruenza incredibile per la quale in una norma si parla di riapertura dei termini del condono previdenziale, nel maxiemendamento di riapertura dei termini anche del concordato fiscale, mentre nell'articolo 12 il Governo parla di disposizioni per la prevenzione e la lotta all'evasione. Si tratta di una ulteriore incongruenza, signori membri del Governo, ma voi evidentemente siete tanto sicuri della vostra forza e della vostra maggioranza che non intervenite neanche in aula.
In questa manovra si leggono pochi articoli relativi ai tagli di spesa. Uno è significativo perché taglia fondi - come è noto il TFR è una delle maggiori fonti di autofinanziamento delle imprese italiane - ma poi, quando si vanno a leggere le riduzioni di cassa al capitolo 9012 del Ministero del tesoro, si vede che vengono altresì ridotti di 600 miliardi i fondi destinati alle aree depresse.
Visto che riconosciamo che talune imprese operano in aree depresse, chiediamo loro un anticipo di imposta sul trattamento di fine rapporto - quindi limitiamo la loro possibilità di investire - e riduciamo i fondi per gli investimenti nelle aree depresse: un bell'esempio di volontà di incentivare il settore produttivo!
È tutta una vergogna questo provvedimento, che contiene anche articoli relativi alla vendita di immobili. Sembra di trovarsi di fronte ad un vecchio nobile decaduto che, non sapendo come mantenere il proprio tenore di vita, comincia a vendere i gioielli di famiglia: cominciamo dagli immobili per finire con la vendita delle spiagge. In questo modo renderemo ridicolo il nostro paese di fronte al mondo!
La verità è che, quando vi troverete, sulla base dei provvedimenti che state assumendo, non solo di fronte ad un rapporto deficit-PIL superiore al 3,2 per cento - così come è stato rilevato sia dall'Unione europea sia dal Fondo monetario internazionale - ma anche di fronte ad una crescita del prodotto interno lordo nel 1997 non dello 0,7 o dello 0,9, ma dello zero per cento, dovrete ammettere davanti al paese, a voi stessi e alla vostra

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maggioranza che non siete riusciti a portare il paese in Europa, ma che lo avete messo in ginocchio.
Le stesse incongruenze del vostro modo di dibattere in Parlamento - cioè di non dibattere - si leggono in questo disegno di legge: non è prevista una sola voce di taglio. Vi sono esclusivamente tasse ed imposte; si procrastinano imposte che dunque non costituiscono misure strutturali, si riaprono i condoni previdenziali e/o fiscali e ciò denota che non avete un minimo disegno strategico, né di politica economica né soprattutto di politica industriale.
Spero che questo Parlamento, che viene messo giorno dopo giorno nella condizione di non poter dibattere su nessuno dei provvedimenti che voi ritenete parte fondamentale della vostra politica di risanamento del paese (e che invece è politica di affossamento) possa essere presto posto in condizione di mandarvi a casa, perché state solo facendo del male all'Italia.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bagliani. Ne ha facoltà.

LUCA BAGLIANI. Se fosse stata un'operazione economica, sicuramente non avremmo avuto alcun dubbio sia nell'espressione del voto sia nel rivendicare le ragioni della Padania.
Più che fare riferimento alle nostre idee personali sulla riorganizzazione di questo Stato e sul futuro della Padania, ci richiamiamo alle ragioni che stanno a fondamento della Padania stessa.
I padani, ovviamente, sono i più toccati dalla manovrina. Del resto, c'è una ragione storica: si può aver voglia di affamare il popolo padano.
Veniamo da un drammatico evento, la formazione del Governo dell'Ulivo, ed è del tutto evidente che non si potrà più vivere derubati. Certo, si può ritenere che questo esecutivo, pensato e costruito per derubare il popolo padano, possa mirare ad una costruzione economica futura. È come un partito che vuole difendere ed organizzare unicamente gli interessi della classe partitocratica riciclata, che ha fatto della diseconomia la sua strategia verso le donne e verso i giovani, che sono stati spogliati del lavoro da questo processo di tassazione esasperata.
È ovvio che le aziende scappino, fuggano. Le aziende della Padania vengono spostate altrove, vengono ubicate all'estero, non potendo sopportare una situazione del genere.
