Seduta n. 154 del 19/2/1997

Index Forward

Pag. 12561

La seduta comincia alle 9,05.

MAURO MICHIELON, Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana di ieri.
(È approvato).

PRESIDENTE. Comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A ai resoconti della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 1925. - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, recante disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997 (approvato dal Senato) (3181) (ore 9,06).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, recante disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997.
Ricordo che nella seduta pomeridiana di ieri ha avuto inizio la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Valensise, al quale chiedo se voglia iniziare il suo intervento in attesa che arrivi il rappresentante del Governo, o se invece preferisca aspettare.

RAFFAELE VALENSISE. Signor Presidente, è vero che sono presenti autorevoli esponenti della maggioranza ed il presidente della Commissione Finanze, ma il Governo è un interlocutore necessario e quindi è opportuno aspettare un attimo.

PRESIDENTE. Al rappresentante del Governo, che è giunto in questo momento, vorrei raccomandare la puntualità.

PIERO DINO GIARDA, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Mi scuso con l'onorevole Valensise e con l'Assemblea, ma sono stato trattenuto per alcuni minuti.

PRESIDENTE. L'onorevole Valensise ha facoltà di parlare.

RAFFAELE VALENSISE. Signor Presidente, avevo ragione quando ho chiesto alla sua cortesia di attendere, perché il professor Giarda è interlocutore non solo autorevole ma anche necessario in materia di bilancio. Ho usato l'aggettivo necessario, non solo per la sua preparazione specifica, ma anche e soprattutto per l'esperienza che egli ha fatto negli anni scorsi della maniera convulsa nella quale le manovre per il 1996 e per il 1997 hanno preso forma.
Non ripeterò le osservazioni svolte, con la sua specifica preparazione, dal collega Armani e mi limiterò a qualche osservazione che riguarda soprattutto il modus procedendi al quale il Governo si è detto costretto dalle circostanze, un modus procedendi che ha prolungato la sessione di bilancio al di là di ogni ragionevole limite di tempo e, per quanto riguarda i lavori del Senato, ricordo a tutti la vicenda del provvedimento approvato in quella sede e poi rettificato sulla Gazzetta Ufficiale; una


Pag. 12562

vicenda senza precedenti, ormai alle nostre spalle, ma della quale bisogna tenere conto, perché conferma l'inutilità o quanto meno la non perspicuità della tecnica del «tutto e subito».
Siamo ormai completamente al di fuori delle regole che il sistema si era dato attraverso le due leggi sulla contabilità di Stato, la n. 468 e la n. 362, che prevedevano sessioni di bilancio con scansioni precise e tali da contenere una manovra che avesse una sua logica ed un suo indirizzo.
La tentazione del «tutto e subito» ha prodotto una manovra affannosa, che abbiamo lasciato all'intera responsabilità della maggioranza, rifiutandoci di condividere, anche solo con un voto contrario e con la presenza in aula al momento del voto, responsabilità che non ci sentivamo di assumere, soprattutto perché il Governo e la maggioranza avevano ritenuto in quell'occasione di ricorrere, in maniera eccessiva se non senza precedenti, peraltro non commendevoli, allo strumento della delega per cercare di avviare in modo sollecito una serie di riforme pseudostrutturali, che avrebbero dovuto portare ad un alleggerimento dei conti pubblici. Noi quindi veniamo da un'esperienza non positiva, quella della sessione di bilancio per il 1997, che si è avuta nella seconda metà del 1996; e in questa esperienza non positiva si continua con il decreto-legge al nostro esame.
Il disegno di legge n. 3181 è uno zibaldone di materie, tutte da disciplinare e da rivedere, alcune nuove, che vogliono creare non si sa come...

PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, onorevole Valensise. Prego i relatori di prestare maggiore attenzione.

RAFFAELE VALENSISE. Dicevo che il provvedimento in esame disciplina materie di rilievo, che peraltro non potevano essere concentrate in una sessione di bilancio anomala, una sessione di bilancio-bis, come quella che stiamo vivendo, perché esse hanno creato e creano situazioni di potenziale illegittimità e di assoluta incertezza dei destinatari del messaggio.
Non basta, signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, lo «zuccherino» dell'articolo 29, uno «zuccherino» un po' avvelenato, che prevede il premio per la rottamazione delle macchine. Si tratta di un provvedimento che può essere oggettivamente utile dal punto di vista della generale sicurezza della circolazione, perché incentiva la distruzione di quella parte del parco macchine che per antica nascita non è affidabile sulle strade. In tal modo si realizza un'aspettativa ed una sorta di stimolo alle vendite, ma noi ci preoccupiamo di ciò che rappresenta questa misura, criticata non solo da questi banchi ma anche da settori della stessa maggioranza, per l'impegno finanziario che comporta, nel generale quadro della stimolazione dei fatti dell'economia.
Avremo certamente uno stimolo all'acquisto non soltanto di macchine italiane (perché non siamo più in tempi di autarchia, ma di mercato comune), ma anche di prodotti stranieri, quindi le ricadute a spese dell'erario saranno vantaggiose per tutta la Comunità europea. Sono elementi che forse, professor Giarda, bisognerebbe far valere al tavolo delle trattative per la dimensione del nostro impegno per i famosi parametri di Maastricht, cui noi contribuiamo in via indiretta attraverso le stimolazioni del mercato automobilistico, che si risolvono in un vantaggio per le fabbriche, anzi per la fabbrica italiana. È la FIAT, infatti, la fabbrica per eccellenza del prodotto automobile; ci fa molto piacere che essa si trovi in Italia e sia al centro di una regione operosa come il Piemonte, ma raffrontata a livello mondiale è una fabbrica di modeste dimensioni. All'estero le fabbriche come la FIAT non hanno capacità e possibilità produttive per reggere la concorrenza.
Voi siete intervenuti con un provvedimento che ha un'oggettiva ricaduta non negativa sulla sicurezza del parco macchine ma che dal punto di vista dell'incentivazione dell'economia è molto limitato, molto settoriale e non è sufficiente


Pag. 12563

nella generale situazione di non stimolo all'aumento della produttività generale, che è la pagina ancora bianca sotto il profilo delle azioni, dei suggerimenti e delle spinte da parte del Governo. Qual è la nostra posizione? È una posizione non nuova, attraverso la quale noi, anche di fronte a questo provvedimento, ci chiediamo quali siano le ricadute sull'aumento della produttività e quindi sull'aumento delle possibilità potenziali di incrementare il gettito fiscale. Sono poche o nulle: fatta eccezione per l'articolo 29 e per il settore dell'automobile, vi è poco o niente fra le varie e complesse norme che acrobaticamente cercano di spremere determinati settori con incentivazioni più apparenti che sostanziali.
Abbiamo segnalato e continueremo a segnalare il settore dell'edilizia come quello che avrebbe dovuto essere incentivato dalla maggioranza e dal Governo: esso beneficia di modeste riduzioni delle aliquote dell'IVA in relazione alle operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria, ma si tratta di poca cosa. Non vi è il coraggio, da parte del Governo e della maggioranza, di affrontare un vero rilancio della produttività generale, che non può essere stimolata soltanto in talune zone del paese che hanno la fortuna o la sfortuna di ospitare fabbriche automobilistiche, ma che dovrebbe essere incentivata in tutto il territorio nazionale, a cominciare dal Mezzogiorno. Quando si dà luogo ad un rilancio dell'edilizia si induce un aumento della base produttiva e del gettito diretto ed indiretto di natura fiscale; da tale rilancio possono derivare la valorizzazione dei terreni, la stimolazione dei comuni all'approvazione dei piani regolatori, nonché la mobilitazione di tutte le sinergie virtuose che accompagnano il fenomeno dell'edilizia e che interessano tutti i vari settori dell'industria delle costruzioni. Si tratta di un suggerimento che stiamo ripetendo da mesi in quest'aula, ma al quale il Governo non ha dato che una modesta risposta a proposito dei 5-6 punti in meno in materia di IVA per le manutenzioni di carattere straordinario.
Per il resto, siamo in presenza di una serie di iniziative legislative che si rivolgono settorialmente a determinate parti del sistema produttivo. Vi è la trovata - ne parlerà il collega Antonio Pepe - della possibilità di operare sugli strumenti preliminari di un atto di vendita: si tratta di soluzioni che valuteremo alla luce dell'esperienza per vedere quale tipo di evasione o di elusione produrranno. Infatti la registrazione dei patti preliminari è un'abitudine virtuosa, che tuttavia non è propria di tutti i tempi: vi è una sorta di do ut des per dare certezza al preliminare e per cercare di stimolare il mercato dell'edilizia con l'obbligo della registrazione di attività che di solito si svolgono, per così dire, sulla parola e che attualmente avvengono in elusione del fisco. Questo è l'id quod plerumque accidit dell'esperienza comune; valuteremo alla prova dei fatti la normativa che avete introdotto, ma è facile prevedere che in sede di esecuzione vi saranno molta perplessità e molta attenzione da parte degli operatori del settore.
Le norme si commentano un po' da sole, poiché si cerca di aggiustare il mondo della fiscalità dal punto di vista dell'aumento delle entrate. Mi auguro che nella replica dei relatori per la maggioranza vi saranno delle osservazioni su questo punto. Ma quando da questo provvedimento, da questa congerie di norme dovrà trarsi il totale, il sunto generale, ritengo che le entrate aggiuntive possibili non saranno perspicue nelle cifre.
Soprattutto, vorremmo conoscere dalla onestà intellettuale dei relatori qual è, secondo loro, il contributo, la ricaduta positiva in termini di funzionalità maggiore del sistema economico che tutta questa serie di norme - e risparmio il fastidio di elencarle - possono produrre al sistema stesso. Questo è il problema di fronte al quale si troveranno il Governo e la maggioranza. È il problema di avviare una produttività a più velocità: noi siamo ad una produttività che marcia in prima o in seconda, per usare il gergo automobilistico, mentre abbiamo bisogno di una produttività che marci a ritmi non dico di

Pag. 12564

autostrada, ma di superstrada veloce. Mi sembra che tale impulso non emani da questo tipo di normative, dalle quali vi siete lasciati imbrigliare fin dal momento in cui avete pensato la vostra prima finanziaria, approvata il 31 dicembre scorso.
Mi sembra che questa manovra aggiuntiva conferisca poco a questa esigenza oggettiva - non è un'esigenza dell'opposizione, ma è un'esigenza oggettiva del corpo nazionale - di aumentare la produttività, perché attraverso l'aumento della produttività si estende la base imponibile e si aumenta il gettito fiscale. Avete bisogno di aumentare le entrate, perché i vostri suggeritori addetti alle entrate fiscali così vi dicono, ma aumentare le entrate nell'immediato non è una manovra virtuosa; manovre virtuose sono quelle che aumentano le entrate non solo partendo dall'immediato, ma anche e soprattutto nella prospettiva, quella prospettiva che mi sembra manchi del tutto in questo provvedimento.
Da qui, onorevole Presidente, il nostro atteggiamento duramente e nettamente contrario. L'ultima riflessione che affido alla cortesia degli autorevoli ascoltatori di questo momento è che noi non decampiamo da una vigilanza, la più informata e la più attenta possibile, su questo modus procedendi, su questi nuovi riti che si sono instaurati, che voi instaurate; nuovi riti, per cui la manovra finanziaria dura ormai tutto l'anno. Abbiamo cominciato con il documento di programmazione economico-finanziaria e fra novanta giorni sarà trascorso un anno esatto da quel momento, mentre siamo ancora impelagati nella manovra economica e finanziaria per il 1997: una manovra economica disarmonica, a volte contraddittoria e con scarsi risultati. Le manovre possono essere anche disarmoniche e contraddittorie, ma se i risultati sono positivi, si fanno perdonare le linee di disarmonia. Voi, invece, avete la disarmonia, un'applicazione forzata della normativa sulle manovre economiche e finanziarie, sulla sessione di bilancio, ma a nostro giudizio non avete risultati di gettito che siano tali da farsi perdonare o da far accettare la disinvoltura procedurale che caratterizza l'atteggiamento della maggioranza nella tenuta dei conti pubblici.
Queste le ragioni per cui il nostro atteggiamento contrario alla finanziaria che è alle nostre spalle sarà certamente confermato in occasione del voto sul provvedimento al nostro esame (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Paroli, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Antonio Pepe. Ne ha facoltà.

ANTONIO PEPE. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il decreto-legge n. 669 del 1996, con il quale il Governo intendeva assestare e completare la manovra finanziaria appena approvata dal Parlamento, paradossalmente peggiora la manovra economica nel suo complesso, rendendola poco efficace, di lettura non immediata e di difficile coordinamento con l'intero sistema normativo sul quale tende ad incidere. Quindi, pur riconoscendo che il decreto presenta qualche aspetto positivo, esprimiamo complessivamente un giudizio negativo sul testo in esame. È un decreto-omnibus che spazia in campi tra loro diversi, prova di una non chiara produzione normativa. Ancora una volta questo Governo non guarda all'economia reale né al crollo delle piccole, piccolissime e medie imprese che continuano a chiudere. Continuano a chiudere senza che questa maggioranza e questo Governo si rendano conto che l'eccessiva pressione fiscale, gli eccessivi oneri previdenziali, il numero esorbitante di adempimenti ed obblighi amministrativi, spesso superflui, che le aziende devono rispettare, costituiscono un ostacolo insormontabile alla libera impresa, ancor più nel Mezzogiorno, dove a tutto ciò si aggiunge la scarsa dotazione infrastrutturale, la difficoltà di accedere al credito, la morsa della criminalità organizzata.


Pag. 12565


Onorevoli colleghi, continuiamo a ritenere che questo Governo non abbia prestato sufficiente attenzione all'obiettivo dello sviluppo; ha impostato la sua manovra finanziaria e tutte le manovre correttive che ad essa sono seguite guardando più al fronte delle entrate, non studiando provvedimenti atti a stimolare la crescita del nostro prodotto interno lordo, non mettendo mano al grave problema della disoccupazione (soprattutto giovanile), nonostante gli innumerevoli impegni assunti con il paese.
Oggi siamo chiamati ad esaminare il decreto-legge del Governo, che, come abbiamo detto, dovrebbe completare la manovra finanziaria già approvata.
Entrando nel merito mi piace rilevare che il Governo ha cercato di farsi un po' di pubblicità inserendo norme che apparentemente sembrano finalizzate al rilancio del comparto edile, ma di fatto servono solo a gettare fumo negli occhi dei contribuenti italiani. Sono norme esigue e propagandistiche, norme che di fatto risulteranno prive di applicabilità e dunque di utilità per il paese.
Il Governo, infatti, dopo aver inciso sul fattore casa aumentando le rendite catastali, le imposte e quindi i costi di gestione degli immobili, creando così una contrazione della domanda, tenta oggi di dare un piccolo contentino riducendo l'IVA per alcuni modesti interventi edilizi, avendo già penalizzato l'intero settore immobiliare in sede di finanziaria.
Detta agevolazione non comporterà alcun risultato positivo se non sarà accompagnata da norme volte a facilitare ed incentivare l'acquisto di immobili, evento a seguito del quale normalmente avviene una ristrutturazione. Sarebbe dunque auspicabile che il Governo e la maggioranza garantissero in tempi rapidi l'approvazione delle proposte di legge, alcune delle quali attualmente all'esame della Commissione finanze (una è stata presentata dal gruppo di alleanza nazionale), sugli incentivi per l'acquisto della prima casa; proposte che ove approvate favorirebbero sicuramente il rilancio di un settore gravemente in crisi.
In tema poi di detrazione degli interessi passivi, pagati in dipendenza di mutui contratti nel 1997 per effettuare interventi di manutenzione straordinaria sui fabbricati esistenti, il comma 4 dell'articolo 1 prevede la possibilità di detrarre dall'imposta lorda, dovuta ai fini IRPEF, un importo pari al 22 per cento dell'ammontare complessivo degli interessi passivi ed oneri accessori.
Onorevoli colleghi, quale rilancio del settore edile potrà aversi da questa norma se essa ha una portata così limitata da esaurirsi nel corrente anno? Nella realtà tale norma non potrà essere applicata; non saranno sufficienti i pochi mesi del 1997 per individuare gli interventi edilizi, ottenere le autorizzazioni dagli enti locali, chiedere i mutui agli istituti bancari, attendere l'esito delle istruttorie e ricevere, in caso di accoglimento, l'erogazione e quindi effettuare i lavori. Se questo non bastasse la norma fa poi riferimento ad un successivo decreto del ministro delle finanze per la definizione delle modalità e delle condizioni alle quali è subordinata la detrazione degli interessi, e non è nemmeno previsto un limite temporale per l'emissione di tale decreto.
Onorevoli colleghi, ho il timore che questo Governo, che voleva rendere l'Italia un paese normale, contribuisca invece ad aumentare il disordine e la confusione. Ritengo che i contribuenti che potranno fare ricorso a questo tipo di agevolazione, se ce ne saranno, si conteranno sulle dita di una mano. Ecco perché questa norma è solo propaganda e non servirà a rilanciare il settore edile; è poca cosa, come diceva poc'anzi l'onorevole Valensise nel suo ottimo intervento.
Devo poi esprimere un giudizio negativo anche sul comma 5 dell'articolo 2, che prevede l'abrogazione delle norme agevolative per il Mezzogiorno in tema di aliquote IVA relativamente alla erogazione di gas metano.
La norma che questo Governo e questa maggioranza vanno a modificare nacque con l'intento di incentivare i consumi del gas metano nel Mezzogiorno dove per la mitezza del clima l'uso era ridotto.

