Seduta n. 33 del 16/7/1996

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Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Agostini. Ne ha facoltà.

MAURO AGOSTINI. Signor Presidente, colleghi, signori rappresentanti del Governo, a me pare che nella discussione di


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questi giorni, a volte un po' convulsa, si sia sottovalutato un fatto, che pure è considerato nel documento di programmazione economico-finanziaria e che ne sottende in qualche modo tutto l'impianto: il tratto di strada da percorrere per completare il risanamento del paese è breve. Certo, è un tratto impegnativo, irto di difficoltà anche per le condizioni nuove e non positive dell'economia europea, ma è pur sempre un tratto breve da percorrere.
L'Italia, insomma, è ad un passaggio cruciale ed ora è proprio il caso di dirlo ci troviamo su un crinale. L'obiettivo del risanamento può essere raggiunto, si può entrare nell'unione monetaria nel gruppo dei primi paesi, si possono liberare risorse per lo sviluppo e l'occupazione, ma ci potrebbe essere anche uno scivolamento indietro, un rinculo, uno smarrimento da parte delle forze che devono contribuire al risanamento; un rinvigorirsi, insomma, di interessi particolaristici, quasi in alcuni casi una paura di entrare in una fase completamente nuova.
Dietro alle cifre del documento vi è un paese in carne ed ossa, con interessi, aspettative, umori. È per questo motivo che è necessario mantenere la barra ferma, con rigore, certo, ma senza rigorismi sciocchi, avendo chiara la rotta e sapendo schivare le insidie.
E anche la dialettica che c'è stata tra Governo e maggioranza mi pare che vada letta con maggiore serenità. Che cosa si pensava da parte di alcuni che si sono stracciate le vesti in questi giorni? Che si metteva in campo una manovra da 16 mila miliardi, si definivano gli obiettivi del documento di programmazione economico-finanziaria e la legge finanziaria da 32 mila miliardi senza che tutto ciò determinasse un dibattito legittimo, positivo?
Credo ed è questo il punto politico che voglio sottolineare che tutto ciò sia stato un bene e che da qui possa uscire un rafforzamento dell'attuale maggioranza. L'importante è perseguire gli obiettivi che con il documento di programmazione economico-finanziaria ci diamo e proponiamo al paese.
Vedo quattro elementi chiave per il successo della politica economica che il documento intende perseguire: la riduzione dei tassi di interesse; l'abbattimento dell'inflazione; la politica per l'occupazione; la riforma fiscale. Questi quattro aspetti sono strettamente connessi tra di loro e non dobbiamo pensarli come obiettivi inconciliabili o confliggenti perché, ad esempio, nel momento in cui si riducono i tassi e la nostra azione è giudicata quindi credibile, in quello stesso momento stiamo lavorando per creare occupazione.
Il problema che rende più acuto lo sforzo che dobbiamo compiere in questo 1996 sta soprattutto nell'attuale congiuntura europea. In Italia, da una previsione di un aumento del 3 per cento del PIL per il 1996, si è passati e si sta passando ad un'ipotesi di incremento dell'1-1,2 per cento del PIL. Ciò significa 50-60 mila miliardi lo ha detto in questi giorni il ministro del tesoro di reddito in meno e 18-20 mila miliardi di entrate tributarie in meno.
Per questo, appare un po' farisaico anche qualche intervento che stamane è stato fatto in quest'aula, quando da una parte si paventa il rischio di una recessione a causa della cura che si prescrive al paese e dall'altra ci si rammarica del fatto che nel 1997 non si raggiungerà l'obiettivo di un deficit pari al 3 per cento del prodotto interno lordo. Qui vi è proprio un trade off, qui vi è la necessità di una scelta: da una parte l'intensità dell'azione di risanamento, dall'altra i rischi di recessione. Da qui, dunque, l'esigenza di graduare, di contemperare, ma non certo di tornare indietro rispetto al solo percorso che può dare una prospettiva al paese.
È chiaro a tutti che cosa significhi per i conti dello Stato una riduzione dei tassi; ma direi che essa è ancora più importante in una logica sistemica, perché dà certezza, favorisce gli investimenti produttivi, libera risorse e le sposta dal debito pubblico agli impieghi produttivi, richiama capitali in Italia. Analogo discorso si può fare per l'abbattimento dell'inflazione. Sono d'accordo con quanti sostengono che questo obiettivo è davvero e per la prima


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volta a portata di mano, ma non sottovaluterei nemmeno che esistono interessi e comportamenti forti che non vogliono e non riescono a pensarsi in una situazione di inflazione al 2,5 o al 2 per cento. Sono interessi e comportamenti radicati, direi quasi inerziali. Proprio per questo vanno resi operativi ed incisivi strumenti, previsti anche nel documento di programmazione economico-finanziaria, come l'osservatorio dei prezzi deciso dal Governo, affinché l'Italia anche in questo diventi un paese normale, come ha detto il Presidente Prodi, un paese cioè nel quale vi siano periodi in cui i prezzi possono salire ma anche vivaddio periodi nei quali possono scendere. Ciò, però, non si verifica mai e tanto meno è accaduto negli ultimi due anni.
Tutto questo non si fa in laboratorio, ma in una situazione concreta, ben precisa. Il documento di programmazione economico-finanziaria evidenzia bene come dal 1993 in avanti si sia determinata una forte redistribuzione del reddito a favore dei profitti. Non vi è quasi bisogno di esaminare i dati per rendersene conto. Attraversiamo tutti l'Italia reale, le regioni dove è forte la presenza dell'industria esportativa, dove si sono fatti utili, occupazione, reddito e profitti. Oggi il problema è ancora più sentito perché siamo in una fase di debole, debolissima crescita. Basta guardare il livello dei consumi e i risultati delle indagini sul problema della povertà che in questi giorni vengono sottoposte alla nostra attenzione.
Ma il documento di programmazione economico-finanziaria si pone anche l'obiettivo di riequilibrare le distorsioni nella distribuzione del reddito che si sono determinate in questi anni. Non vi è dubbio, allora, che quello del 2,5 per cento di inflazione è un obiettivo sacrosanto, un obiettivo di sistema; ma è altrettanto indubbio che non si possono penalizzare proprio coloro che sono stati penalizzati di più in questi anni, e non solo per una ragione di giustizia sociale, cioè per la variazione di 25 mila lire al mese nello stipendio, come ha detto qualcuno con un po' di spocchia. Sono importanti anche 25 mila lire al mese in uno stipendio di un milione e 550 mila lire come quello di tanti lavoratori i cui contratti dovranno essere rinnovati l'anno prossimo! Ma lo dico senza alcuna demagogia non vi è solo un problema di giustizia sociale, c'è anche un problema economico, che attiene al livello dei consumi. Credo che la risoluzione che verrà presentata indichi su questo terreno una strada giusta.
Della lotta alla disoccupazione non si può chiedere conto al Governo; si deve chiedere, piuttosto, che si lavori bene, che vi sia un confronto con le parti sociali e che si arrivi alla conferenza di settembre con un pacchetto credibile e praticabile di provvedimenti, e non per creare una occasione di discussione. La lotta all'evasione e all'elusione fiscale è imprescindibile in questa opera di risanamento e di sviluppo.
Il Parlamento e il Governo e concludo si stanno dando (lo dico senza enfasi) obiettivi importanti. Dobbiamo far sentire di più al paese che l'adesione all'unione monetaria e l'edificio di Maastricht non sono semplici parametri ragionieristici ma una grande occasione di sviluppo per l'economia e la società italiane. Sono una grande occasione di ridefinizione dell'identità nazionale di un paese che non vive più sul proprio debito rinviando le scelte più difficili alle generazioni future, ma investe su se stesso, produce e si innova. Un paese che nella sua modernizzazione definisce le condizioni e rinnova il suo sistema di solidarietà ai diritti sociali. L'ancoraggio fermo all'Europa non è una condizione esogena, ma la ragione stessa di uno sforzo, di una scommessa, che è al tempo stesso di rigore, di risanamento e di sviluppo. Qui vedo le ragioni davvero fondative dell'Ulivo, ciò che ci fa stare insieme, quel valore aggiunto che riceviamo e che ci ritorna indietro da questa coalizione.
Le condizioni per un lavoro di lungo periodo ci sono tutte, senza dimenticare mai le esigenze dell'oggi e partendo proprio da esse per dare forza e continuità a quel passo che ci porta ad un appuntamento che l'Italia non ha con qualcuno fuori da sé ma proprio con se stessa, direi


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con la parte migliore di se stessa (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Nel poco tempo che ho a disposizione desidero innanzitutto rilevare, a differenza di quanto ha fatto il collega che mi ha preceduto, la grande incertezza che si registra nell'area di Governo sul documento al nostro esame. Tale incertezza e confusione sono diffuse nel paese, tra le forze sociali e sindacali; si registrano una scomposizione, un conflitto, un contrasto, un'assenza di fiducia e, in tema di economia, sappiamo che quando gli interventi non sono accompagnati da un minimo di fiducia anche tra i protagonisti, tutto diventa difficile, labile e precario.
Esprimerò quindi, con qualche veloce argomentazione, una riserva su questo documento. Del resto, una riserva è stata poc'anzi espressa anche da alcuni esponenti dell'area della maggioranza. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha avvertito l'esigenza di recuperare i brandelli della sua maggioranza reintroducendo la vecchia consuetudine dell'incontro interpartitico. All'inizio della legislatura, durante la fase di presentazione del Governo, si era parlato di tutto questo come di episodi che appartenevano ormai al passato, alla prima Repubblica non esistendo più la consuetudine che portava il Presidente del Consiglio a confrontarsi con la maggioranza giacché tale maggioranza era forte, granitica, autonoma e autosufficiente. Non so se ci troviamo nella terza Repubblica; certo, non nella seconda. Molto probabilmente, ci troviamo nella fase più oscura della prima Repubblica.
Desideravo fare questa valutazione iniziale di carattere politico che lascia intravedere l'insufficienza del documento al nostro esame. La mia principale riserva riguarda due pilastri fondamentali di tale documento: il percorso esclusivo verso il Trattato di Maastricht e la conferma della tradizionale politica monetaria. Le mie proposte sono quelle di impostare con gli altri paesi del Mediterraneo un fulcro di riferimento economico-finanziario nel Mezzogiorno d'Italia che apra più organiche prospettive economiche con i paesi africani e mediorientali, in parallelo con il fulcro Milano-Berlino con riferimento ai paesi dell'est europeo; di ricondurre la politica monetaria all'interno di una più complessiva politica economica fondata sul binomio «più occupazione, più PIL» per evitare che la moneta sia l'unico arbitro dell'economia nazionale come nel passato, sottoposta alle speculazioni congiunturali dei centri finanziari internazionali privati e pubblici (crisi della lira e crisi del franco francese di qualche tempo fa); di affrontare il problema del debito pubblico in termini radicali, predisponendo un piano decennale di ammortamento per il 70 per cento del suo ammontare attraverso l'offerta di titoli idonea all'estinzione delle scorte di capitale e garantendo un'adeguata rendita periodica; di rilanciare massicciamente gli investimenti anche infrastrutturali legandoli per il 40 per cento alle unità da occupare; di riformare radicalmente la politica fiscale trasferendo l'imposizione dal reddito ai consumi e tassando soltanto la parte del reddito non utilizzata per consumi.
Prima di concludere mi limiterò a fare un'osservazione riguardo al Mezzogiorno, rispetto al quale tutte le previsioni contenute nel documento sono fallite. Esistono leggi che parlano chiaramente del fatto che non esiste più l'alta velocità e nel documento si parla dell'alta velocità; non è prevista la trasformazione della strada statale n.106 Reggio Calabria-Taranto; non è prevista la terza corsia dell'autostrada n.3...

PRESIDENTE. L'elenco lo farà un'altra volta, onorevole Tassone.

MARIO TASSONE. Comprendo benissimo, Presidente, ma intendevo solo rilevare l'insufficienza e la contraddittorietà di questo documento.
Ho pertanto l'onore di esprimere le mie riserve ed un giudizio profondamente


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negativo sul documento presentato dal Governo (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU e di forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bicocchi. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE BICOCCHI. Signor Presidente, riteniamo che il documento di programmazione costituisca un faticoso punto di equilibrio tra spinte diverse e contrapposte e che esso susciti legittime preoccupazioni in tutti coloro che ritengono essenziale che l'Italia partecipi fin dall'inizio alla moneta unica europea. È quindi singolare che all'interno della maggioranza l'unica voce critica levatasi finora sia stata quella dell'onorevole La Malfa per i repubblicani.
Analoga preoccupazione voglio esprimere oggi in questo dibattito anche come appartenente al patto Segni, oltre che al gruppo di rinnovamento italiano, preoccupazione aggravata dalle conseguenze del cedimento a rifondazione. Diciamo che avremmo desiderato un maggior coraggio da parte del Governo, non sul versante dei tagli alla spesa è giusto ciò che è stato fatto ma nella lotta contro l'inflazione. Da tempo molti economisti, come Modigliani, Baldassarri, Sylos Labini, invitano a cogliere la forse irripetibile occasione per avviare un circuito virtuoso di abbattimento drastico dell'inflazione, corrispondente riduzione dei tassi di interesse, risanamento finanziario, partecipazione alla moneta unica europea, rilancio dell'economia e dell'occupazione. Essi sottolineano altresì la necessità di fuggire ad ogni costo il rischio opposto della ripresa della spirale inflazione, con conseguenti aumenti retributivi e dei prezzi.
So bene che un tale ambizioso obiettivo è conseguibile solo con il metodo della concertazione e che non è facile ipotizzare oggi un accordo simile con i sindacati, ma ritengo che sarebbe stato compito del Governo indicare a tutto il paese il senso alto di questo obiettivo e i vantaggi per tutti, lavoratori compresi, che ne conseguirebbero, nonché di premere sulle parti sociali, anche con opportune contropartite, per la chiusura di un accordo in tal senso, così come avvenne, a suo tempo, per l'accordo storico sul costo del lavoro. Invece, dopo che il Governo aveva indicato con fatica il modesto obiettivo del 2,5 per cento, la contrattazione politica in Parlamento ha messo in dubbio anche questo, imponendo, oltre alle giuste e da noi condivise correzioni sugli investimenti e l'occupazione, la salvaguardia del 3 per cento per i contratti. Il risultato è che il Governo e la maggioranza rischiano di fallire l'obiettivo principale della manovra, cioè la riduzione dell'inflazione.
Per di più, voglio sottolineare come questa scelta abbia provocato la reazione dura non solo della Confindustria ma soprattutto di quella parte del sindacato che era più attenta alle esigenze della lotta contro l'inflazione. Mi riferisco alla CISL e perfino alla UIL, che si era esposta a difesa della manovra governativa e che è stata irresponsabilmente spiazzata a favore della posizione meno disponibile assunta dalla CGIL. Si sono così verificati danni gravi sul piano della politica finanziaria e di bilancio come su quello politico più generale, essendo ormai comune la convinzione che la posizione di rifondazione sia divenuta determinante sulle scelte fondamentali del Governo.
Questa svolta è vissuta come l'inizio di una posizione che tende ad abbandonare la scelta del rigore, che si farà sempre più tentare da spinte corporative o rivendicative. Voglio fare un esempio concreto finora passato sotto silenzio: la delibera del CIPE di soprassedere agli aumenti dei canoni degli alloggi popolari, già decisi da tanto tempo e non applicati dalle regioni, e la proposta governativa di ripianare i debiti degli IACP vendendo gli appartamenti; si continuano a mantenere canoni sociali irrisori, inferiori al costo stesso della manutenzione e perfino a tollerare che anch'essi non vengano pagati, come dimostra la larghissima morosità presente, ad esclusivo vantaggio di chi ha il privilegio dico «privilegio» di una casa pubblica; conseguentemente, si accetta tranquillamente che gli IACP da anni non investano praticamente più nulla nella costruzione di


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nuove case per chi non ne ha, come molte coppie giovani, che proprio per questo non possono sposarsi.
Questo esempio introduce un'ultima considerazione, cioè il timore che non vi sia la capacità di conseguire in concreto gli obiettivi indicati nel DPEF. Mi riferisco, in particolare, alla previsione di contenere l'aumento della spesa corrente, al netto interessi, nei limiti dell'1 per cento per il 1997, operando una riduzione sul disavanzo tendenziale di ben 21 mila 200 miliardi.
Nel rispetto dell'invarianza fiscale, che condividiamo (e che anzi consideriamo un impegno solenne ed imprescindibile assunto con gli elettori), e di fronte al grave congelamento della già depressa spesa in conto capitale, il contenimento della spesa corrente è il vero banco di prova della maggioranza e del Governo. Il documento di programmazione economico-finanziaria, però, è ben povero di indicazioni su quali saranno gli strumenti concreti per rendere possibile tale riduzione, ed anche i provvedimenti annunciati come collegati al disegno di legge finanziaria, come quelli del ministro Bassanini sulla pubblica amministrazione, appaiono oneste e giuste ripuliture dell'esistente, ma nulla di più, risultando sostanzialmente ininfluenti sul contenimento della spesa.
Occorre invece ribadire che vi sono ancora ampie possibilità di seri risparmi e che, soprattutto, occorre porre mano a drastiche riforme strutturali nelle spese per i servizi sociali, in cui gli sprechi strutturali...

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Bicocchi. Onorevole Sgarbi, la prego di non sostare davanti al banco del Governo.

GIUSEPPE BICOCCHI. Dicevo che nell'ambito dei servizi sociali gli sprechi strutturali sono enormi, ma devono essere affrontati alla radice, con l'eliminazione delle posizioni monopolistiche, attraverso l'introduzione dei principi di efficienza e competitività, che comportino il licenziamento dei fannulloni, e con l'attuazione di un vero federalismo che decentri gestione e responsabilità, spese ed entrate, in tutti i campi: cito soltanto la sanità, i trasporti, la scuola.
È necessario avere il coraggio di affrontare drasticamente il nodo del ripensamento dello Stato, ponendo mano ad un profondo disegno riformatore delle strutture pubbliche del paese, spezzando l'atavica rassegnazione nei confronti del cattivo funzionamento del settore pubblico. Il dibattito di oggi sul documento di programmazione economico-finanziaria e quello di domani sulle tematiche istituzionali e costituzionali, pertanto, non sono separabili e devono essere considerati come strettamente collegati ed interdipendenti.
Le preoccupazioni sul fronte economico sono aggravate da quelle, non minori, relative al dibattito istituzionale, anch'esso già condizionato negativamente dalle posizioni più conservatrici della maggioranza. Vogliamo però mantenere la fiducia, perché siamo ancora in una fase preliminare e «aperta» e perché siamo convinti sostenitori di questa maggioranza e di questo Governo. Quest'ultimo ha la possibilità di un forte rilancio, con la Conferenza sull'occupazione che si terrà a settembre e con l'elaborazione del disegno di legge finanziaria per il 1997 e dei provvedimenti ad esso collegati, e siamo fiduciosi che saprà coglierla.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giorgetti. Ne ha facoltà.

GIANCARLO GIORGETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il documento di programmazione economico-finanziaria presentato dal Governo può essere letto come un sistema di obiettivi e strumenti volti ad ottenere un risultato sintetizzabile con la definizione di «sviluppo con occupazione». L'obiettivo strategico è rappresentato dall'ingresso, in ritardo, nell'unione monetaria europea, in base ai criteri di convergenza definiti a Maastricht.
L'obiettivo intermedio, e considerato prioritario per raggiungere tale risultato nel lungo periodo, è identificato con la stabilità monetaria ed il contenimento dell'inflazione. Lo strumento strategico


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individuato per garantire il contenimento dell'inflazione è la politica dei redditi, che costituisce la trave portante di tutto il documento al nostro esame. Gli strumenti operativi che sorreggono tale disegno sono solo abbozzati e rinviati a futuri provvedimenti, ma è possibile isolare i seguenti tre punti forti o deboli -: la concertazione tra e con le forze sociali; il contenimento della crescita delle spese correnti dello Stato entro l'1 per cento in termini monetari e quindi con una riduzione, in termini reali, pari all'1,5 per cento; il mantenimento della pressione tributaria ai livelli del 1995. Tale sistema produce i suoi effetti qualora tutte le condizioni previste, ivi incluse le relazioni causa-effetto ipotizzate, si verifichino. Ammesso che l'opzione politico-economica di stampo monetarista che informa l'impianto di questa programmazione resista all'evidenza empirica, resta da chiedersi se le variabili ed i parametri utilizzati nel modello econometrico siano realistici o meno e se, quindi, i disavanzi programmati possano essere considerati credibili.
Noi dubitiamo, in particolare, della capacità del Governo di contenere la crescita della spesa corrente, al netto degli interessi, nel limite dell'1 per cento in termini monetari, posto che alle più grosse voci di spesa pensioni e pubblico impiego sarà garantito, quanto meno, il recupero dell'inflazione. Dubitiamo, altresì, della promessa di mantenere invariata la pressione tributaria, circostanza che perde di significato qualora si consideri che le tariffe aumenteranno, ponendo a carico degli utenti costi altrimenti ricondotti alla fiscalità generale.
Il Governo prevede infatti di aumentare il contributo dei cittadini al finanziamento dei costi di produzione dei servizi e degli investimenti (si leggano al riguardo le pagine 46, 49, 93 e 94 del DPEF). Ma, in termini più generali, la credibilità dell'intera programmazione viene a cadere quando il Governo disconosce lo strumento strategico che ha appena adottato e cioè la politica dei redditi. «La politica dei redditi va intesa come politica di tutti i redditi», è quanto ci insegna il Governo a pagina 87 del documento di programmazione! Dopo tale affermazione, però, il Governo accerta che alcuni redditi possano sfuggire alla regola e ciò si badi bene senza che il proprio modello econometrico produca diversi effetti quantitativi in termini di fabbisogno. Ecco confermato, con sigillo governativo, lo slogan sindacale ormai caduto in disuso, quello del salario quale variabile indipendente!
Più in generale, ciò che ci lascia perplessi è l'humus culturale, l'approccio metodologico che ha partorito anche questo DPEF.
Alcuni aspetti della contabilità pubblica italiana apparirebbero incredibili se non fossero documentati dal disastrato stato della finanza statale. Mi riferisco, in particolare, alle spese sotto la linea, che vanno direttamente a debito senza passare dal fabbisogno, così da rendere i saldi dei conti pubblici indicatori inadeguati delle esigenze finanziarie da coprire (per usare le parole della Corte dei conti), la quale, tra l'altro, per bocca del suo presidente, non ha esitato a giudicare incostituzionale tale pratica, senza per altro suscitare la benché minima reazione.
Mi riferisco altresì all'esclusiva attenzione per il bilancio di cassa, che porta ad ignorare il progressivo deterioramento delle grandezze dei saldi di competenza. I rinvii di spesa, di cui abbiamo avuto recente dimostrazione con la manovra di giugno, con l'anomalo incremento dei residui passivi del 1995, il ricorso agli scarti di emissione ed agli aggiustamenti contabili potrebbero uso ancora le parole della Corte dei conti nascondere o allontanare temporaneamente un potenziale di impegni di spesa e di debiti fortemente destabilizzante.
Per finire, mi riferisco all'utilizzo dell'aggregato statistico del settore statale anziché di quello della pubblica amministrazione, quale grandezza di riferimento. Il DPEF, a partire da pagina 36, pur ammettendo che i criteri di Maastricht saranno misurati sulla base del conto della pubblica amministrazione, si concentra esclusivamente sui saldi del settore statale. Quindi, non solo stiamo discutendo di


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conti non trasparenti, insufficienti, frutto di aggiustamenti contabili per usare ancora una volta la terminologia della Corte dei conti -, ma che addirittura hanno a che vedere poco o nulla con quelli richiesti dall'obiettivo strategico europeo.
Segnaliamo poi l'assoluta mancanza di enfasi su una grandezza macroeconomica che giudichiamo fondamentale: il risparmio pubblico, ovvero la differenza tra entrate correnti ed uscite correnti, che deve tendere a zero, poiché, secondo la nostra filosofia, l'indebitamento deve essere ammesso solo per finanziare gli investimenti.
Tutto ciò è mortificante, come è mortificante apprendere che l'Italia e la Grecia sono gli unici due paesi a presentare un documento programmatico che non rispetta i parametri di Maastricht. Allora, se permettete, noi aspiriamo a quello che il professor Monti ha definito il modello tedesco: stabilità monetaria, una banca centrale indipendente, votata a quell'obiettivo, mercati di concorrenza, disciplina di bilancio.
È questo che ci fa sentire sempre più europei, è questo che ci fa sentire sempre più padani (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nesi. Ne ha facoltà.

NERIO NESI. Signor Presidente, vorrei sapere quanto tempo ho a disposizione per il mio intervento.

PRESIDENTE. Diciassette minuti, onorevole Nesi.

NERIO NESI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro gruppo ha esaminato con la dovuta attenzione il documento di programmazione economico-finanziaria, attenzione resa necessaria dalla considerazione che esso rappresenta la dichiarazione degli indirizzi programmatici del Governo per i prossimi anni.
Su questo documento abbiamo posto subito, appena è stato portato a nostra conoscenza, alcune questioni di fondo: il riferimento di inflazione programmatica da considerarsi per il rinnovo dei contratti di lavoro ancora aperti; il recupero del potere di acquisto di salari e stipendi, che fosse perduto a motivo dell'inflazione reale più elevata di quella programmata; la necessità di prevedere iniziative specifiche e di destinare le risorse adeguate per combattere quello che riteniamo il male più grave del nostro paese, la disoccupazione; infine, il rapporto tra le maggiori entrate e le minori spese nel totale della manovra.
Il segretario del nostro partito nella sua dichiarazione di voto illustrerà le considerazioni politiche generali alle quali siamo giunti dopo il confronto nell'ambito della maggioranza, avvenuto in relazione alla manifestazione delle nostre posizioni.
A me spetta il compito più modesto di svolgere alcune considerazioni di carattere tecnico. Lo farò, rilevando innanzitutto che del centinaio di pagine delle quali è formato il documento oltre la metà sono destinate all'illustrazione della manovra monetaria. È un documento, quindi, di stampo e natura monetarista.
La manovra monetaria è largamente dominata dall'intento di creare le condizioni che ci consentano di entrare nell'unione monetaria europea secondo il Trattato del 7 febbraio 1992. È nota la nostra posizione su quest'ultimo e, soprattutto, sui famosi criteri di convergenza, che stabiliscono quali paesi del nostro continente siano degni e quali indegni di essere considerati europei. Vale la pena di ricordarli, perché spesso ne parliamo senza conoscerli compiutamente. Sono cinque, e due hanno la stessa natura, cosiddetta fiscale: il rapporto disavanzo pubblico-prodotto interno lordo, che non deve essere superiore al 3 per cento (questo è il più noto) ed il rapporto debito pubblico-prodotto interno lordo, che non deve essere superiore al 60 per cento (e anche questo è noto). Ma ve ne sono altri tre, che sono meno conosciuti: il tasso di inflazione non superiore all'1,5 per cento del tasso medio dei tre paesi ad inflazione più bassa; il tasso degli interessi a lungo termine, che non deve essere superiore del 2 per cento al tasso medio dei tre paesi ad inflazione


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più bassa; infine il tasso di cambio, mantenuto per almeno due anni all'interno della fascia ristretta di fluttuazione del sistema monetario europeo.
A nostro parere, questi criteri non hanno, innanzitutto, alcuna base scientifica. È noto che la loro scelta fu dovuta al fatto che sembrava essi rappresentassero il comportamento medio approssimativo degli Stati membri della Comunità intorno agli anni novanta. In secondo luogo, essi possono essere interpretati in modo assai diverso, tra un rigore che li farebbe considerare non realistici ed un'ambiguità che li farebbe divenire de facto non operativi.
Perché riteniamo che l'interpretazione possa essere così diversa? Perché l'articolo 104, lettera c), del Trattato prevede un'interpretazione non rigida quando, per quanto riguarda il rapporto disavanzo-prodotto interno lordo, stabilisce che il vincolo del 3 per cento possa essere mitigato o da una diminuzione significativa e continua o se la violazione sia eccezionale e provvisoria.
Per quanto riguarda il rapporto debito-prodotto interno lordo, il vincolo del 60 per cento può essere superato se il rapporto stesso si riduce in misura sufficiente e ad un ritmo adeguato.
Come vede, signor Presidente, si tratta di criteri assai vaghi. Se la loro interpretazione fosse rigorosa, un solo paese europeo avrebbe oggi, nel luglio 1996, le caratteristiche necessarie per essere ammesso nell'unione monetaria: il Lussemburgo. E questa considerazione rende per lo meno discutibile tale parte del Trattato; è probabile che nei due anni che ci separano dal 1^ luglio 1998 che è la data importante per la Comunità il numero degli Stati in grado di rispettare i criteri di convergenza continuerà a costituire una minoranza dei paesi della Comunità. Allora cosa succederebbe?
Domando al Governo, che purtroppo è poco rappresentato, se valga la pena di ridurre in maniera drastica la domanda aggregata, mettere in pericolo uno sviluppo che in presenza di una diminuzione delle esportazioni dovrebbe essere affidato soprattutto alla domanda interna, non poter affrontare radicalmente il male più grave, la disoccupazione, in sostanza alimentare una vera e propria recessione per presentare alla Comunità un vestito elegante che coprirebbe in realtà un corpo malato. Inoltre, un'interpretazione rigorosa dei criteri di convergenza genererebbe un grave rischio di frattura nell'unione europea sia sul piano economico, perché tra i paesi esclusi e quelli ammessi si creerebbero tassi di cambio volatili e distorsioni nei flussi commerciali, sia sul piano politico, perché questa divisione potrebbe allontanare nel tempo il disegno, questo sì, storico dell'unità europea.
Noi sappiamo tutti (e lo sanno tutti gli economisti) che l'interpretazione rigorosa dei criteri di convergenza ha una ragione squisitamente politica: essa è voluta dalla Germania per poter convincere i cittadini tedeschi che l'abbandono del marco è un fatto semplicemente nominalistico, ma che sarà sempre la Bundesbank, a dominare la politica monetaria europea. D'altra parte, a noi sembra che la istituenda Banca centrale europea sia modellata ad immagine della Bundesbank e se pensiamo che secondo l'articolo 107 del Trattato i paesi che saranno ammessi all'unione monetaria dovranno avviare il processo che porta all'indipendenza delle rispettive banche centrali dal potere politico, alla totale indipendenza, come è stato detto da un collega, non è azzardato prevedere che ci troveremo di fronte ad un potere monetario che non dovrà rispondere in alcun modo al potere reale, cioè dei popoli che lo compongono.
Queste sono le domande che una parte del documento solleva. Veniamo alla seconda parte dello stesso, quella nella quale si illustrano gli indirizzi di politica economica reale. Anche su questo vorrei richiamare l'attenzione del Governo perché essa ci sembra più il frutto di un assemblaggio delle schede inviate da alcuni ministeri alla Presidenza del Consiglio che l'illustrazione omogenea di un indirizzo generale. Parlo di alcuni ministeri perché non tutti hanno partecipato a questo lavoro: qualche ministro lo ha fatto in ritardo, costringendo la Presidenza del Consiglio a stampare