Il Governo dà una risposta «assassina» al gigantesco processo di globalizzazione dell'economia, alla politica liberista, e lo fa ingannando la società, che dovrebbe essere invece lasciata libera di seguire i reali processi di trasformazione.
È tutto negativo. Non sono al centro dell'azione del Governo conquiste di civiltà, come quelle della difesa del lavoro, della solidarietà, della realizzazione della giustizia sociale, che pure si dice di voler garantire, ma solo a parole. È vero che tali ragioni sono state stravolte e talora corrotte dagli interventi continui delle classi burocraticizzate e corrotte. Noi vogliamo siano messe in primo piano le conquiste fondamentali di civiltà e di libertà che per noi sono essenziali.
Va maturando, e ve ne è la prova, una politica militarista, dittatoriale e controliberista praticata dal Governo. La combinazione di questi elementi determina la disoccupazione, una disoccupazione di massa, strutturale, pesante, di lungo periodo, che non potrebbe neppure essere scalfita qualora la congiuntura economica internazionale diventasse positiva. Anzi, la disoccupazione aumenterà quando la situazione economica nazionale verserà in condizioni ancora peggiori.
Vi sono realtà peggiori di quella in cui si trova l'Italia? No, in primo luogo per la storia politica del nostro paese. Vi sono poi tutte le esperienze che si sono determinate nelle aree del paese che, non avendo una connotazione centralista, non hanno rivestito un ruolo egemonico nel paese stesso. La visione del mondo che noi padani vogliamo tradurre in realtà è favorevole al processo di globalizzazione e mondializzazione dell'economia, mentre quello dell'Ulivo è un processo di oppressione.


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Si sta infatti attuando una nuova forma di dominio, di natura dittatoriale, interventista e militare sui popoli, sulle classi sociali, sulle persone, sulla pluralità delle esperienze, non solo sulla pluralità delle esperienze politiche ma anche sulla pluralità delle culture dei popoli padani. È questo un elemento essenziale per costruire un'alternativa al centralismo. Per sconfiggere la Padania non potete pensare ad interventi come quello concernente l'Albania, volto a favorire l'immigrazione indiscriminata di altre genti, alle quali poi regalare il diritto di voto, né potete pensare ad interventi di natura dittatoriale, né ad una coalizione di «Stati» meridionali, come quella che state realizzando all'interno di questo Parlamento dove vi è un insieme di forze composite che si incrociano da un settore all'altro del Parlamento stesso per combattere la nascita della Padania. Allora si finirà per toccare inevitabilmente, al di là della manovrina, lo Stato sociale, ovviamente quello della Padania. È questo un ulteriore elemento di latrocinio che configura tanta parte dell'«ulività» esistente in questo paese su un'area geografica ancora ben determinata, la Padania.
Dal punto di vista sociale e culturale si può minare il livello di civiltà di un paese, del popolo padano. Penso che il nostro modello sociale e fiscale sia una «frana», in primo luogo per le regioni stesse della Padania. Il modello di mondializzazione incontra un favore nel lavoro vero, nell'operosità delle sole genti padane. L'Italia è un caso a sé, la società è il frutto di una conquista napoleonica, basti pensare al sistema istituzionale. Abbiamo rinunciato al nostro sistema per abbracciare istituzioni che ci erano estranee e stiamo andando avanti con queste, continuiamo a far emergere la burocrazia rispetto alle cose concrete. Il nostro è un sistema sociale corrotto, di derivazione democristiana, craxiana e cattocomunista; rivolgiamo quindi ancora una volta l'invito alle altre forze politiche a sedersi al tavolo e a costruire manovre economiche e di carattere strutturale e non interventiste volte a far ripartire l'economia del nostro paese. Vi sono nazioni in cui il livello di tassazione è pari al 4,5 per cento, mentre noi siamo ormai ben al di sopra del 54 per cento. Dove volete che andiamo? Siamo finiti, rendetevene conto!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Danese. Ne ha facoltà.