Pag. 12566


Ad un aumento del consumo ha corrisposto per lo Stato e, in particolare, per l'erario un aumento di gettito.
Parlavo di un giudizio negativo perché la Commissione finanze, per motivi che risultano dagli atti parlamentari, aveva confermato, in una risoluzione, la necessità che detta agevolazione non venisse eliminata. Un giudizio negativo perché il Parlamento in un ordine del giorno approvato in sede di esame del provvedimento collegato alla legge finanziaria di fine anno aveva auspicato una parificazione dell'aliquota IVA su tutto il territorio nazionale, ma evidentemente ciò non significava elevare l'aliquota dal 10 al 19, ma poteva anche significare il contrario e cioè ridurla per il nord dal 19 al 10 per cento. Un giudizio negativo anche nell'ipotesi in cui si voglia considerare equo tale provvedimento perché si unificano le aliquote su tutto il territorio nazionale. Non si comprende perché il Governo non si attivi con la stessa solerzia per ridurre il gap delle infrastrutture, dei tassi d'interesse, della disoccupazione che questa volta vede il Mezzogiorno come parte fortemente penalizzata.
In questo senso sento il dovere di ricordare al Governo che la ristrutturazione della spesa sociale e i tagli posti in essere non possono prescindere dall'esigenza di un riequilibrio delle condizioni socioeconomiche tra il nord e il sud del paese.
Una breve considerazione vorrò anche fare sull'articolo 3 del presente decreto in tema di trascrizione del contratto preliminare. È prassi costante far precedere al contratto definitivo la formazione del contratto preliminare, specie per i contratti ad effetti reali. Appariva ed appare, quindi, positiva l'introduzione di una normativa in materia, volta a tutelare la posizione del promittente acquirente, soggetto debole nel rapporto tra promittente venditore e promittente acquirente, perché esposto ai rischi dell'eventuale inadempimento del venditore, il quale conserva sino alla vendita la titolarità del bene.
Ci siamo chiesti e ci chiediamo, onorevoli colleghi, se sia legittimo il metodo con cui è stata introdotta questa normativa, se sia legittimo modificare il codice civile, e quindi norme in vigore dal 1942, con un decreto-legge. Dov'è la necessità, dov'è l'urgenza?
Ed ancora: il ricorso al decreto-legge ha costretto il confronto su un tema così importante in tempi assai ristretti e ci ha privati dell'apporto, che in materia sarebbe stato oltremodo utile, della Commissione giustizia, deputata ad esaminare la normativa ove fosse stata introdotta con disegno di legge e quindi con rito ordinario. Il decreto-legge, invece, con i suoi tempi brevi di conversione costringe la maggioranza a blindarsi per evitare il ritorno del testo al Senato e la possibile decadenza per decorrenza dei termini.
Tutto ciò impedisce al Parlamento di svolgere le sue funzioni, migliorare il testo, analizzare le problematiche ad esso connesse, eliminare le incertezze interpretative o le dimenticanze che in questo decreto pur sono presenti.
Come non rilevare, ad esempio, che manca la coordinazione della norma al nostro esame con gli articoli 2913 e 2914 del codice civile in tema di inefficacia delle alienazioni di immobili sottoposti a pignoramento? Come non pensare che tutta questa normativa rimarrà una bella scatola, magari ben confezionata, ma vuota, se non verrà accompagnata da norme in materia fiscale dirette a prevedere che la tassazione degli immobili in caso di trasferimento andrà comunque calcolata sul valore determinato con i criteri dell'articolo 52, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 e non sul corrispettivo dichiarato? Ciò al fine di assicurare la massima trasparenza e la massima correttezza economica nelle contrattazioni immobiliari e così rendere inutili - io direi pericolosi - gli occultamenti di corrispettivo.
Ricordo ancora, poi, che l'elevazione dell'aliquota IVA dal 4 al 10 per cento sui farmaci di fascia A e B comporterà sicuramente oneri aggiuntivi per i cittadini,

Pag. 12567

che dovranno sostenere costi più elevati per l'acquisto di farmaci, quanto meno per quelli privi di ricetta del servizio sanitario nazionale. Per gli altri si risolverà in una partita di giro e, comunque, in un danno per il servizio sanitario nazionale stesso e per la spesa farmaceutica.
Vorrei, a questo proposito, ricordando che sul tema alcuni colleghi del Polo hanno presentato una interrogazione, invitare il Governo ad indicare le linee guida e gli orientamenti che intende adottare in tema di spesa farmaceutica.
Non entro nel merito dei provvedimenti in tema di incentivi per la rottamazione e gli acquisti di autoveicoli, lo «zuccherino» a cui faceva riferimento l'onorevole Valensise. Mi preme solo sottolineare che in più di uno spot televisivo tali incentivi sono definiti governativi: viceversa, essendo i fondi assolutamente statali, sarebbe opportuno che il Governo invitasse le case automobilistiche che hanno commissionato queste campagne pubblicitarie a correggere tali messaggi, affinché negli stessi si parli, più correttamente, di incentivi statali.
Esprimo, quindi, un giudizio negativo sul provvedimento in esame, augurandomi che si apportino allo stesso cambiamenti sostanziali che ne limitino gli effetti negativi nell'interesse primario dei cittadini italiani, interessi ai quali tutti dobbiamo puntare (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Berruti, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.

MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, vorrei intrattenere l'attenzione dell'Assemblea su alcuni aspetti del provvedimento al nostro esame che, a mio avviso, devono essere ulteriormente sottolineati. Già in apertura, allorché proponemmo le questioni pregiudiziali di costituzionalità, volevamo sottolineare alcuni aspetti importantissimi, non solo di tecnica legislativa, ma anche di rispetto dei principi dell'ordinamento che il decreto-legge, prima, e le proposte di conversione, poi, hanno smaccatamente eluso.
Per quanto riguarda il decreto-legge, dobbiamo ancora una volta sottolineare come gli aspetti che sono stati delineati dalla legge n. 400 del 1988 siano stati violati e come il provvedimento in questione, secondo quella che è ormai una prassi consolidata della nostra attività legislativa, unisca in un unico disegno una serie di disposizioni che nulla hanno a che fare con il titolo. Ci si sarebbe aspettati, allorché il decreto venne annunciato, che il provvedimento si rivolgesse soprattutto a correggere gli aspetti correlati alla manovra di finanza pubblica di fine anno che avevano stretta attinenza con le disposizioni normative contenute in quel provvedimento.
In verità, un'attenta analisi dell'atto in esame, in particolare del decreto-legge che ne è il presupposto in riferimento alla legge di conversione, ha dimostrato anche in questa occasione l'elusione delle disposizioni di cui all'articolo 15 della normativa indicata, riferita alla legge n. 400 del 1988.
Abbiamo già indicato come, in occasione del vaglio di queste disposizioni normative, ve ne siano alcune che non possono essere sottaciute. Esse non si riferiscono solo a quella parte che ha probabilmente diretta attinenza con la manovra di finanza pubblica di fine anno - mi riferisco alle disposizioni che sono già state da altri trattate, in particolare attinenti agli aspetti di carattere finanziario e tributario, tra l'altro sottese, in gran parte, all'accelerazione dei flussi di entrata, come risulta dalle disposizioni che si riferiscono al gettito delle accise, tanto per fare un esempio - ma in maniera ancor più specifica a quelle norme che nulla hanno a che fare con l'impianto, appunto, del titolo del disegno di legge di conversione del decreto-legge al nostro esame.
Una di queste disposizioni normative è quella che è già stata oggetto di alcune censure da parte di chi mi ha preceduto


Pag. 12568

e riguarda, tra l'altro, la modifica del codice civile con l'inserimento di una disposizione specifica riferita alla trascrizione dei contratti preliminari di vendita. Ebbene, credo che sotto questo profilo si faccia in gran parte riferimento ad episodi negativi del passato, concernenti non solo il codice civile, ma anche altri strumenti analoghi, come il codice penale o il codice di procedura penale, nei confronti dei quali si è sottolineata da più parti l'inopportunità di intervenire con decreti-legge, soprattutto in considerazione delle conseguenze che un'affrettata formulazione di disposizioni che si inseriscono in quel contesto potrebbe generare.
Reputo che l'intervento dell'onorevole Pepe abbia già dato un assaggio di quali possano essere le ulteriori disposizioni che andavano coordinate e che, ovviamente, non sono state coordinate né dal decreto-legge né dallo strumento di conversione e che, in verità, comporteranno l'inserimento di questa disposizione senza che la stessa sia correlata non solo ai principi, ma anche alle norme già in essere, che hanno ovviamente una funzione coordinata nel contesto dello strumento legislativo costituito dal codice civile.
Ebbene, non possiamo non sottolineare ancora una volta come questo tipo di atteggiamenti sia in senso contrario rispetto a quelle disposizioni che anche il Presidente della Camera ha più volte posto all'attenzione della medesima per quanto concerne una corretta funzione legislativa. Pensare di intervenire nel contesto del codice civile con degli inserimenti che riguardano una specifica materia, quella della trascrizione riferita a domande giudiziali o comunque correlata ad atti di disposizione immobiliare, è secondo noi non solo inopportuno, ma anche del tutto sbagliato sotto il profilo della tecnica legislativa.
Il Governo ha ritenuto di farlo con un decreto-legge; il disegno di legge di conversione ovviamente recepirà tale iniziativa del Governo, ma ciò non toglie che il sistema utilizzato per arrivare a questo inserimento normativo è del tutto stigmatizzabile e deve essere denunciato con forza anche in quest'aula.
Vi sono però ulteriori disposizioni che meritano di essere analizzate. Una di queste si riferisce alle diverse modalità con cui è possibile procedere all'esecuzione nei confronti degli enti pubblici e delle amministrazioni pubbliche. Ebbene, con una norma davvero «simpatica», si è in buona sostanza diversificato il comportamento che chi vuole eseguire il titolo ed il provvedimento di esecuzione può tenere nei confronti di un cittadino privato e quello verso le pubbliche amministrazioni. Si è in sostanza inserito, con disposizione specifica, un termine che consente l'allungamento o, meglio, se mi è consentito, la sospensione in ordine ai tempi per poter mettere in esecuzione effettiva il titolo, che è costituito in genere da una pronuncia giudiziale.
Sollevo qui la questione non soltanto di una palese disparità di trattamento dell'esecuzione nei confronti dei cittadini privati e della pubblica amministrazione, ma sottolineo altresì la violazione di un principio di giustizia sostanziale e di ragionevolezza. Non si spiega perché l'amministrazione pubblica debba godere di un trattamento privilegiato allorché viene evocata in giudizio e viene condannata, nei confronti di chi ha posto in essere quell'evocazione in giudizio, a risarcire o comunque a rifondere una somma per poter quindi beneficiare di un termine diverso rispetto a quello di un cittadino. Non è forse vero che l'amministrazione pubblica che sta in giudizio è alla pari di qualsiasi altro cittadino? E non è forse vero che nei suoi confronti si debbono applicare obbligatoriamente le stesse regole che disciplinano il procedimento di carattere civile e, quindi, anche quello esecutivo? E non è forse vero che il principio di buona amministrazione comunque farebbe carico ai dipendenti di quella amministrazione (o all'amministrazione stessa interessata) di vagliare quali siano le ipotesi di successo di un'eventuale causa civile, eventualmente premunendosi per tempo ed essendo in grado poi di

Pag. 12569

corrispondere al titolo costituito dalla pronuncia di un giudice civile di questo ordinamento, della nostra Repubblica? O ancora una volta, nel momento in cui la gente chiede che lo Stato non abbia disposizioni diverse a suo favore ma rispetti le stesse regole che sono imposte ed imputate ai cittadini, non è forse vero che andiamo in senso diametralmente opposto inserendo norme che vanno a modificare le regole del gioco anche nella procedura esecutiva a favore, spudoratamente a favore, della pubblica amministrazione?
Come si può allora chiedere che i cittadini ritrovino fiducia nei confronti dell'apparato dello Stato quando queste disposizioni sono volte a consentire alla lenta macchina delle amministrazioni dello Stato di mettersi in moto? Non è più corretto semmai chiedersi perché le amministrazioni pubbliche non sono in grado di corrispondere quando sanno benissimo che vi è una causa pendente e che quindi vi è la possibilità di risultare soccombenti in un giudizio civile?
Ho parlato dell'opportunità di premunirsi per tempo per ottemperare ad un obbligo previsto dalla legge dello Stato e prima ancora dal provvedimento emesso da un giudice. Anche questa è una norma che volevamo sottolineare all'attenzione dei colleghi perché denota un andazzo tipico di chi è chiamato ad operare nei confronti delle pubbliche amministrazioni: non si guarda alle cause, non si risolvono i problemi in forza dei quali si dovrebbe tentare di equiparare il comportamento della pubblica amministrazione ai cittadini, ma si inseriscono disposizioni che prendono atto di una situazione cronica di impossibilità e, a fronte della tutela dei cittadini che aggrediscono nelle pubbliche amministrazioni ovviamente quei cespiti e quei beni che possono essere oggetto di azioni esecutive, si risponde di «no» e si fa un ragionamento di questo genere: se i cittadini utilizzano gli strumenti normativi posti a garanzia delle loro prerogative, peraltro stabilite da una sentenza di un giudice della nostra Repubblica, la pubblica amministrazione interviene e stabilisce che i cittadini non possono cominciare l'esecuzione se non concedendo prima, come previsto dalla norma inserita, un termine di moratoria. Ma questo cosa dovrebbe consentire di capire, o di organizzare, se in effetti la pubblica amministrazione dovrebbe costituire l'esempio di efficienza, almeno sotto il profilo di uno Stato ideale?
Vi sono altre disposizioni sulle quali vorremmo indugiare proprio in relazione alle questioni pregiudiziali di costituzionalità a cui abbiamo fatto riferimento.
Una di queste l'abbiamo già richiamata e ricordata: è il famoso articolo 22 del decreto-legge n. 669 del 1996, che prevede interventi di recupero edilizio nel comune di Napoli (come in una vera repubblica partenopea, alla quale si addicono norme speciali: quasi le stesse che si vogliono predisporre a favore di Bassolino, in modo che possa contare su una continua e connivente partecipazione e su un intervento legislativo da parte delle Camere), con il quale si recupera una disposizione che faceva parte di un decreto-legge e che era stata respinta in quest'aula.
In quest'Assemblea ho sentito fare delle difese d'ufficio sulla questione dai membri di altre Commissioni (come la Commissione affari costituzionali), come è avvenuto nel caso di qualche collega della Commissione finanze. Questi ultimi avrebbero fatto bene però, prima di affermare che la pronuncia fatta in sede di Commissione affari costituzionali ricomprendeva specificamente anche questo punto, a leggere il resoconto della seduta della Commissione; in tal modo si sarebbero resi conto che non solo il punto non è stato affrontato, ma anche che la questione è stata liquidata affermando che le disposizioni finali del decreto-legge avevano i requisiti previsti dall'articolo 77 della Costituzione. Per i distratti lettori, preciso che ciò significa che quella Commissione se ne è - non so se il termine sia consentito in quest'aula - «strafregata» dei presupposti di costituzionalità della disposizione e che quindi nessun giudizio è stato espresso in relazione a quel punto, anzi lo stesso è stato sistematicamente eluso, come è prassi ormai

Pag. 12570

di quest'Assemblea, nonostante i richiami del Presidente che, pur predicando bene nelle circolari che sottoscrive, non si accorge poi di quanto avviene in violazione delle disposizioni che regolano e presiedono al procedimento formativo delle leggi.
Qualcuno ha tentato di difendere la disposizione a favore di Napoli sostenendo che essa presenterebbe dei presupposti diversi rispetto alla precedente, che fu bocciata dalla Camera, in quanto sarebbero ricompresi tra gli interventi edilizi anche quelli riferiti alle opere di urbanizzazione. Credo che una scusa più puerile di questa non si sarebbe potuta trovare, visto che gli oneri di urbanizzazione costituiscono comunque un intervento legislativo che è connesso, per natura e per legge, ad interventi come quelli che sono ovviamente ricompresi nell'articolo 22.
Vi è poi un'altra disposizione che è a mio avviso estremamente preoccupante perché, come ho avuto modo di definirla in questa sede, costituisce una sorta di favoreggiamento politico personale nei confronti del sottosegretario di Stato per i lavori pubblici, che ha la responsabilità di aver adottato dei provvedimenti - che ovviamente non sono scritti - per bloccare l'attuazione della esecuzione dei lavori previsti dalla legge 22 dicembre 1986, n. 910, e in particolare dal comma 14 dell'articolo 7. Ebbene, quella disposizione normativa prevedeva e finanziava un intervento volto alla realizzazione della caserma della Guardia di finanza in quel di Gorizia. Il provvedimento in questione stanziava una somma che era prossima - se non ricordo male - ai 100 miliardi e, giusto perché la Camera lo sappia, l'intera procedura - sia sotto il profilo legislativo sia sotto il profilo amministrativo - era giunta alla fase dell'affidamento dei lavori all'impresa concessionaria che era stata deputata a svolgere questi compiti; si era quindi pervenuti alla fase finale! Secondo i tempi biblici che sono tipici della nostra pubblica amministrazione, erano decorsi circa 10 anni - come ho ricordato la legge in questione era del 1986 - e quindi la provvida manovra di questo Governo e del sottosegretario per i lavori pubblici, onorevole Mattioli, è intervenuta per sospendere - sulla scorta ovviamente di interventi fatti da cosiddetti comitati spontanei della città di Gorizia - dimenticando, però, sia che quel provvedimento aveva alla base non soltanto il consenso popolare di quella città sia - e ancor di più - che quell'opera costituiva un punto essenziale delle forze che governano Gorizia - cioè quelle del Polo - e dei programmi amministrativi di tre mandati elettorali dei consigli comunali che avevano retto la città!
Ovviamente ignorando tutto ciò, il sottosegretario Mattioli ha sospeso i lavori. Egli, tra l'altro, ha mentito in quest'aula rispondendo ad una precisa interrogazione allorquando ha avuto il coraggio di affermare che egli non c'entrava, mentre vi è una precisa lettera inviata al ministro delle finanze nella quale si assumeva la paternità della decisione di aver personalmente sospeso i lavori in relazione all'esecuzione e all'affidamento dell'opera in questione. Sottoponiamo quindi all'attenzione della Camera anche questo non secondario aspetto.
A fronte di tutto ciò, dicevo, il Governo interviene mettendo la parola fine su un'opera di importanza capitale per una città come Gorizia. Infatti, pur essendo situata a nord-est della nostra penisola, Gorizia presenta tassi di disoccupazione molto vicini alle città meridionali e in questo senso si trova ad essere unita, se così possiamo dire, in una sorta di abbraccio ideale per un caso specifico che avrebbe meritato da parte del Governo, in particolare del sottosegretario responsabile, maggiore attenzione prima di arrivare - dopo aver ascoltato le sollecitazioni di qualche comitato cosiddetto spontaneo, con buona probabilità vicino ai suoi orientamenti politici - attraverso comportamenti altamente censurabili alle assunzioni di responsabilità alle quali ho fatto cenno poc'anzi.
Pertanto, anche in relazione a questa disposizione presenteremo un ordine del giorno che lascia impregiudicato il nostro

Pag. 12571

giudizio negativo nei confronti della norma esaminata, ma che è volto a chiedere al Governo l'impegno formale al rispetto del protocollo d'intesa stipulato nei confronti della città di Gorizia e dell'area esontina; con quel protocollo il Governo sottoscriveva l'impegno di destinare il finanziamento, quindi i fondi riferiti alla realizzazione dell'opera pubblica in questione, alla città di Gorizia. Vedremo allora se chi afferma che l'introduzione dell'articolo 23 della disposizione in esame costituisce risparmio di spesa rispetterà l'impegno sottoscritto dal Governo con la città di Gorizia o se in realtà al danno riferito alla norma in esame si aggiungerà la beffa della violazione di quel protocollo che costituisce un impegno preciso nei confronti dell'area esontina. Ecco perché anche sotto questo profilo solleciteremo il Governo con un apposito ordine del giorno.
Ritengo di aver dimostrato ancora una volta, signor Presidente, pur con riferimento solo ad alcune disposizioni del decreto-legge, che la violazione dei principi dell'ordinamento non solo è perseguita da questo Governo, ma è ormai sistematica anche nelle aule parlamentari. Penso di aver dimostrato che non soltanto vi è violazione dei principi a cui ho fatto cenno, ma che vi sono anche criteri di intervento legislativo discutibili, anzi del tutto deprecabili. Credo altresì di aver dimostrato che questo Governo ha grosse responsabilità nei confronti di una città del nord, come Gorizia, cui ho fatto cenno in riferimento all'articolo 23, e che è suo dovere intervenire, comunque si concluda l'iter di questo provvedimento, per rispettare la parola data, perché alla base di essa vi è la credibilità dei cittadini di quella città.
Desidero inoltre sottolineare un altro aspetto, riferito a quella parte delle disposizioni normative con le quali si vorrebbe introdurre la possibilità, per gli atti rogati nelle zone di confine, di non essere sottoposti all'obbligo di preventivo deposito nel collegio notarile. Ebbene, si tratta di una norma che è stata modificata dal Senato ed è di una gravità inaudita, perché consente - rivolgendosi ovviamente a praticanti di oltre confine e per quanto riguarda il Trentino mi riferisco alla vicina Austria - di far inserire atti, che magari vengono confezionati eludendo i principi del nostro diritto, direttamente nel nostro ordinamento, senza alcun vaglio da parte di un pubblico ufficiale, come il notaio rogante.
L'originaria stesura di quella disposizione, volta a correggere un'interpretazione che si era affermata in relazione all'articolo 106 della legge notarile, è stata smaccatamente stravolta dal Senato con un emendamento. Ci siamo permessi di sottolineare la gravità dell'impostazione introdotta dal Senato con quella norma modificata; abbiamo quindi presentato un emendamento che reintroduce la disposizione originaria nell'interesse - si badi bene - non della classe notarile o dei collegi notarili, ma delle parti che vengono in qualche modo contattate da persone che potrebbero eludere sistematicamente norme di legge, introducendo direttamente nel nostro ordinamento gli atti stipulati appunto dalle parti. Oso sperare che il Governo, anche se ha già annunciato non solo la «blindatura» ma ogni sbarramento in relazione alle questioni sollevate in quest'aula si renda conto, in sede di esame da parte del Parlamento - e lo può ancora fare - che quella disposizione normativa è una «iattura» per l'interesse dei cittadini.
Infatti elude soprattutto quegli specifici obblighi di legge a carico del notaio rogante, per esempio per quanto riguarda la legge Mancino o le leggi in materia urbanistico-edilizia, che impongono all'ufficiale rogante precisi obblighi nei confronti dello Stato; aggiungo anche le questioni di carattere finanziario-tributario connesse alla redazione degli atti civili.
Sollecito dunque il Governo a farsi carico di tale problematica non secondaria; lo faccio, non solo in considerazione delle ragioni relative alle aree di confine, ma, ancora una volta, richiamandomi a quei principi dell'ordinamento che in altri paesi europei vengono rispettati prevedendo il vaglio preventivo nei confronti

