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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Anedda, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00105. Ne ha facoltà.
GIAN FRANCO ANEDDA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, avremmo voluto, come sardi e come parlamentari, non essere più chiamati a parlare dei sequestri, piaga antica che pare avere radici perenni in questa Italia nella quale ogni regione porta la propria croce.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Murtas, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00103. Ne ha facoltà.
GIOVANNI DE MURTAS. Penso sia anzitutto doveroso ringraziare la Presidenza della Camera per la sensibilità e la correttezza con cui ha voluto dare seguito, in tempi rapidissimi, alla nostra richiesta di poter discutere in aula le mozioni relative al sequestro di Silvia Melis.
PIERGIORGIO MASSIDDA. La regione!
GIOVANNI MARRAS. È la regione!
GIAN FRANCO ANEDDA. È il Governo!
GIOVANNI DE MURTAS. È lo Stato, in questo caso, onorevole Anedda, non il Governo. Lei sa bene che questa non è un'acquisizione di dieci mesi fa, ma, purtroppo per noi, pluridecennale. Se parliamo della carenza degli interventi che il Governo - anche l'attuale - ha posto in atto finora per recuperare questo gap, siamo d'accordo; se si tratta invece di addossare a questo esecutivo una responsabilità che francamente non gli appartiene, il discorso mi sembra assolutamente fuori luogo. Stiamo parlando di altro, della necessità di attivare una serie di interventi di recupero e di prevenzione su un terreno che non si è formato oggi e che ci costringe a recuperare ritardi storici.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Oreste Rossi. Ne ha facoltà.
ORESTE ROSSI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlare di sequestro di persona significa riferirsi principalmente a quel delitto riconosciuto ed inserito nel codice penale nel capo riferito ai delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone. In tale parte si trova infatti inserito l'articolo 630 che definisce le ipotesi più gravi di sequestro, ovvero il sequestro di persona a scopo di estorsione. Esso recita: «Chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto come prezzo della liberazione, è punito con la reclusione da 25 a 30 anni. Se dal sequestro deriva la morte, come conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni 30» A questo tipo di delitto sono dedite soprattutto organizzazioni criminali o gruppi occasionalmente aggregatisi, che hanno inteso emulare le prime, per finalità tipicamente estorsive. Nel corso degli ultimi anni è stata adottata una politica di contrasto mediante interventi preventivi di polizia e misure legislative volte a scoraggiare l'esecuzione di sequestri di persona e consentire al contempo alla magistratura ed agli organi
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Miraglia Del Giudice. Ne ha facoltà.
NICOLA MIRAGLIA DEL GIUDICE. Normalmente, si interviene, anche a livello di mozioni, dopo la commissione di un fatto che genera riprovazione e quale genera più riprovazione del sequestro di persona? È uno dei reati più infamanti, più brutti; la privazione per un tempo continuato della libertà personale, per consentire la richiesta di un riscatto in termini economici, è un reato talmente grave che necessita sicuramente di una risposta da parte dello Stato. E lo Stato, in questo momento rappresentato dal Parlamento nella sua unitarietà o nella stragrande maggioranza, ha reagito con la presentazione, sia pure da parte di settori diversi, di alcune mozioni, le quali tutte debbono essere accettate e nei confronti delle quali si darà probabilmente un voto favorevole, perché impegnano il Governo ad utilizzare mezzi e risorse nella lotta per prevenire e reprimere i reati dei sequestri di persona.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cuccu, al quale ricordo che ha a disposizione sette minuti. Ne ha facoltà.
PAOLO CUCCU. La tregua dei sequestri di persona è durata in Sardegna 21 mesi, poco meno di due anni di serenità che avevano fatto seguito al clamoroso sequestro a Cala Gonone dell'operatore turistico Ferruccio Checchi, rapito il 18 maggio 1995.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Soro. Ne ha facoltà.
ANTONELLO SORO. Signor Presidente, mi sono chiesto quale fosse il senso di questa seduta della Camera in cui si discute di sequestri di persona con particolare riferimento alla Sardegna.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Porcu, al quale ricordo che ha diciassette minuti di tempo. Ne ha facoltà.
CARMELO PORCU. Signor Presidente, non è certamente la prima volta nella storia del Parlamento unitario che la Sardegna ha l'onore di essere protagonista di un dibattito parlamentare legato alla cosiddetta recrudescenza dei fatti malavitosi dell'isola. Debbo anzi osservare che la storia del Parlamento unitario è piena di tali dibattiti e di iniziative parlamentari volte allo studio ed all'approfondimento dei temi relativi alla delinquenza sarda. Basti ricordare che una delle prime indagini parlamentari sulla recrudescenza di cui parlavo si è svolta alla fine del secolo scorso, concludendosi con un'inchiesta sul posto da parte di una Commissione parlamentare costituita ad hoc.
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Porcu.
CARMELO PORCU. Chiediamo quindi questi atti di giustizia non perché li riteniamo legati al fenomeno delinquenziale, ma per una ragione obiettiva, ossia sperando che lo Stato manifesti già da ora la sua capacità di ritrovare Silvia Melis (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marras. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARRAS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, «8 marzo 1996: liberate Vanna; 8 marzo 1997: liberate Silvia». Così iniziava la lettera di Paola Leone, figlia di Vanna Licheri, pubblicata sabato scorso su un giornale isolano per testimoniare solidarietà a Silvia Melis, purtroppo ancora in mano ai suoi rapitori. Tragedia già vissuta e speranza attesa per il futuro prossimo, accomunate nell'angoscia del presente. Richiamo terribile a futura memoria per chi ha la responsabilità di provvedere, cioè il Governo, e per questo Parlamento, che ha il compito di salvare la Repubblica e, con essa, la vita dei suoi cittadini. E la Repubblica non è salva se muoiono i suoi cittadini.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Massidda. Ne ha facoltà.
PIERGIORGIO MASSIDDA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, in quest'aula ho sempre preso la parola con molto orgoglio, soprattutto quando rappresento la terra che mi ha eletto, i cittadini che mi hanno eletto. Quest'oggi stiamo proprio parlando di questa terra, eppure sento un misto di rabbia e di vergogna; di rabbia e di vergogna perché stiamo parlando di uno dei delitti per me più vergognosi, più barbari che esistono attualmente e che purtroppo è un fenomeno endemico nella Sardegna. Ne abbiamo parlato tutta la mattina: il sequestro di persona come mancanza di rispetto verso la vita umana allo scopo di estorcere del denaro.
PRESIDENTE. Glielo chiedo, onorevole Massidda, perché lei ha «sforato» di due minuti: il tempo è tiranno!
PIERGIORGIO MASSIDDA. Forse questo dibattito potrebbe essere ascoltato anche dai sequestratori, ai quali rivolgo, allora, un appello: abbiate un po' di dignità se siete dei «balentes» e, se fate delle violenze a questa donna, siete dei bastardi (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Dedoni. Ne ha facoltà.
ANTONINA DEDONI. Signor Presidente, colleghi, signori rappresentanti del Governo, voglio innanzitutto ringraziare la Presidenza per aver accolto in modo tempestivo la richiesta di discussione delle mozioni riguardanti il sequestro di Silvia Melis.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Aleffi, al quale ricordo che ha nove minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE ALEFFI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, non è senza emozione che intervengo su questo delicatissimo argomento poiché il sequestro di persona, una tragedia incredibile sia per le vittime che per la società, ferocemente colpiti nelle loro dignità, ha occupato una parte importante della mia vita, per oltre trent'anni trascorsa quale ufficiale dei carabinieri in Sardegna, terra meravigliosa, di grandi tradizioni e di gente onestissima e laboriosa, da sempre chiamata a sopportare grandi sacrifici e nuovamente alla ribalta della cronaca a causa di un manipolo di delinquenti che con la propria impresa continua a dare un'immagine assai triste e fosca ad un'isola che certamente merita ben altra pubblicità.
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Aleffi.
GIUSEPPE ALEFFI. Sta per scadere il mio tempo, Presidente?
PRESIDENTE. Il suo tempo è già scaduto, la prego di concludere.
GIUSEPPE ALEFFI. In effetti, l'assenza dello Stato nella sua componente amministrativa, le caserme chiuse, le squadriglie dei carabinieri eliminate dal territorio, l'ordinamento giudiziario che non è in condizioni di reggere il peso dei processi, gli interventi sociali che discriminano la Sardegna rispetto alle altre regioni, tutto questo contribuisce a far sì che il fenomeno del sequestro non possa essere debellato. Ciò che si chiede con forza in Sardegna è che finalmente arrivi, con mano sicura, un po' di lavoro, risorse che possano dare dignità e speranza ai sardi, soprattutto ai giovani (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Altea. Ne ha facoltà.
ANGELO ALTEA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, anch'io come il collega che mi ha preceduto mi posso considerare in qualche modo un addetto ai lavori nella conoscenza della criminalità in Sardegna, avendo lavorato per vent'anni presso il maggior quotidiano dell'isola, L'Unione sarda, ed essendomi occupato, a Nuoro, in particolare di sequestri di persona. Ho conosciuto tanti sequestrati, tanti sequestratori, tanti inquirenti, tanti giudici che si sono occupati della lotta a questo fenomeno.
PRESIDENTE. Una soluzione un po' radicale!
ANGELO ALTEA. Possiamo anche fare ammenda degli errori del passato, però non addossiamo ad una parte tutti gli errori ed eventualmente, se vi sono state, le ammissioni. In ogni caso oggi i rappresentanti della destra corrono da un carcere all'altro solamente per chiedere l'attenuazione delle misure di repressione previste dall'articolo 41-bis per portare solidarietà a persone accusate di reati associativi ben più gravi del sequestro di persona.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
GIANNICOLA SINISI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli deputati, il 20 febbraio scorso, a Tortolì, in provincia di Nuoro, veniva rapita Silvia Melis. Il gravissimo fatto ha subito richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica sul problema dei sequestri di persona, riaccendendo anche la preoccupazione della popolazione per il possibile ripetersi di nuovi fatti criminali che vanno ad aggiungersi ai sequestri già in atto.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per la giustizia, onorevole Corleone.
FRANCO CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il dibattito è stato appassionato così come lo è stata la replica del sottosegretario Sinisi. Mi limiterò a rispondere con le nude cifre e con i dati sulla situazione degli organici dei tribunali e delle procure presenti in Sardegna.
GIAN FRANCO ANEDDA. E la procura della Repubblica di Lanusei?
SALVATORE CHERCHI. Omissis!
FRANCO CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Questo dato non sono in grado di fornirlo, onorevole Anedda.
GIAN FRANCO ANEDDA. Peccato!
FRANCO CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Credo tuttavia che sarà tendente al nulla!
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Corleone, anche se ha ricordato «disperato dolor che il cor mi preme».
Avremmo voluto non discuterne perché sui sequestri, intesi come diffuso fenomeno criminale, dovremmo sapere tutto, dalle analisi antropologiche a quelle socio-economiche, tutte fallaci perché il fatto criminale non si perpetua, bensì si rinnova nelle cause, nelle radici, negli autori, nei metodi, negli strumenti, nella crudeltà.
Avremmo voluto non discuterne perché si dovrebbe sapere tutto anche sulle misure di prevenzione.
Eppure ne parliamo perché una giovane donna, la seconda in pochissimi anni, è l'ultima vittima, quasi a farci constatare che, per quanto attiene alla parità tra uomini e donne, la criminalità è giunta prima della società.
E ne parliamo perché paventiamo il rinnovarsi del crimine. Ci angoscia che vi siano altre vittime, perché tutti i sardi (noi sardi) abbiamo vissuto con i familiari drammi, dolori, tragedie.
Ne parliamo non per sottolineare responsabilità politiche, che vi sono ed enormi, bensì per sollecitare i rimedi di prevenzione che sono mancati e mancano; rimedi non nuovi, invocati e non attuati: anzi, con il venir meno della tensione per l'emergenza, affievoliti, ridotti, se non eliminati.
Giorni fa in quest'aula un collega parlamentare del gruppo della sinistra, nel parlare sull'ordine dei lavori e su questo argomento sollecitato da un intervento del collega Massidda, ha svolto un'analisi ed espresso un'esortazione. Ha detto che il crimine non trova la sua causa nella povertà ed ha esortato a rompere il clima dell'omertà. Ancora da una regione italiana si leva il grido: chi sa parli!
Preme osservare che non molti anni fa la sinistra italiana di allora, che è la stessa di oggi, quasi ammantò di ideali la criminalità sarda, scrivendo in una relazione al Parlamento che la criminalità derivava dalle strutture e dalle condizioni ambientali, che aveva cause e matrici socioeconomiche e che nasceva dal conflitto tra una società pastorale, che vive secondo regole tradizionali, ed uno Stato di conquistatori che vuole imporre le sue leggi.
Io sono ben felice che la sinistra abbia mutato diagnosi e, mutando la diagnosi, abbia cambiato opinione. Non sentiremo più dire, come la sinistra ha scritto, che sono le condizioni della società pastorale nel suo complesso ad esprimere i banditi in quei membri capaci di tradurre in azioni di violenza e di crimine la carica che è latente nella società. Quanto alla esortazione a fuggire dalla omertà, mi richiamo ad una constatazione forse banale che pochi anni fa un'attenta indagine del consiglio regionale tradusse in uno scritto: la sicurezza è la base per una spirale di sviluppo capace di vita autonoma e di produttività; il silenzio, le difficoltà nelle indagini, l'impenetrabilità investigativa hanno causa nelle condizioni
di insicurezza e di solitudine; non omertà, quindi, bensì timore inteso quale preoccupazione per la propria vita e per quella dei familiari.
Ho richiamato questi precedenti perché, per ricordare quanto di recente ha scritto uno dei magistrati del pool, il dottor Colombo, ho il vizio della memoria, chiave di interpretazione delle vicende umane; un vizio, un ingombro indiscreto che vorremmo eliminare per essere più liberi; ma la memoria è storia, la memoria rivela le radici, indica le responsabilità.
L'errore di quegli anni da parte della sinistra fu aver dato, magari involontariamente, una giustificazione alla criminalità, eppure si sapeva e si sa che il crimine, (nessun crimine) non ha giustificazioni.
Se noi poniamo la sicurezza come il primo dovere dello Stato nei confronti dei cittadini, l'essenza stessa dell'esistenza, della ragione dello Stato, ne consegue che è gravissima responsabilità per coloro che oggi lo dirigono non porre in essere tutti gli strumenti per prevenire il crimine, per impedirne il protrarsi delle conseguenze ed infine per reprimerlo.
La prevenzione inizia con la sicurezza e, in sintonia con le antiche richieste del consiglio regionale, occorrerebbe una maggiore diffusione delle caserme nelle campagne (ma sono state smantellate), occorrerebbe una maggiore dotazione di mezzi per gli spostamenti veloci perché attualmente sono insufficienti. Occorrerebbe altresì una maggiore specializzazione nelle indagini e nell'acquisizione di informazioni, ma i gruppi di lavoro sono stati distrutti perché i responsabili migliori di tali gruppi sono stati destinati ad incarichi di uffici con una vergognosa discriminazione.
Bisogna anche pensare ad una eliminazione della riduzione degli orari di lavoro nelle caserme non per aumentare un lavoro che è già gravoso ma attraverso un ampliamento dell'organico e dei turni; ad una riorganizzazione del servizio giustizia eliminando i tribunali sguarniti e le procure ridotte nelle zone a più alto rischio. Nulla è stato fatto in questa direzione da un Governo assente e distratto, così come poco o nulla è stato fatto per migliorare o razionalizzare la rete viaria e quella ferroviaria.
È di qualche giorno fa la protesta dei sindacati, assenti quando analoga protesta energica vi fu contro la legge finanziaria che prevedeva lo smantellamento di 532 chilometri di rete ferroviaria in Sardegna e di circa un milione di ore-chilometro delle linee su strada.
Questo Governo ha adottato una linea opposta a quella dello sviluppo culturale se un ministro - ahimè e ahinoi! - sardo ha soppresso e intende sopprimere scuole e classi, comprese quelle dell'obbligo, proprio nei centri più isolati. Abbiamo torto se diciamo che si tratta di uno Stato assente, uno Stato distratto, uno Stato - ahinoi! - talvolta ingrato?
Anni fa, sospinto dalle richieste della magistratura inquirente, si aprì un dibattito scaturito dal decreto-legge n. 8 del 1991, del quale hanno già parlato altri colleghi, che imponeva il sequestro dei beni della persona sequestrata e dei suoi parenti e che imponeva altresì l'obbligo di riferire notizie nonché il divieto di agevolare il pagamento del riscatto. Quel decreto-legge fu emesso nel 1991 proprio sotto la pressione della magistratura che voleva essere liberata da quel suo dovere di discrezionalità, di valutazione caso per caso nel disporre il sequestro dei beni affinché per questo reato così terribile e spaventoso, avente come unica finalità quella del lucro, si potesse affermare «il sequestro non paga». Inoltre, il rischio di porre in pericolo la vita dell'ostaggio era bilanciato dalla triste esperienza che non sempre il pagamento del riscatto è garanzia per la vita dell'ostaggio stesso. Come è noto, una donna è morta.
La norma non ha risolto i problemi, e questo ha la sua rilevanza; il riscatto è stato sempre pagato, il sequestro dei beni è stato aggirato (è un fatto che comprendo) da parte di una magistratura comprensiva ma incapace di fare rispettare le leggi in nome di una solidarietà umana che merita certamente comprensione. Dunque la norma è inutile perché l'effetto è stato solo quello di rendere meno
facili le collaborazioni indispensabili in quel rito che segue il sequestro.