LUCA DANESE. Signor Presidente, poiché prendo la parola a pochi giorni di distanza dalla seduta del 28 aprile, nella quale è cominciato l'esame della «manovrina», sicuramente sarò ripetitivo, anche se cercherò di soffermarmi sulle novità introdotte con l'«emendamentone» sul quale il Governo ha posto la fiducia. La prima che mi piace ricordare è che il Governo ha inserito nell'«emendamentone» il contenuto di un mio emendamento, quello che avevamo già da tempo pensato che il Governo avrebbe dovuto prendere in esame e che prevede l'estensione del condono. Prendo atto di quanto ha fatto il Governo; d'altra parte era un atto necessario per ridurre la pressione derivante dalle disposizioni contenute nel decreto-legge. Prendo anche atto del fatto che il Governo ne ha tenuto conto e che il ministro Visco, da un certo punto di vista, ha subìto uno scossone rispetto alle sue dichiarazioni precedenti circa la sua linea di comportamento. Ricordo che nella seduta dell'11 giugno 1996 della Commissione finanze il ministro disse, a proposito delle sanatorie: «Il Governo non è orientato ad operare condono o sanatoria di alcun genere. Naturalmente è sempre possibile, in alcuni casi, procedere a riaperture di termini che non causino perdita di gettito per l'erario. In alcuni casi si può avere una situazione del genere, ma l'orientamento del Governo è contrario. Quindi, vorrei evitare la politica dei condoni e dei concordati di massa del passato recente, degli anni ottanta. Almeno per quanto riguarda il ministro delle finanze, tale politica sarà evitata».
Siamo lieti di constatare che alla fine, anche in risposta a quanto affermava poc'anzi il collega della lega, si valuti che quanto è stato fatto in precedenza probabilmente,


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in alcuni casi, era il male minore rispetto alla scelta alternativa di tassare ulteriormente i cittadini. Dobbiamo però rilevare che purtroppo il Governo ha ribadito questa scelta fino in fondo. Con l'«emendamentone» presentato ha cercato di attenuare alcune misure inserite nel provvedimento. Penso al fatto che, essendosi resi conto che il taglio dell'anticipo del 5 per cento sulle forniture sarebbe stata una misura estremamente vessatoria, l'ha attenuata prendendo atto che, per quanto riguarda i lavori cofinanziati dalla Comunità europea, vi è un percorso di cassa diverso; pertanto, almeno queste opere sono state escluse all'ultimo momento da questa misura.
Resta però il problema di fondo del carattere estremamente congiunturale, e non certo strutturale, della manovra. In attesa di conoscere i contenuti del documento di programmazione economico-finanziaria, informo la Camera che abbiamo presentato un'ordine del giorno (che reca le firme di Berlusconi, Marzano, Pisanu ed altri) con il quale si invita il Governo a dare delle indicazioni di tagli strutturali in occasione della presentazione del documento di programmazione economico-finanziaria. Siamo curiosi di vedere che cosa si intenderà fare al riguardo, perché siamo scettici su alcuni annunci che di recente sono stati fatti. Voglio proprio vedere, ad esempio, quando e come verranno restituiti ai cittadini i soldi della tassa per l'Europa, in una situazione come quella che si sta sviluppando in questo periodo.
Allo stesso modo, credo che la speranza del Governo di beneficiare di un'ulteriore riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico rischi di scontrarsi con la tendenza al loro inasprimento, che è già in atto negli Stati Uniti ed in Inghilterra e che credo si possa estendere anche ai paesi dell'Europa continentale.
Non intendo essere pessimista per principio, ma vorrei rilevare che anche alcune situazioni che si prevedono facili nel prossimo periodo potrebbero rivelarsi, invece, di difficile attuazione soprattutto riguardo al rispetto dei tempi previsti. Penso, ad esempio, alla vendita degli immobili. Fino a quando il demanio continuerà ad avere dei tempi biblici come gli attuali nell'espletamento delle perizie sul valore degli immobili, sarà difficile procedere realmente ad una privatizzazione degli stessi. In questo ambito, abbiamo già preso atto delle difficoltà incontrate dalle regioni nella dismissione del proprio patrimonio immobiliare; tutto ciò malgrado esse continuano a includere questa misura nei loro programmi di bilancio: pure esse sono vittime dei tempi di definizione del valore degli immobili da parte del demanio.
