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PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
GIOVANNI MARONGIU, Sottosegretario di Stato per le finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ho già dichiarato aperta la votazione, onorevole Marongiu, mi rincresce...
FEDELE PAMPO. Deve esprimere il parere!
PRESIDENTE. Per la prossima volta, onorevole sottosegretario, la prego di segnalare tempestivamente la sua intenzione di chiedere la parola.
Dichiaro chiusa la votazione.
Passiamo all'ordine del giorno Caveri e Pagliuca n. 9/3181/6.
GIOVANNI MARONGIU, Sottosegretario di Stato per le finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARONGIU, Sottosegretario di Stato per le finanze. Signor Presidente, il Governo ha già espresso parere contrario. Tuttavia, avendo appurato nella tarda serata di ieri che questa tematica è all'ordine del giorno per una modifica, vorrei invitare l'onorevole Caveri a ritirare il suo ordine del giorno.
PRESIDENTE. Accetta l'invito del rappresentante del Governo, onorevole Caveri?
LUCIANO CAVERI. Ritiro l'ordine del giorno, signor Presidente.
PRESIDENTE. Sta bene.
GIOVANNI MARONGIU, Sottosegretario di Stato per le finanze. Sì, signor Presidente.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARONGIU, Sottosegretario di Stato per le finanze. Sull'ordine del giorno Brancati ed altri n. 9/3181/5, signor Presidente, vorrei rimanesse agli atti che il Governo ribadisce il suo parere contrario. Tuttavia il Governo intende ricordare a se stesso e ribadire all'Assemblea che, di fronte a richieste motivate, la norma consente che siano concesse deroghe.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole sottosegretario. Le sue considerazioni rimarranno agli atti.
GIANCARLO CITO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Su quale questione, onorevole Cito?
GIANCARLO CITO. Vorrei fare mio l'ordine del giorno ritirato dall'onorevole Caveri.
PRESIDENTE. Mi scusi, ma gli ordini del giorno ritirati non possono essere fatti propri.
Dichiaro chiusa la votazione.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Abaterusso ed altri n. 9/3181/12, non accettato dal Governo.
Intende ritirarlo, collega? Mi dispiace, ma ormai siamo nel corso della votazione. Avrebbe dovuto dirlo prima.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Scaltritti n. 9/3181/15, non accettato dal Governo.
Vi sono 3 postazioni di voto bloccate, colleghi.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Frattini ed altri n. 9/3181/16, non accettato dal Governo.
Vi sono 17 postazioni di voto bloccate, colleghi.
È così esaurita la trattazione degli ordini del giorno.
TERESIO DELFINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è stato affermato dal Governo e dalla maggioranza...
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Delfino.
TERESIO DELFINO. Dicevo che è stato affermato dal Governo e dalla maggioranza che il decreto-legge che ci apprestiamo
PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo ancora, onorevole Delfino. Colleghi, vi informo che ci sono circa 130 dichiarazioni di voto.
TERESIO DELFINO. Si tratta di un clamoroso falso, in quanto il Governo ha già dovuto ammettere la necessità di una manovra correttiva sui conti pubblici del 1997. Le innovazioni contenute nel provvedimento rappresentano ancora una volta la mancanza di una chiara strategia che questo Governo e questa maggioranza sembrano incapaci di concepire nell'assumere con coraggio provvedimenti che si muovano veramente nella direzione della tutela degli interessi generali.
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Delfino. Colleghi, se continuate in questo modo, sospendo la seduta! Non mi costringete a sospendere la seduta. Non si può lavorare in queste condizioni!
TERESIO DELFINO. Non sono sufficienti azioni modeste, «normicciole», come le ha definite il sottosegretario Marongiu, che, al di là di qualche attenuazione delle difficoltà delle famiglie e del sistema delle piccole e medie imprese, risultano inadeguate per sostenere una vera prospettiva di cambiamento della politica economica del paese.
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Delfino.
La seduta, sospesa alle 10,35, è ripresa alle 10,45.
PRESIDENTE. Onorevole Montecchi, per favore. Ho sospeso la seduta per dieci minuti per consentire al collega Teresio Delfino di svolgere in un clima adeguato e rispettoso il suo intervento.
TERESIO DELFINO. È chiaro infatti che il nostro paese, senza riforme strutturali, privatizzazioni, senza il rilancio dell'economia e senza le riforme istituzionali non uscirà da una...
PRESIDENTE. Onorevole Scalia, la richiamo all'ordine per la prima volta!
TERESIO DELFINO. ...situazione che diventa ogni giorno più drammatica sotto il profilo occupazionale e non riuscirà a far parte dell'unione monetaria dal 1 gennaio 1999.
PRESIDENTE. Onorevole Lo Presti, la richiamo all'ordine per la prima volta!
TERESIO DELFINO. Abbiamo detto con grande convinzione e senza alcuna invidia che i risultati conseguiti dal Governo e dalla maggioranza, grazie soprattutto alla rigorosa azione del Governatore della Banca d'Italia...
PRESIDENTE. Onorevole Schietroma, la richiamo all'ordine per la prima volta!
TERESIO DELFINO. ...sull'inflazione e sugli interessi, sono condizioni necessarie per lo sviluppo, ma non sufficienti, da sole, a garantire un rilancio duraturo...
PRESIDENTE. Onorevole Pinza, la richiamo all'ordine per la prima volta!
TERESIO DELFINO. ...della nostra economia ad un livello adeguato per aggredire il grave e sempre più pesante problema dell'occupazione. Siamo infatti dell'avviso che non c'è spazio per cullarsi nell'illusione che la stabilità dei prezzi ed il rigore della politica monetaria determinino naturalmente una prospettiva di crescita dell'economia. Occorre procedere senza indugi all'approvazione di una serie di provvedimenti che realizzino una complessiva riforma del nostro sistema economico. Purtroppo constatiamo anche in questo provvedimento la mancanza di questa progettualità complessiva che, pure, il ministro dell'economia Ciampi va teorizzando in tutte le sue dichiarazioni senza riuscire ad ottenere dal Governo, ma soprattutto dalla maggioranza, un impegno coerente.
MARIO LANDOLFI. Chiedo di parlare per un richiamo agli articoli 59 e 61 del regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARIO LANDOLFI. Ella poco fa ha richiamato all'ordine diversi deputati per il semplice fatto che - almeno così mi è sembrato - parlavano con alcuni colleghi. L'articolo 59 stabilisce testualmente che: «Se un deputato pronuncia parole sconvenienti oppure turba con il suo contegno la libertà delle discussioni o l'ordine della seduta, il Presidente lo richiama nominandolo».
PRESIDENTE. Vogliamo chiedere il parere all'onorevole Teresio Delfino che stava parlando in quel momento?
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Molgora. Ne ha facoltà.
DANIELE MOLGORA. Signor Presidente, c'è da dire che dopo le dirette televisive del festival di Sanremo si pensava che qualcosa potesse cambiare ed invece la musica, in questa situazione, è rimasta sempre la stessa: o ci troviamo di fronte a montagne di tasse oppure, come in questo caso, ci troviamo di fronte al festival dell'aria fritta! Aria fritta a volontà, condita con elargizioni a piene mani verso i soliti «noti».
GIANCARLO PAGLIARINI. Bravo!
GIACOMO STUCCHI. Bravo!
DANIELE MOLGORA. Intanto questo Governo di sinistra, così attento al sociale, così attento al federalismo, trova il modo di aumentare anche l'IVA sui farmaci, accollando la maggior spesa ai cittadini e alle regioni; proprio questo Governo che si dice così vicino al sociale.
GIACOMO STUCCHI. Governo ladro!
DANIELE MOLGORA. In mezzo al totale marasma delle finanza pubblica italiana si trova il coraggio di aumentare l'IVA sul gas metano al sud al 19 per cento - la stessa aliquota prevista per il nord - facendo però finta di dimenticarsi dell'imposta di consumo, che è largamente penalizzante per le popolazioni della Padania che pagano più del doppio rispetto al sud.
DANIELE ROSCIA. È divisa!
DANIELE MOLGORA. Temiamo fortemente che questo Governo risarcirà il sud dell'aumento dell'IVA con altri interventi, ovviamente molto più costosi. Già sappiamo che vi è un disegno di legge sulla metanizzazione del Mezzogiorno, pronto per consentire l'elargizione di centinaia di miliardi.
GIACOMO STUCCHI. Babbo Natale!
DANIELE MOLGORA. Si tratta dunque del solito intervento di facciata che questo Governo non si esime dall'effettuare.
GIACOMO STUCCHI. Bravo! Padania libera!
GIANCARLO PAGLIARINI. Bravo!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marzano. Ne ha facoltà.
ANTONIO MARZANO. Presidente, onorevoli colleghi, il decreto di fine anno più che un pacchetto è una paccottiglia di disposizioni varie, talvolta con effetti di segno contrario sulla finanza pubblica, ma soprattutto prive di un disegno organico.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nesi. Ne ha facoltà.
NERIO NESI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo di rifondazione comunista ha avuto serie difficoltà a votare a favore di questo provvedimento per due ragioni di fondo. In linea generale perché siamo perplessi su questo modo di governare l'economia nazionale, un modo che si basa su dati di bilancio incerti, su continue richieste di nuove manovre senza una linea generale visibile, concreta, chiaramente identificabile. Per questa ragione eravamo favorevoli ad anticipare l'esame della legge finanziaria 1997-98.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Caveri. Ne ha facoltà.
LUCIANO CAVERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei esprimere in questa dichiarazione di voto, da una posizione di libertà che mi deriva dalla non appartenenza stretta ad uno schieramento, alcune riflessioni da un lato sul contenuto del decreto-legge, dall'altro sulla situazione politica che si sta delineando in queste ore.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Targetti. Ne ha facoltà.
FERDINANDO TARGETTI. Presidente, onorevoli colleghi, con la conversione in legge del decreto-legge n. 669 si attua il quarto passo di un complesso iter iniziato con la manovra del giugno scorso. L'effetto sulla finanza pubblica di tale decreto-legge dovrebbe comportare circa 4.300 miliardi e dovrebbe protrarsi nei prossimi due anni per una cifra di 5 mila miliardi di lire. La manovra complessiva di finanza pubblica assomma, quindi, ad un importo di quasi 80 mila miliardi che, anche al netto di operazioni di tesoreria, comporta uno sforzo secondo solo alla manovra Amato, con la differenza che allora si diminuiva un bilancio pubblico assai pingue, mentre oggi si deve far perdere peso ad un bilancio assai più magro e, quindi, lo sforzo richiesto è assai maggiore. Lo dimostra il fatto che, grazie a questa manovra complessiva, il nostro bilancio pubblico dovrebbe raggiungere quest'anno tra il 6 e il 7 per cento di avanzo primario, ponendosi tra i bilanci più virtuosi d'Europa.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.
PIETRO ARMANI. Signor Presidente, anche per ampliare un po' i temi specifici su cui si è discusso, vorrei fare riferimento a quanto ci dicono i giornali di oggi.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.
CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il voto contrario del gruppo dei cristiani democratici su questa manovra è facilitato dal contesto di assoluta confusione in cui si colloca rispetto alla politica governativa, o, meglio, a quella che dovrebbe essere una politica governativa per risolvere il problema del deficit pubblico e per far rientrare l'Italia nei parametri di Maastricht. Lo scontro sulla finanziaria è stato forte. È ormai evidente che tale manovra, i cui effetti i cittadini cominceranno a pagare nei prossimi mesi, non ha risolto alcun problema strutturale della spesa pubblica. Ci troviamo a dover votare una manovra correttiva e sui giornali di questa mattina leggiamo di un altro drammatico confronto in essere all'interno della maggioranza, per un'altra manovra che si annuncia come indispensabile per 10, 15, 20 mila miliardi (come al solito siamo di fronte ad un balletto di cifre).
PRESIDENTE. Cinquantacinque secondi!
CARLO GIOVANARDI. ...vorrei dire che noi siamo preoccupati non soltanto del contenuto di questo decreto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Danese. Ne ha facoltà.
LUCA DANESE. Credo che molte cose siano state dette e quindi si rischia di essere ripetitivi. Tuttavia, ritengo che alcune considerazioni vadano fatte rispetto al modo con cui il Governo viene regolarmente dinanzi al Parlamento, prima in Commissione e poi in aula, a chiedere su questi temi e sulla sua azione legislativa fiducia e solidarietà.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fragalà. Ne ha facoltà.
VINCENZO FRAGALÀ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quanti sono intervenuti in precedenza per il Polo per le libertà, ma soprattutto l'onorevole Armani, che ha iniziato il fuoco di fila delle contestazioni a questo decreto per il gruppo di alleanza nazionale, hanno ampiamente illustrato le motivazioni che ci inducono a non votare a favore della conversione di questo decreto-legge. Esso penalizza e penalizzerà gli italiani, l'economia del paese e le prospettive politico-finanziarie dell'intera Italia e ciò è da addebitarsi alla politica che la maggioranza che sostiene il Governo ha scelto, appoggiata da una minoranza di italiani che alle elezioni ha votato per lo schieramento dell'Ulivo, alleato con rifondazione comunista, contro la maggioranza degli italiani che invece ha votato per il Polo. Si tratta di una politica economica che ha immediatamente tradito il programma elettorale dell'Ulivo il quale prometteva, alla tesi 32, come oggi riporta un editoriale de Il Giornale diretto da Vittorio Feltri, di mantenere la pressione fiscale invariata nel prossimo triennio, rispetto ai livelli del 1995.
PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, le restano 29 secondi di tempo per concludere il suo intervento!
VINCENZO FRAGALÀ. Ho ascoltato da un collega dell'opposizione un apprezzamento rispetto al cosiddetto decreto pro rottamazione (cioè, pro senatore Agnelli e pro FIAT) ed un giudizio contrario alla legge Tremonti. Consiglierei a quel collega di leggere gli annunci di cessione di aziende riportati in tutti i quotidiani del nord nei quali, come elemento di qualificazione positiva per la cessione di azienda, vi è scritto: azienda si cede, con legge Tremonti (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pagliuca. Ne ha facoltà.
NICOLA PAGLIUCA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, qual è il primo discorso che intendiamo sottolineare? Che ancora una volta la maggioranza è ricorsa alla blindatura di un provvedimento! Abbiamo constatato come il disegno di legge di conversione n. 3181, proveniente dal Senato, non ha visto alcuna disponibilità da parte della maggioranza ad accogliere emendamenti giustissimi delle opposizioni. Questi ultimi, addirittura, in alcuni casi andavano a correggere errori madornali che erano stati commessi - forse anche
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovanni Pace. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PACE. Signor Presidente, mi accingo a spiegare - se ancora ve ne fosse bisogno, ma ritengo di no, considerato che abbiamo svolto articolati interventi in sede di discussione generale - la ragione per la quale alleanza nazionale, ma credo di poter dire il Polo, esprimerà un voto negativo sul provvedimento al nostro esame.
PRESIDENTE. Il tempo, onorevole Pace.
GIOVANNI PACE. Ha ragione, Presidente. Ma volevo dire che questo provvedimento è bugiardo.
PRESIDENTE. Onorevole Pace, dato atto di questa sua affermazione, la prego di concludere il suo intervento.
GIOVANNI PACE. È bugiardo laddove dice che si possono detrarre le spese relativamente ai mutui per gli interventi di restauro da terminare entro il 31 dicembre ...
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Pace.
MARIO LANDOLFI. Il Governo non sente!
PRESIDENTE. Onorevole Landolfi, per cortesia!
MARCO TARADASH. Purtroppo, comprendo il sottosegretario...
PRESIDENTE. Il sottosegretario Marongiu ha il diritto di comportarsi in aula come meglio crede!
MARIO LANDOLFI. Questo è contestabile!
MARCO TARADASH. Quello che ha detto, Presidente, sarebbe vero se il sottosegretario Marongiu non fosse l'unico rappresentante del Governo presente! Poiché credo che sia diritto di ogni parlamentare essere ascoltato dal Governo,
PRESIDENTE. Onorevole Taradash, l'avverto che il tempo a sua disposizione sta trascorrendo! Lei non può avere questa pretesa.
MARCO TARADASH. Questa è una sua scelta, Presidente! La mia scelta è quella di farmi ascoltare dal Governo! Non capisco per quale altro motivo in questa fase io stia in Parlamento se non per parlare al Governo!
ENZO TRANTINO. È offensivo, Presidente!
PRESIDENTE. Onorevole Taradash, lei ha già consumato un minuto e mezzo!
MARCO TARADASH. Signor Presidente, io la stimo molto, ma non voglio rivolgermi solo a lei bensì anche al Governo. È un mio diritto!
GIOVANNI MARONGIU, Sottosegretario di Stato per le finanze. Sono solo e sono stato chiamato!
MARCO TARADASH. Infatti non me la sono presa con lei. Lei è solo e comprendo benissimo le sue esigenze. Forse ci si dovrebbe domandare come mai il Governo sia rappresentato da un unico sottosegretario (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale)!
GIOVANNI MARONGIU, Sottosegretario di Stato per le finanze. Mi associo!
MARCO TARADASH. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, siamo forse alla conclusione di un iter, quello relativo alla manovra finanziaria, che ha attraversato per diversi mesi le aule parlamentari (anche se adesso si parla e si legge sui giornali di una «manovrina»; ma non sappiamo se ci sarà o non ci sarà). Il decreto di fine anno di cui stiamo discutendo chiude quel «pacchetto».
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.