Chiediamo che su tutto questo si pronunzi il Governo il quale sino ad ora ha accuratamente evitato, con il silenzio che è alibi, di assumere una posizione. Quando parliamo di Governo distratto è a questo che ci riferiamo, perché il Governo è mancato non solo nella fornitura dei mezzi ma anche nelle iniziative o nell'appoggio delle iniziative legislative che al riguardo vi sono state.
La Sardegna, pur avendone i titoli, non intende rivendicare i meriti né ancora sottolineare, come noiosamente è stato fatto da parte di tutti, compresi noi, la propria peculiarità.
Sappiamo che i governi si sono dimostrati indifferenti ma sappiamo anche, purtroppo, che ancora vige la politica del doppio binario: il richiamo è diretto al collega che mi ha preceduto, il quale ha pronunciato un discorso di opposizione alla giunta regionale scordandosi - o facendo finta di scordare - che ha fatto parte del governo regionale per anni e che in esso nulla il suo partito ha fatto per prevenire la criminalità nel senso che proprio egli individuava come giusto.
La Sardegna pretende sicurezza, non avanza diritti; la Sardegna pretende sicurezza pari a quella che il Governo offre agli altri territori perché solo nella sicurezza i sardi possono trovare una garanzia di sviluppo (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia ).
I colleghi che sono intervenuti hanno detto che questo è l'ultimo rapimento in ordine di tempo che ha riaperto uno scenario criminale tipico della Sardegna, sul quale molto si è scritto e molte analisi sono state prodotte, ma su cui non vi è stata finora la capacità di incidere in modo tale da ridurre, o meglio ancora annullare, la possibilità di riproduzione dello stesso.
Questa - mi riferisco all'ultimo accenno del collega Anedda - è una costante che purtroppo è difficile rapportare, nelle esperienze degli anni passati, alla capacità di determinazione della funzione di governo che a livello regionale e nazionale è stata esercitata. Si tratta di una costante che rimane tale, in presenza di una carenza strutturale e di interventi a favore dello sviluppo che si sarebbero dovuti effettuare in Sardegna e in tutto il meridione.
Tornerò più avanti su questo argomento. Ora mi preme sottolineare che ci troviamo di fronte ad una situazione in cui le pesantissime storie personali dell'ostaggio e della sua famiglia vengono rilanciate in una dinamica sociale fatta in questi giorni in Sardegna di mobilitazione, di appelli alla solidarietà, di richieste di libertà per Silvia Melis; una mobilitazione che ha poco a che fare con l'omertà e che, per i livelli di partecipazione istituzionale e sociale che sta facendo registrare e che sta portando all'ordine del giorno anche degli organi di informazione, sconfigge già in partenza la cultura dell'omertà. Questo è un dato positivo. Ma in quella mobilitazione - facciamo attenzione - emerge fortemente la sensazione dell'impotenza e la consapevolezza che, come quasi sempre è accaduto nella storia dei sequestri di persona in Sardegna, gli sviluppi e le conclusioni della vicenda vedranno lo Stato e la società civile sostanzialmente condannati a subire l'offensiva della malavita e della criminalità.
Questo è il nodo, questo accadrà, anche di fronte ad una nuova forma di coscienza civile che, ripeto, limita gli effetti negativi della cultura dell'omertà.
Nella mozione che abbiamo presentato, signor Presidente, abbiamo voluto ragio
nare su uno schema interpretativo, su un'argomentazione di fondo che deve legare la riflessione sul fenomeno dei sequestri di persona ad un progetto di prevenzione - altrimenti non si capisce di cosa stiamo parlando -, ad un disegno e ad una proposta di interventi - dovrebbe essere questo il compito della politica - al fine di impedire che un evento criminale di questa portata, di questa gravità, si riproduca ciclicamente, riproponendo fasi di forte recrudescenza, come negli ultimi trenta anni è accaduto in Sardegna.
D'altro canto, non è possibile non condividere la lettura del fenomeno sequestri che è emersa anche di recente nella conferenza regionale delle autorità di pubblica sicurezza della Sardegna, laddove si indica con chiarezza il salto di qualità che la delinquenza sarda ha compiuto; salto di qualità determinato dalla presenza stabile sul territorio di organizzazioni criminali che traggono la forza dal vincolo associativo più che dall'organizzazione rigida e strutturata di nuclei di appartenenza ed anche dal sistema di vita familiare e di relazioni sociali che pervade soprattutto le aree montane del nuorese, dove il basso coefficiente di popolazione e l'estensione territoriale rendono difficile un effettivo controllo del territorio.
Anche questa non è una lettura nuova e soprattutto non contraddice un'acquisizione analitica che oggi è opportuno riconfermare per poter impostare l'azione di contrasto che si vuole e si deve svolgere rispetto a questa forma di criminalità. Mi riferisco alla necessità, riconfermata di recente dal procuratore nazionale antimafia, dottor Siclari, di affrontare come decisivo terreno di scontro il problema dell'accumulazione illegale della ricchezza che proviene dai sequestri di persona, il problema, cioè, della rendita economica, che è elemento chiave di strutturazione e di organizzazione della criminalità nei suoi aspetti diretti e collaterali: dal riciclaggio del denaro ai legami funzionali con il traffico della droga e delle armi; dagli affari con la criminalità organizzata alle aggregazioni malavitose che alimentano diversi circuiti illegali, all'universo composito e complesso che ruota attorno al sequestro di persona e che ne consente la realizzazione e il dispiegamento con la programmazione di strategie, di tempi, di forme di pressione, custodia dell'ostaggio, riscossione del riscatto e quant'altro.
Questo è il lato tradizionale dell'attività dei sequestri di persona, collegato ad una nuova e pericolosa modernità che si costituisce come momento di regia e di unificazione dei diversi sequestri, scaglionati anche in momenti temporali diversi e che delegano ad esempio ad un livello finanziario occulto il trattamento dei capitali che devono essere ripuliti, reinvestiti in attività legali o ancora in attività illegali.
Se questo è l'ordine dei problemi, penso che emerga la necessità di rafforzare e articolare meglio i sistemi di contrasto del fenomeno dei sequestri di persona. Come è già stato detto, dal punto di vista normativo la legislazione relativa al blocco dei beni delle famiglie dei rapiti non ha davvero dato risultati soddisfacenti, non ha consentito di risolvere i casi di rapimento e spesso ha messo a repentaglio la vita degli ostaggi. Occorre invece intensificare le azioni di verifica dei patrimoni sospetti con l'incremento delle attività di controllo da parte della Guardia di finanza; occorre potenziare l'attività investigativa attraverso una sempre più incisiva conoscenza delle situazioni locali, che sono determinanti nell'ideazione, nella programmazione e nella gestione dei sequestri. Poiché tutti abbiamo affermato che Nuoro, la sua provincia, la Sardegna centrale, sono la sede naturale e l'area territoriale prevalentemente interessata dal fenomeno dei sequestri di persona, dunque è necessario lavorare a stretto contatto con gli investigatori e con la massima celerità delle decisioni da prendere anche nella prospettiva della soluzione del sequestro; occorre inoltre approfondire la proposta secondo la quale l'indagine sui sequestri di persona deve essere condotta da un unico magistrato, che deve avere la sede a Nuoro.
Se questo, anche nel contesto specifico del sequestro di Silvia Melis, è l'ordine dei
problemi e lo spessore degli interventi richiesti e che sono indispensabili, allora ritengo che, se teniamo ferma l'impostazione della prevenzione oltre alla necessità di garantire in questo momento la massima efficacia e funzionalità degli interventi che devono condurre a risolvere il caso, riportando alla famiglia la donna rapita, non si possa non ragionare sul quadro di riferimento della provincia interessata al fenomeno.
Penso che il quadro di riferimento ed i parametri specifici siano a conoscenza del Ministero dell'interno. Tuttavia, non essendo una situazione nuova - anzi siamo di fronte a carenze strutturali - forse per sommi capi è utile ricordare tale contesto per conoscere in che modo le forze di pubblica sicurezza e le istituzioni riescono a portare avanti il loro compito, nel caso in cui riescano a farlo nelle condizioni nelle quali sono costretti a lavorare. Infatti l'organico della questura di Nuoro è assolutamente sottodimensionato; la dotazione organica di quell'ufficio è assolutamente insufficiente. Le medesime carenze si ritrovano nell'Arma dei carabinieri e nella Guardia di finanza, in cui vi sono 24 posti vacanti a fronte di un organico di 142 figure professionali, in una provincia tra le più estese d'Italia. I rami periferici della pubblica amministrazione non godono di salute migliore relativamente, per esempio, agli istituti penitenziari oppure alla stessa prefettura di Nuoro, sottodimensionata addirittura rispetto a quella di Oristano. Vi è una discrasia, una irrazionalità nella distribuzione di uomini, forze, strutture e risorse che non può permanere se vogliamo fare un discorso di efficacia e di programmazione di interventi.
Il prefetto di Nuoro ha segnalato al Ministero dell'interno, in una nota recente, che la situazione degli uffici giudiziari nella provincia è da collasso; la funzionalità è pari a zero. La soppressione della pretura di Sorgono, situata nel Mandrolisai, cioè in una delle zone più interne della Sardegna, cos'è se non il venir meno dell'unica presenza istituzionale dello Stato, deputato ad erogare giustizia? La pretura di Tortolì, inoltre, non funziona da due anni!
Onorevole Anedda, il procuratore generale presso la corte d'appello di Cagliari, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 1997, ha parlato di giustizia negata ai cittadini e di giustizia presente solo nominalmente: sono sue parole testuali. Non credo che facesse tale notazione critica volendo in qualche modo deresponsabilizzare se stesso o la magistratura o ancora lo Stato, le istituzioni, a fronte dell'incidenza o della recrudescenza dei fenomeni criminali sia in ambito metropolitano sia su tutto il territorio regionale. Ritengo che abbia svolto tale ragionamento essenzialmente per riportare il discorso al logoramento della presenza dello Stato in un ambito in cui invece è irrinunciabile mantenere presenza e funzionalità. Penso che questa notazione critica non possa essere assunta genericamente: spostando l'attenzione sulle responsabilità dello Stato e delle istituzioni si avvantaggiano automaticamente - od in qualche modo si solleticano - i fenomeni criminali. Affermare che la sinistra degli anni passati o quella odierna abbia flirtato con le forme della criminalità sarda o le abbia fiancheggiate, mi sembra francamente un po' troppo. Penso che parlare delle condizioni di arretratezza, di povertà, di miseria, di crisi economica, di declino della vecchia struttura del mondo agropastorale e di quant'altro costituisce e descrive oggi la situazione della Sardegna non significhi fiancheggiare un bel niente, ma fare un'analisi che riporta ad un quadro attendibile il degrado sociale e civile in cui vive la Sardegna. Questo se vogliamo fare un discorso di prevenzione.
Badate, è comodo parlare contro la cultura dell'omertà e fare riferimento alle comunità locali, quelle che vivono nei territori dove si attuano i sequestri; è comodo ed anche giusto chiedere a queste comunità il massimo della responsabilità, ma stiamo attenti. Quelle comunità vivono - lo abbiamo scritto nella mozione - una situazione di costante disagio e di isolamento,
che acuisce gli effetti e le conseguenze della crisi economica e sociale, dei processi di deresponsabilizzazione e della ritirata dello Stato.
Ribadisco che, nella lista dei latitanti sardi, il primo posto è quello dello Stato, perché il primo ad essere latitante nelle zone interne della Sardegna, alle condizioni attuali è lo Stato...
Si parla di cultura della solidarietà, cui lei, onorevole Anedda, accennava prima, come altri colleghi. Ebbene, la cultura è educazione e l'educazione è formazione, ma in questo paese, in Sardegna come altrove, vengono erogate dalla principale agenzia formativa che è la scuola pubblica e sono anni che i decreti di razionalizzazione della rete scolastica, in base ad esigenze di bilancio che tutti quanti conosciamo, vanno a sopprimere prima di tutto i presidi dell'istruzione pubblica nelle aree territoriali più emarginate e depresse. Bisogna allora capire e sapere se questo Governo vuole invertire una tendenza che negli anni ha operato una desertificazione sociale e culturale attraverso la quale è passata - e purtroppo passa - anche una perdita di coscienza civile.
In conclusione, noi abbiamo tentato di redigere una mozione che richiama il caso specifico e doloroso di un sequestro ad una configurazione più generale, in cui deve essere lasciato spazio agli interventi che saranno predisposti da parte del Ministero dell'interno e degli organi competenti per risolvere il problema specifico, ma soprattutto ad una progettualità che deve rilanciare la possibilità per la Sardegna di risolvere le cause strutturali di questo fenomeno criminale e, più in generale, le ragioni, sempre strutturali, di un ritardo economico e sociale che deve essere risolto.
investigativi il prosieguo dell'azione con riferimento ad univoci e rigidi criteri procedurali.
La legge n. 82 del 1991 ha previsto misure atte a vanificare il conseguimento da parte dei rapitori del profitto proveniente dal pagamento del riscatto mediante l'obbligatorietà del sequestro dei beni e, sul piano strettamente investigativo, con la costituzione di gruppi interforze ad hoc per meglio realizzare il coordinamento sia sul piano operativo sia su quello dell'intelligence.
Tralascio ora la discussione sui problemi morali legati al congelamento di beni dei parenti delle persone rapite, perché effettivamente la discussione dovrebbe essere più ampia e completa. Infatti chi ha potuto costituire fondi neri, pur di salvare i propri familiari, è disposto ad utilizzarli ed anche chi ha la possibilità di ottenere finanziamenti, sempre illegali, tramite l'usura, pur di liberare il proprio familiare, rischia di rovinare la propria attività, poiché normalmente i sequestrati sono persone facoltose. Con l'attuale normativa legislativa, infatti, si corre il rischio di danneggiare aziende ed attività. Per chi invece è sempre stato corretto, onesto ed in regola con la legge, e non ha nessuna possibilità di ottenere finanziamenti per pagare il riscatto, molte volte il sequestro si conclude con la morte della persona sequestrata. In effetti, tale normativa dovrebbe essere, come sollecitano quasi tutte le mozioni presentate, in parte riesaminata.
Inoltre, con la legge n. 203 del 1991 sono state individuate linee di maggior rigore per la concessione di permessi premio a favore di persone detenute per sequestro di persona. La legge n. 156 del 1992, all'articolo 12-quinquies, allo scopo di neutralizzare gli illeciti arricchimenti, ha previsto la possibilità di sequestrare e, quindi, confiscare beni e proventi di attività illegali. Tali misure preventive di carattere patrimoniale sono state applicate a soggetti implicati nella specifica attività illecita per un valore complessivo di quasi 500 miliardi negli anni 1992-1993 (questo dato fornisce già una risposta ad uno dei quesiti contenuti nella mozione oggi in discussione).
A partire dal 1 gennaio 1969 fino agli ultimi dati disponibili dell'ottobre 1995 sono stati consumati in Italia 667 sequestri di persona. L'andamento del fenomeno nell'arco di tempo considerato ha avuto momenti di particolare intensità nel periodo compreso tra il 1975 ed il 1984. Infatti, si sono registrati 62 casi nel 1975; 75 nel 1977; 59 nel 1979 e 50 nel 1982. Mentre, a partire dal 1985, lo specifico fatto delittuoso risulta avere perso le sue connotazioni di fenomeno, si registrano 18 casi nel 1986, 14 nel 1987-1988, 10 nel 1989, 7 nel 1992, 9 nel 1993, 5 nel 1994 e 2 nei primi 9 mesi del 1995.
La flessione del fenomeno nel corso degli anni è riconducibile a diversi fattori, riguardanti, oltre all'azione di contrasto da parte delle forze di polizia e gli interventi del legislatore, due punti in particolare: la difficoltà di gestire l'ostaggio fino al conseguimento finale del prezzo del riscatto (dal 1990 al 1995 solo 11 sequestri su 42 si sono conclusi con la riscossione della somma richiesta per la liberazione della vittima); il profilarsi di nuove mete, con prospettive di maggiori e rapidi guadagni in altri settori, quali il traffico di droga e di armi e il riciclaggio.
Altri dati disponibili circa la conclusione dei sequestri dimostrano che 92 ostaggi sono stati liberati dalla polizia di Stato o dall'Arma dei carabinieri; 38 persone rapite sono riuscite a liberarsi; 79 vittime non hanno fatto ritorno a casa; 456 persone sono state rilasciate. L'analisi dei dati per regione dimostra che quelle maggiormente colpite da tale tipo di reato sono state nell'ordine: la Lombardia, con 155 sequestri; la Calabria, con 128; la Sardegna, con 106; il Lazio, con 64; il Piemonte, con 39; il Veneto con 35.
Da quest'ultimo dato si evince che la regione Sardegna, alla quale si riferiscono tutte le mozioni presentate sulla scia del sequestro di Silvia Melis, non è certamente né l'unica né la prima regione interessata dal fenomeno criminale. Riteniamo perciò che le mozioni presentate siano
di fatto incomplete. Il Governo deve assumere iniziative forti per contrastare uno dei delitti più brutti, in cui il rapito viene tenuto in condizioni di semischiavitù, in una situazione igienica disastrosa: gli vengono tolte ogni libertà e dignità costringendolo a vivere - diciamole queste cose - tra i suoi stessi bisogni, a volte mutilato di parti del corpo per spingere i famigliari a reperire soldi per pagare il riscatto. Tuttavia le mozioni sono incomplete perché occorre intervenire a livello nazionale e in particolare nelle regioni più colpite dal fenomeno, quindi in Lombardia, in Sardegna, in Calabria e così via.