Ricordo che tra le cose dette, il ministro Visco nell'esposizione dei propri programmi di inizio mandato aveva prospettato di affrontare la questione della privatizzazione del demanio e dei monopoli. Sulle privatizzazioni, peraltro, continua a non esservi chiarezza; ci è stato detto che non sarebbe stato possibile spostare somme derivanti dall'anticipo della privatizzazione dell'ENI o dell'ENEL al fondo di ammortamento del debito pubblico, anche se questo in precedenza è stato fatto, con la scusa che le privatizzazioni servono a ridurre il deficit complessivo dello Stato (che ammonta ormai a 2 milioni e 200 mila miliardi di lire). Non è possibile quindi fare previsioni chiare. Credo che l'intera tematica delle privatizzazioni (si pensi, ad esempio, alla situazione della Finmeccanica) resti sotto un cono d'ombra, sempre meno visibile.
A questo riguardo vorrei sottolineare per l'ennesima volta in quest'aula che sarebbe ora che il Governo affrontasse il problema dell'Istituto poligrafico dello Stato, il quale versa in una situazione disastrosa, con una conduzione vergognosa, con un direttore generale che ha fatto i comodi suoi per anni acquistando aziende senza alcuna logica, con una situazione di bilancio consolidato non chiara e con un deficit di cui non viene dato conto e chiarezza. Si tratta di un istituto rispetto al quale si dovrebbe prevedere una sorta di commissariamento, una trasformazione in Spa, o una qualche

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forma di privatizzazione delle aziende controllate. Non vorrei che il fatto che il presidente dell'istituto sia l'ex ragioniere generale dello Stato facesse in qualche modo velo rispetto alla chiarezza che su questo argomento dovrebbe essere fatta. Lo ripeto perché quando si parla di privatizzazioni questo ente non viene mai toccato, mentre è ancora preda di uno strapotere interno dei sindacati, che avevano addirittura previsto, nella contrattazione sindacale concordata con la dirigenza, una sorta di una tantum di un milione a testa per i 3.800 dipendenti. Al riguardo io presentai una interrogazione parlamentare ed il Governo, per bocca del sottosegretario Pennacchi, mi rispose che si trattava soltanto di un'intenzione, anche se già codificata da una firma congiunta, e che in qualche modo l'istituto vi aveva rinunciato. Ad ogni modo, non la voglio far lunga su questo aspetto, ma soltanto ricordare che con la manovra si è operato esercitando alchimie rispetto ai problemi di cassa, più che affrontando i problemi di fondo strutturali.
Anche sul tiraggio della cassa, assunto come giustificazione rispetto alla necessità di una manovra aggiuntiva, ho chiesto lumi in ordine ad una situazione che mi risulta essere particolarmente diversa da quella che abitualmente si verificava. Mi riferisco agli oltre 17 mila miliardi iscritti nei conti interni di Tesoreria centrale per effetto del ricorso all'istituto dell'anticipazione di cassa, o conto sospeso. Vorrei sapere se questo sia vero e quale sia la situazione, perché tra qualche mese, nel momento in cui queste somme venissero poste in bilancio, ci potrebbe venir detto che purtroppo le regioni hanno speso di più, che gli enti che hanno accesso ai fondi di Tesoreria hanno speso in modo inopinatamente maggiore rispetto a quanto previsto, come ci è stato già detto in occasione di questa manovra, e a quel punto ci si verrebbe a giustificare come una situazione improvvisa una realtà che invece è ben conosciuta ma in questo momento è sottaciuta.
Credo che la fiducia che il Governo ha dovuto porre sia la dimostrazione - e non siamo ancora arrivati ai problemi di fondo - che su tutta la complessa mole degli interventi in materia economica il Governo non riesce ad essere forte ed unitario, che basta la voce dei rappresentanti di alcuni piccolissimi gruppi all'interno del Parlamento per bloccare l'operatività del Governo. Il voto negativo con cui la Commissione bilancio ha bocciato questa manovra è passato come se fosse un piccolo incidente di percorso; io credo invece che questo potrebbe essere il primo di una serie di analoghi incidenti che si verificheranno soprattutto quando si andrà a toccare la complessa materia dello Stato sociale.