Pag. 12572

dei principi ai quali ho fatto riferimento. Soltanto nelle aree di confine, infatti, essi verrebbero elusi dalle disposizioni in esame.
Concludendo, signor Presidente, vi sono argomenti sufficienti - come abbiamo illustrato in Assemblea e nelle competenti Commissioni - ad impedirci, per coerenza con le nostre affermazioni di principio, non solo di appoggiare il provvedimento in discussione, ma anche di considerarlo una misura capace di dispiegare effetti positivi una volta approvato. Sotto questo profilo, richiamando ancora una volta il Governo al rispetto, anche in futuro, dei principi che presiedono al procedimento logico-formale delle iniziative legislative, sottolineiamo in quest'aula la violazione dei predetti principi ed ovviamente annunciamo e ribadiamo il nostro voto contrario sul disegno di legge di conversione n. 3181 (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Armosino, iscritta a parlare: si intende che vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l'onorevole Giovanni Pace. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PACE. Signor Presidente, colleghi, credo non sia sfuggito a nessuno un dato che preoccupa la nostra collettività e le nostre famiglie da molti anni a questa parte; mi riferisco alla disoccupazione. Giorno dopo giorno il numero dei disoccupati cresce nella nostra nazione; gli unici segnali positivi vengono registrati quando, nel trimestre preso in considerazione, il tasso della disoccupazione resta costante. Si è affermato che tale situazione dipenda dalle nuove tecnologie, dai nuovi sistemi aziendalistici, dall'era postindustriale, dal terziario avanzato; si dice che tutte queste cose consentono a volte di aumentare la produttività, il PIL, ma non di aumentare il numero dei dipendenti da occupare. Tutto ciò sarà anche vero, ma da qualche tempo a questa parte anche la crescita del PIL è sempre inferiore a quanto previsto nei documenti di programmazione. Ciò si è verificato nel 1996 e si verificherà nel 1997 se è vero, come certamente è vero, quello che soltanto ieri ha dichiarato Carlo Azeglio Ciampi quando ha affermato che la crescita nel 1997 sarà compresa tra l'1 e l'1,5 per cento; quindi siamo assai al di sotto della previsione.
Il fatto che l'Italia sia il paese delle mille attività, delle tante fantasie, che la caratteristica del nostro sistema produttivo sia quella determinata dai tanti artigiani che fanno moltissime cose in modo differenziato, in una maniera e con un sistema inesistenti in altre parti del mondo e che tale fantasia e tale capacità di inventarsi produttori e proprietari di piccole aziende costituisca un retaggio storico molto importante per la nostra cultura, è senz'altro vero. Nel Medioevo le città erano ricche proprio per effetto di queste attività; le città erano tanto ricche da riuscire a finanziare gli imperatori quando si trovavano a dover combattere le guerre che anche allora erano sciagurate. L'Italia sicuramente offre questa splendida realtà che ho descritto, ma è altrettanto vero che questo mondo è contrassegnato, da un po' di tempo a questa parte, da chiusure, da crisi profonde, da fallimenti, da dichiarazioni di fallimento. In questo mondo di piccole e medie imprese in questi giorni c'è molto poco da stare allegri, perché quel mondo è attraversato da un malessere profondo in quanto sovraccaricato da oneri fiscali e parafiscali, sostenuti da una congerie di leggi e di disposizioni che molte volte si sovrappongono le une alle altre e che assai spesso sono illeggibili e contraddittorie.
In Italia il fenomeno dell'evasione fiscale è certamente forte e preoccupante, ma credo di poter affermare che è più forte il peso della fiscalità sulla produzione. Ha ragione Monorchio, il ragioniere generale dello Stato, quando in una sua recente pubblicazione ha ricordato che le statistiche OCSE dimostrano, una volta e per sempre, che il luogo comune secondo il quale gli italiani non pagano le tasse non ha alcun fondamento. «Negli ultimi


Pag. 12573

anni - scrive Monorchio - gli italiani hanno pagato più tasse dei cittadini di quasi tutti gli altri paesi. Il fatto che l'evasione fiscale continua a rappresentare un grosso problema per l'Italia non sta affatto ad indicare che l'onere fiscale sia più leggero per la maggior parte degli italiani». L'imposizione fiscale, infatti, è aumentata dal 36,30 per cento del reddito imponibile del 1980 al 53,20 per cento del 1995, con un incremento di oltre il 46 per cento. Non vi è stata in questi 15 o 16 anni una finanziaria che non sia stata caratterizzata ed impostata sull'aumento della pressione fiscale. L'unica eccezione (so che questa affermazione forse darà fastidio politico a qualche avversario) è rappresentata dalla finanziaria del Governo Berlusconi, là dove non si è verificata una sola lira di aumento di tasse (lo ribadisco: non una sola lira!). Ciò nonostante quella finanziaria ha prodotto i suoi effetti positivi in termini di contenimento della spesa, di ampliamento dei consumi e di ripresa del processo produttivo e di aumento del prodotto interno lordo della nostra nazione.
Per la verità, un'eccezione in termini di carico fiscale vi è stata anche nella finanziaria del Governo Berlusconi, perché con essa abbiamo reso imponibile il 100 per cento dello stipendio dei parlamentari, che fino al 1994 era tassato soltanto all'82 per cento. Si è trattato, quindi, di una finanziaria impostata su manovre fiscali di sostegno alla produzione. Quante volte ci siamo sentiti dire che la legge Tremonti non era riproponibile perché costava 3.500-4.000 miliardi al sistema fiscale italiano! È vero: la legge Tremonti consentiva agli imprenditori che avessero registrato degli utili ed avessero deciso di reinvestirli nel processo produttivo di essere agevolati nel senso che non avrebbero pagato imposte su quel reddito reinvestito. Certo, ciò determinava una minore entrata di risorse fiscali nelle casse dello Stato, in quanto vi erano imprenditori che si avvalevano di un'agevolazione e pertanto non pagavano. Per effetto di queste misure, però, vi erano altri imprenditori che andavano ad utilizzare quelle risorse messe a disposizione del mercato dall'imprenditore agevolato, il quale chiedeva, ad esempio, di aumentare le dimensioni del proprio capannone, di acquistare camion o gru, di ristrutturare i propri impianti e le proprie strutture, cioè investiva e tutto ciò creava commesse per altri imprenditori, i quali non erano agevolati ed in questo modo andavano a pagare IVA, IRPEF, IRPEG o quant'altro. Quindi, i 3.500 miliardi di minor incasso per effetto delle agevolazioni concesse ad alcuni imprenditori avrebbe avuto compensazione, come effettivamente è stato nel 1995, con code nel 1996, dagli effetti positivi della maggiore produttività, se è vero come è vero che su questo fronte l'IRPEF ha prodotto maggiori risultati di incasso, così come l'IRPEG e l'ILOR.
Il provvedimento in esame dà qualche segno di questa filosofia, ad esempio con le norme sulle rottamazioni di cui parlerò in seguito, anche se gli aspetti negativi esistono e sono tanti, soprattutto perché è un provvedimento che presenta profili di settorialità.
Comunque, le misure proposte si collocano in un contesto di crescita debole e di consumi che si sono abbattuti, ancora più che nel 1993 quando si è verificata una caduta dei consumi pari a 10.500 miliardi; siamo tornati a quei livelli dai quali ci eravamo sollevati. Inoltre, la riduzione del tasso di sconto non trova reattivo il sistema creditizio nazionale, alle prese con irrisolti e forti problemi di ristrutturazione, mai realizzata.
Il sistema creditizio, soprattutto al centro-sud, non è in grado di assecondare gli inviti e le sollecitazioni che gli provengono dal governatore della Banca d'Italia. Al sud si verifica una forte sofferenza, pari al 21 per cento dell'affidato rispetto al 3 per cento del nord; dunque, si registra una differenza nelle sofferenze del 17-18 per cento che forse spiega perché in questa parte del paese i tassi di interesse imposti alla clientela sono superiori da quelli praticati dalle banche del nord.
Certamente, il sistema economico è quello che è e questo spiega anche perché le banche del sud pratichino tassi più alti;

Pag. 12574

ma la questione più grave per il settore creditizio, quella che forse meglio fa leggere la differenza di 18 punti percentuali in più al sud rispetto al nord, è la presenza della criminalità organizzata, che incide fortemente nel rapporto tra banche e la clientela. Non so quali segnali il Governo abbia dato per dimostrare la sua presenza nella lotta alla criminalità finanziaria.
I dati forniti dagli esperti indicano che il deficit per il 1996 è superiore al 7 per cento del PIL, un rapporto insufficiente per entrare in Europa alla fine del 1997, perché la percentuale dovrebbe attestarsi sul 3 per cento. Si tratta di un traguardo non facile da raggiungere e noi continuiamo a sostenere che il Governo non ha prestato attenzione sufficiente allo sviluppo; più che il ribasso del tasso di sconto, che certamente è un dato importante per i conti economici del nostro paese, occorrerebbe una crescita economica sostenuta, in grado di determinare maggiori entrate fiscali.
Ieri, in quest'aula, è stato detto che i rappresentanti del Polo fanno retorica su questi argomenti, parlando di disoccupazione e di interventi sulla fiscalità per sostenere l'occupazione. Sarà vero, non mi intendo di queste cose, ma posso dire che molto spesso gli avversari, i quali chiamano retorica tutto ciò che tocca il cuore e le menti degli individui in maniera più efficace delle loro cifre e dei loro numeri, hanno bisogno di una retorica tutta particolare per far apparire i loro numeri e le loro cifre quello che in effetti non sono. Quest'ultimo tipo di retorica, che spesso viene trasmessa e propagandata dal sorriso affabile del Presidente Prodi, ci parla di un paese che cresce, di una disoccupazione che viene affrontata con interventi efficaci, di un prodotto interno lordo che aumenta, di una nazione i cui conti vanno meglio. Non vedo tutti questi risultati ed allora penso che ci voglia una capacità tutta particolare per capire questo tipo di retorica, che noi certamente non utilizziamo.
Entrando nel merito del provvedimento al nostro esame, vorrei dire che la premessa mi è servita anche per poter sostenere che questo è un provvedimento contraddittorio: da una parte si vuole favorire il settore automobilistico, dall'altra invece lo si penalizza con la conferma dell'addizionale sulla benzina verde. È un provvedimento contraddittorio perché da una parte viene contenuta l'IVA per alcuni interventi, peraltro modesti e relativi ad un arco di tempo molto limitato, nell'edilizia e dall'altra si penalizza, in sede di finanziaria, il settore immobiliare con l'aumento delle rendite catastali e con la recente normativa riguardante alcuni tipi di società immobiliari.
Si tratta, inoltre, di un provvedimento labile, perché il nocciolo della manovra consiste in un'anticipazione dei termini di pagamento delle accise (non credo di dover perdere ulteriore tempo su questo argomento, perché è già stato spiegato abbondantemente). Ma è anche un provvedimento prepotente, perché comprime i diritti economici degli enti pubblici e privati con le norme contenute negli articoli 8 e 9. Il Governo cancella l'aliquota ridotta sul consumo del metano nel Mezzogiorno d'Italia, in contrasto con più pronunciamenti del Parlamento. Con l'elevazione dell'aliquota IVA sul consumo del gas metano erogato nel Mezzogiorno si è voluta azzerare una differenza, come se nel passato fosse stata perpetrata un'ingiustizia. In realtà, nel passato di ingiustizie ne sono state perpetrate parecchie; anche adesso, per la verità, sono stati commessi errori a piene mani. Ma credo di poter dire che quando il legislatore fissò l'aliquota differenziata nel sud rispetto a quella praticata al nord, lo fece per due motivi.
In primo luogo, perché il metano proveniva dall'Algeria; bisognava quindi realizzare delle opere, che determinarono un forte impatto ambientale, che fu dannoso per le zone del Mezzogiorno d'Italia. Si ritenne quindi di dover risarcire tali territori con la riduzione dell'IVA. In secondo luogo, perché il consumo del metano nel Mezzogiorno è più ridotto per le elevate temperature ambientali; lo Stato aveva pertanto l'esigenza di invogliare al

Pag. 12575

consumo di questo bene, che sarebbe stato capace di produrre effetti fiscali molto importanti, che ora non si avranno più. Infatti, con l'aumento del prezzo non è difficile prevedere una contrazione forte dei consumi, specie nelle zone in cui il reddito pro capite è modesto e fortemente condizionato da un'altissima percentuale di disoccupati, non solo giovani ma anche anziani. Quindi, la diminuzione della fiscalità, indispensabile per l'equilibrio dei conti della nazione, è preoccupante.
Ho parlato prima di prepotenza in relazione al decreto-legge in esame. In materia di riscossione dei tributi è operativo, come sappiamo tutti, il servizio centrale della riscossione, istituito presso il Ministero delle finanze. Tale servizio provvede alla riscossione e all'esazione dei tributi mediante affidamento in concessione amministrativa ad alcuni agenti delle riscossioni. Ciò significa che la pubblica amministrazione ha rinunciato a gestire direttamente questo servizio, affidandolo in concessione a banche o società che abbiano un capitale di almeno un miliardo di lire. È stata poi istituita, con la riforma del Ministero delle finanze, la direzione generale della riscossione, che si occupa del rapporto con i concessionari e di tutte le procedure di attuazione della riscossione. Inoltre, la legge n. 549 del 1995, collegata alla legge finanziaria del 1996, delegava il Governo ad emanare più decreti legislativi finalizzati al riordino del servizio di riscossione dei tributi. Questa delega è stata ripresa dalla finanziaria successiva, poi stralciata dal provvedimento collegato alla finanziaria per 1997 ed ora è materia di un disegno di legge. Non vi è dubbio che la materia debba essere rivista: è una necessità sottolineata anche dal malessere, dalla crisi che pervade la struttura di alcuni concessionari. In Commissione finanze il presidente Benvenuto ha ascoltato i lavoratori di alcune società concessionarie: il malessere deve essere affrontato e risolto attraverso un riesame di tutta la materia. Tale esigenza è stata avvertita dal Parlamento e dal Governo, tant'è che è stato predisposto uno strumento legislativo. Tuttavia non si può arrivare all'esonero per gli istituti bancari che presiedono al compito di riscuotere tributi del non riscosso per il riscosso attraverso una facoltà che il ministro per le finanze si è autoattribuito (avendo egli stesso predisposto il disegno di legge), facoltà da esercitare «in situazioni particolari».
Colleghi deputati, questa è la strada della semplificazione del rapporto tra il fisco e l'universo mondo che gli sta attorno? Questa è la strada che si vuole percorrere per pervenire alla chiarezza ed alla trasparenza in qualsiasi rapporto? Quali sono le «situazioni particolari», esistendo le quali il ministro può o meno esercitare la sua facoltà di esonerare dall'obbligo del riscosso? Qual è il significato giuridico della locuzione? L'introduzione di questa logica è estremamente pericolosa, chiunque sia il ministro. Personalmente nutro sentimenti di stima e di considerazione per la figura di studioso del ministro Visco, per non parlare della stima che ho del sottosegretario Marongiu (il quale tuttavia non avrebbe tale facoltà, che è attribuita al ministro). Tale attribuzione è pericolosa dal punto di vista concettuale, perché rappresenta un attentato all'ordinamento giuridico perpetrato attraverso la possibilità per l'esecutivo di esercitare un potere autonomo e discrezionale senza né limiti, né contorni, né paletti. Essa è pericolosa perché può mettere in difficoltà parecchi enti locali, creando mancanza di liquidità nella tesoreria degli stessi.
Spero che il Parlamento non voglia approvare questa disposizione. Tuttavia vi sono perplessità anche in ordine alla incentivazione alla rottamazione (ho parlato di perplessità e non di dissenso tout court), che essenzialmente sono di due ordini di motivi: l'incentivazione è legata ad uno sconto di pari entità che deve essere concesso dal venditore; inoltre il provvedimento vale per un arco di tempo di nove mesi, che va dal 7 gennaio fino al 30 settembre, quindi non un arco di tempo secolare che impedirebbe sia allo Stato sia ai produttori di fare delle previsioni sulla congiuntura, sul movimento

Pag. 12576

del mercato nonché sui costi di produzione. Si tratta di un arco di tempo durante il quale i produttori sarebbero in grado di fare seriamente conti e preventivi; dico soltanto che la disposizione avrebbe potuto subordinare la concessione del contributo al blocco dei listini dei prezzi delle automobili. Infatti un imprenditore che in nove mesi non sia in grado di stabilire se i prezzi possano rimanere bloccati o aumentare per alcune condizioni di mercato già presenti o in nuce è meglio che cambi mestiere.
Quindi, si doveva, a nostro avviso, chiedere questo. Poi, a fronte del contributo, il Governo, lo Stato avrebbe avuto il vantaggio della stabilità di questi prezzi, che poi si trasmette sugli indici ISTAT sull'aumento della vita.
In Francia - come si legge a pagina 157 delle schede di lettura che ci sono state fornite dagli Uffici della Camera - l'onere di quelle misure, quantificato in due miliardi di franchi, sarebbe stato compensato, nel medio periodo, dal recupero dell'IVA e dall'afflusso nelle casse dello Stato di altre tasse di circolazione. Da noi, l'intervento, amici della sinistra, va a carico del fondo per l'occupazione, cioè di risorse... (Commenti del sottosegretario di Stato per il tesoro, Piero Dino Giarda, e del deputato Benvenuto). No, il testo che è a mia disposizione è intonso rispetto a quello del Senato; se è stato un errore di stampa, ne prendo atto. Ieri sera, proprio perché ritenevo che in Senato la discussione avrebbe potuto portare a variazioni, sono andato al banco dei commessi e ho preso il testo al nostro esame; vi prego di leggerlo: è tale e quale a quello esaminato dal Senato. Comunque, se così non è, ne sono lieto; ringrazio il presidente Benvenuto e il collega Agostini della indicazione che mi hanno dato e sono lieto di prendere atto di questo, perché non nutro dubbi che il provvedimento determini qualche accelerazione nelle vendite (Il Sole 24 Ore di questa mattina già pubblica l'annuncio della FIAT per duemila assunzioni).
Come vedete, quando questo Governo - che è incapace di un coraggio forte in campo economico, che possa determinare un cambiamento di filosofia nel fare politica fiscale e politica economica - si ispira, bene o male, alla legge Tremonti (questo, grosso modo, è un meccanismo attraverso il quale si danno agevolazioni per sostenere il sistema produttivo), ottiene un certo risultato. Adesso, bisogna vedere nel merito se il provvedimento innesca soltanto una accelerazione, una anticipazione nelle vendite oppure se invoglia all'acquisto anche coloro i quali non avrebbero acquistato se non ci fosse stato questo provvedimento. Intendo dire: la FIAT riesce a vendere prima o riesce a vendere di più? Perché se riesce a vendere prima, allora anche qui si tratta di una finzione fiscale, cioè si tratta di una anticipazione di entrate, non di un aumento complessivo e generale di entrate; si tratta soltanto di una anticipazione, anche se certamente interessante. Diverso è, invece, se il provvedimento agisce come la Tremonti, che era finalizzata non ad anticipare certi effetti, ma ad invogliare a fare certe cose che senza quella legge non si sarebbero fatte. Quindi, la perplessità è che il provvedimento non vada nel senso di incentivare i consumi, ma soltanto di anticipare l'operazione di rinnovo del parco automobilistico, che peraltro è un'iniziativa che bisogna valutare positivamente, non dico il contrario. L'incertezza sul fatto che l'acquisto finalizzato a rinnovare un automobile vecchia di almeno dieci anni (e che in qualche misura forse andrebbe comunque cambiata) sia un'operazione anticipata o invece un'operazione che, senza questo provvedimento, non si sarebbe mai effettuata, certamente pone un interrogativo forte, al quale aggiungo alcune altre riflessioni.