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due edizioni del documento. Infatti abbiamo due edizioni dello stesso: la prima, priva delle pagine sull'agricoltura; la seconda, che comprende anche le pagine sull'agricoltura; evidentemente si erano dimenticati di questo aspetto. Il Ministero degli esteri se l'è cavata con quattordici righe, il Ministero della difesa con poco più di una pagina. Il Ministero dei lavori pubblici ha fatto la parte del leone, con ben sei pagine nelle quali entra in dettagli di qualche interesse: la riorganizzazione dell'ANAS, il project financing, che hanno poco a che fare con l'economia complessiva del documento. Ci sembra cioè che l'assemblaggio abbia prodotto un lavoro contabile e descrittivo che contiene probabilmente dati esatti e certamente un elenco di buone intenzioni, ma non ha il pregio della sintesi di un progetto organico.
Siamo giunti a queste considerazioni anche leggendo, a pagina 47 del documento, che la politica di intervento sulla spesa si deve qualificare nel senso di riorientare le attività pubbliche sulle priorità strategiche dello Stato. Siamo totalmente d'accordo su questa impostazione, ma vorremmo sapere quali siano secondo il Governo queste priorità. Vorremmo altresì tentare di individuarne qualcuna, la cui assenza dal documento non può che destare meraviglia: in primo luogo, la politica dell'ambiente, nascosta nel documento sotto la voce burocratica di «difesa suolo» cito testualmente nell'ambito del Ministero dei lavori pubblici, mentre si tratta, come è noto, di un modo di essere che deve permeare di sé ogni attività economica; in secondo luogo, la politica dei beni culturali i quali costituiscono la più grande ricchezza del paese, il petrolio italiano, come dicono gli inglesi. Possibile che il Governo non abbia idee da comunicarci su come e quanto intende investire per salvaguardare, mantenere ed utilizzare un patrimonio nel quale si concentra oltre un terzo, secondo l'UNESCO, dei beni culturali di tutto il mondo? Anche la politica del turismo è assente dal documento, eppure essa ha complessivamente un fatturato superiore a quello di qualsiasi altro insieme di imprese ed è la fonte preziosa della maggior quantità di introiti annuali di valuta pregiata.
In conclusione, a noi sembra che le carenze più evidenti riguardino i problemi reali, intendendosi con questo le questioni non di natura monetaria, delle quali invece è permeato l'intero documento.
Vorremmo fare qualche esempio, sempre nell'intento di dare un apporto costruttivo. A nostro parere, la situazione dell'economia nelle aree del paese è contrassegnata dai seguenti dati: siamo di fronte ad un'anomalia strutturale dello sviluppo causata dalle scelte, fatte nell'immediato dopoguerra e confermate successivamente, di un modello di sviluppo economico di tipo export, tutto finalizzato all'esportazione, basato essenzialmente sull'industria dei beni di consumo finali e, dall'altra, sul sostanziale fallimento delle frontiere dell'innovazione, dello sviluppo delle tecnologie avanzate.
In secondo luogo, la gravità del vincolo estero impaccia il nostro sviluppo. Questo fenomeno è strettamente legato alla debolezza del modello di specializzazione produttiva con un squilibrio eccessivo e progressivo verso i settori tradizionali. In terzo luogo, la politica di breve periodo si basa fondamentalmente sulla competitività di prezzo, limitandosi ad alternare moderazione salariale e manovre del tasso di cambio. Manca infine, ed è sempre mancata, una capacità di sintesi strategica.
In questo quadro, abbiamo alcune proposte da avanzare: una revisione della legislazione degli strumenti di trasferimento finanziari delle imprese, in particolare della legislazione a favore dell'innovazione tecnologica e una chiamata in causa delle strutture pubbliche e private di ricerca e di sviluppo. Abbiamo notato con soddisfazione che la parte del documento elaborata dal ministro Berlinguer ne parla, sia pure brevemente. Ancora: un avvio di grandi progetti pubblici di sviluppo, alcuni dei quali fortemente basati sul Mezzogiorno; una politica di attrazione degli investimenti diretti italiani e stranieri; il decentramento regionale dei poteri in materia di politiche per la piccola e media


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industria; una ridefinizione delle competenze ministeriali per arrivare a definire un ministero delle attività produttive che comprenda anche le responsabilità in materia di commercio estero e di sviluppo tecnologico.
Il Governo deve porsi quindi i problemi di un radicale cambiamento della politica industriale, un'operazione in controtendenza difficile e a rischio, ma di cui vanno prima di tutto discusse le motivazioni, le necessità ed i problemi che ne spiegano e rendono urgente l'attuazione. Sarebbe già questo un risultato sufficiente per il paese.
D'altra parte, non si può dire che non ci sia stata in Italia in questi anni e in quelli del dopoguerra una politica per l'industria. Ne elenco alcune parti: la fiscalizzazione degli oneri sociali, la cassa integrazione guadagni, l'eliminazione di ogni vincolo all'organizzazione della produzione, il finanziamento dell'innovazione e della ricerca, le facilitazioni fiscali e le fusioni, la stessa svalutazione della lira (in cinque anni la lira ha perduto la metà del suo valore, e questo spiega in parte i successi del nostro export). Si è trattato di interventi di grande portata e sarebbe interessante, signor Presidente, conoscere l'onere che complessivamente, sommati tutti i capitoli di spesa dei vari ministeri, è gravato sulla collettività nazionale.
È uno studio questo che molti hanno tentato di fare ma che finora nessuno è mai riuscito a completare: si tratta di dati, a quanto pare, segreti. Sarebbe opportuno che il Governo facesse questo studio e tentasse questa impresa ed inviasse i risultati al nuovo presidente della Confindustria, un certo signor Fossa, se non sbaglio, il quale si è permesso di dire che, a fronte di un piccolo sgarbo ricevuto dal Governo, gli industriali italiani sarebbero andati all'estero. È una frase questa che non avrebbe mai dovuto essere pronunciata, che non avrebbe mai pronunciato non dico Adriano Olivetti, il quale si sarebbe vergognato solo a pensarla, ma nemmeno quei grandi imprenditori con i quali la classe lavoratrice ebbe scontri durissimi, ma sempre improntati al rispetto reciproco e dominati dall'obiettivo delle loro imprese (i Valletta, i Pirelli, i Donegani).
Ritiene, il Governo, che il paese debba avere in alcuni campi dei complessi industriali di portata tale da poter competere con i complessi che in misura crescente vanno concentrandosi in Europa e nel mondo? Questa è una linea di politica industriale e fu questa stessa linea che fece sì che i Governi succedutisi prima di quello attuale consentissero che si concentrasse attorno al gruppo FIAT tutto quanto esisteva in Italia in materia di industria meccanica ed automobilistica. È questa, secondo il Governo, una politica da seguire in altri campi? Ritengo che il Parlamento lo debba sapere.
Mi riferisco, ad esempio, a quanto sta avvenendo nel mondo delle comunicazioni: è più utile al paese che le varie aziende italiane che vi operano, alcune delle quali di notevole peso, si alleino singolarmente con gruppi di altri paesi o che si crei una grande galassia italiana multimediale, con al centro un nucleo di aziende pubbliche e private che abbiano un progetto unitario? Questi sono i grandi problemi di politica industriale del paese.
Ma anche nella politica commerciale, sia interna che esterna, il documento ci sembra carente. La distribuzione interna in particolare presenta situazioni difficili, crisi strutturali al limite della rottura. Le due associazioni di categoria ci hanno dato proprio in questi giorni un quadro preoccupante della situazione: una di esse chiede al Parlamento che disponga l'interruzione per tre anni della concessione di licenze per ipermercati e supermercati. Qual è il pensiero del Governo in questa difficile materia?
Ci sono infine alcuni punti specifici sui quali è necessario fare alcune osservazioni. Nelle diverse pagine che compongono il capitolo dedicato alle strategie per il fisco non appare, se non di sfuggita, l'espressione «lotta all'evasione». È una dimenticanza da correggere credo che nella stesura finale si provvederà in tal senso in un paese nel quale questa è una delle maggiori piaghe.


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Nel documento manca poi qualsiasi accenno alla tassazione della rendita, anche se ciò sarebbe stato coerente con quello che il documento stesso afferma a pagina 23, dove si legge: «Nel corso del triennio 1993-1995 anche per effetto del significativo incremento della domanda estera (...) si è verificata una redistribuzione del reddito a vantaggio dei profitti».
D'altra parte, questa materia era stata oggetto di una riflessione ampia ed interessante del ministro delle finanze, fatta alla Camera dei deputati l'11 giugno scorso. Aveva detto allora il ministro delle finanze: «Per quanto riguarda i redditi di capitale una riforma appare urgente. Un'apposita delega proporrà una forma di tassazione ad opera dei gestori e degli intermediari operata sul risultato annuo di gestione, con opportuni incentivi per le forme di risparmio gestito. In tal modo si unificherebbero le diverse tipologie impositive oggi esistenti, con rilevanti benefici in termini di neutralità, e soprattutto si porterebbero a tassazione tutti i proventi che oggi sfuggono ad ogni imposizione (i prodotti derivati, eccetera)». Si riferiva ai famosi futures.
Ci auguriamo che il ministro delle finanze voglia continuare nella linea indicata nell'audizione e troverà su questo tutto il nostro apporto.
Devo concludere. Al termine di questa esposizione voglio dire che ho cercato di mettere in evidenza le parti del documento che non trovano il nostro consenso e le carenze che abbiamo riscontrato. L'ho fatto affinché fossero chiare le diverse impostazioni del nostro programma rispetto a quello dell'Ulivo. Ma queste diversità non hanno impedito e non impediranno al nostro gruppo di appoggiare lealmente il Governo, nell'ambito di quella maggioranza di cui facciamo parte.
Raccogliamo con soddisfazione l'invito che ci è stato rivolto da alcuni colleghi dell'Ulivo di discutere preventivamente linee generali e provvedimenti specifici; è quello che ci siamo sempre augurato, che abbiamo sempre proposto, e che soltanto recentemente è stato attuato.
Il Presidente del Consiglio non deve temere dal nostro gruppo alleanze sotterranee o giri di valzer con quanti si propongono di succedergli (e sono molti). Al Presidente del Consiglio e al Governo nel suo complesso diremo sempre le nostre intenzioni alla luce del sole, pubblicamente, come abbiamo fatto la settimana scorsa e come stiamo facendo oggi (Applausi dei deputati dei gruppi di rifondazione comunista-progressisti e della sinistra democratica-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.

PIETRO ARMANI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il documento di programmazione economico-finanziaria per il periodo 1997-1999 è, come il precedente redatto dal governo Dini per il 1996-1998, un ennesimo «libro dei sogni», in quanto le sue previsioni di crescita del PIL in termini reali, di tasso d'inflazione, di saggio di disoccupazione e di crescita percentuale dell'occupazione, già per il 1996 e poi per gli anni successivi, sono del tutto inattendibili e persino tra loro dotati di scarsa coerenza.
Non mi soffermerò sui predetti parametri e sul loro balletto, perché su di essi si sono già soffermati i colleghi Rasi e Marzano.
Nel contesto di queste incognite sull'evoluzione del PIL e delle altre grandezze macroeconomiche si inserisce pertanto anche la non congruenza delle stesse dimensioni e della qualità delle manovre di finanza pubblica previste per lo scorcio del 1996 e per il triennio successivo.
Infatti, dal lato delle entrate tributarie, vi è anzitutto e da tempo una forte carenza di incassi in termini di riscossione delle imposte, non solo di quelle successorie, ma anche di quelle dirette e persino di quelle regolarmente dichiarate e accertate (quindi non evase).
Secondo dati dell'Ispettorato centrale delle entrate del Ministero delle finanze, nel 1995 peraltro per il 1996 non muta la tendenza -, le complessive iscrizioni a ruolo di tributi erariali, comunali, consorziali


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ed altri, sono state pari a 30.768 miliardi. Di questi circa la metà, 15.697 miliardi, fa riferimento ai ruoli di tributi erariali e locali per i quali è imposta ai concessionari di riscossione l'anticipazione degli importi agli enti impositori, mentre l'altra metà, 15.071 miliardi, si riferisce ai ruoli di tributi erariali, consorziali ed altri, per i quali ai concessionari non è imposta l'anticipazione a favore degli enti impositori.
Sui primi l'effettivo incasso è stato pari a 9.951 miliardi, pari al 63,4 per cento, ai quali vanno aggiunti 5.746 miliardi non incassati dai concessionari, ma anticipati agli enti impositori, non recando così danno alle loro tesorerie. Ma, riflettendo su come i concessionari (che sono poi istituti creditizi) possono traslare tali oneri di anticipo e di mancate riscossioni sulle loro altre attività creditizie, si può facilmente arguire come su tali attività possa gravare un maggiore costo del denaro preso a prestito dai prenditori, specie se collocati nel Mezzogiorno ove i maggiori tassi attivi sono la norma.
Sui secondi, cioè sull'altra metà per la quale non c'è l'anticipo da parte dei concessionari agli enti impositori, l'effettivo incasso è stato risibile: il 3,3 per cento pari a 497 miliardi. In questo caso, non essendovi per i concessionari, come si è detto, un obbligo di anticipazione a favore degli enti impositori, ben 14.574 miliardi sono risultati una vera e propria perdita di gettito per gli enti pubblici impositori, pari al 47,4 per cento del totale dei citati 30.768 miliardi messi a ruolo nel 1995.
Ciò diventa un grave problema di tesoreria per gli enti pubblici che non incassano tali importi. In pratica, si tratta quasi di una cifra pari all'importo della manovra finanziaria varata nel giugno scorso con il decreto-legge 20 giugno 1996, n.323.
Tutte queste disfunzioni nella riscossione dei tributi messi a ruolo avvengono notoriamente a seguito della morosità e della non reperibilità dei contribuenti, peraltro spesso vessati da una fiscalità eccessiva anche se titolari di attività produttive condotte alla luce del sole, nonché per il mancato impegno degli stessi concessionari (in parte non obbligati all'anticipo a favore dell'ente pubblico impositore) o della Guardia di finanza, a sua volta oberata da altri pesanti impegni di istituto (come, per esempio, l'inseguimento e il controllo delle bolle di accompagnamento delle merci viaggianti, delle quali solo da poco e solo in parte si è decisa l'abolizione).
Alla luce di questi dati sulle mancate riscossioni, si può ben comprendere, allora, perché non abbiano grande credibilità risanatrice della finanza pubblica le programmate successive manovre di inasprimento fiscale (come appunto quella varata a giugno), quando nella realtà non si riesce nemmeno ad incassare parte dei tributi accertati e messi a ruolo dallo Stato, dagli enti locali e da altri enti pubblici impositori. Gli effetti negativi di tale prassi sono evidenti, dal momento che il continuo e ricorrente aggravio fiscale si riverbera fatalmente in termini di maggiore incentivo e propensione all'evasione e, per chi è effettivamente inciso e non evade, in termini di riduzione netta delle risorse per la propria attività produttiva. E ciò, mentre i mancati incassi per gli enti pubblici impositori ne aggravano ovviamente i già pesanti problemi di tesoreria.
D'altra parte, dal lato della spesa pubblica come dimostra la stessa periodica successione delle manovre finanziarie di aggiustamento gli sforamenti delle previsioni a livello di cassa sono sistematici e ricorrenti. Ciò avviene (un esempio fu la ritardata trimestrale di cassa di fine marzo scorso, aggravata poi dalle risultanze di cassa di aprile) anzitutto per lo scoordinamento che esiste tra ragioneria generale e gestione della tesoreria statale. Tale fenomeno deriva dalle continue discrasie tra competenza e cassa e tra competenza e residui, anche all'interno di uno stesso esercizio finanziario.
In secondo luogo, il predetto fenomeno si verifica come dimostrato dal rendiconto generale dello Stato del 1995 anche per il sistematico ripescaggio dei residui di spesa in deroga alle leggi di contabilità dello Stato (gli esempi sono contenuti


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anche nei molti decreti-legge esaminati in questi giorni dalla Camera).
Delle leggi di contabilità dello Stato, varate in precedenti legislature, nel 1978 e nel 1988, da tempo si invoca una revisione strutturale sempre rinviata, nonostante le tante commissioni di studio a ciò preposte.
Tutto ciò dimostra come l'Italia voglia entrare nell'Europa di Maastricht restando l'unico paese dell'Unione a possedere due bilanci: quello di competenza, o delle autorizzazioni giuridiche, e quello di cassa, il solo ad avere un effettivo significato economico-finanziario. Il primo è, com'é noto, soltanto fonte di procedure farraginose e defatiganti, come sono quelle che scandiscono l'attuale sessione parlamentare di bilancio e le sue premesse formali, tra le quali il documento di programmazione economico-finanziaria che stiamo discutendo. Tali procedure sono utili, in definitiva, solo per conservare gli arcana imperii a tutti i livelli del settore pubblico allargato. Ciò ovviamente con danno per la trasparenza dei conti pubblici e dello stesso controllo esercitato su di essi dal Parlamento.
Oltre a quanto detto finora, il documento di programmazione economico-finanziaria ripone notoriamente molte speranze su una prossima riduzione dei tassi di interesse, cui sarebbe legata la diminuzione del costo del servizio del debito pubblico e, quindi, della spesa corrente da esso alimentata.
La Banca d'Italia, arbitro del tasso ufficiale di sconto, non vede per ora dietro l'angolo tale riduzione, nonostante i molti inviti rivolti ad essa da parte del Governo Prodi. La ragione di tale prudenza è evidente: la manovra varata nel giugno scorso non ha, infatti, carattere veramente strutturale dal lato dei tagli di spesa, che sono soltanto slittamenti dei flussi di cassa; mentre dal lato delle entrate fiscali oltre ad incidere fra l'altro sui bilanci delle banche ed a peggiorare la qualità di impiego della loro raccolta, con possibili conseguenze negative sui tassi e sulla stessa dimensione del gettito fiscale la manovra predetta potrebbe anche avere effetti molto diversi da quelli attesi.
La recente iniziativa di rifondazione e della CGIL, in tema di recupero del potere d'acquisto dei salari e di stipula dei contratti collettivi in rinnovo nel 1997, con aumenti reali dello 0,5 per cento superiori all'inflazione programmata dal Governo, potrebbe d'altra parte rendere impossibile il raggiungimento del traguardo atteso di crescita media dei prezzi nel prossimo anno e scatenare, persino, un cattivo effetto di annuncio sulla residua parte del 1996, come le recenti vicende della lira e della Borsa dimostrano.
Infine, a mettere in dubbio la fondatezza del documento di programmazione economico-finanziaria, altre incertezze si addensano sul 1997; esse potrebbero derivare dalla manovra di 32.400 miliardi già preannunciata dal ministro del tesoro, senza considerare quella ventilata e poi smentita di 21-23 mila miliardi, che potrebbe seguire la prima, con gli imponenti effetti di deflazione sui consumi e di ulteriore caduta dell'occupazione, che tutti possono immaginare.
La manovra da 32.400 miliardi, già implicita nel documento di programmazione economico-finanziaria, prevede fra l'altro, secondo quanto anticipato dallo stesso ministro Visco, l'introduzione dell'IPAR, imposta sull'autonomia regionale, che dovrebbe sostituire congrui trasferimenti dello Stato alle regioni ed agli enti locali e che nascerebbe dalla soppressione e dall'accorpamento, a parità di gettito complessivo, di ben sei tributi per finanziare la spesa sanitaria, che notoriamente è da tempo fuori controllo ed i cui oneri pregressi non sono stati integralmente e precisamente calcolati. Vi è dunque il rischio che, una volta varata l'IPAR e scoperti tali buchi, le aliquote a carico dei contribuenti finirebbero per aumentare continuamente.
Tra i tributi da sopprimere ed accorpare nell'IPAR, oltre ai vari contributi sanitari ed alla tassa sulla salute, figurerebbe secondo quanto affermato nel rapporto finale della commissione Gallo, che ha proposto tale soluzione anche l'ICIAP, incassata dai comuni, da sostituire


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probabilmente con un'addizionale IRPEF; il che potrebbe aggravare ulteriormente la progressività di tale imposta personale. Ma a tale soppressione si accompagnerebbero anche quelle dell'ILOR e dell'imposta sul patrimonio netto delle imprese: due imposte, però, che oggi gravano essenzialmente sulle imprese costituite sotto forma di società di capitali, mentre generalmente non pesano sulle imprese familiari che, secondo una rilevazione della Banca d'Italia di tre anni fa, sarebbero 3,5 milioni di unità. Ciò significa che, in conseguenza della complessiva e preannunciata parità di gettito, il peso dell'IPAR (indipendentemente dalla problematica definizione della sua base imponibile, come ha ben rilevato il collega Tremonti in diverse sue dichiarazioni) finirà per spostarsi in parte dalle imprese societarie (ricordo che solo l'ILOR ha un'aliquota del 16 per cento) alle imprese familiari, operanti in tutti i settori produttivi e generalmente di piccole o piccolissime dimensioni.
È ovvio che, se tale spostamento di incidenza tributaria si verificasse, le reazioni delle categorie più colpite non si farebbero attendere ed il Polo, signor Presidente, non potrebbe ignorarle.
Da tutte queste considerazioni emerge, dunque, il mio personale giudizio negativo sul documento di programmazione economico-finanziaria e sulle manovre di finanza pubblica che ad esso fanno o faranno riferimento. L'Ulivo in campagna elettorale ed il Governo Prodi nelle sue dichiarazioni programmatiche hanno sempre motivato le loro promesse in materia di politica economica e finanziaria con l'impegno di portare l'Italia nell'Europa di Maastricht.
Il documento di programmazione economico-finanziaria 1997-1999 non solo non si prefigge palesemente di raggiungere tale traguardo, ma anzi indipendentemente dalle valutazioni critiche, sempre possibili, sulla bontà per l'Italia e per l'Europa di realizzare la moneta unica senza aver raggiungo un'effettiva convergenza delle economie reali tra tutti o tra alcuni degli Stati membri, in particolare nel campo del tasso di occupazione da tale traguardo il documento di programmazione economico-finanziaria ci allontana sostanzialmente, specie dopo gli aggiustamenti che le contraddizioni interne di questa maggioranza hanno costretto ad apportare ad esso (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
Onorevole Bressa, mi corre l'obbligo di ricordarle che ha a disposizione cinque minuti.

GIANCLAUDIO BRESSA. Colleghe e colleghi parlamentari, signor sottosegretario, premetto per brevità che, condividendo in larga parte molti degli interventi svolti da esponenti della maggioranza e, soprattutto, condividendo pienamente le valutazioni esposte nei giorni scorsi, in sede di audizione presso le Commissioni riunite, dal Governatore della Banca d'Italia, Fazio, il quale ha definito la manovra di notevole serietà e peso e, soprattutto, ha ammonito sull'insostenibilità di un eccesso di ambizione finanziaria cui invece molti colleghi quest'oggi hanno voluto fare riferimento vorrei concentrarmi su un aspetto particolare del documento di programmazione economico-finanziaria. Mi riferisco agli strumenti che il Governo introduce in tale documento in maniera molto innovativa e positiva, nello spirito della legge n.362 del 1988 sulle nuove norme in materia di bilancio e di contabilità dello Stato. Faccio esplicitamente riferimento ai contenuti di grande rilevanza presenti nei documenti collegati al documento di programmazione economico-finanziaria.
Il 3 luglio, in sede di Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato, il presidente della Corte dei conti, Giuseppe Carbone, nel dichiarare l'urgenza di intervenire per correggere il sistema di contabilità creativa (così viene definita dal Fondo monetario internazionale il sistema italiano di finanza pubblica), esprimeva una valutazione pienamente positiva sull'inserimento come parte integrante nel documento


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di programmazione economico-finanziaria della riforma della struttura di bilancio, del trasferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali, della riforma amministrativa. Vorrei sottolineare come questa sia una positiva e rilevante innovazione politica. Le decisioni legislative in materia di riforma di bilancio e di riforma amministrativa vengono considerate fra loro coerenti e contestuali. In attesa della riforma costituzionale, il Governo intende realizzare le riforme possibili a Costituzione invariata, in tempi certi e su argomenti certi; in attesa di dare nuova forma alle istituzioni, si innova la forma dei processi decisionali, in coerenza con le linee operative indicate dal Governo in sede di dichiarazioni programmatiche.
Ma perché questo processo riformatore proposto dal Governo si compia, occorre che non vi sia un sovraccarico decisionale sul principale provvedimento collegato relativo ai saldi, ma che vi siano più disegni di legge collegati, separati dal principale ed omogenei tra loro per materia. Solo così facendo la Camera potrà affrontare ed approvare in tempi certi materie rilevanti per gli interessi del paese.
Questo processo riformatore, questa importante novità che il Governo ha avviato con il suo documento di programmazione economico-finanziaria non ha nulla di clamoroso o di appariscente. Non è un fuoco di artificio che attira l'attenzione di folle plaudenti; ha però la forza della linearità e della concretezza, cose inusitate per il nostro paese ma che lo cambieranno profondamente (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sgarbi, al quale ho l'obbligo di ricordare che ha a disposizione quattro minuti. Ne ha facoltà.

VITTORIO SGARBI. Saranno sufficienti!
L'onorevole Nesi ha anticipato con magistrale efficacia gran parte delle osservazioni che io avrei ritenuto opportuno indicare all'Assemblea; per questo, mi limiterò a quelle che competono le mie inclinazioni e le mie attitudini, ricordando che tra i passaggi essenziali del suo intervento vi è quello in cui si dice che la carenza più grave di questo documento di programmazione economico-finanziaria riguarda i problemi reali ... Frase agghiacciante, alla quale, concordando in tutto e per tutto con quanto egli ha detto, non si capisce come possa conseguire poi un voto di approvazione a questo documento, se non sulla base di una inclinazione all'ipocrisia o al trasformismo, ovvero al godimento di una posizione alla quale egli con il suo gruppo è pervenuto, pur contraddicendo sostanzialmente il Governo sui problemi reali, ma temendo di allontanarsi dalla protezione dell'Ulivo.
Su questo suo ragionevole e giudizioso intervento, credo sia opportuno indicare, attraverso le sue parole, proprio la carenza di invenzione, di intuizione, la mediocrità, la banalità del documento presentato, pieno di luoghi comuni e di astrazioni del genere: ciò nella consapevolezza che la crescita culturale e civile del paese, le sfide connesse alla mondializzazione dell'economia e alla crescente dimensione del fenomeno della disoccupazione ... Sono invenzioni banali per dimenticare, in realtà, che manca in questo programma del Governo qualunque riferimento alla politica culturale, non «petrolio» ma civiltà sostanziale.
Così, abbiamo un monito, un modello ed un esempio nell'iniziativa privata in Italia, certo guardata con sospetto dai compagni di rifondazione comunista: l'esempio è palazzo Grassi, Agnelli; poteri forti dell'economia che determinano snobismo, soggezione e che riescono a fare in sei mesi ciò che lo Stato non fa in dieci anni! Non possiamo dimenticare che i simboli della nostra nazione, come la pinacoteca di Brera, sono largamente invisitabili; la galleria Borghese è chiusa da dieci anni e i restauri si protraggono per tempi illimitati! È possibile che palazzo Grassi sia restaurabile in sei mesi e la galleria Borghese sia ancora chiusa? È possibile che la mostra dei greci, straordinaria e visitatissima, modello per il ministro Veltroni (che qui, evidentemente, dimostra


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il fallimento della sua iniziativa se in questo programma non vi è una sola voce che lo riguardi), si possa tenere a palazzo Grassi ma non in una sede pubblica? Non vi è una sede pubblica capace di avere il richiamo e l'attrazione che ottiene Agnelli con palazzo Grassi!
È mai possibile che i musei del privato, Agnelli, assumano iniziative straordinarie che lo Stato non può assumere? Il modello ce lo abbiamo davanti! E allora perché il Governo non è in grado di indicare nulla che dia alla cultura quella centralità che è fondamentale per l'economia del nostro Stato, per l'occupazione, per qualunque futuro reale, un futuro di cui anche i problemi dell'ambiente sono simbolo e segnale?
Ebbene, su queste posizioni e proprio sulle indicazioni della politica dell'ambiente io credo di poter chiudere il mio intervento dicendo che per le medesime ragioni per le quali l'onorevole Nesi vota il documento di questo Governo io non lo voto (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Signorino. Ne ha facoltà.