MANLIO CONTENTO. Credo di poter iniziare il mio intervento riprendendo dei temi che ho tentato di sollevare in quest'aula e che credo opportuno sottolineare anche alla Presidenza perché possano in qualche modo essere risolti per il futuro, se non in relazione alla conversione di questo decreto-legge. Mi riferisco in particolare ad un aspetto, completamente ignorato all'interno della Camera, relativo al momento in cui viene posta la questione di fiducia su un provvedimento come quello al nostro esame.
PRESIDENTE. Sono a sua disposizione gli strumenti del sindacato ispettivo: la Presidenza non può inserirsi in questo problema.
MANLIO CONTENTO. Prendo atto della sua risposta e me ne dolgo, perché tramite gli atti di sindacato ispettivo non sarò mai posto in grado di sapere se le regole siano state rispettate; potrò saperlo solo a posteriori quando, ovviamente, vi sarà stata la possibilità di porre riparo ad eventuali imprecisioni.
PRESIDENTE. Onorevole Contento, lei sa meglio di me che Montesquieu ha scritto queste cose due secoli fa.
MANLIO CONTENTO. Io mi trovo in quest'aula adesso (Applausi) e, con tutto il rispetto dovuto a Montesquieu, mi occupo del mandato parlamentare di cui sono stato direttamente investito.
PIETRO ARMANI. Bravo!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Conte. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO CONTE. Presidente, onorevoli colleghi, intanto plaudo all'intervento dell'onorevole Mattioli, che è velocemente venuto a dare manforte al povero sottosegretario onorevole Marongiu - mi scuso con lui - che si sentiva solo soletto nei banchi del Governo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Alberto Giorgetti. Ne ha facoltà.
ALBERTO GIORGETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto di fine anno attualmente in discussione dimostra, a mio modo di vedere e penso anche a modo di vedere di tutto il gruppo di alleanza nazionale, le incongruenze e le incapacità evidenti dell'attuale Governo e della maggioranza che lo sostiene ad affrontare una politica economica e finanziaria che possa offrire garanzie di stabilità ad una nazione che si trova ormai in condizione di grave recessione e forte instabilità sociale.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Alberto Giorgetti (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, pensando tra me e me, ricordavo le parole di un personaggio che ha determinato la storia del nostro paese per vent'anni, quando, parlando di quest'aula, la definiva sorda e grigia; io oggi la definirei sorda, grigia e vuota! Avrei potuto benissimo impostare il mio intervento forse anche sul festival di Sanremo, su Valeria Marini, sarebbe stata la stessa cosa... Forse meglio, come mi suggerisce qualcuno. Dico questo per mettere in risalto l'atteggiamento che è stato assunto nei confronti di un'opposizione che pur porta avanti istanze qualificate, giuste e in linea con la propria posizione politica. Ciò che non si può dire da parte della maggioranza è proprio questo; la dicotomia che viene fuori principalmente da questo provvedimento - ed è questo il dato politico più pregnante che si deve mettere in risalto - consiste nella differenza enorme tra quanto dichiarato agli elettori per portare acqua al mulino dell'Ulivo e quanto invece si è fatto, si tenta e si continua a fare con provvedimenti della natura di quello del quale oggi ci occupiamo.
MARIA CARAZZI. Vergognati tu!
ANTONIO LEONE. Vergogna, perché non si può supportare il Governo dicendo di condividere alla fine con il voto questo provvedimento sulla scorta di una raccomandazione, neanche di un accoglimento di un ordine del giorno, ma di una semplice raccomandazione su quelle che sono le vostre presunte istanze! È questo che bisogna mettere in risalto, perché vi mettete l'anima in pace, perché continuate a supportare un Governo in cui neanche voi credete, perché state tradendo gli elettori, ma fino ad un certo punto...! Infatti, alcune promesse elettorali ben vengono mantenute con questo provvedimento, perché in costanza ed in presenza di un disprezzo totale nei confronti del Mezzogiorno, dei meno abbienti, si passa invece, d'un colpo, agli aiuti a chi ha supportato l'Ulivo durante la campagna elettorale. E vi parlo degli aiuti alla FIAT, ad Agnelli!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marengo. Ne ha facoltà.
LUCIO MARENGO. Signor Presidente, colleghi, parlare in un'aula vuota, alla presenza di un sottosegretario annoiato, forse giustamente, per l'atteggiamento di questo Governo...
MARIA CARAZZI. Non è interessante quello che dite!
LUCIO MARENGO. A mio avviso, cara collega, si ha l'impressione che siamo all'inizio della fine della democrazia in Italia. Questa è dittatura strisciante. Questo Governo sta occupando tutti i posti possibili ed immaginabili d'Italia: dai prefetti di colore, ovviamente politico, ai questori ed a tutti gli altri posti chiave.
GIANNI MARONGIU, Sottosegretario di Stato per le finanze. Il dato è il 26,5 per cento. Il resto sono contributi previdenziali.
ITALO BOCCHINO. Il Governo può sempre chiedere la parola!
PRESIDENTE. Per cortesia, colleghi!
LUCIO MARENGO. Quando si parla di evasione fiscale, bisogna farlo concretamente e seriamente, non creando carrozzoni politici chiamati SECIT che servono soltanto a sperperare il pubblico denaro e non hanno funzionalità.
PRESIDENTE. Sottosegretario Marongiu, lei intendeva prendere la parola?
GIANNI MARONGIU, Sottosegretario di Stato per le finanze. Signor Presidente, se può interessare, vorrei fare una precisazione linguistica. Quando si parla di pressione fiscale, occorre distinguere tra pressione fiscale e parafiscale. La pressione fiscale è al 26,5 per cento, la restante è contributiva e parafiscale.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Brancati ed altri n. 9/3181/5...
Riprendiamo la votazione.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Brancati ed altri n. 9/3181/5, non accettato dal Governo.
(Segue la votazione).
Comunico il risultato della votazione:
Presenti e votanti 445
Maggioranza 223
Hanno votato sì 214
Hanno votato no 231
(La Camera respinge).
Intende aggiungere qualche considerazione sul precedente ordine del giorno Brancati ed altri n. 9/3181/5, onorevole sottosegretario, affinché rimanga politicamente agli atti?
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Pampo ed altri n. 9/3181/7, non accettato dal Governo.
(Segue la votazione).
Comunico il risultato della votazione:
Presenti e votanti 460
Maggioranza 231
Hanno votato sì 218
Hanno votato no 242
(La Camera respinge).
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti 454
Votanti 448
Astenuti 6
Maggioranza 225
Hanno votato sì 66
Hanno votato no 382
(La Camera respinge).
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti 444
Votanti 442
Astenuti 2
Maggioranza 222
Hanno votato sì 167
Hanno votato no 275
(La Camera respinge).
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti 462
Votanti 461
Astenuti 1
Maggioranza 231
Hanno votato sì 168
Hanno votato no 293
(La Camera respinge).
Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Teresio Delfino. Ne ha facoltà.
Colleghi, per cortesia! Onorevole De Murtas! Onorevole Montecchi! Onorevole Evangelisti, prenda posto, per favore! Onorevole Bassanini, vuole prendere posto?
Parli pure, onorevole Delfino.
a votare rappresenta il completamento della manovra per il 1997 secondo le linee già fissate nel documento di programmazione economico-finanziaria e le proposte già approvate con il provvedimento collegato alla legge finanziaria 1997.
Prego, onorevole Delfino.
Non sono sufficienti azioni modeste...
Prego, onorevole Delfino.
È chiaro infatti che il nostro paese, senza riforme strutturali, senza le privatizzazioni, senza il rilancio dell'economia e delle riforme istituzionali, non uscirà da una situazione che diventa ogni giorno più drammatica sotto il profilo occupazionale e non riuscirà a far parte dell'unione monetaria europea dal 1 gennaio 1999. Abbiamo detto con grande convinzione e senza alcuna invidia, sottosegretario Cavazzuti, che i risultati conseguiti dal Governo...
Sospendo la seduta per alcuni minuti. Non è possibile continuare a lavorare in queste condizioni!
Onorevole Del Bono, la richiamo all'ordine per la prima volta!
Continui pure la sua dichiarazione di voto, onorevole Teresio Delfino.
I problemi che impediscono di valorizzare i risultati sull'inflazione e sui tassi di interesse sono noti: una spesa pubblica fuori controllo, la rigidità del mercato del lavoro, la necessità di un più alto e diverso livello di risorse per gli investimenti, per la formazione, per il sostegno alle piccole e medie imprese. I cittadini italiani hanno già compiuto rilevanti sacrifici senza poter constatare risultati corrispondenti sul piano della qualità dei servizi. Ora non possono più aspettare perché gli effetti di tali sacrifici diventano ancora più pesanti da sopportare se, anziché produrre la crescita dell'economia, inducono invece un aumento della disoccupazione. I tempi si fanno stretti e le scadenze europee si avvicinano rapidamente. Noi vogliamo evitare un ulteriore declino della nostra economia, che purtroppo si intravede in questi mesi. Il provvedimento in esame, come ha fatto emergere il dibattito svoltosi anche in quest'aula, lascia aperte tutte le grandi questioni; contiene una serie di misure sulle quali, con la fiducia che è stata posta, ci è stata negata la possibilità di un adeguato confronto. È vergognoso che la Camera dei deputati sia ridotta ad una funzione puramente notarile. Per questo vogliamo denunciare al Governo che la sua politica dei piccoli passi, del quotidiano sopravvivere, della completa incoerenza rispetto agli impegni elettorali, non ci porterà lontano.
Il Governo aveva dichiarato - soprattutto il Presidente del Consiglio - che avrebbe fatto l'impossibile per entrare fin dall'inizio nella moneta unica europea.
Oggi possiamo dire che sul piano dell'aumento delle tasse il Governo ha mantenuto tale impegno, venendo invece meno ad un progetto coerente per quanto concerne il contenimento della spesa pubblica. L'obiettivo di Maastricht può essere raggiunto soltanto se si mette mano ad una profonda e radicale riforma dello Stato sociale senza rinunciare alla tutela dei soggetti deboli, ma sapendo valorizzare la famiglia come risorsa centrale del nuovo welfare state italiano. Su questo tema in particolare nelle dichiarazioni programmatiche il Presidente del Consiglio aveva assunto un impegno forte ma, dopo dieci mesi, non si intravede un progetto di vero sostegno alla famiglia, in carenza del quale nel nostro paese assistiamo pure ad un drammatico e progressivo calo demografico.
Realizzare i parametri di Maastricht significa prendere atto che i conti della previdenza vanno posti rapidamente sotto controllo per evitare l'esplosione del sistema previdenziale e per recuperare risorse agli investimenti; significa altresì sbloccare le privatizzazioni, che oggi purtroppo segnano il passo, ed è necessario affrontare con decisione il problema del mercato del lavoro incidendo senza altri ritardi sugli sprechi ancora rilevanti della spesa pubblica.
Sono queste, signor Presidente, le riflessioni che ci rendono molto preoccupati della situazione del paese e della sua possibilità di soddisfare i criteri di Maastricht; se non entriamo in Europa, domani
avremo minori possibilità di far sentire la nostra voce, rischiando la nostra progressiva emarginazione. L'interesse generale del paese richiede una svolta urgente nella politica economica del Governo, che avvertiamo peraltro essere condivisa anche da esponenti della maggioranza.
Non vorremmo che il legame tra rifondazione comunista ed il Governo dell'Ulivo, nato per battere la coalizione di centro-destra con un patto di desistenza, diventi ora una mortale camicia di Nesso per il nostro paese, con sofferenze indicibili per gli italiani ma senza risultati concreti. A nostro giudizio il Governo deve uscire dall'ambiguità e deve dire con chiarezza al paese se gli obiettivi di Maastricht sono compatibili o meno con quelli di rifondazione comunista, se è possibile perseguire il risanamento dei conti pubblici del paese con questa maggioranza o se è necessario un diverso quadro politico per vincere la sfida di Maastricht.
Come cristiani democratici non siamo interessati alle altalenanti affermazioni di tutti coloro che un giorno affermano la necessità di un largo concorso di tutte le forze politiche per superare le gravi emergenze del nostro paese, salvo poi negarle il giorno successivo ribadendo all'attuale disomogenea e insufficiente maggioranza piena fedeltà. Chiediamo, come cristiani democratici, che sia superato questo teatrino da parte della maggioranza perché è indecoroso e soprattutto irriguardoso per gli italiani che da tempo affrontano onerosi sacrifici e vorrebbero quindi avere su Maastricht una risposta chiara e definitiva dal Governo. In caso contrario, sarebbe più dignitoso per tutti decidere, senza alcun ricatto, di andare alle urne e responsabilizzare i cittadini sul futuro del nostro paese.
Il convinto voto contrario dei cristiani democratici a questo provvedimento vuole pertanto essere un'ulteriore sollecitazione al Governo ed alla sua maggioranza perché superi questa situazione ed assuma una nuova e più alta responsabilità rispetto agli interessi veri dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo del CCD).
Chiaramente posso sbagliarmi perché lei, Presidente, vede le cose dallo scranno più alto; mi sembra però che non sussistessero, almeno per quei colleghi che lei ha richiamato, le condizioni previste dall'articolo 59.
L'articolo 61 prevede poi che il Presidente sospenda la seduta, in caso di tumulto in aula, dopo reiterati richiami da parte della Presidenza.
Mi sembra, signor Presidente, che da parte sua vi sia stata un'interpretazione estensiva di questi due articoli.
Le condizioni dell'aula in quel momento erano tali da non permettere assolutamente all'oratore di proseguire nel suo intervento! Ciascun deputato - e soprattutto un deputato dell'opposizione - ha diritto di parlare in un contesto di serenità. Quando ciò non gli viene consentito dall'Assemblea, in quanto le sue parole non possono essere ascoltate da nessuno, nemmeno dal Presidente che gli sta di fronte, è dovere del Presidente ricreare in aula condizioni tali per cui ciascuno - soprattutto se appartiene all'opposizione - possa esprimere la sua opinione in un clima sereno e tranquillo
e possa essere ascoltato. Altrimenti l'opposizione non ha nemmeno lo spazio per esprimere le sue opinioni.
Mi stupisce che proprio da un deputato dell'opposizione sia venuto un richiamo del genere (Applausi).
Con quale credibilità ci possiamo presentare agli altri paesi dell'Unione europea se, invece di ridurre il peso e il costo di questo Stato romano sull'economia, la maggior parte dell'intervento in discussione consiste nelle solite anticipazioni finanziarie di quindici giorni, esclusivamente per anticipare a dicembre del 1997 ciò che si dovrebbe incassare a gennaio del 1998? È il solito gioco delle tre tavolette a cui questo Governo ci ha abituati troppo spesso.
Quale credibilità offre questo Governo che prosegue sulla strada dei regali? I 2 mila 250 miliardi di sgravi contributivi al Mezzogiorno sono l'esempio più evidente, ma possiamo proseguire con quello relativo a Napoli, dove Bassolino si aggiudica, in questa strana lotteria, altri 25 miliardi perché evidentemente non sono bastati i precedenti cadeau relativi ai lavori socialmente utili, che negli ultimi sei anni ci sono costati - solo per Napoli - ben 730 miliardi (gli ultimi 135 miliardi nel 1996).
Ci troviamo dinanzi al solito atteggiamento di «attribuire» a piene mani le tasse pagate dai contribuenti della Padania al fine di ingrassare le solite clientele mafiose cui anche questo Governo fa riferimento (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Ma non sono solo queste le clientele! Infatti nei meandri del grande capitale troviamo altre clientele o meglio altri clienti. Mi sto riferendo alla solita ben conosciuta famiglia Agnelli, maestra nel privatizzare utili da capogiro e nel socializzare costi stratosferici, dopo aver fruito di contributi, di sgravi e via dicendo. Ci troviamo dinanzi in questo caso - una volta di più - ad una leggina ad hoc.
L'unica norma vera è quella relativa all'immancabile aumento della benzina; da un lato, si favorisce l'acquisto di autovetture nuove, ma, dall'altro, si prosegue aumentando la benzina. Un aumento che, originariamente previsto per finanziare la spedizione in Bosnia, è stato prorogato come sempre avviene in occasione di ogni aumento di imposta. Si abbia almeno l'onestà di dire che tale aumento è definitivo e non che esso cesserà il 31 dicembre 1998!
Immancabile poi la proroga del concordato di massa per il 1994 e il prossimo aumento dei tabacchi. In questo disorganico «ammonticchiarsi» di disposizioni non poteva mancare l'ulteriore elargizione alle popolazioni nomadi della ex Iugoslavia. Sono stati 125 miliardi nel 1992, 50 nel 1994, 45 nel 1995, nel 1996 ne erano già stati stanziati 45 ai quali se ne aggiungono 29, nel 1997 saranno altri 45, per un totale di 339 miliardi. Si tratta di soldi che, guarda caso, vengono tutti gestiti dalle solite associazioni di volontariato tanto care alla sinistra e agli ex democristiani: questo è il modo migliore per mantenere apparati burocratici legati al loro entourage.
Alla fine il Governo, impegnato a fare regali a destra e a manca, ad inventare trucchi contabili da primo ragioneria, dimostra l'incapacità del sistema romano di toccare le spese produttive. Si continua sulla strada lastricata d'oro - oro prelevato dalla Padania - del Giubileo del duemila, del ripianamento delle perdite
dell'Alitalia, invece di privatizzarla, dei 18 mila forestali della Calabria, delle false pensioni di invalidità, delle Olimpiadi del 2004, di Bagnoli, del terremoto del Belice eccetera, eccetera (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Il gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania ha sempre, viceversa, evidenziato queste sperequazioni ai danni della Padania e ha sempre chiesto che l'equiparazione del trattamento fiscale sul gas metano mantenesse invariata la pressione fiscale globale sul settore. L'obiettivo sarebbe stato raggiungibile, fermo restando l'aumento dell'IVA al sud, riducendo l'imposta del consumo per le aree padane e innalzando allo stesso livello l'imposta del consumo per il sud. In tale modo si sarebbe raggiunta una pressione fiscale intermedia pari per tutte le aree. Invece, ancora una volta, l'Italia è divisibile.