Se poi vogliamo parlare della possibilità e della necessità di rilanciare la Sardegna, siamo perfettamente d'accordo. Questa regione oggi è scarsamente sfruttata e sottostimata, mentre potrebbe essere un'isola felice, avendo caratteristiche che non si riscontrano in nessun'altra parte d'Italia: una cultura millenaria, un ambiente magnifico, quasi incontaminato. Non si riesce a sfruttare minimamente questo territorio: perché?
Cominciamo a ridurre il costo dei trasporti tra l'isola e il continente. I sardi, per venire nel continente o per tornare nell'isola, possono usufruire di riduzioni, ma permettetemi di definirle ridicole. Anche per chi vuole andare in vacanza in Sardegna i costi sono esagerati; infatti, il volo da Roma o da Milano per l'isola (ovvero il biglietto per traghettare due persone e un'automobile) costa come una settimana di pensione completa, volo compreso, alle Baleari.
Salvo le zone più conosciute quali la Costa Smeralda o alcune spiagge note (Baia, Chia) - il collega Massidda sorride, ma le conosce molto bene - l'isola non è attrezzata turisticamente. L'ho girata tutta, costa per costa, e posso dire che l'80 per cento delle spiagge, quasi tutte molto belle e fruibili turisticamente per sei mesi l'anno, sono utilizzate al massimo per due mesi e il turista che vi si reca non trova un servizio igienico, un bar, un ristorante; si è completamente isolati. Le coppie, gli anziani, le famiglie oggi hanno paura ad andare in un'isola dove o si entra nel «recinto» gestito da non si sa bene chi, nel villaggetto, spendendo una fortuna, o si va in una spiaggia completamente isolata dove, se accade un incidente, non si sa quanto tempo occorrerà per avere un pronto soccorso.
Perché questo accade? Ho provato a chiedere ad albergatori e ad altri sardi come mai non chiedano concessioni su queste spiagge, sempre nel rispetto e nella tutela della natura, come mai non vengano aperti bar o ristoranti e non vi sia sorveglianza sulle coste, sulle spiagge. Ciò accade perché, regolarmente, i permessi non vengono concessi con una scusa o con un'altra. Probabilmente perché i turisti devono essere ammassati solo ed esclusivamente in determinate zone per difendere gli interessi di qualcuno. Così facendo impediamo però ai sardi, ma anche a persone provenienti da fuori, di investire soldi in Sardegna in modo da portare turisti e quindi denaro all'economia dell'isola.
In particolare il Governo dovrebbe verificare la possibilità, considerato che la sua compagnia aerea esiste, è attiva ed ha molti voli quotidiani per la Sardegna, di abbassare drasticamente le tariffe per coloro che si recano in Sardegna per motivi turistici affinché il piemontese, il lombardo o il campano che vogliano trascorrere una o due settimane di ferie al mare in un posto meraviglioso, con l'acqua pulita e tutte le possibilità turistiche, dalle immersioni subacquee alla ricerca storica all'interno dell'isola, al campeggio nella foresta (in Sardegna, infatti, c'è anche la foresta), possa farlo senza dissanguarsi. Infatti, a fronte di una spesa analoga per andare e tornare con un volo aereo in Sardegna o per trascorrere una settimana alle Baleari, in momenti di ristrettezza economica come questi la maggior parte dei turisti, anche italiani, penso preferiscano scegliere una settimana in pensione completa alle Baleari (o alle Canarie con 100-150mila lire di più).
La Sardegna ha poi un'altra fortuna, quella di essere un'isola particolarmente calda rispetto al resto del continente. Si potrebbe allora portare avanti un progetto
di agricoltura di qualità che servirebbe in primo luogo a non importare (a costi elevati) dal continente il prodotto agricolo ed in secondo luogo a coltivare prodotti particolari che si possono sviluppare solo in determinate condizioni climatiche. Per fare questo occorre l'acqua per irrigare i campi. Da sempre la Sardegna ha enormi problemi di siccità; i campi sono secchi, gli agricoltori non possono coltivarli e dunque cosa fanno? Fanno gli invalidi, tanto è vero che purtroppo in Sardegna il 78 per cento degli agricoltori in pensione gode di pensione di invalidità. Chiaramente non è vero che il 78 per cento degli agricoltori sia composto da invalidi, né si può dire che rubino il denaro allo Stato. Il fatto è che, non avendo neanche l'acqua per irrigare i campi, non hanno altra possibilità di vivere che recuperare un piccolo sussidio legato, nella maggior parte dei casi, ad una falsa invalidità. In Sardegna, però, l'acqua c'è, nel sottosuolo e basterebbe che fosse contenuta quella piovana in bacini da dighe. Alcune dighe sono state costruite; peccato che alcune di esse, già costruite, già pagate, non siano mai state collaudate. Ho provato a chiedere come mai una grande diga all'interno della Sardegna non fosse mai stata collaudata e utilizzata; la risposta di un tecnico locale è stata che la diga non è stata costruita molto bene e vi era il timore che riempiendo il bacino potesse cedere con conseguenti disastri.
Mi rivolgo dunque al Governo perché una volta tanto intervenga affinché i finanziamenti esistenti per la Sardegna vengano utilizzati per rilanciare le attività economiche dell'isola. Vogliamo, una volta tanto, controllare queste opere pubbliche (in parte costruite, in parte ancora da eseguire), per lo meno quelle già costruite e non ancora collaudate! Vogliamo collaudarle! Se non state eseguite male, vogliamo colpire i colpevoli e far loro pagare i danni ponendo mano alla situazione!
Concludo il mio intervento preannunciando che il nostro voto sulle mozioni sarà comunque favorevole, ma con l'impegno, rappresentante del Governo, che l'intervento contro il sequestro di persona valga per tutto il territorio nazionale. Scusate se mi sono dilungato su problemi relativi alla Sardegna, ma ritengo che se si seguissero questi consigli (che non sono miei o del mio gruppo, ma unanimi tra i colleghi e tra i sardi) finalmente in Sardegna si permetterebbe ai sardi di rilanciare la propria terra (Applausi).
Il collega che mi ha preceduto ha indicato una serie di fenomeni, di fattori, che riguardano non soltanto il sud, ma anche la Lombardia; in effetti, qui stiamo discutendo di tutto il territorio nazionale. Però, un dato di fatto è certo: anche quando vengono sequestrate persone in zone del nord, quasi sempre vengono poi trasferite in regioni del sud o nelle isole, dove probabilmente più facile è continuare il reato di sequestro, più facile è far continuare la permanenza di questo reato.
Ed allora è su questo che dobbiamo discutere, per questo dobbiamo prevedere risorse, verificando perché in queste zone
più forte è il fenomeno del sequestro di persona. Ormai gli studi, non soltanto giuridici ma sociali, consentono di affermare con assoluta certezza che il reato di sequestro di persona necessita di una serie di autori del fatto criminoso, che spesso e volentieri sono diversi da coloro che materialmente privano taluno della libertà personale. C'è bisogno cioè di un'organizzazione, di avere una serie di rifugi, di risorse anche economiche per portare avanti i sequestri. E questo purtroppo si verifica in determinate regioni dove, per l'assenza cronica di lavoro, per la disoccupazione che ormai ha raggiunto livelli inaccettabili in qualunque paese civile, è facile che più persone collaborino con i sequestratori, con i delinquenti per il compimento di questo tipo di reato.
Allora lo Stato deve intervenire, da un lato per reprimere con gli strumenti che ha (il codice penale e il codice di procedura penale) gli autori del sequestro di persona e coloro che partecipano alla consumazione del reato, ma, dall'altro, poiché non è sufficiente intervenire a livello repressivo, si deve dare alla gente, alle popolazioni, a coloro che aiutano gli autori del reato la possibilità di dire: «Lo Stato mi ha dato qualcosa in più rispetto ai sequestratori, mi ha consentito di dar da mangiare ai miei figli», altrimenti probabilmente questa sarà una battaglia persa.
Il problema non riguarda solo i sequestri di persona e non riguarda solo la Calabria, la Sicilia o la Sardegna, ma riguarda la nazione intera, tutta l'Italia, riguarda tutta la criminalità organizzata. La criminalità organizzata sarà forte fin quando lo Stato non saprà rispondere alle esigenze primarie dei cittadini, esigenze legittime e giuste, che sono quelle di un posto di lavoro, di guadagnarsi onestamente la giornata per consentire ai familiari, ai figli, a coloro che gravitano attorno al nucleo familiare di poter vivere dignitosamente.
Quindi, non basta soltanto il codice penale; non è servito a nulla o a quasi nulla nella lotta alla criminalità organizzata e non è servito e non servirà a nulla nella lotta contro i sequestri di persona, così come dimostrano i dati allarmanti che i colleghi hanno riferito poc'anzi.
Ed allora lo Stato deve intervenire principalmente nel procurare lavoro in quelle regioni che sono disadattate, non soltanto nelle regioni del sud e nelle isole, ma in tutte le regioni d'Italia, perché ormai il problema della disoccupazione investe tutto il territorio nazionale, a livelli maggiori o minori. È un problema che deve interessare in prima persona il Governo, al di là delle affermazioni di principio sui ritardi o meno dell'attività parlamentare. Non è possibile non eliminare il cancro della mancanza di lavoro senza di conseguenza assistere ad un aumento della criminalità organizzata. Quindi il primo aspetto su cui è necessario l'intervento dello Stato è quello concernente la possibilità di dare un lavoro alla gente. Più lo Stato dà lavoro e meno occasioni avranno le persone di rivolgersi alla criminalità organizzata che oggi, spesso e volentieri, si sostituisce allo Stato nel consentire alla gente di tirare avanti.
Una volta risolto il problema principale di quelle zone, ossia il problema del lavoro, si potrà parlare di interventi a livello penale, a livello repressivo. Sarà così possibile per la polizia e i carabinieri intervenire in quelle zone. A tale scopo sarà necessario aumentare il numero dei distaccamenti, delle stazioni dei carabinieri e dei commissariati di polizia, ma sarà anche necessario prevedere delle forze speciali, così come è avvenuto per la lotta contro la criminalità organizzata; a mio avviso si dovrà anche prevedere una presenza dell'esercito sia pure limitata a determinate zone; non dimentichiamoci, infatti, che in alcuni casi si tratta di zone turistiche e i turisti spesso e volentieri non gradiscono la presenza di forze militari. È tuttavia giusto che in alcune zone sia sentita ed avvertita la presenza dello Stato anche in termini repressivi, ma sempre dopo - lo ripeto - l'intervento principale che deve rimanere quello volto a dare
lavoro alla gente e a fare in modo che queste persone per vivere non si rivolgano più alla criminalità organizzata.
Successivamente, lo ribadisco, è possibile parlare di una presenza della polizia e dei carabinieri ed è anche possibile prevedere un impiego più efficace della magistratura in queste zone del territorio. Tutta la magistratura, compresa quella inquirente, gode del principio della inamovibilità per cui non si capisce perché un magistrato che lavora a Rimini debba andare a lavorare in zone disagiate come quelle di Locri o Palmi. Normalmente accade che nelle zone disagiate vadano ad operare magistrati di prima nomina, ossia persone che non hanno esperienza nella lotta contro il crimine organizzato e contro i sequestri di persona. Se guardiamo i trasferimenti ma soprattutto le prime assegnazioni dei magistrati ci rendiamo conto della fondatezza di quanto sto dicendo.
Perché non prevedere allora per la magistratura inquirente la possibilità di trasferimenti anche di ufficio in zone particolarmente esposte, magari dando incentivi, di carriera o economici? In questo modo persone particolarmente esperte potrebbero lavorare in determinate zone. Si potrebbe altresì prevedere che per concorrere ad un posto di procuratore distrettuale presso una grossa città sia indispensabile essere rimasti almeno tre o quattro anni in una zona particolarmente a rischio dove si è potuta sviluppare la possibilità di indagare sui fenomeni di criminalità organizzata.
In altri termini, lo Stato deve rispondere non soltanto attraverso la massiccia presenza di poliziotti, di carabinieri o di magistrati ma anche attraverso interventi di qualità e la preparazione delle persone che vanno a combattere il crimine organizzato e in particolare i sequestri di persona. Quest'ultimo è un reato che necessariamente presuppone un'organizzazione, un'associazione alle spalle; è infatti assolutamente impensabile che due o tre persone possano organizzarsi per un sequestro di persona che duri, ad esempio, più di ventiquattro ore.
Il Governo - è questo il succo delle mozioni che voteremo - deve impegnarsi seriamente nel perseguire e reprimere il fenomeno dei sequestri di persona; lo deve fare in termini repressivi, prevedendo una maggiore presenza sul territorio delle forze di polizia e carabinieri, prevedendo che la magistratura svolga interventi di qualità sul territorio, prevedendo incentivi di carriera ed economici per quei magistrati che vogliono impegnarsi in determinate zone del territorio nazionale. Di questo ultimo aspetto discusse il Consiglio superiore della magistratura; poi però esso fu, senza alcuna ragione, abbandonato.
Prima di concludere vorrei ribadire che l'aspetto più importante è che il Governo intervenga per garantire al cittadino il suo diritto costituzionale al lavoro; solo in questo caso potremo veramente dire che sta cominciando seriamente la lotta alla criminalità organizzata.
Una tregua anomala che sembrava anticipare una definitiva rinuncia della malavita a questo tipo di reato che poteva essere considerato non più appagante rispetto ai rischi e ai tempi che esso comporta.
L'apparente tranquillità sul fronte dei sequestri aveva probabilmente fatto nascere la falsa convinzione che, dopo l'arresto di numerosi latitanti, alcuni dei quali convinti a costituirsi, ed eliminati quindi i potenziali custodi degli ostaggi, sarebbe venuto meno uno degli incentivi che nel passato avevano favorito il proliferare dell'esecrando reato che costituisce una vergogna per la società civile.
La drammatica vicenda della giovane consulente del lavoro Silvia Melis in mano
ai suoi aguzzini dal 20 febbraio scorso e di cui non si hanno ancora notizie - stando almeno alle informazioni ufficiali - sta a dimostrare che, sgominate le organizzazioni che negli anni settanta ed ottanta vennero individuate con il nome di «anonima», in Sardegna resiste, seppure senza una centrale organizzativa, la cultura del sequestro di persona, che va ad affiancarsi ad una serie di reati gravissimi che caratterizzano l'agire malavitoso di persone o gruppi che da rapine, assalti a furgoni postali, attacchi a banche e ad uffici postali traggono il loro sostentamento.
Non mancano intellettuali, uomini di cultura e giornalisti che, di fronte al ripetersi di gravi atti criminosi che vedono coinvolte persone innocenti ed indifese, si affannano a fornire spiegazioni sociologiche o ad indicare soluzioni che spesso si contraddicono. Si esclude uno stretto rapporto tra disoccupazione ed il fiorire dei reati, tra cui il più aberrante rimane il sequestro che vede vittima una donna, modificando in tal modo quello che sino a pochi anni fa era considerato il codice deontologico della «balentia» barbaricina - se così si può dire - che vedeva risparmiate le donne: le madri, le sorelle, le figlie non permettevano ai sequestratori di spingersi sino a tanto.
Questo mutamento non è certamente opera di ingegneria genetica, ma trova una sua spiegazione nell'insano matrimonio tra malavita urbana e costiera ed entroterra agro-pastorale.
Si indicano strade che in un clima di garantismo imperante non possono assolutamente portare alla soluzione di un problema che la mobilitazione dei sardi conferma ormai lontano dalla cultura delle popolazioni e, in particolare, dei giovani su cui si fondano le nostre speranze per un domani più sereno.
È peraltro indubbio che il sequestro di persona abbia perso le sue caratteristiche di reato proprio della cultura agro-pastorale nella quale, per suo tramite, in passato si reperivano i capitali necessari per garantire la difesa di un proprio congiunto impegnato in procedimenti penali o, nel caso dei latitanti, si garantiva un reddito ed un sostentamento economico alla famiglia.
Oggi i capitali ottenuti attraverso i reati più gravi, tra cui il sequestro di persona, servono per finanziare il mercato del riciclaggio, il traffico internazionale di armi e di droga, gli investimenti immobiliari e commerciali, con trasferimenti di forti capitali verso i cosiddetti centri del benessere, individuati nelle zone costiere ove vengono investiti per accaparrare terreni o attività commerciali ed industriali.
Lo stato di disagio generale creato in Sardegna sotto l'aspetto occupazionale dall'esercito degli oltre 320 mila disoccupati iscritti agli uffici di collocamento e dal fallimento di decine di iniziative industriali non può che favorire gli atti delittuosi.
Di fronte ad una situazione che non esito a definire drammatica, come ha reagito lo Stato?
L'unica reazione visibile è stata, negli anni, l'invio in Sardegna dei cosiddetti corpi speciali: negli anni sessanta-settanta giunsero i «baschi blu», giovani agenti di polizia addestrati per fronteggiare sommosse di piazza e completamente all'oscuro della cultura e delle tradizioni del territorio sardo, rivelatisi un vero e clamoroso fallimento; oggi, in occasione del sequestro di Silvia Melis, sono giunti in Sardegna una cinquantina di carabinieri paracadutisti, addestrati al pattugliamento ed alle perlustrazioni - come hanno ampiamente dimostrato in Bosnia - ma assolutamente estranei alla realtà dei sequestri che, nella fase successiva al prelievo dell'ostaggio, passa nella fase investigativa.