PRESIDENTE. Onorevole Pace, la prego di concludere.

GIOVANNI PACE. Ho finito. Quale educazione ad un orientamento al risparmio di risorse, alla cura di quel che si ha, porta questo provvedimento? Faccio considerazioni di carattere etico. La Costituzione stabilisce la protezione e lo stimolo al risparmio, non lo spreco ai consumi.


Pag. 12577


Signor Presidente, concludo il mio intervento richiamandomi a quanto ho detto in premessa, e cioè all'angoscia di chi è disoccupato; un'angoscia che aumenta perché non si vede un segnale forte in una politica economica tesa a favorire la ripresa dell'occupazione.
A nostro avviso il Governo non guarda all'economia reale, non guarda al fallimento, alle difficoltà delle piccolissime, piccole e medie imprese. Difficoltà che derivano dai fortissimi oneri previdenziali, fiscali e parafiscali che si abbattono pesantemente sui loro conti economici. Il Governo non guarda ai pesi, anche di carattere burocratico, che si continuano ad imporre in maniera diretta e indiretta nei confronti di questo universo mondo di produttori che rappresenta lo zoccolo duro dell'economia nazionale.
Orienteremo il nostro voto sul giudizio che diamo all'attività di un Governo che vive, a nostro avviso, di episodi e che risveglia la sua attenzione su problemi gravissimi soltanto quando avvengono fatti eclatanti e manifestazioni forti, come è avvenuto in questi giorni nel settore agricolo (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Pagliuca, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Possa. Ne ha facoltà.

GUIDO POSSA. Signor Presidente, nel mio intervento mi limiterò ad alcune considerazioni di carattere generale poiché i colleghi che mi hanno preceduto hanno già espresso assai bene e in maniera dettagliata le critiche al provvedimento in esame.
Oggi è il 19 febbraio e siamo qui a discutere su un provvedimento che è da legge finanziaria. Ciò va segnalato anche perché significa che di fatto la legge finanziaria viene discussa addirittura fino ai primi di marzo.
Qui alla Camera siamo in prima «passata»; il Governo vuol far sì che questa sia l'ultima. Può darsi però che certi nostri suggerimenti e indicazioni vengano recepiti e che quindi vi sia una seconda «passata».
La prima considerazione che intendo fare riguarda la connotazione di improvvisazione che caratterizza tutti questi provvedimenti finanziari, che si dipanano dal documento di programmazione economico-finanziaria approvato alla fine di luglio. Ricordate quel provvedimento? In esso non vi era alcun accenno a quella che sarebbe poi stata la legge finanziaria, con la sua severità e con i suoi 62 mila 500 miliardi. Eppure, il 30 settembre, quasi improvvisamente, ci siamo trovati faccia a faccia con il problema dell'Europa e con una macrofinanziaria da asseriti 62 mila 500 miliardi, di cui 4 mila 300 miliardi sono quelli che compaiono finalmente definiti.
Il fatto che la definizione degli elementi della finanziaria sia così diluita nel tempo da evidenziarsi in Parlamento solamente alla metà di febbraio, è di per sé un segno di improvvisazione ed anche di arroganza nei confronti del Parlamento. Un'arroganza certamente inferiore all'estrema arroganza che c'è stata nei confronti di questa Camera quando la precisazione delle modalità di applicazione dell'eurotassa è stata fatta di fronte ai sindacati due o tre giorni dopo l'approvazione della stessa finanziaria da parte della Camera. È stato questo il massimo dell'arroganza! Ed è anche il massimo del segno dell'improvvisazione e dell'aggiustamento della somma in corso d'opera: ciò è una evidente caratteristica di questa serie di provvedimenti.
Farò un solo esempio di carattere generale relativamente all'ultima coda della legge finanziaria. In essa sono contenuti finalmente alcuni provvedimenti tesi a sviluppare lo sviluppo.
Finalmente dopo tantissime osservazioni, dopo la marcia di un milione di persone svoltasi qui a Roma il 9 novembre, che sottolineava il carattere terribilmente recessivo della manovra finanziaria, qualche provvedimento positivo mirante allo sviluppo viene adottato. Mi riferisco, per esempio, alla diminuzione


Pag. 12578

dell'IVA per la manutenzione residenziale e per il settore delle carni, già tanto devastato da specifiche problematiche; all'incentivazione - cui prima si è fatto riferimento - all'acquisto di nuove auto per i possessori di vetture con più di dieci anni; alla diminuzione degli impegni nei confronti dell'INPS nel settore del turismo (che è un altro incentivo all'occupazione e allo sviluppo).
Questi sono, comunque, gli unici segnali positivi, certamente non molto rilevanti, di una finanziaria tutta tesa all'oppressione, all'aumento della tassazione. Anche questo è dunque un elemento che rafforza l'impressione generale di improvvisazione della politica economica che ha caratterizzato l'azione del Governo nel settore negli ultimi 7-8 mesi. Vedremo nel futuro.
Vorrei fare un'ultima osservazione. Prosegue in questo provvedimento la linea di manipolazione dell'opinione pubblica con un continuo gioco delle due - e non delle tre - carte: cassa-bilancio, bilancio-cassa. La maggior parte dei provvedimenti qui considerati produce una variazione per il 1997 del bilancio di cassa, ma non sono assolutamente provvedimenti strutturali. Ecco dunque l'occasione per riprendere la principale osservazione che abbiamo mosso alla legge finanziaria, che si propone di portare l'Italia in Europa, ma lo fa in modo assolutamente assurdo, non incidendo sui meccanismi fondamentali della spesa pubblica, che sono quelli che hanno prodotto il dissesto della pubblica amministrazione.
Ribadisco dunque il voto contrario su questo disegno di legge di conversione per il contesto in cui esso è inserito. La legge finanziaria è manifestamente poco volta allo sviluppo della nostra struttura produttiva e totalmente incapace di capire la competizione esistente nel contesto internazionale in cui siamo immersi. Ribadisco dunque, ancora una volta, il voto contrario mio personale e dei deputati del mio gruppo su questo provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Conte. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO CONTE. Presidente, onorevoli colleghi, quest'oggi vorrei evidenziare alcuni aspetti che credo ormai siano stati ampiamente affrontati dai colleghi che mi hanno preceduto. Mi vorrei soffermare, soprattutto, sull'incidente occorso ieri nella riunione delle Commissioni bilancio e finanze.
La nostra parte politica ed anche gli altri gruppi del Polo hanno cercato di intraprendere la via della ragionevolezza ed hanno tentato di rappresentare al Governo la necessità di apportare alcune modifiche assolutamente necessarie a questo provvedimento, anche perché è ben noto che esso contiene errori marchiani ed anche aberrazioni giuridiche, emerse nell'elaborazione del testo al Senato.
Noi non abbiamo mai messo sufficientemente in evidenza il fatto che i criteri in merito all'ammissibilità degli emendamenti sono molto diversi tra la Camera e il Senato, nonostante le assicurazioni del Presidente della Camera. Ricordo di aver partecipato ad una riunione dei presidenti delle Commissioni in cui il Presidente Violante ha garantito che in un prossimo futuro - stiamo parlando di una riunione che ha avuto luogo due o tre settimane fa - si sarebbe cercato di uniformare i criteri in merito all'ammissibilità degli emendamenti tra Camera e Senato. Ciò nonostante, ieri ci siamo sentiti dire in Commissione che per questa volta i criteri non sono stati uniformati.
Inoltre, il Governo, che presenta emendamenti ai propri provvedimenti nel corso dell'esame nei due rami del Parlamento, ha presentato innumerevoli emendamenti anche a questo provvedimento. Pure al Senato sono successe delle vicende spiacevoli, ad esempio è accaduto che emendamenti presentati dalla nostra parte politica sono stati poi ripresentati a nome delle Commissioni riunite. Ritengo che questo non sia un buon servizio reso all'opposizione e al nostro sistema democratico. Ebbene, noi abbiamo tentato di esporre le nostre ragioni, ma queste vengono continuamente ignorate.
Si pone quindi un problema importante: quello del ruolo della Camera nei


Pag. 12579

confronti dell'altro ramo del Parlamento. Negli ultimi tempi abbiamo avvertito un senso di inadeguatezza e di frustrazione dovuto al fatto che, mentre al Senato si riescono a portare avanti delle istanze e si riescono a modificare i testi inserendo emendamenti anche estranei alla materia in discussione, alla Camera ciò non succede. Fra l'altro, stiamo oggi discutendo un provvedimento che è giunto alla Camera blindato e ci è stato detto con molta chiarezza - da qui l'abbandono delle Commissioni da parte della nostra parte politica nella giornata di ieri - che non vi era spazio per emendamenti perché non si poteva correre il rischio di far decadere il provvedimento.
Se il nostro ruolo è semplicemente quello di avviare una discussione come quella odierna, di fronte ad un'aula vuota, non comprendo più quale sia la funzione dei parlamentari della Camera. Dobbiamo solo certificare quello che viene approvato dal Senato? Dobbiamo solo verificare come certe tendenze lobbistiche passino al Senato e qui invece noi siamo costretti a fare un lavoro inutile? Se questo è il ruolo della Camera e se questo è il ruolo di noi parlamentari, ce lo si dica con chiarezza e ci avvieremo a fare un altro mestiere.

FERDINANDO TARGETTI. Il senatore!

GIANFRANCO CONTE. Desidero mettere in evidenza gli errori contenuti negli emendamenti approvati dal Senato. Questo Governo e questa maggioranza avrebbero fatto bene a contemplare la possibilità di rimandare il provvedimento al Senato, anche solo per riesaminare pochi emendamenti. Uno degli errori più evidenti è quello concernente la stampa quotidiana. Come è noto, il Senato ha approvato una modifica dell'articolo 2 del decreto-legge n. 669 del 31 dicembre 1996 che ha ridotto al 53 per cento la percentuale di resa forfettaria per la stampa quotidiana e periodica, prevista dall'articolo 74, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, istitutivo dell'IVA, con il conseguente aumento della base imponibile ai fini dell'IVA dal 40 al 47 per cento delle copie consegnate e spedite, il che comporta praticamente un aumento dell'onere IVA di circa il 18 per cento. Questo fatto è stato messo in evidenza dall'Unione stampa periodica italiana ed il Governo non sembra intenzionato a modificare la decisione del Senato e quindi probabilmente sarà costretto ad intervenire in altra sede, magari con una leggina.
Durante il confronto in Commissione abbiamo assistito ad una vicenda piuttosto divertente, lasciatemelo dire. A titolo provocatorio, io ed alcuni colleghi abbiamo presentato un emendamento riguardante la modifica degli articoli 21 e 26 della legge n. 663 del 1972, con il quale si intendeva consentire il rinvio ed il recupero, da parte dell'impresa fornitrice che ha emesso fattura ma non è stata pagata, dell'IVA già versata con l'obbligo del cliente di accredito all'erario della medesima IVA eventualmente detratta e non pagata. L'aspetto singolare di questo emendamento è che riproponeva sostanzialmente gli articoli 4 e 5 di una proposta di legge presentata il 26 gennaio 1995 dagli onorevoli Visco, Turci ed Agostini. Visco è l'attuale ministro delle finanze, Agostini è uno dei relatori del provvedimento al nostro esame; entrambi, quando erano all'opposizione, presentavano una norma di questo genere, una norma cioè estremamente interessante per le imprese, mentre oggi, che sono al Governo e all'interno della maggioranza, ritengono che essa non sia più valida e che vada respinta.
È un episodio che ho ritenuto necessario sottoporre all'attenzione dell'Assemblea anche perché dimostra quanto fosse davvero blindato il provvedimento al nostro esame, tanto da bocciare emendamenti il cui contenuto era ripreso dalle proposte di legge degli onorevoli Visco e Agostini.
Vi sono altri aspetti che vanno posti in evidenza. Non voglio tediare i colleghi e quindi mi riferirò soltanto a due punti particolari del provvedimento, in particolare


Pag. 12580

all'articolo 4 del decreto-legge n. 669. Si tratta di argomenti di una certa rilevanza, il primo dei quali concerne i monopoli fiscali. Infatti è previsto dal comma 7 dell'articolo 4 del decreto-legge che i generi soggetti a monopolio fiscale debbano essere, entro il 28 febbraio 1997, soggetti a provvedimenti tali da garantire maggiori entrate in misura non inferiore a 500 miliardi per l'anno 1997, a 600 miliardi per ciascuno degli anni 1998 e 1999.
Per garantire queste entrate si può procedere in diversi modi. Quello da noi proposto appare più congruo perché chiediamo che al citato comma venga aggiunto il seguente periodo: «Tali entrate devono essere garantite provvedendo all'aumento dell'imposta di consumo fino all'aliquota base del 60 per cento senza incidere sul costo finale dei prodotti da fumo».
È noto che per garantire entrate si può, rispetto al prezzo delle sigarette, incidere in due modi: o aumentando il prezzo delle sigarette o aumentando l'imposta di consumo. Nella norma, che recepisce quanto previsto dalla Comunità europea, l'aliquota base dell'imposta di consumo può essere fissata entro una forbice che varia tra il 57 e il 62 per cento. Era stata prevista la possibilità di arrivare fino al 62 per cento.
Nel nostro emendamento chiediamo che venga usata la leva dell'aumento dell'imposta di consumo e non quella dell'aumento delle sigarette. L'aumento del costo delle sigarette comporterebbe probabilmente diversi problemi sotto un profilo inflattivo e renderebbe vantaggi solo ed esclusivamente alla Philips Morris. Mi pare che fino a questo momento di regali alla Philips Morris ne siano stati fatti veramente tanti!
Voglio ora entrare nel merito della valutazione che si fa riguardo agli articoli soggetti a monopolio fiscale.
Allo stato attuale, il prezzo medio del 1996 per un chilo di sigarette ammonta a 172.070. Le quantità previste di vendita delle sigarette italiane nel 1996 erano di 36 milioni e 500. Il prezzo delle sigarette su licenza è di 202 mila 857 lire, per una quantità di vendita di 16 milioni. Il prezzo delle sigarette estere è di 247 mila 523, per una quantità stimata di 38 milioni.
Se consideriamo l'opportunità di tenere l'imposta di consumo al 57 per cento e di prevedere un aumento variabile tra le 100 e le 200 lire, la possibilità dell'aumento del prezzo delle sigarette, lasciando inalterati l'aggio e l'imposta di consumo, garantirebbe un maggior gettito erariale di circa 463 miliardi e 665 milioni. Si tratta quindi di una cifra abbastanza vicina all'obiettivo di 500 miliardi per 1997.
Non entrerò nel merito della ripartizione, ma questa eventuale soluzione porterebbe ad un costo obiettivamente abbastanza pesante che inciderebbe anche sul contrabbando delle sigarette.
Un'altra soluzione possibile è quella di lasciare invariato il costo delle sigarette e di aumentare l'aliquota base al 60 per cento. L'adozione di questa eventuale soluzione garantirebbe all'amministrazione un maggior incasso relativo all'imposta di consumo pari a 563 miliardi. È quindi una cifra abbastanza superiore - di quasi 100 miliardi - rispetto all'aumento di 100-200 lire sulle sigarette. Una variazione dell'imposta di consumo comporterebbe di per sé un minore avanzo finanziario per l'amministrazione dei monopoli pari a 285 miliardi e, nello stesso tempo, maggiori entrate nette erariali per 278 miliardi. Ora è noto che l'avanzo dell'amministrazione dei monopoli ha raggiunto lo scorso anno la cifra di circa 440 miliardi: ridurre questo avanzo - che poi, sostanzialmente, si riduce ad una partita di giro - a 160 miliardi non comporterebbe un grosso svantaggio per l'amministrazione finanziaria nel suo complesso.
Queste sono le considerazioni - le quali tengono naturalmente conto dell'effetto che provocherebbe sul mercato un eventuale aumento delle sigarette e, cioè, una maggiore vendita di sigarette di contrabbando - che ci hanno spinti a presentare quell'emendamento che naturalmente non verrà accettato dal Governo; se così fosse, ci riserveremo comunque di trasfonderne i contenuti in un apposito ordine del giorno, per convincere l'amministrazione

Pag. 12581

a seguire la strada dell'aumento dell'imposta di consumo invece dell'aumento del prezzo delle sigarette.
Abbiamo presentato poi un emendamento al comma 1 dell'articolo 4 nel quale affrontiamo il problema delle accise sui prodotti alcolici.
Credo sia noto a tutti che sul mercato italiano esistono almeno un migliaio di piccole aziende con pochi dipendenti che si occupano della produzione di alcol e della sua immissione nel consumo. Stante l'attuale fortissima crisi del settore e in considerazione del fatto che viene richiesto l'anticipo del pagamento delle accise, abbiamo proposto di riconoscere ai produttori di alcol - che notoriamente consentono ai loro diretti clienti di pagare a 60, 120 o anche 180 giorni, e che sono quindi costretti ad anticipare le accise e i contrassegni di Stato - la possibilità di emettere due diverse fatture, una per il prodotto ed un'altra per le accise e i contrassegni, in maniera da intervenire in favore di questa categoria.
Credo che la storia di questo emendamento sia nota ai componenti le Commissioni bilancio e finanze: era stato dichiarato inammissibile per carenza di compensazione, ma non comprendiamo perché debba esservi compensazione, visto che interveniamo semplicemente nei rapporti tra produttori e consumatori. In effetti, al riguardo il Governo si è ricreduto. Abbiamo presentato un emendamento che rappresenta un atto doveroso, che va incontro alle esigenze di una categoria particolarmente colpita. È proprio di questi giorni la vicenda della Stock - una nota casa produttrice passata in mani tedesche - che ha ridotto del 50 per cento i propri dipendenti, licenziandone circa 227, proprio per le difficoltà che sta vivendo il settore.
Un aiuto nei confronti di queste categorie sarebbe quindi auspicabile, ma proprio in relazione all'emendamento che ho richiamato il gruppo di forza Italia ieri ha abbandonato l'aula della Commissione, perché vi è stata una chiusura totale da parte della maggioranza, che ancora una volta, nel merito, ci è venuta a dire che il provvedimento va approvato rapidamente perché non si può rischiare un ulteriore passaggio al Senato. Abbiamo quindi ribadito la nostra contrarietà, sia nel metodo che nel merito, a questo provvedimento ed abbiamo ribadito la nostra ferma opposizione a fronte dell'atteggiamento, che definirei arrogante, assunto dalla maggioranza, che ha mostrato mancanza di comprensione nei nostri confronti.
Manterremo questo atteggiamento di opposizione e annunciamo sin da ora la nostra contrarietà al decreto-legge n. 669, come dimostreremo nei fatti durante l'esame del provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bono. Ne ha facoltà.