Bisogna tuttavia ribadire che in questo provvedimento il rapporto tra regali ed imposte al sud è, come sempre, sbilanciato in favore dei regali.
In conclusione, il provvedimento al nostro esame è un vero e proprio pateracchio: in esso si spaccia per grande amministrazione dello Stato quella che è semplicemente una vera e propria presa in giro. È un provvedimento inconsistente nelle entrate e molto consistente, invece, per quanto riguarda le maggiori uscite; un provvedimento - se vi erano dei dubbi - che non fa altro che allontanarci ancora di più dall'Europa. Pertanto ribadisco il voto contrario della Padania su questo provvedimento. (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania - Congratulazioni).
Il nostro paese è sotto osservazione e i mercati internazionali gli riservano attestati pesanti di sfiducia che si esprimono
con la cessione dei nostri titoli pubblici e con il deprezzamento recente della nostra moneta.
Sono ben altre le misure di cui ci sarebbe bisogno, invece si continuano a varare interventi una tantum, consistenti nella anticipazione delle accise, si prorogano oneri che al momento della loro introduzione erano stati detti temporanei, si interviene ancora sui farmaci, colpendo un settore già in piena crisi per effetto della politica complessiva del Governo, e via seguitando con aumenti dei bolli, imposte di registro e balzelli vari.
Ognuno può giudicare quale tipo di messaggio si ricavi da questi interventi frammentari, non strutturali, che tradiscono impegni passati, che producono recessioni settoriali. Il Governo perde credibilità, come dimostrano in questi giorni i mercati dei titoli pubblici e delle valute, e all'interno esso perde credibilità perfino come bookmaker, perché stanno crollando anche gli acquisti dei biglietti delle lotterie pubbliche. In nessun modo gli aggiustamenti proposti possono essere interpretati come il segno di un cambiamento di rotta serio, strutturale e duraturo della politica del bilancio pubblico nel nostro paese.
In un provvedimento che dovrebbe produrre effetti di miglioramento della finanza pubblica non vi è traccia di misure volte ad eliminare gli sprechi dello Stato. Pensate che non ve ne siano più e che si sia raschiato il fondo del barile? Sarà, ma in quel fondo io intravedo ancora spese inutili, anzi, per l'esattezza, intravedo 550 enti inutili che costano varie centinaia di miliardi all'anno.
Invece si interviene con incentivi alla rottamazione, il cui proposito è quello di sostenere l'attività del settore automobilistico. Ma anche questo è un provvedimento che non risponde certo ad un intervento organico ed unitario di politica economica ed anzi confonde le cose. Perché si interviene su un settore, per quanto importante, piuttosto che su di un altro? E che relazione vi è tra un intervento di tale natura e i profusi riconoscimenti dei meccanismi delle economie di mercato, sui quali questo tipo di norme interferisce pesantemente?
In effetti, se c'è un eccesso di offerta di auto, il meccanismo di mercato dovrebbe essere quello di una riduzione del prezzo delle auto medesime e di un allungamento del credito agli acquirenti. Invece, un provvedimento di questo tipo impedisce che il prezzo delle auto diminuisca; in altre parole, dopo una politica di sostegno dei prezzi agricoli, questo paese passa ad una politica di sostegno dei prezzi automobilistici. E quale sarà l'effetto di questo intervento una volta raggiunta la scadenza della sua applicazione? Solo un crollo improvviso della domanda di auto. Perché non vi decidete piuttosto a «rottamare» gli enti inutili?
Il decreto ci offre, infine, altre prove di inettitudine governativa quando detta norme in materia di blocco degli impegni e di cosiddetto monitoraggio della spesa (articolo 8). È facile prevederne le conseguenze. Innanzitutto si ridurranno gli impegni relativi alle spese in conto capitale, in gran parte cioè spese di investimento pubblico che da oltre dieci anni vengono sistematicamente sacrificate. Si sta così trasformando grado a grado l'Italia in un paese che, sotto il profilo delle infrastrutture, assomiglia sempre più al terzo mondo.
In secondo luogo, si limitano i prelevamenti presso la tesoreria dello Stato. In altre parole, è possibile assumere impegni di spesa, ma poi non si dà luogo ai pagamenti. Ci si rende conto del fatto che così si raggirano le imprese che forniscono al settore pubblico beni o servizi? Si tratta di imprese che si indebitano contando sulla riscossione del dovuto e poi si trovano di fronte al blocco di tesoreria. Il rischio di fallimento dello Stato si trasforma così in rischio di fallimento delle imprese fornitrici dello Stato medesimo. È il contagio del fallimento pubblico.
È inutile osservare che, se il blocco della spesa riduce ovviamente il fabbisogno di cassa, fa però crescere i residui passivi, che sono pur sempre una forma di
debito dello Stato quando si tratta, come nel caso, di residui propri e non di stanziamento. Una politica che fa crescere, sia pure surrettiziamente, il debito pubblico è forse una politica seria di risanamento?
Infine, con il collegato alla legge finanziaria si sollecitavano gli enti a finanza derivata a smaltire le giacenze di tesoreria perché, se queste non fossero calate al 20 per cento, non ci sarebbero stati più versamenti da parte dello Stato. Con il provvedimento odierno, invece, - «contrordine, compagni!» - si limitano le possibilità di smaltimento, vietando di prelevare dai conti oltre il 90 per cento del prelevato nel 1996. Vi è contraddizione tra questi interventi: gli enti ricevono incentivi di segno contrario che si annullano a vicenda perché il Governo non sa cosa vuole.
In conclusione ci troviamo di fronte ad un provvedimento raffazzonato, non strutturale, contraddittorio e mistificatorio; eppure questo Governo si è trovato di fronte ad una opposizione che ha dichiarato di voler anteporre l'interesse generale del paese rispetto a quello, pur legittimo, di limitarsi ad un'azione di contrasto. In questa occasione specifica abbiamo proposto in Commissione bilancio e nelle altre Commissioni miglioramenti che la stessa maggioranza ha riconosciuto validi nel merito, ma che ha rigettato al solo scopo di evitare che il provvedimento tornasse al Senato. La Camera esiste o siamo diventati, senza accorgercene, un Parlamento monocamerale?
Siamo dunque in totale disaccordo sul merito di questa cosiddetta «manovrina» di fine anno e sulle procedure seguite: l'inversione dell'ordine del giorno, il rigetto pregiudiziale degli emendamenti e, infine, il voto di fiducia. Avevamo il dovere di dichiarare la contrarietà di forza Italia, non potevamo certo limitarci a dire, di fronte a questo decreto: «vieni avanti, decretino»! Preannuncio quindi il voto contrario di forza Italia (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Tutta la politica economica del Governo è dominata da un obiettivo ossessivo ed ossessionante: raggiungere parametri - quelli di Maastricht - scritti da tecnocrati irresponsabili, approvati da politici distratti o incompetenti. Un obiettivo dal quale tutti i paesi europei, escluso il Lussemburgo, tentano ora di prendere le distanze, aspettando tutti che sia la Germania a fare il primo passo. Avevamo avvertito da tempo, anche in via ufficiale, il Presidente del Consiglio ed il ministro del bilancio che la vera tassa per l'Europa non sarebbe stata quella approvata dal Parlamento ma la recessione che l'Italia sta vivendo.
In preda com'è all'ansia monetaristica, il Governo non sembra molto interessato ad affrontare questa che è invece la vera emergenza nazionale. Noi siamo, al contrario, convinti che sarà decisivo il modo in cui il nostro paese uscirà dalla recessione e che saranno ancora più decisivi il tipo e la qualità della struttura economica del paese che avremo fra due o tre anni. Tutto questo per quanto riguarda l'occupazione, lo Stato sociale, la rinascita del Mezzogiorno, l'assetto dei grandi gruppi industriali, commerciali e finanziari, le condizioni e le regole per la crescita delle piccole imprese, la giustizia fiscale, il funzionamento della pubblica amministrazione.
Vorrei dedicare una sola osservazione al sistema produttivo; un problema al
quale il Governo non sembra dare grande importanza.
La situazione si è in questi mesi aggravata sotto tre aspetti e naturalmente si è aggravata la situazione dell'occupazione. Il primo: il processo di rivalutazione della lira ha assunto un andamento più rapido del previsto; le imprese si trovano ad affrontare d'un colpo il problema di una minore capacità concorrenziale all'estero.
Il secondo: tale aspetto si collega alla fase congiunturale di stagnazione che caratterizza tutta l'Europa.
Il terzo: il rapido rientro dall'inflazione, effetto della caduta della domanda, concorre a sua volta ad una caduta della domanda interna. Con il calo dell'inflazione diminuisce il tasso d'interesse corrisposto dallo Stato sul debito pubblico; lo Stato potrà risparmiare dai 20 mila ai 30 mila miliardi all'anno. Senonché lo Stato è indebitato - come è noto - quasi esclusivamente nei confronti dei risparmiatori nazionali. Diminuiscono così le entrate delle famiglie per un ammontare quasi pari al risparmio dello Stato. Le entrate delle famiglie sono state già fortemente penalizzate dall'imposizione diretta o indiretta, dalla diminuzione dei benefici dello Stato sociale e dal corrispondente accrescimento dei costi che le famiglie devono affrontare in modo diretto. La caduta, improvvisa e netta, del reddito prodotto dal risparmio accumulato crea una condizione di disagio grave, anche perché inattesa e non prevista.
Da tutto questo deriva la diminuzione della domanda. La diminuzione della capacità di concorrenza all'estero e la diminuzione della domanda italiana significano recessione! Ne è prova la diminuzione consistente dei livelli di produzione che vengono da noi denunciati in questi ultimi mesi.
Il Governo non si rende conto che occorre un grande piano per lo sviluppo del paese. Il Governo non si rende conto inoltre che occorre un grande piano per l'occupazione soprattutto nell'Italia meridionale; ed il rinvio sine die della conferenza nazionale per l'occupazione è prova di questa grave non conoscenza delle realtà da parte del Governo.
Vorrei svolgere una sola osservazione sulla parte del provvedimento in esame che riguarda le agevolazioni per l'industria automobilistica, che è la parte fondamentale sul piano politico del disegno di legge di conversione in esame. Fin dal momento in cui si cominciò a parlare di queste agevolazioni il nostro gruppo precisò la propria posizione; e lo fece nel modo più alto: con una mozione presentata il 22 dicembre scorso, che venne firmata da tutti i deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti.
In quella mozione - che non ha avuto purtroppo riscontro da parte del Governo - si impegnava l'esecutivo a subordinare ogni intervento di natura straordinaria a favore delle imprese automobilistiche ad alcune precise condizioni.
La prima: che venisse presentato un progetto di politica industriale che, partendo dall'evolversi della situazione dei trasporti di persone e di merci, definisse la struttura produttiva del settore per l'Italia.
La seconda: che il Parlamento venisse posto a conoscenza di quanto sono costati allo Stato gli aiuti alle industrie automobilistiche negli ultimi 10 anni, in termini di sgravi contributivi, cassa integrazione guadagni, pensionamenti anticipati, fondi per la formazione professionale, fondi per l'occupazione, contributi sui finanziamenti alle imprese industriali, contributi ad imprese per investimenti ad alto contenuto tecnologico, contributi ad imprese esportatrici, contributi ed investimenti sulla ricerca.
La terza: che le imprese automobilistiche mettessero a conoscenza il Governo ed il Parlamento della loro strategia per l'Italia.
Ricordo a questa Camera che ormai su 100 automobili di marche italiane ben 40 sono prodotte fuori dal territorio nazionale, che nei prossimi cinque anni queste 40 diventeranno 50 e che anche nelle 50
macchine prodotte in Italia la parte componentistica non è più prodotta nel nostro paese.
La nostra mozione è stata trasformata al Senato in un ordine del giorno, che è stato accolto dal Governo come raccomandazione.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa è la sola ragione che ci induce al voto favorevole, oltre alla coerenza con il voto di fiducia al Governo che abbiamo dato ieri. (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).
Esprimiamo in particolare preoccupazione per questa sorta di blocco dei lavori parlamentari a cui stiamo assistendo, con il meccanismo perverso fiducia-ostruzionismo o ostruzionismo-fiducia, che tra l'altro rende assai difficoltoso il lavoro dei parlamentari: di fatto, la «blindatura» di questo provvedimento è diventata una sorta di strada obbligata rispetto alla certezza dei tempi derivante dall'impossibilità, sacrosanta, di ripresentare i decreti-legge una volta decaduti. L'augurio è che si possa tornare ad una situazione di normalità nei rapporti parlamentari tra maggioranza e opposizione per poter lavorare sui provvedimenti, cosa che non si è potuta verificare almeno in questo ramo del Parlamento proprio per l'obbligatorietà della scelta governativa di porre la fiducia.
Per quel che riguarda il merito del provvedimento, vorrei segnalare alcuni aspetti sui quali esprimiamo la nostra soddisfazione, ed altri che invece richiederanno talune precisazioni attraverso gli strumenti parlamentari che seguiranno al «decretone» di fine anno.
Un primo elemento di soddisfazione riguarda la disposizione presente al comma 3 dell'articolo 6, che corregge un'inesattezza presente nel provvedimento collegato alla legge finanziaria, relativa ai beni immobili situati nelle regioni a statuto speciale, cioè i beni immobili dello Stato che devono transitare nel demanio regionale.
Per quel che riguarda lo statuto della Valle d'Aosta - e questo è uno dei punti forti che caratterizzano lo statuto di autonomia - una sentenza della Corte costituzionale di alcuni anni fa ha riconfermato la validità di questa norma, che consentirà alla regione di ottenere tutti i beni immobili dello Stato che non sono più necessari come beni di interesse nazionale oppure di uso militare.
Sono lieto che questa disposizione sia stata approvata, anche perché dovrebbe accelerare i transiti di proprietà. Per fortuna è stato respinto l'ordine del giorno Frattini ed altri n. 16, che dava un'interpretazione restrittiva del comma 3 dell'articolo 6, escludendo di fatto il demanio militare che riteniamo sia invece importantissimo per le regioni a statuto speciale (penso alle caserme situate nella città di Aosta che, nel caso in cui non fossero più necessarie per i militari, sarebbero trasferite, in base a questa norma e a quanto previsto dallo statuto, direttamente al demanio regionale, consentendo l'utilizzo di quelle aree). Ci ha stupito, ripeto, la posizione del Polo, che in questo caso consideriamo gravemente lesiva dei diritti sanciti nello statuto della Valle d'Aosta.
Altrettanto positivo - e al riguardo devo ringraziare il sottosegretario Marongiu per il suo vivo interessamento - è stato il modo in cui è stata risolta la questione riguardante le case da gioco. Con la presentazione di un emendamento al Senato da parte del collega Dondeynaz - si tratta dell'articolo 10-ter - è stata risolta una questione già sollevata nella scorsa legislatura (era allora ministro delle finanze Fantozzi) concernente un rischio che pesava sulle quattro case da
gioco italiane. Infatti, nel corso di un'inchiesta da parte della Guardia di finanza era stata data l'interpretazione in base alla quale si riteneva che le vincite nelle case da gioco dovessero essere assoggettate ad imposta; ciò avrebbe significato, nell'immediato, multe per centinaia di miliardi per le case da gioco ed anche una possibile chiusura dei casinò. Ebbene, l'articolo 10-ter definisce in maniera chiara il passato ed il futuro, prevedendo che non vi sia imposta sulle vincite, in parte tuttavia compensata da un aumento dell'aliquota dell'imposta sugli spettacoli.
Altrettanto positivo, anche se in minor misura, è il modo in cui sono state risolte alcune altre questioni nel «decretone», come, per esempio, quelle concernenti gli impianti a fune e le tasse di successione in zone di montagna, che oggi sono allargate anche alle frazioni di grandi comuni (è il caso, per esempio, di tutte le frazioni collinari di Aosta).
Restano però elementi sui quali esprimiamo, non avendo potuto vedere accolti alcuni emendamenti, talune perplessità. Mi riferisco in particolare al contenuto dell'articolo 8, del quale tante volte si è discusso anche nel corso dell'azione ostruzionistica svolta dai colleghi. Si tratta della questione della tesoreria unica e del limite del 90 per cento sulle spese mensili dello scorso anno. Non condividiamo tale meccanismo perché colpisce i parchi regionali, l'Istituto autonomo case popolari ed in particolare le aziende di promozione turistica; ciò creerà un caso, poiché non si tratta solo dell'appartenenza alla tesoreria unica - pur sempre discutibile secondo il punto di vista di un regionalista ed autonomista convinto - bensì del fatto che si impedisce ad enti strumentali delle regioni, quali appunto le APT, di poter operare concretamente. Ci auguriamo che nella «manovrina» che sta per essere varata tale questione possa essere risolta.