Nel contempo è stata limitata la presenza e la funzione dei presìdi locali, che nei piccoli centri sono rappresentati dalle stazioni dei carabinieri con un maresciallo ed un appuntato, che sanno tutto di tutti e che nel passato, sentendosi ampiamente responsabilizzati, hanno molto contribuito alla soluzione di gravi episodi di banditismo.
L'attribuzione di compiti non proprio istituzionali, quali il pattugliamento delle
strade per l'applicazione del codice della strada, hanno distolto forze vitali dal controllo del territorio e delle persone, per cui il malavitoso può allontanarsi anche per giorni dal proprio paese senza che nessuno se ne accorga.
Inoltre, la legge sul blocco dei beni, rimedio ultimo per cercare di fare terra bruciata intorno ai banditi, si sta rivelando un autentico boomerang. I familiari del rapito sono costretti a rivolgersi a troppe persone e spesso finiscono addirittura nelle mani dei «cravattari». Si bloccano i beni della famiglia, già duramente colpita, ma si esita quando si tratta di attuare leggi particolari che permettono verifiche patrimoniali e fiscali sulle persone e sulle famiglie sospette di operare nel mondo della malavita, che improvvisamente sembrano essere state baciate dalla fortuna e che riescono ad operare con ingenti capitali nel settore immobiliare e commerciale. Eppure si sa che i patrimoni grandi e piccoli non si costituiscono né in un mese né in un anno.
Lo Stato è dunque chiamato, al di là dell'emotività che segue ad ogni evento drammatico, ad essere sempre presente sul territorio con uomini e mezzi adeguati alle necessità, evitando gli interventi di facciata che possono colpire la fantasia ma non raggiungono risultati concreti.
Il controllo continuo del territorio, il rafforzamento dei presidi locali con contingenti fissi, l'apertura delle caserme dei carabinieri, oggi spesso contattabili solo attraverso il telefono, la costituzione di un pool di investigatori per i soli sequestri, come richiesto con insistenza dai dirigenti delle questure locali, le indagini patrimoniali e finanziarie, l'inasprimento delle pene per chi si macchia del reato di sequestro di persona ed in particolare del sequestro di una giovane donna sono, a mio parere, gli atti che il Governo deve adottare con tempestività per minare alle radici la malavita sarda.
Sono questi i provvedimenti che vengono sollecitati dalla intera popolazione sarda che in questi giorni, come già in occasione di altri sequestri come quelli Kassam, Vinci, Licheri, Checchi, si è mobilitata scendendo in piazza per confermare che la cultura della «balentia» e del «balente» non trova più proseliti in Sardegna e nella stessa Barbagia che la originò e la cullò in assenza dello Stato.
Questa mobilitazione dimostra anche che il sequestro di persona non è più accettato come una calamità cui si è costretti ad assoggettarsi e che la gente è pronta a dare il proprio contributo perché esso venga cancellato dalla storia. Si richiede, quindi, che lo Stato intervenga attuando tutte le iniziative che possano dare a chi è impegnato nella lotta ai sequestri ed ai reati di più eclatante gravità i mezzi necessari, anche attraverso la riduzione delle risorse destinate alla rottamazione targata FIAT. Deve essere ridata fiducia e serenità alle popolazioni di un'isola che chiede solo il rispetto della persona, della libertà personale e della serenità da assicurare attraverso il lavoro.
Silvia, ci sei sempre nel cuore, ci auguriamo di vederti presto libera (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)!
Non credo sia questa la sede per esprimere le emozioni che avvertono i cittadini sardi, e spero non solo loro, in merito a un dramma che è in corso e per esprimere il turbamento di tutti noi che non possiamo non essere colpiti dal permanere di un fenomeno che investe la Sardegna. Si tratta di una vera e propria malattia che ogni tanto pensiamo sia stata rimossa e sia da archiviare fra le cose del passato. Infatti in queste circostanze si pongono in maniera drammatica degli interrogativi sul futuro della Sardegna.
Siamo qui per esprimere giudizi ed avanzare proposte che non siano condizionate emotivamente dal dramma che in questo momento impegna i sentimenti di
una famiglia, di una comunità, di una donna, siamo qui per esprimere un giudizio ed auspicare un confronto sul fenomeno criminale specifico, su una patologia grave del tessuto della nostra unità nazionale per cercare di comprendere a fondo quali siano le ragioni che rendono possibile tale patologia.
Anche i più distratti e superficiali tra gli osservatori non possono non cogliere il fatto peculiare che il sequestro di persona in Sardegna, rispetto al più generale codice della criminologia e all'interno del più generale capitolo del sequestro di persona, è un reato tipico di una serie di comportamenti criminali, oggetto di attento studio non solo da parte delle Commissioni parlamentari ma anche da parte di esperti, reato che ha un andamento ciclico che accentua la sua peculiarità. Esso inoltre investe un'area circoscritta del territorio nazionale e presenta una modalità di esecuzione che è diventata una caratteristica peculiare. Il sequestro di persona interessa un'area geografica del nostro paese assolutamente ristretta, la Barbagia, con un teatro esterno, il cosiddetto polo esterno del sequestro, che è molto più esteso. Il prelievo degli ostaggi avviene nelle città, nelle realtà urbane, lungo le coste che sono i siti della Sardegna dove è più forte l'insistenza di cittadini a reddito più elevato. Il polo interno del sequestro di persona, invece, si consuma sempre in un'area circoscritta, quella delle campagne della Barbagia, una regione piccolissima rispetto al territorio nazionale.
Il divario fra l'entità circoscritta del territorio nel quale si consuma il sequestro di persona e la portata generale di questo fenomeno criminale rispetto al tessuto nazionale rappresenta anch'esso un elemento assolutamente caratteristico.
Dagli atti giudiziari emerge che la pietra angolare attorno alla quale ruota il sequestro di persona si trova nell'ambito del polo interno, di quel teatro circoscritto che è segnato non solo dalla orografia del tutto particolare di questo territorio ma anche dalla organizzazione sociale, dalla sua cultura, dal contesto economico nel quale si svolge, dal ripetersi di modalità costanti, dalla organizzazione dei sequestratori segnata sempre dal ripetersi delle figure amicali e parentali del tutto occasionali, non ripetitive da un sequestro all'altro (al massimo ripetitive per due o tre sequestri), assolutamente differente dal comportamento criminale che si verifica in altre realtà, dalla costante figura del latitante come elemento inossidabile nella storia del sequestro di persona in Sardegna. Naturalmente il rapporto con il contesto nel quale si verifica il sequestro di persona ha la sua importanza perché è un contesto non solo orografico, non solo fatto di isolamento della vita di pastori che hanno con la comunità e le proprie famiglie contatti rarefatti, direi desueti per la vita dei nostri tempi, ma è costituito ancora dalla permanenza di un'economia fondamentalmente imperniata sul comparto agropastorale. Mi riferisco non tanto al dato quantitativo di questo tipo di economia rispetto a quella generale della regione sarda, quanto al fatto che l'economia pastorale dal punto di vista culturale ha ancora un potere di dominanza nei comportamenti non solo degli addetti al settore, ma anche dei discendenti delle comunità che vivono in quei paesi.
Si è stabilito un rapporto circolare tra il contesto economico-sociale e il fenomeno del sequestro di persona; naturalmente ciò vale per tutti i reati, i quali hanno una forte caratterizzazione e specialità con riferimento al tessuto economico e sociale nel quale si verificano. Nello specifico della Sardegna centrale, questo rapporto segna profondamente le caratteristiche del reato.
L'economia pastorale, con i suoi ritmi, la sua storia, la sua cultura, i valori ancora dominanti ed i miti ancora presenti, segna profondamente il fenomeno del sequestro di persona; ma quest'ultimo segna a sua volta la comunità, le sue ambizioni di cambiamento. Il rapporto è circolare, ma non per questo statico; sicuramente in questi anni sono intervenute profonde modificazioni nel fenomeno del sequestro di persona ed anche nel contesto in cui insiste questo reato così
spregevole, grave e portatore di allarme sociale in una comunità che per altri versi è tutta protesa nel tentativo di uscire da una storia di sottosviluppo, verso le prospettive di cambiamento sostanziale della qualità della vita nonché nell'ambizione di ottenere un diritto di cittadinanza che oggi sente ancora denegato.
Sono cambiati, per alcuni aspetti, i comportamenti dei delinquenti ed è cambiato, come dicevo, il teatro esterno del prelievo degli ostaggi. Sono venuti meno gli ammortizzatori sociali, cioè alcuni regolatori di comunità che nell'economia più tipicamente pastorale del passato avevano un ruolo decisivo nell'ordinare anche i comportamenti criminali. Il conflitto tra il vecchio mito di un popolo guerriero che ha segnato la storia dei pastori in Sardegna ed i nuovi modelli di comportamento che un processo di progressiva omologazione ed acculturazione di una società, tutta vissuta all'interno dei cicli dell'informazione passivamente subita, pone una generazione al centro di un fenomeno di deviazione e di accompagnamento dell'evento criminale.
Credo che il Parlamento debba avere presente la specificità del sequestro di persona ma anche quella, che è maggiore, del comportamento con cui le comunità - nella vita sofferta di questi tempi - accompagnano gli episodi di cui stiamo parlando. Esiste - ripeto - un conflitto tra il vecchio mito del popolo guerriero e quello nuovo della società del benessere, del consumo, dell'arricchimento facile; un conflitto che si incardina su una generazione di giovani disoccupati.
I dati della disoccupazione giovanile nell'area circoscritta in cui insiste il fenomeno del sequestro di persona parlano di percentuali altissime. Non esiste un nesso diretto tra la condizione sociale di disoccupazione o di povertà e quella della deviazione criminale: chi lo sostiene nega un'evidenza. Noi sappiamo dagli atti processuali che altra e più complessa è l'origine di questo fenomeno; ma nessuno può negare che esiste un terreno di coltura rappresentato da giovani che trascorrono le loro giornate nei bar, non più disponibili a seguire il modello professionale paterno di pastore - che è ingrato, non remunerativo, non più al passo con il nuovo mito della società dei consumi - e che nutrono insieme l'aspirazione di essere interpreti di un modello forte di violenza recitato secondo il linguaggio ed il codice vissuti nella propria famiglia e nel proprio ambiente comunitario.
Da questo terreno di coltura nasce il fenomeno di un nuovo sequestro di persona, vissuto con più violenza, con assoluto dispregio delle regole elementari che avevano segnato in prevalenza i comportamenti criminali all'epoca di un banditismo ambientato in una storia diversa. Tutti questi comportamenti sono riconducibili ad una serie di attenzioni che si ricevono nell'ambiente in cui si vive, nel quale esiste ancora non già l'omertà, che aveva segnato il passato, ma l'indifferenza, la paura o il rifiuto di rendersi partecipi di un momento reattivo rispetto a questo fenomeno. Non si potrebbe spiegare diversamente come sia possibile che in una comunità così ristretta sia praticabile il sequestro di persona, che impegna spesso anche dieci operatori criminali, in un ambiente nel quale ci si conosce, in campagne nelle quali l'attraversamento con l'ostaggio non passa nel silenzio e nell'indifferenza di chi assiste.
Esiste un patrimonio di sfiducia nei confronti delle istituzioni dello Stato, un antico retaggio di sfiducia nei confronti di una giustizia che si intende denegata, a fronte di un'amministrazione dello Stato che non riesce a sostituire neppure i pretori, che lascia i tribunali di Nuoro e di Lanusei affidati a chi volontariamente regge in condizioni disperate l'esercizio di una giustizia che viene considerata sempre più distante dai cittadini, oppure all'esperienza di giudici che hanno bisogno di gloria e quindi vanno nei tribunali delle periferie per cercare motivi di più facile visibilità esterna e di minore attenzione all'amministrazione della giustizia ordinaria. E ancora: nei processi di perequazione, di razionalizzazione, si trova il modo di allineare ai parametri giustamente indicati dall'amministrazione centrale
dello Stato una regione la cui densità demografica è tale per cui il diritto di cittadinanza di chi vive nei piccoli comuni viene sostanzialmente negato. Viene proposta, per esempio, l'eliminazione della scuola, l'unico centro di educazione della comunità; viene individuata l'abolizione di quelle poche infrastrutture perché non più rispondenti ai criteri di efficienza. In cambio di questo vi è una progressiva disattenzione rispetto alle vecchie ambizioni che anche la politica del meridionalismo sano nel nostro paese aveva individuato come possibili ed un'attenzione del Parlamento, del Governo, verso esigenze più mature di una società che è cresciuta, che ha problemi di cittadinanza in altre parti del paese originati in modo assolutamente diverso.
In queste condizioni di sfiducia, di denegata giustizia, nasce e cresce un fenomeno, come quello del sequestro di persona, che ogni tanto pensiamo archiviato, ma che sussiste perché permane il tessuto all'interno del quale questo reato viene consumato. Il sequestro è causa di per sé di un ritardo di sviluppo; si inseguono nel ruolo di causa ed effetto il sottosviluppo e la criminalità tradizionale. È possibile apportare cambiamenti importanti; io non credo che il sequestro di persona risponda, come alcuni sostengono, ad un processo di ammodernamento, per così dire, ai canoni della criminalità urbana, al traffico della droga, al commercio degli stupefacenti, a tutti quei reati che caratterizzano la criminalità moderna. Certamente, nella fase finale del riciclaggio, è facile comprendere che esistono punti di connessione tra il riciclaggio del denaro dei sequestri, il traffico di stupefacenti e tutte le altre forme di criminalità che danno facili guadagni. Ma le caratteristiche che segnano nel profondo la peculiarità di questo reato rimangono immutate, sono nella storia della Sardegna una costante indelebile, rispetto alla quale tutte le ragioni indicate negli anni passati rimangono ancora inesplorate.
Occorre pensare - lo diciamo da sempre ed abbiamo il dovere di ripeterlo - che il reato del sequestro di persona si combatte con la repressione e siamo convinti che la repressione in campo sia insufficiente. Nei giorni scorsi ho detto, e voglio ripeterlo anche oggi, che appare del tutto incomprensibile che un numero esiguo di latitanti, che peraltro sono l'anello essenziale perché possa esistere un sequestro di persona, in una realtà così circoscritta possa rimanere tale per anni, se non per un'insufficienza grave da parte dei corpi di polizia, che non utilizzano nei confronti dei latitanti stessi tutti gli strumenti che le moderne tecnologie, la disponibilità «mercantile» che in qualche misura è sempre stata presente anche in questo mondo può offrire per superare questo aspetto. Al fondo rimane necessariamente il problema del buon funzionamento della pubblica amministrazione, da quella giudiziaria a quella della pubblica sicurezza, della scuola, dei comuni, della regione, come hanno ribadito i colleghi. Si devono incentivare modelli di comportamento, valori di riferimento che siano alternativi rispetto a quelli della violenza, perché la forza e la prepotenza vengano sostituite dalla giustizia. Bisogna assecondare nella cultura di questa comunità il valore della giustizia, la coscienza della pace, l'importanza della comunicazione, la necessità di rompere l'isolamento, la fiducia nell'istituzione che si fa carico di tutti.
Credo, signor Presidente, che questa sia la strada da indicare al Governo. Tuttavia non riusciremo - e da parte di un sardo sarebbe ipocrita affermarlo - ad esorcizzare il demone della violenza se non saremo capaci - noi sardi - di assumerci per intero in prima persona le nostre responsabilità individuali. Credo che ciò spetti ai cittadini sardi, ai parlamentari sardi, ai rappresentanti della comunità regionale sarda, che hanno nuovi doveri rispetto ai vecchi problemi della nostra isola.
È dunque giusto, secondo me, che la discussione, non rituale, non sia fine a se stessa ma finalizzata ad approfondire la realtà per dare al Governo gli opportuni consigli e le istruzioni circa il modo di comportarsi di fronte al ripetersi delle emergenze criminali nella nostra isola.
Vorrei sottolineare il fatto che è positivo che la Camera, in un periodo di particolare difficoltà politica del paese, abbia trovato un ritaglio di tempo, assolutamente necessario, per discutere di una situazione che in Sardegna viene vissuta in maniera drammatica; ciò è importante non solo sul piano morale ma anche su quello sociale, poiché la questione presenta grossi interrogativi circa le prospettive di sviluppo della nostra isola.
Mi sia consentito, all'inizio del mio intervento, rinnovare innanzitutto la solidarietà del gruppo di alleanza nazionale, ma ritengo anche di tutto il Parlamento, nei confronti della vittima del più recente sequestro di persona, la signora Silvia Melis, e dei suoi familiari, che in questi giorni vivono ore di ansia e di angoscia; vicenda che ci coinvolge tutti ed alla quale tutti noi, da liberi cittadini di un libero paese, non dovremmo tralasciare di pensare. Colleghi, Silvia Melis sta vivendo in questo momento sulla sua pelle una violenza morale e fisica di inaudita gravità; sta vivendo la negazione della libertà e della dignità umana ed è verosimilmente sottoposta a sevizie che possono essere riprodotte soltanto nei film e che soltanto i lettori di certi libri possono immaginare.