ELSA SIGNORINO. Signor Presidente, colleghi, nel documento di programmazione economico-finanziaria, in relazione alla composizione dell'intervento correttivo per il 1997 e per il 1998, si legge: «Le specifiche misure conseguenti verranno definite nel rispetto di obiettivi di equità distributiva e per la salvaguardia delle posizioni più deboli della collettività». Un tale obiettivo, certamente condivisibile, postula una riflessione ravvicinata sulle politiche di welfare.
Fatta eccezione per la spesa previdenziale, sulla quale è intervenuta efficacemente la recente riforma, l'incidenza percentuale sul PIL della spesa per sanità, sicurezza sociale e istruzione resta nel nostro paese, come è noto, al di sotto dei valori europei. Noi riteniamo che il processo di integrazione debba assumere tra i parametri di riferimento anche la qualità dei sistemi di sicurezza sociale. Pertanto consideriamo il progressivo allineamento del nostro paese ai valori europei un obiettivo irrinunciabile, anche se inevitabilmente condizionato, nella sua concreta attuazione, dagli esiti dell'azione di risanamento.
In questo quadro, in particolare in vista della manovra per il 1997, va a nostro avviso consolidata l'attuale dotazione di risorse per sanità e politiche sociali. Devono essere, in altre parole, evitati interventi che prefigurino tagli alle prestazioni. Aggiungo subito, affinché le mie affermazioni non sembrino pronunciate a difesa dell'esistente, che vanno contestualmente intensificati (come peraltro è indicato nel documento) i processi di riordino, di razionalizzazione e di innovazione. Tre considerazioni generali, a mio avviso, devono fare da cornice alle politiche di ridefinizione degli interventi di welfare.
La prima considerazione è che la crisi dello Stato sociale non è soltanto fiscale, da carenza di risorse, ma è anche crisi di efficacia, in relazione ai mutamenti intervenuti nella composizione della popolazione e nelle aspettative delle persone. La seconda considerazione è che le politiche di welfare sono il luogo di esercizio di fondamentali diritti di cittadinanza, ma devono essere sempre più apprezzate anche come investimento sociale, dotato di importanti ricadute non solo sulla qualità del vivere ma anche sullo sviluppo economico e dell'occupazione. La terza considerazione è che l'universalismo quale tratto distintivo dei sistemi di welfare, spesso tradito nelle sue concrete realizzazioni, va efficacemente ripensato. È necessario procedere alla definizione delle prestazioni destinate a mantenere un tratto tradizionalmente universalistico ed anche di quelle a condizioni di accesso diversificato, sviluppando il massimo impegno di contrasto dei meccanismi di esclusione.
In termini più ravvicinati, sul terreno delle azioni per accrescere la produttività della spesa sanitaria appare necessario procedere ad una forte accelerazione dei processi di regionalizzazione. Nella recente audizione del ministro Bindi abbiamo parlato di federalismo sanitario e


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abbiamo convenuto sulla necessità di conferire alle regioni pieni poteri di governo sul versante della sanità. Ma poiché il cuore delle politiche di federalismo consiste nella correlazione stretta ed inscindibile tra poteri e responsabilità, il processo potrà dirsi compiuto solo quando verranno poste in capo alle regioni responsabilità dirette sul prelievo fiscale. La fiscalizzazione dei contributi sanitari, la loro sostituzione con una nuova imposta a larga base imponibile e a bassa aliquota, con significativi effetti di riduzione del costo del lavoro, deve costituire un obiettivo ravvicinato, deve figurare a pieno titolo nell'ambito dei provvedimenti che il Governo si appresta a varare in materia fiscale.
So bene che permangono su questo versante problemi, che sarà necessario procedere con gradualità, che bisogna prestare grande attenzione alla necessità di unire e a non introdurre elementi che possano accrescere le disparità tra sistemi regionali già oggi profondamente disomogenei. Pur tuttavia, è impossibile tacere che gli attuali sistemi di finanziamento della sanità producono essi stessi disparità e sono all'origine degli avanzi di gestione senza servizi di alcuni sistemi regionali e del riprodursi all'infinito dei deficit nei sistemi a più alto tasso di invecchiamento e a forte densità di servizi. Pertanto, andrà accelerato il processo di fiscalizzazione dei contributi sanitari con la consapevolezza, nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema, che deve essere conclusivamente affrontato l'annoso nodo dei deficit pregressi, anche attraverso meccanismi più impegnativi di compartecipazione delle regioni, e ciò per il 1994, ma anche per gli anni successivi.
Federalismo sanitario significa anche, ad evitare un possibile rischio di centralismo regionale, nuova valorizzazione del ruolo delle autonomie locali, precise modalità di partecipazione delle stesse al processo di programmazione e controllo dei risultati su scala locale, fermo restando che anche su questo versante poteri e responsabilità devono procedere in stretta correlazione. Per accrescere sensibilmente la produttività della spesa sanitaria è poi dirimente cambiare l'offerta dei servizi, spostare l'attenzione, oggi pressoché esclusiva, dalla cura per le acuzie alla prevenzione, alla medicina di base territoriale, alla riabilitazione. Su questo terreno è possibile coniugare insieme obiettivi più ricchi di salute e benessere con occasioni di autentico risparmio ed è questo il terreno sul quale deve dare buona prova di sé il processo di aziendalizzazione. Quest'ultima nel settore della sanità non costituisce un fine, così come appare improprio evocare per questo comparto dinamiche di mercato tradizionalmente intese. L'aziendalizzazione è uno strumento per ottimizzare le risorse e rendere a costi contenuti prestazioni di qualità più in sintonia con i bisogni dei cittadini. Pertanto i risultati aziendali per la sanità andranno concepiti e misurati, più di quanto non accada ora, sul terreno delle risultanze economico-finanziarie non meno che su quello degli obiettivi di salute.
Alla diversificazione dell'offerta di servizi per la salute può concorrere in modo significativo il rilancio della politica di investimenti. Completare gli investimenti ex articolo 20 della legge finanziaria per il 1988, dare attuazione alla seconda tranche degli stessi con i meccanismi introdotti, che premiano i progetti immediatamente cantierabili, può e deve costituire un importante volano di riordino del servizio sanitario con significativi esiti anche sul versante dell'occupazione.
Infine, nel documento di programmazione si individua come non più eludibile l'obiettivo del riordino delle prestazioni assistenziali. Come non convenire con un simile obiettivo! La legislazione attualmente in vigore risale a Crispi e all'anno 1890. Come deputati della sinistra democratica abbiamo di recente presentato un progetto-quadro di riforma che ridefinisce i livelli istituzionali di governo nel settore. È un progetto che declina le politiche sociali come politiche di percorso incardinate sulla centralità della persona, come politiche di mix tra servizi e prestazioni monetarie radicalmente ridisegnate. Il progetto delinea politiche sociali a più attori


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pubblici, di privato sociale, di volontariato, no profit ed anche profit. Abbiamo inteso, per questa via, dare attuazione agli obiettivi di programma dell'Ulivo, ma anche predisporre uno strumento aperto al confronto, ad apporti molteplici, nella convinzione che sul versante della solidarietà il dialogo tra le diverse culture è risorsa preziosa ed insostituibile.
L'auspicio che formuliamo è che il Parlamento possa finalmente legiferare in materia, essendo la legislazione di riforma di più ampio respiro una sua peculiare competenza. Molto dipenderà dagli impegni che tutti sapremo assumere a partire dalla consapevolezza che la piena operatività del Parlamento è responsabilità comune di maggioranza e opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo e di rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nocera. Ne ha facoltà.

LUIGI NOCERA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il documento finanziario presentato dal Governo al Parlamento racchiude in sé un lungo rosario di buoni propositi che servono solo a carpire la fiducia di una maggioranza parlamentare, come quella attuale, che presenta tutte le sue contraddittorietà. È in tale caotica situazione politica che il Presidente Prodi, con il documento di programmazione relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 1997-1999, nell'esaminare lo stato di salute del nostro paese ha voluto indicare i correttivi per giungere al risanamento dei conti pubblici con l'obiettivo dell'agognato rientro della lira nell'accordo di cambio europeo e con la successiva partecipazione nell'unione monetaria. Per fare ciò il Governo di centro-sinistra ha posto come elemento basilare il sostegno del Parlamento e delle parti sociali con riferimento all'accordo del luglio 1993, punto di partenza dichiara il Presidente Prodi del progresso che il paese ha compiuto verso il risanamento e la stabilità.
Ma di quale risanamento e stabilità si parla? È veritiero e realistico quanto enuncia il Presidente nel suo documento finanziario? Io credo di no. Il rosario dei buoni propositi mi ha non poco sconcertato sia per le certezze indicate dal Presidente, sia per le promesse enunciate...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Nocera, ma i colleghi seduti dietro di lei hanno preso l'aula per una centralina della Telecom. Nisi caste, saltem caute! Colleghi, ci sono tanti telefoni fuori dell'aula!
Continui pure, onorevole Nocera.

LUIGI NOCERA. I provvedimenti di natura finanziaria, così come impostati, e la ulteriore stretta di vite alla già critica economia delle famiglie non potranno produrre effetti benefici che servano da volano attorno al quale far girare tutte le attività, grandi e piccole, del nord, del centro e del sud, che diano un concreto segnale di ripresa del paese, una ripresa che tenga conto, sì, dello stato di salute della lira, ma che non escluda l'aspetto occupazionale, anche se lento e graduale.
Signor Presidente, la politica dell'economia fino all'osso, di selliana memoria, se non oculata e chiaramente e decisamente finalizzata alla ripresa concreta della produttività, non può trovare, come infatti è nel documento, un risvolto pratico per i bisogni della gente, delle famiglie monoreddito, dei cassintegrati e, più ancora, dei disoccupati (categoria, quest'ultima, che diviene, giorno dopo giorno, sempre più numerosa e nella quale si alimenta sempre di più la sfiducia verso le istituzioni). I giovani, signor Presidente, non possono vivere più con lo spettro di un futuro che, guarda caso, non è più incerto ma che addirittura si presenta fortemente certo di un vuoto impressionante. E il documento, frutto di tante anime dell'attuale maggioranza, non va proprio nell'indirizzo del bisogno della gente. Anzi, tutt'altro: è un documento ricco di belle parole, di grosse cifre, ma tanto lontano dalla realtà vera ed estremamente delicata del nostro paese.
La brevità di tempo a disposizione non mi consente di svolgere in aula un'analisi approfondita della situazione italiana in


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relazione al documento di programmazione della finanza pubblica. Mi limiterò pertanto a sottoporre all'attenzione dei presenti alcuni dei punti che, a mio modesto modo di vedere, sono i più delicati e verso i quali mi è sembrata quasi nulla l'attenzione rivolta dall'attuale maggioranza.
Si legge nel documento che «l'obiettivo, per il nostro paese, sarà quello di conciliare il riequilibrio dei conti pubblici con la ripresa della produttività». Certamente è questa la strada da seguire, ma in che modo e nel rispetto di quali tempi? Se si considera che tale obiettivo è stato inserito nel programma triennale 1997-1999 e che per l'aggiustamento dei conti pubblici il Governo indica tutta una serie immediata di provvedimenti, non si capisce e pertanto non si può giustificare come mai, poi, per la ripresa degli investimenti, per la ricerca dei più elevati livelli di produttività e per una maggiore flessibilità regolata sul mercato del lavoro non si specifichino chiaramente modi e, più ancora, tempi di attuazione.
Ad un Governo tecnico o pseudo tale Dini docet ha fatto seguito, sotto l'egida più chiara e marcata del centro-sinistra, l'attuale Governo, quasi con una neutrale politica di continuità. Tutto ciò, purtroppo, mentre appare chiaro che l'esecutivo del nostro paese ha ancora bisogno di studiare, per meglio approfondire gli aspetti ed indicare le soluzioni ai tanti, noti problemi che da tempo affliggono i nostri cittadini, quelli del nord, del centro e, più ancora, del meridione d'Italia.
Intanto, rimane certo che l'azione di riequilibrio dei conti pubblici, anche se parziale, sarà realizzata si legge nel documento con l'aumento del gettito tributario.
Signor Presidente, una politica economica e finanziaria che curi soltanto l'aspetto del riequilibrio dei conti pubblici, rinviando nel tempo la ripresa della produttività, appare quanto mai miope ed ingiusta verso la collettività nazionale. I cittadini sono stanchi di essere pressati senza ottenere alcunché in cambio. La disoccupazione galoppante, nonostante le tante, precedenti manovre di questi ultimi anni, ha creato nel tessuto nazionale un clima di sfiducia, di tensione, mentre è cresciuto ancora di più il bisogno.
In conclusione si tratta, signor Presidente, di un documento che ricalca quelli presentati dai precedenti Governi e che certamente non potrà portare ad alcun concreto risultato. È appunto questo il motivo della sfiducia di gran parte della classe politica nei confronti di tale documento, frutto, peraltro, di compromessi ed accomodamenti partitici che sanno del vecchio stampo dell'ancien régime (Applausi dei deputati del gruppo del CCD-CDU).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Testa. Ne ha facoltà.

LUCIO TESTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, il documento di programmazione economico-finanziaria, pur rappresentando soltanto lo schema entro cui il Governo incardinerà la manovra di bilancio di fine anno, determinando i vincoli progressivi per la spesa e per le entrate, tocca in specifici punti le linee-guida delle politiche settoriali. Mi riferisco, in particolare, alle politiche dei lavori pubblici, del territorio, dei trasporti, dell'ambiente e della difesa del suolo, temi concreti e reali per la gente e per il paese.
Confermo, innanzitutto, l'adesione del gruppo di rinnovamento italiano al documento, un'adesione, però, non del tutto acritica e tale da porre al Governo alcuni quesiti ed osservazioni puntuali nel merito.
Innanzitutto, va segnalato che nel documento è assente una visione d'assieme e coordinata del problema della mobilità. I programmi della viabilità, gli indirizzi strategici nel settore dei trasporti, gli impegni ulteriori nel settore ferroviario, dell'alta velocità e del trasporto locale dovrebbero trovare delle linee di sintesi per quanto riguarda la priorità dei finanziamenti e delle disponibilità di bilancio. A questo riguardo, il documento rileva che le carenze di investimenti nel settore nell'ultimo


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decennio hanno avuto gravi conseguenze per lo sviluppo del paese e per la dotazione infrastrutturale rispetto agli standard europei.
Il quesito che voglio porre al Governo riguarda per essere concreti i dati riportati nella tabella 6, pubblicata a pagina 45 del documento. Sarebbe utile sapere dal Governo innanzitutto quale quota della spesa in conto capitale sia destinata al finanziamento dei progetti per i quali è previsto il concorso dell'Unione europea. È ancora più rilevante ricevere dal Governo una stima, per il triennio, del volume degli investimenti che si potrebbero attivare in regime di cofinanziamento, dato che non emerge né direttamente né indirettamente dal documento di programmazione economico-finanziaria. Anche una stima di larga massima della distribuzione tra i vari comparti della spesa in conto capitale aiuterebbe a capire se la politica della mobilità, dei lavori pubblici e dell'ambiente possa dispiegarsi su obiettivi plausibili e condivisibili.
Nel quinquennio 1994-1999 la dotazione di risorse comunitarie destinate all'Italia per il perseguimento di tutti gli obiettivi è di 18,5 miliardi di ECU, a cui si aggiungono 1,6 miliardi di ECU per il finanziamento di programmi di iniziativa comunitaria. Al cambio attuale, la quota destinata all'Italia ammonta a più di 38 mila miliardi di lire, gran parte dei quali riguarda gli investimenti nei settori indicati della mobilità, dei trasporti e così via. La mancanza di un bilancio dello Stato strutturato per obiettivi non consente una programmazione, egualmente per obiettivi, dei settori che sono maggiormente alimentati dalle risorse comunitarie. Ciò ha costituito, in passato, un serio ostacolo all'utilizzazione da parte dell'Italia di questa importantissima mole finanziaria che, al contrario, potrebbe e sottolineo il «potrebbe» dare una spallata allo sviluppo delle aree depresse ed offrire consistenza alla nuova politica per il Mezzogiorno, alla politica contro la disoccupazione. Se vi fosse la certezza dell'utilizzo di tutte le risorse rese disponibili dai finanziamenti comunitari, si potrebbe riscrivere, nella concretezza degli interventi, quel secondo rigo della tabella 6 dedicato alla spesa in conto capitale. È auspicabile, a tal fine, che le amministrazioni centrali e locali dello Stato diano assoluta priorità alla realizzazione dei progetti cofinanziati dall'Unione europea. Infatti, 40 mila miliardi circa rappresentano due manovre finanziarie al netto degli interessi e una massa di investimenti con efficacia moltiplicativa doppia: cioè, 80 mila miliardi di investimenti. Condizione indispensabile, però, è la sussistenza per il futuro di uno stretto legame tra programmazione per obiettivi e riforma della pubblica amministrazione, che nella sua attuale configurazione e strutturazione trova difficoltà a programmare ai diversi livelli e, ancor più, a progettare gli interventi da realizzare; questi ultimi dovranno trovare la copertura finanziaria necessaria negli stanziamenti statali, in quelli comunitari ed eventualmente nel cosiddetto project financing. Il coinvolgimento del settore privato per la realizzazione di un moderno sistema infrastrutturale si va dimostrando ogni giorno più decisivo. Il Consiglio dei ministri ha varato venerdì scorso un importante provvedimento in materia di realizzazione di opere pubbliche, senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione. Ciò pone le condizioni perché il capitale privato concorra efficacemente alla realizzazione di opere pubbliche, che non può essere sostenuta con le risorse di bilancio. L'iniziativa privata dovrà trovare però alcuni limiti, ovvero che la programmazione e la progettazione rimangano alla pubblica amministrazione e che vi sia il rispetto del principio della concorrenza, secondo le normative comunitarie in materia.
L'utilizzazione dei finanziamenti comunitari, il coinvolgimento del finanziamento privato avranno successo se andrà avanti la modernizzazione dello Stato, delle pubbliche amministrazioni, la semplificazione amministrativa, l'ampliamento in senso federale dell'autonomia degli enti territoriali, la delegificazione delle norme procedurali, salvaguardando la sostanza delle decisioni e dei controlli. Condizione base rimane tuttavia il completamento della


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normativa sulle opere pubbliche, avviato dalla legge Merloni, affinché l'Italia non sia più disseminata di opere incomplete ed inutili (ricordo che le opere iniziate e non terminate sono circa 9.500).
Espressa adesione va data a tre aspetti significativi contenuti nelle parti generali del documento. Il primo riguarda una politica ambientale che migliori le condizioni di vita nelle città e consenta a tutti i cittadini di disporre di risorse idriche adeguate, con particolare riferimento al sud; a ciò si aggiunga la necessità di produrre meno rifiuti e di ridurre l'inquinamento atmosferico da traffico. Il secondo riguarda la necessità di investimento in infrastrutture fisiche e di comunicazione per una migliore circolazione di persone, beni, servizi ed informazioni, come indicato nel libro bianco di Delors, nonché per la ricerca, lo sviluppo di tecnologie pulite, intendendosi con tali termini prodotti a basso impatto ambientale, con bassa produzione di emissioni inquinanti, di rifiuti e con scarti meno pericolosi e più facilmente recuperabili. Il terzo aspetto, considerato che lo sviluppo non può prescindere dalla tutela ambientale, è di contribuire, attraverso l'uso di incentivi e disincentivi fiscali, ad obiettivi di sostenibilità ambientale.
Le linee programmatiche del documento di programmazione sono complessivamente condivisibili; sembrano però opportune alcune considerazioni finali. Il tema delle nuove opportunità per l'occupazione non può prescindere dalle politiche per l'ambiente, la tutela del patrimonio artistico grande ricchezza dell'Italia! -, del territorio, della prevenzione e della difesa del suolo. Non va infatti dimenticato che, a seguito degli eventi alluvionali prodottisi dal novembre 1994 ad oggi, dal Piemonte alla Versilia, lo Stato ha impegnato ben oltre 12 mila miliardi in interventi di ripristino, risarcimento, ricostruzione. Questa importante mole finanziaria è effetto della mancata prevenzione che la legge n.183 sulla difesa del suolo non è riuscita ancora ad attuare perché priva di adeguate risorse e di snelle procedure. Il risparmio di alcune centinaia di miliardi all'anno può produrre effetti dirompenti sul bilancio dello Stato, oltre alle vittime, ai danni, alla devastazione di ampie zone. È per questo che tra le priorità della spesa pubblica vanno indicate le politiche per l'ambiente e per la difesa del suolo che, oltre a fornire garanzie di tutela, divengano parametro di uno sviluppo sostenibile. Ed è in questa ottica che il Governo dovrebbe infine dare indicazioni più precise in merito all'uso delle politiche fiscali, finalizzato ad uno sviluppo ecologicamente sostenibile (Applausi dei deputati del gruppo di rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Malavenda. Ne ha facoltà.

MARA MALAVENDA. Signor Presidente, signore e signori, dalla metà degli anni settanta, con la politica dei sacrifici, i salari dei lavoratori hanno subito parecchie decurtazioni e siamo arrivati a tagli sui salari per circa due milioni all'anno. E ciò per sacrifici finalizzati, si diceva, alla occupazione. Sono state tagliate le pensioni, la sanità, lo Stato sociale; c'è stata la disdetta della scala mobile. I famigerati accordi del luglio del 1992 e del 1993 già prevedevano un minimo di recupero salariale, pari allo 0,50 per cento, vale a dire circa 7 mila lire nette nella busta paga dei lavoratori, in confronto ai due milioni all'anno tagliati dalle buste paga.
Si tratta di un minimo di recupero, come era già stato previsto con gli accordi del 1992 e del 1993. I lavoratori si opposero a questi provvedimenti e si oppose la sinistra tutta, compresa rifondazione comunista, che oggi pare averlo dimenticato.
Adesso si grida alla grande vittoria che porta, niente meno, ai salari dei lavoratori un aumento di 7 mila lire! Questo Governo ha una grossa responsabilità, quella di creare aspettative tra i lavoratori e la povera gente. In effetti tra i contenuti del documento di programmazione economico-finanziaria non notiamo alcun cambiamento, ed anzi rileviamo continuità con il passato, una pericolosa continuità: è il filo che ci ha legati in tutti questi anni ad


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espressioni come «liberalizzazione del mercato del lavoro». Si sarebbe dovuta creare occupazione ed invece si sono solo elevati i profitti: quelli sì che sono cresciuti e tantissimo! Ma un aumento dell'occupazione non vi è stato.
Oggi si insiste su tale strada e quel filo conduttore diventa la logica stessa del documento di programmazione economico-finanziaria. Si propongono il part time, il sottosalario, le gabbie salariali, il lavoro interinale, i contratti a termine: tutto questo non fa che indebolire ulteriormente la posizione dei lavoratori, addirittura rafforzando le sacche di lavoro nero anche per quei lavoratori che oggi hanno un minimo di tutela.
È una situazione che ci preoccupa moltissimo, che non ha mai creato e non creerà occupazione: lo sappiamo benissimo tutti! Aumenterà invece la giungla salariale, si cancelleranno tutti i diritti dei lavoratori!
Dove sono le novità di questo Governo? Perché non si parla di evasione fiscale? Perché non si fanno pagare le tasse a chi non le ha mai pagate? E la patrimoniale sulle grosse rendite? Non se ne parla più! Perché non si introducono vincoli sui finanziamenti pubblici volti a creare occupazione, verificando se essi vengono effettivamente utilizzati a tale scopo?
Nel documento di programmazione si parla nuovamente in maniera ostinata di privatizzazioni: questo è stato un suo capolavoro, onorevole Prodi! Al momento dell'insediamento del suo Governo, le ho rivolto alcune domande importanti che però sono rimaste tutte senza risposta. Oggi vi sono fatti nuovi: sui giornali di questa mattina sono riportati alcuni appunti...

PRESIDENTE. La prego, onorevole Malavenda, sono costretto a chiederle di concludere!

MARA MALAVENDA. Sì, mi avvio alla conclusione.

PRESIDENTE. La prego di concludere, non di avviarsi alla conclusione!

MARA MALAVENDA. Gli avvocati dello SLAI-Cobas hanno ricevuto da Craxi un appunto nel quale si legge testualmente: «Dopo la morte dell'onorevole Balzamo, mi venne consegnata da un suo collaboratore una busta contenente una documentazione riguardante dati riferibili ad attività dell'amministrazione. Vi era anche un elenco di versamenti con l'indicazione delle cifre versate e degli autori dei versamenti...».

PRESIDENTE. Onorevole Malavenda, non mi costringa a toglierle la parola!

MARA MALAVENDA. L'elenco è scritto di pugno dall'onorevole Balzamo...

PRESIDENTE. La prego, onorevole Malavenda: vuole concludere?

MARA MALAVENDA. Si indicano anche i responsabili di questa operazione di svendita dell'azienda in Prodi e in Amato...

PRESIDENTE. Onorevole Malavenda, la prego di concludere!

MARA MALAVENDA. A questo noi chiediamo ancora risposte! Sì, certo, queste sono le domande che io rivolgo ancora una volta, sperando che arrivino le risposte (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Per cortesia, si disattivi il microfono dell'onorevole Malavenda!
È iscritto a parlare l'onorevole Frattini. Ne ha facoltà.
Onorevole Frattini, non l'avvertirò prima dello scadere del tempo a sua disposizione, perché ove potessi togliere la parola ad un consigliere di Stato, sarebbe per me una tale soddisfazione!

FRANCO FRATTINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, nel paragrafo 7.2 del documento di programmazione economico-finanziaria si delinea il programma di azione del Governo per la riforma della pubblica amministrazione e del bilancio statale, nonché per il decentramento di funzioni amministrative,


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quest'ultimo impropriamente denominato, nel titolo, federalismo.
A tal fine si è preannunziata una richiesta di delega legislativa, specificando già ora che tali misure dovrebbero poter essere considerate come provvedimenti collegati alla manovra con la relativa corsia preferenziale in Parlamento e una forte restrizione della emendabilità.
Ritengo che l'impostazione proposta affronti il tema storico della riforma della pubblica amministrazione sotto un profilo limitativo e, mi permetto di dire, fuorviante. Lo snellimento della burocrazia, partendo dalla struttura e composizione dei ministeri, la rapidità delle procedure, l'esigenza di assicurare servizi efficienti ed efficaci con il principio della sussidiarietà, una vera riforma del pubblico impiego e della sua dirigenza che coniughi il merito con la responsabilità, l'importanza di una comunicazione pubblica che apra le porte dei palazzi del potere con assoluta trasparenza, ebbene, la ragione di tutti questi capisaldi della riforma non è di ordine finanziario: il motivo è la giusta pretesa di milioni di cittadini di ottenere servizi almeno decorosi a fronte delle imposte che versano e di non vedersi più oppressi da regole burocratiche offensive delle coscienze e spesso dei principi generali del diritto; è la rabbia di chi assiste agli scandali che dilagano in settori deviati della pubblica amministrazione ed agli sforzi vittoriosi degli apparati per coprire gli scandali e per continuare nella gestione quotidiana del potere.
È il servizio ai cittadini che impone anzitutto questa riforma, non tanto una ragione finanziaria che tutt'al più ne sarà uno degli effetti di lungo periodo. Le corsie preferenziali della manovra mal si conciliano con la caratteristica del disegno su cui il Parlamento può e deve sviluppare un dibattito ed esprimere una valutazione con assai maggiore ampiezza.
Lo schieramento dell'attuale maggioranza, quando costituiva l'opposizione al Governo Berlusconi, ottenne lo stralcio dal disegno di legge collegato alla finanziaria del provvedimento di riforma previdenziale, che pure riguardava un settore assai limitato rispetto al generale piano di riordino della pubblica amministrazione e certamente aveva un effetto sulla manovra molto più diretto e soprattutto quantificabile. Lo stesso schieramento delle sinistre, che pure sosteneva il Governo Dini, fortemente richiese ed ottenne lo stralcio dal disegno di legge collegato alla finanziaria 1996 di norme di delega per il riordino, l'accorpamento e la soppressione di ministeri, il riordino del bilancio dello Stato, la riforma della comunicazione pubblica, un forte decentramento, la rivalutazione e la responsabilizzazione della dirigenza.
Onorevoli colleghi, chi vi parla aveva proposto, come ministro del Governo Dini, di inserire quasi tutte e forse anche ulteriori tra le materie oggi indicate come oggetto di delega da collegare alla manovra nei provvedimenti collegati alla finanziaria e si è sentito dire dal Parlamento che una riforma ordinamentale della pubblica amministrazione non può essere ristretta nei tempi, limiti e procedure condizionati dall'urgenza di evitare l'esercizio provvisorio.
Il ministro Bassanini, nell'audizione del 4 luglio scorso illustrativa del piano di riordino, ha esplicitamente stigmatizzato, cito testualmente, «il rischio di affrontare la riforma con la vecchia logica che ha dominato per tanti anni e cioè una logica esclusiva di riduzione dei costi amministrativi, mentre il problema prevalente su quello finanziario è della qualità ed efficacia dei servizi che il sistema dà ai cittadini». Auspico che il senatore Bassanini sia ancora oggi convinto, come me, dell'esattezza di queste parole da lui pronunziate in Parlamento.
Ritengo senz'altro che il Parlamento debba impegnarsi a fondo per una delega legislativa volta alla riforma della pubblica amministrazione, che il paese non può aspettare, ma sono persuaso che la riforma si debba articolare in profili anche non direttamente o per nulla collegati alla manovra. Non a caso il documento di programmazione economico-finanziaria non è in grado di calcolare l'effetto finanziario di alcuna delle misure di riordino per le quali propone la delega. Ciò si spiega con


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l'impossibilità di stimare ex ante i risparmi derivanti da settori non marginali.
Vi sono poi aspetti essenziali da cui un risparmio in senso contabile certo non deriverà. Penso alle misure per contrastare l'illecito e la corruzione, per colpire i dipendenti pubblici corrotti e coinvolti in gravi scandali, penso alle misure per potenziare l'informatizzazione e la comunicazione con i cittadini, penso infine allo snellimento di moltissime procedure amministrative, intollerabilmente onerose anzitutto per i cittadini e non anche direttamente per la pubblica amministrazione che, anzi, è gelosa di ogni ritaglio di potere e ne scarica i costi sul privato.
Mi chiedo e vi chiedo, onorevoli colleghi: intendiamo non affrontare ed abbandonare questi profili che sono capisaldi di una seria riforma e che non sono oggettivamente stimabili in termini di risparmio? Io non sono affatto d'accordo. Non sarebbe meglio, in questa occasione storica, che tutte le forze politiche ricercassero una sede propria, unitaria, non vincolata dalle procedure dei collegati alla finanziaria per impostare una riforma complessiva? Noi proponiamo un sottocomitato permanente a ciò dedicato, nell'ambito della Commissione affari costituzionali, che in tempi certi e rapidi compia il lavoro di redazione di un testo unitario e completo del progetto di riforma, altrimenti il Parlamento decida, ma con il nostro voto contrario, di rinunciare (e con ciò si darebbe un brutto segnale al paese) ad un quadro di riordino e modernizzazione che veda il cittadino al centro del sistema e la pubblica amministrazione finalmente al suo servizio, indipendente dalle pur comprensibili aspettative di immediato risparmio per la finanza pubblica (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giorgio Pasetto. Ne ha facoltà.