Ci auguriamo inoltre che una norma contenuta nel «decretone» di fine anno non crei confusione. Faccio riferimento all'articolo 10-bis ed alla lettera c-ter) del comma 1 dell'articolo 2, nei quali si torna sulla questione dell'iscrizione alla camera di commercio dei piccoli agricoltori i quali, lo dico per inciso, proprio con una modifica già intervenuta sono definiti tali nel caso in cui si collochino al di sotto dei 20 milioni di lire (non più, quindi, dei 10 milioni di lire). Dunque, dovrebbe intervenire un decreto ministeriale volto a stabilire per chi fra i piccoli agricoltori al di sotto dei 20 milioni sia facoltativa l'iscrizione. Resta scontato il fatto che, per fortuna, il Senato sta per varare una «leggina» sulle camere di commercio in cui si stabilisce che l'iscrizione sarà facoltativa per tutti coloro i quali siano al di sotto dei 20 milioni. Si renderà allora necessario - lo dico al rappresentante del Governo - rivedere l'articolo 2, comma 177, del provvedimento collegato alla finanziaria là dove, ai fini dell'accesso dell'esercente attività agricola ai contributi previsti dall'ordinamento nazionale e comunitario, è prevista l'iscrizione alla camera di commercio, prima obbligatoria ed ora facoltativa. Pertanto, non si potrà più operare una discriminazione nei confronti dei piccoli agricoltori. Ci auguriamo che tale punto venga definito meglio.
Concludo con alcune notazioni di natura più politica. Noi, con la correttezza che credo debba esserci riconosciuta dal Governo, abbiamo votato la fiducia e ci apprestiamo a farlo anche nel caso dovessero seguirne altre, anche se - lo ripetiamo - auspichiamo che possa essere ripristinato un clima di dialogo che consenta di tornare ad un esercizio ordinario dell'attività parlamentare.
Segnaliamo tuttavia al Governo alcune preoccupazioni rispetto ai ritardi che verifichiamo nell'approvazione delle norme di attuazione dello statuto e nel lavoro della commissione paritetica Stato-regione su temi per noi cruciali, come ad esempio le «quote latte», la regionalizzazione degli uffici del lavoro e la questione dei segretari comunali, che deve essere attribuita alla competenza esclusiva dell'ordinamento degli enti locali. Notiamo un preoccupante ritardo anche per quanto riguarda l'emanazione del previsto decreto ministeriale sul parco del Gran Paradiso; siamo inoltre preoccupati per i ritardi che
si registrano complessivamente in relazione alla modernizzazione ed alla smilitarizzazione della ferrovia Chivasso-Aosta; e seguiamo con attenzione le problematiche relative alle privatizzazioni, con particolare riferimento allo smantellamento dell'Enel. Ciò infatti farà diventare l'energia elettrica un bene liberalizzato nell'alveo, nel nostro caso, dello statuto di autonomia, che assegna grandi ed importanti competenze alla regione, fatte salve anche dalla legge che ha previsto la nascita dell'authority specifica sull'energia. Ma privatizzazione significa anche ipotizzare un futuro per il ramo autostradale che collega per esempio Aosta ed il Monte Bianco e per lo stesso traforo del Monte Bianco.
Se dunque da un lato siamo lieti del fatto che si sia avviata la stagione delle riforme, da noi sempre auspicata - partecipa tra l'altro ai lavori della Commissione un senatore valdostano -, ciò non significa che non si intenda continuare a seguire il rapporto ordinario fra parlamentari valdostani e Governo. Vigiliamo affinché il nostro voto non sia, per così dire, un voto a perdere.
Una manovra di tale rilevanza è stata accettabile a motivo della sostanziale equità che è riuscita a garantire. È naturale, peraltro, che una manovra di simile entità non possa non avere effetti restrittivi sulla domanda interna per consumi, come notato dall'opposizione e dall'onorevole Nesi. Nessuno di noi crede che la riduzione del debito ottenuta attraverso un avanzo primario abbia effetti nulli sul livello del reddito. Si pone tuttavia un problema di sentiero di crescita del reddito. L'obiettivo è quello di spostarsi da una crescita «tirata» dal disavanzo pubblico, che pone problemi di instabilità finanziaria di lungo periodo, ad una crescita dovuta ad esportazioni ed investimenti indotti da minori saggi di interesse. Su questo terreno ci siamo già posti, considerando la diminuzione dell'inflazione al 2,4 per cento tendenziale e la caduta del differenziale inflazionistico e dei saggi a lungo termine tra l'Italia e la Germania, differenziale che è al livello più basso da cinque anni a questa parte.
Il saggio di crescita del reddito per il 1997 sarà tuttavia superiore alle fosche previsioni che si sono fatte in quest'aula da parte dell'opposizione. Infatti, i maggiori centri di previsione economica stimano il saggio di crescita non già inferiore all'1 per cento, ma tra l'1 e il 2 per cento: insufficiente certo per consentire un'apprezzabile crescita dell'occupazione, ma che indica il segno di una ripresa.
Certo è che tale sentiero può essere reso impervio se il patto di stabilità dei paesi aderenti all'Unione europea si dovesse manifestare insensibile ai problemi di espansione della domanda interna europea e se dovesse prevalere l'idea che una maggiore occupazione europea possa essere conseguita solo attraverso la ricerca di maggiore flessibilità nel mercato del lavoro.
D'altra parte, l'Italia può contribuire ad un diverso indirizzo della politica economia europea solo se si presenta ai propri partner con un bilancio pubblico non dissimile da quello da questi presentato. In quest'ottica si inserisce anche la conversione in legge del decreto oggetto di discussione. In particolare tale decreto si qualifica per interventi volti sia ad un aumento di entrata, di natura tale da non ingenerare un aumento dei prezzi, sia allo stimolo di settori produttivi ad elevato effetto moltiplicatore, come l'edilizia ed il settore automobilistico.
Il decreto in questione si qualifica per una manovra sull'IVA ad ampio raggio, che ha un triplice obiettivo: recupero di evasione; riduzione di aliquota in alcuni settori - in particolare la riduzione dal 19 al 10 per cento dell'IVA sulle spese per la manutenzione - ed il recupero di immobili e la riduzione dal 10 all'1 per cento dell'imposta di registro per l'acquisto di fabbricati di categoria A effettuata da imprese immobiliari.
Queste misure, accolte con soddisfazione dagli operatori del settore, esplicano effetti di stimolo alla ripresa dell'attività economica di questo importante comparto ed effetti che favoriscono la mobilità delle persone. Sono inoltre previsti introiti dalla benzina «verde» che non incideranno sul prezzo della benzina stessa, poiché non sono altro che proroghe di imposte già in essere.
Il decreto prevede poi la destinazione di più di 2 mila miliardi per sgravi contributivi nel Mezzogiorno. La misura ha finalità espansive e, nello stesso tempo, è mirata a non peggiorare la situazione occupazionale nell'area del paese a maggior tasso di disoccupazione.
Sempre per finalità espansive è previsto poi un impegno di circa 160 miliardi per incentivare l'acquisto da parte di chi porta a rottamazione il proprio veicolo. Questa manovra ha già cominciato a manifestare la sua efficacia, stando alle recenti notizie dell'assunzione alla FIAT a tempo determinato di mille persone al sud e di mille al nord, che si aggiungono a più di 400 assunzioni a tempo indeterminato localizzate in impianti siti nel Mezzogiorno.
Convengo con quanto affermato in alcuni interventi dell'opposizione che questa misura per sua natura non può che avere effetti temporanei, in quanto non fa che anticipare decisioni di spesa che sarebbero state altrimenti diluite nel tempo. Tuttavia, si è dimostrata un'efficace misura controciclica, perché l'accelerazione della vendita di autoveicoli ha registrato effetti espansivi in un anno, il 1997, che, come si diceva, presenterà una crescita economica che necessita di misure di sostegno. Questa misura, quindi, manifesta i suoi effetti al momento giusto ed a basso costo per l'erario, a differenza della misura di sostegno dell'economia varata negli anni scorsi, nota come legge Tremonti, che è costata parecchio all'erario e che ha prodotto degli effetti che sono stati prociclici, accelerando gli investimenti nell'anno in cui già crescevano spontaneamente.
Infine, sono da considerare consistenti misure di anticipo di pagamenti che non gravano sul reddito disponibile e sulle decisioni di spesa dei contribuenti: queste misure di anticipo riguardano soprattutto le accise sugli olii minerali. Si tratta di disposizioni che, come ha ricordato il sottosegretario Marongiu, ci pongono nelle condizioni degli altri paesi europei.
Errato sarebbe sostenere che questa manovra ha effetti deflazionistici, perché nell'ambito dell'obiettivo di contenimento del disavanzo si sono intraprese misure la cui valenza è senz'altro di segno espansivo su reddito ed occupazione ed altre che non hanno effetto restrittivo, in quanto consistono in puri anticipi di pagamenti.
Sarebbe anche scorretto attribuire alla complessiva manovra un eccessivo ricorso alla contabilità creativa, dato che altri paesi dell'Unione europea hanno fatto ricorso a questa pratica in modo più massiccio di quanto non sia avvenuto in Italia. D'altra parte, il recente esame Eurostat della contabilità pubblica italiana è stato più che soddisfacente.
Ciò non significa che il percorso di riduzione del disavanzo pubblico che consente al nostro paese di essere tra i membri fondatori dell'unione monetaria europea sia concluso. Su questo terreno ci aspettano ancora appuntamenti impegnativi. È forse opportuno considerare l'eventualità di non ritardare il momento in cui le relative misure dovranno essere intraprese. Considerando che la pressione fiscale ha raggiunto il livello medio europeo (sebbene questo non sia un limite invalicabile, soprattutto da parte di chi ha un grave fardello di debito pubblico), è opportuno non appesantire famiglie ed imprese con un prelievo fiscale ulteriore. È quindi necessario considerare l'opportunità di un contenimento delle uscite. Se misure di riforma strutturale devono essere intraprese per garantire un equilibrio di bilancio pubblico duraturo nel tempo, quindi, esse devono essere assunte con coraggio quanto prima.
In futuro, le manovre intraprese a cominciare dal 1992 - ed in particolare nel biennio 1996-97 - saranno oggetto di un inequivocabile giudizio positivo, come manovre che avranno invertito una pericolosa tendenza sulla quale si era incamminato il nostro bilancio pubblico.
Mi sia consentita un'ultima osservazione sull'iter del decreto in esame. In questo ramo del Parlamento abbiamo patito - come altre volte - il fatto che, essendo il decreto giunto in quest'aula in seconda lettura ed essendo prossimo ad una scadenza divenuta improrogabile dopo la nota sentenza della Consulta, non si sono potuti accettare emendamenti in Commissione ed il Governo è dovuto ricorrere alla fiducia. Come giustamente ha osservato il relatore Agostini, questa necessità non è stata un'offesa all'opposizione (giacché essa ha potuto manifestare le proprie posizioni durante la discussione dello stesso provvedimento al Senato), ma è piuttosto la prova ulteriore delle crescenti difficoltà che presenta un bicameralismo perfetto come il nostro.
Nell'esprimere, quindi, un voto favorevole alla conversione in legge del decreto n. 669 del 1996, avanzo l'auspicio che l'attività della Commissione bicamerale proceda in modo spedito e fattivo, affinché il nostro futuro lavoro parlamentare possa risultare più fruttuoso (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).
Un paio d'anni fa il sindaco di Napoli annunziò con grancassa l'emissione di 195 milioni di dollari in BOC (buoni ordinari comunali). All'epoca il cambio era di 1.538 lire ed il rischio di cambio del 2,3 per cento. Oggi il dollaro si trova a quota 1.668 ed il limite previsto per il rischio di cambio è saltato: se il comune dovesse rimborsare oggi i buoni ordinari emessi, subirebbe - con il cambio attuale - una perdita patrimoniale fra i venti e i ventidue miliardi.
È un'altra considerazione che dobbiamo aggiungere a quelle che, a varie «ondate», abbiamo svolto - come opposizione - in merito al decreto-legge n. 669. Accanto al debito pubblico ufficiale (quello del Tesoro: 2.200.000 miliardi) si stratificano altri debiti, che vanno ad aggiungersi ad esso. Il decreto in esame ne è un monumento: c'è il citato debito dei comuni e c'è il futuro debito regionale (i BOR emessi o in emissione dalle regioni), che comunque lo Stato dovrà garantire. E quando il signor Bassolino dovrà rimborsare questa sua emissione, probabilmente si troverà di fronte ad un rischio di cambio cresciuto. Spero che in quell'occasione a Napoli i consiglieri comunali del mio partito lo ricorderanno nell'aula consiliare.
Lo stesso decreto-legge n. 669, bloccando gli impegni e i tiraggi di tesoreria, crea altre forme di indebitamento. Non vi è dubbio, infatti, che non pagare il 40 per cento degli impegni assunti nel bilancio
statale 1997 significa scaricare sul 1998, sul 1999 e sugli anni successivi una serie di residui passivi che sono un'ulteriore forma di indebitamento dello Stato. Non dobbiamo poi dimenticare l'indebitamento dell'INPS e quello del Servizio sanitario nazionale. Qualche settimana fa il sottosegretario per il tesoro, intervenendo in Commissione bilancio, ha detto che non poteva ancora fornirci per il 1996 dati sicuri sui disavanzi delle USL e del sistema sanitario regionale per mancanza degli stessi e che si riprometteva di fornirceli per la prossima trimestrale di cassa. Non conosciamo ancora, quindi, il vero disavanzo di fine 1996; anche gli aggiustamenti fatti con la benedizione dell'Eurostat, per cui si è scesi da 138 mila 500 miliardi a 127 mila miliardi, mantengono il rapporto disavanzo-PIL intorno al 6,8-7 per cento (qualche giornale, tra l'altro, parlava alcuni giorni fa di un'aggiunta di altri mille miliardi al disavanzo finora calcolato).
Abbiamo quindi una prospettiva di indebitamento e di appesantimento del disavanzo pubblico tutt'altro che tranquillizzante. Basti pensare che, anche nell'ipotesi in cui a fine 1996 il rapporto debito-PIL fosse del 7 per cento, in un anno dovremmo scendere dal 7 al 3 per cento per rispettare Maastricht. Non so, colleghi, come tale rapporto riuscirà a diminuire di 4 punti, specialmente (mi dispiace dover disilludere l'onorevole Targetti) se il PIL del 1997 non crescerà dell'1,2 per cento, ma dello 0,9 per cento. Invito l'onorevole Targetti a compiere una lettura attenta delle previsioni dei venti istituti internazionali di previsione, che parlano proprio in questi giorni di una crescita del PIL italiano dello 0,9 per cento e, ahimè, di una ripresa dell'inflazione a fine anno del 3 per cento. Tutto questo perché, crescendo il cambio del dollaro, cioè svalutandosi la lira rispetto a tale moneta, dal momento che siamo un paese trasformatore di materie prime, avremo una bolletta petrolifera e, in genere, un aumento del costo delle materie prime importate molto consistente, a fronte di una ripresa dell'economia americana che fa prevedere non un calo dei tassi di interesse ma probabilmente una crescita degli stessi o, quanto meno, un mantenimento al livello attuale. Il ministro Ciampi potrà forse invocare lo stellone italiano, ma è probabile che non avrà la soddisfazione di veder calare stabilmente i tassi internazionali per ridurre il servizio del nostro debito pubblico!
Abbiamo quindi un insieme di condizioni che «contornano» il decreto-legge n. 669, il quale si aggiunge alla manovra finanziaria per il 1997 (tra l'altro con una distanza di otto giorni tra l'approvazione del bilancio di previsione 1997 e l'adozione del decreto di fine anno), con una serie di provvedimenti di tipo recessivo. Altri colleghi, intervenuti prima di me, hanno ricordato il blocco degli impegni al 40 per cento rispetto al livello previsto complessivamente dal bilancio (che ho ricordato essere stato approvato pochi giorni prima dell'adozione di quest'ultimo decreto) e il contenimento drastico e rigido dei conti e dei tiraggi di tesoreria, che nemmeno l'ordine del giorno Pampo ed altri, da noi difeso strenuamente ieri, consentirà di attenuare, perché il meccanismo delle deroghe non sarà esteso agli istituti autonomi case popolari, ma sarà rigidamente controllato dal Tesoro, il quale non so come riuscirà a controllare le richieste di deroga di 15-16 mila enti, che hanno l'obbligo di detenere i loro fondi presso la tesoreria unica.
Ci troviamo quindi di fronte ad una situazione estremamente critica e incerta, perché vi è una crescita del PIL ridotta e sappiamo che la riduzione del rapporto disavanzo-PIL non è data soltanto dal calo del disavanzo, ma anche dalla crescita del PIL. Se noi tentiamo di ridurre il disavanzo ma si riduce il PIL, il rapporto non si modifica.
Vi sono poi alcuni provvedimenti veramente assurdi come l'incentivo alla rottamazione delle auto e le sbandierate duemila nuove assunzioni (peraltro a tempo determinato) da parte della FIAT. L'incentivo decadrà il 30 settembre e probabilmente nel mese di ottobre potremo vederne le conseguenze, constatando
che il mercato delle auto è un mercato di solo rinnovo, non di crescita della domanda. Poiché siamo un paese a basso tasso di natalità ed a crescita di popolazione rallentata fra l'altro con reddito spendibile in calo, anche la crescita della domanda di auto rappresenta solo un rinnovo a fronte delle auto rottamate. Dopo il 30 settembre questo provvedimento cesserà sostanzialmente di esistere e registreremo l'effetto che già si è avuto in Francia. Non inventiamo nulla e basta considerare quanto è avvenuto in quel paese, dove alla cessazione degli incentivi per l'automobile è seguito un crollo del mercato. I duemila assunti oggi alla FIAT potranno, dunque, diventare duemila cassaintegrati a partire da ottobre-novembre.
Signori deputati, colleghi, Presidente, siamo di fronte al gioco delle tre carte cui ci ha abituati questo Governo, a partire da quella manovra di 32.500 miliardi che dans l'espace d'un matin, anzi, nello spazio di una notte, col ritorno in Italia del Presidente Prodi dalla sua trasferta in Spagna è improvvisamente raddoppiata, per un colpo di bacchetta magica, a 62.500 miliardi. Il gioco delle tre carte non risolve però i problemi, non affronta i dati strutturali della spesa che incidono effettivamente sulla crescita del disavanzo. Vorrei ricordare che quel milione di persone portate in piazza nel 1994 dalla triplice sindacale probabilmente non sapeva allora che sarebbe stato tassato oggi sulle pensioni con la prossima manovra primaverile, mentre voleva difenderle in quel momento e probabilmente non sarà capace di difenderle nel 1997 (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).