Ciò che negli anni passati le vittime dei sequestri di persona hanno subito e che in parte sono riusciti a raccontare ci offre lo spaccato di una violenza immane, di una tragedia che si perpetua nel tempo, di un'avventura disumana, al limite della sopportabilità, che certamente non potrà essere più cancellata nella storia di una persona. Chi vive un sequestro di persona come vittima ne rimane toccato per sempre ed è certamente difficile immaginare esperienza più sgradevole e più ricca di tragiche conseguenze. Ecco perché il dibattito di questa mattina non è rituale, anche perché da questa Camera e dal Parlamento italiano, per quello che può servire, possa arrivare un messaggio forte di solidarietà e di condivisione della pena della famiglia Melis; una pena che, peraltro, non viene vissuta in solitudine da quella famiglia, cui è già pervenuta la toccante solidarietà delle popolazione dell'Ogliastra e di tutti i sardi, che si è ripetutamente espressa con pubbliche attestazioni di stima e con grandi manifestazioni di piazza che hanno visto coinvolti migliaia e migliaia di cittadini.
Ed ecco, cari amici, il primo degli aspetti che vorrei sottolineare, ossia il fatto che la risposta della Sardegna a questo tragico evento è stata una reazione popolare di grande mobilitazione morale, di grande partecipazione spirituale, un rimboccarsi le maniche per cercare di fare qualcosa. Questo è il primo dato positivo di una vicenda ricca di elementi tragici. Ci può far ben sperare, signor rappresentante del Governo, il fatto che già in altre occasioni, in quei pochi sequestri di persona che si sono conclusi con la liberazione dell'ostaggio da parte delle forze dell'ordine al buon fine della vicenda di quel sequestrato sia stata indispensabile l'attiva collaborazione delle popolazioni. Pensiamo a sequestri che hanno avuto termine con l'arresto o con la morte dei sequestratori grazie alla collaborazione stretta tra le popolazioni, alla mobilitazione vera di esse.
Ed allora se esiste anche nel sequestro Melis, attualmente in atto, la possibilità di coinvolgere le popolazioni nelle ricerche, questa strada deve essere senz'altro perseguita, signor rappresentante del Governo. Si mobilitino le forze dei cosiddetti barracelli, che è un'istituzione tipicamente sarda, una figura di guardia campestre a tutela del territorio. Tale istituzione esiste solo in Sardegna ed è formata volontariamente da pastori ed agricoltori che, tra l'altro seguendo una tradizione secolare, si sono costituiti in libera associazione per la tutela delle campagne. Ebbene, ci sia una maggiore collaborazione tra le forze dell'ordine e questi volontari delle compagnie di «barracelli»; ci sia anche la mobilitazione della struttura regionale, che ha la responsabilità delle guardie del Corpo regionale delle guardie forestali: si tratta di migliaia di uomini che conoscono bene il territorio e le campagne e che conoscono bene abitanti e cose delle campagne. Anche queste forze debbono essere opportunamente mobilitate e guidate. Si deve uscire dalla logica dell'emergenza, attuando non soltanto una prevenzione sociale di cui oggi non è il caso di parlare e di cui hanno abbondantemente trattato i colleghi che mi hanno preceduto, ma una prevenzione sul territorio che eviti il protrarsi sul territorio stesso di condizioni che facilitino l'attuazione del sequestro di persona.
Per esempio, è possibile, signor rappresentante del Governo, che in cinquant'anni di lotta contro il fenomeno del sequestro di persona ancora non si sia riusciti ad elaborare una mappa aggiornata delle grotte, dei cunicoli e delle zone più impervie della Sardegna? È possibile che con tutti gli uomini che di volta in volta hanno attraversato le campagne della Sardegna nessuno abbia ritenuto opportuno redigere tale mappa? L'ostaggio in un sequestro compiuto in Sardegna, infatti, viene nascosto nelle grotte, nelle campagne; per questo è necessaria una mappa del territorio, che è uno strumento importantissimo, così come diventa importante - lo hanno ripetuto tanti colleghi cui mi associo per rafforzare il concetto che hanno espresso - il fatto che ci si debba affidare anche per le indagini, che devono essere condotte con la dovuta solerzia ma anche con la dovuta discrezione, a personale inquirente del luogo. Si deve, onorevoli colleghi, poter contare sulla collaborazione di quegli inquirenti, di quegli operatori della giustizia e servitori dello Stato (carabinieri, poliziotti, Guardia di finanza e magistrati) che conoscono bene il territorio e la mentalità degli abitanti della Sardegna. Costoro non possono non essere chiamati alle loro responsabilità ed utilizzati secondo quanto è da loro possibile ottenere.
Tre sono le questioni che in questo momento mi sembra opportuno sottolineare, sfatando innanzitutto certi luoghi comuni che infarciscono ancora la discussione intorno alla delinquenza sarda. Il primo luogo comune, accennato anche dall'onorevole Anedda, che ha portato la voce del gruppo di alleanza nazionale in questo dibattito, riguarda l'omertà. Si sostiene che il sequestro di persona sia un delitto che in Sardegna è facile da perpetuare perché il popolo delle campagne della Sardegna è omertoso. Ritengo che abbiano ragione quanti rilevano che questo non sia vero: può darsi che solo oggi non lo sia più, ma è certo che attualmente una simile affermazione non risponde a verità. Il problema è che una volta che polizia e carabinieri procedono all'interrogatorio del pastore, magari presso il suo ovile, dopo che costoro sono andati via, l'uomo rimane nella sua solitudine, in balia della delinquenza e dei criminali che controllano meglio di qualsiasi apparato delle forze dell'ordine territori immensi.
Vorrei ricordare ai colleghi che in Sardegna esistono zone dove veramente si ha la sensazione di essere in un deserto; vi sono montagne, foreste ed ambienti davvero difficili da abitare non solo per gli uomini, ma anche per certi tipi di animali (si ritiene che solo le capre vi abbiano cittadinanza), dove vige la legge del più forte e dell'obbedienza a bande o anche a soli individui criminali. Ecco, quindi, che certe volte la cosiddetta omertà, la non collaborazione, diventa
una risposta ad un legittimo istinto di sopravvivenza, perché senz'altro la forza della criminalità in quel momento è più forte di qualsiasi libertà di coscienza per il sardo. Se si vuole eliminare del tutto la piaga dell'omertà e della non collaborazione totale dei sardi, lo Stato deve assumere assolutamente il controllo del territorio.
Il Presidente della Repubblica Scàlfaro due giorni fa, in Sicilia, ha detto che in qualsiasi pezzettino del territorio in cui manca la presenza dello Stato vi è la secessione. Ebbene, noi dobbiamo lamentare il fatto che questa secessione silenziosa si è avuta molte volte in Sardegna, dove la presenza dello Stato manca non solo in pezzettini del territorio, ma dove ben più grandi porzioni di esso non hanno visto quasi mai la presenza stabile dello Stato, né attraverso la divisa dei carabinieri né mediante altre manifestazioni.
Il secondo mito che vorrei sfatare è quello che lega l'attività delinquenziale in Sardegna al sottosviluppo. Si dice che il sottosviluppo genera la delinquenza, ma io sostengo che è il contrario, che è la delinquenza a portare il sottosviluppo, come hanno ben dimostrato i piccoli imprenditori sardi, i quali coraggiosamente si sono riuniti ieri mattina a Tortolì per testimoniare la loro solidarietà alla famiglia Melis ma anche per rivendicare fortemente una presenza dello Stato che garantisca anche loro stessi. Se questi fenomeni di delinquenza continuassero, se lo Stato non facesse passi concreti per riprendere il controllo della situazione, temo, purtroppo, che le ripercussioni sarebbero molto negative sul piano dello sviluppo e delle iniziative economiche. Non si può pretendere, signor Presidente e onorevoli colleghi, che un piccolo imprenditore collochi le sue industrie in una zona in cui, oltre a dover affrontare grandi difficoltà di trasporto e ambientali, debba cimentarsi anche con fenomeni come il sequestro di persona.
Il terzo mito che vorrei sfatare è quello in cui si cullano molti parlando della diversità della delinquenza sarda rispetto agli altri tipi di delinquenza che sono tipici di molte regioni d'Italia. Si dice che la delinquenza in Sardegna non potrà mai avere uno sbocco di tipo mafioso o camorristico. Attenzione, colleghi, perché gli addetti ai lavori, i magistrati, gli inquirenti, affermano che a questo riguardo siamo già arrivati al livello di guardia, in quanto sono già stati trovati elementi della mala barbaricina in possesso di ingenti quantitativi di droga. E noi sappiamo che quando comincia a circolare la droga in tali dimensioni si va verso una stabilizzazione e una strutturazione delle organizzazioni criminali. Il riciclaggio del denaro proveniente dai sequestri può essere utilizzato per creare strutture stabili di criminalità. Questo è un sogno sul quale non ci dobbiamo più cullare; dobbiamo essere coerenti in questo senso.
Queste, colleghi, sono le considerazioni che intendevamo sottoporre alla vostra attenzione. Si parla di recrudescenza; ogni tanto siamo vittime di questo termine, ma purtroppo sappiamo benissimo che non si tratta di fenomeni di recrudescenza, ma di manifestazioni tipiche di una situazione endemica, che non conosce soluzione di continuità, che è legata al mondo delinquenziale barbaricino (e non solo barbaricino, per la verità), che qualche volta si sostanzia in episodi eclatanti ma che vive giorno per giorno di atti quali l'abigeato, anch'esso endemico in Sardegna.
Gli attentati ai comuni e ai pubblici amministratori, gli assalti ai furgoni postali e alle banche, che sono stati qui richiamati, rappresentano una situazione in cui, al di là della gravità del reato di sequestro di persona, lo Stato spesso ha fatto marcia indietro. Noi riteniamo, signor sottosegretario, che lo Stato nel suo complesso abbia un debito storico da pagare alla Sardegna. L'isola non è ancora riuscita ad avere giustizia per quanto riguarda la continuità territoriale ed i collegamenti, essenziali in una civiltà moderna. Osserviamo con invidia che altre nazioni d'Europa hanno ben risolto questi problemi...
Sono ben 181 le persone sequestrate in Sardegna negli ultimi 36 anni e molte, troppe, non sono più tornate in libertà, dai loro cari. Chi ha avuto questa fortuna ha comunque avuto una vita segnata. È un'assurdità che in 36 anni non si sia riusciti a debellare questo triste fenomeno, che purtroppo va sempre più caratterizzando la Sardegna. È questa un'ingiustizia in più, giacché non può essere che un manipolo di delinquenti, un branco di sfaccendati assassini, oltre a compiere un odioso ed efferato delitto sulla persona e sui suoi familiari, riesca anche a tenere in scacco una regione e lo Stato e faccia pagare un prezzo altissimo ad un intero popolo di gente seria, laboriosa ed onesta. Tutte le popolazioni della Sardegna, in particolare quelle dell'Ogliastra, sono da giorni e giorni in stato di allarme, permanentemente mobilitate per testimoniare solidarietà umana a Silvia Melis e ai suoi cari e per promuovere, con straordinario vigore, una rinnovata coscienza ed un mutamento culturale e sociale delle comunità ambientali che crei l'isolamento di questi criminali, ma soprattutto per chiedere alla regione e allo Stato qualcosa di più del viso mesto e triste che il presidente Palomba porta stancamente alle cerimonie pubbliche, o del placido aplomb che il ministro dell'interno in carica osa dimostrare di fronte agli eventi più sconvolgenti.
Fanno certo onore alla Sardegna le innumerevoli, non rituali ma intense iniziative che popolo e istituzioni all'unisono stanno mettendo in campo. Davvero si avverte una vigorosa sollevazione delle coscienze. Oggi in Sardegna singolarmente e collettivamente ci si interroga senza reticenze sul colpevole silenzio che consolida il muro di omertà che ha finora protetto questi criminali; sulle responsabilità remote e recenti di chi ha protetto questi ladri di uomini; sulle omissioni della società e delle istituzioni; sui pesi enormi che, specie sul piano educativo, gravano oggi sulla donna, che non può certo essere additata come la silenziosa responsabile.
I sardi e le popolazioni sarde fanno oggi, di fronte all'intera nazione e all'opinione pubblica più vasta, il loro esame di coscienza, fino in fondo, e con piena consapevolezza e determinazione gridano pacificamente «ora basta». Questo atteggiamento dei sardi che, almeno per le dimensioni e la profondità che dimostra, è certamente nuovo e promettente, se è vero che isola di fatto criminali e sequestratori, prosciugando il loro ambiente di vita, inchioda anche lo Stato alle sue storiche responsabilità, alle sue colpevoli inadempienze, al vile tradimento delle sue ripetute e vacue promesse.
La latitanza dello Stato in tutti questi anni in terra di Sardegna è la vera ragione del mancato stroncamento del fenomeno sequestri. Gli errori commessi a livello legislativo, anche ultimamente, con il blocco dei beni di famiglia e l'incriminazione degli emissari, l'inefficiente coordinamento investigativo, l'inefficace gestione
dei servizi di prevenzione e di controllo del territorio, l'abbandono dell'idea della costituzione di un nucleo giudiziario unitario per la lotta organizzata e continua contro i sequestratori e contro i latitanti sono tutti elementi aggiuntivi che spiegano abbondantemente e non da oggi il fallimento della tradizionale politica del Ministero dell'interno contro la criminalità isolana, politica che pare tra l'altro privilegiare le iniziative di immagine (ho detto «senza veli di parata»).
Le diverse analisi socio-economiche o culturali-ambientali hanno sviscerato il problema in tutti i suoi aspetti e fornito tutte le indicazioni risolutive; attardarsi ancora su di esse è fuorviante e può solo far perdere altro tempo. È sul piano operativo e dell'iniziativa politica che si notano le macroscopiche carenze, del resto richiamate esplicitamente o in maniera sottintesa da tutte le mozioni presentate dai diversi gruppi politici che oggi qui stiamo discutendo, oltre che nella proposta di legge di iniziativa del nostro gruppo. Anche le proposte e le richieste che impegnano il Governo sono pressoché unanimi: l'intensificazione e l'estensione delle misure di prevenzione; il potenziamento e la continuità dell'azione investigativa; la presenza stabile di forze militari sul territorio; l'utilizzo di magistrati e personale investigativo e di polizia veramente esperti dell'ambiente e della cultura del mondo sardo; l'impiego di tutte le risorse disponibili e utilizzabili a livello nazionale e regionale per un massiccio piano per alleviare la disoccupazione, che ha raggiunto livelli inauditi specie tra i giovani e le donne. Tutti sappiamo che il sequestro è prima effetto e poi a sua volta causa di disoccupazione ed è su questo terreno che può e deve essere battuto.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi auguro che il senso di responsabilità di questo Parlamento e il senso del dovere morale e dell'impegno operativo del Governo e della regione Sardegna siano all'altezza dell'alto senso umano e civile dimostrato dal popolo sardo in questi giorni. Esso attende e merita una risposta concreta e immediata, non tollererebbe ulteriori inerzie, altre delusioni (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Si parlava della storia dei sequestri e si diceva che in Sardegna nel passato almeno c'era il rispetto delle donne e dei bambini. Quest'oggi, invece, dopo alcuni anni segnaliamo questa escalation, questa non più pietà, questa non più «balentia», come la chiamiamo da noi, ma questa vigliaccheria, questo oltraggio prima a se stessi che agli altri, se veramente sono dei sardi, se veramente hanno quell'orgoglio e quel sangue che riempie anche le nostre vene. Solo chi è nato in una certa zona e può aver respirato una certa educazione può capire dove stanno sbagliando e può capire quale oltraggio stanno facendo subire ai propri parenti, ai cittadini della propria terra.
Voglio solo ricordare che ormai il sequestro di persona è diventato un'etichetta terribile, pesantissima per la Sardegna: Sardegna uguale pecore, uguale sequestri. Negli ultimi anni - ahimè! - anche orecchio mozzato!
Ho sempre stimato il vignettista Forattini, ma questi non sa quale dolore ha procurato disegnando un giorno l'orecchio mozzato come simbolo della Sardegna. Questo simbolo è diventato una delle cose più oltraggiose e più denigratorie per la nostra Sardegna.
Condivido tutte le analisi fatte dai colleghi e quindi non leggerò l'intervento che avevo minuziosamente preparato ieri sera. Parlerò con il cuore ed esprimerò l'emozione che provo in questo momento. Qui si è parlato di malfunzionamento della giustizia, di vuoti degli organici, vuoti che sono vergognosi e credo che coloro che ci hanno ascoltato - mi riferisco soprattutto ai colleghi di altre regioni - siano rimasti inorriditi. Si è parlato dell'abbandono di numerose sedi giudiziarie; si è urlato: allarme, allarme! Ma anche il poco di esistente in Sardegna viene eliminato. Si è parlato di una presenza non qualificata sul territorio, di una mancanza di tutela degli amministratori. Molti parlamentari qui presenti sono stati amministratori; ebbene vorrei sapere da loro se abbiano mai vissuto ciò che gli amministratori hanno vissuto in Sardegna, dove la frase più ripetuta è: «La bomba è più veloce del TAR», e dove ormai non c'è più rispetto, la gente non vede più lo Stato e arriva ad un punto tale di disperazione da pensare di farsi giustizia da sé.
Si è parlato di dispersione scolastica. Una delle direttrici sulle quali dobbiamo muoverci è la cultura, per cercare di salvare soprattutto quella cultura sarda che è contro questo tipo di violenza.
Si è anche parlato di malavitosi in libertà. Ma forse abbiamo sottolineato troppo poco un aspetto: come possiamo continuare a parlare di inviare forze, di mobilitare l'esercito, carabinieri e polizia quando ancora oggi ci sono decine di malavitosi in giro per la Sardegna che possono compiere e portare avanti qualsiasi tipo di sequestro?