GIORGIO PASETTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la rilevanza che questo dibattito assume oggi in Parlamento consente di iniziare il mio intervento sul documento di politica economica e finanziaria del Governo con l'auspicio che il confronto in aula contribuisca a correggere una doppia distorsione che ha accompagnato nei giorni scorsi il confronto sugli indirizzi del Governo. La partecipazione appassionata sulla stampa e nelle sedi istituzionali di protagonisti di alto profilo tecnico ha in qualche modo contribuito a enfatizzare la sola valenza economico-finanziaria dei parametri di convergenza, proiettando e consolidando nell'opinione pubblica l'idea che l'appuntamento fissato per la primavera del 1998 riguardi soprattutto il sistema economico del paese e non già l'intera società italiana.
Questa prima distorsione, che rischia di consolidare nell'immaginario collettivo la vecchia idea dell'Europa dei mercati e dei mercanti, ne ha prodotta a sua volta un'altra, che la politica sia marginale in questo processo e che essa non sia più in grado di mediare gli interessi della società. Lo spessore culturale e l'autorevolezza istituzionale di alcuni interventi, incentrati soprattutto sui parametri di convergenza economico-finanziaria, ed il braccio di ferro che su tali questioni si è svolto hanno rischiato di far passare in secondo ordine quelle che ritengo siano le vere incompatibilità italiane con il processo di integrazione europea e con i traguardi che sono stati fissati di qui alle soglie del 2000. Tant'è che la forzatura del dibattito sui parametri meramente economici può apparire persino come una via di fuga dai problemi di politica istituzionale che dobbiamo affrontare per recuperare i ritardi fondamentali del nostro paese.
Ad onor del vero, alcuni di questi stessi autorevoli interlocutori nella Commissione bilancio si sono fatti carico di calare la discussione tecnica in un contesto politico più generale e già nelle audizioni ci sono stati aggiustamenti di tiro sui tempi di contenimento dell'inflazione e sul rientro del debito pubblico che hanno permesso di allargare il campo sulla prospettiva più generale. Soprattutto da parte del governatore della Banca d'Italia è venuta la conferma di una linea del passo giusto che


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sembra essere maggioritaria nel paese. Anche per noi la ricerca delle condizioni ottimali non è sfoggio di rigore tecnocratico ma compito di Governo nel senso ampio del termine. Non esiste un convoglio già pronto e partito da chissà quanto lontano, formato da un nucleo di paesi forti che aspettano il suo passaggio e al quale altri paesi si possano agganciare con prontezza; esiste invece un tavolo dove le condizioni ottimali dei singoli paesi per promuovere uno sviluppo integrato vengono scambiate al massimo livello di beneficio possibile per promuovere un nuovo stadio di più alte opportunità e in direzioni più ampie.
È questa la ragione per la quale Maastricht non è una sorta di esame di Stato gestito da altri Stati e, men che meno, da eurotecnici; quel posto e quella data segnano semplicemente il momento in cui queste condizioni si stabilizzano al livello più alto. Ma se questo è Maastricht nella sua valenza profonda, le ragioni di questo sforzo non sono dettate dalla necessità ma dalla virtù. Allora il problema che abbiamo qui e subito è quello di come muovere tutte le azioni del nostro paese verso questo obiettivo. Si comincia sempre più a cogliere qui il nesso inscindibile tra le riforme istituzionali e le capacità di governo del sistema economico. Non è un caso che entrambe queste esigenze siano contemporaneamente all'attenzione del Parlamento. È come se dal dibattito sul DPEF sia risultato chiaro che, al di là del rientro del debito pubblico, il problema centrale che abbiamo di fronte per stare a pieno titolo in Europa sia la riorganizzazione delle istituzioni e, al suo interno, la conseguente riforma della pubblica amministrazione.
La nuova linea deve coniugare i tagli con le riforme. Se vogliamo che alla progettualità privata si accompagni come premessa una rinnovata progettualità pubblica che nasca dall'interno della pubblica amministrazione, dobbiamo convincerci che è arrivato il momento di ottimizzare tutte le risorse esistenti al suo interno, abbandonando la politica dei tagli indiscriminati.
Riordino istituzionale significa anche capacità di rispettare quella costituzione materiale che affida alle parti sociali ruoli che non possono essere alterati dalla contingenza delle situazioni e dall'urgenza dei problemi. Vi è stato un momento nella vicenda del DPEF in cui lo schema di concertazione tra le parti sociali è sembrato in qualche misura forzato dall'esterno sulla base di esigenze politiche rispettabili e per qualche verso condivisibili, che non possono tuttavia essere ritenute in linea con le regole che ci siamo dati, regole indispensabili per accompagnare il cammino di quella pluralità di soggetti istituzionali e sociali che concorrono alle scelte in una società complessa. Il partito popolare ha fatto dell'accettazione delle regole la sua linea politica; da quando si è avviata una politica di risanamento, pur nelle difficoltà che hanno caratterizzato la sua trasformazione, non abbiamo mai perso di vista il ruolo di partito responsabile con riferimento sia al Governo sia alla governabilità.
La coalizione guidata dall'onorevole Prodi ha uno spirito e una dimensione completamente diversa dalle coalizioni che negli ultimi anni hanno governato il paese. La sua forza è affidata ad un progetto comune ed un tratto forte di questo progetto è l'autonomia del Governo nel cercare di realizzarlo. Le forze politiche della maggioranza devono partecipare a questa realizzazione soprattutto creando un clima di stabilità, della quale è fattore essenziale anche la capacità di confronto con le opposizioni.
Ma una politica di sviluppo che voglia affrontare il problema centrale, che in Europa è l'occupazione, deve farsi carico di un modello di sviluppo che implica una selezione dei consumi globali. Compito del nuovo Stato sociale è la ricerca delle varie opportunità delle fasce attive e l'incentivo a recuperare queste varie opportunità per le fasce deboli. Condizione essenziale è che lo Stato funzioni bene nell'uno e nell'altro caso.
Signor Presidente, il riassetto del sistema istituzionale e la conseguente riorganizzazione della pubblica amministrazione,


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la politica del credito come parte integrante per la riorganizzazione del sistema bancario in funzione dello sviluppo, la capacità di fornire un sistema di decisioni lineari a tutti i livelli istituzionali sono le vere questioni che dobbiamo affrontare per percorrere fino in fondo la strada dell'integrazione europea, per diventare paese portante e non solo accettato dal sistema economico europeo.
Il peso della sfida europea non è dunque tutto sulle spalle del Governo; è in gran parte e forse per quella più significativa ed incisiva per il futuro sulle spalle del Parlamento, perché se al Governo spetta in via prioritaria il compito di creare da subito le condizioni favorevoli per essere tra i paesi promotori dell'Europa unita, al Parlamento spetta il compito di creare le condizioni per restarci, camminare nel gruppo di testa e non limitarci ad inseguire gli altri.
Vi è quindi all'orizzonte una grande stagione politica; è grande perché la stabilità può garantire una forte capacità di Governo, può e deve garantire una grande capacità di iniziativa e di presenza del Parlamento. Chi ha a cuore la difesa del Parlamento e delle sue prerogative ha l'occasione storica di dimostrare che la forza del Governo e quella del Parlamento in democrazia possono e debbono coesistere, anzi coesistono solo se sono contestualmente presenti ed attive. Anche per questo la posizione del partito popolare è coerente nel sostegno al Governo Prodi.
Noi popolari vogliamo riforme che consolidino lo sviluppo della democrazia che contempla forti, in egual misura, Governo e Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alemanno. Ne ha facoltà.

GIOVANNI ALEMANNO. Signor Presidente, il documento che stiamo discutendo è l'ennesima edizione di quell'ormai antico e tante volte ripetuto libro dei sogni attraverso il quale, non solo in questa fase di transizione dalla prima alla seconda Repubblica ma anche dai tempi della politica del consociativismo partitocratico, si pretende di attagliare le misure governative alla realtà economica. Fa veramente impressione, infatti, constatare come in questo documento non vi sia alcun rilievo ed alcuna giustificazione coerente e seria rispetto al totale fallimento degli indici e dei parametri individuati nel documento di tre anni fa.
Questa situazione, questa continua mancanza di governo degli indici e della realtà e, ciò non di meno, la pretesa di ridurre il deficit pubblico e il collegamento tra deficit pubblico e prodotto interno lordo, rimandano ad un'ormai consolidata schizofrenia, per cui da un lato vi è la pretesa di seguire i dettami di una politica strettamente monetarista, dall'altro alto si pretende di dare risposte alle sollecitazioni sociali, di difesa dello Stato sociale, che magari provengono dall'estrema sinistra di questo Governo. Tale schizofrenia ha magari come unica possibilità di uscita la speranza che alla fine di questi processi intervenga, come una sorta di avvento messianico, la riduzione del tasso di sconto per permettere così un qualche miglioramento della situazione del disavanzo pubblico.
Altro aspetto che rileviamo all'interno del documento di programmazione economico-finanziaria è il carattere quasi esclusivamente contabile-finanziario, è la mancanza di politiche, di prese di posizione di carattere veramente innovativo dal punto di vista economico. In pratica, non si fa alcuno sforzo per andare verso una politica che riesca effettivamente ad aumentare la ricchezza reale del paese: non si individuano politiche di rilancio, non si individuano politiche che possano veramente portare il sistema di impresa italiano verso possibilità di ampliamento e di sviluppo.
A fronte di ciò, quindi, quello che viene dichiarato come secondo obiettivo per il rispetto delle norme del Trattato di Maastricht, ovvero la difesa dell'occupazione, appare totalmente disegnato nell'aria: sostanzialmente non vi è null'altro che un tentativo di enumerare una serie di buone intenzioni e rimandare tutto ad un altro evento messianico, che poi dovrebbe essere


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la Conferenza nazionale sull'occupazione. Sappiamo cosa ciò significhi: sostanzialmente dar vita ad un grande evento comunicativo in cui il sindacato, il Governo, le parti sociali, enumereranno una serie di proposte che poi, sganciate da politiche di settore veramente serie ed equilibrate e dall'idea di rilancio del nostro sistema-paese, finiranno in pratica per ridursi a quei famosi lavori socialmente utili che sono totalmente inefficienti per il rilancio del tessuto economico e sociale.
Vorrei sottolineare anche altri aspetti. Per esempio, nel documento nulla o quasi si dice a proposito di quello che era stato un po' il fiore all'occhiello, il tentativo nuovo impostato dal Governo Berlusconi. Nulla si dice a proposito delle provvidenze previste dalla legge Tremonti per le imprese che reinvestono i propri utili in una politica di nuove assunzioni. Ebbene, questo tentativo è stato seppellito tra le pieghe e tra le righe del provvedimento collegato alla finanziaria, quando sostanzialmente le possibilità di aiuto sono state legate ai limiti di intensità di spese previste dalle leggi comunitarie, dimenticando di sottolineare come questi limiti siano estremamente ridotti e dimenticando di dire che sono limitati a dei settori che poco hanno a che fare con l'economia del nostro paese.
Oltre a ciò dobbiamo anche sottolineare che dal punto di vista dell'aumento delle entrate si ripropongono vecchie manovre di carattere puramente mistificatorio. Per esempio, quando si immagina di recuperare quasi 10 mila miliardi con manovre antielusive, si dimentica che queste hanno effetto a breve termine.
Quando viene realizzata una manovra antielusiva, sostanzialmente si producono mutamenti nei comportamenti fiscali dei cittadini; si tratta quindi di interventi che possono funzionare solo per pochi mesi, giacché poi il comportamento delle persone cambia. Dunque, è impossibile fare previsioni di rientro in base a misure antielusive.
A fronte di ciò, riteniamo che il Governo ed in generale il paese siano giunti ad un nodo non più risolvibile con semplici tentativi di carattere comunicativo e con coperture dell'informazione. Oggi siamo di fronte ad una scelta.
Premesso che tutte le forze politiche e sociali del paese devono riconoscere che l'Italia non è in grado di recepire l'imposizione di Maastricht, secondo i parametri attualmente individuati, e se si accetta quello che è stato il grande vanto, la caratterizzazione del Governo Prodi (appunto il rispetto di quei parametri e l'ingresso dell'Italia in Europa), avallando la definizione di «euroscetticismo» della posizione di alleanza nazionale, o si affronta il problema con tutta la forza politica del nostro paese pervenendo ad una rinegoziazione del Trattato, oppure bisogna ammettere che occorre adottare politiche di rigore e di intervento, che sono di tutt'altra natura rispetto a ciò che è contenuto nel documento in discussione.
Si può scegliere una strada o l'altra: si può, come noi preferiremmo, decidere per la rinegoziazione del Trattato, con un'attenzione alle realtà sociali del paese e nella consapevolezza che, forzando la situazione, si rischierebbe come ha affermato lo stesso Presidente del Consiglio Prodi di portare al traguardo un paese morto; oppure anche se ciò determina perplessità e può apparire più difficile ci si può muovere nella direzione indicata, ma avendo ben presenti tutte le eventualità. Non è invece assolutamente consentito rinviare una riflessione sulla situazione, continuando a mentire sulle cifre ed a delineare politiche sulla carta, facendo finta di niente rispetto a documenti di programmazione economico-finanziaria che sono sistematicamente falliti.
Si è fondata la nascita della seconda Repubblica sulla critica profonda del consociativismo partitocratico, rilevando che quest'ultimo comportava in medesimi Governi politiche profondamente divergenti. Ebbene, oggi constatiamo che il Governo Prodi ricade in tali errori in maniera più marcata dei Governi tecnici che lo hanno preceduto. Quindi notiamo un passo indietro rispetto all'evoluzione del paese.


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Vogliamo sottolineare anche un altro aspetto: siamo convinti e su ciò aveva preso l'avvio il Governo Berlusconi che la strada da intraprendere sia quella che punta ad un aumento della ricchezza reale, incrementando cioè la capacità di intervento e di sviluppo delle imprese italiane, rilanciando il sistema-paese, affrontando la sfida della globalizzazione, dando più forza alla struttura della nostra economia reale. A fronte di tutto ciò non possiamo non sottolineare che nulla viene detto in termini concreti, come è stato ribadito in diversi interventi. Infatti nei confronti dei diversi settori, nei quali si potrebbe ipotizzare un rilancio della nostra economia reale, non si compie alcuno sforzo di fantasia per costruire politiche diverse.
Dinnanzi a tutto ciò temiamo che la medicina che verrà propinata dal centro-sinistra al paese porterà sempre più verso la depressione. Magari si guarderà ai problemi di una moneta forte senza però rendersi conto che la lira forte, se non è collegata ad un'economia forte, rischierà soltanto di determinare speculazioni legate ai grandi interventi della finanza internazionale e non alle necessità effettive del popolo italiano.
In considerazione di tali valutazioni, condanniamo non solo con un voto contrario, ma anche con un giudizio complessivamente negativo sull'attuale fase politica, il documento di programmazione economico-finanziaria.
Condanniamo il documento in discussione perché lo ripeto continua a commettere vecchi errori che non sono più accettabili. Né è ammissibile assistere al mercanteggiamento sulle cifre com'è avvenuto tra rifondazione comunista e l'Ulivo a proposito del tetto d'inflazione programmata e dei limiti contrattuali; non è accettabile perché qui non stiamo ragionando in termini di generici effetti programmatici, ma di cifre su cui si costruiscono poi le politiche di Governo.
A fronte di ciò possiamo dire, in conclusione, che a pochi mesi, a poche settimane dalla nascita di questo Governo, rileviamo delle incertezze profonde. Certo, può esserci obiettato che anche il Governo Berlusconi aveva delle incertezze, ma noi abbiamo l'orgoglio di dichiarare che magari quelle incertezze erano legate ad un nuovo che stentava a nascere ed a crescere. Noi invece accusiamo il Governo Prodi di avere delle incertezze consistenti nel continuare a ripetere, con risorse e fantasia sempre minori, gli errori del passato.
Ebbene, di fronte a queste incertezze, all'incapacità di dare una prospettiva chiara al paese e di evitare di mentire sulle cifre, credo che questo Parlamento debba dare dei segnali precisi. Abbiamo bisogno di un Governo che vada verso la nuova Repubblica che gli italiani si aspettano non soltanto con riforme istituzionali, che sono la premessa logica, ma anche con un grande progetto di rilancio del sistema paese. La realtà nazionale italiana ha bisogno di un progetto che ricollochi e ridefinisca il ruolo della nostra nazione rispetto all'estero, affinché vada in Europa non con un'economia morta e stanca, ma con una economia che sia in grado di sostenere un confronto ravvicinato con quelle degli altri paesi europei. Se questo non sarà fatto, Maastricht sarà per noi il passaggio verso l'effettiva depressione; Maastricht sarà per noi la scelta tra una totale subordinazione alle economie degli altri paesi europei, oppure quello che più volte è stato sottolineato come il rischio di uno slittamento verso il Terzo mondo. Per questo crediamo che sia veramente tempo di smettere di giocare con le cifre e di mentire ai cittadini italiani, di cessare di giocare ad una concertazione che finisce sempre per essere una sorta di compromesso sulla pelle dell'economia reale. Per queste ragioni il nostro voto sul documento di programmazione economico-finanziaria sarà negativo. Vorremmo infatti che la politica economica del nostro paese si facesse carico delle necessità realmente avvertite (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Biasco. Ne ha facoltà.


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SALVATORE BIASCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, brucerei molto del mio tempo richiamando le cifre e le entità dello sforzo fiscale che il paese persegue dal 1992, ma è sbagliato dimenticarle: più di 200 miliardi di manovre e di correzioni. È sbagliato anche dimenticare che ciò è avvenuto senza che il paese avesse alle spalle l'aiuto di un piano europeo per l'occupazione od un disegno europeo per il recupero dell'imponibile sulle basi più mobili, una condizione che certo penalizza l'Italia più di altri paesi.
Stiamo perseguendo una convergenza che sarebbe più facile ottenere dentro un'unione monetaria che come processo di avvicinamento ad essa. In più, il cammino di risanamento ha avuto nel 1994 un ritorno all'indietro da cui sono nate tutte le dinamiche che sono alla base delle difficoltà del quadro specifico del paese, con cui stiamo facendo i conti oggi.
Al punto in cui siamo, tuttavia, non abbiamo altra scelta che arrivare in fondo al processo con regolarità e determinazione, imboccando una dirittura d'arrivo che, se non ci porterà a tagliare il traguardo nel 1999 (ma io spero che ciò possa verificarsi), ci consentirà di raggiungerlo uno o due anni dopo.
Mi sono sforzato di capire, attraverso gli interventi svolti dagli esponenti del Polo oggi in aula e ieri in Commissione (ho letto i resoconti di tutte le audizioni e le memorie), se esistano vie alternative a questo DPEF. Ricordo che è in discussione un quadro di flussi e di obiettivi che dovranno essere riempiti da provvedimenti specifici. Nessuno pensa che l'entità dell'intervento previsto sulla spesa e sulle entrate possa essere soddisfatto senza cambiare i meccanismi stessi di funzionamento del settore pubblico, senza un'ampia riorganizzazione dello Stato e dei criteri di intervento e senza una riorganizzazione dello stesso Stato sociale. Ma questo non è in discussione oggi. Ci confronteremo su questi aspetti quando sarà il momento. Oggi non è in discussione neanche il merito della manovra correttiva per il 1996.
Sforzandomi di capire le alternative, ne leggo due negli interventi dell'opposizione. La prima è l'adesione alla linea indicata dal professor Monti: arrivare subito, nel 1997, ad un deficit pari al 3 per cento del PIL. Questa alternativa ha trovato sostegno nelle dichiarazioni dell'onorevole Berlusconi, dell'onorevole Marzano in Commissione (qui in aula non ho capito bene se aderisse ancora ad essa); ne hanno parlato inoltre l'onorevole Delfino e l'onorevole Colletti. L'altra linea è quella espressa oggi dall'onorevole Rasi; la colgo anche in alcuni interventi che mi hanno preceduto, come quello del collega Nocera e dello stesso Alemanno. Questa alternativa l'abbiamo sentita anche in Commissione nella dichiarazione di voto contrario al DPEF dell'onorevole Viale del gruppo di forza Italia, sulla considerazione che il documento di programmazione economico-finanziaria segna una linea recessiva, non provvede ad una detassazione che tonifichi l'economia e rilanci l'esportazione attraverso la ridiscesa del cambio.
Si tratta di due linee divergenti, che si ritrovano talvolta nello stesso intervento, che andrebbero chiarite nei loro meriti, non tanto a fini polemici con l'opposizione (perché forse qualche dimostrazione di simpatia la raccolgono sia l'una che l'altra all'interno della maggioranza), ma per capire se veramente ci stia sfuggendo una qualche alternativa che è a portata di mano.
Linea espansionistica? Non potrebbe che venire per via fiscale, attraverso il mancato recupero delle una tantum, attraverso sgravi sulle imprese e sulle famiglie, attraverso l'accelerazione degli investimenti pubblici.
Certo, se seguissero consumi ed investimenti privati, si potrebbe sicuramente alzare di 0,3-0,4 punti percentuali la crescita del PIL nel 1997 e successivamente anche di qualche punto in più. Non sto pensando ad una linea che deroghi dal rientro, bensì ad un intervento che blocchi sui 120 miliardi il deficit pubblico.
Le simulazioni ci dicono che i tassi sui BOT in questo caso perché la Banca centrale non potrebbe che essere rigorosa


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arriverebbero al 3 per cento in più rispetto agli scenari alternativi; quelli a lungo termine arriverebbero al 2 per cento in più, a partire già dal 1997; poi, si alzerebbero. Il cambio si assesterebbe sul 10-15 per cento di svalutazione; l'inflazione, dopo essere rimasta 2-3 anni al 4,5 per cento, se ne andrebbe di nuovo al 6 per cento.
L'accrescimento della spesa degli interessi arriverebbe all'11 per cento del PIL e porterebbe comunque, sotto la pressione dei mercati, alle stesse manovre di oggi senza più alcun beneficio, che invece al momento attuale è possibile conseguire.
In ogni caso, tutte queste simulazioni ci dicono che alla fine avremo minor reddito, minore occupazione, un risanamento più difficoltoso, sempre che tutto possa essere tenuto sotto controllo e che non ci attenda un destino di tipo messicano.
Lo scenario alternativo richiede, all'opposto, che già da ora si avviino correzioni di bilancio pubblico per circa 60 mila miliardi. Anche questa alternativa ha le sue simulazioni. È giusto pensare che la correzione addizionale si ripaghi da sé per una parte attraverso una più rapida caduta dei tassi di interesse, per cui la stessa correzione potrebbe avvenire con una tantum. Ma in verità si ripaga non integralmente ma per metà, non immediatamente ma dopo uno o due anni. A fronte di ciò è indubbio che vi sarebbe un effetto deflazionistico che probabilmente sacrificherebbe l'1 per cento di crescita, comunque sia congegnata la manovra.
Molte cose, a parità di condizioni, date per scontate in questo scenario potrebbero non verificarsi: innanzitutto, l'abbassamento del tasso di crescita potrebbe rendere la manovra, quale che ne sia l'entità, un cane che si morde la coda, nel senso che non si raggiungerebbero comunque gli obiettivi. In secondo luogo, il contesto sociale muterebbe radicalmente, con ciò rendendo impossibile qualunque obiettivo.
Il quadro presentato dal Governo raggiunge quindi una sorta di equilibrio tra gli effetti positivi e quelli negativi che possono scaturire da varie entità dell'intervento. Ricordo che anche quel quadro è abbastanza severo (il Governatore della Banca d'Italia ritiene che la manovra prevista nel documento di programmazione economico-finanziaria sia di notevole serietà e peso e vada realizzata con provvedimenti strutturali) in quanto è estremamente impegnativa. Ritengo che oggi sia in un certo senso un bene pubblico delineare un quadro di rientro e che l'opposizione darebbe una dimostrazione di responsabilità nazionale se contribuisse positivamente a delinearlo, anche se ci divideremo sui provvedimenti specifici.
Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione di considerazioni integrative al mio intervento in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, onorevole Biasco.
È iscritto a parlare l'onorevole Cavaliere. Ne ha facoltà.

ENRICO CAVALIERE. Presidente, colleghi deputati, rappresentanti del Governo, la discussione sul documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 1997-1999 alla quale abbiamo assistito non ci ha per nulla soddisfatto.
Il gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania ha presentato una relazione di minoranza (illustrata questa mattina dal collega Pagliarini) e, in base ad essa, una risoluzione. Quest'ultima parte dalla constatazione che lo Stato centrale non può più reggere e che le forme di autodeterminazione e di indipendenza che vengono spontaneamente dal paese non possono più essere disattese. È anche l'unica risoluzione di minoranza che la Camera sarà chiamata a votare; essa proviene dal parlamento di Mantova e, tramite il «Governo sole», arriva a Roma. Sono realtà con le quali bisogna fare i conti e con cui lo Stato non può usare solamente l'arte dell'esorcismo.
Con il documento di programmazione economico-finanziaria il Governo ha rappresentato tutti i suoi limiti, le sue ambiguità e la sua eterogeneità. Ha rappresentato


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i suoi limiti perché con quel documento non si andrà mai in Europa; abbiamo sempre detto e ripetuto che con questa organizzazione del sistema-paese non avremmo mai potuto rispettare i parametri di Maastricht. Dunque, era ed è ora più che mai necessario cambiare la struttura e l'organizzazione del paese.
Durante la campagna elettorale l'Ulivo si era impegnato solennemente con gli elettori, ricordando ad ogni occasione la necessità di arrivare puntuali alla scadenza della moneta unica. Ma, come abbiamo visto, anche se il Governo do-vesse centrare tutti gli obiettivi previstidal suo documento, l'Italia non potrà mai rispettare i parametri del Trattato di Maastricht.
È incredibile che nel documento di programmazione economico-finanziaria si leggano frasi come la seguente: «Il mutamento del quadro economico non consente al momento una accelerazione del processo di avvicinamento ai criteri di convergenza». Ma quale mutamento di quadro economico? Le cose non sono cambiate in modo così significativo dall'epoca della campagna elettorale e da quando il Governo Prodi ha chiesto la fiducia. Spero che il Governo non voglia far credere agli italiani che il quadro economico sia cambiato così improvvisamente: un brutto mattino Prodi, Ciampi e Visco si sono svegliati e qualcuno ha detto loro che il quadro economico era mutato, che si era deteriorato!
La verità è che tutti sanno che con un paese organizzato in questo modo la situazione dei conti pubblici è insostenibile, continuerà a peggiorare e il debito pubblico trascinerà il paese nel baratro. L'eterogeneità del Governo porta ad un continuo scontro tra un'impostazione capitalistica dell'economia, voluta e propugnata da alcuni ministri, e un'impostazione assistenziale e clientelare, voluta da altri. Assistiamo giornalmente ai ricatti di rifondazione comunista, alle impuntature tipoDiktat di Bianco, ai tentativi di mediazione oggi di Prodi e domani di D'Alema. È una eterogeneità che esplode maggiormente sui temi economici, perché il Governo, con il rapporto che ha istituito con i sindacati e i partiti, non può governare ma solamente tentare di mediare, scontentando tutti.
La nostra risoluzione di minoranza invita il Parlamento a modificare l'articolo 81 della Costituzione, nel senso che lo Stato sia autorizzato a contrarre debiti da utilizzare solamente per effettuare investimenti e non per pagare interessi su altri debiti.
L'ambiguità della maggioranza, infine, è riflessa anche nel documento in esame, in quanto il Presidente del Consiglio, primo fra tutti, non potrà mai scrollarsi di dosso il fatto di essere stato l'uomo che De Mita impose alla guida dell'IRI e che fece le peggiori operazioni finanziarie ai danni dei contribuenti italiani e in favore di grossi gruppi economici ben definiti. È inutile volersi oggi riciclare. È inutile, onorevole Prodi, autodefinirsi il Robin Hood della politica italiana: non dimentichi che Robin Hood era il principe dei ladri. La stessa ambiguità si manifesta quando il ministro dei lavori pubblici intende proporre di cacciare i dirigenti dello Stato che vivono al di sopra delle loro possibilità economiche: anche quelli, signor ministro, che comprano con un prestito la Mercedes?
Abbiamo presentato una nostra relazione di minoranza e proporremo una risoluzione. Preannuncio pertanto che voteremo contro la proposta del Governo e ci esprimeremo a favore della sola risoluzione presentata dal gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, che ha anche presentato l'unica relazione di minoranza. Ancora una volta Roma-Polo e Roma-Ulivo manifestano chiaramente la loro ormai neppure molto tacita intesa (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bastianoni. Ne ha facoltà.

STEFANO BASTIANONI. Signor Presidente, colleghi, il tempo che ho a disposizione mi consente di fare solo alcune brevi considerazioni sul DPEF, con particolare riferimento all'emergenza occupazione.