Anche su questa manovra aggiuntiva, a quanto pare, la maggioranza brancola nel buio. Non esiste, come abbiamo ascoltato questa mattina dal collega Nesi, alcuna concordanza né sui contenuti né sugli obiettivi. Il collega Nesi ha addirittura ripetuto questa mattina in aula che per rifondazione comunista è da contestare alla radice la politica del Governo di voler entrare in Europa nel gruppo dei paesi di testa nei tempi prestabiliti da Maastricht. È evidente che vale per la finanziaria, vale per questa manovra di fine anno, vale per la preannunciata manovra: il Governo non ha una strategia e si presenta in Parlamento con provvedimenti più o meno raffazzonati. I cittadini forse non lo sanno, perché saranno gli operatori che, andando a leggere il decreto del Governo, scopriranno che in esso ci sono norme in materia di lotterie, di concorsi pubblici, di funzionamento dei consigli comunali, di sfollati della ex Iugoslavia e una miriade di norme tributarie di limatura che, oltretutto, rappresentano ulteriori complicazioni rispetto alla promessa semplificazione del sistema fiscale italiano. Sì, certo, c'è la novità politica di rilievo rappresentata dalla rottamazione, sulla quale chiederei al Parlamento una riflessione.
Stanno fallendo tutti i consorzi agrari italiani: cinquanta sono in liquidazione e ne sopravvivono venti; hanno da vent'anni un credito nei confronti dello Stato liquido, esigibile, certificato dalla Corte dei
conti, di mille miliardi che è già nei loro bilanci e che hanno già speso da anni ma che lo Stato non restituisce loro. Il Governo non ha fatto un decreto per restituire questi soldi a chi ne ha diritto, ha fatto però un decreto-legge per regalare non so quanti miliardi al sistema automobilistico sotto forma di premi. Allora è una strana politica quella che fa fallire i consorzi agrari che sono creditori, la cui liquidazione comporta che i produttori agricoli, che hanno depositato grano e denaro, verranno penalizzati, mentre graziosamente il Governo regala finanziamenti alle aziende automobilistiche.
Vedo che il sottosegretario scuote la testa: vada a guardare cosa è successo negli ultimi mesi e vedrà che sui consorzi agrari è stato presentato un disegno di legge in Consiglio dei ministri e si metta nei panni di uno dei produttori agricoli la cui azienda fallirà perché uno Stato per il quale ha anticipato del denaro e che riconosce di doverglielo, non glielo restituisce, mentre contemporaneamente fa un regalo ad altri. Poi gli agricoltori fanno i blocchi stradali per le quote latte: può darsi che scenderanno in piazza anche nel momento in cui vedranno le loro aziende andare in rovina per chiedere al Governo ragione di queste inadempienze!
Questo è solo un esempio delle contraddizioni contenute in questo decreto. La verità drammatica è che non c'è una politica economica del Governo: sfido chiunque, dal Presidente del Consiglio Prodi al ministro del tesoro Ciampi, a venirmi a spiegare questa mattina la logica dell'inserimento di questo decreto di fine anno fra la finanziaria e la manovrina di cui la maggioranza sta discutendo in questi giorni. Qual è il filo conduttore? L'unica cosa che mi sembra chiara è che il Governo non è in grado di affrontare il problema strutturale della spesa pubblica.
Leggiamo che andrà a prelevare una quota delle pensioni già in essere, che è la manovra più odiosa e inaccettabile che un Governo possa fare. Ricordo al Governo ed alla maggioranza che nel 1994 il Governo Berlusconi aveva presentato una riforma pensionistica che aveva come presupposto che non si toccasse una lira delle pensioni in essere, perché chi è andato in quiescenza vive della sua pensione e ci fa affidamento. Un conto era ristrutturare il sistema pensionistico per il futuro, allungando l'attività lavorativa per adeguarsi alla media europea, perché riguardava persone che hanno un posto di lavoro. Si dava certezza ai pensionati e si ritoccava in senso strutturale il sistema.
Questo Governo fa esattamente il rovescio: si rifiuta, ricattato da rifondazione comunista e dal sindacato, di ristrutturare il sistema previdenziale; quindi in Italia, anche in questo momento, si continua ad andare in pensione a quaranta-cinquanta anni. Nel contempo vengono rapinati i pensionati di una quota della loro pensione. Quindi trasferisce i soldi dal pensionato a chi, a cinquant'anni, va ad aggiungersi alla grande massa di 22-23-24 milioni di pensionati che già ci sono in Italia. Mi sembra che sia questa la situazione!
Nel momento in cui il Governo e la maggioranza ci chiedono di votare questa manovrina di fine anno, vorrei sapere da loro cosa pensino di fare per risolvere, non dal punto di vista dei prelievi straordinari o estemporanei, il problema della spesa pubblica in Italia. Non è una domanda da poco!
Di una tantum in una tantum può anche darsi che deprimendo l'economia italiana, facendo crollare i consumi, restando in una situazione deflazionistica, si arrivi anche a far quadrare per un istante i conti. Ammesso anche che in maniera fortunosa, più morti che vivi, si arrivi in Europa senza aver corretto la spesa strutturale, mi spiegate come ci rimaniamo? Con ulteriori prelievi straordinari? Con ulteriori prelievi sulle pensioni? Con ulteriori tasse per l'Europa, che rischiano di diventare non straordinarie ma annuali? In definitiva, con un'ulteriore pressione fiscale?
Se non si va nella direzione di una ristrutturazione della spesa pubblica, sembra
essere questa l'unica speranza che ha il Governo per rastrellare fondi al fine di far quadrare i conti.
È chiaro quindi che noi siamo decisamente contrari a questo decreto in quanto è della serie «viviamo alla giornata».
Poiché penso di avere ancora qualche secondo da spendere...
Siamo qui, in questa settimana, a fare il nostro dovere di opposizione nei confronti di un altro provvedimento (quello sull'autotrasporto), con il quale il Governo e la maggioranza hanno dimostrato di essere svelti quando si tratta di fare regalie alle cooperative rosse e alla CGIL!
Il Parlamento è bloccato da un Governo che dinanzi a provvedimenti simili o del tipo di quello cosiddetto delle mille proroghe, che ha dovuto far «saltare», si preoccupa invece, con emendamenti come quello della scorsa settimana, di disattendere accordi contrattati con gli autotrasportatori e con un emendamento a sorpresa, presentato in aula, di cercare di far arrivare dei soldi alle sue organizzazioni collaterali. E su questo sacrifica quindici giorni di lavoro parlamentare! Ebbene, ci sacrificheremo anche noi, perché voteremo contro questo decreto che non risolve i problemi di questo paese e saremo vigili in Parlamento per evitare ulteriori problemi relativi alla spesa pubblica e ulteriori scelte partigiane del Governo (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD e di alleanza nazionale).
È una situazione curiosa quella in cui ci troviamo, perché il Governo, in questi mesi, con le manovre messe in atto è andato avanti in modo altalenante.
Presso le Commissioni riunite bilancio e finanze, il Governo è venuto a dirci di non essere in grado di fornirci dati certi sull'ammontare del disavanzo fino a quando non fossero noti i risultati della trimestrale di cassa; conseguentemente non poteva esprimersi riguardo all'eventualità di una manovra aggiuntiva. Ma subito dopo, senza attendere cioè quei dati (Armani ha fatto bene a ricordare l'incidenza che su di essi ha l'ammontare del debito degli enti decentrati: comuni, regioni, unità sanitarie locali; a tale riguardo sappiamo bene che esiste un debito sommerso che prima o poi rischia di mandare in aria tutte le previsioni), è stata presentato un'ulteriore manovra.
Qui dobbiamo però discutere del contenuto della manovra di fine anno. Quella in cui ci troviamo è una situazione assurda; l'impressione è che si voglia continuamente sfogliare il carciofo per non far apparire la gravità complessiva della situazione.
Abbiamo un decentramento fiscale più volte annunciato e propagandato anche attraverso le misure previste nella manovra finanziaria che stenta a prendere corpo e che difficilmente potrà dare risultati, perché le regioni e i comuni non sono in grado di gestire l'autonomia tributaria che viene loro concessa. Si pensi all'assurdità di affidare la previsione dell'aumento della benzina alle regioni, senza che esse abbiano capacità di controllo e di erogazione di sanzioni. Si pensi all'assurdità di misure che incidono sul bilancio di questi enti per poche centinaia di miliardi rispetto alle migliaia di miliardi di spesa complessiva. Nella regione Lazio, il cui bilancio è di 24 mila miliardi, il gettito derivante dall'aumento della benzina sarebbe davvero poca cosa (meno dell'1 per
cento). C'è quindi una situazione che si scontra con l'irrealizzabilità delle proposte che il Governo avanza.
Resta del tutto oscuro il capitolo delle privatizzazioni. Tutte le volte che, nelle varie sedi, si sono chieste maggiori certezze riguardo al piano del Governo e soprattutto riguardo all'ammontare previsto di maggiori entrate derivanti dal piano di privatizzazioni ci è stato risposto che ciò era ininfluente, perché le somme andrebbero a ridurre il debito. Si tratterebbe dunque di una nebulosa che non necessita di chiarezza.
A mio giudizio, poi, vi è una situazione esplosiva riguardante il bilancio delle banche. L'allarme lanciato da Fazio in varie circostanze lascia presagire che prima o poi la situazione esploderà realmente. Non a caso il Governo ha preso coscienza che nei prossimi mesi uno dei problemi principali sarà quello di consentire la riduzione del costo del lavoro all'interno del sistema bancario. Essa non può che verificarsi a seguito dell'adozione di strumenti legislativi che consentano realmente alle banche di avviare una programmazione del turn-over e dei prepensionamenti, che oggi non è loro consentita. Attualmente le banche non possono, anche qualora lo vogliano, versare i contributi ad un dipendente che volessero mandare in pensione con cinque anni di anticipo.
Occorre non solo prendere coscienza, ma intervenire in modo serio per favorire il miglioramento della situazione. Sappiamo che il problema è esplosivo, soprattutto nelle regioni meridionali, e non potrebbe essere altrimenti visto che la politica del Governo è quella di strozzare ulteriormente le imprese che lavorano con la pubblica amministrazione e con gli enti locali, le quali aspettano i pagamenti, che una volta erano garantiti ma che attualmente non vengono effettuati neppure dopo sei, sette, otto mesi di attesa. Basti pensare alla misura prevista nel decreto di fine anno relativa al blocco degli impegni di spesa e, soprattutto, alla riduzione del tiraggio dei fondi in tesoreria.
Del resto a tale riguardo Fazio è stato chiaro: ha detto che, se improvvisamente dovessero verificarsi tiraggi eccessivi e si dovesse prelevare in parte o integralmente l'ammontare della giacenza di tesoreria, il sistema esploderebbe improvvisamente e la situazione diverrebbe incontrollabile. Da qui l'esigenza, paradossale, da un lato, di accelerare la spesa (problema che si pongono soprattutto le amministrazioni locali che vengono accusate di non saper utilizzare i fondi stanziati e che hanno necessità di mettere in movimento meccanismi che garantiscano sviluppo, investimenti e, quindi, occupazione) e, dall'altro, di comprimere la spesa dal punto di vista della cassa, altrimenti l'utilizzo dei fondi giacenti in tesoreria creerebbe scompensi eccessivi.
Si tratta di una situazione contraddittoria che rischia di ricadere esclusivamente sulle piccole e medie imprese, sul mondo produttivo che stenta a mantenere la propria competitività sui mercati.
Lo stesso discorso vale per il grande respiro che sarebbe dovuto derivare sul mercato dall'avvio dell'alta velocità.
Non abbiamo ancora capito quale sia la reale intenzione del Governo da questo punto di vista e non sappiamo se sia vero che i lavori dell'autostrada Roma-Napoli sono bloccati. Come si pensa di dare certezza ad imprese che si sono preparate a questo tipo di appuntamenti visto che, subito dopo lo sparo di partenza, tutto viene bloccato come sta accadendo in questi giorni?
La situazione è preoccupante e rischia di diventarlo ancor più dal momento che si pretende di spendere 3.500 miliardi di fondi per il Giubileo nell'arco di due anni e mezzo. Inoltre, se ne vogliono spendere altri mille circa per le regioni che non siano il Lazio. Per Roma si ipotizza un investimento di migliaia di miliardi per attrezzarsi in vista delle Olimpiadi. Ma che tipo di investimenti si prevedono considerata la situazione, come risulta anche dalle misure contenute nel cosiddetto decreto di fine anno?
È stato stupefacente ascoltare Nerio Nesi pochi minuti fa sostenere che la
manovra sarebbe stata fatta da tecnocrati incompetenti e che sarà approvata da politici irresponsabili, salvo poi sentir dire poco dopo che il gruppo di rifondazione comunista voterà a favore del provvedimento. Ciò è stupefacente, ma dimostra quanta sfiducia si nutra nei confronti di un'azione basata su una logica del giorno per giorno.
Il Ministero del tesoro in molte circostanze si comporta peggio del tanto deprecato Ministero delle partecipazioni statali. Penso ai meccanismi delle nomine per quanto attiene ai vari enti. Perlomeno nella spartizione lottizzatoria di allora vi era una forma di controllo che forse passava anche attraverso il Parlamento; adesso si siedono in una stanza quattro o cinque dirigenti del Ministero del tesoro, in quanto azionisti di riferimento, e fanno le nomine come desiderano, come è accaduto di recente per il blitz sulla GEPI.
L'intero quadro è molto poco rassicurante. Non può essere quindi il decreto di fine anno lo strumento che può farci uscire dalla grave situazione di difficoltà in cui ci troviamo. Una situazione che ogni due-tre mesi richiede correttivi improvvisati non può dare certezze al mondo produttivo, che guarda con attenzione a quanto succede in questo momento in Parlamento. Per tali ragioni il nostro voto non può che essere contrario (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Invece i tecnocrati, di cui ha parlato l'onorevole Nesi, non hanno saputo immaginare niente di più e niente di meno che una serie di aumenti della pressione fiscale, per giunta su prodotti di larghissimo consumo come la benzina, i tabacchi e le marche da bollo. Si tratta di una serie di interventi assolutamente identici a quelli che i Governi del centro-sinistra, precedenti all'attuale Governo di centro-sinistra, avevano sempre utilizzato per drenare denaro dalle tasche degli italiani allo scopo di aumentare gli sprechi di una macchina burocratica statale di tipo sovietico o a modello elefantiaco, per far sì che gli italiani avessero sempre meno denaro per i propri investimenti, per i propri risparmi e per incentivare la produzione delle imprese e per far sì che il fisco utilizzasse tale denaro per dividerlo tra amici e clientele politiche o per locupletare una serie indescrivibile di sprechi.
Credo, illustri colleghi, che di fronte alla tesi 32 dell'Ulivo di mantenere la pressione fiscale invariata nel prossimo triennio vi siano dati numerici assolutamente ineludibili ed inequivocabili che dimostrano che la pressione fiscale in Italia nel 1995 era pari al 41,7 per cento, nel 1996 è salita fino al 42,5 per cento e nel 1997 è prevista nella misura del 43,5 per cento. Ciò significa che gli italiani, i quali nell'epoca incredibile e malfamata dei precedenti Governi di centro-sinistra lavoravano sei mesi per lo Stato e gli
altri sei mesi per se stessi e per le loro famiglie, adesso saranno costretti a lavorare otto mesi l'anno per lo Stato e i rimanenti mesi dell'anno per se stessi e soprattutto per tentare qualche ormai impossibile risparmio.
Quindi ci troviamo di fronte alla realizzazione di quel programma politico che le sinistre hanno sempre praticato dall'opposizione (quando cioè l'ex partito comunista si trovava all'opposizione), votando all'89 per cento tutte le leggi di spesa dei Governi di centro-sinistra dal 1980 in poi e votando, in un assemblearismo e in un consociativismo assoluto, quelle leggi di spesa che hanno portato il disavanzo dello Stato, il debito pubblico e la condizione assolutamente insopportabile delle nostre finanze al punto di crisi in cui ci troviamo.
E adesso con il decreto-legge n. 669 del 1996 il nuovo Governo di centro-sinistra che tipo di politica si propone di seguire? La politica della recessione, quella dell'aumento delle tasse, quella di nessun intervento sugli sprechi e sulle spese strutturali e addirittura quella della «rapina» vera e propria nei confronti dei pensionati, cioè di una tassa ignobile nei confronti di coloro i quali vivono con modestissime pensioni e che si vedono gabellare per contributo di solidarietà ciò che è invece - lo ripeto - una vera e propria «rapina» ai ceti più deboli e meno privilegiati, ma soprattutto a coloro che vivono di modestissime pensioni.