NICOLA BONO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la maggioranza procede in materia di politica economica e tributaria come il treno del famoso racconto di Buzzati, verso il disastro, incurante di tutti i segnali che arrivano in senso opposto. Ricorderete la novella di Buzzati: sul treno che correva e non si fermava alle stazioni, gli spauriti viaggiatori scorgevano nelle stazioni file enormi di persone che andavano nella direzione opposta a quella verso la quale il treno ciecamente si dirigeva.
Tale atteggiamento evidenzia un decisionismo di craxiana memoria, arrogante e dissacrante del nobile ruolo del Parlamento. Siete così bravi a pretendere il rispetto delle regole e così efficienti nel violarle regolarmente. Quando mai si è vista una manovra finanziaria discussa e approvata in uno spazio di appena quattro ore da due Commissioni di merito del calibro delle Commissioni bilancio e finanze? Per approvare l'omologa manovra del Governo Dini occorsero sei decreti-legge ed alla fine l'inserimento delle norme nel provvedimento collegato alla legge finanziaria per il 1997, il che rappresentò un altro esempio vistoso di violenza della maggioranza nei confronti del Parlamento.
Un siffatto comportamento viola ogni principio di confronto democratico, svuota


Pag. 12582

di contenuto il ruolo dell'opposizione e con esso la nobile funzione dell'organo legislativo, che lei, Presidente, è chiamato a tutelare in assoluto ed in particolare nei confronti - se mi si consente - dell'altra Camera, cioè del Senato. Non è scritto da nessuna parte che il Senato potesse tenere, per tutto il tempo che ha voluto, il provvedimento, rimaneggiandolo largamente, stravolgendolo in tante parti per poi trasmetterlo alla Camera tranquillamente in data 7 febbraio, consentendo agli uffici della Camera di predisporre la documentazione per l'esame da parte dei deputati non prima dell'11 febbraio.
Oggi, dopo pochissimi giorni dal momento in cui abbiamo avuto contezza delle carte, giungiamo alla discussione in Assemblea, mentre l'altro ramo del Parlamento ha potuto svolgere la propria funzione fino in fondo, con un serio confronto tra maggioranza ed opposizione e definendo un percorso legislativo considerato che, in quel caso, diverse proposte dell'opposizione hanno trovato accoglimento. Invece, a fronte di tutto ciò, in questo ramo del Parlamento abbiamo assistito ad un atteggiamento di assoluta negazione delle più elementari regole del confronto democratico e quindi di sostanziale mortificazione dell'opposizione; ma con la mortificazione dell'opposizione, onorevoli colleghi, si mortifica lo stesso principio che fonda l'istituto parlamentare.
Non comprendiamo poi quale scandalo vi sarebbe stato se - questo è l'aspetto che pone in evidenza l'atteggiamento arrogante di chi ha voluto dare un siffatto taglio ai nostri lavori - dopo un confronto corretto e tradizionale tra maggioranza ed opposizione, utilizzando il tempo necessario per ogni approfondimento, la Camera avesse licenziato il provvedimento a ridosso della scadenza del decreto-legge, non consentendo al Senato la terza ed ultima lettura. Quale sarebbe stato il problema istituzionale, procedurale, tecnico e politico? In effetti, non vi sarebbe stato alcun problema, perché il Governo, dopo una prima lettura approfondita del Senato e dopo un'ulteriore modifica da parte della Camera, avrebbe potuto tranquillamente riproporre in un disegno di legge il contenuto del decreto, anche se decaduto; un tale provvedimento avrebbe potuto essere approvato nell'arco di una settimana, giacché non vi sarebbe stata la necessità di quegli approfondimenti già effettuati nelle diverse sedi.
Sorge allora il dubbio che l'arroganza, non giustificata da scadenze temporali contenute nel provvedimento, tali da comportare il bisogno assoluto di violare le più elementari regole del confronto, sia dovuta alla volontà di questa maggioranza e del Governo - come in più di un'occasione si è dimostrato - di trasformare il paese in un regime, di conculcare le più elementari regole democratiche, così come è avvenuto, per esempio, nell'ambito del dibattito sulla modifica del bilancio dello Stato, in occasione del quale il gruppo di alleanza nazionale in Commissione ed in Assemblea ha ribadito il principio che si tratti di una riforma forte del meccanismo contabile del paese e che non possa essere quindi svincolata dai temi oggetto dell'esame della Commissione bicamerale. Abbiamo altresì ribadito che esisteva ed esiste in ordine al bilancio dello Stato una problematica che va approfondita insieme alle vicende che fanno parte delle materie all'esame della Commissione bicamerale.
Ed allora, anche in questo caso l'esigenza di correre, di affrontare e risolvere le questioni velocemente, evidenzia quando dicevo prima, ossia una sorta di decisionismo di craxiana memoria che la dice lunga sul concetto che questa maggioranza e questo Governo hanno del Parlamento.
Mi chiedo che cosa si possa dire poi del modo inaccettabile di operare, che ha suscitato riserve e perplessità ed anche qualche critica perfino all'interno della stessa maggioranza, a proposito della mancanza di una corretta quantificazione delle conseguenze che le modifiche introdotte dal Senato provocavano sui conti. Se il sottosegretario Giarda, oltre a parlare al telefono, avesse la bontà di ascoltare questi passaggi, probabilmente anche in

Pag. 12583

questo caso avremmo una risposta di ordine non solo tecnico, ma politico.
Signor Presidente, lei deve sapere che quando abbiamo affrontato in Commissione l'esame degli emendamenti, nelle quattro ore che ci sono state concesse per svolgere un minimo di dibattito, abbiamo riscontrato che alcuni emendamenti dei deputati dell'opposizione sono stati respinti perché il Governo non era in grado di valutarne l'impatto sui conti pubblici. Ciò in quanto alcune delle modifiche - per l'esattezza gli articoli 6-bis e 10-ter, introdotti nel corso del dibattito al Senato - determinavano maggiori entrate di cui il Governo fino a ieri, in Commissione, nel momento in cui quest'ultima doveva decidere sul provvedimento, non era in grado di indicare l'effettivo gettito. Le sarei grado, sottosegretario Giarda, visto che ha anche finito di telefonare, se ci potesse dire se ora il Governo è in grado di fornirci queste notizie: forse stava telefonando proprio per averle!
Signor Presidente, colleghi, si deve sapere che la Commissione bilancio ha lavorato senza conoscere parte degli effetti finanziari del provvedimento, il che è il massimo che possa accadere ad una Commissione bilancio la quale - lo ricordo a chi lo avesse dimenticato - esiste non solo per esprimere un parere in sede referente sulle materie di sua competenza, ma di norma esprime anche un parere consultivo proprio sull'aspetto delle coperture finanziarie. Che la Commissione bilancio possa esaminare un provvedimento di sua competenza senza conoscere gli effetti finanziari delle questioni che decide è veramente la negazione dello stesso ruolo dell'organo legislativo in questione!
Vi è un altro aspetto che ci lascia fortemente perplessi e critici: chi ha deciso, ed in base a quale criterio, l'anomalo accorpamento delle Commissioni bilancio e finanze per discutere nel merito il provvedimento? Il nostro gruppo ha contestato al Presidente della Camera l'assegnazione del decreto-legge n. 669 all'esame delle Commissioni bilancio e finanze riunite. Questo comportamento, almeno a nostra memoria, non si era mai verificato. Peraltro, non solo la parte tributaria è limitata agli articoli dall'1 al 7, mentre dall'articolo 8 in poi il provvedimento è materia propria della Commissione bilancio - quindi non vi è solo un problema quantitativo in ordine agli articoli ed alla portata del provvedimento - ma la anomala assegnazione alle Commissioni riunite non si giustifica anche perché non si è visto mai che ciò sia accaduto per un provvedimento che, pur contenendo norme tributarie, ha nella sua strategia la definizione di un programma di politica economica e finanziaria. La prassi vuole che lo esamini la Commissione bilancio, tenendo conto di un parere sulla parte tributaria che di norma, per il rispetto sempre dimostrato dalla Commissione bilancio nei confronti della Commissione finanze, viene considerato sostanzialmente vincolante. Tale ipotesi forse comportava qualche problema a chi ha scelto una strategia diversa.
Si è avuto quindi uno stravolgimento anche sul piano delle procedure, con l'accorpamento di due Commissioni, dal quale è derivata la necessità di far lavorare, in una bolgia incredibile, 80-90 deputati che dovevano confrontarsi su materie economiche e tributarie nell'arco di sole quattro ore.
Altro aspetto inquietante di come procedono i nostri lavori è l'atteggiamento tenuto sulle questioni pregiudiziali sollevate dal nostro gruppo in merito alla costituzionalità di vari aspetti del provvedimento, uno dei quali incontrovertibile. Mi riferisco al contenuto dell'articolo 22, che reca una norma in materia di urbanizzazione sulla quale la Camera si era già pronunciata negativamente. Qual è stata la risposta del Governo e soprattutto della maggioranza, nella persona dei relatori, alle corrette questioni di ordine costituzionale sollevate dal gruppo di alleanza nazionale? Una risposta burocratica, che certamente non ha portato convincenti argomentazioni contro la tesi avanzata, una risposta che nascondeva un atteggiamento di grande arroganza da parte della maggioranza.

Pag. 12584


Di fronte a regole di carattere costituzionale ed ai regolamenti parlamentari non è consentito procedere ad uno stravolgimento, non è consentito procedere a colpi di maggioranza, in primo luogo perché chi lo fa dimentica le incerte vicende della vita: chi di colpi di maggioranza colpisce, a volte di colpi di altra maggioranza perisce. Questo aspetto dovrebbe sempre essere tenuto presente da chi rispetta le regole a garanzia del corretto andamento del dibattito democratico del paese. Non è possibile che la Presidenza della Camera non si faccia carico del rispetto assoluto di questi principi, dimenticando che non è al servizio di una parte, anche se maggioritaria, ma dell'istituzione.
Nel mondo intero credo che sia rimasta solo una monarchia assoluta, quella rappresentata dal potere sconfinato che ha un Presidente di Assemblea parlamentare, le cui decisioni sono inappellabili e il cui livello di discrezionalità è assolutamente ampio.
Ma proprio perché c'è un livello altissimo di discrezionalità, le decisioni della Presidenza di una Camera non possono essere tutte finalizzate ad un non meglio precisato efficientismo, che conculca la volontà dei gruppi parlamentari e la loro capacità di svolgere liberamente il proprio ruolo, e che può addirittura inficiare il principio del corretto confronto democratico. Non si può accettare che per servire la logica delle risposte da offrire a chi attende i provvedimenti si stravolgano le più elementari regole del dibattito politico.
Finora l'opposizione ha, in questo senso, dato dimostrazione di grande equilibrio e di grande responsabilità. Ma voglio ricordare che questo atteggiamento è stato alla base della decisione dell'opposizione di abbandonare i lavori relativi alla legge finanziaria, quando si è capito che non vi erano spazi per il rispetto dei suoi ruoli. In questa vicenda, certamente meno rilevante della finanziaria e proprio per questo, forse, più tollerata, sono stati di nuovo riproposti percorsi che noi riteniamo inaccettabili. Non ho difficoltà ad affermare che bisogna stare attenti, perché certi metodi di governo possono portare all'esplosione delle contraddizioni.
Tutte queste forzature, alla fine, erano finalizzate a portare a compimento un provvedimento che chiude la manovra finanziaria più devastante per l'economia del paese che abbiamo conosciuto negli ultimi anni. Una manovra che ha determinato l'aumento del 2 per cento della pressione fiscale, facendola arrivare alla stratosferica cifra del 45,3 per cento, ben il 10 per cento in più di quella che si registra in Gran Bretagna e il 15 per cento in più di quella degli Stati Uniti d'America. Non a caso in Gran Bretagna e negli Stati Uniti ad una minore pressione fiscale si accompagna un più basso livello di disoccupazione sul territorio.
La prima manovra posta in essere dall'Ulivo ha compresso i consumi, ha svuotato la tasche dei contribuenti, ha innescato fenomeni recessivi e soprattutto ha aggravato irrimediabilmente il livello della disoccupazione. Il lavoro: questo sconosciuto per il Governo Prodi! Vane promesse mai mantenute, conferenze programmatiche per il lavoro programmate e mai realizzate: è la prova di un vuoto pneumatico di idee e di progetti, che sta ormai esplodendo in tutta la sua incontenibile gravità ma che il Polo aveva previsto da tempo. Ovunque avvengono fatti gravissimi di tensione sociale, resi ancora più drammatici dalla totale inesistenza di terapie e soluzioni possibili.
L'altro ieri, a Lecce, i disoccupati hanno persino occupato la curia, quasi a voler chiedere alla Chiesa ciò che lo Stato non riesce a dare, sconfessando ancora una volta il Governo della sinistra e manifestando l'assoluta mancanza di credibilità delle istituzioni. Tensioni sociali si registrano da Palermo fino ad Avola, la mia città, dove proprio ieri mattina si è svolta una manifestazione inquietante, con l'occupazione della strada statale 115 da parte di centinaia di disoccupati, i quali attraverso una manifestazione apparentemente rientrante nei normali meccanismi di protesta sociale hanno in realtà rievocato il fantasma dei fatti del '68, quando

Pag. 12585

proprio ad Avola si assistette al drammatico scontro tra braccianti agricoli e forze dell'ordine che provocò due morti e svariati feriti da entrambe le parti.
Nel sud d'Italia il livello di disagio sociale ha raggiunto punte intollerabili. È di questi giorni la denuncia, proprio ad Avola, di un sacerdote che ha evidenziato come negli ultimi tempi gruppi di disoccupati si siano rivolti alla sua parrocchia per avere non denaro ma candele, ceri, al fine di provvedere all'illuminazione delle proprie abitazioni e ad un minimo di riscaldamento (se è pensabile potersi scaldare con una candela). Non sto facendo della retorica: nell'ultimo mese l'ENEL ha interrotto l'erogazione di energia elettrica ad oltre 70 nuclei familiari della mia città. È ripreso in maniera inquietante il flusso migratorio verso l'estero, che era sconosciuto da decenni. Vi è un pauroso calo dei consumi, soprattutto di quelli alimentari; vi è un diffuso livello di disagio e di degrado economico e davanti a tutto questo il Governo Prodi ha l'encefalogramma piatto, non ha linee di indirizzo capaci di aggredire il problema fondamentale del nostro paese, cioè la carenza di lavoro.
Il sud non può più aspettare un Governo incapace e colpevole di assumere decisioni che mai produrranno un solo posto di lavoro e la cui massima aspirazione è il ripristino delle gabbie salariali; un Governo che con questo provvedimento incentiva non l'economia ma la FIAT e fa un regalo al grande capitale, da sempre assistito con le risorse sottratte agli obiettivi di rilancio dell'economia. Questo è il Governo del mantenimento dei privilegi dei pensionati baby contro i disoccupati, del grande capitale che continua a produrre perdite che collettivizza e utili che privatizza. È un Governo che si pone contro le esigenze dei ceti produttivi e contro le crescenti masse dei nuovi poveri. Proprio sul tema del lavoro emerge la gigantesca differenza fra un Governo il cui Presidente ammette, a denti stretti, di non aver fatto ancora molto per il lavoro (ma, in effetti, non è vero, perché Prodi ha fatto moltissimo per il lavoro nel senso di aggravare la disoccupazione), ed il Polo per le libertà, costretto all'opposizione, ma unica forza politica capace di intestarsi azioni concrete per il rilancio dell'economia e degli investimenti.
Le scelte di questo Governo non ci porteranno in Europa, stando a quanto emerge dalle vicende di questi giorni e dalla relazione trimestrale di cassa. La situazione che oggi viviamo è determinata da alcuni aspetti sui quali ci siamo soffermati poco in termini di dibattito politico. Il ministro Ciampi dichiarava ieri che la riduzione delle previsioni di crescita del PIL si attesterà intorno all'1 per cento - bontà sua! -, senza tuttavia precisare, il «superministro» dell'economia, quanta parte della riduzione delle previsioni del PIL sia dovuta alle scelte perniciose di questa maggioranza e di questo Governo, cioè quanto abbiano inciso, nella negativa congiuntura della produzione nazionale, le scelte economiche e finanziarie operate da questo Governo.
La maggioranza è divisa in ordine alle scelte economiche: è di questi giorni l'ennesimo teatrino delle dichiarazioni, delle smentite e delle precisazioni attorno alla «manovrina» di primavera. A parte le ridicolaggini del presunto anticipo della manovra per il 1998, speriamo ormai definitivamente archiviate, sulle quali voglio stendere un velo pietoso, continua la ridda di dichiarazioni attorno a tale «manovrina». La maggioranza si divide tra chi ritiene di voler precisare contenuti diversi, si divide sull'entità della manovra, si divide persino sul fatto se si debba fare o meno la manovra. È ridicolo che si possa continuare a dire che la manovra ci sarà, ma sarà di scarsa entità. Noi - lo dichiaro questa mattina - abbiamo la certezza, purtroppo, che, dato l'andamento dei conti del 1996, data la situazione di crisi complessiva della produzione, dato il mancato rispetto delle previsioni in termini di incremento del prodotto interno lordo, considerato tutto ciò - e non essendo del tutto certo il mantenimento degli altri parametri, come quello inflattivo soprattutto, che ci inquieta non poco

Pag. 12586

- avremo una manovra, da qui a qualche mese, che non sarà quantificata al di sotto dei 30 mila miliardi. E questi dati sono ricavabili tranquillamente proprio dagli elementi che abbiamo testé evidenziato e dal fatto che non esiste peggior cosa in materia economica della incertezza dell'indirizzo da assumere da parte del Governo. Il crollo del cambio della lira di ieri è l'effetto soprattutto di questa incertezza sui percorsi che il Governo vuole intraprendere per il risanamento finanziario, sui tempi e sulla quantificazione di una manovra correttiva che - se si vuole, si può anche aspettare la trimestrale di cassa - già oggi è chiaramente quantificabile e solo chi vuole essere cieco può non vedere questi elementi.
Allora, davanti ...