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In estrema sintesi, possiamo dire che ci troviamo di fronte ad un documento che ha un carattere eminentemente finanziario, privo com'è di indicazioni strategiche e autenticamente programmatiche. In sostanza, l'intera azione di politica economica si riconduce al raggiungimento di determinati parametri di riferimento, che peraltro appaiono scarsamente credibili. Passando al campo delle politiche per l'occupazione, si rimane al livello delle enunciazioni, mentre restano vaghi o del tutto assenti i tempi di realizzazione degli obiettivi dichiarati. Si invocano una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, misure di sostegno alla nuova imprenditoria assieme alla riproposizione dei lavori di pubblica utilità e a programmi di inserimento di giovani nella pubblica amministrazione. A questi si aggiunge un generico impegno di realizzare un piano straordinario per gli investimenti pubblici da finanziare nell'arco di un triennio. È decisamente troppo poco.
Credo che nell'affrontare l'emergenza lavoro la prima vera preoccupazione del Governo dovrebbe essere quella di assicurare alle giovani generazioni di oggi le stesse opportunità di coloro che li hanno immediatamente preceduti. Dobbiamo riconoscere che, per la prima volta nella storia del paese, con ogni probabilità il futuro dei giovani di questa generazione non potrà vedere migliorare le proprie condizioni rispetto a quelle dei loro padri; potrebbe anzi accusare un vistoso arretramento. Si va sempre più innalzando l'età di ingresso nel mondo del lavoro. Fino a qualche decennio fa era attorno ai vent'anni; grazie ad una più elevata scolarizzazione ha finito per spostarsi attorno ai 25-30 anni, avviandosi drammaticamente, in alcune situazioni, in particolare al sud ma non solo, verso i quarant'anni. Esiste oggi una fascia consistente di una generazione, che comprende molte donne, che rischia per sempre di essere tagliata fuori dal mondo del lavoro. Questi giovani non possono essere considerati «figli di un Dio minore». Dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che lo Stato sociale italiano oggi serve soprattutto a garantire chi è già garantito e per certi versi privilegiato mentre dà poco o niente a chi si trova in condizioni di reale bisogno.
Su questa situazione anche il sindacato dovrebbe aprire una seria ed approfondita riflessione ed agire di conseguenza. È stato detto che l'occupazione cresce in modo qualitativo e quantitativo se si sviluppano imprese sane e dinamiche. Ciò richiede un contesto che favorisca tale processo anziché penalizzarlo, se non vogliamo che le nostre imprese trasferiscano all'estero proprie unità produttive. Gli investimenti industriali devono essere sostenuti anche da norme fiscali di carattere generale, come il rilancio su base organica della legge sugli utili reinvestiti, e di carattere specifico per le aree depresse, come l'esenzione da IRPEG ed ILOR per un determinato periodo di tempo. Particolare attenzione deve essere inoltre dedicata ad una piena valorizzazione del ruolo prezioso svolto dalle piccole e medie imprese e dall'artigianato per l'apporto occupazionale di valore aggiunto che sono in grado di offrire come fondamentale fattore di sviluppo.
È indispensabile proseguire la riforma del mercato del lavoro per rendere i meccanismi più snelli e adeguati alle caratteristiche attuali dei sistemi produttivi. Anche la pubblica amministrazione deve avere un'attitudine più favorevole allo sviluppo delle imprese.
In questo contesto mi avvio alla conclusione, signor Presidente si inquadra...

PRESIDENTE. Non si avvia alla conclusione, conclude!

STEFANO BASTIANONI. Concludo, signor Presidente.
In questo contesto si inquadra la riforma del collocamento con la fine del monopolio pubblico e una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, con l'introduzione del lavoro interinale, l'istituzione del job sharing (la divisione di un posto fra due persone), l'estensione del part time e dei contratti a termine, anche per fronteggiare


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i picchi di domanda, specie stagionali, i patti territoriali.
Vi è poi un grande capitolo...

PRESIDENTE. Per cortesia, onorevole Bastianoni, ha già «sforato» di un minuto. Non vi è un «poi», non vi è più nulla.

STEFANO BASTIANONI. ... dal punto di vista legislativo e fiscale, quello del cosiddetto terzo settore, il no profit, sul quale vi sono pesanti ritardi dal punto di vista legislativo e fiscale da parte del nostro paese.
Sono queste...

PRESIDENTE. Basta così, per cortesia. Ha parlato due minuti in più (Applausi)!
È iscritto a parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, se fosse presente il Presidente del Consiglio ricorderebbe senz'altro la prima riunione dei segretari politici dei partiti dell'Ulivo, che si svolse l'8 giugno 1995. Nel corso di quella riunione io posi immediatamente il quesito della posizione della nostra coalizione circa l'unione monetaria e i parametri di Maastricht. Chiesi se la coalizione, respingendo le incertezze, anzi l'aperta ostilità del Governo Berlusconi al Trattato di Maastricht, avrebbe avuto come obiettivo la piena partecipazione dell'Italia all'Europa o se invece, più mestamente, si dovesse proporre di accompagnare l'emarginazione del nostro paese dall'Europa.
La domanda era giustificata perché non mi sfuggono né mi sfuggivano i dati terribili della situazione economica (sono stati ricordati pochi minuti fa dall'onorevole Biasco e da molti altri). Ma la risposta a quella domanda è in un documento che fu approvato unanimemente dalla coalizione dell'Ulivo e che recitava testualmente: «La coalizione ritiene che l'obiettivo fondamentale nell'azione di Governo debba essere quello di assicurare la piena partecipazione dell'Italia alle tappe prossime del processo di integrazione europea e, in particolare, il rispetto del Trattato di Maastricht».
Mi rivolgo a lei, signor Presidente del Consiglio, al ministro del tesoro e ai colleghi della maggioranza: il documento di programmazione economica che stiamo per approvare rispetta quel nostro impegno? Comprendo che trovandoci davanti ad una opposizione che non aveva e non ha una posizione filoeuropea, che non ha una posizione chiara ma piena di ambiguità, possiamo pensare che le nostre incertezze, la rinuncia all'obiettivo che noi stessi c'eravamo dati possano non essere percepite come una sconfitta politica. Ma il problema è in sé rilevante e non dipende dall'accordo che abbiamo fatto con rifondazione, il quale non modificava sostanzialmente l'impostazione del documento di programmazione economica e conteneva anche un riferimento ai problemi dell'occupazione che considero importante e positivo. Il problema, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, è il DPEF in sé, con quel 4,4 per cento o forse 5,5 per cento di deficit che ci condanna all'esclusione dall'Europa.
Ciò che mi preoccupa, onorevoli colleghi, è l'assenza di una discussione aperta sugli aspetti politici, sulle conseguenze di questa decisione (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia). E non può essere la destra, da cui ho sentito discorsi contraddittori, a dare questo apprezzamento...

MARCO TARADASH. Non vorrai mica essere da solo!

GIORGIO LA MALFA. Non desidero essere solo. Mi fa piacere trovare delle concordanze, ma rilevo una contraddizione nelle posizioni del Polo.
Qualche giorno fa, onorevoli colleghi della maggioranza, il ministro del tesoro Ciampi ha detto testualmente: «Rimanere anche temporaneamente fuori dal gruppo di testa avrebbe ripercussioni che andrebbero al di là delle pur rilevanti conseguenze economiche, monetarie e finanziarie, pregiudicherebbe l'avvenire di intere generazioni». Allora questa decisione (che, lo ammetterete, ha conseguenze politiche enormi, che potrebbero portare l'Italia ai margini della costruzione europea) vogliamo


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affidarla, anziché ad una discussione seria e meditata, ad una frettolosa liquidazione, accompagnata da qualche pietosa bugia o da qualche speranza, sulla quale non possiamo contare? La speranza, per esempio, che nel 1999 ci venga fatto uno sconto: ho sentito affermare che non si potrà dire di no ad un'Italia che negli ultimi cinque anni ha migliorato il deficit corrente e così via. Si potrà, invece, dire di no, perché se l'accordo sarà quello di partire il 1^ gennaio 1999 non ci sarà posto per i paesi che abbiano un deficit superiore al 3 per cento e già difficilmente vi sarà posto per chi abbia un debito pubblico attestato su tale quota.
Onorevoli colleghi, ho poco tempo per svolgere il mio intervento, ma il nodo della questione è quello che ho indicato. Intendo rivolgermi all'onorevole Bertinotti, ma anche a buona parte della nostra maggioranza. Siamo certi che i nostri gravi problemi sociali, quelli dell'occupazione e dello Stato sociale, troverebbero una migliore risposta il giorno in cui fosse sancita l'esclusione dell'Italia dall'Europa? Quali effetti sui tassi di interesse e sul nostro indebitamento si determinerebbero all'indomani della certezza della nostra esclusione? Quale effetto si avrebbe sulla stabilità del cambio e quindi sul tasso d'inflazione? Mi chiedo, infine, quale banca centrale europea verrebbe in soccorso della moneta italiana se questa rimanesse fuori dall'euro. Già nel 1992 la banca tedesca non volle venire in nostro soccorso, malgrado gli impegni del sistema monetario europeo. L'Italia stessa, non solo la sua moneta, fluttuerebbe nel Mediterraneo, questo è il problema politico.
Concludo, signor Presidente, dichiarando che da queste considerazioni avrei dovuto trarre già oggi una posizione negativa sulla linea del Governo in materia, ma non lo faccio, per le parole contenute nel paragrafo 4.10 del documento e per la presenza del ministro Ciampi, che considero un impegno politico.
In autunno, signor Presidente e concludo -, dovremo valutare fino in fondo e seriamente tutto questo. Pensi, la maggioranza, ad Altiero Spinelli, pensino i popolari a De Gasperi e a Colombo e decidano se questa discussione non meriterebbe di essere ripresa in ben altro contesto (Applausi).

MARIO TASSONE. L'unico fatto negativo è che non ci sia La Malfa al Governo...!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vozza. Ne ha facoltà.

SALVATORE VOZZA. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, la presentazione del documento di programmazione economico-finanziaria è stata sempre l'occasione per dar vita ad una discussione ricca ed anche questa volta è così, ma la puntualità con cui tale appuntamento si ripete non può farci perdere di vista le forti novità che sono intervenute e che danno a questo dibattito un nuovo carattere ed un nuovo valore. Vorrei soffermarmi su questi aspetti.
In primo luogo, non solo siamo in presenza di un miglioramento di tutti gli indicatori, ma anche di una ripresa di prestigio e di credibilità del nostro paese a livello internazionale e se siamo in questa situazione lo dobbiamo anche ai costi che sono stati sopportati dai lavoratori, nonché al ruolo svolto dai sindacati. Risulta ormai chiaro a tutti, però, che i benefici della ripresa non sono andati ai lavoratori, né sono serviti a dare una risposta ai problemi dell'occupazione e del Mezzogiorno. La vittoria dell'Ulivo ed il nuovo Governo appaiono come risorse in più per il paese per ritrovare stabilità, fiducia nelle proprie capacità e credito a livello internazionale. È anche in ragione di ciò che la maggioranza deve sentire tutto intero il peso di questa responsabilità, a partire dalla ricerca del necessario consenso sulle scelte compiute.
La discussione di questi giorni sul tasso di inflazione programmata, sulla difesa del potere d'acquisto dei salari e sul rispetto dell'accordo del luglio 1993 con i sindacati avrebbe trovato gli stessi sbocchi cui si è giunti, senza che venissero decretati né


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vinti né vincitori, se solo le correzioni al documento richieste fossero state accolte, se i suggerimenti avanzati dalle forze della maggioranza fossero stati considerati apporti utili per migliorare un documento su cui abbiamo espresso ed esprimiamo un giudizio positivo.
L'altra novità che accompagna il documento di programmazione economico-finanziaria è rappresentata dal fatto che il perseguimento degli obiettivi fissati a Maastricht avviene in un quadro in cui emerge la piena consapevolezza che occorre rilanciare fortemente la nostra economia e che a questo appuntamento, dunque, deve arrivarci un paese che non solo ha avviato il risanamento della finanza pubblica e la riduzione dell'inflazione, ma che deve misurarsi, nello stesso tempo, con la grave emergenza occupazionale, con una situazione, come ci dicono tutte le recenti analisi, dove l'aumento della povertà, le condizioni di disagio delle famiglie italiane coincidono sempre più con il Mezzogiorno del paese.
Nelle scelte delineate nel documento c'è la convinzione che in Europa non possa andare solo una parte del paese; sarebbe una sconfitta per l'Italia.
L'altro aspetto che a noi appare rilevante è dato dal fatto che questa volta il dibattito che da tempo si svolge intorno ai temi del federalismo, della riforma della pubblica amministrazione, della semplificazione delle procedure amministrative, di poteri da trasferire alle regioni e ai comuni trova un primo sbocco concreto nelle proposte avanzate.
Nella risoluzione finale viene giustamente chiesto di perseguire una più consistente riduzione del tasso di disoccupazione rispetto a quanto previsto nello stesso DPEF: è un tema che tocca direttamente il Mezzogiorno. Su questo aspetto occorre necessariamente stabilire una maggiore coerenza tra le affermazioni riportate nel documento e le previsioni di crescita dell'occupazione. Nel documento si dice che non è lo sviluppo in sé bensì lo sviluppo con occupazione che si intende ricercare e che la creazione rilevante di posti di lavoro è al centro dell'attenzione del Governo. È un'affermazione che condividiamo, così come apprezziamo le prime misure che il Governo ha annunciato: dalle risorse messe a disposizione per i patti territoriali al disegno di legge per utilizzare i 10 mila miliardi previsti dalla precedente finanziaria.
Abbiamo però bisogno che anche le indicazioni contenute nel libro bianco relative alle grandi infrastrutture, a partire da quelle di Salerno e Reggio Calabria, decollino davvero. Ed è indispensabile ricercare nuovi meccanismi e definire nuove procedure con le regioni e con l'Unione europea per il pieno utilizzo dei fondi comunitari; oggi la situazione è inaccettabile: sono risorse alle quali non possiamo rinunciare. Occorre avere piena consapevolezza che ad una svolta si arriverà solo se al centro vi sarà una politica nazionale che abbia come obiettivo principale quello di unire il paese e non di dividerlo, quello di promuovere un vero e proprio processo di modernizzazione, dai servizi alle infrastrutture, al risanamento dei centri storici, a quello ambientale, al sostegno della piccola e media impresa: una nuova politica industriale che sposti verso il Mezzogiorno tecnologie, centri di decisione, ricerca scientifica.
La conferenza sull'occupazione annunciata dal Governo deve rappresentare l'appuntamento decisivo per aprire questa fase. Nel DPEF viene delineato un ventaglio di proposte, sulle quali occorrerà lavorare, sentire le parti sociali, definire proposte concrete. Guai però se tutto si riducesse al tema della flessibilità salariale nel Mezzogiorno!
La proposta avanzata nella risoluzione è di promuovere un piano straordinario per investimenti pubblici e per l'occupazione, finanziato con un volume di risorse non inferiore, nell'arco del triennio, ad un punto di percentuale del PIL, che configuri una innovazione rispetto alle tradizionali politiche economiche di grandi opere ed infrastrutture, privilegiando i settori ad alta intensità di lavoro, e che coniughi l'occupazione con lo sviluppo compatibile e la qualità culturale ed ambientale.


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Concludendo, dalla discussione sono emerse proposte positive; le vicende di questi giorni ci dicono che dobbiamo cogliere la volontà di rifondazione di dare il proprio contributo alla definizione del programma come occasione per dare maggiore stabilità alla stessa maggioranza.
È per questi motivi che noi, come sinistra democratica, daremo un voto positivo al documento (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo e dei popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cicu. Ne ha facoltà.

SALVATORE CICU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, considerando il tempo a mia disposizione mi soffermerò, con alcune valutazioni, in modo particolare sul Mezzogiorno.
Non si prospetta alcuna valutazione delle cause strutturali del divario e non vengono fornite indicazioni efficaci per affrontare il problema storico. La questione del Mezzogiorno si affronta non solo con risorse aggiuntive, che non esistono in questo documento di programmazione economico-finanziaria, ma anche e soprattutto con la razionalizzazione delle spese e la lotta agli sprechi. Se i fondi comunitari non vengono spesi, è illusoria la prospettiva di un intervento ordinario senza avviare un processo di modernizzazione della pubblica amministrazione.
Anche il più ordinario degli interventi dello Stato diventa un obiettivo irraggiungibile senza la presenza di competenti e responsabili amministratori locali che devono diventare parti vitali della ripresa. Ci vuole una rivoluzione sia sul piano tecnico sia su quello del costume.
Il Mezzogiorno, vittima principale della criminalità organizzata, della disoccupazione, del malgoverno è diventato nell'immaginario collettivo anche il dissipatore delle risorse prodotte nel paese. L'incapacità della classe dirigente nazionale si è trasformata nella scarsa vocazione al lavoro e all'impegno delle popolazioni meridionali. Gli investimenti per il risanamento del Mezzogiorno continuano ad apparire come beneficenza ed elemosina ed i meridionali come mendici e responsabili delle loro disgrazie.
Ancora una volta questo Governo, in piena conformità a quegli esecutivi e a quella classe politica che ha fatto saltare i conti pubblici per pagarsi il consenso elettorale, nel documento di programmazione economico-finanziaria si limita per il suo rilancio a mere dichiarazioni di principio.
Infatti nel documento si cerca di fornire una valutazione delle cause strutturali, ma del tutto genericamente ed in maniera superficiale si indicano intenzioni senza affrontare con la dovuta, necessaria, improcrastinabile importanza il problema.
I punti più deboli di questa manovra appaiono infatti quelli individuati come tutela della produzione e dell'aumento dei livelli occupazionali. Abbiamo un tasso di disoccupazione stimato al 24 per cento nel Mezzogiorno ed il Governo con questo documento, senza tenere in alcun conto l'importanza fondamentale di una ripresa del Mezzogiorno ai fini dell'ingresso dell'Italia in Europa, in maniera incoerente ed inefficiente continua a sottrarre risorse al sud anche attraverso l'aumento del costo del denaro, nonché delle aliquote contributive.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE (ore 17,05).

SALVATORE CICU. Da oltre un decennio si fa riferimento a stanziamenti di decine e decine di miliardi, ma queste previsioni di spesa non hanno mai trovato attuazione. A ciò si aggiunge il cosiddetto libro delle ulteriori favole, denominato nel documento di programmazione economico-finanziaria «libro bianco», opportunamente così definito stante la mancata presenza di alcunché in termini di concretezza.
Occorre rilevare i dati in termini reali: abbiamo un'inflazione ad un livello che è quasi tre volte quello della Germania e della Francia. L'inflazione è la più ingiusta delle tasse, diminuisce il potere d'acquisto


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di salari e pensioni, procurando una vera e propria distorsione nei meccanismi redistributivi, penalizzando nella sostanza la parte più debole del paese, il meridione. L'inflazione alta mantiene alti i tassi di interesse e quindi fa crescere l'indebitamento delle imprese, con tutto quello che ne consegue sul terreno delle politiche di sviluppo.
Infatti il problema del costo del denaro al sud è il grande assente della manovra, con riferimento soprattutto al fatto che esiste una differenza di livello dei tassi che raggiunge il 6 per cento per quanto concerne i prestiti interessanti i piccoli e medi imprenditori.
Non può essere liquidato il problema del costo del denaro al sud come derivato da maggiori livelli di sofferenza. L'inflazione alta, gli alti tassi di interesse, gli interessi disincentivati dall'abolizione della Tremonti e la domanda interna ancora modesta costituiscono ad oggi un negativo quadrilatero entro il quale viene ingabbiata l'economia.
Mi appresto a concludere, Presidente, e le chiedo di poter consegnare agli uffici considerazioni integrative del mio intervento perché vengano pubblicate in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
Aggiungo, concludendo, che con questo documento di programmazione economico-finanziaria non si va in Europa. Il pericolo peggiore è che una parte dell'Italia viva l'esclusione, a ragione o a torto, come la prova storica che altre parti d'Italia con il peso della loro maggiore dipendenza dalla sfera pubblica siano alla fine riuscite a staccarla dall'Europa. Invece che un passo in avanti verso la piena integrazione europea dell'Italia intera, si compirebbe così un passo indietro verso una minore integrazione nazionale (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Onorevole Cicu, la Presidenza autorizza senz'altro la pubblicazione di sue considerazioni integrative in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
È iscritto a parlare l'onorevole Widmann.Ne ha facoltà.

JOHANN GEORG WIDMANN. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, considero il documento di programmazione economico-finanziaria come uno schema, una rincorsa, un tentativo di superare gli esami di maturità per l'Europa. Tutti coloro che conoscono la situazione globale italiana sanno che questa rincorsa comporta grandi dolori e grandi fatiche. Questo tentativo richiederà rinunce e sacrifici. In fin dei conti dobbiamo pagare per i peccati del passato ai quali abbiamo contribuito tutti quanti. Dobbiamo pagare anche per gli evasori che hanno sfruttato lo Stato e dobbiamo pagare per i politici e per gli amministratori che erano convinti che lo Stato fosse a loro totale ed esclusiva disposizione, anziché al servizio di tutti i cittadini.
Sopportare il peso del passato sarà doloroso, ciò nonostante dobbiamo renderci conto che restare fuori dall'Europa comporterebbe un ulteriore peggioramento della situazione; è pertanto necessario risalire la china e trovare la strada che ci conduce verso l'Europa.
Riconosco al Governo di aver tentato con questo documento di trovare un equilibrio nella distribuzione dei sacrifici e di proporre provvedimenti che dovrebbero portare sulla giusta strada. L'impostazione delle azioni di politica economica è comunque da considerare buona anche perché non vengono «strapazzate» le capacità di contribuzione che ognuno può dare.
Nel settore fiscale bisogna introdurre al più presto la verità fiscale, un principio, questo, che è la base per la soluzione di tanti altri problemi e soprattutto per la difesa dello Stato sociale. Non dobbiamo cedere ancora una volta alla lobby degli evasori perché un cedimento in questo campo sarebbe la fine del cammino verso il progresso.
Inoltre dobbiamo prestare tutta la nostra attenzione al grave problema della disoccupazione. Favorendo la creazione di posti di lavoro con provvedimenti adeguati


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riusciremo non solo a dare lavoro, soprattutto ai giovani, ma anche a creare molteplici effetti positivi in vari settori.
Per quanto riguarda la scuola e la formazione professionale, sono dell'avviso che questo settore non debba subire tagli, bensì ulteriori investimenti per dare una preparazione ai nostri giovani che permetta loro di affrontare con successo il mondo del lavoro contrassegnato da uno sviluppo tecnologico velocissimo. Quindi non risparmiare, ma investire in una scuola che aiuti i giovani ad affrontare un futuro alquanto insicuro. A tale proposito, le proposte del ministro Berlinguer sembrano andare nella giusta direzione.
Il ministro Bassanini con la sua esposizione sulla riforma dell'amministrazione statale lascia intravedere buone prospettive. Finalmente si comincia a capire che l'amministrazione pubblica non è fine a se stessa ma è un servizio per i cittadini. È necessario responsabilizzare i dipendenti pubblici, facendo capire loro che non producono bulloni, ma che trattano problemi riguardanti persone o gruppi di persone e che dalla soluzione di questi possono dipendere anche destini personali od aziendali.
Devo insistere affinché la legge n.241 del 1990 venga finalmente applicata da tutte le strutture. Il sostegno alle famiglie è un compito fondamentale dello Stato. Se presente in modo decisivo, contribuisce allo sviluppo delle nostre famiglie in un clima sereno, risparmiandoci tanti problemi ed aiutandoci a far crescere delle generazioni responsabilizzate verso se stesse e verso gli interessi generali.
L'assistenza sanitaria deve essere garantita a tutti. I buoni propositi contenuti nel documento devono essere convertiti al più presto possibile in realtà al fine di evitare gli sprechi verificatisi durante la lunga fase di malamministrazione del settore.
Il federalismo garantisce più di altri provvedimenti il risanamento pubblico. Federalismo significa non solo gestione autonoma degli interessi regionali, provinciali e comunali, ma anche assunzione di responsabilità propria nei confronti del proprio territorio e dell'intero paese. Se ognuno governa bene la propria regione, la propria provincia ed il proprio comune, ottiene vantaggi per tutti. Essere contrari a questo concetto significa difendere interessi particolari, celati dal centralismo ormai totalmente fallito.
Se oggi dobbiamo riemergere da una profonda palude con tanta fatica e tanti sacrifici, lo dobbiamo proprio al centralismo che è tanto lontano dalla gente e, di conseguenza, tanto lontano dai loro problemi.
I lavoratori, con l'accordo del luglio 1993, hanno dato un grande contributo per la riduzione dell'inflazione.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, colleghi, ma dovete consentire all'onorevole Widmann di terminare il suo intervento.

JOHANN GEORG WIDMANN. Bisogna continuare nello spirito di questo accordo armonizzando la politica economica e sociale tra Governo e parti sociali e impegnando così tutti ad una responsabilità economica e sociale che contribuisce anche a difendere il potere d'acquisto dei redditi.
Con questa brevissima analisi mi sento in grado di esprimere un cauto parere positivo a nome della SËdtiroler Volkspartei (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare è l'ultimo intervento l'onorevole Volonté. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Onorevole Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, i problemi principali del sistema d'Italia si possono così riassumere: il riaggancio all'Europa e all'EURO, sui quali il documento non tratteggia alcuna strategia tesa al recupero di competitività per far fronte alle sfide della globalizzazione; la disoccupazione che, avendo natura strutturale, dovrebbe essere contrastata con una riforma sia del mercato del lavoro sia del ruolo dello Stato nell'economia con la valorizzazione delle piccole e medie imprese, uniche fonti di vera occupazione; gli squilibri territoriali, che


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si aggraveranno se non verranno risolti i primi due problemi e quello del debito pubblico. Afferma infatti Monorchio, ragioniere generale dello Stato, che il federalismo si potrà realizzare nel momento in cui avremo ridotto il debito pubblico e prosegue dicendo che non ci potrà essere compartecipazione dei tributi finché non avremo estinto il debito pubblico. Le regioni d'Italia però non possono aspettare.
Nel documento si afferma che lo Stato assistenziale non si tocca, che la pseudo riforma delle pensioni rimane così com'è, che si devono conservare sia i beni pubblici sia l'apparato burocratico della pubblica amministrazione e che, infine, è necessario mantenere uno dei sistemi fiscali più oppressivi del mondo. È un documento che si può sintetizzare nel concetto che tutti prendono a dismisura dalle generazioni future, scaricando su di esse debiti e tensioni che non potranno essere sopportate. Questa politica ricade anche sui non occupati, sulle imprese non protette, sulle nuove imprese, sul ceto medio produttivo, sugli amministratori locali responsabili.
Quali sarebbero state le nostre linee di intervento prioritario? È presto detto: la riforma della previdenza con un aumento dell'età pensionabile, con la fissazione di un tetto minimo e massimo alla previdenza pubblica e con un'azione volta a favorire la previdenza integrativa; la riforma della sanità, volta a garantire i più deboli di fronte a vere e proprie situazioni di bisogno e parallelamente a favorire forme di assicurazione privata; infine, aprendo ai privati il settore sanitario con uguali diritti e doveri dell'operatore pubblico. A tale proposito si veda la riforma sanitaria della regione Lombardia che verrà approvata tra breve.
Per quanto ci riguarda, saremmo intervenuti per snellire il processo di privatizzazione di tutto ciò che non è essenziale per la pubblica amministrazione. Qui è bene ascoltare il Cattaneo quando descrive la liquidazione della manomorta pubblica all'inizio del 1700, dopo la cessazione del dominio spagnolo in Lombardia: «Dalla metà del secolo» egli dice «si attivò un'immensa divisione e suddivisione dei beni; il numero dei possidenti crebbe nella proporzione stessa in cui crebbero i frutti. Si abolirono le manimorte, si rimisero in circolazione i loro sterminati beni, si riordinarono le amministrazioni comunali, si abolirono i vincoli del commercio e quasi tutti i regolamenti che inceppavano le arti».
Per risolvere i problemi legati alla disoccupazione e agli squilibri territoriali avremmo ridotto il costo del lavoro e la forbice fra costo del lavoro complessivo e retribuzione diretta del lavoratore; favorito il recupero di competitività delle imprese italiane reintroducendo la legge Tremonti e riducendo l'assorbimento del risparmio da parte dei titoli di Stato riattivando la legge Ossola. Dobbiamo purtroppo registrare che l'accordo raggiunto dal Governo con rifondazione comunista, oltre a creare un forte disagio tra le parti interessate alla concertazione, oltre a reintrodurre, grazie al suo meccanismo automatico di aggiustamento e di recupero dell'inflazione reale, una scala mobile con quel che ne consegue sui conti pubblici certamente creerà forti spinte di rincorsa salariale in tutti i settori economici.
Avremmo riformato il mercato del lavoro con la piena applicazione del protocollo del 1993; infine, avremmo ridotto la spesa pubblica bloccando il turn-over, le nuove assunzioni e varando un piano pluriennale di sfoltimento della pubblica amministrazione.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Volonté, la avverto che ha terminato il tempo a suo disposizione.

LUCA VOLONTÈ. La nostra opposizione dimostrerà l'attaccamento che abbiamo ai semplici atti della realtà italiana. La nostra azione politica sarà rivolta a riconoscere ed armonizzare ciò che c'è: dal no profit alle famiglie fondate sul matrimonio, dall'abolizione dei novantanove versamenti ed adempimenti per ogni piccola e media impresa all'anno, alla diminuzione del rischio della propria vita per chi intraprende al sud.


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Contra factum non valet argumentum: il Governo prima ne prenderà atto e prima eviterà di trascinarsi verso il baratro o di essere travolto da avvenimenti più gravi ed imprevedibili. A questo documento non possiamo dire sì né per noi né per i nostri padri né per i nostri figli (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU e di forza Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
Avverto che sono state presentate le risoluzioni Mussi ed altri n.
6-00001, Comino e Pagliarini n.6-00002, e Pisanu ed altri n.6-00003 (vedi l'allegato A).
Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, deputato Pagliarini.