Anche al riguardo abbiamo subito una campagna elettorale da parte dei nostri avversari che ci dipingevano come i potenziali distruttori dello Stato sociale, come coloro che volevano abolire lo Stato sociale, mentre noi cercavamo con fatica di spiegare che volevamo soltanto riformarlo, ristrutturarlo. Oggi, ad un anno di distanza, constatiamo che le nostre posizioni erano quelle su cui il Governo ha dovuto alla fine convergere. La mia speranza è che la gente capisca, che si renda conto di quanto poco vi sia oggi di coerente nell'azione del Governo con le dichiarazioni rese in campagna elettorale (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Peretti. Ne ha facoltà.

ETTORE PERETTI. Signor Presidente, non esistono particolari differenze tra il provvedimento bocciato in Commissione bilancio e quella che sarà la sua configurazione definitiva dopo il voto di fiducia. Pertanto, i numerosi rilievi critici che abbiamo rivolto al decreto-legge n.79 in sede di discussione generale permangono ancora oggi e permane anche la nostra valutazione estremamente negativa su questo provvedimento.
Tale provvedimento - lo ripeto, ma lo abbiamo ripetuto fino alla noia - prevede solo rinvii di spesa e anticipazioni di imposte, quindi non è strutturale e probabilmente


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soprattutto in ordine a tale aspetto la Commissione europea ha modulato il voto negativo alla prospettiva della partecipazione italiana alla moneta unica.
Noi riteniamo che si tratti di un provvedimento che comporta gravi penalizzazioni per l'economia. Tale aspetto, a nostro giudizio, è ancor più negativo rispetto all'insussistenza delle misure previste per quanto riguarda l'equilibrio strutturale dei conti.
Non crediamo che la prospettiva della moneta unica, alla quale - dobbiamo ricordarlo - il Governo ha legato la sua esistenza (il Presidente Prodi in più di una occasione ha affermato che, se fallirà tale obiettivo, il Governo si dimetterà), sia connessa alla possibilità che, attraverso manovre economiche, si determinino riallineamenti dell'ordine dello 0,2 o dello 0,9 per cento del prodotto interno lordo. Sappiamo bene, infatti, che la questione è più complessa e squisitamente politica, legata soprattutto alla credibilità che il nostro paese ha nel consesso europeo. Purtroppo, in proposito abbiamo riscontri negativi nell'ambito di tutti gli incontri ai quali sono chiamati autorevoli rappresentanti europei.
Riteniamo che l'Italia non verrà ammessa alla moneta unica, proprio perché non è credibile dal punto di vista della qualità delle misure di rientro del debito; si tratta di provvedimenti non strutturali - come quello in esame - che quindi non potranno garantire nel tempo la permanenza degli effetti.
Quello che ho citato, tuttavia, è un problema per così dire di politica estera anche se importante, considerato che abbiamo sottoscritto il Trattato di Maastricht. A nostro parere, però, le misure in esame, il dibattito che si è svolto e le perplessità che nutriamo riguardano soprattutto la questione interna del paese connessa alle prospettive che l'Italia può avere in termini economici e sociali. Riteniamo infatti che la politica di bilancio non possa essere disgiunta dalle riforme e dalla necessità di coesione in termini sociali con riferimento a tutte le classi del nostro paese. Occorre dunque un maggior equilibrio fra generazioni ed il ripristino di criteri di equità oggi totalmente assenti nella politica di redistribuzione dei fondi dell'assistenza. Questa, tra l'altro, è una delle questioni sulle quali il nostro partito interverrà anche con iniziative specifiche.
Vogliamo inoltre sottolineare che le riforme che ancora mancano sono essenzialmente di natura economica. Abbiamo infatti l'impressione che il Governo e la maggioranza si siano rassegnati in vista di una nuova stagione di sviluppo del paese che ci consenta di ridistribuire in termini di assistenza e di Stato sociale la nuova ricchezza prodotta.