PRESIDENTE. Onorevole Bono, la prego di concludere.

NICOLA BONO. Ho concluso, signor Presidente; un altro minuto ancora. Davanti a questa impostazione perniciosa, riteniamo sia essenziale modificare queste scelte e questi indirizzi, perché altrimenti assisteremo impotenti alla cannibalizzazione della società nazionale, all'esplosione delle contraddizioni dei nuovi poveri, cui non viene offerto neanche uno straccio di speranza.
Per questo, alleanza nazionale si oppone al provvedimento in esame e, nell'invitare le forze moderate dell'Ulivo a ripensare integralmente una impostazione politica senza speranza e senza futuro, essa dichiara con convinzione il suo totale dissenso ed il suo conseguente voto contrario (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Moroni. Ne ha facoltà.

ROSANNA MORONI. In cauda venenum, Presidente. Cercherò comunque di essere più breve del collega Bono.
Il decreto-legge n. 669 è stato volutamente presentato dalla stampa contigua al Polo come un'ennesima stangata. In realtà, si tratta del coerente proseguimento di una finanziaria che, pur con notevoli limiti, ha segnato un'inversione di tendenza rispetto alle manovre passate ed alle scelte compiute da altri paesi europei. Una finanziaria che ha visto accolte le nostre richieste di non intaccare gli elementi portanti dello Stato sociale, le pensioni e la sanità, confortata dai risultati, già visibili, delle scelte di equità e di razionalizzazione effettuate.
È un provvedimento equilibrato, le cui misure non gravano sui redditi più bassi, non penalizzano le fasce di contribuenti regolarmente e pesantemente colpite in passato, non contemplano tagli a carico di comparti di spesa già interessati da precedenti manovre restrittive, non determinano un aumento dell'inflazione.
In sintesi, abbiamo di fronte un compromesso abbastanza ragionevole ed accettabile tra le esigenze di risanamento della finanza statale e la salvaguardia degli istituti fondamentali dello Stato sociale. È anche - per quanti continuano con insistenza a chiedere interventi unidirezionali di riduzione della spesa pubblica, dimenticando che la spesa sociale italiana è ben al di sotto della media dei paesi europei - una risposta esemplare in merito alla possibilità di scelte altre rispetto alla deleteria ripetitività di manovre sempre uguali a se stesse e sempre inique con gli stessi.
Il collega Bonato ha già parlato delle agevolazioni fiscali nei settori edile e zootecnico, degli interventi diretti alla riscossione anticipata delle accise e delle imposte sul consumo di metano e di energia elettrica, della necessità di adeguamento alle direttive UE per quanto riguarda l'aumento dell'aliquota IVA sui farmaci di fascia A e B, di una serie di misure miranti a contrastare fenomeni di evasione ed elusione.
Vorrei ancora sottolineare il significato delle conseguenze positive di alcuni provvedimenti. La detrazione integrale dell'IRPEF e l'applicazione dell'IVA al 4 per cento per le spese relative ai sussidi tecnici e informatici rivolti a facilitare l'autosufficienza e le possibilità di integrazione


Pag. 12587

delle persone handicappate per minorazioni fisiche, psichiche, sensoriali, che determinano difficoltà di apprendimento, relazione ed integrazione lavorativa; l'estensione anche ai lavoratori dipendenti della possibilità di aumentare la misura della detrazione sull'IRPEF in caso di redditi inferiori ai 9 milioni; le misure adottate per la trascrizione dei contratti preliminari necessari ad assicurare maggiori garanzie alle parti contrattuali, in particolare al promittente acquirente, finora esposto ad una serie di rischi e praticamente senza tutela nella difesa dei propri interessi e diritti. Positiva è anche l'equiparazione ai fini previdenziali delle aziende turistiche che abbiano assunto i lavoratori a tempo parziale o in forma stagionale alle imprese e ai datori di lavoro operanti nei comuni montani.
Si tratta di misure apparentemente di scarso rilievo, sono però indicative di un reale interesse a problemi concreti spesso di importanza vitale e di una volontà di razionalizzazione che non può prescindere dalla considerazione analitica dei molteplici aspetti, delle molteplici sfaccettature che compongono i settori di intervento dello Stato.
Sono indubbiamente apprezzabili nella loro quasi totalità le misure previste in materia di enti locali. Anche qui, per assoluta onestà, prima di passare all'esame degli elementi positivi non possiamo non sottolineare la negatività di una norma prevista nell'articolo 12 e riguardante un'ulteriore proroga al 31 dicembre 1997 del termine di decorrenza delle disposizioni in materia di attribuzione di mansioni superiori nel pubblico impiego, termine originariamente previsto per il 30 giugno 1994. È la «proroga» sopravvissuta ad altre nella discussione avvenuta al Senato. Non riusciamo a condividerla né, sinceramente, ad accettare la giustificazione derivante dalla complessità degli adempimenti amministrativi connessi alla ridefinizione degli uffici e delle piante organiche. Non riusciamo a condividerla sia perché ci pare abbastanza improvvido parlare di tale complessità, tenuto conto che si tratta di un provvedimento ormai vecchio di 4 anni, sia perché così facendo oggettivamente si produce un danno a tutti coloro che potrebbero giustamente ambire o perlomeno concorrere alla copertura di posti in piante organiche finalmente complete.
Detto questo, non possiamo non sottolineare elementi positivi contenuti negli articoli 8 e 9 del decreto e riguardanti aspetti significativi della vita amministrativa degli enti locali e del loro rapporto con lo Stato. Ci pare importante che il Governo, d'intesa con ANCI, UPI e UNCEM, proceda al monitoraggio degli andamenti dei pagamenti dei comuni, delle province delle ASL, delle comunità montane. Allo scopo è individuato un parametro preciso legato all'importo dei pagamenti del periodo 1996 corrispondente, incrementato del tasso di inflazione programmato. Ciò pone gli enti locali nelle condizioni di poter operare con tranquillità e certezza di spesa, ma nello stesso tempo pone i medesimi vincoli e limiti ai rischi di spesa facile e incontrollata, in quanto lo Stato si riserva di intervenire con ogni strumento legislativo per impedire tale deriva.
Ci sembrano altresì positive le norme riguardanti le modalità di trasferimento dei contributi erariali per il 1997 in favore dei comuni con meno di 5 mila abitanti, i trasferimenti, per i comuni con più di 5 mila abitanti, riguardanti i fondi di contabilità speciale, i trasferimenti per lo sviluppo degli investimenti per il contributo speciale da assegnare ai comuni con meno di 5 mila abitanti sottoposti al sistema della tesoreria unica, e le altre misure, compresi i controlli relativi, che cominciano a dare concretezza ad una necessità che abbiamo più volte richiamato. Mi riferisco alla necessità che il sistema degli enti locali abbia certezze nei tempi, nei modi e nei contenuti del suo intervento e non sia più soggetto all'alea della indecisione e della indefinitezza.
Per ultimo, a tale riguardo, voglio richiamare la possibilità che viene riconosciuta agli enti locali dissestati di contrarre mutui con la Cassa depositi e prestiti per la copertura di quei debiti non

Pag. 12588

soddisfatti con i mezzi reperiti dall'organo straordinario di liquidazione, in presenza di una insufficienza della massa attiva a coprire la massa passiva.
Come è a tutti noto, fino ad oggi a tale insufficienza si poteva ovviare esclusivamente ponendo in vendita gli immobili di proprietà degli enti in questione. Ciò provocava un duplice fatto negativo: da un lato, infatti, il patrimonio immobiliare dell'ente locale veniva svenduto a prezzi di realizzo, dall'altro si sottraevano oggettivamente e concretamente alla comunità spazi e contenitori che potevano essere utilizzati per fornire servizi o quant'altro nell'interesse delle popolazioni amministrate. Aver posto riparo a tale situazione ci sembra un fatto oltremodo positivo a dimostrazione, d'altronde, di quanto andiamo dicendo del patrimonio pubblico e cioè che non può essere gettato via quasi fosse un impedimento alla buona amministrazione.
Per quanto riguarda gli incentivi alla rottamazione delle auto siamo molto critici sulla scelta di agevolare un particolare settore che, fra l'altro, ha ottenuto in passato aiuti ingentissimi ed ha scelto una politica di investimenti non benefica per il nostro paese a fronte dei numerosi settori industriali in crisi, fra l'altro accreditando modelli di mobilità che non ci trovano concordi, come già efficacemente spiegava ieri il collega Bonato, e che generano problemi ambientali, economici e di sicurezza non irrilevanti.
Rileviamo, comunque, gli aspetti positivi per l'ambiente e per la salute dello svecchiamento di un parco auto caratterizzato da una notevole obsolescenza ed apprezziamo, anche come segnale in direzione del modello di mobilità da noi auspicato, la decisione di costituire un fondo e la previsione di un contributo del 10 per cento per agevolare l'acquisto di automezzi per il trasporto pubblico a fronte della rottamazione di analoghi mezzi usati.
Consideriamo significativo anche l'esonero dall'imposta di bollo previsto per la rottamazione di vecchie auto indipendentemente dall'acquisto di una nuova autovettura ed il fatto che gli emolumenti dovuti all'ACI per l'annotazione nel pubblico registro automobilistico della cessazione dalla circolazione dei veicoli sono posti a carico dello Stato.
Mi sembra, quindi, che nel provvedimento in esame si possa cogliere una serie di elementi condivisibili ed apprezzabili. Ma c'è altro: c'è in questo provvedimento un segnale, una indicazione timida ma significativa che noi comunisti intendiamo valorizzare e sostenere perché è da questo genere di scelte che dipende il sostegno di rifondazione comunista a questo Governo.
Rispetto al tema dell'occupazione, la versione iniziale del decreto n. 669 era fonte di preoccupazione e, quindi, di critiche. Era inaccettabile, infatti, per noi - e, vorrei dire, per ogni persona di buon senso - l'idea che il sostegno al settore automobilistico fosse a carico del fondo per l'occupazione. Era uno schiaffo doloroso ai milioni di disoccupati presenti nel nostro paese, incomprensibile ed inaccettabile anche in caso rispondesse al vero la tesi secondo la quale il regalo alla FIAT fosse merce di scambio per porre fine alla vertenza dei metalmeccanici.
La necessità ed il dovere di dare risposte a richieste legittime e a proteste giustificate contro la violazione dei diritti dei lavoratori non rendeva, comunque, più accettabile la copertura inizialmente proposta all'articolo 29 del decreto.
Da questo punto di vista un indubbio riconoscimento deve essere tributato al ruolo svolto dal gruppo di rifondazione comunista al Senato nella ricostituzione dei fondi previsti dalla legge n. 608 sui lavori socialmente utili che, nella versione originale del decreto, erano praticamente azzerati. Grazie, infatti, agli emendamenti dei senatori comunisti non solo si sono recuperati alla destinazione originaria i 160 miliardi inizialmente sottratti al fondo per l'occupazione, ma si sono anche operate altre scelte significative nella stessa direzione.
Mi riferisco, in primo luogo, all'articolo 6-bis, relativo alla proroga al 30 aprile 1997 dei termini per la procedura di accertamento, con adesione del contribuente,

Pag. 12589

per il periodo di imposta 1994 e per la regolarizzazione delle scritture contabili.
Il ricorso a condoni e concordati, divenuto mezzo abituale di reperimento di risorse, è tra gli aspetti del decreto che vede la nostra assoluta contrarietà perché, mentre non realizza praticamente le entrate preventivate, riesce benissimo nel risultato di legittimare e magari incentivare fenomeni di evasione.
Nonostante questa critica, certamente non nuova da parte nostra, all'abuso dei condoni e dei reiterati differimenti di termini degli stessi, non possiamo in questo caso non apprezzare la destinazione delle maggiori entrate della proroga del cosiddetto concordato fiscale al rifinanziamento del fondo previsto dall'articolo 1 del decreto-legge n. 148 del 1993, convertito nella legge n. 236 del 1993.
Altrettanto significativa è la previsione dell'articolo 6-ter, anch'esso introdotto al Senato in conseguenza di un emendamento presentato dal gruppo di rifondazione comunista, relativo alla destinazione delle maggiori entrate derivanti da dividendi dovuti dalle società per azioni possedute direttamente dallo Stato nella misura del 10 per cento all'incremento del fondo per l'occupazione per l'autorizzazione di spesa finalizzata all'attivazione dei lavori socialmente utili. A questo proposito, memore della recente audizione del ministro Ciampi in tema di privatizzazioni, vorrei aprire una brevissima parentesi.
Conseguenze certe delle privatizzazioni sono la speculazione selvaggia e la nuova disoccupazione, come denunciava anche il collega Nesi, portando ad esempio la situazione della Bertolli, un'azienda della mia provincia che conosco bene e di cui posso dire, usando termini brutali ma veritieri, che è stata letteralmente «spremuta e gettata» da Unilever.
Eppure, nonostante i risultati fallimentari ormai verificati in più occasioni, nonostante la comprovata crisi di imprese private cui lo Stato italiano ha erogato nel corso degli anni finanziamenti di enorme rilevanza e la situazione di imprese pubbliche come ENEL e STET che vantano invece utili consistenti, si continua a perseguire la strada delle privatizzazioni, delle dismissioni, delle svendite, non solo e non tanto di settori di minore importanza, ma di settori vitali per l'economia del paese come quelle delle comunicazioni e dell'energia elettrica e liquida, favorendo in questo modo chi utilizza surrettiziamente la contrapposizione strumentale e infondata fra pubblico «cattivo» e privato «buono» allo scopo di favorire interessi ristretti e impoverendo inevitabilmente la collettività.
Nel decreto la determinazione di utilizzare le maggiori entrate derivanti dai dividendi dovuti dalle società per azioni possedute dallo Stato e la concomitante necessità di assicurare sostegno alla industria privata, in questo caso automobilistica, comprovata dalle previsioni dell'articolo 29, sono la dimostrazione tangibile, da un lato, dell'opportunità e della necessità di mantenere nelle mani dello Stato settori evidentemente vitali per l'economia del paese, dall'altro, dei risultati fallimentari conseguenti, invece, alla destinazione di ingenti risorse a imprese private - le grandi, aggiungo, mai le piccole - che troppo spesso si sono rivelate pozzi senza fondo.
Vorrei, a conclusione di questo ragionamento necessariamente riduttivo e schematico, ribadire la fondamentale importanza di due temi tra loro collegati, due temi che saranno il terreno di prova della capacità e della volontà di questo Governo di determinare un'inversione, un'innovazione delle linee di politica economica e sociale, due temi su cui si misurerà il nostro sostegno a questo Governo: l'occupazione e le privatizzazioni.
Torno al merito del decreto e ribadisco che, rispetto a valutazioni iniziali preoccupate, è tanto più significativa l'evoluzione positiva nel corso dell'esame al Senato. Siamo passati, infatti, da una scelta di taglio del fondo per l'occupazione, sia pure motivata come temporanea e di breve durata, ad una serie di nuove

Pag. 12590

previsioni, che operano positivamente proprio in direzione di un impegno concreto nella lotta alla disoccupazione.
Considerando le integrazioni previste dall'articolo 29-quater, anch'esso introdotto dal Senato, consistente in un incremento di 868 miliardi per l'anno 1997, di 494 miliardi per il 1998 e di 739 a decorrere dal 1999, si può constatare che, di fatto, con la conversione del decreto in discussione, le disponibilità del fondo per l'occupazione assommeranno a diverse centinaia di miliardi. È un primo parziale risultato, un segnale al quale, in un paese nel quale la presenza di disoccupati, particolarmente in certe aree geografiche e in certe fasce sociali, continua a lievitare in modo preoccupante, è essenziale dare seguito.
Alle tante affermazioni di principio devono poi corrispondere la fissazione delle priorità programmatiche degli interventi per lo sviluppo dell'occupazione ed atti significativi nel sostegno ai livelli occupazionali. A tale proposito è necessario porre fine al succedersi di convocazioni e sconvocazioni della conferenza sull'occupazione, sintomo di disagio e di inadeguatezza, ed affrontare in modo più determinato e più pianificato la più grave emergenza del paese.
Vorrei concludere con un'ultima osservazione. Si fa un gran parlare della manovra futura. Sostenerne la necessità sembra utile soprattutto a chi intende riproporre instancabili, continue richieste di tagli alle spese che, in sintesi, significano soprattutto colpire ancora il settore previdenziale. A nostro parere la manovra non è necessaria. Si tratta, comunque, di aspettare la relazione trimestrale di cassa. Se poi l'andamento dei conti pubblici imponesse interventi, l'eventuale ipotetica manovra di primavera non sarebbe, come si sostiene, un provvedimento aggiuntivo, necessario a reperire risorse in più rispetto a quelle reputate necessarie al momento della manovra per il 1997, ma sostitutivo, reso necessario dallo scostamento delle effettive realizzazioni rispetto alle previsioni. È un fatto che spesso le manovre danno risultati inferiori alle aspettative.
Una volta per tutte, però, sarebbe necessario operare una scelta in controtendenza: non più e non sempre cercare risorse aggiuntive per compensare previsioni risultate insufficienti, ma operare analizzando le cause del mancato raggiungimento degli obiettivi, effettuare valutazioni e indagini serie ed approfondite, miranti a verificare in dettaglio dove sia l'errore, a quali meccanismi, a quali centri di responsabilità siano imputabili le aspettative deluse.
Non è accettabile, non è giusto prevedere nuove imposizioni fiscali o nuovi tagli alle spese perché non si è stati in grado di predisporre tutte le condizioni necessarie a raggiungere il fine prefissato dalle misure adottate.
Un cambiamento si può ottenere solo attraverso una scelta di consapevolezza e di assunzione di responsabilità, una scelta che riguarda ovviamente tutti gli enti di spesa, centrali e decentrati; una scelta che necessita dei controlli del Governo e del Parlamento sugli effetti delle decisioni prese, di valutazioni delle cause di eventuali scostamenti e di previsione degli interventi necessari. Serietà, correttezza, onestà intellettuale, ma anche concretezza e realismo, impongono un cambiamento nonché, mi sia concesso, uno sforzo di fantasia nel ricercare soluzioni diverse, non sempre allineate a tutte le precedenti.
Perpetuare un atteggiamento che elude, non approfondisce, non verifica, non consentirà mai di pianificare concretamente previsione e conseguenze e di ottenere i risultati prospettati e attesi e soprattutto indispensabili al paese e ai suoi cittadini (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di replicare il relatore per la V Commissione, onorevole Boccia.