GIANCARLO PAGLIARINI, Relatore di minoranza. Oggi abbiamo avuto conferma di una cosa: vedete, da varie dichiarazioni ci era sembrato almeno a parole che quasi tutti i membri del Parlamento fossero improvvisamente diventati federalisti; nel dibattito di oggi i rappresentanti del Polo e dell'Ulivo hanno parlato di tutto spesso con serietà, profondità di pensiero e consapevolezza dei problemi ma se domani leggerete il resoconto stenografico vedrete, salvo rarissime eccezioni oltre ai membri del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, che nessuno ha parlato della necessità di cambiare l'organizzazione dello Stato, di decentrare, di togliere il potere ai politici, alla burocrazia dei ministeri e degli enti romani, di restituirlo al popolo, ai comuni, ai sindaci e agli enti locali (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Adesso, se ce ne era bisogno, abbiamo la conferma che forse Polo e Ulivo hanno punti di vista diversi su qualche argomento, ma su una cosa sono assolutamente d'accordo: sulla necessità di non cambiare niente, di lasciare tutto il potere qui a Roma a loro disposizione, perché per loro il potere e la tutela del potere sono evidentemente la cosa più importante.
Per quanto riguarda il nostro ingresso nell'unione monetaria, è stato detto che un solo paese, il Lussemburgo, oggi rispetta i parametri del Trattato di Maastricht. Devo dire che tutti, salvo Italia e Grecia, hanno presentato documenti contabili che confermano come obiettivo il rispetto del Trattato di Maastricht entro il 31 dicembre 1997.
Visto che molti colleghi sono intervenuti invocando maggiore impegno contro l'evasione fiscale, dirò che finché i soldi delle tasse non andranno agli enti locali ma ad un Governo centrale lontano mille miglia dai bisogni dei cittadini, finché la responsabilità di identificare gli evasori sarà propria di un ministero romano, anch'esso lontano anni luce dai cittadini, certamente l'evasione non diminuirà; anzi, con queste aliquote e con l'aumento della pressione fiscale previsto nel DPEF vedrete aumenterà.
La soluzione è una sola, il problema si potrà risolvere solo quando vi sarà un'inversione dei flussi fiscali, perché non è logico che i cittadini di Bergamo paghino le tasse, che i soldi affluiscano qui a Roma e poi quest'ultima trasferisca nuovamente le risorse finanziarie al comune e alla provincia di Bergamo. Questa è una follia; è necessario che in prima battuta tutti i proventi delle tasse rimangano nelle regioni, che le regioni ed i comuni abbiano la piena responsabilità dell'accertamento dei redditi fiscalmente imponibili, nonché del perseguimento degli evasori; dopo, con la massima trasparenza si deciderà che cosa mettere in comune per le spese generali dello Stato, per le infrastrutture di interesse nazionale, per pagare alle scadenze dovute le quote del vecchio debito pubblico, per la solidarietà e per la perequazione. Chi vuole combattere seriamente l'evasione fiscale dovrebbe votare a favore della proposta di soluzione presentata dal gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, illustrata dal collega Cavaliere, la quale contiene questo principio e queste tecniche. Altrimenti, vuol dire che qualcuno vuole combattere l'evasione fiscale solamente a parole. Infine, è stato ricordato che l'Ulivo si è sempre impegnato


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a rispettare il Trattato di Maastricht ed a consentire l'ingresso dell'Italia sin dall'inizio nell'unione monetaria (il collega La Malfa ricordava i discorsi fatti proprio all'inizio dai deputati dell'Ulivo). I cittadini della Padania si sentono europei, sanno che le migliori leggi approvate dal Parlamento negli ultimi anni sono quelle che hanno recepito direttive comunitarie. Le società e le aziende della Padania vogliono pagare gli stessi tassi di interesse che pagano i loro concorrenti europei.
Dunque, coraggio! La maggioranza è ancora in grado di modificare la proposta di risoluzione; tutto quello che dovete fare è togliere qualche privilegio e tagliare qualche spesa inutile. Fate questo sforzo, voi che avete la maggioranza, per portare il paese in Europa! In fondo si tratta solo di tagliare qualche spesa. Ecco qualche esempio: non diamo una lira al Banco di Napoli, ma chiudiamolo e vendiamo gli sportelli (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)! Non spendiamo i 3.500 miliardi stanziati per il Giubileo; il paese è povero (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)! Vedrete che il buon Dio, che ha fatto nascere suo figlio nella povertà, capirà; e se capirà il buon Dio vedrete che capiranno anche Rutelli e i suoi amici e, se non capiranno, pazienza (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)! E ancora: identificate i dipendenti statali in eccesso, toglieteli dagli organigrammi, metteteli in mobilità e intanto utilizziamoli per lavori di pubblica utilità!
Insomma, signori del Governo, vi chiedo solo un po' di coraggio e di onestà intellettuale: l'Europa è troppo importante e i cittadini della Padania non vogliono rinunciare ad essere, a pieno titolo, cittadini dell'Europa (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)!

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, onorevole Cherchi.

SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Parlerò, onorevoli colleghi, solo per pochissimi minuti, poiché è giustamente atteso l'intervento anzi gli interventi del Governo, così autorevolmente rappresentato. Puntualizzerò rapidamente soltanto quattro gruppi di questioni che sono state poste nel corso del dibattito.
I numerosi colleghi dell'opposizione, ma anche taluno della maggioranza, hanno affermato che gli obiettivi posti dal documento, ancorché conseguiti, porrebbero il paese nella condizione di non potersi neppure presentare come candidato all'unione monetaria, quanto meno come candidato alla partecipazione all'unione monetaria, sin dal 1^ gennaio 1999. Rispondo con gli argomenti di quanti, nel corso del dibattito, hanno sottolineato che l'unione monetaria non è un appuntamento per esami o per verifiche ragionieristiche, ma è essenzialmente un incontro tra economie virtuose e, non a caso, il Trattato e gli allegati fanno riferimento ai parametri e alle tendenze in atto.
Il documento propone, anche in relazione alla questione del disavanzo delle pubbliche amministrazioni, che entro il 1998, quindi nell'esercizio antecedente alla decorrenza del 1^ gennaio 1999, il parametro dell'indebitamento delle pubbliche amministrazioni sia contenuto entro il 3 per cento del prodotto interno lordo. Quindi, quanto è stato già fatto e quanto il documento propone venga fatto consentirà all'Italia, che non è certo un piccolo paese, di presentarsi a testa alta all'appuntamento...

LUCIO COLLETTI. Ti sbagli completamente!

SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza ... di decisioni che sono particolarmente significative per l'Europa. La risoluzione proposta dalla maggioranza assume l'obiettivo della partecipazione dell'Italia all'unione economica e monetaria senza incertezze, in quanto questo obiettivo è rispondente ad un interesse generale per il paese e in quanto costituisce un


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passo di grande rilevanza, comunque necessario verso l'unione politica.
Nell'assumere questo obiettivo viene altresì sottolineato che la lotta alla disoccupazione in Europa non può essere affidata solamente all'unione monetaria, all'unificazione dei mercati e alle politiche degli Stati membri. La costruzione dell'Europa un'Europa caratterizzata da rilevanti contenuti sociali richiede che l'Unione sviluppi proprie e specifiche politiche strutturali in tema di lotta alla disoccupazione. In ciò è stata raccolta una preoccupazione manifestata dalla generalità dei settori costituenti la maggioranza.
Un secondo gruppo di obiezioni ha riguardato l'attendibilità del documento, che è stata variamente contestata. Gli scenari macroeconomici hanno un'alea intrinseca; peraltro lo scenario tendenziale ipotizzato è tutt'altro che improntato ad un ottimismo fuori misura. Le ipotesi di crescita adottate nel documento sono piuttosto moderate e d'altra parte gli istituti di ricerca consultati dalla Commissione bilancio nel lavoro istruttorio non hanno indicato scenari che marchino scostamenti significativi.
Circa la finanza pubblica, l'impegno che si assume oggi riguarda innanzitutto il rispetto vincolante di determinati saldi finanziari. Questo è l'impegno che si assume in vista della sessione di bilancio, allorché verranno discussi i provvedimenti che daranno contenuto alle misure necessarie per conseguire gli obiettivi che oggi vengono deliberati. In quella sede si dovrà verificare la coerenza tra gli impegni che poniamo oggi ed i provvedimenti che daranno corpo agli stessi. La maggioranza afferma che quella coerenza dovrà essere pienamente verificata.
Alcuni colleghi hanno parlato di cedimento a proposito dell'attenzione posta al tema del potere d'acquisto delle retribuzioni. In realtà la Commissione bilancio ha semplicemente sviluppato un ragionamento, avviato da vari settori della maggioranza, coerente con l'obiettivo di salvaguardare la politica dei redditi, prendendo atto delle dinamiche sperequative in atto nella distribuzione del reddito. La maggioranza non poteva rimanere insensibile ad una questione di equità che è sicuramente fondata.
È stato inoltre atto di saggezza compiere tali scelte proprio al fine della salvaguardia di quella politica dei redditi che tanto ha contribuito al risanamento della finanza pubblica ed alla stabilità sociale del nostro paese.

PRESIDENTE. Onorevole Scalia, la prego!

SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Neppure è stata lesa l'autonomia delle parti sociali, poiché il Governo non può essere attore agnostico in relazione a quanto sta accadendo nella distribuzione dei redditi. Il Governo è attore primario della politica della concertazione e in questa vicenda, quindi, non poteva restare né neutrale né agnostico, soprattutto se vuole rilanciare e salvaguardare la vitalità della politica dei redditi.
Dal dibattito è emersa una generale sottolineatura della centralità del problema dell'occupazione e della necessità di assumere tale questione non affidandosi esclusivamente all'andamento delle variabili macroeconomiche. È stata anche sottolineata l'esigenza di adottare specifiche politiche. La proposta avanzata dalla maggioranza, d'intesa con il Governo, nella risoluzione conclusiva risponde proprio a tale preoccupazione. Vi è un problema di risorse finanziarie, ma non solo; occorre innanzitutto migliorare sostanzialmente la capacità di realizzazione dell'amministrazione pubblica al fine primario di utilizzare meglio e compiutamente le risorse comunitarie nazionali già assegnate per investimenti e per l'espansione dell'occupazione.
La risoluzione richiede però uno sforzo aggiuntivo e straordinario; credo che ciò risponda bene anche alle preoccupazioni ed alle esigenze manifestate da diverse parti della Camera dei deputati, soprattutto in relazione alla necessità di sviluppare quei settori ad alta intensità di lavoro ed il cosiddetto terzo settore, questione


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quest'ultima richiamata anche da diversi intervenuti appartenenti all'opposizione.
Il Governo propone infine, signor Presidente, che vengano adottate nei tempi più celeri riforme dirette al risanamento strutturale, all'efficienza e ad obiettivi di risparmio di spesa. A tal fine il Governo ha chiesto nel documento che vengano dichiarati come collegati quei disegni di legge che danno corpo all'intendimento riformatore del Governo.
Rispondo per inciso anche all'onorevole Pagliarini.

PRESIDENTE. Onorevole Armaroli, può evitare di dare le spalle al relatore?
Onorevole Cento, prenda posto.

SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Il documento contiene, a Costituzione invariata (e non poteva essere che così), il proposito di realizzare, utilizzando nella misura più ampia le potenzialità insite nell'articolo 118 della Costituzione, il più ampio decentramento di poteri verso gli enti territoriali, regioni, province e comuni. Questo è un proposito presente nel documento, che non viene chiamato federalismo nel dibattito perché si tratta di operare all'interno di una cornice costituzionale che non prevede il federalismo. L'obiettivo di una trasformazione in senso federale rientra nei nostri propositi, ma oggi occorre adottare riforme istituzionali operando nell'ambito del quadro costituzionale dato.
Quanto alle questioni poste in particolare dall'onorevole Frattini, relativamente all'opportunità di trattare come collegati i disegni di legge che sostanziano l'intento riformatore del Governo, rispondo che intanto è prassi consolidata da diverse deliberazioni della Camera dei deputati ed anche del Senato della Repubblica quella di trattare come collegati quei disegni di legge che concorrono agli obiettivi di risanamento finanziario realizzando riforme di carattere strutturale. È peraltro fondata l'esigenza, sottolineata anche dall'onorevole Frattini, di non determinare sovrapposizioni, ingorghi e confusione all'interno della sessione di bilancio. Pertanto questi disegni di legge, che riguardano le riforme annunciate dal Governo nel documento, dovranno essere discussi al di fuori della sessione di bilancio.
Signor Presidente, se lei lo consentirà, proporrò delle limitate modifiche al testo della risoluzione Mussi ed altri n.6-00001, della maggioranza, proprio per specificare meglio che i disegni di legge che trattano queste riforme debbono concorrere agli obiettivi di risanamento finanziario, anche al fine di circoscrivere l'area dei possibili dissensi o dei possibili equivoci su questo argomento.

PRESIDENTE. Si riferisce al punto C.4 della risoluzione, laddove si legge «a considerare come provvedimenti collegati in quanto concorrenti agli obiettivi della manovra di bilancio (...)?

SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Forse è meglio che esponga adesso la sua proposta, così i colleghi possono acquisirla.

SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Al punto C.4, laddove si legge «esplicitamente rivolti a riportare le grandezze della finanza pubblica», dopo la parola «esplicitamente» propongo di aggiungere le seguenti: «ed esclusivamente».

PRESIDENTE. Ossia deve leggersi: «esplicitamente ed esclusivamente rivolti a riportare le grandezze della finanza pubblica».

SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Esatto. Propongo inoltre di sostituire alle parole «ogni provvedimento», che appunto possono ingenerare equivoci, le parole «i provvedimenti di manovra integrativa».

PRESIDENTE. Onorevole Cherchi, può leggere il testo riformulato?

SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Rileggo l'intero periodo, Presidente: «C.4) a considerare come provvedimenti collegati in quanto concorrenti


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agli obiettivi della manovra di bilancio per il 1997 di riduzione del fabbisogno e del disavanzo di competenza i provvedimenti di manovra integrativa esplicitamente ed esclusivamente rivolti (...)». La parte restante del punto C.4 rimane invariata.
Un'ultima correzione riguarda il punto B. 10) della parte dispositiva relativo alla riforma delle pubbliche amministrazioni: suggerisco di aggiungere dopo le parole: «delle pubbliche amministrazioni» le parole: «, di autonomia».

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Cherchi.
Ha chiesto di parlare per la replica il Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Prodi.

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Onorevoli deputati, ho chiesto di parlare brevemente oggi in quest'aula, nel corso della prima importante discussione parlamentare successiva al dibattito sulla fiducia, per sottolineare innanzitutto la decisiva importanza che il nostro Governo attribuisce al documento che è stato sottoposto al vostro esame. Esso rappresenta il primo atto programmatico al quale il Governo conformerà la sua azione di politica economica e di bilancio per il prossimo triennio. Questo documento indica la via che il paese dovrà percorrere per giungere puntuale, con le carte in regola, all'appuntamento della moneta unica, affrontando contemporaneamente, in modo risoluto e deciso, il grave problema dell'occupazione.
Ma sono qui anche per testimoniare a voi e, per vostro tramite, al paese, l'attenzione che il Governo, la maggioranza parlamentare che lo sostiene ed io personalmente abbiamo per l'istituzione parlamentare e per tutti i suoi membri.
Sappiamo bene, infatti, che tutti noi, Governo e Parlamento, maggioranza parlamentare di Governo e opposizione, abbiamo innanzitutto un comune dovere verso il nostro paese: garantire che le istituzioni democratiche adempiano pienamente alla propria funzione ed esercitino i compiti che la Costituzione assegna loro.
Per questo, l'esecutivo e la maggioranza che lo sostiene hanno dimostrato fin dai loro primi atti la ferma volontà di garantire non solo la capacità del Governo di governare e di decidere, ma anche quella del Parlamento di legiferare, di indirizzare e di controllare.
È in questa logica istituzionale che il Governo, anche ascoltando con doveroso rispetto le esortazioni del Presidente della Repubblica, ha operato una scelta molto precisa: limitare all'indispensabile il ricorso al decreto-legge e consentire contestualmente al Parlamento di smaltire il più rapidamente possibile il rilevante peso dei quasi cento decreti-legge emanati dai Governi precedenti, alcuni dei quali sono ormai in vigore da molti anni.
Come a voi è ben noto, si è fatto ogni sforzo per ridurre il numero dei decreti-legge reiterati. E gli effetti di questa nostra politica sono sotto i vostri occhi: in meno di due mesi di Governo il numero dei decreti in giacenza è passato da 94 a 63.
Nello stesso tempo, abbiamo dovuto pensare a sanare gli effetti già prodotti dai decreti-legge non reiterati. A questo fine, sempre allo scopo di agevolare per quanto possibile l'iter parlamentare, il Governo ha presentato due disegni di legge di sanatoria ed ha annunciato la sua intenzione di procedere analogamente anche per il prossimo futuro, man mano che verranno a scadenza e non siano reiterati altri decreti-legge.
A queste determinazioni, come ho detto, siamo pervenuti perché è volontà della maggioranza che il Parlamento sia messo al più presto nelle condizioni di esercitare nel modo migliore possibile la propria funzione, quella della sede in cui maggioranza e opposizione, rispettose ciascuna del proprio ruolo, ma anche attente all'interesse del paese, si confrontano sui progetti di legge, sulle grandi questioni di indirizzo e sull'attività stessa del Governo.
L'opposizione ha risposto fino ad ora ricorrendo solo e soltanto all'esercizio di un potere di pura interdizione (Commenti dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU).


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MARCO TARADASH. Non è vero!

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Ben lungi dall'apprezzare il senso di responsabilità istituzionale del Governo, l'opposizione ha creduto e crede di far emergere, così comportandosi, i segni di una debolezza politica e addirittura di una scarsa coesione della maggioranza. Avverto l'opposizione che si sbaglia e assicuro che non è questa la strada (Vive proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU).

MARCO TARADASH. Gli avvertimenti non li accettiamo!

MARIO TASSONE. Dimostratelo con i fatti!

PRESIDENTE. Colleghi!

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Ricorrere con esasperante pervicacia ad uno strumento quale la verifica del numero legale, che consente di fare opposizione standosene al mare... (Vive proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU).

MARIO TASSONE. Erano quelli della maggioranza che non c'erano! Perché non ti vai ad informare?

PRESIDENTE. Colleghi!

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. ...utilizzare ogni accorgimento consentito dai regolamenti per porre in essere un pregiudiziale ostruzionismo significa ritenere che il compito dell'opposizione sia soltanto quello di impedire alla maggioranza (ma, in realtà, anche al Parlamento) di decidere. La verità è che seguendo tali suggestioni non si ferma solo il Governo, ma si paralizza il paese (Proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU). Onorevoli colleghi, un minuto di pazienza!

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Non sono argomenti da presentarsi così!

MARIO TASSONE. La pazienza è sulle cose serie!

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Tale comportamento ha messo a dura prova la resistenza dei parlamentari della maggioranza (Commenti e applausi polemici dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU), che io desidero qui ringraziare per lo sforzo compiuto, per il senso di responsabilità dimostrato e per la passione civile e politica con cui, sostenendo il Governo, hanno onorato l'impegno contratto verso i nostri elettori.
L'atteggiamento dell'opposizione sta mettendo a dura prova non solo il senso di responsabilità della maggioranza, ma lo stesso ruolo istituzionale del Parlamento. Voglio essere molto chiaro al riguardo.

GIUSEPPE TATARELLA. Presidente, dovrebbe difendere i diritti della Camera! Queste parole sono offensive! (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Si accomodi, onorevole Tatarella! Si accomodi!

GIUSEPPE TATARELLA. Ha detto cose false!

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. La dialettica...

GIUSEPPE TATARELLA. Lei deve difendere il Parlamento! Lei difende il Governo! Sta dicendo cose false! Abbiamo fatto bene a non votarla!

PRESIDENTE. Si accomodi, onorevole Tatarella! La richiamo all'ordine per la prima volta! Si accomodi! Prosegua, onorevole Presidente del Consiglio.

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. La dialettica tra maggioranza e opposizione, per quanto dura, è sempre positiva. Ma in un ªsistema democratico, il Parlamento deve poter funzionare.

MARIO LANDOLFI. D'Alema, fallo tacere!


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ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Non intendiamo assistere senza possibilità di reazione allo stallo di un Parlamento che è costantemente bloccato da espedienti ostruzionistici. Non è pensabile...

MARCO TARADASH. Non è vero niente! Non avete la maggioranza!

LUCIO COLLETTI. Lei ha fatto filibustering!

MARIO TASSONE. È stato informato male!

PRESIDENTE. Onorevole Taradash! Onorevole Tassone!

GIUSEPPE TATARELLA. Lei deve difendere anche una parte del Parlamento!

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Non è pensabile che una forza sconfitta alle elezioni, qualunque essa sia, decida di bloccare il Parlamento. Questo è esattamente il contrario di una corretta dialettica democratica e della cultura dell'alternanza (Vive proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU).

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Presidente del Consiglio. Colleghi, è legittimo dissentire da qualsiasi tipo di posizione, ma qualunque deputato, tanto più il rappresentante del Governo e tanto più il Presidente del Consiglio, ha il diritto di esprimere le proprie posizioni, apprezzate o meno (Commenti dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU).

GIUSEPPE TATARELLA. Ma non di offendere! Ha il diritto di esprimere la verità!

PRESIDENTE. No, colleghi, io devo garantire, come il diritto dell'opposizione, così il diritto della maggioranza di esprimere le proprie posizioni. Questo deve essere chiaro (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti e di rinnovamento italiano).

MARCO TARADASH. Queste sono minacce, Presidente! Sono minacce al Parlamento!

PRESIDENTE. Prego il Presidente del Consiglio di continuare. Colleghi, tra poco potrete esporre ed esprimere le vostre posizioni.

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Qualcuno ha addirittura ritenuto di definire «atto di suprema arroganza» persino le leggi di sanatoria degli effetti prodotti da decreti-legge a suo tempo emanati dal Governo presieduto da chi oggi si trova all'opposizione.

MARCO TARADASH. Certo, la legge di sanatoria è arrogante e incostituzionale!

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Se si vogliono conoscere i dati precisi, posso dire che dei 94 decreti-legge ereditati, 25 sono del Governo Berlusconi, 60 del Governo Dini, gli altri dei Governi precedenti (Applausi polemici dei deputati del gruppo di alleanza nazionale Si ride).
Onorevoli deputati, noi abbiamo il dovere di far funzionare le istituzioni e siamo in grado di farlo chiedendo ai parlamentari di intensificare ancora più i loro sforzi. Per quel che ci riguarda, noi faremo altrettanto.
Non vogliamo però rinunciare a costruire con tutto il Parlamento un rapporto istituzionale pienamente rispettoso dei reciproci ruoli. Come maggioranza parlamentare siamo ugualmente attenti alla necessità di tutelare il ruolo e le prerogative del Governo quanto il ruolo e le prerogative del Parlamento (Commenti del deputato Taradash).
Siamo convinti che la tutela del Parlamento interessi con uguale passione le forze dell'opposizione. Per questo oggi sono qui ad affermare solennemente in quest'aula, a nome del Governo della Repubblica e della maggioranza parlamentare che lo sostiene, il nostro impegno a


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cercare con l'opposizione regole comuni che consentano alla maggioranza di deliberare, all'opposizione di svolgere pienamente e correttamente il suo ruolo, al Governo di avere dal Parlamento decisioni in tempi certi.
Per quanto riguarda i modi, le forme e gli strumenti adeguati a tutelare il ruolo di controllo dell'opposizione in un sistema istituzionale ben temperato e attento al rispetto vero degli equilibri fra le diverse istituzioni e i diversi attori politici, non mancano certo studi, proposte, indicazioni e anche molto lavoro parlamentare già svolto. Così come non mancano studi, indicazioni, proposte finalizzate a garantire che il rapporto Governo-Parlamento si sviluppi soprattutto nelle materie più strettamente legate alla funzione di indirizzo politico, secondo procedure e tempi certi e definiti.
Da quegli studi e da quelle proposte potremo ripartire: la maggioranza di Governo a nome della quale io parlo è aperta ad individuare con le opposizioni le soluzioni in grado di rafforzare l'istituto parlamentare.
Onorevoli colleghi, è imminente in quest'aula la discussione sulle riforme istituzionali. Il Governo è ben consapevole dell'importanza di questo tema e dell'impegno che esso richiederà al Parlamento.
Lasciate però che dica oggi, qui, che nessuna riforma sarà realizzabile con i tempi accelerati oggi necessari, se non saremo in grado di ritrovare subito quello spirito di leale collaborazione fra Governo e Parlamento e di reciproco rispetto fra maggioranza e opposizione, che è la premessa indispensabile affinché questa legislatura possa adempiere all'alto compito che gli elettori ci hanno affidato e che le necessità del paese ci impongono (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti, e di rinnovamento italiano).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare per la replica il ministro del tesoro...

BEPPE PISANU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

BEPPE PISANU. Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. A quale proposito, qual è l'oggetto del suo intervento?

BEPPE PISANU. Con riferimento all'intervento...

PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Pisanu, non possiamo aprire un dibattito incidentale. Siamo in fase di replica e, fra poco, di dichiarazioni di voto.

MARCO TARADASH. Non era una replica.

PRESIDENTE. Nella fase delle dichiarazioni di voto potrà esprimere le sue posizioni. Lei ha più esperienza parlamentare di me, sa bene che siamo in fase di replica sul documento di programmazione economico-finanziaria...

MARCO TARADASH. Non era una replica, il Presidente del Consiglio ha introdotto un altro argomento, signor Presidente, che non c'entra nulla con l'ordine del giorno!

PRESIDENTE. Onorevole Taradash, non le ho chiesto un parere.

MARCO TARADASH. Mi scusi, ha introdotto un argomento diverso!

PRESIDENTE. A questo punto, ha la parola il ministro Ciampi. Vi saranno poi gli interventi dei gruppi e in quella sede si potrà conoscere la posizione di ciascuno di essi sulle dichiarazioni rese (Proteste del deputato Tatarella)!

MARCO TARADASH. Non può liquidare così le affermazioni del Presidente Prodi. Non è possibile! Ha introdotto un argomento completamente diverso!

IGNAZIO LA RUSSA. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.


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PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, lei sa benissimo che tutte le volte che interviene il Governo, deve intendersi riaperta la discussione. L'intervento del Presidente del Consiglio ha interrotto l'iter del dibattito sul documento di programmazione economica e consente ai gruppi non come dichiarazione di voto se il Presidente lo ritiene, ma allora ci motivi se è di avviso contrario di chiarire le loro posizioni con un giro di interventi che lei potrà indirizzare e regolamentare come crede. La ringrazio (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole La Russa. Lei si è richiamato, anche se non lo ha detto, all'articolo 50 del regolamento.

IGNAZIO LA RUSSA. Non l'ho citato perché lei lo conosce senz'altro a memoria.

PRESIDENTE. Lo conosciamo entrambi. Volevo dire che il Governo non ha chiesto di essere sentito ai sensi dell'articolo 64 della Costituzione e quindi non siamo nella fase in cui si applica l'articolo 50, ma in quella di replica del Governo agli oratori inervenuti nella discussione. Se fosse esatta la sua interpretazione, di fatto il Governo non potrebbe mai replicare, perché ogni volta che lo facesse si riaprirebbe la discussione. È così secondo l'interpretazione che lei ha dato. Abbiamo invece numerosissimi precedenti in cui, su questioni di particolare rilevanza, è intervenuto più di un ministro per replicare.

BENITO PAOLONE. Ha parlato di un altro argomento, non del DPEF!

PRESIDENTE. Prego, onorevole La Russa.

IGNAZIO LA RUSSA. La ringrazio. Ritengo che ciò che lei dice sia correttissimo riguardo all'intervento del ministro Ciampi. Però io mi riferivo all'intervento del Presidente del Consiglio, a proposito del quale, pur essendovi precedenti da lei accennati, ve ne sono altrettanti, in senso opposto, che consentono al Presidente della Camera di riaprire il dibattito con lo svolgimento di un intervento per gruppo. Se lei non ritiene di farlo, niente di male, esercita una sua facoltà, però vorremmo che ci motivasse liberamente la sua decisione. Non dica che è impossibile: è una facoltà del Presidente consentire o meno, in questa fase, un intervento per gruppo. La ringrazio (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia e del CCD-CDU).

PRESIDENTE. Onorevole La Russa, non si tratta di una facoltà del Presidente, perché se applichiamo l'articolo 50, i deputati hanno il diritto di parlare e quindi il Presidente non ha nessuna facoltà.
Se, come adesso, siamo in fase di replica, lei sa che quest'ultima, specie quando si tratta della discussione sul documento di programmazione economico-finanziaria, è rigidamente disciplinata.

BENITO PAOLONE. Non ha parlato del documento di programmazione economica ma di un altro argomento totalmente diverso!