Signor Presidente, signori deputati, quando il Presidente della Repubblica, con un tocco demagogico a lui consueto, ha qualche settimana fa fatto riferimento e tuonato contro le cosiddette pensioni elevate, da nababbi, si è scoperto che in questo Parlamento per oltre 45 anni, fino al 1992, tutti i deputati che svolgevano un precedente lavoro di tipo statale percepivano il doppio stipendio; e poi hanno percepito l'indennità parlamentare, l'indennità da ministro o da Presidente della Repubblica, assieme alla pensione! E adesso, mentre si tenta di «rapinare» ai pensionati una parte del loro modestissimo reddito, apprendiamo che il Governo, con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ha addirittura ritenuto di elevare gli stipendi dei cinque ministri e dei 16 sottosegretari che non sono parlamentari, cioè di questi soggetti certamente privilegiati dal trattamento economico, a ben 8 milioni netti. In tal modo si è dimostrato, dal punto di vista del modello comportamentale e dell'immagine complessiva di una classe politica, come questo Governo desideri imporre i sacrifici soltanto agli altri, mentre vuole continuare a conservare i privilegi e addirittura aumentarli nei confronti dei propri ministri e sottosegretari.
non volendo - e mettono in evidenza l'atteggiamento scorretto che la maggioranza ha tenuto normalmente in questi ultimi periodi.
Riteniamo peraltro che le due Camere abbiano pari dignità; pertanto si dovrebbe consentire a questa Camera di svolgere correttamente il proprio compito, correggendo anche, laddove vi sono palesi errori, i provvedimenti legislativi e facendo di tutto affinché gli stessi possano essere migliorati.
Signor Presidente, in Italia abbiamo oltre 150 mila leggi ed ogni provvedimento che viene emanato contribuisce a non fare chiarezza, ad aumentare i lati oscuri delle norme. In tal modo il cittadino italiano, che pur con tutta la buona volontà cerca di interpretare la legge e di seguirla in maniera corretta, non vede facilitato il proprio compito. Pertanto, questo provvedimento, che dalla maggioranza viene inteso a chiusura di quella che doveva essere la politica del primo anno, cioè del risanamento dei conti pubblici, alla fine non fa altro che continuare a creare problemi proprio nella gestione del risanamento della finanza pubblica. Dico questo perché una serie di disposizioni contenute nel provvedimento non fanno altro che contribuire alla confusione che già esiste.
Al riguardo, voglio fare riferimenti precisi affinché sia più semplice la verifica anche da parte degli stessi colleghi della maggioranza. Nel provvedimento, per esempio, sono contenute misure che forse nelle intenzioni vanno anche nella direzione giusta; mi riferisco, in particolare, all'abbattimento dell'IVA sulle manutenzioni straordinarie. È noto, infatti, che una grandissima fascia di evasione fiscale esiste in quanto l'aliquota IVA molto alta sulle manutenzioni edili induce le imprese che operano nel settore, ma soprattutto i privati cittadini che utilizzano quel tipo di servizio, ad evadere. Il 19 per cento è infatti un'aliquota altissima, ma lo è anche il 10 per cento. Bisognava allora individuare un'aliquota bassissima, per esempio del 4 per cento, che avrebbe rappresentato una forma di deterrente molto forte per indurre le imprese a fatturare il cento per cento. Pertanto, se la volontà era quella di recuperare l'evasione fiscale, per poi diminuire la pressione fiscale, quello che è stato fatto non va certo in tale direzione; si tratta, infatti, di un tentativo timido che non realizza per intero l'obiettivo.
Per di più proprio l'edilizia, settore nel quale si registra la fascia di evasione più alta, è stata destinataria di leggi e leggine che hanno finito, attraverso la confusione, per agevolare sempre di più l'evasione. Questa invece avrebbe potuto essere per il Governo l'occasione - anche grazie al contributo che l'opposizione avrebbe potuto fornire - per risanare la situazione nel settore e creare le premesse per ottenere un risultato obiettivamente migliore rispetto a quello che si potrà ottenere. L'abbattimento dell'IVA sulle carni dal 16 al 10 per cento rappresenta un'altra di quelle misure che individuano una strada corretta senza tuttavia percorrerla fino in fondo.
Sappiamo - e credo lo sappia anche il Governo - che le più grandi truffe degli ultimi anni si sono realizzate proprio in relazione alla gestione dell'alta aliquota IVA sulle carni. L'Italia è ormai diventata un paese importatore di carni ed ogni qualvolta si sono importati animali vivi o carni dall'estero si è data la possibilità ad aziende collocate in particolari aree geografiche di realizzare disegni criminosi, truffando non solamente lo Stato ma l'intero popolo italiano e tutte quelle imprese che invece correttamente cercano di operare in un sistema che deve essere competitivo e creare pari opportunità per tutti. E allora il tentativo - o l'«esplorazione» - che il Governo ha fatto con questo provvedimento doveva essere compiuto fino in fondo e l'aliquota doveva essere rettificata, rendendola più bassa al fine di costituire un deterrente rispetto ad azioni criminose. Ripeto: il principio, sempre esposto dal Governo, di voler abbattere l'evasione fiscale, poi non si realizza mai fino in fondo. Si trova sempre una
scappatoia per fare dell'evasione uno strumento di gestione dei propri interessi, delle proprie lobby.
Voglio ora affrontare un'altra questione, quella dell'aumento dell'aliquota IVA sul gas metano, che interessa in particolare il Mezzogiorno. Tale provvedimento in zone già depresse, che negli ultimi anni hanno avuto una sempre maggiore compressione dei redditi determinata anche dal fatto che l'impresa economica, che al nord si è attivata per effetto della svalutazione fiscale e monetaria successiva al 1992, nel sud non è decollata, non fa altro che contribuire ancora di più a creare problemi al sistema delle famiglie. Sappiamo che negli ultimi anni è aumentato moltissimo il tasso di indebitamento delle famiglie per quanto riguarda il sistema bancario; addirittura è aumentata in maniera assai elevata la difficoltà delle famiglie stesse di rimborsare i crediti ottenuti dal sistema bancario. Tale fenomeno non può passare inosservato: significa infatti che il sistema è ormai al collasso. Pertanto la decisione di aumentare in maniera così consistente - si parla di un incremento del 10 per cento - un bene primario qual è appunto il gas metano, che ormai è utilizzato largamente per diverse esigenze, non fa altro che determinare ulteriori e maggiori disagi rispetto ai quali un Governo come quello in carica, che dichiara di voler sostenere le fasce sociali più deboli, dovrebbe assumere un atteggiamento diverso (Commenti di deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Mi dispiace che il collega della lega nord non dimostri sensibilità al problema.
Da ultimo, signor Presidente, desidero osservare che, per quanto riguarda il sistema della riscossione, anche il provvedimento in esame, che finisce poi per essere un decreto omnibus, mette solo delle «pezze» e cerca di mantenere in vita un sistema che avrebbe dovuto essere modificato. Le mie affermazioni sono tra l'altro confermate dalle reazioni delle imprese che operano nel campo della riscossione, a seguito degli annunci del Governo. La scelta di mantenere invariato per tutto il 1997 il sistema dei compensi eviterà che tali aziende proseguano nell'azione di sostanziale riorganizzazione sul territorio che nella maggior parte dei casi era stata avviata. Indubbiamente tale riorganizzazione, ispirata a criteri di efficienza e di contenimento dei costi, avrebbe finito per penalizzare fortemente i cittadini, i quali - proprio a seguito di una revisione dei compensi - sarebbero stati costretti a code lunghissime o a spostamenti di chilometri per poter assolvere al loro dovere di pagare le imposte.
Noi riteniamo, però, che il Governo debba fare chiarezza una volta per tutte, evitando provvedimenti tampone che hanno il solo effetto di rinviare nel tempo il problema e che pertanto non possono più essere accettati.
Ribadisco dunque la necessità che sulla questione venga fatta chiarezza: o si torna al sistema, da noi sempre proposto anche per diverse finalità, del non riscosso per riscosso, che responsabilizza le imprese operanti nella riscossione, oppure si passa definitivamente ad un sistema diverso che, attraverso un migliore utilizzo del sistema bancario, consenta di svolgere adeguatamente le operazioni necessarie.
Concludo, signor Presidente, dicendo che il provvedimento più noto contenuto nel decreto-legge in esame, quello sulla rottamazione, avrebbe soltanto dovuto fissare i termini, evitando che le imprese operanti nel settore dell'auto aumentassero i prezzi dei propri listini una volta avuta conoscenza della norma (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Il disegno di legge di conversione n. 3181, come non è sfuggito né a lei né a noi né al resto dell'Assemblea, ha avuto un iter curioso; non dico difficile, ma complicato per come si sono svolti i lavori, ad esempio, nelle Commissioni finanze e bilancio che sono state riunite appositamente senza che si sappia per quale motivo. Alle nostre richieste di informazioni, alle nostre proteste ed eccezioni in ordine a quel modo di interpretare e di applicare il regolamento non è stata data una risposta esauriente e chiara, così come sulle modalità, in genere, con le quali la discussione è andata avanti e che hanno accompagnato il nostro lavoro e la nostra fatica.
Già ieri, quando abbiamo dovuto illustrare gli ordini del giorno ed intervenire su di essi, si è riscontrato un atteggiamento del Governo che davvero non si è riuscito a capire. Si pensi, infatti, che, in buona sostanza, con l'ordine del giorno Pampo ed altri n. 9/3181/7, il gruppo di alleanza nazionale in particolare, ma tutto il Polo, chiedeva il motivo per il quale alcuni istituti autonomi case popolari che erano stati attenti nel definire le proprie strategie di investimento e nel rivedere la propria attività istituzionale, andando incontro alle esigenze della gente - istituti che avevano visto il rinnovo delle cariche tra la fine del 1995 e l'inizio del 1996 e che quindi hanno utilizzato l'ultima parte dello scorso anno per farsi i conti, per rivedere le situazioni, quali le avevano lasciate molti amministratori che, mi consenta signor Presidente, non hanno brillato per onestà e trasparenza; istituti che si sono trovati a gestire una situazione che dovevano capire e che, quindi, come ricordava il mio collega ed amico Carlo Pace, sono stati virtuosi nell'attività di investimento cercando di predisporre i progetti e non hanno effettuato spese - si trovano adesso ad essere penalizzati da quanto previsto dall'articolo 8 del decreto al nostro esame. Tale norma consente infatti di effettuare spese ed investimenti soltanto in una misura percentuale di quanto speso nel 1996. Da ciò si riscontra con quanta schizofrenia si interviene.
Ieri ci siamo appassionati all'argomento oggetto dell'ordine del giorno, non su quest'ultimo. Sappiamo perfettamente, infatti, che non sempre gli ordini del giorno, anche se approvati più o meno a maggioranza, ovvero all'unanimità, vengono proprio rispettati ed attuati, né da questo Governo né, per la verità, dai precedenti.
Abbiamo una casistica immensa di ordini del giorno approvati e dimenticati, disattesi, scordati. Questa mattina è stato approvato a larga maggioranza, se non all'unanimità, su proposta - lo cito nuovamente con piacere - di Carlo Pace, un ordine del giorno. La Commissione finanze era stata allertata sulle difficoltà in cui si sarebbero imbattute alcune categorie di cittadini nel Mezzogiorno d'Italia, aggredito da frane violente, da smottamenti, da calamità tali per cui vi era da ipotizzare un'impossibilità per i cittadini stessi di andare ad assolvere ad alcune formalità fiscali. Ebbene, con l'ordine del giorno in questione si chiedeva, tutto sommato, uno slittamento di termini che non fa fallire niente e nessuno. L'ordine del giorno è stato votato, ma il presidente Benvenuto mi diceva (spero di poterlo citare, perché si trattava di una confidenza) che il Governo fa «orecchie da mercante» e che anzi si sono avuti segnali dai quali si può trarre il convincimento, addirittura la certezza che l'ordine del giorno non avrà conseguenze.
Non dico che i documenti debbano essere sacramentali e fissi per l'eternità. Certo le posizioni si possono modificare in sede di votazione: ma qualcuno deve pur proporre la modifica! In relazione a quest'ordine del giorno, il Governo potrebbe sollecitare un riesame della situazione, segnalando elementi che forse non sono stati valutati sufficientemente. Questo avviene tra persone civili, non dico nemmeno «democratiche».
Da qui la schizofrenia nel modo di legiferare e di analizzare le situazioni a cui occorre applicare le norme.
Si è ben compreso che attraverso questa compressione di spesa si vanno a penalizzare possibilità di intervento, soprattutto
in alcuni settori del nostro patrimonio edilizio abitativo (penso al recupero edilizio). Desidererei allora sapere se siano state calcolate le conseguenze di questa compressione.
Si tratta di costi sociali, innanzitutto: laddove viene penalizzata la possibilità di intervenire, la disoccupazione non soltanto non viene eliminata, ma dilaga. Vi sono poi costi per la collettività che derivano da un patrimonio edilizio fatiscente. L'istituto autonomo case popolari di Roma, per esempio, è proprietario di un patrimonio molto esteso, collocato peraltro in zone apprezzabilissime, che lo rendono assai appetibile (via Tor di Nona, al centro della città, vicino al Lungotevere). È insomma un patrimonio davvero interessante: ma se non si interviene, esso degrada, le case crollano. Né è ipotizzabile che il povero cittadino (come abitante delle case popolari, si presume abbia un reddito molto basso) possa intervenire in prima persona per garantire la manutenzione, soprattutto se straordinaria.
Se mi consentite, inoltre, colleghi parlamentari, a tutti questi si aggiungono i costi per la nostra storia: l'arte muraria è nobilissima, ha origini antiche che risalgono alla romanità e alla Grecia, ma il maestro muratore - capace di costruire archi e volte - è una figura che sta scomparendo, proprio perché non si realizzano più interventi di manutenzione su immobili che hanno strutture edili di un certo tipo. Oggi si ricorre a strutture prefabbricate e l'artigiano con questa qualificazione non ha più lavoro, non ha più compiti da svolgere, non ha più sviluppo: si perdono così figure professionali che sono parte della nostra storia, della nostra tradizione e cultura.
Vi sono, infine, colleghi, i costi per la fiscalità. Il settore edilizio certo non potrebbe risolvere in maniera conclusiva i problemi della nostra economia, non potrebbe rilanciare la nostra asfittica attività produttiva, ma sicuramente avrebbe la capacità e la possibilità di dare un forte impulso - almeno nel breve e medio periodo - al sistema del commercio, all'indotto, alla manodopera, garantendo una significativa boccata di ossigeno.
È bugiardo quando indica ...
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Taradash.
Ha facoltà di parlare, onorevole Taradash (Proteste di deputati del gruppo di alleanza nazionale).
attenderò che il sottosegretario Marongiu concluda la sua telefonata prima di iniziare il mio intervento.
Vorrei porre una domanda politica di fondo al sottosegretario Marongiu e al Governo. Voi del Governo avete fatto tutto questo sforzo (non so se lo meritava, ma certamente c'è stato uno sforzo enorme) per portare a compimento il vostro progetto. Per quale motivo? La mia domanda è questa. Avete fatto questa finanziaria e questo pacchetto di provvedimenti (altri colleghi intervenuti prima di me hanno descritto le poche cose buone e il molto ciarpame contenuto anche nel provvedimento in esame) perché l'Italia ha interesse a varcare un traguardo con mezza punta di sci davanti al parametro di Maastricht oppure perché ha interesse a durare oltre il traguardo di Maastricht, e quindi a risanare la sua finanza e a irrobustire la sua economia? Il problema di fondo è questo.
Oggi leggiamo sui giornali che il ministro Ciampi ha detto che il deficit pubblico dello scorso anno non è di 139 mila miliardi, ma è stato ricontabilizzato a livello europeo diventando di 127-128 mila miliardi. Saremmo contenti di sapere come ciò sia avvenuto; forse il ministro Ciampi dovrà venire in Commissione bilancio a spiegarcelo. Tutti i trucchi contabili erano già stati utilizzati: se ne sarà trovato uno nuovo! Ma il problema del nostro paese non è di attestarsi su determinati parametri il giorno stabilito per l'euro, ma è di poter vivere in modo competitivo per la sua economia, sanare le sue disuguaglianze interne, fare in modo che chi oggi è escluso, perché giovane e disoccupato, perché anziano e disoccupato, perché ha una pensione da fame, possa invece stare meglio.
A me sembra che il Governo non ci abbia spiegato che cosa voglia fare; per meglio dire, attraverso i provvedimenti che si sommano si tratta di vedere quale sia la scelta che si vuole compiere. Noi intendiamo semplicemente partecipare ad una corsa cercando di tagliare il traguardo tra i primi? Vi è un problema di
fondo, che riguarda un po' tutti noi. Se l'euro non ci sarà, che cosa accadrà? Lo dico in relazione a due ipotesi.
La prima ipotesi potrebbe verificarsi se l'euro non ci sarà perché la Germania riterrà troppo costoso partecipare e la Bundesbank truccherà in senso negativo i conti di questo paese per impedirgli di arrivare a quei parametri, e quindi si rinvierà l'unificazione monetaria europea. La seconda ipotesi si avrà se si faranno i conti veri in relazione all'Italia, se si guarderanno il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo e gli altri dati relativi al deficit; si comincerà allora a vedere che c'è un problema di rapporto di cambio e si dirà all'Italia di aspettare un attimo, di stare per qualche anno in una zona d'attesa.
Cosa succederà a quel punto? Ci siamo preoccupati di quello che succederà all'Italia nel caso in cui, per un motivo o per l'altro, l'euro non si facesse? A mio avviso no, perché se ciò fosse accaduto, allora avremmo cominciato davvero a toccare i problemi di fondo, i cosiddetti nodi strutturali di questo paese. Non lo si è fatto e non lo si fa nemmeno con questa ulteriore manovra correttiva.