ANTONIO BOCCIA, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, mi limiterò


Pag. 12591

a due considerazioni, la prima delle quali di ordine generale. Negli interventi che i colleghi hanno sviluppato nel corso del dibattito ho notato una sorta di convinzione che da una parte ci siano il Governo e la maggioranza, i quali hanno la responsabilità ed il dovere di risanare l'economia del paese, di far avvicinare l'Italia ai parametri di convergenza, di farsi carico delle questioni sociali come l'occupazione, la ripresa dello sviluppo, che devono imporre, per raggiungere questi obiettivi, sacrifici agli italiani e, dall'altra, vi sia il resto del mondo che deve difendersi da questa iniziativa. Per questo motivo deve trovare cavilli allo scopo di evitare che i cittadini paghino le tasse, deve demagogicamente proporre emendamenti per alleviare il peso di una manovra che deve essere, sì, rigorosa, deve sollecitare la pubblica amministrazione a spendere perché è necessario tenere alta la spesa in alcuni settori, deve animare la piazza contro quest'opera di risanamento, deve insomma non contribuire (per non usare un termine più duro) all'opera di risanamento e di ripresa dell'economia.
Questo dato impone una riflessione di ordine culturale e civile, ma anche politica, se cioè in uno sforzo che riguarda certamente la maggioranza che governa l'Italia ma anche la nazione tutta intera, se in questo sforzo - dicevo - di risanamento dell'economia e di avvio della ripresa per risolvere i problemi sociali fortemente presenti negli squilibri fra nord e sud e derivanti dall'incidenza notevole dell'imposizione fiscale e dalla disoccupazione, vi debba essere un concorso più generale di tutti gli italiani e, dunque, a maggior ragione dei loro rappresentanti e cioè della maggioranza e dell'opposizione che in quest'aula li rappresenta.
Ai colleghi che sono intervenuti e a coloro che seguono i lavori parlamentari vorrei lasciare, a chiusura del dibattito, questa riflessione. La riflessione di chi ritiene che vi sia bisogno di una riconversione culturale nell'approccio a tali problematiche, cioè uno sforzo, un senso di responsabilità, una iniziativa ed una impostazione che mettano avanti a tutto i problemi della gente e dell'Italia. Riguardo a questi ultimi, credo che dal punto di vista del metodo, delle procedure, degli atteggiamenti e della tattica possiamo anche avere opinioni diverse, ma non dividerci sugli obiettivi da raggiungere e sulla strategia. E la strategia che Prodi sta seguendo è giusta: essa consiste nello sviluppo nella solidarietà e nel risanamento senza recessione. Si tratta di una iniziativa temperata - non voglio nemmeno dire «moderata» - di azione di governo, che impone sacrifici senza determinare la recessione. Questa strada - che si attaglia molto bene alla realtà del paese ed alla sua complessità economica e sociale - della mediazione e della molteplicità degli interessi che si muovono nel campo è quella giusta! È tale non solo per portarci in Europa, ma anche per risollevare le sorti della situazione economica e sociale del paese, per eliminare gli squilibri esistenti e anche per rispondere - perché il fenomeno esiste e non dobbiamo sottovalutarlo - alle giuste esigenze di larga parte del territorio nazionale (che io vedo essere presenti in maniera molto forte nelle regioni meridionali e in maniera più eclatante, ma altrettanto forte, nella cosiddetta Padania) di poter avere una maggiore forza di autodeterminazione, un maggiore protagonismo rispetto al proprio futuro e quindi un consistente decentramento istituzionale e dei momenti decisionali rispetto al centralismo statuale. Se tutto ciò è l'interesse generale, credo che tutti gli italiani debbano avvertire il bisogno di contribuire a tale sforzo. Non vi sono infatti un Governo e una maggioranza da una parte e il resto del mondo dall'altra: dobbiamo determinare una situazione nella quale tutti si pongano in termini propositivi, di contribuzione solidale e di operosa solidarietà per uscire da questa situazione e per andare avanti. Sarebbe quindi il caso di dire che non bisogna pensare soltanto a ciò che dobbiamo avere, ma anche a ciò che dobbiamo dare. Dovremo rimboccarci le maniche e cercare di fare il proprio dovere

Pag. 12592

e di contribuire allo sforzo che Prodi sta portando avanti molto faticosamente.
La prima osservazione in risposta ai numerosi interventi è che, se vi è una parte di critica, sarebbe altrettanto giusto introdurre anche una parte di corresponsabilità, di solidarietà, di contribuzione operosa, per dare un segnale al paese di un protagonismo nella direzione del risanamento e della ripresa, e non soltanto della contestazione.
Per quanto riguarda alcune considerazioni svolte in particolare dal collega Giancarlo Giorgetti, ricordo che in Commissione abbiamo già detto che, a prescindere dai ruoli, dall'ostruzionismo e dalle diatribe (aspetti, questi, tutti comprensibili), vi sono alcuni osservazioni dei relatori e dei colleghi che indubbiamente, in una situazione temporale diversa, potrebbero - anzi, dovrebbero - ricevere l'attenzione del Parlamento nello strumento anche del completamento della manovra che stiamo adottando. Abbiamo però evidenziato con molta trasparenza e con onestà culturale come fosse di fatto pressoché impossibile - alla luce dei tempi a disposizione - riaprire in questa sede le questioni e ricominciare da capo.
Non è giusto, quindi, gridare allo scandalo, come hanno fatto alcuni colleghi, perché è vero che il sistema bicamerale ha le sue disfunzioni, ma è altrettanto vero che all'interno delle Camere operano i partiti e, al di là delle denominazioni, gli schieramenti ci sono anche al Senato. I partiti, dunque, hanno avuto la possibilità nell'altro ramo del Parlamento di esprimere la loro posizione; forse dovremmo far sapere ai nostri colleghi senatori dei rispettivi gruppi - senza con questo voler fare rimproveri o critiche - che sarebbe stato meglio se i tempi fossero stati più equamente ripartiti tra i due rami del Parlamento. Questa è un'osservazione che riguarda tutti i gruppi, certamente non può rimbalzare solo sulla maggioranza.
Pertanto, con molta serenità ed onestà intellettuale abbiamo dichiarato ancora una volta questa mattina in sede di Comitato dei nove, durante l'esame degli emendamenti, che nel merito di alcuni di essi la discussione poteva certamente essere proficua e sarebbe forse stato anche giusto l'accoglimento, ma di fatto vi è l'impossibilità pratica.
Nella mia relazione introduttiva avevo sollevato alcune questioni; sono certo che il sottosegretario Giarda nella sua replica vorrà chiarire gli aspetti che ho richiamato per evitare equivoci nella gestione del provvedimento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la VI Commissione, onorevole Agostini.

MAURO AGOSTINI, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, svolgerò anch'io qualche rapida considerazione in replica ad alcune valutazioni fatte dai colleghi, in particolare quelli dell'opposizione.
Credo debba essere chiaro - lo sottolineava poco fa anche il collega Boccia - come con questo decreto di fine anno si sia cercato di compiere uno sforzo, quello di completare la fase finale del risanamento del paese, soprattutto dei conti pubblici, creando nel contempo le condizioni per un rilancio dello sviluppo. Questa operazione è importante perché ci consente di non interpretare la manovra di fine anno semplicemente come completamento di una manovra contabile che ha avuto nel corso del 1996 quel significato che ieri notte il collega Targetti ricordava. Peraltro si cerca di compiere lo sforzo di coniugare il risanamento dei conti pubblici e il rilancio dello sviluppo senza gravare sui redditi delle famiglie, sui consumi e sull'inflazione. Come? Con provvedimenti non indiscriminati. Al riguardo faccio i due esempi classici: l'edilizia e l'auto, che rappresentano la parte del provvedimento che riguarda la ripresa dello sviluppo.
Per quanto riguarda l'edilizia, alle considerazioni che hanno svolto i colleghi dell'opposizione, replico che nel provvedimento di fine anno non vi è soltanto la riduzione dell'IVA al 10 per cento per la manutenzione e il recupero degli immobili - che è la parte più discussa, nota e credo


Pag. 12593

anche apprezzata - ma vi è anche un'altra misura, alla quale non si è fatto riferimento, che riguarda la riduzione dell'imposta di registro all'1 per cento per l'acquisto dei fabbricati di categoria A, cioè quelli esenti da IVA, effettuato da imprese immobiliari, a condizione che il passaggio successivo avvenga entro tre anni dal momento dell'acquisto. Credo che questo sia un fatto importante, innanzi tutto perché si tratta di una misura da tempo attesa da parte degli operatori del settore. Inoltre, essa è combinata con l'altro provvedimento che è temporaneo, come hanno sottolineato i colleghi Giovanni Pace e Antonio Pepe nei loro interventi di questa mattina. Tuttavia credo che, se dovessimo rilevare un effetto positivo in termini di rilancio e senza oneri particolari, giacché anche questo aspetto dovrebbe essere stimato nel corso del 1997 (mi riferisco ovviamente alla riduzione dell'IVA), il Governo potrebbe effettuare una riflessione al fine di eventuali modifiche in senso strutturale.
La seconda questione concerne il settore dell'automobile; in proposito il presidente Benvenuto mi segnala le notizie riportate da Il Sole 24 ore. Tale giornale ed altri quotidiani questa mattina riportano la notizia delle duemila assunzioni alla FIAT. Ne riportano anche altre, che non sono state richiamate, ma che a mio giudizio sono importanti. Una concerne l'ISCO, il quale stima una crescita per il 1997 dell'1,3 per cento, quindi non il 2 per cento delle previsioni, ma nemmeno una crescita inferiore all'1 per cento di cui qualcuno ha parlato anche nel corso della discussione. La crescita dell'1,3 per cento non è soddisfacente, ma sicuramente offre una certa tranquillità. Inoltre, viene riportato anche un altro dato: accanto ad una crescita dell'1,3 per cento, viene stimata una condizione inflazionistica del 2,4 per cento. Quest'ultimo dato non solo è al di sotto delle previsioni contenute nel DPEF, ma è assolutamente in linea con quanto sta avvenendo ed è avvenuto nell'ultimo scorcio del 1996 ed all'inizio del 1997. Infatti assistiamo ad un trend inflazionistico ormai attestato su tali livelli.
Per quanto riguarda le assunzioni alla FIAT, il presidente Benvenuto mi segnala che 430 sono a tempo indeterminato, 170 delle quali ad Avellino e 260 a Melfi. Preciso che si tratta di assunzioni già effettuate dalla FIAT; quindi non rientrano nelle 2 mila annunciate oggi dai giornali. Di tali 2 mila assunzioni, mille sono previste nel sud ed altre mille a Torino, con contratti a tempo determinato.
Vi è un'altra considerazione che reputo importante, anche per rispondere ad alcune valutazioni fatte a proposito del carattere indiscriminato dal punto di vista sociale del provvedimento sulla rottamazione delle automobili (mi sembra che il collega Teresio Delfino abbia insistito molto su questo aspetto). Le cifre disponibili al momento indicano che la fascia più richiesta, per quanto riguarda l'intervento governativo, sia quella medio-bassa, e che attualmente tale intervento riguardi più il sud che il centro-nord: per la precisione il 65 per cento al sud ed il 35 per cento al centro-nord. È ovvio che incide anche il fatto che il parco auto - com'è noto - con un'anzianità superiore ai dieci anni è più numeroso nell'Italia meridionale rispetto all'Italia centro-settentrionale.
Un'ulteriore considerazione, di carattere più generale, riguarda in particolare l'intervento del collega Antonio Pepe, il quale riprendendo una discussione svoltasi nelle Commissioni ha affrontato il problema delle disposizioni contenute nell'articolo 3 a proposito della registrazione del contratto preliminare.
Il collega Pepe ha correttamente riconosciuto che si tratta comunque di un provvedimento positivo, e si è soffermato anche in Assemblea sugli aspetti di tale positività. Infatti tale misura va nella direzione della tutela del soggetto più debole nel rapporto contrattuale. Pepe si è soffermato anche su un punto che egli ha posto al centro di due emendamenti; della questione avevamo discusso in Commissione

Pag. 12594

ed io stesso avevo affermato che si trattava di un aspetto da prendere in considerazione.
Mi riferisco al fatto che all'articolo 3, mentre si prevede la modifica di alcuni articoli del codice civile, manca il coordinamento con l'articolo 2913 ed il primo comma dell'articolo 2914, sempre del codice civile, a proposito della possibilità di opporre al creditore del promittente venditore, nel caso in cui intendesse procedere al pignoramento, i diritti che il promissario acquirente ha maturato attraverso il contratto preliminare. Si tratta di una questione interessante, ma vorrei ricordare che neanche su questo punto abbiamo una fretta spasmodica. È bene comunque che il problema resti all'attenzione del legislatore e del Governo, considerando però che forme di tutela del promissario acquirente già esistono nella forma del privilegio di cui il egli gode. Il problema, lo ripeto, deve essere comunque mantenuto all'attenzione e su di esso sarà opportuno ritornare.
La terza considerazione delle quattro che intendo svolgere si riferisce all'intervento del collega Giovanni Pace, il quale questa mattina si è soffermato maggiormente su considerazioni di carattere politico, piuttosto che attinenti al merito del provvedimento. Credo comunque che il collega Pace meriti una risposta per l'attenzione che pone sempre ai problemi e per la sua indubbia onestà intellettuale. Peraltro, proprio per la considerazione che nutro nei confronti dell'onorevole Pace non credo che ci si possano rappresentare le sorti magnifiche e progressive del Governo Berlusconi, come questa mattina ha voluto fare Giovanni Pace. Mi soffermerò molto rapidamente sulla questione della legge Tremonti, prescindendo dalle valutazioni sui costi di quella legge, che pure sono state effettuate: il ministro Visco ha ampiamente documentato quei costi anche alla stampa...

MASSIMO MARIA BERRUTI. Non potevamo aspettarci una magnificazione da parte di Visco!

MAURO AGOSTINI, Relatore per la VI Commissione. Sono io a dire di lasciar stare l'aspetto dei costi, lo sfondamento del bilancio pubblico e l'impennata dei tassi di interesse che alcuni provvedimenti, tra cui la legge Tremonti, hanno determinato nel corso di quell'esercizio. Sollevo però due problemi, che sottopongo all'onorevole Pace (mi dispiace che egli non sia presente in questo momento), non tanto di questa natura, ma concernenti proprio la legge Tremonti.
In primo luogo, chiedo se si riconosca che quella legge ha determinato, come dire, un effetto «ingorgo» nel senso che non ha incentivato investimenti, ma semplicemente determinato una loro anticipazione; in secondo luogo, domando a chi fa di professione questo mestiere, come appunto Giovanni Pace, se questa forma di incentivazione sia giusta ed adeguata rispetto alle caratteristiche strutturali della piccole e media impresa italiana, quella che tutti conosciamo. Mi riferisco soprattutto a due aspetti, vale a dire alla sottocapitalizzazione dell'impresa ed al fatto che la deducibilità degli oneri finanziari, quindi la sottocapitalizzazione dell'impresa va di pari passo con l'enorme indebitamento che hanno le nostre piccole e medie imprese.
Mi chiedo allora se sia giusto che il legislatore continui lungo una strada che in qualche modo alimenta questo processo e se non dobbiamo piuttosto porci su un altro terreno. Al riguardo mi sembra che le deleghe per la riforma fiscale che il Parlamento ha concesso al Governo e che saremo chiamati di nuovo a discutere vadano in una direzione assai più giusta e, se mi consentite, assai più moderna, che è proprio quella della valorizzazione dell'impresa capitalizzata, quindi della possibilità per gli azionisti di mettere capitale nell'impresa, riducendo così la dipendenza, che è tipicamente italiana, dal sistema bancario. Sono tra coloro che sostengono che in Italia c'è troppo credito, non poco, altrimenti gli imprenditori non avrebbero dieci, quindici, venti rapporti


Pag. 12595

bancari piuttosto che, senza citare modelli nobili come quello tedesco, avere una banca di riferimento, la Housebank.
Mi domando se sia giusto andare in altra direzione. Pongo la questione senza alcuna volontà polemica, ma solo per lo spirito di collaborazione tra maggioranza ed opposizione che dovrebbe esistere su problemi che non appartengono alla maggioranza o all'opposizione, ma sono del paese, per la cui soluzione dobbiamo rimboccarci le maniche e cercare di avanzare proposte che vadano verso il miglioramento della qualità complessiva dell'apparato produttivo, data anche dal rapporto imprese-banche e dal rapporto imprese-mercati mobiliari. Prima o poi dovremo affrontare il tema di una fascia di media impresa che potrebbe finanziarsi attraverso i mercati mobiliari piuttosto che ricorrendo al mercato creditizio.

GIANFRANCO CONTE. L'effetto ingorgo vale anche per gli incentivi auto.

MAURO AGOSTINI, Relatore per la VI Commissione. Concludo con un'ultima considerazione. È stato detto ieri mattina, con riferimento all'incidente, diciamo così, che è accaduto in sede di Commissioni riunite ed è stato evocato in aula, che sarebbe stata inferta una ferita ai diritti dell'opposizione. Anche il collega Berruti ha sollevato la questione.
Temi di questo genere sono delicati e non possono essere affrontati a cuor leggero. I diritti delle opposizioni stanno a cuore a tutti. Come ho già detto, anche svolgendo la relazione, il disagio in alcuni passaggi della discussione è stato anche nostro: credo però che occorra ricondurre i fatti alla loro oggettività.
Il collega Bono, in un intervento molto critico, ha dovuto riconoscere che al Senato si è svolto un ampio confronto tra maggioranza ed opposizione, un confronto talmente ampio che ha portato anche...

MASSIMO MARIA BERRUTI. Siamo alla Camera!

MAURO AGOSTINI, Relatore per la VI Commissione. Certo che siamo alla Camera, vivaddio!
Dunque, il confronto c'è stato, come riconosce la stessa opposizione, e non si è verificato alcun atteggiamento aprioristico, di carattere politico, alcuna proposta all'opposizone di «prendere o lasciare». I colleghi dell'opposizione, con altrettanta onestà, devono allora riconoscere che noi tutti, maggioranza ed opposizione, ci troviamo oggi in una situazione nuova rispetto al passato: siamo in un sistema di bicameralismo perfetto in cui le due Camere fanno esattamente la stessa cosa, e dopo la pronuncia della Corte costituzionale, che io giudico molto positiva, sulla non reiterabilità dei decreti-legge, nella condizione di dover ripensare il nostro modo di lavorare. Non possiamo svolgere discussioni-fotocopia: mi riferisco al metodo e non al merito, e non si può più ragionare nella logica del rimpallo dei decreti-legge tra i due rami del Parlamento, come tante volte è accaduto in passato. Modificando un po' di qua e un po' di là, si arriva a quindici, diciotto o venti reiterazioni, cioè alla situazione che ho trovato quando sono giunto per la prima volta in Parlamento nel 1994 e che è continuata nel periodo successivo, una situazione che colpisce anche la capacità individuale del parlamentare di svolgere al meglio il proprio compito (Commenti del deputato Conte).
Ma non è giusto nemmeno questo, Conte! Credo che nelle prossime settimane avremo modo di verificare che le cose non stanno così, anche in relazione a provvedimenti molto importanti che sono nell'agenda dell'attività di Governo e dell'attività legislativa nel suo complesso.
Ho voluto svolgere queste considerazioni senza alcuno spirito polemico, ma per riprendere, se possibile, il filo di una discussione e di un confronto che si sono svolti nelle Commissioni ed anche, a mio avviso, nelle riunioni congiunte delle Commissioni finanze e bilancio.
Ribadisco che si tratta di questioni che riguardano scelte molto importanti per il paese e che pertanto richiedono un clima di confronto adeguato agli obiettivi (Applausi).


Pag. 12596

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il sottosegretario di Stato per il tesoro.