GIANFRANCO FINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO FINI. Grazie, signor Presidente. Sarò brevissimo anche perché non ho alcuna intenzione di aggiungere polemica a polemiche. Mi rivolgo a lei, quale Presidente della Camera, e alla sua intelligenza politica, che certamente lo dico senza ironia non difetta.
Il Presidente del Consiglio ha svolto un intervento che ha un chiaro significato politico e che attiene in modo estremamente minimale all'argomento in discussione, vale a dire al documento di programmazione economico-finanziaria. Si dà il caso che il Presidente del Consiglio abbia lamentato a suo modo di vedere giustamente, a nostro modo di vedere ingiustamente


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un rapporto tra la maggioranza che sostiene il suo Governo e l'opposizione non corretto dal punto di vista dei regolamenti e di quella consuetudine di reciproco rispetto che dovrebbe presiedere la vita democratica e parlamentare.
Allora, signor Presidente della Camera, chiedo alla sua intelligenza politica se non sia il caso di dimostrare con i fatti che vi è il rispetto del Governo nei confronti dell'opposizione consentendo quindi a coloro che volessero prendere la parola di replicare, in tempi brevi, a quelle che secondo noi sono inesattezze pronunciate dal Presidente del Consiglio. Ciò senza unire ad una discussione che è già politicamente delicata, quale quella sul documento di programmazione economico-finanziaria, anche argomenti altrettanto delicati circa il rapporto che deve esservi in quest'aula tra la maggioranza e l'opposizione.
Credo che, al di là dei regolamenti, sarebbe dimostrazione di saggezza politica e di effettiva buona volontà, senza mescolare gli argomenti, consentire all'opposizione adesso, non in sede di dichiarazione di voto, di far presente, al Presidente del Consiglio, ad esempio, che non corrisponde a verità molto di ciò che egli ha detto.
Presidente Prodi, lei non era in Parlamento nella scorsa legislatura, ma molti di coloro che mi ascoltano c'erano. Ebbene, se si confronta, dati alla mano, il numero delle verifiche del numero legale richieste, durante il governo Berlusconi, dagli esponenti della sinistra, con le richieste di verifica del numero legale avanzate in questo scorcio di legislatura dal centro-destra, si scopre non soltanto che non c'è alcun ostruzionismo selvaggio, ma che, dati alla mano, è nettamente prevalente il numero delle richieste avanzate nella scorsa legislatura dagli esponenti della sinistra che oggi sorreggono il suo Governo (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia). È giusto che le cose si sappiano, per evitare che le buone intenzioni finiscano col diventare pessimi comportamenti.
Se il Presidente della Camera ritiene che queste argomentazioni non meritino un accoglimento, da parte nostra è ovvio che faremo presenti le valutazioni che riterremo intervenendo in sede di dichiarazioni di voto, ma, me lo consentirà, in questo caso, Presidente Prodi, sarebbe ancora meno credibile tutto ciò che ci ha detto qualche istante fa. Il reciproco rispetto, infatti, lo si deve certamente auspicare, ma in qualche occasione lo si deve anche rendere possibile con comportamenti meno rispettosi, non dei regolamenti, ma degli interessi della maggioranza, e più rispettosi del giusto funzionamento del Parlamento in un momento importante e delicato (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia e del CCD-CDU).

PRESIDENTE. Onorevole Fini, la ringrazio per il garbo e la precisione con cui ha impostato la sua argomentazione.
Possiamo valutare insieme la situazione in cui ci troviamo. Siamo in fase di replica del Governo e dovrebbero intervenire due rappresentanti del Governo: ora, interrompere a metà la replica del Governo sul documento di programmazione economico-finanziaria per aprire un dibattito sulle dichiarazioni rese da uno dei rappresentanti del Governo...

MARCO TARADASH. La discussione l'ha interrotta Prodi! Lei non può pretendere che in sede di dichiarazione di voto...

PRESIDENTE. Non ho chiesto il suo parere, onorevole Taradash, la prego!

MARCO TARADASH. Lei non può pretendere che parliamo in sede di dichiarazione di voto...

PRESIDENTE. Lei non ha finito di ascoltarmi! È giovane, ma non sia così impaziente!

MARCO TARADASH. La ringrazio per il «giovane».

PRESIDENTE. È meno giovane di quello che appare, in effetti.


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ALFREDO BIONDI. È Il ritratto di Dorian Gray (Si ride)!

PRESIDENTE. Prego i colleghi di tornare alla calma.
Comprendo, dicevo, l'esigenza che lei ha posto, onorevole Fini, ma interrompere adesso la replica del Governo per svolgere un giro di interventi e poi riprendere la discussione principale non mi sembra opportuno.
Comprendo d'altronde che è necessario tenere distinta la questione posta dal Presidente Prodi da quelle che affronterà il ministro Ciampi, e pertanto ritengo di ascoltare ora il ministro, dopo di che darò la parola ad un oratore per gruppo per cinque minuti, per consentire interventi sulle questioni sollevate dal Presidente Prodi. Quindi si svolgeranno le dichiarazioni di voto sulle risoluzioni (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Ha facoltà di replicare il ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica.

CARLO AZEGLIO CIAMPI, Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica. Signor Presidente, onorevoli deputati, nel documento di programmazione economico-finanziaria che vi accingete a votare attraverso una risoluzione, che lo integra e gli imprime un valore giuridico vincolante, vi è il tracciato fondamentale delle ultime vicende della nostra economia e della nostra finanza pubblica e vi è, soprattutto, il tracciato del loro futuro. Questo futuro è ancora largamente nelle nostre mani, non vi è nulla di inevitabile, nulla di predeterminato, nulla di fatalistico. Sono nella nostra disponibilità gli strumenti per abbassare l'inflazione, per difendere la stabilità della lira, per continuare nella riduzione progressiva del disavanzo, per favorire la discesa dei tassi di interesse, per invertire la tendenza negativa dell'occupazione.
Voglio dire che di fronte alle tendenze della congiuntura e di fronte agli oneri che gravano pesantemente sul nostro sviluppo abbiamo proposto una politica ben precisa. Il Governo è assolutamente risoluto in questa politica fatta di equilibri complessivi che non può essere giudicata per scorci o per fasi ma nella sua interezza, nel suo ritmo e soprattutto nella sua coerenza rispetto agli obiettivi finali.
Questa politica ha due quadri di riferimento permanenti ed indisponibili. Un quadro di riferimento esterno, ed è l'adesione alla costituzione economica europea che si è progressivamente precisata, dal Trattato di Maastricht fino all'ultimo Consiglio europeo di Firenze dello scorso giugno. Un quadro di riferimento interno, ed è l'adesione alla costituzione economica italiana che ha retto il paese, dall'accordo del 23 luglio 1993 ad oggi.
Questi due quadri costituzionali di riferimento hanno in comune due caratteristiche: essi impegnano il paese in uno sforzo continuo di adeguamento e di attuazione, sono tutto fuorché impegni esauritisi con la loro firma.
Le politiche dei governi si salvano o si perdono nella fedeltà a quei quadri di riferimento fra di loro fortemente interdipendenti. Ogni omissione nella loro attuazione è pagata in termini di impoverimento del sistema economico molto più di qualsiasi costo per il loro perseguimento.
Poche settimane fa, adottando il documento di programmazione economico-finanziaria abbiamo istituito il comitato per l'introduzione nel nostro paese della nuova moneta europea (l'EURO). È stato anche questo un modo per dichiarare che la nostra politica non arretra di un solo passo di fronte all'obiettivo di partecipare alla fase iniziale dell'unione monetaria dal 1^ gennaio 1999.
Come è noto, il nuovo Governo, non appena formato, ha dovuto prendere atto del mutamento intervenuto tra la fine del 1995 e i primi mesi del corrente anno nel quadro di riferimento macroeconomico. Inoltre, un accurato esame dell'andamento dei conti pubblici ha messo in evidenza, sempre per il 1996, un peggioramento rispetto alle previsioni, che si ripercuote sugli anni successivi. Tutto ciò ha costretto ad una riconsiderazione dell'intero quadro della finanza pubblica e dei conti del settore


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statale in particolare. È emerso che, per ridurre il fabbisogno per il 1997 al 4,5 per cento del prodotto interno lordo, come indicato nel precedente documento di programmazione economico-finanziaria, occorrono interventi correttivi, rispetto al cosiddetto tendenziale, di circa 51 mila miliardi, compresa la manovra correttiva di giugno, in luogo dei 27 mila originariamente previsti.
Il decreto-legge n.323, che la Camera si appresta a discutere in seconda lettura dopo il costruttivo e serrato confronto avvenuto in Senato, costituisce la prima tappa per il raggiungimento degli obiettivi quantitativi di finanza pubblica per il 1996-1997.
È importante sottolineare come Governo e Parlamento abbiano immediatamente aggredito le tendenze devianti dagli obiettivi; come la manovra di riduzione del fabbisogno per il 1996 sia pari a circa lo 0,8 per cento del prodotto interno lordo, correzione rilevante in quanto concentrata in un semestre; come l'aggiustamento avvenga in un contesto particolarmente difficile, determinato dalla flessione della crescita economica, e sia costituito per due terzi da riduzione di spesa e per un terzo da entrate; come nessuno dei provvedimenti assunti abbia effetti di aumento dei prezzi; come le misure di correzione abbiano per la maggior parte carattere di fondo, traducendosi infatti in una riduzione del fabbisogno tendenziale di circa 19 mila miliardi sia per il 1997 sia per il 1998.
Vi è una larga convergenza di tutte le forze politiche sulla necessità di conseguire l'obiettivo di un rapporto tra disavanzo e prodotto interno lordo pari al 3 per cento, che è uno dei cinque parametri del Trattato di Maastricht.
Il documento di programmazione economico-finanziaria assume rilevanza particolare, considerato che il 1997 è l'anno di riferimento per il rispetto dei parametri.
Nel contesto delle valutazioni dei comportamenti e del nucleo forte dei sistemi economici comunitari, nucleo del quale l'Italia fa parte a pieno titolo, lo sforzo di convergenza assume per il nostro paese un valore autonomo. Si tratta infatti di riconquistare un grado di libertà nell'adozione delle politiche di bilancio andato perduto o, quanto meno, fortemente indebolitosi in ragione degli squilibri strutturali della finanza pubblica. E questo grado di libertà è particolarmente necessario in un sistema come il nostro, che deve riorientare la politica economica verso lo sviluppo e l'occupazione.
Ricordo che per la valutazione che verrà condotta nella primavera del 1998 il Trattato richiede che il disavanzo non superi il 3 per cento. Aggiunge che si terrà conto della tendenza, cioè dell'approssimarsi a quel limite lungo una discesa sostanziale e continua.
Ricordo ancora che il nostro bilancio pubblico presenta da alcuni anni un avanzo primario, che raggiungerà nel 1996 il 4,5 per cento del prodotto interno lordo e nel 1997 il 5,4 per cento.
Se si intendesse contenere il disavanzo delle pubbliche amministrazioni entro il 3 per cento del prodotto interno lordo già nel 1997, la correzione, includendo la manovra del 19 giugno scorso, dovrebbe superare i 70 mila miliardi, cioè oltre il 3,5 per cento del prodotto interno lordo. Nella presente condizione della congiuntura europea una tale correzione, adottata ora, potrebbe innescare una involuzione ciclica.
Da queste considerazioni discende la decisione presa dal Governo di astenersi dal proporla e di presentare una sequenza diversa.
È noto che, secondo l'opinione prevalente in tutta Europa, la presente debolezza dell'economia è ritenuta una fase transitoria, alla quale dovrebbe seguire una ripresa dell'espansione già sul finire del corrente anno. Ciò ha suggerito di prevedere per la fine dell'autunno un momento di valutazione. Se, come auspichiamo, l'economia europea (e con essa quella italiana) mostrerà chiari segni di ripresa, sarà possibile considerare, sulla base anche dell'andamento dei mercati finanziari, l'opportunità di uno sforzo aggiuntivo che riduca ulteriormente il fabbisogno pubblico per il 1997.


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È d'altra parte evidente che l'eventuale protrarsi oltre il corrente anno dell'attuale debolezza congiunturale in Europa costituirebbe problema grave per tutti paesi della Comunità.
Come è già stato ripetutamente messo in evidenza negli interventi susseguitisi, il raggiungimento dell'obiettivo del 4,5 per cento del prodotto interno lordo nel 1997 richiede con la prossima legge finanziaria un intervento correttivo pari a 32.400 miliardi. Circa un terzo dell'azione di riequilibrio si realizzerà con aumenti del gettito tributario che si baseranno principalmente sull'aumento delle basi imponibili. È da rilevare che la pressione tributaria tenderebbe a ridursi se si lasciasse operare senza interventi l'evoluzione tendenziale delle entrate. Dal lato della spesa, la correzione è indicata in circa 21 mila miliardi interamente concentrati nelle spese correnti che, al netto degli interessi, dovrebbero aumentare solo dell'1 per cento rispetto al 1996. Ciò implica una drastica opera di contenimento nei confronti di tutti quei settori e programmi di spesa corrente i cui fattori evolutivi non sono determinati da obbligazioni giuridiche già perfezionate. A quest'ultimo proposito l'evoluzione di voci quali gli stipendi dei pubblici dipendenti e le pensioni presenta incrementi sensibilmente più elevati: i primi quale conseguenza dei nuovi contratti, le seconde per adempimenti di legge.
L'azione di contenimento delle spese correnti discrezionali si rivolgerà innanzitutto alle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, con un'azione analitica di monitoraggio che intende agire in profondità. Occorre che tale azione trovi un corrispondente sforzo da parte degli amministratori regionali e locali nell'ambito delle proprie autonomie di bilancio. Tuttavia, l'azione di risanamento non può escludere il ricorso a misure di contenimento delle altre voci di spesa in aggiunta a quelle sopraindicate. Come si è esplicitamente affermato nel documento di programmazione economico-finanziaria, non possono esservi riserve di principio per alcuno dei comparti di spesa.
Il Governo, proprio in questi giorni, sta assolvendo ad una parte degli impegni programmatici assunti, presentando al Parlamento i disegni di legge che riformano e semplificano l'azione amministrativa e la struttura del bilancio dello Stato.
Qualche considerazione, infine, sulla spesa per interessi. La questione dei tassi di interesse costituisce la variabile cruciale della politica di bilancio e di tutta la politica economica del paese. L'onere complessivo degli interessi del bilancio statale è indicato nel documento in 191 mila 600 miliardi di lire per il 1997, rispetto a 189 mila 400 miliardi di lire del 1996. Il lieve incremento della spesa per interessi, in presenza di un debito aumentato in misura maggiore, implica un calo dei tassi di interesse. A tale proposito desidero riaffermare in questa sede in modo solenne che il Governo non intende modificare l'aliquota del 12,50 per cento sugli interessi dei titoli di Stato.
La strategia in tappe successive che abbiamo delineato ha visto in fase di avvio il profilarsi di un premio da parte dei mercati finanziari, eventualità su cui fortemente contiamo ma che potrebbe rapidamente dissolversi se venisse meno la valutazione di credibilità, di coerenza e di stabilità che ha circondato l'inizio dell'azione di governo.
La logica sottostante la linea di politica economica presentata è che la riduzione del disavanzo statale e l'abbattimento dell'inflazione, accrescendo la fiducia dei mercati nella nostra situazione, producano una flessione dei tassi di interesse che potrebbe essere più accentuata di quella che è stata prudenzialmente considerata nel documento. Il verificarsi di tale tendenza è legato sia al realizzarsi della politica economica del Governo miglioramento dei conti pubblici, calo dell'inflazione, privatizzazioni sia all'auspicata stabilità di questa maggioranza politica. Se ciò avverrà, ne conseguiranno ad un tempo sia l'alleggerimento del carico degli interessi sul bilancio dello Stato, e quindi un importante contributo alla riduzione del fabbisogno, sia la ripresa degli investimenti


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privati ed il contenimento dei costi. Verrà dato così un forte impulso al riaffermarsi di una fase economica espansiva dell'intera economia. È questo il processo virtuoso che questo Governo conta di avviare, l'unica strada per il ritorno ad un'economia sana.
Vorrei ora fare qualche osservazione sul significato, sull'importanza che il Governo attribuisce all'indicazione di un tasso programmato di inflazione adeguatamente ambizioso ma realistico. Al tasso d'inflazione programmato il Governo e il Parlamento affidano il ruolo di parametro guida. Non ci si limita all'effetto annuncio, sulla cui forza è giusto esprimere dubbi: il parametro guida significa che il Governo propone un obiettivo e chiede a tutti un impegno a che esso sia conseguito. Si impegna esso stesso per primo ad operare per conseguirlo; ai produttori e agli intermediari commerciali chiede di agire attraverso comportamenti che diano significato forte e positivo alla concorrenza. Chiede, ad esempio, che si trasferiscano sui prezzi le riduzioni di costi derivanti dall'apprezzamento del cambio; chiede che nessuno sia tentato dalla rovinosa via del cercare in prezzi più alti il compenso a temporanee flessioni della domanda. Ai lavoratori chiede che essi confermino i comportamenti seguiti nei primi tre anni di vita dell'accordo del luglio 1993, avvalendosi, per la difesa della quota dei loro salari sul reddito, di tutti gli strumenti e le procedure che lo stesso accordo prevede.
Il Governo, dal canto suo, rafforzerà la propria azione diretta ed indiretta; nella manovra correttiva di bilancio abbiamo portato e porteremo la massima attenzione ad evitare impatti inflazionistici. La sorveglianza sui prezzi diverrà incisiva; i criteri indicati per la determinazione delle tariffe sono strettamente coerenti con l'inflazione programmata e tengono altresì conto dei progressi della produttività.
La discesa in atto del tasso di inflazione costituisce per tutti un incoraggiamento; è importante che la fiducia non si incrini, che la discesa continui. Occorre dimostrare che non c'è alcuno zoccolo duro da rompere, che la concorrenza opera sia sul sistema produttivo sia su quello distributivo, che i benefici degli aumenti di produttività e del progresso tecnico si trasferiscono su tutti attraverso prezzi più contenuti e migliore qualità dei prodotti. Solo se questi comportamenti prevarranno la nave Italia potrà navigare nelle acque tranquille dei bassi tassi di interesse.
Ho detto di recente in Parlamento, e voglio ribadirlo perché è guida delle mie azioni nel Governo, che abbattimento dell'inflazione e lotta alla disoccupazione non sono due momenti distinti, non hanno luogo in tempi successivi. Nella nuova realtà economica i due temi si intrecciano in spirali che possono essere virtuose e perverse; il legame, in ambedue i sensi, sono i tassi di interesse. I mercati finanziari sono pronti a premiare e nei confronti dell'Italia sono in attesa di poter dispiegare in pieno la propria disponibilità alla fiducia, conoscono le potenzialità del nostro paese, dubitano solo della nostra coesione, della nostra costanza. Lo hanno dimostrato le prime settimane di vita di questo Governo con il calo degli interessi, di colpo interrottosi negli ultimi giorni.
Una nuova discesa è altamente possibile, è un premio che dobbiamo tutti noi guadagnarci, è un premio per ottenere il quale basta poco, bastano comportamenti che siano riconoscibilmente coerenti con gli obiettivi posti, che rassicurino della volontà diffusa di perseguirli. Ma i mercati sono anche pronti a punire; nei mercati si usa dire che i tassi di interesse non stanno mai fermi: o salgono o scendono. Sarebbe un vero disastro per tutti noi se, per una sfiducia nella possibilità che l'Italia realizzi gli obiettivi che annuncia, riprendesse forza e momento il circolo vizioso tra inflazione, alti tassi di interesse, debolezza del cambio.
Non è dato a noi, come a nessun altro paese, con le trasformazioni che il mondo finanziario ha avuto negli ultimi anni, sottrarsi alla disciplina dei mercati evitando il giudizio, il premio o la punizione. Ovunque nei paesi industriali la politica economica è oggi meno libera di quanto fosse venti anni fa nel perseguire i suoi obiettivi; se anche si rifiutasse l'ancoraggio di un sistema


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di cambi fissi, il vincolo sulle politiche interne resterebbe, sarebbe solo più indiretto, più mediato, non sarebbe necessariamente meno forte.
I mercati sono anche capaci di distinguere tra effetti del ciclo sul bilancio ed effetti delle politiche discrezionali: sono succubi meno di quanto si creda del nominalismo delle cifre. Per questo sono convinto che la situazione presente, che vede confliggere il desiderio di compiere in tempi brevi lo sforzo finale per l'immediato ingresso in Europa e la debolezza della fase congiunturale, vada affrontata con aderenza alla realtà, con chiarezza e determinazione negli obiettivi di fondo, con prontezza di adattamento all'evolversi delle condizioni in cui ci è dato di operare.
I messaggi debbono essere sì ambiziosi, ma credibili e, al di là del contingente, essi saranno tanto più credibili quanto più si accompagneranno a politiche serie di ammodernamento dell'amministrazione, di corretta posizione del confine fra pubblico e privato, di liberalizzazione del mercato, di una mutazione profonda del sistema produttivo e di quello distributivo.
In questo processo è lo Stato che deve fare la prima mossa, che deve dimostrare di essere in grado prima degli altri di migliorarsi, di trovare i risparmi di cui abbiamo urgenza.
La scadenza del gennaio 1999 è una data della quale dobbiamo avere piena coscienza: è un passaggio che non possiamo eludere, perché non coinvolge soltanto i parametri dell'economia, coinvolge tutte le sfere della vita civile. Abbiamo venti mesi davanti a noi e non una settimana deve essere perduta; in questo deve unirci uno spirito di orgoglio nazionale, perché l'obiettivo è largamente condiviso, perché è un obiettivo che è nell'interesse comune di chi lavora, di chi intraprende, di chi risparmia, di chi studia.
La nostra patria non merita di essere sospinta lontano dai paesi più avanzati dell'Europa, sarebbe un danno grave per l'Europa stessa: senza l'Italia l'Europa unita sarebbe squilibrata sotto ogni profilo.
L'Italia in quattro anni si è allontanata da un baratro: ha dimezzato il disavanzo dello Stato, ha quasi annullato il suo debito con l'estero. Le famiglie italiane hanno il tasso di risparmio più elevato d'Europa; un paese così non merita di essere escluso dal passaggio fondamentale verso il nuovo assetto politico ed economico del continente. Un insuccesso sarebbe colpa esclusiva di una scarsa fiducia in noi stessi, di un dubitare delle nostre forze nell'ultimo tratto del cammino.
Venendo ora ai temi dell'odierno dibattito, vorrei ribadire che l'azione di Governo trova un riflesso puntuale ed impegnativo nella risoluzione predisposta dai gruppi della maggioranza, risoluzione alla quale il Governo esprime convinta adesione. In questa risoluzione, che conferma in pieno e in un certo senso rafforza tutti i vincoli quantitativi di finanza pubblica proposti dal Governo, quattro questioni assumono un significato cruciale: l'adesione all'unione monetaria europea, l'impegno per politiche attive dell'occupazione, il metodo della concertazione, la politica delle privatizzazioni.
La prima questione è dunque l'adesione del nostro paese alla terza fase dell'unione monetaria europea. Ciò significa piena approvazione degli obiettivi e dei percorsi proposti nel documento di programmazione economico-finanziaria. Questa decisione rappresenta la pietra angolare dell'azione politica del Governo, che assume su di sé l'impegno di fare tutto il possibile a che il nostro paese partecipi fin dall'inizio all'unione economica e monetaria.
Non minore è, e sarà, l'impegno del Governo nell'impostare e nell'attuare specifiche politiche strutturali in favore di una maggiore occupazione. Le iniziative assunte, pur rivolte all'intero paese, si concentrano territorialmente nel Mezzogiorno, dove particolarmente grave è l'elevatezza della disoccupazione. Si tratta, in primo luogo, di mobilitare tutte le risorse comunitarie e nazionali già stanziate per dare inizio all'esecuzione delle opere in fase di progettazione avanzata. Questo è il senso della delibera del CIPE della scorsa


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settimana, volta ad imprimere un deciso impulso all'attuazione dei programmi cofinanziati con la Comunità europea.
La risoluzione presentata dalla maggioranza chiama ad un'iniziativa straordinaria per gli investimenti pubblici e per l'occupazione. Il Governo ne assume gli impegni e si appresta a mobilitare le necessarie risorse finanziarie nel rispetto rigoroso degli obiettivi programmatici di finanza pubblica.
Siamo consapevoli della necessità di fornire il paese, e il Mezzogiorno in ispecie, di un'adeguata dotazione di infrastrutture di base; sappiamo che è condizione necessaria, ma non sufficiente, per rilanciare una nuova fase di sviluppo economico e civile. Perché il processo di avanzamento si metta in moto occorre però che scatti, anche nelle aree meno sviluppate, la capacità, la volontà di intraprendere, nell'industria, nel commercio e nel turismo; per stimolarla, all'arricchimento di infrastrutture materiali occorre accompagnare quello delle infrastrutture immateriali, in primo luogo la formazione, con criteri moderni, delle risorse umane.
Occorre, inoltre, promuovere l'istituzione di insediamenti attrezzati, la creazione di istituti che favoriscano la nascita, sostengano l'affermazione di nuove imprese di piccole e medie dimensioni. Sono passi concreti in questa direzione i patti territoriali di cui, con l'ausilio del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e il coordinamento del CIPE, stanno prendendo corpo le prime realizzazioni.
Un altro punto fermo della risoluzione mi porta a richiamare ancora una volta il protocollo del luglio 1993. All'interno di quel protocollo venne accolta la realizzazione di una politica dei redditi finalizzata a conseguire, insieme con la crescita del reddito e dell'occupazione, una crescente equità nella redistribuzione del reddito e la difesa del potere di acquisto delle retribuzioni e delle pensioni.
Per l'attuazione dei due obiettivi, l'accordo indica due piani di azione, convergenti nell'obiettivo ma ben distinti, in quanto riguardano soggetti diversi e momenti diversi. Il primo coinvolge le due parti sociali e si sviluppa nei negoziati per la stipula dei contratti collettivi, negoziati che sono di esclusiva e libera competenza delle due parti e che si svolgono secondo le modalità, le procedure e i criteri indicati nello stesso accordo quadro.
La salvaguardia del potere di acquisto delle retribuzioni è citata espressamente tra gli elementi che devono essere tenuti presenti nella valutazione degli effetti economici dei contratti collettivi di categoria. In particolare, il protocollo del luglio 1993 aggiunge, allorché tratta dei rinnovi biennali, che la comparazione tra l'inflazione programmata e quella effettiva del precedente biennio costituisce riferimento specifico del negoziato. È quanto è avvenuto e sta avvenendo mano a mano che si concludono i contratti del secondo biennio.
Con uguale finalità, ma su altro e distinto piano, è previsto che operi il Governo. Esso, nell'esercizio dei propri poteri e delle proprie responsabilità, è impegnato ad agire per dissuadere comportamenti difformi dagli obiettivi annunciati nel richiamato protocollo e per correggerne gli effetti. La sua azione va dall'attivazione delle condizioni atte a rendere i mercati più concorrenziali, dalla presenza attiva nella politica delle tariffe, dalla sorveglianza dei prezzi, all'assunzione di interventi più diretti, attraverso l'uso degli strumenti fiscali e parafiscali; il tutto per assicurare i sopraricordati obiettivi di crescente equità nella redistribuzione del reddito e di difesa del potere di acquisto delle retribuzioni e delle pensioni.
Quest'ultimo obiettivo trova ora rinnovata ed esplicita affermazione nella risoluzione proposta dalla maggioranza. Il Governo avverte il valore della riaffermazione, ne condivide l'importanza e si impegna a tenerne conto nei propri comportamenti, nello stesso spirito con cui quell'esigenza venne sentita e fu presente nel negoziato del 1993. La coerenza che informò quel negoziato condusse ad escludere il ricorso a formule automatiche; ciò non intendeva certo sminuire, sottovalutare l'importanza dell'obiettivo.
Tale richiamo ad alcuni degli aspetti che costituiscono il contenuto dell'accordo


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del luglio 1993 riconferma nel convincimento dell'importanza, direi della necessità, di un rilancio di quell'accordo; rilancio che, fondandosi sugli esiti fortemente positivi di questi primi tre anni di applicazione, deve consistere soprattutto nell'impegno ad attuarlo nelle parti di esso e non sono poche che sono state trascurate. Mi riferisco a materie che vanno dal sostegno all'occupazione giovanile, all'impostazione di nuove strutture di formazione professionale; dalle innovazioni nei tempi, nei modi e nelle prestazioni lavorative al riassetto istituzionale degli uffici del lavoro; dal sostegno alla ricerca, alla diffusione dell'innovazione tecnologica nelle imprese minori. Sono temi che devono presto vedere riuniti intorno ad un tavolo le parti sociali ed il Governo con lo spirito che li animò tre anni fa.
La risoluzione, infine, impegna a proseguire con rigore ed energia nel processo di riordino e privatizzazione delle imprese pubbliche. Questo è l'ultimo ma non meno importante criterio guida nell'azione del Governo.
Nei giorni immediatamente successivi al suo insediamento, il Governo ha annunciato un primo calendario delle operazioni che potevano essere rapidamente avviate: il completamento della privatizzazione dell'INA e dell'IMI, la preparazione del secondo collocamento di azioni ENI per la prima metà di ottobre. Il programma sta procedendo secondo quanto previsto; l'INA e l'IMI non sono più dello Stato e l'operazione ENI ha raggiunto un avanzato stato di preparazione.
È ferma intenzione del Governo fare in modo che la privatizzazione delle società operanti nel settore delle telecomunicazioni proceda con rapidità e secondo una configurazione che permetta di massimizzare il ricavo per il venditore.
Se i tempi di tale privatizzazione saranno condizionati dalla complessità dell'iter legislativo del disegno di legge sulle autorità, non così è per la privatizzazione dell'ENEL, dove la competente autorità è stata già istituita ed i preparativi per la privatizzazione, interrotti lo scorso anno, saranno ripresi all'inizio di settembre.
È altresì ferma intenzione del Governo che la privatizzazione dell'economia italiana proceda di pari passo con la liberalizzazione dei settori industriali strategici per lo sviluppo. Si impedirà che monopoli privati subentrino a quelli pubblici.
Alla determinazione del Governo di privatizzare, deve accompagnarsi quella dell'IRI, di cui il Tesoro è azionista unico. L'IRI deve completare un processo di revisione delle sue caratteristiche esistenziali, della sua stessa identità; processo iniziato ben prima del luglio 1992, quando fu trasformato in società per azioni. L'IRI deve procedere con sollecitudine alla dismissione di un gran numero di società alle quali esso ha partecipato o controllate dall'Istituto; lo Stato ed i suoi conti lo richiedono, gli accordi presi in questo senso con la Comunità europea lo esigono, ma soprattutto lo pretende la nuova linea di demarcazione tra pubblico e privato, una frontiera che vede assegnato allo Stato un minor numero di compiti svolti con un livello di qualità superiore rispetto al passato.
Sul destino patrimoniale dell'IRI occorre tuttavia essere chiari: l'azione di stimolo che il Tesoro svolge nei confronti dell'Istituto è pari alla sollecitudine con cui intende adempiere ai propri doveri di azionista unico. L'equilibrio patrimoniale dell'IRI non è e non sarà mai messo in discussione.
I quattro profili prima indicati costituiscono la condizione base al cui interno diviene credibile e possibile una politica di bilancio che si giovi di una riduzione dell'inflazione e dei tassi di interesse e, al tempo stesso, concorra a determinarla. In questa prospettiva si creano le condizioni per liberare risorse aggiuntive e per rimettere in moto il processo di sviluppo e di nuova occupazione, in un quadro di equilibrio e di solidità economica.
Signor Presidente, onorevoli deputati, come vedete si intersecano e si richiamano nella nostra programmazione economica e finanziaria le grandi e fondamentali questioni del paese: il concorso italiano alla stabilità monetaria, alla coesione sociale, alla competitività industriale della regione


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Europa; il riscatto dalla disoccupazione strutturale e tecnologica e dalla povertà di milioni di donne e di uomini, drammaticamente addensati nel sud del paese; il disegno di uno Stato sociale non più al riparo dei confini nazionali e costantemente preoccupato dei suoi equilibri futuri; il consolidamento di un metodo di Governo che sposta sugli attori della concertazione grandi responsabilità, di natura non solo economica, ma mantiene necessariamente in questo Parlamento il momento della sintesi alta e definitiva dell'interesse nazionale.
Non c'è possibilità di affrontare questi problemi senza tenere conto della loro interdipendenza, del carattere necessariamente bilanciato delle loro soluzioni. Non è logica una visione che sia solo monetaristica o solidaristica o nazionalistica dello sviluppo italiano. Ogni visione parziale, unilaterale, è destinata al fallimento, perché i processi reali dello sviluppo mondiale rifiutano parzialità ed unilateralismi.
Questi processi, che una formula empirica riassuntiva chiama di globalizzazione, portano ogni giorno nuove sorprese: svalutazioni senza inflazione, crescita senza occupazione, finanziarizzazione senza o addirittura contro l'economia reale, esasperazione di nuove attività finanziarie senza compenso di garanzie, successo di liberalismi economici senza corredo di clausole democratiche e sociali. Sono così saltate regole tradizionali, equazioni collaudate tra i fondamentali dell'economia.
Noi, Parlamento e Governo, dobbiamo tenere conto di tutto questo e affrontare i tempi con capacità politica, la capacità cioè di invenzioni istituzionali, economiche e sociali per sfruttare il nuovo, cogliendo il fine positivo delle sue correnti. Non dobbiamo farci imprigionare da vecchi schemi e da pregiudizi tradizionali. La politica economica e finanziaria che abbiamo concepito e a voi sottoposto è severa, ma tiene conto delle dinamiche in atto. Essa costituisce di per sé la nostra politica per oggi e per l'avvenire. Questa è del resto l'unica politica che sappiamo fare nell'interesse del paese, perché la collocazione dell'Italia in Europa non divenga di oggettiva sudditanza.
Non ci faremo distogliere dalla politica che abbiamo impostato. Su questo impegno chiediamo il consenso del Parlamento, del paese, degli operatori economici internazionali. Per questo, signor Presidente, le chiediamo di porre in votazione per prima la risoluzione Mussi ed altri n.6-00001, presentata dalla maggioranza ed accettata dal Governo. Grazie (Vivi applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo e di rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. La ringrazio, ministro Ciampi.
Sulla base di quanto già stabilito in precedenza, avverto che darò ora la parola ad un deputato per ciascun gruppo, ove me ne venga fatta richiesta, sulle dichiarazioni politiche poc'anzi rese dal Presidente del Consiglio.
I colleghi consentiranno che per il gruppo misto il quale, come è noto, ha varietà di posizioni al suo interno il tempo di cinque minuti sia prolungato di un minuto che sarà ripartito tra i suoi vari componenti che chiedessero la parola.
Colleghi, prendete posto.