Si persegue sempre lo stesso obiettivo: anticipare qualche entrata e ritardare qualche uscita. Lo si fa sia con gli interventi per la rottamazione che porta a vendere oggi automobili che comunque si sarebbero vendute nei prossimi anni solo per poter dire che abbiamo duemila occupati in più, quando fra un anno, probabilmente, vi saranno molti cassaintegrati in più in conseguenza dell'accelerazione dei tempi; lo si fa con la riscossione anticipata - giustissima, per carità! - delle imposte ancora non riscosse; lo si fa con il prelievo sul TFR; lo si fa, magari, con il contributo di solidarietà, che è un tributo, una tassa; lo si fa in modo tale da poter mettere in cassaforte un po' di soldi sapendo che poi dovranno essere restituiti. Ci si preoccupa, molto semplicemente, di varcare quel traguardo, come se dopo di esso non continuasse la politica, non continuassero l'economia, la concorrenza internazionale, europea e con gli altri paesi del mondo, senza risanare invece la struttura economica di base del nostro paese.
Leggiamo anche oggi che nella nuova manovra di 15 mila miliardi non vi sarà alcun intervento sostanziale sulle pensioni e sullo Stato sociale. Manterremo, di conseguenza, le ingiustizie di oggi. Attualmente, un pensionato di anzianità che vada in pensione a 53-54 anni carica sulla collettività una cifra di 300 milioni. Questi 300 milioni vengono sottratti o a investimenti per la nuova occupazione di chi non ha lavoro, oppure a chi ha pensioni da fame avendo una condizione di miseria. Il problema, infatti, non è quello delle pensioni d'oro e delle pensioni di fame; le pensioni basse, se sono in rapporto a basse contribuzioni, non creano ingiustizia, ma pensioni di fame assegnate a chi fa una vita di fame creano evidentemente ingiustizia. Questo è il problema che abbiamo di fronte. Salvaguardiamo privilegi e situazioni di iniquità ed al tempo stesso indeboliamo la struttura economica del paese.
Abbiamo ascoltato queste cose anche in congressi di partito di area diversa; fatto sta che i risultati pratici di quelle politiche sono quelli che abbiamo davanti, ossia una finanziaria fatta di trucchi contabili, manovre come quella che stiamo discutendo fatte di anticipazioni di entrate e di ritardi di spesa e cosiddette manovrine, che nell'eufemismo giornalistico del servilismo dell'informazione accentuato dal servilismo dei leader di opinione di Confindustria o del sindacato sono ciò che in altri tempi si chiamava stangata (fatto sta che anche in questo caso non si affrontano le questioni di fondo).
Per il fisco vale la stessa considerazione. Possibile che non ci si renda conto, per esempio, che il problema del Mezzogiorno è quello di consentire l'emersione del lavoro sommerso e che ciò si ottiene, innanzitutto, con la riduzione della pressione fiscale e secondariamente con la flessibilità del mercato del lavoro, ossia
aprendo le gabbie salariali che oggi esistono, costruite dai contratti nazionali di lavoro? Questa è la situazione.
Il tempo a mia disposizione è concluso e due minuti sono stati presi dalla sua telefonata. Desidero solo dire che il rischio politico di fondo per il paese, considerato come stanno andando le cose, è che si proceda a colpi di fiducia senza maggioranza ed a colpi di ostruzionismo senza opposizione. Su questo tutti dobbiamo riflettere (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Ho sempre pensato, signor Presidente, che in questi casi gli uffici della Camera dovrebbero disporre dei verbali del Consiglio dei ministri in modo da consentire ai parlamentari che lo volessero di prendere visione dei medesimi e di verificare così la legittimità della procedura seguita in relazione alla questione di fiducia, garantendo in questo modo non soltanto l'osservanza della legge ma anche il rispetto di quelle prerogative che diversamente - nel caso cioè che la procedura seguita non fosse corretta - verrebbero tolte ai parlamentari. Attualmente, infatti, non è consentito ad alcun deputato di questa Camera verificare se la questione di fiducia, posta nel caso in esame dal ministro delle finanze, onorevole Visco, abbia i crismi e i caratteri di legittimità previsti dalla normativa in vigore e più dettagliatamente dalla legge n. 400 del 1988.
Ho provato a rivolgermi all'ufficio per l'informazione della Camera e mi sono rivolto anche al servizio Assemblea per avere un supporto di carattere normativo, ma tutto quello che posso riferire in quest'aula è che non si è mai fatta questione in ordine alla legittimità della procedura con cui è stata posta la fiducia sui provvedimenti. Ritengo che questo sia un fatto da dover segnalare e prego il Presidente di farsi interprete presso la segreteria della Presidenza del Consiglio dei ministri affinché prima del voto finale su questo provvedimento sia consentito ai parlamentari di avere la copia del verbale della seduta del Consiglio dei ministri nel corso della quale si è deciso di porre la questione di fiducia su questo provvedimento. E non mi si venga a dire che il problema avrebbe dovuto essere evidenziato, semmai, prima del voto sulla questione di fiducia che è stata posta perché, a mio modesto avviso, esso rileva anche ai fini del voto finale: se non vi fossero i presupposti di legittimità in ordine alla questione di fiducia sollevata, infatti, non sarebbe corretta neanche la procedura fin qui seguita e ho l'impressione che una questione di fiducia posta a dispetto delle disposizioni vigenti farebbe venir meno la deliberazione della stessa Camera.
Concludendo questa parte del mio intervento, signor Presidente, mi permetto di investirla di questo problema che, mi creda, non è assolutamente secondario.
Passando ad alcuni aspetti del merito del provvedimento, non posso non sottolineare quanto il collega Giovanni Pace stava evidenziando, e cioè che il decreto al nostro esame è estremamente bugiardo. L'onorevole Pace lo stava spiegando in relazione alla deducibilità degli oneri riferiti ai mutui per la realizzazione degli interventi di manutenzione e ristrutturazione per le case di abitazione.
Ebbene, lo stesso onorevole Pace tentava, in qualche modo, di dire in quest'aula come quel provvedimento, essendo straordinario e riferito soltanto al 1997, non sia in grado di apportare alcun beneficio, solo che si ponga mente all'iter burocratico necessario in qualsiasi ente locale o pubblica amministrazione, che dir si voglia, per passare dalla fase progettuale a quella di approvazione e quindi da un progetto definito all'inizio dei lavori, chiedendo conseguentemente il necessario mutuo.
È evidente che chi ha disegnato questa norma ne ha voluto fare una norma di vetrina di fronte ad incessanti interventi, soprattutto dell'opposizione, che segnalavano nelle Commissioni competenti come un settore fondamentale per la ripresa economica del nostro paese fosse la casa di abitazione e - se mi è consentito - non certo la FIAT di Agnelli. Ebbene, a fronte di questi interventi che l'opposizione gettava sul tappeto, la risposta è stata questo intervento normativo, che sicuramente non dà alcuna risposta concreta alle esigenze del settore che, lo ribadisco, è un settore trainante.
Quella disposizione serve a poco, anzi sostanzialmente non serve a nulla, e chi l'ha concepita non ha fatto i conti con la pubblica amministrazione. Del resto, come potevano concepire, coloro che l'hanno disegnata, una norma diversa quando si è fatto in modo di inserire all'interno di questo decreto altre disposizioni, come quella, per esempio, riferita alle accise? È davvero pazzesco pensare che l'anticipazione (cosa ormai tipica e ricorrente del nostro tempo) di eventuali imposte, in questo caso delle accise, possa risolvere problemi di carattere economico-finanziario! Come si fa a sostenere che una disposizione come quella è una misura di completamento in relazione alle modalità di intervento sulla finanza pubblica (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale)?
Non credo Montesquieu, che forse di queste cose non si può più occupare, ma un qualsiasi studente universitario rimarrebbe scandalizzato se fosse questo l'orientamento in materia di finanza pubblica che viene in qualche modo disegnato! Ciò che è certo è che questo Parlamento ha inteso invece favorire, anche qui con misure non strutturali ma di carattere straordinario, certe imprese automobilistiche.
A fronte di questo intervento, si consuma uno degli altri teatrini della politica, che vede rifondazione comunista, nelle sedute di ieri e anche in quelle precedenti, parlare con un linguaggio, nei confronti dei padroni, che forse ricorda più gli anni settanta che quelli novanta, così definiti in termini negativi. Rifondazione comunista, dopo aver tentato o finto di condurre una battaglia nelle Commissioni, viene in quest'aula, ritira le sue truppe e si accoda al Governo, dando così la migliore dimostrazione di quello che è un regime. Tale è infatti, signor Presidente, non solo perché qui non si sa se la questione di fiducia sia stata legittimamente posta (cercherò di accertarlo), ma perché ormai il gioco è estremamente chiaro. Da una parte l'opposizione deve essere incanalata dallo schieramento dell'estrema sinistra; dall'altra la maggioranza, di concerto con i sindacati, ha la regia delle scelte di carattere legislativo e normativo.
Pertanto, all'interno di questa fase crediamo, non solo come alleanza nazionale ma come Polo per le libertà, di dover
richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su quanto sta accadendo e di dover quindi segnalare, anche facendo ricorso a questo tipo di attività, che c'è un pericolo. Non saprei dire se esso lo sia soltanto per la democrazia o anche per la politica; in ogni caso non è pensabile adottare continuamente, quotidianamente, dei provvedimenti che fingono di dare risposte, a fronte dei sacrifici che si impongono a larghe categorie di contribuenti, in nome di un'Europa che è sempre più lontana!
Abbiamo il dovere di denunciare questo sistema. Cari amici della maggioranza, questo sistema è il frutto di quella concertazione, è il frutto dell'accomodamento e del compromesso, delle scelte politiche che vedono insieme lo schieramento che va dal partito popolare a rifondazione comunista, con la sponda dei sindacati di regime. C'è il tentativo di non dare risposte concrete alla gente, ma di imbrigliare la questione politica per fare meglio i propri interessi e per mantenere le posizioni di potere che devono servire da base per le future iniziative.
Ebbene, potrei richiamare altri aspetti che ho già avuto modo di sottolineare nel mio intervento in sede di discussione sulle linee generali. Un altro aspetto divertente e colorato, se i colleghi mi consentono, è quello riferito alle disposizioni normative in ordine al tetto di emissione dei titoli pubblici in Italia e all'estero. È una cosa divertente. Se qui dovessimo in qualche modo pensare alla matematica, non potrei dire - e con ciò mi avvio alla conclusione - che essa sia un'opinione, ad esserlo sono invece i conti dello Stato. Dall'adozione del documento di programmazione economico-finanziaria preventivo rispetto all'estate, che segnalava un tetto di 109 mila miliardi, siamo arrivati a 128 mila miliardi con progressivi aggiustamenti.
Non è allora doveroso da parte nostra - e concludo davvero - chiedere a questo Governo di assumersi le proprie responsabilità e di spiegare al paese l'effettiva situazione dei conti pubblici, che neanche il ministro competente conosce (e confida negli aggiustamenti europei con la speranza - che, Dio non voglia, sarà magari disattesa - di poter centrare quell'obiettivo)?
Questo non è il modo di governare. Ecco dunque il motivo della nostra opposizione, che intendiamo segnalare con forza anche in quest'aula (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).
Debbo dire che non c'è da rimanere sorpresi per l'atteggiamento della minoranza, che oggi vuole portare avanti un principio che credo non sarà mai sufficientemente ribadito in quest'aula.
Stamane si è parlato di un tempo minimo necessario alla Camera per esaminare i provvedimenti. Abbiamo assistito in questi mesi alla continua presentazione di disegni di legge del Governo al Senato, dove una maggioranza numericamente più forte garantisce il prosieguo dell'iter degli stessi. Poi ci riduciamo sempre in pochi giorni ad affrontare i medesimi argomenti, avallando sostanzialmente una forma di monocameralismo, in cui tutto viene discusso solo nell'aula del Senato ed alla Camera ci si limita a certificare quanto è stato deciso altrove.
Credo che oggi la nostra presenza ed i nostri interventi siano tesi a denunciare questa circostanza, al di là dei contenuti. Veniamo a questi ultimi. Ho potuto verificare - e credo lo abbiano fatto tutti i colleghi - che le previsioni della minoranza sull'andamento dei conti pubblici vengono continuamente confermate.
In sede di esame della legge finanziaria avevamo preannunciato che probabilmente,
con la relazione trimestrale di cassa, avremmo scoperto che mancavano molte decine di miliardi. Ora pare, finalmente, che il Governo si sia reso conto che, effettivamente, avevamo ragione. Al di là di una mera soddisfazione morale, non ci può certo far piacere aver avuto ragione nel prevedere lo sfascio dei conti pubblici e dell'andamento della nostra economia.
Nonostante i trionfalismi del Governo Prodi, il marco è ormai arrivato a quota mille e il dollaro si avvia rapidamente a raggiungere le 1.700 lire. La nostra economia quest'anno segnerà un aumento dello 0,9 per cento, dunque molto lontano dalle previsioni dell'esecutivo.
Ci dobbiamo allora domandare se il Governo stia svolgendo fino in fondo il proprio ruolo, se stia fino in fondo tutelando gli interessi generali del paese. Non vediamo una politica di largo respiro a medio e lungo termine. Rileviamo, invece, interventi tampone che aggiustano qua e là qualche prelievo fatto con le anticipazioni, come quelle sulle accise. Verifichiamo poi che l'economia è in una fase stagnante e che l'inflazione coincide con un calo dei consumi piuttosto che con un processo di miglioramento.
Quando vediamo che anche i tassi bancari non si allineano al tasso di sconto e che non seguono l'andamento dell'inflazione, ci domandiamo se non sia necessario effettuare ulteriori interventi.
Cosa dire della politica di questo Governo sull'occupazione? La disoccupazione continua ad aumentare e non credo che interventi come quello sulla rottamazione produrranno effetti positivi. Ho sentito in quest'aula dire che la legge Tremonti, presentata dal Governo Berlusconi, aveva prodotto un semplice effetto di anticipazione delle spese e che si era creata una sorta di ingorgo. Mi chiedo allora se il provvedimento del Governo sulla rottamazione non produrrà il medesimo effetto. Fra l'altro bisogna considerare che gli effetti di tale provvedimento saranno di durata estremamente limitata. Infatti, delle due l'una: o anche questo provvedimento è sbagliato, oppure era giusta la legge Tremonti che andava incontro alla necessità di favorire nuovi investimenti.
Mi sembra che questa maggioranza non abbia ben chiaro il concetto di investimento e di spesa perché gli investimenti continuano a latitare, mentre le spese continuano ad aumentare. Se è noto a tutti che le spese non portano nuova occupazione, allora o si effettua un cambiamento di rotta e si inizia a ragionare in termini di nuovi investimenti per creare nuova occupazione, oppure la situazione del paese peggiorerà sempre più.
Ad ogni modo, ci sembra che questo Governo continui a seguire i cambiamenti di umore dei tedeschi e degli olandesi, che una volta dicono che forse ce la faremo ad entrare in Europa ed un'altra volta sostengono che non ce la faremo in alcun modo. Noi siamo convinti che, se non si effettueranno interventi strutturali e non meramente correttivi attraverso una sequela di «manovrine», noi non ce la faremo ad entrare in Europa.
Non sarà sufficiente avvicinarsi ad alcuni dei parametri di Maastricht, come qualcuno sostiene in ambito governativo, perché non bastano le manovre tampone per sistemare dal punto di vista strutturale l'intero assetto della spesa pubblica. Lo ripeto, non è sufficiente avvicinarsi ad alcuni dei parametri di Maastricht, se successivamente non riusciremo ad attenerci a quei criteri. Sono considerazioni che fanno aumentare le preoccupazioni.
Signor Presidente, temo che il Governo pensi agli obiettivi posti dal trattato di Maastricht come ad una scusa per continuare ad aumentare le imposte, le entrate e al contempo per giustificarsi nei confronti del paese. Quando un Governo continua ad aumentare le entrate, evidentemente lo fa perché non ha idea di come effettuare i tagli strutturali. Ciò avviene perché all'interno di questa maggioranza non vi è una unicità di intenti, manca una politica di lungo periodo: non si ha idea di che cosa fare, di come farlo e in che tempi.
Se questa è la situazione reale, io sono molto preoccupato perché, quando arriveremo
alla scadenza posta dal trattato di Maastricht - anche se personalmente penso che la data di introduzione della moneta unica slitterà, ma i tempi ci diranno se la nostra previsione sia valida o no -, bisognerà chiedere al Governo quali misure intenda adottare per il futuro. Ma vedo che grosse componenti di questa maggioranza pensano di poter rinviare questioni importanti come lo sviluppo dell'economia, la ripresa dell'occupazione e la revisione totale della struttura della spesa pubblica.
Dobbiamo anche considerare che ai 2 milioni 200 mila miliardi di debito pubblico vanno aggiunti i debiti dei comuni, degli enti locali in genere, dell'INPS; ci sono migliaia di miliardi nascosti fra le pieghe del bilancio statale, un bilancio che va rivisto completamente allo scopo di individuare le aree di evasione perché il sistema di riscossione è assolutamente deficitario. Occorre soprattutto passare dall'aumento della pressione fiscale all'aumento degli investimenti ed è per queste ragioni che ribadiamo ancora una volta il nostro «no» a questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Si tratta di un decreto, come sottolineato da molti colleghi intervenuti precedentemente, male impostato, che dispone una serie di interventi in vari settori della finanza pubblica aventi una caratteristica comune, quella di essere interventi non strutturali, legati ad una situazione particolare e tali da manifestare una certa «schizofrenia» (ripeto un termine usato poc'anzi dal collega Pace) nell'affrontare in maniera complessa e diffusa la situazione pesante in cui versano la finanza pubblica italiana ed il bilancio dello Stato.
Come dicevo, tali interventi seguono la logica della quotidianità, la logica della perfetta continuità con i peggiori Governi che si sono susseguiti nel tempo e che hanno portato al dissesto del nostro bilancio e quindi dello Stato. Sono interventi che non agiscono in modo profondo sulle cause, sulle origini della grande voragine rappresentata dal debito pubblico italiano.