Chiedo quindi al ministro, al Governo, di fare un'indagine conoscitiva, un'indagine che non è sfuggita ai più grossi osservatori del fenomeno malavitoso e di cui tuttavia non si è tenuto conto. Si è valutato il legame che c'è tra l'ondata di sequestri e l'aumento della crisi economica? Voglio ricordare che in Sardegna siamo arrivati a 300 mila disoccupati a fronte di un milione e 200 mila abitanti. Si tratta di giovani e non giovani, di famiglie che sono alla fame!
Avete mai notato che vi è stata una recrudescenza dei sequestri non appena si è colpito un altro tipo di delitto? Poc'anzi un collega ha ricordato che vi è stato un fortissimo aumento del numero degli assalti ai furgoni porta valori e alle banche, e non appena questo fenomeno si è ridotto grazie agli interventi preventivi e repressivi, sono tornati i sequestri.
Forse a taluni è sfuggito, ma non certo ai più attenti osservatori, un fatto che guarda caso coincide con l'episodio del sequestro di Silvia; non appena si aprono nuovi processi ecco che si perpetuano nuovi sequestri. Ciò fa pensare quasi che i parenti degli imputati; per poter pagare gli altissimi costi dei processi, possano arrivare anche a questo.
Sono mille le considerazioni che possono essere fatte, ma c'è un punto di cui dobbiamo prendere atto. Oggi c'è una giovane madre sequestrata; non voglio pensare che possa subire delle violenze. Chiedo al Governo di non mandare parate di poliziotti o l'esercito, ma di intervenire con una intelligence, di mobilitare forze capaci dando loro idonei strumenti. L'ultima legge, la n. 82 del 1991, quella che tutti avevano indicato come una legge risolutiva, di fatto ha evidenziato soltanto una cosa: i tempi dei sequestri si sono allungati ed il sequestro dei beni, come taluni hanno sottolineato qui stamane, è soltanto un aiuto insperato per i sequestratori.
È l'ennesima violenza che subiscono i parenti.
Si è parlato in quest'aula anche del problema degli emissari: vorrei sapere come potranno le famiglie trovare un'interfaccia per dialogare con i sequestratori, se l'emissario viene ormai considerato alla stregua di un delinquente.
Vedo che il Presidente mi chiede di concludere e sento il dovere di farlo con un appello.
Per il secondo anno consecutivo - lo ricordava poc'anzi il collega Marras - sull'8 marzo delle donne della mia terra aleggia l'ombra triste di un sequestro. Per il secondo anno consecutivo la gente scende in piazza per chiedere la liberazione di un ostaggio. L'anno scorso la signora Vanna Licheri, oggi Silvia Melis.
Signori rappresentanti del Governo, colleghi, la signora Vanna Licheri, e non solo lei purtroppo, non è mai tornata a casa.
Vanna e Silvia: due donne appartenenti a generazioni diverse, ma simili per ciò che rappresentano, un nuovo modo di essere della presenza femminile in Sardegna, nel lavoro, nella vita pubblica. Vanna, imprenditrice che si alza all'alba per seguire la sua azienda. Silvia, una donna madre che, finiti gli studi, ha aperto un ufficio di consulenza, presidente di un gruppo sportivo.
Il sequestro è, innanzitutto, un'offesa intollerabile per chi lo subisce (anche questo è stato detto stamattina e ne sono state ricordate la violenza fisica e psicologica), ma è anche un oltraggio al popolo sardo: apre una ferita che ci umilia.
Il sequestro non nasce dal bisogno, come abbiamo scritto nella mozione. Il disagio economico e sociale non spiega, non può essere assunto ad elemento di lettura di questo odioso crimine che vede protagonisti un manipolo di delinquenti che perseguono l'obiettivo dell'ulteriore arricchimento. Qualcuno ha detto che il sequestrato è un bancomat per avere soldi in modo facile e rapido.
Non nasce dal bisogno, ma nel bisogno trova terreno fertile e complicità, trova la disponibilità della manovalanza che si forma in queste aree di grande disagio economico e di degrado sociale.
C'è tra la gente e nei giovani una reazione indignata come non mai che viene dalla consapevolezza che questo odioso crimine ci ricaccia indietro, uccide la speranza di ripresa, di sviluppo e di lavoro per la nostra regione, allontana risorse umane e finanziarie.
Cosa chiediamo? Questa indignazione, questa domanda di sicurezza non può essere disattesa, non può diventare rassegnazione. È compito delle istituzioni e dello Stato imprimere una vera e propria svolta nell'affrontare il fenomeno per conseguire al più presto risultati concreti.
Cosa chiediamo al Governo e allo Stato? Che si debba uscire, innanzitutto, dall'approccio emergenziale e frammentario e puntare sull'intervento ordinario e sistematico.
Chiediamo un più ampio e coordinato impiego delle forze dell'ordine sul territorio; un territorio vastissimo e spopolato facilita l'azione dei criminali. L'azione di prevenzione e di repressione devono essere decisive. Per questo sono necessari adeguati e qualificati organici della magistratura e delle forze dell'ordine, impiego di personale specializzato, moderni strumenti investigativi, piani antisequestro.
Come molti hanno già detto, sono convinta che il problema dei sequestri non possa essere affrontato solo come questione di ordine pubblico. Il vero presidio del territorio non possono che essere le stesse popolazioni. Bisogna incidere sulle condizioni culturali e materiali delle zone a rischio.
La comunità sarda vanta sempre più tristi primati: il 20 per cento in più rispetto alla media nazionale per quanto riguarda la disoccupazione; il 4 per cento in meno per quanto riguarda lo sviluppo industriale; dati record rispetto a quelli nazionali per quanto riguarda dispersione e mortalità scolastica.
La Sardegna si sente abbandonata dallo Stato che, in nome del risanamento dei conti pubblici, si vede obbligato nella direzione dello smantellamento di servizi essenziali quali caserme, preture, presidi sanitari, trasporti, scuole che, oltre ad offrire sicurezza ai cittadini e tutela del territorio, rappresentano la presenza basilare dello Stato.
Ho sentito recentemente la necessità di richiamare l'attenzione del ministro Berlinguer sulle conseguenze di ordine sociale e culturale contenute nel decreto interministeriale del 20 gennaio 1997 per gli effetti che queste ipotesi potrebbero avere nella nostra regione. Mi riferisco alla razionalizzazione della rete scolastica. In molti comuni della Sardegna la scuola è l'unica struttura culturale che opera in alternativa a luoghi di consumo e di aggregazione generici come il bar e la piazza ed è quindi strumento di prevenzione delle devianze, è luogo di formazione di modelli positivi di cittadinanza. Davanti al rischio della soppressione di una scuola, considerata solo in termini di convenienza economica, devono porsi scelte più qualificanti e coraggiose. Sviluppo produttivo, infrastrutture, servizi, qualità della scuola e dell'università, riforma della formazione professionale, patti di sviluppo territoriale penso siano le risposte per creare le condizioni per estirpare un reato infamante come quello del sequestro.
Soggetti diversi - Stato, regione ed enti locali - debbono agire insieme su terreni diversi: quello economico, quello sociale e quello culturale. Parimenti sono convinta - lo ribadiva con forza l'onorevole Soro - che il nostro futuro è innanzitutto, comunque, nelle nostre mani e che noi per primi siamo chiamati a fare la nostra parte affinché al parassitismo, all'assistenzialismo, alla violenza, si contrappongano il riconoscimento dell'operosità, dello spirito di iniziativa, l'acquisizione di competenze e di professionalità, la solidarietà. Sono questi i valori fondamentali, io penso, per l'affermazione di una Sardegna civile e moderna, con una forte idea della sua identità e dell'autogoverno.
Però oggi è importante agire subito perché Silvia sia liberata al più presto. Per questo chiediamo nella nostra mozione che vengano riconsiderate le disposizioni sul blocco dei beni patrimoniali dei familiari, delle persone sequestrate. Prese di posizione autorevoli - magistratura sarda, avvocatura, università, la cultura della mia terra - hanno manifestato condanna per la negatività e l'inefficacia di queste norme che aumentano la difficoltà a reperire il denaro, inducendo a farlo in maniera clandestina, mettono a rischio le persone che aiutano la famiglia, che corrono il pericolo di essere coinvolte penalmente, e che - fatto ancor più grave - comportano un allungamento dei tempi del sequestro.
Proprio questo aspetto ci porta a chiedere al ministro e ai rappresentanti del Governo oggi presenti in aula un intervento in questa direzione perché Silvia possa stringere al più presto tra le braccia il suo bambino; perché una figlia sia restituita alla sua famiglia; perché possa tornare alla sua comunità; perché gli uomini e le donne onesti della mia terra possano sperare.
Ringrazio sin da oggi i rappresentanti del Governo e i ministri per ciò che metteranno in campo affinché al più presto questo odioso crimine abbia una conclusione positiva.
Ringrazio ancora il Presidente della Camera per averci dato l'opportunità di sensibilizzare il paese su questo dramma che affligge la comunità sarda attraverso l'espressione delle nostre richieste in questa autorevolissima sede (Applausi).
La banda ha colpito di nuovo: una giovane donna, la signora Silvia Melis, è stata sottratta alla sua famiglia, al suo bambino. Questa volta il luogo dell'agguato è stato Tortolì, un centro operoso della costa nuorese ed ancora una volta è iniziato il rito della prima ricerca affannosa, dell'attivazione delle fonti informative, dell'attesa della famiglia, degli interventi della magistratura per il blocco sempre inutile dei beni. Anche questa volta, pur di fronte alla forte solidarietà della gente che continua a manifestare il proprio dissenso, avrà inizio la gestione vera e propria del sequestro con le telefonate, le lettere di richiesta del riscatto e gli emissari che, correndo grossi rischi personali, andranno agli abboccamenti lungo i soliti itinerari della Barbagia e seguiranno la contrattazione e il pagamento del riscatto. Speriamo fortemente che anche Silvia Melis possa tornare a casa. Non sarà - ne sono tristemente certo - più la stessa donna e forse faticherà anche ad essere la stessa mamma poiché l'avventura vissuta sarà stata tale da non poter essere più dimenticata nell'arco di tutta una vita. Il dolore, le umiliazioni e le mortificazioni patite, le speranze tradite per una invocata e non prossima liberazione, il travaglio psicologico, spesso ad arte attivato dai malviventi, i gravi disagi della vita randagia nelle inaccessibili caverne o nell'ovile causano nell'animo e nella mente piaghe tali da rendere indelebili per sempre questi effetti.
Il sequestro di persona a scopo di estorsione continua a rinnovare i suoi effetti drammatici e dunque bisogna chiedersi quali ne siano le verosimili cause, come lo Stato nel tempo si sia attrezzato per combattere questa piaga e quali strutture esso abbia realizzato per prevenire questo odioso reato che, come nessun altro, colpisce la dignità della vittima e della comunità.
Se difficile ed onerosa è la gestione del sequestro, la cattura dell'ostaggio è, per contro, semplice, quasi elementare, solitamente scevra da rischi concreti poiché il tempo, il luogo e le circostanze più favorevoli sono strategicamente individuate dai malviventi tanto da far considerare praticamente impossibile un'azione di prevenzione da parte della pubblica sicurezza.
L'ambiente consiglia le mosse ai malviventi; l'isolamento di quei luoghi e di quelle genti la fa da padrone: sono la solitudine più o meno diffusa che caratterizza la campagna, che quindi diventa complice e rassicura il malvivente, e la mancanza di strutture, di industrie, di organizzati insediamenti agropastorali che garantiscono silenzio ed omertà. È, in sintesi, l'assenza dello Stato, ormai non più giustificabile, che favorisce il ripetersi di tale tragedia, di tante mortificazioni.
In verità, nel discutere più in generale del fenomeno delinquenziale sardo, occorre preliminarmente dire che, pur nel susseguirsi dei gravi episodi delittuosi, esiste in Sardegna una diversità rispetto alle altre regioni italiane in cui opera, con preoccupante intensità, la criminalità organizzata. Non pare, almeno finora, che abbia attecchito nell'isola una criminalità di stampo mafioso né per ora pare possibile il suo instaurarsi, anche se non bisogna abbassare la guardia.
L'individualismo, che costituisce una sicura caratteristica dei sardi, pur consentendo la costituzione di associazioni criminali che si finalizzano all'esecuzione
di un programma delinquenziale, solitamente risolve nel tempo il rapporto aggregativo, per cui è difficile che l'organizzazione - così come intesa nel fenomeno mafioso - possa realizzarsi. La criminalità in Sardegna è legata alla struttura sociale dell'isola e particolarmente alla sua economia, prevalentemente agropastorale; da ciò deriva una prima opinione per la quale la criminalità sarda risulterebbe da una sorta di reazione al contesto economico-sociale, culturale e di civiltà, da un contrasto tra l'assetto misero e primitivo della società sarda e le strutture della società moderna.
Ma tutto ciò forse era assolutamente vero un tempo. Oggi si può negare che il fenomeno sia legato ad arretratezza e miseria, seppure ormai diffusissima in varie zone dell'isola, rilevandosi che alle attività criminose partecipano persone sicuramente non arretrate né bisognose, non dedite alla vita nomade della campagna ma piuttosto alle più ordinarie occupazioni, mimetizzate tra le persone laboriose ed oneste.
Ecco dunque accadere che gruppi di malviventi si accordino per commettere furti, rapine, estorsioni e sequestri di persona, per mantenere viva l'antica piaga degli incendi, per commerciare la droga, di cui sono vittima principale i giovani, tra i quali è anche purtroppo altissimo il tasso di disoccupazione.
Quali i fattori che agevolano il diffondersi del fenomeno criminale? Già nel 1969 il Parlamento aveva istituito una Commissione d'inchiesta sui fenomeni di criminalità in Sardegna, conclusa con un'ampia e fondamentale relazione del senatore Medici nel 1972; più recentemente, una commissione speciale istituita dal consiglio regionale ha indagato sulla condizione economico-sociale della Sardegna, e segnatamente delle zone più colpite dai fenomeni di criminalità e di violenza.
A fattor comune si è concluso che le cause che agevolano il crimine sono strettamente legate a quelle fisico-geografiche, che generano forte isolamento, a quelle economiche, che determinano un basso reddito medio ed elevatissima disoccupazione, a quelle socio-culturali, in lenta ma profonda trasformazione da cui emergono l'affievolimento dei valori tradizionali della vita comunitaria, della famiglia e degli stessi valori religiosi, la conflittualità tra la scuola ufficiale e quella impropria dell'ovile, la carenza di strutture sociali, culturali e ricreative.
Oggi non è più possibile parlare di opposizione pregiudiziale all'ordinamento statuale, ormai comunemente accettato. Oggi emerge forte il bisogno di una più estesa presenza dello Stato, confermando - dopo ben 35 anni - l'indicazione della Commissione Medici sulla validità, nella lotta contro la criminalità, di una lodevole amministrazione pubblica regionale e locale. La stessa commissione regionale sottolinea come Stato e regione siano colpevoli per non aver attuato quel modello di amministrazione auspicato dalla relazione della Commissione Medici. Alcune forme di criminalità nei confronti degli amministratori rivelano il malessere e le gravi difficoltà di quel rapporto, pur dovendosi evidenziare che la debolezza strutturale degli enti locali è non poco dovuta alla carenza di mezzi e ad una inadeguata professionalità.
In sintesi, mentre i cittadini si ritengono titolari di nuovi diritti e non sopportano le mancate risposte dell'amministrazione, spesso vengono male interpretati i legittimi rifiuti per cui si manifesta il dissenso sovente anche con gli attentati. A poco servono, poi, le grida di dolore, le invocazioni, le lacrime; sensazioni invece sempre intensamente e sinceramente avvertite dalla gente comune.
Ho vissuto questa triste realtà per tanti anni, sovente anche da protagonista, specie quando reggevo il comando della compagnia dei carabinieri di Nuoro. Spesso in quell'evenienza ho anche visto giungere in Sardegna le massime istituzioni dello Stato per denunciare, lanciare anatemi, stigmatizzare, promettere, assicurare. Lo Stato c'è, si è detto, lo Stato provvederà e di recente nemmeno una zolla di terra lasciata all'altrui arbitrio...
Grazie a questa esperienza non mi sono illuso neanche per un momento che, nonostante la lunga tregua che per fortuna si è verificata negli ultimi due anni, il triste fenomeno dei sequestri di persona dovesse considerarsi definitivamente debellato. Ancora troppe contraddizioni, troppe deficienze, troppi problemi pesano sulla società sarda perché quella che è purtroppo una forma tradizionale di malavita potesse essere considerata superata da un adeguato sviluppo sociale ed economico che, mutando le condizioni generali delle popolazioni sarde, mutasse alla fine la mentalità di chi odiosamente priva della libertà e della dignità un essere umano per ricavare soldi.
Non mi soffermerò oltre sulle condizioni generali perché i colleghi che mi hanno preceduto hanno adeguatamente illustrato questo aspetto della vicenda. Vorrei invece soffermarmi sulle deficienze che sul piano della lotta alla criminalità in genere e al sequestro di persona in particolare in qualche modo rendono ancora fattivo questo reato.
Ritengo sia necessario chiedere misure straordinarie per la lotta contro i sequestri di persona, poiché quelle adottate in passato hanno prodotto effetti controproducenti.