Per questo motivo guardiamo con attenzione e con una certa trepidazione, proprio per il fatto che non vengono compiuti passi in avanti, ai provvedimenti concernenti la riforma del mercato del lavoro i quali, lo ricordo, sono stati sbandierati nell'ambito di un accordo tra le parti sociali ed il Governo, ma che al momento sono sepolti in Parlamento. Inoltre, si sente parlare di una nuova questione di fiducia anche su tali misure, poiché la maggioranza di Governo non è in grado di esserlo anche nell'approvazione di tali provvedimenti.
Si fa tanta demagogia sulle questioni del lavoro; mi sembra che l'ultima trovata, la più «succosa», quella di creare una nuova authority per il lavoro, sia comunque stata prontamente superata.
Che dire poi del penoso tira e molla sulle privatizzazioni? Anche in questo caso la politica degli annunci è ben lontana dalla politica dei fatti concreti, salvo tutti quei piccoli provvedimenti che hanno riguardato la sistemazione di uomini del Governo e della maggioranza nei posti chiave delle aziende pubbliche. Infine, la politica delle riforme vede praticamente la Commissione bicamerale paralizzata dalla componente comunista della maggioranza, componente veterostatalista in economia e conservatrice in materia di riforme istituzionali. Oggi riscontriamo ancora una volta che sulle questioni cruciali che riguardano le prospettive di sviluppo economico e sociale di

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questo paese la maggioranza che sostiene questo Governo (che, non dimentichiamolo, è nata dall'imbroglio dell'accordo di desistenza in campagna elettorale) non riesce neanche a costituirsi appunto come maggioranza per l'approvazione dei provvedimenti più urgenti e più importanti in materia di riforme.
Riteniamo dunque che questa sia sostanzialmente una maggioranza parlamentare contro il paese, che ha bisogno di soffocare giorno per giorno la dissidenza interna, come abbiamo constatato anche nella posizione di questa questione di fiducia, quando alle componenti più moderate è stato impedito di portare avanti una giusta critica ai provvedimenti in discussione.
A questo riguardo mi chiedo quali siano la strategia e la lungimiranza politica, ad esempio, di rinnovamento italiano, che si presenta da solo alle elezioni amministrative a Milano e poi, nella battaglia parlamentare, su questioni cruciali per il nostro paese cede e si china ai diktat di questo Governo e delle sue componenti politiche maggiori.
In conclusione ritengo debba essere sottolineato come l'attuale sia un Governo sordo nel capire che il tempo perso, il tempo cioè che viene impiegato per allontanare il momento delle scelte cruciali non è un macigno che peserà sulla dirigenza di questo paese, ma soprattutto sui cittadini. Auspichiamo quindi, visto che esiste ancora una «finestra» utile, ossia il momento della presentazione e della discussione del documento di programmazione economico-finanziario, nonché quello della predisposizione della finanziaria per il 1998, che questo Governo e questa maggioranza sappiano chiarire finalmente, una volta per tutte, al proprio interno le difficoltà, le lacerazioni e le contraddizioni. Ciò in modo da poterci rappresentare almeno con chiarezza di posizioni nell'ambito del consesso internazionale, che chiede misure strutturali di rientro e, soprattutto, un programma specifico di rientro.
Per questi motivi sollecitiamo il Governo e la maggioranza e li incalziamo da vicino. Negli interventi che seguiranno verranno poi affrontate questioni molto più politiche che riguardano la reiterata richiesta di fiducia. Dichiaro comunque fin da ora il voto contrario del centro cristiano democratico alla richiesta di fiducia sul provvedimento in discussione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Leone. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. La manovra correttiva di primavera, disposta per il riequilibrio della finanza pubblica, secondo gli stessi dati del Tesoro, non consente di raggiungere gli obiettivi assegnati dal Trattato di Maastricht per l'ingresso del nostro paese in Europa.
Le cause di tale ulteriore insuccesso sono da ricercare in primis nell'inefficacia delle misure disposte già con la legge finanziaria. Pertanto un intero anno di manovre e manovrine non è servito a centrare l'obiettivo Europa, ma soltanto ed esclusivamente a tassare sempre di più i cittadini e le loro famiglie, oltre che le imprese, nelle quali si registrano appunto solo tagli che non riguardano certo gli sprechi, ma interessano invece gli investimenti.