Il gruppo di alleanza nazionale e comunque tutto lo schieramento del Polo attendevano dal Governo un atteggiamento diverso, una sensibilità diversa, una sensibilità che non si è manifestata nelle precedenti manovre, in particolar modo nella finanziaria precedentemente approvata. Da qui nascono le perplessità relative al decreto sottoposto al nostro esame.
Non ci sono tagli strutturali della spesa, in compenso però la manovra punta molto sugli artifizi contabili, sulle anticipazioni dei versamenti e dei tributi erariali e soprattutto punta ai blocchi degli impegni della realtà diffusa più importante nella vita della nazione, cioè gli enti locali. Quelli che ho elencato sono gli aspetti più preoccupanti, che dimostrano una totale incapacità di affrontare la questione nel suo complesso. In relazione agli artifizi contabili - come sottolineava prima il collega Contento - penso che nessuno possa affermare che il ricorso a meccanismi quali le anticipazioni dei versamenti possa considerarsi un intervento strutturale. Questi meccanismi in questo momento possono portare a qualche forma di beneficio, anche se il beneficio è tutto ancora da dimostrare, come abbiamo potuto vedere in occasione di precedenti manovre che sembravano essere un punto importante della strategia del Governo in tema di finanza pubblica ma che, sulla base dei dati di cassa e dei
dati trimestrali, che stiamo ancora attendendo, sono stati sistematicamente disattesi.
Questo dimostra di fatto che anche le valutazioni sulle anticipazioni e su queste forme di entrate previste nei confronti del bilancio sono evidentemente errate e non corrispondono alla realtà. Ciò che è particolarmente preoccupante è il blocco degli impegni assunti (mi riferisco a quanto previsto dall'articolo 8 del provvedimento), che dovrebbe limitare al 90 per cento la possibilità di accesso alla tesoreria da parte di una serie di enti. Questo - lo ripeto - è un aspetto particolarmente preoccupante. Noi sappiamo, infatti, che nella fase attuale subiamo le conseguenze di un retroterra di circa 10 anni di attività bloccata riguardo ai grandi investimenti sulle infrastrutture, che sono completamente assenti, dei quali l'Italia e tutte le regioni (in primo luogo, sicuramente il Mezzogiorno, ma anche le regioni che oggi registrano i più alti livelli di industrializzazione e una forte presenza di piccole e medie imprese) del paese necessitano.
Con queste caratteristiche di comportamento anche rispetto alla possibilità degli enti di accedere a quelle forme di finanziamenti non vi è chiarezza e non si dà sicurezza a tutte le grandi imprese che intendono comunque partecipare agli appalti pubblici per queste infrastrutture. In tal modo, di conseguenza, si destabilizza un sistema che - lo ripeto - allo stato attuale risulta essere fortemente bloccato. Tutto ciò rischia di esporre il bilancio dello Stato - a seguito di valutazioni sovradimensionate e di conseguenza errate - a gravissimi rischi per il futuro; e purtroppo vi è la sensazione che si dovrà intervenire successivamente con ulteriori manovre che, alla luce degli intendimenti evidenziati fino ad oggi dal Governo e delle prospettive odierne, consisteranno in ulteriori inasprimenti della pressione fiscale. È questa una strategia già conosciuta ed una situazione già vista, ma che denota comunque un grave scollamento tra la realtà viva e produttiva del paese e gli intendimenti di un Governo che non intende comunque prendere atto delle realtà della competizione economica nazionale ed internazionale. Questo Governo, infatti, non ha saputo dare fino ad oggi adeguate garanzie. Non ha saputo fino ad oggi approntare una politica seria in questa direzione.
Alcuni miei colleghi facevano prima riferimento alle problematiche molto pesanti dell'occupazione e del Mezzogiorno. Io farò invece un riferimento molto forte - e quindi un richiamo al senso di responsabilità - alle aree fortemente industrializzate e in cui la piccola e media impresa ha offerto fino ad oggi un importante contributo sia dal punto di vista dell'occupazione sia e soprattutto all'erario. Queste ultime, infatti, rappresentano le realtà più vitali del paese che nel momento attuale garantiscono ancora allo Stato delle importanti entrate per poter programmare l'attività del Governo e la crescita della nazione.
Dicevo che vi sono dei segnali estremamente preoccupanti, che alleanza nazionale ha già sottolineato attraverso la presentazione di provvedimenti normativi. Ma manca tuttavia una certa sensibilità del Governo al riguardo. Noi abbiamo il problema che le realtà delle piccole e medie imprese tendono comunque a rivolgersi all'estero, in presenza di una pressione fiscale estremamente consistente, continuativa e senza segnali incoraggianti, e a valutare delle opportunità di insediamento e di investimento in nazioni limitrofe alla nostra; sottolineo che queste ultime stanno cercando di rispondere a tali esigenze con incentivi estremamente allettanti. È gravissimo pensare che alcune realtà imprenditoriali del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia possano investire - e quindi portare insediamenti produttivi - all'estero, e cioè in Slovenia, in Croazia e in Austria, pur di non continuare a produrre in Italia perché ormai la pressione fiscale e le condizioni per poter lavorare - e quindi incrementare l'attività produttiva - sono assolutamente insostenibili!
A fronte di questa situazione se vi deve essere responsabilità da parte nostra nell'affrontare
l'argomento, riteniamo che prima di tutto debba esservi assunzione di responsabilità da parte del Governo, che deve fornire risposte in termini di interventi.
Quindi, sono necessari incentivi fiscali alla piccola impresa e non certo atteggiamenti come quello che è stato assunto con l'incentivo alla rottamazione, in una logica che vede comunque questo Governo sostenuto da una grande impresa assistita, che ha fino ad oggi utilizzato tutte le leve normative, da una parte, per poter scaricare sul bilancio dello Stato, quindi sulla spesa pubblica, le incapacità imprenditoriali e gestionali, dall'altra per privatizzare gli utili. Oggi il Governo, invece di dare risposte a coloro che riescono a competere a livello internazionale in maniera efficace, tende ad aumentare le prerogative di queste grandi realtà.
È per questa motivazione che...
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leone. Ne ha facoltà.
Vedere in quest'aula l'atteggiamento di rifondazione comunista, che con manovre rocambolesche e con dichiarazioni quasi da vergogna viene a supportare...
Sono queste le cose che vengono fuori da questo provvedimento, e, unite alla voglia di continuare a fare della seconda repubblica quello che si è fatto con la prima, consentono di creare ancora clientela. La battaglia che il gruppo di alleanza nazionale e l'intero Polo hanno condotto in quest'aula su alcune posizioni - non dovute a mero ostruzionismo al quale lo stesso Governo ci sta portando con l'atteggiamento di chiusura totale e di «blindatura» sia in Commissione che in aula al fine di non recepire le istanze dell'opposizione - è stata proprio quella di far emergere questa dicotomia e questi contrasti. Infatti, nel momento in cui si ritiene che i governi passati siano stati carenti, nel momento in cui si va sbandierando
la possibilità di un cambiamento di rotta e quindi di concezione nella politica del Governo, ebbene tale intento non viene tradotto negli atti, così come dimostra il provvedimento oggi in esame.
Torno sulla questione delle case popolari, perché bisogna ammettere che vi è un contrasto enorme tra la volontà di pervenire ad una migliore amministrazione ed il tentativo di aiutare le gestioni passate, che sono state deficitarie, e la scelta di penalizzare, in definitiva, le vecchie gestioni, riducendo la possibilità di prelievo per alcuni enti tra i quali l'istituto autonomo case popolari. Questo è uno degli argomenti che si può porre in evidenza per comprendere quale sia la strada sulla quale il Governo ci vuole portare.
Occorrerebbe poi parlare, come accennavo poc'anzi, della questione relativa alla rottamazione, agli aiuti che si vogliono portare alla più grossa azienda italiana con un provvedimento kamikaze che non avrà nessun altro effetto se non quello, al quale alludeva il collega Taradash, di ritrovarci di qui a breve, una volta esaurite le scorte delle autovetture, di fronte ad uno spaventoso ricorso alla cassa integrazione. Sì, perché alla cassa integrazione Agnelli ha sempre attinto; alle nostre tasche Agnelli ha sempre attinto e continuerà ad attingere sino a quando garantirà sostegno al Governo.
Come si può pensare di togliere ai non abbienti, a chi ha veramente bisogno, a chi attende da anni una ristrutturazione della sua poverissima abitazione, per dare invece a chi già è ricco, a chi non ha mai perduto una lira in relazione all'andamento del mercato? Badate, l'atteggiamento del Governo, al di là di queste brevi considerazioni, traspare anche da un altro provvedimento inserito nel decreto-legge n. 669. Mi riferisco all'articolo 29-ter con il quale - guarda caso su richiesta dei verdi - si taglia completamente il finanziamento che consentirebbe di continuare a gestire la scuola tributaria in quel di Gorizia. Ed a nessuno sfuggirà che l'estrazione politica dell'amministrazione della città di Gorizia è di centro-destra. Ebbene, pur di arrivare a sopprimere del tutto tali aiuti si è giunti a vere e proprie aberrazioni giuridiche, qual è quella di non consentire alle ditte che hanno contribuito, con il loro lavoro, alla creazione di tale scuola, una giusta retribuzione, eliminando appunto ope legis legittime aspettative, in virtù del principio del «chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato».
Questi sono gli aspetti più pregnanti che emergono dal provvedimento in esame che non ci porterà in Europa per le ragioni che i colleghi Conte e Marzano hanno egregiamente illustrato. Non si può continuare a varare riforme non strutturali, a mettere «pezze», ad assumere comportamenti di rottura nei confronti dell'opposizione. Nel momento in cui un'opposizione si dichiara pronta e disponibile ad offrire un aiuto il più leale possibile per consentire alla maggioranza di andare avanti in vista dell'obiettivo dell'ingresso in Europa, il Governo invece decide di chiudersi a riccio; decide di consentire l'abbandono nelle Commissioni finanze e bilancio - quello che è accaduto la scorsa settimana - degli esponenti delle minoranze (badate bene: qui vi è un altro pericolo già messo egregiamente in rilievo in quest'aula da altri colleghi) per far sì che questo provvedimento «blindato» non ritornasse più al Senato.
Forse siamo ormai arrivati ad una riforma monocamerale dello Stato perché, evidentemente, si svuota del tutto la possibilità che in quest'aula possano essere introdotti miglioramenti anche a fonte di errori madornali commessi al Senato. Ciò per evitare che il provvedimento in esame torni al Senato, che sia migliorato e di far anche solo pensare che questa maggioranza non abbia la forza numerica di andare avanti, in barba a qualsiasi opposizione ed a qualsiasi suggerimento da parte di quest'ultima per migliorare certi provvedimenti.
Tutto ciò emerge, come ha messo in rilievo anche il collega Contento, con una volontà che ormai è parte di noi, la sentiamo sulla pelle e dentro di noi: stiamo andando verso una irregimentazione del sistema. Per questo mi associo
alla dichiarazione di voto dell'onorevole Marzano, che sarà contrario al provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Quando non si tiene conto neppure dei suggerimenti, che qualche volta possono anche essere opportuni e giusti, siamo alla fine. Quando i rapporti tra maggioranza ed opposizione si riducono a questi «braccio di ferro», siamo alla fine della democrazia in Italia.
Si parla soprattutto di manovre fiscali (adesso è stato coniato un nuovo termine, si chiamano «manovrine», per fare intendere, come si fa con i bambini, che si tratta di pillolette che non fanno male): vorrei capire a cosa servano queste «manovrine», se si tratti di misure di carattere economico risolutive di alcune situazioni, ovvero di interventi tampone. Questo bisogna capire ed anche a cosa tali interventi siano mirati.
Signor sottosegretario, ogni tanto dovreste viaggiare per il nostro paese, venire in Puglia dove gli uffici di collocamento, dalle ultime stime di questi giorni, hanno quantificato i disoccupati in 550 mila unità: solo a Bari, una città di 370 mila abitanti, i disoccupati sono oltre 52 mila. Consideri questo dato.
Durante il Governo Berlusconi i vostri sindacati, la triplice sindacale, scese in piazza protestando per manovre che non avevano nulla a che vedere con le attuali (eravamo al di sotto). I sindacati protestavano perché non c'era occupazione, perché - si diceva - Berlusconi aveva promesso un milione di posti di lavoro che non si vedevano. Qualche spiraglio, però, c'era.
Chiedo allora a questo Governo quante decine di posti abbia assicurato in un anno: forse neanche decine (Commenti del deputato Garra)! Invece è aumentata in maniera preoccupante la disoccupazione e si ha il timore che questo malcontento possa degenerare in atti inconsulti. Siamo in un vicolo cieco, siamo sull'orlo di un baratro! Questa è la verità!
Il Governo dice di voler riparare i guasti di quarant'anni, ma deve spiegarci quali sono i veri obiettivi: quello dell'Europa è solo un alibi. Dobbiamo allora comprendere quali sono i motivi. Dobbiamo capire cosa il Governo intenda fare per affrontare la disoccupazione, per ridurre l'oppressione fiscale, per combattere l'evasione.
Signor sottosegretario, circa quindici giorni fa in Commissione finanze si è discusso di una grave vicenda di evasione fiscale da parte di una grossa multinazionale americana: 9.200 miliardi. Ebbene, si è avuta l'impressione che il Ministero delle finanze abbia fatto quadrato intorno alla multinazionale, sminuendo o riducendo ai minimi termini quello che la Guardia di finanza - il cui ex comandante generale lo aveva dichiarato nella stessa Commissione finanze - aveva chiaramente segnalato come un caso di evasione fiscale. Al Ministero, invece, si è cercato di minimizzare: evidentemente l'azione che la multinazionale ha svolto è stata molto convincente per far cambiare atteggiamento!
Per quanto riguarda l'occupazione, possiamo aggiungere che sempre il Ministero delle finanze ha delegato tutto il sistema di informatica, un piano triennale di 25 mila miliardi. Signor sottosegretario, lei sa dove viene svolto questo lavoro? In
Albania! I vari passaggi, i subappalti a ribassi pazzeschi hanno portato il lavoro - che doveva essere necessariamente svolto in Italia, perché i bandi sono europei - in Albania, dove un dipendente prende 130-140 mila lire al mese. Le aziende italiane, le aziende meridionali emigrano in paesi dell'est: mi domando cosa faranno i nostri giovani, quale destino aspetta loro, quali mestieri potranno esercitare. Niente, insomma, per giustificare queste manovrine; niente per lenire il dolore di questi disoccupati, per ridurne il numero, per diminuire l'attesa di un lavoro. Ho parlato della Puglia (550 mila disoccupati): ma immaginiamo a quale cifra si potrebbe arrivare se contabilizzassimo le stime di tutta l'Italia.
Quali prospettive ha questo Mezzogiorno d'Italia? Soltanto imbrogli. È un Mezzogiorno saccheggiato dalla classe politica che ha preceduto questi Governi. Saccheggiato: hanno realizzato impianti siderurgici dove sarebbe stato necessario insediare industrie manifatturiere per la trasformazione dei prodotti dell'agricoltura. Hanno rubato per quarant'anni: adesso quest'area paga lo scotto di un malgoverno durato troppo.
Non si può, allora, continuare a tartassare i cittadini italiani. Le vostre stime (lo ha detto l'ISTAT), le cifre del Governo dicono che l'oppressione è stata quantificata intorno al 46 per cento: su 100 mila lire guadagnate da un italiano, 46 mila - cioè - sono tasse.
Onorevole Marongiu, più tardi potrà chiedere la parola ed intervenire. Ma adesso non può interrompere (Applausi dei deputati Bocchino e Vito)!
Prosegua pure, onorevole Marengo.
Signor sottosegretario, pensi che il SECIT ha il compito di studiare i fenomeni dell'evasione e riferirne al ministro. Sarà poi il ministro a decidere se operare o meno i relativi accertamenti fiscali. Siamo arrivati alle polizie personali!
Quando era titolare del dicastero delle finanze, il vostro collega ministro Fantozzi tentò di istituire un altro ispettorato, lo STAF: per fortuna il tentativo è stato sventato da un'opposizione che non gli ha dato tregua.
Allora, l'evasione fiscale si combatte seriamente, facendo pagare le tasse a tutti ma offrendo anche ai cittadini i servizi di cui hanno bisogno. Abbiamo una sanità malata che non funziona, la gente si sente abbandonata dalle istituzioni e non crede più in esse. Si sente abbandonata perché chi ha diretto e chi dirige ancora gode di immunità da parte di una magistratura lenta e molto spesso disattenta. I processi si risolvono tutti con assoluzioni: scoop da prima pagina, iter giudiziari che durano 10-15 anni, per poi vedere tutti assolti! Dov'è la serietà?
Lo scorso anno, signor sottosegretario, ho presentato una proposta in materia di evasione fiscale che è morta sul nascere. Questo è il metodo che si usa: si fanno morire le proposte! La mia proposta è di istituire una Commissione parlamentare contro l'evasione fiscale, che interpellasse i grossi industriali, gli uffici dello Stato. Non è detto, infatti, che tutti gli uffici dello Stato funzionino bene e che tutti i funzionari dello Stato siano integerrimi. Basta leggere le cronache! Una Commissione parlamentare dotata dei poteri delle altre Commissioni parlamentari potrebbe avere un'incidenza maggiore e potrebbe anche chiedere al ministro perché non si interviene in una certa maniera.
Per tutte le ragioni che ho illustrato, signor Presidente, esprimo il mio rammarico per questo ennesimo tentativo di
carpire la buona fede degli italiani e di continuare sulla strada dell'oppressione fiscale, senza alcun risvolto positivo per il paese (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).