Diversi colleghi hanno ricordato la vicenda della legge n. 82 del 1991, quella istitutiva del blocco dei beni, che ha reso possibile l'incriminazione degli emissari. Tale legge, soprattutto in Sardegna, si è rivelata un boomerang, perché ha aggravato le difficoltà e le vessazioni ai danni della famiglia del sequestrato, senza riuscire a scoraggiare i banditi, considerato che il sequestro di persona viene praticato soprattutto da latitanti. Pertanto il fatto che esso duri due o sei mesi fa poca differenza; differenza invece c'è per i familiari che devono ricorrere a mezzi legali ed a volte anche illegali per poter racimolare la cifra necessaria a soddisfare le richieste dei banditi.
Questa legge va certamente rivista non solo per quanto riguarda il blocco dei beni, ma anche per ciò che concerne l'uso degli emissari. Il fatto che un emissario oggi rischi l'incriminazione ha creato surrettiziamente una categoria particolare, quella degli emissari professionisti che si offrono a pagamento alle famiglie dei sequestrati per svolgere le trattative; spesso poi non lo fanno nell'esclusivo interesse della famiglia dei sequestrati. Non aggiungo altro perché sono storie scritte negli atti giudiziari della Sardegna.
La richiesta di elevare le pene per i sequestri di persona non è un deterrente sufficiente a scoraggiare tale reato. Un tentativo del genere è stato già compiuto, innalzando appunto le pene fino a trent'anni; tuttavia i sequestri sono continuati perché chi si dedica a questo tipo di reato mette bene in conto la possibilità di dover scontare un considerevole numero di anni di galera.
Si è invece dimostrato un vero deterrente, consentendo lo stallo delle attività dei sequestratori, l'azione efficace nella persecuzione di questo genere di reato. Nuoro - cito un esempio famoso, riportato sui giornali di tutta Italia - aveva un reparto della squadra mobile che ha liberato diversi sequestrati, agendo con sagacia, sulla base di informazioni adeguate e soprattutto con profonda conoscenza del territorio e delle persone che lo abitano. Tale reparto della squadra mobile, che è stato impiegato anche per liberare il piccolo Augusto De Megni, sequestrato fra l'Umbria e la Toscana, purtroppo negli ultimi anni è stato smantellato inizialmente da un questore che sosteneva che gli uomini potessero essere adeguatamente sostituiti dai computer; avrebbe voluto schedare tutto il territorio (chi conosce la Sardegna centrale sa bene cosa ciò possa significare), così che chiunque avesse potuto disporre delle conoscenze per via informatica avrebbe potuto dedicarsi alla lotta ai sequestri di persona. Purtroppo non è stato così.
Sono poi intervenute decisioni successive da parte di altri questori; purtroppo, per lo Stato italiano vige ancora la teoria in base alla quale il funzionario che non è adeguato viene sbattuto in Sardegna a scopo punitivo. Sfortunatamente la nostra terra non sempre gode di considerazione per quanto riguarda la professionalità del personale addetto alla lotta alla criminalità; professionalità che sarebbe invece assai necessaria. Tale fatto sta creando un terreno favorevole a chi, nella maggiore probabilità di impunità, trova lo stimolo per andare a compiere reati.
Una valutazione più attenta da parte del Governo - io stesso ho fatto delle segnalazioni sulla qualità e sulla professionalità del personale addetto all'ordine pubblico - potrebbe forse portare a ripristinare quegli organi che in passato hanno dato tanti buoni risultati sul piano della lotta ai sequestri di persona. Un'altra misura che viene adottata purtroppo con molta parsimonia dalla magistratura e che, invece, dà sicuramente vigore ed efficacia alla lotta ai sequestri di persona è quella degli accertamenti patrimoniali e del conseguente sequestro dei patrimoni stessi, spesso ingenti, costruiti senza adeguate giustificazioni da persone che sono sempre state sospettate di muoversi negli ambiti della malavita più o meno organizzata, di quella che comunque si dedica al sequestro di persona. Il fine ultimo del sequestratore è il profitto e quindi se gli si sottrae il fine ultimo, probabilmente, egli sarà anche dissuaso dal commettere il reato. Però, lo ripeto, incredibilmente questo strumento viene usato con estrema parsimonia ed i procedimenti relativi si svolgono con una tale lentezza che ancora non è ben chiaro il rapporto tra causa ed effetto e, quindi, se il deterrente possa funzionare adeguatamente, come sarebbe necessario.
A ciò si lega un altro problema, che è quello dell'incredibile - ripeto lo stesso aggettivo già usato - situazione in cui si trovano gli uffici giudiziari dei territori in cui è più elevata la vocazione al reato di sequestro di persona. Il tribunale di Nuoro non solo ha un organico dimezzato, ma versa in una situazione di faida interna che è incredibile e che io stesso, insieme ad altri colleghi, ho denunciato di recente in un'interrogazione rivolta al ministro di grazia e giustizia. Il tribunale di Nuoro, infatti, è in perenne conflitto con il consiglio dell'ordine degli avvocati, con ricorsi al CSM, denunce, incompatibilità vere o presunte eccetera; comunque, di fatto, è paralizzato. Di conseguenza, tanti processi per reati che sono propedeutici al sequestro di persona (mi riferisco, ad esempio, a reati riguardanti armi od alle rapine) rimangono spesso per anni nei cassetti senza che si arrivi alla sentenza, con la conseguenza che magari nel
frattempo interviene una prescrizione. Così, persone che iniziano a venti o ventidue anni la loro carriera criminale si formano una sorta di certezza all'impunità che li porta poi a fare il famoso salto di qualità che ha al suo vertice appunto il sequestro di persona.
Per molti anni abbiamo chiesto non solo il rafforzamento degli organici dei tribunali e delle preture della Sardegna centrale, ma anche una certa oculatezza nella scelta dei magistrati che debbono andare a ricoprire questi ruoli. Torno al discorso di prima: il «Ti sbatto in Sardegna» vale anche per i magistrati e ricordo che, purtroppo, casi di sequestro di persona nel tribunale di Nuoro sono stati affidati a magistrati psicopatici, poi riconosciuti tali (e non sto a fare ulteriori citazioni), e non per una perversa scelta del presidente del tribunale, ma perché a disposizione non c'erano altri giudici.
Tutto ciò, come dicevo, si è tradotto in una sorta di alone di impunità che, direttamente od indirettamente, ha favorito i personaggi che si sono dedicati a questo tipo di reati. Nella mia lunga esperienza giornalistica ho potuto verificare che i nomi delle persone che si sono rivolte al sequestro di persona erano ricorrenti: li ritrovavo prima arrestati per detenzione di armi, poi per rapina ed infine per sequestro di persona. Si tratta quasi di una escalation naturale che forse sarebbe stato possibile bloccare se ai primi e meno gravi reati la giustizia avesse agito con la tempestività ed il rigore che sarebbero stati necessari.
Non sto a richiamare quello che hanno già detto altri colleghi sulla presenza dello Stato in Sardegna e, in particolare, nella Sardegna centrale. Al collega Anedda, il quale citava a questo proposito le colpe della sinistra, voglio ricordare che forse è vero che la sinistra ha un po' esagerato enfaticamente il rapporto fra disoccupazione, malessere e malavita. È anche vero, però, che in Barbagia è difficile essere solidali con uno Stato che da noi non offre certo la sua immagine migliore. Cito un esempio per tutti: Nuoro è l'unico capoluogo di provincia d'Italia che non ha ancora la ferrovia statale e questo non è solo un fatto di prestigio e di campanilismo, ma anche un dato sostanziale, perché noi paghiamo i trasporti ad un prezzo nettamente superiore a quanto avviene nel resto d'Italia.
Concludo con una battuta, sempre per rispondere al collega Anedda, secondo il quale la sinistra è la stessa di ieri, in qualche modo compiacente nei confronti della criminalità. A parte il fatto che non è vero, vorrei ricordare che la destra di oggi è la stessa di ieri e che quando il fenomeno dei sequestri di persona in Sardegna era più acuto chiedeva la pena di morte e di radere al suolo il sopramonte d'Orgosolo con il napalm, chiedeva cioè di trasformare la Sardegna in una sorta di Vietnam.
Vorrei esprimere il mio apprezzamento per l'altezza, la sensibilità e la qualità degli interventi, che dimostrano la capacità del Parlamento di affrontare i temi più significativi, anche dal punto di vista dei sentimenti e dei valori, che esistono nella nostra società e che trovano eco in quest'aula.
Poiché nessuno dei presentatori delle mozioni chiede di replicare, invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulle mozioni presentate.
Da questo episodio traggono spunto le mozioni iscritte all'ordine del giorno, con le quali si mira ad impegnare il Governo ad assumere tutte le iniziative necessarie nell'immediato e consentire il ritorno alla propria famiglia di Silvia Melis e tutti i provvedimenti necessari per migliorare il controllo del territorio mediante una presenza più stabile delle forze dell'ordine. Tra le misure auspicate viene invocata, in modo particolare dall'onorevole Pisanu, che in questo momento non è in aula, una presenza di forze militari nelle zone di tradizionale rifugio dei sequestratori.
Un altro punto sul quale si intende impegnare il Governo è la parziale modifica della vigente disciplina sul blocco dei beni. Un ulteriore aspetto infine è quello delle misure di carattere economico che possono contribuire a migliorare il clima sociale della Sardegna il cui stato di disagio è accentuato anche dalla situazione di difficoltà finanziaria in cui versa tutto il paese.
Proprio per tali ragioni su quest'ultimo aspetto riferirà il rappresentante del Ministero del lavoro (che al momento non è presente), mentre io mi accingo ad illustrare davanti a questa Assemblea, per incarico del ministro Napolitano, che mi ha espressamente delegato, una specifica relazione che fa il punto sulle iniziative assunte nel caso di Silvia Melis e sui provvedimenti di carattere generale che attengono alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica.
Alle 22,20 del 19 febbraio scorso, al commissariato di Tortolì, l'ingegner Melis, noto professionista del luogo, denunciava la scomparsa della figlia di 28 anni. La signora Melis avrebbe dovuto incontrare intorno alle 21,30 degli amici, ma questi, giunti presso la villetta della donna, ove la stessa vive con il figlioletto Luca di quattro anni, non l'avevano trovata. Dopo averla attesa, ed essendo il cancello della villa aperto, gli amici entravano e trovavano l'autovettura nella quale vi era il piccolo che dormiva. Un immediato sopralluogo non ha consentito di individuare tracce di presenza estranee all'interno della villa né segni di colluttazione od atti di violenza. Dell'accaduto veniva informato anche il marito separato della signora Melis, che si trovava per motivi di lavoro a Genova. Veniva altresì immediatamente attivato il piano antisequestro con l'istituzione di posti di blocco in tutta la Sardegna e l'effettuazione di ricerche mirate su obiettivi sensibili nelle province di Nuoro e di quelle limitrofe di Sassari e di Oristano.
L'attività di indagine veniva avviata dal dirigente della squadra mobile di Nuoro, con l'intervento di personale del centro interprovinciale Criminalpol di Cagliari e della polizia scientifica. Per un primo punto della situazione veniva tenuta, nella mattinata del 20 febbraio scorso, ad Abbasanta, una riunione con il sostituto procuratore distrettuale antimafia di Cagliari, dottor Mura, e i rappresentanti degli organismi investigativi territoriali e regionali della polizia di Stato e dei carabinieri, al fine di pianificare l'adozione di strategie operative. Veniva quindi disposto dal magistrato il blocco dei beni della famiglia Melis ed attivato il programma di rinforzo delle strutture territoriali della polizia di Stato, con un modello di intervento già sperimentato in casi analoghi.
Con decreto del ministro dell'interno dello stesso 20 febbraio scorso, è stato costituito, a norma dell'articolo 8, comma 2, della legge n. 82 del 1991, più volte evocata in quest'aula, l'apposito nucleo interforze presso la procura distrettuale antimafia del tribunale di Cagliari, composto, per la polizia di Stato, dai dirigenti del centro interprovinciale Criminalpol di Cagliari, dalle squadre mobili delle questure
di Nuoro, Sassari ed Oristano, dal commissariato di pubblica sicurezza di Tortolì, e, per l'Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza, dai comandanti dei corrispondenti organismi locali. Il nucleo, alle dipendenze dell'autorità giudiziaria, assicura una funzione di raccordo di tutte le acquisizioni investigative che affluiscono dagli organismi delle tre forze di polizia impegnate nelle indagini. Le strutture investigative delle questure interessate e il centro interprovinciale Criminalpol sono affiancati da un gruppo di funzionari con ampia esperienza nello specifico settore, appartenenti al servizio centrale operativo della polizia di Stato, che coordina gli interventi della stessa polizia.
Sul sequestro di Silvia Melis, come d'altra parte sugli altri delitti che sono stati in precedenza consumati, vanno formulate alcune considerazioni che prescindono dall'aspetto meramente di polizia per estendersi all'ambiente in cui nascono e si sviluppano questi fenomeni. L'analisi deve precedere metodologicamente qualsiasi strategia di lotta, perché nel tempo ci sono state mutazioni genetiche nelle modalità con cui viene concepito e consumato questo tipo di delitto. Infatti, molti valori dell'antica tradizione sarda, trasmessi anche dalla cultura letteraria, sono stati cancellati da un'evoluzione che, per effetto della criminalità giovanile e comune, ha contribuito a trasformare negativamente la fisionomia del sequestro di persona, delitto tipico della Sardegna centrale e in particolare della Barbagia. Anche se le forze dell'ordine si impegnano quotidianamente nella prevenzione e nella repressione, il sequestro viene organizzato per saziare la smania di arricchimento rapido di un gruppo di criminali forti e armati contro esseri umani posti in condizione di totale inferiorità. Il sequestro e gli atti criminali ad esso connessi non sono originati dalla disoccupazione e dal bisogno, come si riteneva un tempo, ma trovano oggi alimento nel riciclaggio e nel mondo della droga. La mancanza di collaborazione da parte della popolazione condiziona tuttora pesantemente l'attività delle forze dell'ordine.
Venendo poi all'aspetto più propriamente di polizia, devo subito premettere che il fenomeno è in diminuzione in Sardegna, oltre che nell'intero territorio nazionale. Per quanto riguarda la Sardegna, si è avuta negli ultimi dieci anni una media di due sequestri l'anno, con l'eccezione del 1991 e del 1996 (non a caso, debbo aggiungere), anni in cui non si è verificato alcun episodio, a fronte di indici ben superiori negli anni settanta e ottanta. Con ciò non intendo in alcun modo sminuire l'impatto che il fenomeno ha sotto il profilo della convivenza civile, tanto più se consumato con particolare crudeltà, poiché uno solo di questi delitti basta ad offendere la dignità e la civiltà di un popolo. Sta di fatto, tuttavia, che il fenomeno ha avuto una flessione, come ho già detto, per una serie di fattori, che riassumo.
Innanzitutto, una legislazione ad hoc molto articolata, introdotta con il decreto-legge n. 8 del 1991, convertito nella legge n. 82 del 1991. La normativa spazia dalla configurazione di una fattispecie penale repressiva pesante dal punto di vista sanzionatorio a disposizioni che, per non consentire la realizzazione della finalità estorsiva, introducono strumenti preventivi di lotta al reato, a tutela del patrimonio della vittima e della sua famiglia; impedisce il pagamento del riscatto o blocca il frutto del sequestro, in primis mediante il blocco dei beni; introduce, inoltre, strumenti operativi per rendere più efficaci le investigazioni (consegne controllate del riscatto, differimento dell'esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, costituzione di appositi gruppi interforze di intelligence a fini investigativi, infine misure accessorie premiali o, al contrario, afflittive per gli autori del delitto, a seconda del tipo di condotta tenuta, finalizzate anche ad incentivare atteggiamenti collaborativi).
Sulla scia dei primi interventi normativi il decreto-legge n. 306 del 1992, convertito con la legge n. 356 del 1992, ha
previsto la possibilità di colpire il reinvestimento del profitto del reato con provvedimento di sequestro e di confisca dei beni di illecita provenienza. Si è poi intervenuti con una costante ed accurata opera di prevenzione da parte delle forze di polizia sia sotto il profilo del controllo del territorio sia sotto quello dell'adozione di misure di prevenzione personale e patrimoniale nei confronti di soggetti con specifici precedenti penali, o comunque dediti ad attività delittuose. Devo aggiungere che sotto questo aspetto non comprendo le esortazioni che sono state formulate nei confronti dell'attività di prevenzione per la parte che concerne le forze di polizia sollecitate in particolare dall'onorevole Anedda. Mi rendo conto che fa più rumore un albero che cade rispetto ad una foresta che cresce, ma posso dire che solo nel 1996 ben quattro sequestri sono stati sventati proprio per l'opera di prevenzione che si è svolta.
Negli ultimi due anni sono state attivate misure di prevenzione patrimoniale nei confronti di persone implicate anche indirettamente in sequestri di persona per il valore di circa un miliardo e mezzo di lire. Tutte le iniziative avviate trovano il loro corollario nell'intensa azione investigativa e repressiva degli organi di polizia che, sotto la direzione della procura distrettuale antimafia di Cagliari, hanno ottenuto positivi risultati con l'individuazione di quasi tutti i responsabili dei sequestri consumati negli anni novanta, assicurati alla giustizia o denunciati all'autorità giudiziaria.
Per ciò che concerne i rapimenti Checchi, Vinci, Licheri Leone e Sircana, le prime due vittime sono tornate in libertà proprio grazie alla pressante e tempestiva azione delle forze di polizia, una, Checchi, senza pagamento del riscatto; la Licheri Leone non è stata ancora rilasciata mentre la vicenda di Sircana, allo stato attuale delle indagini, non sembra riconducibile con certezza ad un sequestro di persona.