Il Governo dell'Ulivo ha promosso una politica fiscale che ha rallentato lo sviluppo sociale ed economico del paese; non ha realizzato alcuna riforma strutturale del fisco (anzi, la promessa semplificazione si è risolta in ben 120 provvedimenti fiscali adottati in 300 giorni); non ha ridotto la spesa pubblica ma, di contro, ha aumentato la pressione fiscale, divenuta ormai insopportabile per le famiglie, impoverite sempre di più non solo dall'eurotassa ma da una serie di aumenti da non sottovalutare, che hanno riguardato la casa - ricordiamo il 5 per cento per le tariffe d'estimo - i servizi pubblici e ferroviari, le auto e le autostrade e ancora, da ultimo, anche il contributo del dieci per cento sulle tariffe postali, disposto dall'articolo 5 del presente decreto.
Tale articolo ha derogato, altresì, a quanto di recente disposto dallo stesso Governo che, all'articolo 2, comma 22,


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della legge n.662 del 1996, prevedeva invero, entro il 31 gennaio 1997, da parte del cosiddetto NARS (nucleo di consulenza per la regolarizzazione dei servizi di pubblica utilità) la proposta di una nuova struttura tariffaria per i servizi postali riservati, oltre che un vero e proprio metodo di adeguamenti tariffari da coniugare con livelli efficienti dei costi di produzione dei servizi postali stessi.
La situazione è ancor di più aggravata dal succedersi continuo e ricorrente di un coacervo di norme e disposizioni, riferite ad una stessa materia, che risultano non solo superflue ma addirittura estremamente dannose sia per il buon funzionamento delle istituzioni sia per lo stesso equilibrio dei conti pubblici.
Ambiguità ed incertezze sempre dello stesso tipo si continuano a registrare anche in quest'ultimo provvedimento all'esame della Camera. In proposito, si può segnalare l'ulteriore danno arrecato alle imprese, e per esse all'economia tutta del paese, dal drenaggio fiscale operato con l'articolo 2, comma 1, del presente decreto-legge. Invero, la ritenuta fiscale a titolo di acconto sull'ammontare maturato al 31 dicembre 1997 sul TFR - recentemente disposta dall'articolo 3, poi incorporata nel maxiemendamento - è aumentata del 3,89 per cento, nonostante fosse già stata aumentata del 2 per cento con la legge n.662 del 1996, divenendo quindi pari al 5,89 per cento per l'anno 1997, ed è altresì stabilita nella misura del 3,89 per cento per l'anno 1998.
Anche l'articolo 3 del provvedimento legislativo in esame, rivisitando e rivedendo i termini per l'erogazione del trattamento pensionistico per i pubblici dipendenti, registra nuove disposizioni di carattere sempre sostanzialmente restrittive in materia di trattamento di fine servizio.
Pur essendo questo un dato costante della politica fiscale di questo Governo, senz'altro da evidenziare e combattere, bisogna, con l'occasione, sottolineare anche e soprattutto la dannosa ambiguità della disposizione del comma 3 del richiamato articolo. Infatti, non essendo precisato il momento iniziale dell'applicazione della norma di che trattasi, sorge il legittimo dubbio se applicare lo slittamento della decorrenza nella liquidazione del trattamento di fine servizio ai soli lavoratori il cui rapporto sia cessato alla data di entrata in vigore del decreto-legge n.79 o anche a coloro che, pur avendo interrotto il precedente rapporto di lavoro, non abbiano ancora ottenuto il pagamento dell'indennità. Tale dubbio è ancora più fortemente ingenerato dal secondo periodo del comma 6 del presente articolo, il quale fa ritenere la norma sul blocco dei trattamenti di fine servizio, dettata dai precedenti commi, applicabile anche retroattivamente. Lo stesso Ministero per la funzione pubblica ha tenuto a precisare, sia pure informalmente, che la norma, non potendo avere effetto retroattivo, non può applicarsi ai lavoratori già cessati dal servizio in data anteriore al 29 marzo 1997.