PIERO DINO GIARDA, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Presidente, nella mia replica mi limiterò a rispondere ad alcune osservazioni che sono state svolte dall'onorevole Boccia e dall'onorevole Bono, i quali mi hanno chiamato direttamente in causa. Il collega Marongiu riferirà poi su aspetti più vicini ad elementi di natura tributaria.
Sulle osservazioni formulate dal relatore per la V Commissione, onorevole Boccia, faccio solo alcuni commenti. In primo luogo, il limite di impegnabilità dei fondi che sono iscritti nel bilancio, limite richiamato al comma 2 dell'articolo 8 del decreto-legge in esame, non si applica all'ENAS (Ente nazionale autonomo strade), che è un ente pubblico economico e non più un'azienda autonoma.
In secondo luogo, devo rilevare che il comma 3 dell'articolo 8 non presenta un collegamento logico con il comma 2. Nel comma 2 i soggetti interessati sono lo Stato e le aziende autonome, nel comma 3 sono «i soggetti titolari di conti correnti e di contabilità speciali». Si tratta quindi di due insiemi diversi. Il comma 3 si applica pertanto anche all'ENAS, in quanto titolare di uno o più conti presso la Tesoreria centrale. L'ENAS risulta quindi libero di impegnare le somme disponibili, ma non può effettuare nel 1997 prelevamenti superiori al 90 per cento dei prelevamenti relativi al 1996. Vale dunque per l'ENAS la possibilità di ricorrere all'istituto della deroga, previsto dall'ultimo periodo del comma 3 dell'articolo 8.
In terzo luogo, il comma 3 dello stesso articolo 8, nello stabilire le deroghe al vincolo sui prelevamenti, presenta una formulazione che potrebbe dar luogo a qualche interpretazione non coerente. Nella settima riga del testo, ad esempio, si prevede una deroga per l'Ente poste. Questa deroga è limitata ai soli conti che l'ente intrattiene con la Tesoreria relativamente alle operazioni eseguite per conto dello Stato. Non sono quindi derogate le operazioni di prelevamento sui conti attraverso i quali l'Ente poste gestisce la propria attività istituzionale di ente erogatore di servizi, per esempio per il pagamento di stipendi, per l'acquisto di beni o servizi o per l'effettuazione di investimenti.
L'Ente poste svolge la duplice funzione di gestore di fondi per conto del Tesoro e di gestore di servizi istituzionali propri. I conti relativi alla prima funzione sono derogati, quelli relativi alla seconda funzione non sono derogati. È nell'ottava riga dello stesso comma 3 dell'articolo 8 che il testo del decreto potrebbe dare luogo a qualche interpretazione erronea. Il punto dubbio è costituito da due parole, una congiunzione ed una preposizione articolata, scritte anche in cattivo italiano: «ed ai». La volontà del Governo sarebbe stata manifestata più chiaramente da una espressione che avrebbe comportato le seguenti due modifiche: l'apposizione di una virgola dopo la parola Stato e la sostituzione dell'espressione «ed ai» con l'espressione «per i». In questo modo si rende esplicito che ai conti intestati all'Unione europea o a quelli riguardanti interventi di politica comunitaria si applica l'eccezione di cui alla deroga disposta con il lungo inciso che inizia alla terza riga del comma 3 dell'articolo 8. Mi scuso della pignoleria della mia risposta, ma a tanto sono stato chiamato dall'onorevole Boccia.
Circa la questione Abruzzo, confermo che il Governo ha in corso trattative con la Commissione europea per consentire l'applicazione all'Abruzzo del regime dell'articolo 92, punto 3-c), del trattato. Al Senato avevo dichiarato, sollecitato su analogo argomento, che la questione era all'ordine del giorno di una riunione della Commissione fissata per il 12 febbraio. Devo dire che in quella riunione la materia non è stata trattata e che è stata riproposta all'ordine del giorno di una riunione della Commissione il 25 febbraio prossimo; confermo inoltre che il Governo si è impegnato affinché all'Abruzzo venga applicato il regime di cui all'articolo 92, punto 3-c) del trattato, che consente al


Pag. 12597

legislatore nazionale di disporre di interventi di agevolazione contributiva su questi territori basati su risorse nazionali (non più quindi di origine comunitaria).
Per quanto riguarda il Molise e gli altri territori delle aree dell'ex Mezzogiorno, la questione più complessa è delegata ad una possibile, ma per ora poco probabile, ridefinizione dei parametri macroeconomici di riferimento, che consentono l'inserimento di queste aree nelle zone alle quali si possono applicare le disposizioni comunitarie. Devo anche ricordare che la materia delle agevolazioni contributive non rientra più nella sovranità del legislatore nazionale, se non nei limiti fissati dalla decisione della Commissione nella primavera 1995. Ricordo che in tale decisione sono stati definiti tempi, modalità e valori degli sgravi generali degli oneri sociali ammissibili e delle fiscalizzazioni settoriali; su di essi non è consentito al legislatore nazionale di intervenire.
Sulle osservazioni dell'onorevole Bono voglio fare solo due commenti. Relativamente all'articolo 6-bis il gettito previsto è pari a 231 miliardi, che sono stati utilizzati a copertura di emendamenti approvati dal Senato che vanno nelle seguenti direzioni: 150 miliardi destinati al fondo occupazione; 60 miliardi per l'estensione al lavoro dipendente dell'aumento delle detrazioni concesse ai soli pensionati con la manovra di bilancio; 12 miliardi per l'estensione dei benefici per la rottamazione ai mezzi di trasporto pubblico; 8 miliardi e mezzo per l'estensione all'Abruzzo e al Molise degli sgravi contributivi per i nuovi assunti, limitatamente all'anno 1997.
Relativamente all'articolo 10-ter, il gettito dell'aumento dell'imposta sugli spettacoli compensa esattamente le perdite di gettito conseguenti alla rinuncia all'applicazione delle ritenute sulle vincite nelle case da gioco.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il Sottosegretario di Stato per le finanze.

GIANNI MARONGIU, Sottosegretario di Stato per le finanze. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo provvedimento ha ricevuto, nel contempo, complimenti e critiche. Se si fosse trattato di prendere atto dei complimenti, non avremmo certamente chiesto la parola, ma riteniamo doveroso rispondere ai rilievi critici, anche perché così rimarrà traccia scritta delle nostre risposte e coloro che hanno chiesto e non sono qui ad ascoltare le risposte, avranno modo di leggerle.
Naturalmente, non mi soffermerò a valutare la congruità logica di coloro che hanno detto che questo decreto di fine anno, al pari della manovra complessiva, è al contempo virtuale e dagli effetti devastanti, limitando solo ad interrogarmi su come possa essere virtuale - il che vorrebbe dire leggero, soft, una timida brezza - e provocare poi effetti devastanti. Ma siccome questa affermazione non l'ho fatta io, lascio a chi l'ha resa il problema di risolvere questa antinomia logica nella quale si è evidentemente posto.
Nello stesso momento, non mi dilungherò a dire ancora una volta che questo provvedimento di fine anno, al di là degli annunci anche sulla stampa, è stato giudicato equo, perché non si è tradotto nella solita stangata sui soliti noti, perché non incide sui redditi delle famiglie, perché non produce inflazione, perché ha effetti stimolanti su alcuni settori. Ma, accogliendo un invito globale e una riflessione, ritengo doveroso rispondere assumendo un orientamento che non sia soltanto una risposta tecnica - perché ci è stato detto che saremmo tecnicamente bravi - ma ponendo in evidenza i valori etico-politici sottesi a questi provvedimenti, che paiono soltanto tecnici, e per riscontrare qual è l'accoglienza che la società civile ha avuto di questi stessi provvedimenti.
Mi sia consentito di andare per brevi cenni. Sul pagamento anticipato delle accise sui prodotti petroliferi, devo rilevare che questo non è un provvedimento grazioso, non è un favore che si fa a coloro che hanno un termine per pagare le accise sui prodotti che a questo tributo sono soggetti; è in realtà una norma che esiste in tutta Europa. Se abbiamo accorciato il


Pag. 12598

periodo di tempo nel quale questi tributi vanno pagati, abbiamo rispettato il limite della media europea, perché vogliamo dimostrare che in realtà ci sappiamo adeguare alle regole che l'Europa detta, che siamo un buon partner di questa Europa, che quindi rispettiamo questa regola, perché coincidano gli interessi del mondo della produzione con gli interessi dell'erario. In tal modo, si dà un primo segno che si può essere buoni pagatori di imposte e nello stesso tempo attenti ai fattori della produzione.
Seconda osservazione. Ci è stato detto che questi provvedimenti complessivi costituirebbero un ulteriore prelievo pesante sulla casa, sui fabbricati. Ora, non mi dilungherò a ricordare che cosa è stato provveduto al riguardo con il collegato, in materia di ICI, che semmai sottolinea ed evidenzia una inversione di tendenza, non certo un accanimento su questo settore.
La discussione è talmente recente per cui tutti ricordano il contenuto di quei provvedimenti.
Mi limito a ricordare che l'articolo 3 di questo decreto di fine anno statuisce che se il trasferimento di un fabbricato, esente da IVA, avviene a favore di imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale l'attività di rivendita di beni immobili, l'aliquota del registro è ridotta all'1 per cento se l'acquirente dichiara di voler vendere entro tre anni. Tale disposizione è stata accolta dalla società civile italiana con grande plauso, perché è una norma nella quale ancora una volta si concilia il fatto che il prelievo tributario è stato ridotto dal 10 per cento all'1 per cento proprio per incentivare la mobilità del patrimonio immobiliare che è funzionale alla realizzazione di un grande obiettivo sociale.
Come è noto molto spesso oggi i nuclei familiari sono composti da single, i quali vivono spesso in appartamenti sovradimensionati rispetto alle loro esigenze, con costi per le loro borse private e con un degrado della proprietà, perché essi, specie se anziani, non vogliono sostenere le spese delle ristrutturazioni. Questa norma agevola la mobilità e quindi interessa il mondo delle imprese e nello stesso tempo soddisfa una esigenza di carattere sociale.
Il decreto prevede le note misure a favore delle ristrutturazioni. Naturalmente non ripeterò qui ciò che tutti sanno. Nel momento in cui abbiamo ridotto l'IVA sulle ristrutturazioni e sulla manutenzione straordinaria dal 19 al 10 per cento e taluni ci chiedono di estenderla ulteriormente, debbo dire loro che essi condividono l'impianto di questa manovra. Non ho infatti mai sentito chiedere che si «estenda» un provvedimento che non si condivide; casomai si chiederebbe la sua abrogazione, la sua cancellazione ma non certo la sua estensione!
Loro sanno che questo settore mobilita circa 50 mila miliardi, ma sanno anche che ha un tasso di evasione che è del 50 per cento (20-30 mila miliardi). Abbiamo cercato di conciliare le esigenze del mondo della produzione, che non a caso ha sottolineato con favore questa norma, con le esigenze della socialità (è evidente che un patrimonio immobiliare come quello italiano ha un continuo bisogno di cure) dando anche un segno sul fronte della lotta all'evasione.
Naturalmente la nostra è un'apertura di credito prudente, perché oggi come potremmo dare al settore più di quello che oggettivamente abbiamo dato? Questa misura è a tempo e noi valuteremo i risultati. Vedremo se alla diminuzione delle aliquote corrisponderà un aumento della base imponibile, avendosi quindi un gettito invariato. Con tono dimesso ma concreto, misureremo i risultati, pronti ad «estendere» il provvedimento se il corpo sociale dimostrerà di aver apprezzato. Ciò significa non soltanto incassare un'aliquota più ridotta ma denunciare le basi imponibili: il che, lo ripeto, ha anche un grande significato etico-politico.
Lo Stato abbassa le aliquote, come fece Vanoni, nella speranza (oso dire nella certezza) che alla diminuzione delle aliquote corrisponderà l'emersione del lavoro nero.
Poiché siamo un ceto di Governo responsabile, non possiamo fare aperture di credito illimitate. Mi sto riferendo, in

Pag. 12599

particolare, alla manutenzione ordinaria, ad un'aliquota che non sia quella del 10 per cento ma del 9, o dell'8 o addirittura, come taluni hanno proposto, del 4. Non possiamo prevedere un'aliquota del 4 per cento perché siamo rispettosi delle regole comunitarie. Nella Comunità è previsto il 5 per cento e quindi chi chiede il 4 si mette contro la Comunità. Noi siamo per le regole e con le regole, soprattutto quando esse sono comunitarie!
La manutenzione ordinaria ci porrebbe altri problemi che noi siamo disposti ad affrontare, a condizione però che i due piatti della bilancia siano in equilibrio, che la collettività apprezzi questa misura e che dia segni tangibili che in realtà il lavoro nero emerge, considerato anche che abbiamo posto una norma sul conflitto degli interessi.
Anche qui attenzione alle imprese, attenzione alla socialità, attenzione al problema dell'evasione e quindi all'emersione di un forte valore etico-politico.
Sugli incentivi auto non aggiungerò una parola a quello che ha detto il relatore Agostini, il quale ha sostanzialmente anticipato tutti gli argomenti con i quali volevo replicare. I dati di fatto di oggi stanno a dimostrare come questa provvidenza abbia dimostrato di essere utile al paese, all'occupazione, al meridione.
Prima di chiudere, invece, vorrei spendere ancora qualche parola sulle misure anti-evasione che qui, a differenza di quanto fatto in Commissione, cercherò di leggere in una chiave etico-politica.
La diminuzione delle aliquote nel comparto della ristrutturazione, l'ho detto e non lo ripeto, è un'apertura di credito, è un grande messaggio di impianto istituzionale. Sta a significare che lo Stato non pratica più aliquote che il contribuente può considerare, in qualche misura, esorbitanti, ma gli viene incontro, confidando che, anche per effetto del contrasto di interessi, emergano, a fronte delle aliquote diminuite, basi imponibili maggiorate.
Non si dice che il buon governo vorrebbe tributi ad aliquota moderata e a base imponibile ampia? Dimostri la società civile, allora, di accogliere le alte sfide di questo Governo.
In terzo luogo si è detto: come è possibile che questo esecutivo abbia modificato una norma del codice civile in tema di trascrizione dei contratti preliminari mediante decreto-legge? Il problema, signori deputati, onorevoli colleghi, non è quello di assumere un tono arrogante e di toccare le sacre scritture codicistiche con una norma contenuta in un transeunte decreto-legge. Infatti, il testo unico dell'imposta di registro già prevedeva, come prevede, l'obbligo di pagare tale imposta sui contratti preliminari di vendita ma, non essendo questi ultimi trascrivibili, ne è venuto, ne viene e ne verrà, fino a quando questa norma non diverrà legge, che alta è l'evasione dell'imposta di registro, perché tutti fanno la scrittura privata e se la tengono nel cassetto (non vanno certamente a registrarla) e dunque è nulla la garanzia per il compratore.
Avendo noi con questa norma del decreto-legge introdotta la trascrivibilità del contratto preliminare ed avendo quindi incentivato l'interesse del compratore, che si trova nella posizione debole, a trascrivere, otterremo l'aumento del gettito dell'imposta di registro e la maggior tutela del compratore. Anche qui, a fronte di due disvalori - evasione ed assenza di garanzia del contribuente - abbiamo introdotto due valori, l'applicazione di un tributo e la tutela del terzo. Ciò sta a significare che l'imposta di registro riacquista la sua naturale funzione, quella di tributo pagato in corrispondenza di un servigio reso dallo Stato. Noi con la norma contenuta nel decreto-legge vogliamo, appunto, rendere un servigio.
In quarto luogo - e mi avvio a concludere - desidero far riferimento alla disciplina dettata dall'articolo 2 in tema di rottami. Valori ed accoglienza da parte del sistema Italia; mi sia concesso di leggere quello che la stampa specializzata ha registrato: un immediato plauso è venuto dall'Assomet, che è l'associazione di categoria di quanti si sono visti l'aliquota IVA ridotta a zero. Perché? Il

Pag. 12600

calcolo dell'associazione è semplice: le frodi nel settore comportavano per alcuni soggetti un illecito arricchimento, con conseguente perdita per l'erario, cui si aggiungeva la concorrenza sleale.
Con questo provvedimento noi azzeriamo la propensione all'evasione e recuperiamo denaro, come dice l'associazione di categoria, ben lieta che i suoi associati infedeli paghino 360 miliardi di evasione. Quindi, evidentemente, realizziamo due alti valori: eliminiamo la concorrenza sleale all'interno del settore e dimostriamo per tabulas che non facciamo la lotta all'evasione solo a parole ma la facciamo in concreto.
Per concludere, mi sia concesso sottolineare una norma che è sfuggita all'attenzione dei più, ma non è sfuggita all'attenzione degli artigiani, dei piccoli imprenditori, a coloro che si applicano.
Loro hanno potuto verificare che il Senato ha accondisceso all'idea di introdurre una norma in virtù della quale, di fronte all'insoluto, non si paga più l'imposta sul valore aggiunto. Ebbene, con quale livello di consenso il mondo delle imprese ha accettato questa modificazione? Con due righe che vi leggo: «Pregiatissimo onorevole,» - sarei io, pregiatissimo e onorevole - «abbiamo appreso con soddisfazione che la Commissione finanze del Senato ha introdotto un'importante modifica al decretone n. 669. In sostanza questo emendamento, se approvato in aula» - ed è stato approvato dall'Assemblea del Senato - «consentirà ai venditori o prestatori di servizi» - in pratica, ai subfornitori - «di versare l'IVA allo Stato solo dopo essere stati pagati dal committente. Una soluzione che può riportare al punto di partenza per venire a capo dei gravissimi problemi...». Quando qualcuno elogia, poi rappresenta sempre un gravissimo problema perché vuole sempre qualcosa di più, ma l'elogio c'è. «Un handicap che colpisce una miriade di piccole e medie imprese contoterziste che, notoriamente sottocapitalizzate e con scarsa liquidità, devono ricorrere a prestiti bancari a breve termine che costano tre-quattro punti in più del tasso medio. Proprio perché in Italia le imprese al di sotto dei venti addetti rappresentano il 98 per cento di tutte le imprese, dando lavoro al 70 per cento di tutti gli occupati, escluso il pubblico impiego, è urgente dare una soluzione precisa a questo importante problema per il buon andamento della nostra economia».
Questo abbiamo voluto e per questo abbiamo difeso l'approvazione di tale norma davanti al Senato. È quanto il Senato ha approvato e questo è ancora un segno rilevante, seppure contenuto in una «normicciola», del fatto che noi abbiamo cercato di tutelare i conti del «sistema imprese», che ha mostrato di gradire questa «normicciola». Abbiamo fatto sì che questa base imponibile emergesse e sostanzialmente abbiamo dato un segno rilevante, nel senso che il tributo è il corrispettivo dei servizi pubblici e che il contributo deve corrispondere ad una capacità contributiva effettiva.
In buona sostanza, come dicono queste associazioni artigiane, noi non vogliamo prelevare dei tributi pour cause, ma dettiamo una disciplina nella quale si conciliano l'obbligo di dare con il diritto-dovere di avere bilanci ben solidi e con la lotta all'evasione, con la riaffermazione dello Stato sociale.
Credo in questo modo, in questa sia pur limitata prospettiva che, come i colleghi possono vedere, ha cercato di coniugare e di far emergere i valori etici e politici sottese a queste norme, di aver risposto agli interrogativi della più gran parte dei colleghi. Non posso quindi che insistere perché il provvedimento venga approvato dai miei onorevoli colleghi (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 14; avverto che avranno subito luogo votazioni.

Index Forward