Per quanto riguarda il blocco dei beni, misura considerata vessatoria nei confronti dei familiari e pericolosa per l'incolumità della vittima, esso ha invece dimostrato bene la sua efficacia. Su nove rapimenti avvenuti in Sardegna dall'entrata in vigore della legge n. 82 del 1991 al 1996, sette ostaggi sono tornati in libertà e di questi cinque senza alcun pagamento del riscatto. Debbo quindi dire che non condivido affatto le obiezioni circa l'incapacità della misura del blocco dei beni di avere efficacia deterrente. Il fattore di deterrenza esiste ed è dimostrato e mi sembra davvero singolare l'argomento presentato anche dal deputato Rossi secondo cui si alimenterebbe in questo modo l'utilizzo di fondi neri o di denaro illecito proveniente dal mondo dell'usura. Se queste opportunità esistono vanno contrastate, ma ciò non significa che per l'esistenza di un inconveniente bisogna annullare, vanificare o rinunciare ad una misura che in concreto, persino statisticamente, ha dimostrato la sua efficacia. Posso quindi dire, oggi ancora più fondatamente, che la misura svolge pienamente la sua funzione deterrente rispetto alla commissione del reato perché ne vanifica lo scopo e ne abbassa la redditività.
In occasione di tutti i sequestri di persona, quindi anche nell'ultimo delitto, viene immediatamente attivato un modulo operativo, al quale ho fatto cenno, che si basa sulla costituzione di un nucleo antisequestro insediato presso la questura della provincia interessata. Esso funziona da quadro-regia di tutte le iniziative informative collaterali alle specifiche indagini sulla singola vicenda criminosa. Al gruppo pervengono i dati, già informatizzati, raccolti nel corso dell'attività di controllo del territorio e quelli acquisiti nel corso di operazioni di polizia condotte dalle questure e dai reparti dell'Arma nell'isola. L'obiettivo preliminare del gruppo è la rivisitazione delle posizione dei soggetti criminali a qualsiasi titolo coinvolti in passato in indagini su sequestri o altri gravi reati o solo sospettati di appartenere ad aree di interesse criminale compatibile. L'esame consente di effettuare opportune scelte strategiche: colloqui investigativi, intercettazioni preventive,
perquisizioni, proposte di misure di prevenzione e quant'altro possa essere ritenuto opportuno.
L'attività informativa ed investigativa consente progressivamente di delineare un quadro aggiornato dell'area criminale ragionevolmente sospettata di essere coinvolta nel fatto criminoso.
A questo modulo è strettamente connessa anche l'attività di controllo del territorio. Il dispositivo di prevenzione interforze messo in atto in simili circostanze consente di esercitare un accurato controllo del territorio, attraverso perlustrazioni, rastrellamenti e battute, anche in zone impervie. Nell'ultimo biennio, i risultati interforze sono stati i seguenti: nel 1995 sono state identificate 894.745 persone e sono state controllate 619.023 autovetture; analogamente, nel 1996 sono state identificate 517.255 persone e controllate 389.511 autovetture.
Attualmente, oltre ai reparti presenti sul territorio, sono dislocati in provincia di Nuoro i seguenti rinforzi. Per la polizia di Stato vi sono: 100 unità di reparti prevenzione e crimine provenienti da altri centri della penisola, al comando di due funzionari responsabili, con 35 autovetture a disposizione; 20 unità del reparto mobile di Cagliari; 2 elicotteri per trasportare squadriglie eliportate di perlustrazione nella zona di Tortolì; un elicottero a disposizione presso il reparto volo di Abbasanta; un contingente a cavallo per la perlustrazione del Supramonte. Per l'Arma dei carabinieri vi sono: 50 militari del battaglione carabinieri paracadutisti Tuscania e 18 militari del battaglione Cagliari. Il Corpo forestale regionale collabora alle dipendenze e su direttive della questura di Nuoro. Stanno per raggiungere la zona delle operazioni 30 militari della Guardia di finanza, per concorrere all'azione di controllo del territorio, e 2 squadriglie a cavallo dei carabinieri, specificamente addestrate per operare nelle zone più impervie del nuorese.
Il personale va a integrare il dispositivo già in atto in Sardegna, che si avvale in complesso di: 3.113 appartenenti alla polizia di Stato, 4.877 appartenenti all'Arma dei carabinieri, 1.527 finanzieri (in provincia di Nuoro, rispettivamente, 750, 1.185 e 156).
Parallelamente, continua l'attività di caccia ai latitanti della provincia, che - ho sentito e condivido quanto ha detto l'onorevole Soro - sono ritenuti a ragione un tassello indispensabile ancora oggi nella gestione del sequestro di persona.
Gli elementi che ho fornito a questa Assemblea offrono un quadro completo degli interventi e delle iniziative finora adottate dai responsabili dell'ordine pubblico. Ma il problema ovviamente non si risolve soltanto in termini di maggiore numero di uomini o con missioni specifiche, quale «Forza Paris», che fra l'altro - giova ricordare - furono proprio in Sardegna molto contestate. Esprimo quindi l'adesione agli impegni formulati dai proponenti delle singole mozioni. È intenzione del Governo di intensificare le azioni di verifica dei patrimoni sospetti, con l'incremento dell'attività di controllo da parte della Guardia di finanza, e di potenziare l'attività di intelligence attraverso una sempre più incisiva conoscenza delle situazioni locali che possa consentire previsione e prevenzione per i fenomeni criminosi.
Desidero sottolineare che il controllo del territorio non è solo legato alla presenza dei presidi di polizia, ma richiede la visibilità di tutte le istituzioni che operano a contatto con il cittadino. A questo riguardo, ampiamente richiamato negli interventi svolti questa mattina, non posso non riconoscere la insufficiente efficacia delle articolazioni periferiche della pubblica amministrazione. Sono stati segnalati i ritardi dell'ufficio IVA, che rimborsa tardivamente le pratiche, una ridotta attività istituzionale svolta dall'ufficio tecnico erariale, un mancato miglioramento dei servizi dell'Ente poste (solo per citarne alcuni), fino all'esasperazione di molti sindaci per le ininterrotte vacanze delle segreterie comunali.
Quindi, bene ha fatto il Parlamento a richiamare l'attenzione su fatti che, accrescendo nella popolazione una diffusa convinzione della - così come è stata
forse eccessivamente richiamata - latitanza dello Stato, possono solo alimentare e rinvigorire la secolare ostilità verso le istituzioni, che in tanti decenni non è stata ancora del tutto sradicata. È invece su questo punto che occorre intervenire con forza, perché per spezzare l'isolamento che tuttora avvolge la Sardegna occorre uno sforzo complessivo, anche ma non solo, di carattere finanziario, per vincere quel pregiudizio che tuttora vede l'isola come terra felice per le vacanze, ma del tutto abbandonata a se stessa per gli aspetti di carattere economico e sociale.
L'esecutivo nel suo complesso intende muoversi in aderenza al contenuto dell'atto di indirizzo che verrà approvato al termine di questo dibattito, nella convinzione che, sulla base di un voto del Parlamento, il problema della Sardegna possa ricevere una ancor maggiore attenzione da parte di tutte le espressioni istituzionali del nostro paese. In questo senso il Governo si impegna sin d'ora a svolgere il compito che gli è proprio nel rispetto delle specifiche responsabilità.
Come è noto io non ho una competenza specifica in materia di lavoro, anche se su questo spesso sono stati fatti dei richiami puntuali e forse assolutamente condivisibili; posso soltanto dire che, con riferimento a tali profili, al Senato è in discussione il disegno di legge n. 1919, che ci auguriamo possa essere presto approvato dalle Camere; tale normativa potrebbe dare soddisfazione alle istanze provenienti dall'isola.
Per quanto riguarda i numerosi richiami alla funzionalità di un apparato che non è indifferente al dispositivo di sicurezza e alla presenza dello Stato che dobbiamo assicurare in Sardegna, mi rimetto alle osservazioni del sottosegretario di Stato per la giustizia.
Prima di fare ciò, in ordine all'altro punto che qui è stato sollevato credo in quasi tutte le mozioni, e che è già stato richiamato dal sottosegretario Sinisi (sto parlando del cosiddetto blocco dei beni) anch'io desidero ricordare che la legislazione vigente in tema di sequestri di persona ha origine dal decreto-legge n. 8 del 1991, convertito nella legge n. 82 dello stesso anno.
Tale legislazione è stata preceduta da un acceso dibattito sulle soluzioni da approntare in merito ad uno dei problemi della criminalità ritenuti più scottanti e attuali. L'approntamento di tale normativa è avvenuto sulla base dei suggerimenti degli esperti del settore e la scelta dell'intervento effettuato (il riferimento è, in particolare, al cosiddetto blocco dei beni) è stata in larga misura determinata dalla speranza di agevolare l'accertamento delle investigazioni a fronte della non provata efficacia sotto il profilo della liberazione della vittima del pagamento del riscatto richiesto. Questa misura provocò un dibattito in Parlamento; oggi, al riguardo, vi sono nuove polemiche e mi pare che anche nelle mozioni e negli interventi questa misura sia stata posta in discussione.
Il dibattito che si ripropone oggi sull'efficacia deterrente ed operativa del blocco dei beni, fondata anzitutto sull'osservazione che in alcuni casi questo provvedimento automatico aumenterebbe solo le difficoltà di reperimento del denaro da parte dei familiari del sequestrato, e quindi sull'opportunità di una modifica della normativa vigente, comporta la necessità di una valutazione dei risultati della normativa in vigore. Tale valutazione ha determinato la necessità di disporre da parte del Ministero di grazia e giustizia un monitoraggio, che attualmente è in corso, al fine di aumentare l'apporto conoscitivo ed avere dei dati obiettivi relativamente alle ipotesi di modifica. Il monitoraggio
appare indispensabile anche perché il fenomeno presenta caratteristiche differenziate in ragione delle situazioni geografiche, ambientali e sociali.
Relativamente alla situazione delle dotazioni organiche del personale di magistratura vorrei iniziare con il distretto, il circondario di Cagliari. La dotazione organica del personale di magistratura prevede: un presidente (presente); quattro presidenti di sezione (presenti); ventisette giudici, ventotto presenti di cui uno in uscita. L'organico è pertanto interamente coperto.
Presso la procura della Repubblica presso il tribunale di Cagliari la dotazione organica del personale di magistratura prevede un procuratore (non presente) e dieci sostituti procuratori (nove presenti). La percentuale di «scopertura» è pari al 18 per cento. Per il posto vacante di sostituto il Consiglio superiore della magistratura provvederà in questa settimana.
Nel circondario di Lanusei l'organico del personale di magistratura presso il tribunale è costituito da un presidente (presente) e tre giudici (due presenti). La percentuale di «scopertura» è pari al 25 per cento. Nessuna domanda è stata presentata per la copertura del posto vacante del giudice pubblicata con telex del 1 dicembre 1995 (addirittura!). Un GIP della pretura di Sassari è applicato in questa sede in qualità di giudice dal 23 gennaio 1997 al 23 marzo 1997.
C'è da dire a tale proposito - e mi rivolgo in particolare al collega Anedda e al Presidente, che conoscono bene la situazione della magistratura e dei nostri tribunali - che dopo le sentenze della Corte costituzionale, quand'anche fossero presenti tre giudici ed un presidente, un tribunale con quattro magistrati non potrebbe sussistere.
Dobbiamo allora fare scelte che, in ogni caso, sono difficili: o dobbiamo rendere quel tribunale funzionante con un numero di magistrati adeguato oppure dobbiamo chiuderlo o, infine, dobbiamo accorparlo. Qualcosa bisogna fare, perché nei termini attuali teniamo un finto presidio di giustizia.
Quanto alla sezione distaccata della corte d'appello di Sassari, circondario di Nuoro, l'organico del tribunale è costituito da un presidente (presente), due presidenti di sezione (uno presente) e sette giudici (cinque presenti), con una «scopertura» pari al 30 per cento. Per la copertura del posto vacante di presidente di sezione il Consiglio superiore della magistratura in data 19 febbraio 1997 ha deliberato il trasferimento del dottor Pietro Lisa, proveniente dal tribunale di Bari. Nessuna domanda è stata presentata per la copertura del posto vacante di giudice pubblicato con telex del 14 novembre 1996.
Passiamo al circondario di Tempio Pausania.
Nel circondario di Tempio Pausania l'organico del personale di magistratura è costituito da un presidente (presente) e cinque giudici (quattro presenti), con una «scopertura» del 16,6 per cento.
Credo che questi dati parlino da soli di una situazione estremamente difficile. Ed io ritengo di dover accogliere non solo gli auspici che vengono formulati ma anche gli impegni che vengono richiesti perché si affronti questa difficoltà straordinaria.
Penso vi siano delle urgenze alle quali dobbiamo rispondere, anche se ritengo che il problema della geografia giudiziaria nel nostro paese debba meritare, finalmente, un esame che non sfoci nelle guerre di campanile, ma che porti ad un intervento efficace. Dobbiamo finalmente
avere la capacità di dire se il numero dei magistrati presenti sia adeguato o no, come sia distribuito e cosa bisogna rispondere alle popolazioni che chiedono risposte certe e celeri dalla giustizia e non, invece, un talismano di lunga vita. Quando si risponde che le cause sono rinviate al 2001-2002, in realtà, la giustizia compie un atto che rappresenta un augurio di lunga vita, ma niente di più.
È una situazione cui va posto rimedio con urgenza perché si determinano vere e proprie crisi nelle situazioni difficili, come, ad esempio, nel sud per la presenza di criminalità organizzata. Vi sono infatti le situazioni di Gela, Caltanissetta, Siracusa e via dicendo, ma vi sono difficoltà anche in Sardegna, come si è visto nella discussione odierna, nonché nel centro Italia, dove vi sono legami con situazioni produttive ed economiche importanti che richiedono risposte rapide, e si registrano difficoltà pure al nord. Insomma, al momento non vi è una zona d'Italia dove si sia in grado di rispondere rapidamente.
Sono in via di espletamento concorsi per un numero cospicuo di uditori giudiziari. Sono attualmente in tirocinio, senza funzioni, 299 uditori giudiziari, che termineranno il tirocinio stesso nel mese di dicembre 1997. Sette di questi termineranno il tirocinio nell'ottobre 1997 per gli uffici di Bolzano e dieci uditori giudiziari, vincitori di un precedente concorso, assumeranno le funzioni giurisdizionali entro il maggio di quest'anno. Sono in via di espletamento i seguenti concorsi: uno del 1994 per 237 posti, per il quale sono già terminate le prove di esame, la relativa graduatoria è dal 30 gennaio scorso all'esame del Consiglio superiore della magistratura e l'assunzione dei vincitori è prevista per il marzo di quest'anno. Un altro concorso per 259 posti è stato indetto nel 1995 e sono in corso le prove orali; sino ad ora sono stati esaminati 21 candidati su 260 e l'assunzione dei vincitori è prevista entro la fine del 1997 e l'inizio del 1998. Vi è poi il concorso del 7 ottobre 1995 per 300 uditori, per il quale sono in corso le prove scritte. Infine il 16 gennaio 1997 è stato indetto un concorso per altri 300 posti.
C'è da dire che vi è una lentezza nelle prove di questi concorsi. Sono concorsi molto severi, ma anche molto lenti. Il problema è quindi rappresentato dalla rincorsa tra le vacanze che si creano e la copertura da realizzare attraverso questo sistema. Forse dobbiamo accelerare maggiormente la velocità dell'esito di questi concorsi, altrimenti avremo sempre una carenza nella copertura dell'organico.
Il problema di fondo è che non possiamo accontentarci di una situazione così esasperata ed esasperante. Penso che per la geografia giudiziaria dobbiamo stabilire, regione per regione, in relazione alle condizioni economiche, sociali, culturali, di densità criminale e di densità anche in positivo, vale a dire in termini di presenza di lavoro, di produzione, occupazione, artigianato, commercio e quant'altro - quindi non si deve fare riferimento solo alle esigenze di giustizia connesse ai fatti negativi, ma anche a quelle correlate ai fatti positivi del paese - quali debbano essere i presidi di giustizia e su quella base chiedere alle comunità locali e alle regioni di dire dove tali presidi debbano essere collocati. Infatti, non possiamo limitarci ad affermare che i tribunali devono essere ubicati nei capoluoghi di provincia, perché si tratta di una indicazione troppo generica e non sufficiente; dobbiamo immaginare anche le risposte laddove sono necessarie per le ragioni che ho ricordato. Se faremo ciò, non determineremo lo scatenarsi, per la chiusura di una sezione staccata di pretura, di un contenzioso infinito, ma riusciremo responsabilmente a dare una risposta adeguata ai problemi esistenti.
Per quanto riguarda le richieste fatte per la Sardegna, siamo in una situazione di tale urgenza ed emergenza che l'impegno non può essere altro che quello di affrontare la situazione immediatamente, nei limiti delle responsabilità del Ministero, anche tenendo conto che, come sa molto bene il Presidente, molte responsabilità
ricadono sul Consiglio superiore della magistratura, quale organo di autogoverno.
Il suo parere, e penso anche quello del sottosegretario Sinisi, è quindi favorevole alle mozioni. Egli ha fatto una esposizione dei fatti molto significativa, ma c'era da esprimere anche il parere sulle mozioni. Quindi il parere è positivo su tutte le mozioni.
Sospendo la seduta fino alle 15,30, avvertendo che alla ripresa si passerà al seguito del dibattito sulle mozioni relative alle tossicodipendenze.