In conseguenza di tanta incertezza normativa, ricorderete come l'INPDAP, con una comunicazione di servizio del 1 aprile 1997, abbia disposto con effetto immediato la sospensione di qualsiasi pagamento di buonuscita ed indennità di premi di servizio, arrecando grave pregiudizio ai pubblici dipendenti interessati, che si vedono pertanto negare un loro diritto per l'incapacità e l'irresponsabilità di questo Governo chiamato, sin da ora, a rispondere dei ritardi che si verranno a determinare in danno dei dipendenti pubblici che non hanno ancora ottenuto il pagamento di quanto dovuto.
Anche la disposizione contenuta nell'articolo 6 manifesta l'intento del Governo di perseverare in comportamenti e provvedimenti caratterizzati da palese ambiguità ed incoerenza. Tale articolo, infatti, disciplina con disposizioni aggiuntive il rapporto di lavoro a tempo parziale e l'orario di lavoro dei pubblici dipendenti, pur trattandosi di materia ormai riservata ai contratti collettivi e non più al legislatore, il cui intervento, come nel caso di specie, serve solo ad ingenerare ulteriore confusione ed incertezza.

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Altrettanta incoerenza ed ambiguità si ravvisa nella disposizione normativa di cui all'articolo 10 del decreto-legge in esame, che è diretta ad evitare, o meglio ad armonizzare norme e procedure diverse che non appaiono del tutto coerenti tra di loro pur coesistendo nella stessa materia per la disciplina di analoghe fattispecie. In particolare, viene stabilito che il procedimento relativo al trasferimento di beni immobiliari è quello vigente al momento dell'avvio del procedimento stesso. Tale articolo fotografa chiaramente una situazione di estrema incertezza, determinata dalle diverse disposizioni intervenute in materia e succedutesi nel tempo, per cui ripropone l'esigenza di assicurare un efficace coordinamento delle stesse per evitare dannosi rallentamenti e ritardi nella definizione dei procedimenti già avviati.
Infine, come ben sappiamo, la finanziaria 1997 ha previsto e disposto un incremento degli estimi catastali, che si riflette anche sui beni immobili, che da quest'anno sono trasmessi per successione mortis causa, garantendo all'erario un gettito ben più rilevante di quello previsto e dichiarato al momento della sua approvazione. Da diversi anni si intende addirittura sopprimere l'imposta di successione; ciò nonostante, dopo aver indirettamente fatto crescere del 5 per cento i valori di tutti i beni immobili, all'articolo 11 del decreto-legge in esame si prevede l'indeducibilità dell'imposta sostitutiva dell'INVIM. Pertanto, anche se con alcuni correttivi, mentre in precedenza l'INVIM pagata sui singoli beni immobili oggetto poi di trasferimento per successione veniva detratta dall'imposta di successione, ora tale detraibilità non è più possibile per effetto delle disposizioni di cui al comma 1, lettera a), dell'articolo in esame. Tale disposizione è applicabile anche nell'ambito dell'imposta sulle donazioni, per cui non è più possibile detrarre l'INVIM nemmeno da tale imposta, con l'effetto di realizzare un'assurda quanto iniqua duplicazione dell'onere fiscale.
Le considerazioni fin qui svolte sono la riprova delle innumerevoli contraddizioni, incertezze ed ambiguità di questo Governo, il cui unico risultato è stato quello di averci regalato una crescente recessione. La pressione fiscale è aumentata in percentuale sul PIL; occorre pertanto che venga fissato immediatamente un preciso tetto entro il quale l'imposizione fiscale globalmente intesa sia contenuta, un limite che segni la percentuale massima del PIL stesso, assicurandone il rispetto da parte di tutti gli enti impositori, tenuti altresì a garantire un equilibrio interno tra i diversi prelievi reddituali e patrimoniali, immobiliari e mobiliari.
Le richieste di fiducia sono giunte a quota 21; questa è la spia di un malessere e di un'incapacità, che ha il significato di imposizione, di regime, di tracotanza, di arroganza e di potere ad ogni costo. Auspichiamo che, continuando a chiedere voti di fiducia, si giunga ad un intoppo e che le coscienze si risveglino: la sfiducia al Governo la darà sicuramente il popolo sovrano.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, sospendo la seduta sino alle 15.

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