GIUSEPPE TATARELLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE TATARELLA. Il Presidente del Consiglio ha fatto riferimento al rispetto come regola tra maggioranza ed opposizione. È un principio che noi condividiamo, ma che ha bisogno di una premessa. Il rispetto deve essere soprattutto per la verità. Quando manca la verità, il rispetto è un fatto retorico.
E oggi è mancata la verità. Oggi eravamo qui e ci era stato preannuziato l'evento dell'intervento del Presidente Prodi che avrebbe risposto alle opposizioni sui problemi dello statuto delle opposizioni e del rapporto Governo-opposizioni. Tutto il mondo giornalistico e parlamentare era informato di questo. Ecco perché era lecito e giusto parlare subito dopo l'intervento


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del Presidente del Consiglio e non far calare la tensione sul dibattito, con, signor Presidente, un escamotage utile per un compromesso di aula, una ritirata strategica che non ha soddisfatto né il primo dibattito né l'autorevole intervento del ministro Ciampi.
E allora, la verità. Noi non abbiamo alcuna responsabilità, onorevoli colleghi, di quello che viene chiamato l'ostruzionismo! L'ostruzionismo è una favola inventata per nascondere le difficoltà della maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia e del CCD-CDU). Non certamente l'ostruzionismo ha spinto il Presidente Prodi a rimproverare i suoi ministri ciarlieri, che parlano e sparlano! Non certamente il nostro ostruzionismo ha spinto i componenti di maggioranza delle Commissioni a non essere presenti e a far vincere l'opposizione! Queste sono virtù fra virgolette che si riscontrano all'interno del Governo e della maggioranza parlamentare.
Noi abbiamo delle responsabilità che tutti i colleghi devono conoscere. C'è un obbligo di verità che deve essere tutelato dal Presidente dell'Assemblea, secondo il mio parere. La verità è la seguente: abbiamo fatto l'ostruzionismo se così vien chiamato su un provvedimento non chiaro, non trasparente. Quando un provvedimento è di lobby, quando non è chiaro, non è trasparente, ogni gruppo politico ha il dovere di intervenire nei termini propri. E si trattava di un decreto-legge in materia di trasporti. Era un provvedimento chiesto dall'amministrazione comunale di sinistra di Bologna; era un provvedimento chiesto prima al Governo Berlusconi che disse di no e poi al Governo Dini, che ha detto «sì» all'ultimo minuto; si trattava di una sanatoria per un'operazione, discutibile da un punto di vista formale, del comune di Bologna che ha acquistato sistemi elettronici che dovevano servire anche per fare contravvenzioni e multe nel centro storico della città.
Onorevoli colleghi, dovete sapere tutti perché questa è la verità che al Senato il provvedimento è stato ritenuto dalla maggioranza all'unanimità, nella parte relativa alle cosiddette macchinette, privo dei presupposti richiesti dalla Costituzione per l'adozione del decreto-legge. Quindi, tutte le forze politiche insieme, su proposta del presidente della Commissione (il progressista Villone), hanno votato per parti separate, «cacciando» dal provvedimento la parte che non aveva i requisiti dell'urgenza e della necessità.
Il provvedimento è quindi passato alla Camera ... Presidente Prodi! Presidente Prodi, lei deve avere l'abilità e l'educazione di ascoltarmi, perché dopo quello che ha detto, nel silenzio del Presidente della Camera, su un problema che riguarda il corretto modo di agire dell'opposizione, deve avere, per un istante nella sua vita, il «dispiacere» di ascoltarmi!
Quel provvedimento dicevo è passato all'esame della Camera. La Commissione trasporti di questo ramo del Parlamento è composta da 25 componenti del Polo e da 26 dell'Ulivo. I 25 rappresentanti del Polo erano tutti presenti; dei 26 dell'Ulivo, ne erano presenti 23! Sull'emendamento voluto dalla lobby Vitale, la maggioranza è stata messa in minoranza: è colpa nostra? È ostruzionismo? È ostruzionismo (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia e del CCD-CDU)? Eravamo presenti e a questa maggioranza arrogante, su richiesta delle lobby, che sono anche municipali, abbiamo detto: ritirate il provvedimento! Abbiamo avuto un secco «no», un secco rifiuto! Che cosa dovevamo fare? Contribuire a salvaguardare attraverso un provvedimento legislativo...

PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è terminato, onorevole Tatarella.

GIUSEPPE TATARELLA. Parlerò per dichiarazione di voto e riprenderò l'argomento!

PRESIDENTE. Grazie, presidente Tatarella.

GIUSEPPE TATARELLA. Io so stare alle regole, a differenza di lei (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale)!


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BEPPE PISANU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BEPPE PISANU. Mi sto ancora chiedendo, signor Presidente, perché abbia negato la parola a me e l'abbia invece concessa ad altri due autorevoli colleghi, i quali peraltro hanno detto egregiamente le cose che io mi proponevo di dire. Perciò ringrazio i colleghi La Russa e Fini, ma non ringrazio lei per avermi negato la parola (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)!
Intendevo chiederle, signor Presidente, se non ritenesse che l'intervento del Presidente del Consiglio fosse tutto fuorché una replica al dibattito sul documento di programmazione economico-finanziaria e se pertanto esso, a norma dell'articolo 50 del regolamento, non aprisse di fatto, oggettivamente, una nuova discussione.
Non capisco l'asprezza, a tratti, dell'intervento del Presidente del Consiglio, per di più dopo una seduta della Conferenza dei capigruppo largamente interlocutoria, che nelle sue conclusioni lasciava e lascia spazio al dialogo e al confronto sulle stesse questioni evocate dal Presidente del Consiglio, e alla vigilia di un decisivo confronto parlamentare sulle riforme costituzionali, che noi abbiamo voluto e nel quale continuiamo a credere. Un dibattito che richiede una larga e comune disposizione al dialogo, che deve necessariamente andare al di là dei confini tra maggioranza e opposizione, che si colloca al di sopra del Governo, ma che quest'ultimo, credo, non dovrebbe avere alcun interesse a compromettere o a inficiare.
Posso tuttavia assicurare il Presidente del Consiglio che non ci lasceremo sviare dal suo intervento. Ci pare peraltro di comprendere che, più che a noi, esso fosse rivolto esattamente alla sua maggioranza: come si dice, si parla a nuora perché suocera intenda (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU)! Né, tanto meno, ci lasceremo intimidire dall'asprezza di certi toni. Mi riferisco, questa volta, al Vicepresidente del Consiglio, il quale (se è vera questa dichiarazione) qualche ora fa avrebbe dichiarato: o si fa un'intesa e si supera l'ostruzionismo del Polo o si va allo scontro campale, durissimo; sul funzionamento delle istituzioni metteremo mano alla riforma del regolamento a colpi di maggioranza. Che cos'è, onorevole Veltroni, buonismo istituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)?
Non ci lasceremo intimorire e comunque respingiamo con forza l'attacco premeditato, a freddo, che lei ha fatto, signor Presidente del Consiglio. Un attacco che, più che essere rivolto a noi, è rivolto alla verità perché, come ha già detto il collega Tatarella, in quest'aula di ostruzionismo non ce ne è stato! Lo dicono i fatti. La Camera fino ad oggi, signor Presidente del Consiglio, ha licenziato esattamente sedici provvedimenti: su tre di questi ci siamo astenuti, su uno abbiamo votato contro, su dodici abbiamo votato a favore. E lei lo chiama ostruzionismo (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)?
Dei quattordici disegni di legge di conversione che abbiamo licenziato soltanto sette sono stati convertiti dal Senato. E se la prende con noi? Se la prenda invece con il Presidente Mancino, che ordina e dirige i lavori del Senato! Qui voi siete andati sotto venti volte: sei volte siete andati sotto con il contributo decisivo di rifondazione comunista, ma quattordici volte siete andati sotto perché la maggioranza si è letteralmente disgregata (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU)!

PRESIDENTE. Onorevole Pisanu, ha terminato il tempo a sua disposizione. Prenda esempio dal presidente Tatarella.

BEPPE PISANU. Concludo. Presidente, poiché mi ha negato la parola poco fa, le chiedo un piccolo atto di riparazione! Le fornirò solo un'altra cifra. Noi riconosciamo che effettivamente in un caso vi è stato ostruzionismo, vale a dire quando in Commissione affari costituzionali, per rinviare la votazione di due giorni, si sono


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iscritti a parlare ben 18 colleghi: ma erano tutti della maggioranza ed era ostruzionismo di maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU).

CARLO GIOVANARDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, per me la mattina era cominciata male perché sul più famoso ed importante giornale italiano, il più famoso giornalista italiano annunciava al paese che non esisteva l'opposizione del Polo, che non si era mai vista in azione in Parlamento, e che i problemi del Presidente Prodi derivavano da questioni interne, dalla dialettica con rifondazione comunista.
In sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, questa mattina, sono poi venuto a sapere che, viceversa, non solo esistiamo, ma stiamo praticando uno spietato ostruzionismo che paralizza il Parlamento e l'attività del Governo. Mi sono allora detto che c'è qualcosa di positivo: allora, esistiamo! Il Presidente Prodi, nel suo intervento sulla fiducia, aveva escluso questa possibilità rivendicando alla maggioranza di rappresentare tutte le culture presenti in questo paese: quella cattolico-democratica, quella socialista, quella laica, come se il resto del Parlamento come giustamente disse l'onorevole Buttiglione non esiste. Noi esistiamo, Presidente Prodi, per fare il nostro dovere, non per fare interdizione! E, se permette, accettiamo suggerimenti, non accettiamo avvertimenti da parte del Governo (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU, di forza Italia e di alleanza nazionale). Perché il termine «avvertimento» suona male in questo paese e non fa parte della cultura della democrazia.
Esistiamo, allora, lavoriamo e non stiamo al mare. Siamo presenti sia nelle Commissioni parlamentari sia in aula. Ci siamo stati nel corso del dibattito che riguardava le tossicodipendenze e la riduzione del danno, un elevato dibattito che ha visto emendamenti non passare per dieci voti, a dimostrazione dell'alta dialettica registrata in questo Parlamento. Ci stiamo, siamo al servizio delle istituzioni! Certo, quando si tenta la sanatoria, il colpo di spugna... Chi ha memoria in questo Parlamento, specialmente la sinistra, dovrebbe ricordare cosa voglia dire tentare di sanare illeciti penali o amministrativi con colpi di spugna in Parlamento. Questo la maggioranza ha tentato di fare! E non pretenderà che con il nostro voto concorriamo ad una sanatoria! Se è condivisa, trovi la maggioranza, in aula, un numero sufficiente di deputati per far passare il colpo di spugna (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU, di forza Italia e di alleanza nazionale)! Perché novanta deputati della maggioranza erano al mare, mentre noi eravamo qui a fare il nostro dovere!
Rispetto alla sanatoria dei decreti-legge Il Sole 24 ore questa mattina ha ripreso proprio i nostri argomenti. Mi riferisco al fatto che per i cittadini italiani, per le imprese e la pubblica amministrazione il testo del disegno di legge con i diciannove decreti elencati a mo' di sanatoria, senza spiegare quali effetti rimangano in vita e quali no, sarebbe un disastro che paralizzerebbe la vita amministrativa ed economica del paese (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU, di forza Italia e di alleanza nazionale). Abbiamo segnalato questo pericolo ed abbiamo chiesto di mettere il Parlamento in grado di sanare, certo, gli effetti, ma di farlo a ragion veduta.
Noi collaboriamo esaltando il ruolo democratico dell'opposizione. Vede, Presidente Prodi, qualche volta purtroppo emerge Prodi l'emiliano, quella cultura politica per cui i sindaci o i presidenti di giunta dirigevano i consigli comunali o regionali come soldatini di piombo: quello che il partito, il Governo, quindi il potere politico, decidevano veniva eseguito. Qui non c'è una maggioranza assoluta: l'Ulivo, compresa rifondazione comunista, ha il 40 per cento. C'è una dialettica democratica, c'è la costruzione, in aula e nelle Commissioni, di un indirizzo politico. Il Governo


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deve avere la saggezza e l'umiltà democratica di accettare questo confronto. Noi siamo aperti lo abbiamo detto questa mattina in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo al confronto sulle riforme istituzionali. Nel merito dei provvedimenti di legge, ci potete chiedere tutto, ma non di abdicare alla nostra funzione costituzionale di opposizione democratica, che oggi combatte questo Governo e che si propone il compito democratico di diventare, a sua volta, governo di questo paese. Potete chiederci tutto, ma non di abdicare alla nostra funzione (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU, di forza Italia e di alleanza nazionale)!

MAURO GUERRA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURO GUERRA. Nel giro di pochi giorni, è la seconda volta che in quest'aula siamo chiamati ad affrontare la situazione nella quale lavora il Parlamento. L'avvio è stato dato qualche giorno fa dal presidente Berlusconi, che è intervenuto in quest'aula ponendo la questione delle modalità con le quali si intende affrontare il carico pesante di decreti-legge che questo Governo e questo Parlamento hanno ereditato dal passato.
Oggi mi sembra che qui il Capo del Governo, il Presidente del Consiglio abbia rivendicato due cose: da un lato, la volontà franca, seria e leale della maggioranza di fare i conti fino in fondo con le opposizioni, apertamente, sulla situazione per molti aspetti abnorme, che appunto è stata ereditata, e dall'altro la necessità di definire le regole e le modalità, non solo per far fronte a questo carico, ma anche per impedire che per il futuro la decretazione d'urgenza continui a rappresentare una cancrena che incide pesantemente sulle modalità di lavoro del Parlamento e sul suo ruolo centrale nell'equilibrio dei poteri di questo paese.
La disponibilità e la volontà ferma del Governo sono state peraltro confermate dai fatti, cioè dalla scelta di non reiterare più numerosi decreti e di continuare su questa strada. È questo un segno di volontà per ridare autorevolezza al Parlamento, all'attività legislativa delle Camere, nonché spazio, all'interno del Parlamento e dentro al Parlamento, al libero confronto tra maggioranza e opposizione. Ma nell'intervento del Presidente del Consiglio non vi era un avvertimento, onorevole Giovanardi, bensì la rivendicazione, per questa maggioranza, della volontà di fare tutto quanto è nelle sue possibilità, con gli strumenti del regolamento, per dare attuazione al programma di Governo, per consentire a questo Parlamento di lavorare nel modo migliore per rispondere ai problemi del paese.

FRANCESCO STORACE. Alla RAI lo avete fatto!

MAURO GUERRA. Rispetto a questo, devo dire con franchezza spero me lo consentano che oggi gli onorevoli Tatarella, Pisanu e Giovanardi hanno fatto un po' torto a loro stessi, alla loro grande schiettezza e anche alla loro grande esperienza parlamentare: qui dentro sappiamo tutti come si fa l'ostruzionismo; sappiamo tutti, onorevole Giovanardi, che si può votare dodici volte a favore di provvedimenti dopo averne diluito in modo esasperato i tempi di approvazione, cosa che è avvenuta in quest'aula. Sappiamo tutti, per esempio, che si possono richiamare, come sempre avete fatto in aula, regolarmente, tutti i 96-bis già «passati» in Commissione affari costituzionali (tutti, metodicamente). Sappiamo tutti che sui disegni di legge di conversione dei decreti-legge si possono iscrivere a parlare in sede di discussione generale anche decine e decine di deputati, per mezz'ora ciascuno. E questo lo avete fatto, onorevole Giovanardi (Proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU: si grida «bugiardo!»).

CARLO GIOVANARDI. Ma quando?

MAURO GUERRA. È legittimo che lo facciate, onorevole Giovanardi (Proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU)!


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CARLO GIOVANARDI. Ma quando?

MAURO GUERRA. Vorrei aveste il coraggio di dirlo e di assumervi la responsabilità dell'azione politica che state portando avanti. Questo coraggio vi manca. Questo coraggio manca alle opposizioni in questo paese (Proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU)!

PRESIDENTE. Colleghi! Prosegua, onorevole Guerra.

MAURO GUERRA. L'onorevole Tatarella e l'onorevole Giovanardi sanno che questo tipo di pratiche, come quella di non partecipare al voto tutti quanti è stata posta in essere otto volte in due settimane (Proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU) e non soltanto in relazione al provvedimento che riguardava Bologna, come si diceva da quella parte, mentre riguardava in realtà decine di città e di comuni italiani.
Ricordo come si è lavorato in occasione della discussione del provvedimento sulle tossicodipendenze, su quello in materia sanitaria e su tutta un'altra serie di questioni. Ricordo come, perché poi le cose si tengono in questo sistema bicamerale perfetto...

MARCO TARADASH. Guarda che adesso l'opposizione c'è anche in Russia: Guerra, aggiornati!

MAURO GUERRA. Taradash, io quando l'ho fatta, l'opposizione, mi sono sempre assunto la responsabilità di quello che facevo e l'ho sempre dichiarato, ho sempre avuto il coraggio di farlo (Proteste del deputato Taradash)! È quello che manca a te, Taradash!

MARCO TARADASH. C'è anche in Russia!

PRESIDENTE. Onorevole Taradash, la prego!
Colleghi, per cortesia!

MAURO GUERRA. Allora non si può dire che non si fa ostruzionismo, che non c'è volontà ostruzionistica, quando al Senato si chiede 150 volte di seguito la verifica del numero legale!

PRESIDENTE. Onorevole Guerra, il tempo a sua disposizione è terminato.

MAURO GUERRA. Concludo, Presidente.
Assumiamoci, rispettivamente le nostre responsabilità. Questa maggioranza è pronta a ragionare sulle regole e sulle modalità per affrontare i nodi relativi al modo in cui in Parlamento la maggioranza e l'opposizione si possono confrontare (Proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU)...

VINCENZO ZACCHEO. Parla come uomo di opposizione, non di maggioranza!

MAURO GUERRA. ...a viso aperto, colleghi, almeno per una volta (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti e di rinnovamento italiano)!

DIEGO MASI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DIEGO MASI. Signor Presidente, devo rivolgere un doppio apprezzamento all'intervento del Presidente Prodi. Il primo si riferisce anche alla parte polemica, perché egli ha detto, sostanzialmente, che il Governo c'è, che la maggioranza c'è, rispondendo così indirettamente a Buttiglione, quando ha detto, in modo un po' macabro, che il Governo è morto: il Presidente Prodi ha risposto invece che esso c'è e questo è giusto.

VINCENZO ZACCHEO. Allora batta un colpo!

DIEGO MASI. Egli ha compiuto una scelta leale verso questo Parlamento, quella di risolvere il nodo dei decreti.


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Poteva benissimo far finta di niente, lasciarne passare uno al mese, tanto non erano suoi, ma dei Governi precedenti, Dini, Berlusconi, Ciampi, Amato. Avrebbe potuto farlo ed in tal modo non avrebbe creato l'ingorgo rappresentato dai decreti-legge, a cui l'opposizione si è appigliata. L'ostruzionismo, infatti, si può fare ed è una pratica legittima per l'opposizione, però quello messo in pratica dall'opposizione è un ostruzionismo volto a non consentire che si passi alla nuova fase legislativa. È questo il senso che noi vi leggiamo. Non è che l'opposizione non segua il regolamento, oppure non si comporti correttamente, o salti dai banchi: l'opposizione sta facendo il suo mestiere, ma lo sta facendo sul passato, non sul futuro.

IGNAZIO LA RUSSA. Lo faremo!

DIEGO MASI. È questo il problema che oggi abbiamo di fronte e il Presidente Prodi lo ha affrontato seriamente e lealmente, ragionando in questo modo: abbiamo novanta decreti, li riduciamo, li discutiamo, cerchiamo di trovare corsie che ci permettano di liberare il Parlamento del passato, per poter guardare al futuro.
Voglio però rivolgere, dicevo, un altro apprezzamento, più forte, alla seconda parte dell'intervento del Presidente Prodi, quella in cui vi è stato l'invito al dialogo.

MARCO TARADASH. Ah, c'era?

DIEGO MASI. Sì, c'è stato l'invito al dialogo, eccome!

MARCO TARADASH. Ah sì? Non si era capito.

TIZIANA MAIOLO. Bastone e carota!

DIEGO MASI. C'è stato, forse siete stati un po' accecati. Lo dico a Taradash, che è stato accecato dalla prima parte del discorso di Prodi. Di fatto, c'è stato un invito al dialogo, che va ripreso. Credo che tanto la maggioranza quanto l'opposizione debbano raccogliere l'invito di Prodi. Insieme si possono creare le condizioni per condurre una legislatura seria, per fare le cose che servono al paese, ed è possibile farlo insieme, pur nella distinzione dei ruoli. Tale distinzione e la creazione di uno statuto delle opposizioni (non entro nel dettaglio, perché tutti sappiamo di cosa si tratta) sono i concetti che Prodi ha lanciato all'opposizione e che penso debbano essere raccolti, anche perché hanno un significato più profondo, venendo ricordati nel giorno che precede il dibattito sulle riforme. Queste ultime lo diremo domani sono di tutti, appartengono al Parlamento, ma si potranno realizzare solo se maggioranza e opposizione troveranno un terreno comune di dialogo per poter arrivare alla conclusione della fase costituente più importante per il paese in questi anni (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti e di rinnovamento italiano).

OLIVIERO DILIBERTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

OLIVIERO DILIBERTO. Signor Presidente, colleghi, signori del Governo, il gruppo di rifondazione comunista ha apprezzato il tono e il merito dell'intervento del Presidente del Consiglio (Applausi polemici dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

FRANCESCO STORACE. Uno che dice la verità!

MARCO TARADASH. Viva la verità!

PRESIDENTE. Colleghi!

OLIVIERO DILIBERTO. Tra pochi istanti il segretario del nostro partito, l'onorevole Bertinotti, motiverà il nostro voto sul documento di programmazione e dunque io mi limiterò soltanto a due questioni relative alle argomentazioni qui svolte dal Presidente del Consiglio.
Abbiamo particolarmente apprezzato, nel discorso del Presidente, il fatto che l'onorevole Prodi abbia circoscritto il campo


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del proprio intervento al tema dei lavori di questa Camera, al metodo del rapporto tra maggioranza e opposizione e tra Governo e Parlamento. Correttamente dunque il Presidente del Consiglio non è oggi entrato nel merito dell'impegnativo dibattito che da domani si svolgerà in quest'aula sulle riforme costituzionali, tenendo ben distinti i due diversi profili: l'attività del Governo, da una parte, e l'attività del Parlamento, dall'altra.
Badate, non è un problema di poco momento. Il Presidente Prodi ha voluto infatti qui esplicitare un principio che noi condividiamo (Commenti del deputato Buontempo). Il ruolo del Governo e dei singoli ministri non è e non può essere quello di intervenire nel merito delle dinamiche istituzionali per determinarle o per condizionarle; è un principio giusto ed è stato bene ribadirlo in quest'aula, dopo alcune sortite, a nostro parere perlomeno incaute, di taluno che, all'interno del Governo, ha evidentemente dimenticato di avere già fallito pochi mesi addietro il tentativo di guidare una complessa operazione politico-istituzionale fondata sulla improbabile alleanza tra centro-destra e centro-sinistra.

FRANCESCO STORACE. Uno a caso!

OLIVIERO DILIBERTO. Ma vi è di più. Dobbiamo sapere sin da ora un'altra cosa, e con essa termino. Dobbiamo sapere che l'opposizione, pure in forme non di rado patologiche rispetto alla normale prassi parlamentare, non fa altro che esercitare il proprio ruolo, cioè quello appunto dell'opposizione (Applausi di deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale). E lo fa con un atteggiamento che noi possiamo anche non condividere, ma non sarà certamente il nostro gruppo a gridare allo scandalo o a spiegare all'opposizione come deve fare l'opposizione (Applausi di deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Ma è altrettanto evidente, cari colleghi, che in modo del tutto simmetrico, come ha ricordato il Presidente Prodi, anche la maggioranza deve essere in grado di farsi valere. Parlo della maggioranza nella sua interezza, con le proprie proposte, la propria capacità di parlare al paese, di spiegare e, in definitiva, di governare.
Domani, sulle riforme istituzionali avremo, credo, un altro impegnativo banco di prova di questa maggioranza parlamentare. Rifondazione comunista in questo senso è pronta anche domani a far valere lealmente le proprie proposte rispetto alla maggioranza di questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti e di deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).

SERGIO MATTARELLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SERGIO MATTARELLA. Il Presidente del Consiglio ha posto con il suo intervento il problema dei rapporti tra Governo e Parlamento, tra maggioranza ed opposizione: qualche gruppo non ha gradito la lettura che egli ha dato. È comprensibile che maggioranza ed opposizione abbiano letture diverse dei fatti che avvengono in Parlamento; quel che è certo è che il Presidente del Consiglio ha voluto esprimere un'esigenza nella seconda parte del suo intervento, che mi pare sia stata sottovalutata da alcuni, di corretto rapporto, senza che ciò si interpreti come una maggioranza in difficoltà, che implora aiuto dalla opposizione ma cerca, nella affermazione di vicendevole dignità di ruolo, un rapporto corretto e, per quanto possibile, costruttivo.
Da parte dei gruppi di opposizione si è molto parlato della lettura che il Presidente del Consiglio ha dato dei comportamenti dell'opposizione stessa. Io sorvolerei su questo, ma vorrei dire all'onorevole Tatarella che è vero che il lavoro parlamentare si può fare in tanti modi. Può essere chiamato nuovo ostruzionismo, ma appesantire il lavoro dell'Assemblea è certamente un dato voluto. Richiamare in aula tutte le deliberazioni ai sensi dell'articolo 96-bis del regolamento è, ovviamente, un modo per appesantire i lavori dell'Assemblea;


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avanzare, come è avvenuto al Senato, 150 richieste di verifica del numero legale in due sedute indica una volontà di rallentare i lavori. E potremmo continuare.
Voglio però fare alcune considerazioni in termini costruttivi e non polemici sulla sanatoria degli effetti dei decreti-legge. All'annunziata volontà del Governo di non reiterare decine di decreti-legge, cosa che va a vantaggio non di questa o quella parte politica, ma del lavoro che in comune dobbiamo svolgere in Parlamento, non si può rispondere che il disegno di legge di sanatoria degli effetti dei decreti-legge è un atto insopportabile, anche perché la formula adoperata è quella che, singulatim per tutti i decreti scaduti, è stata per anni da tutti i Governi tutti adoperata, decreto per decreto, per sanarne gli effetti.

PAOLO BECCHETTI. Non a mazzette però!

SERGIO MATTARELLA. Onorevole collega, i decreti-legge scaduti hanno già visto sanati i loro effetti, ciascuno dal decreto-legge che lo ha seguito nel tempo. Tutti hanno avuto gli effetti sanati! Il disegno di legge completa questo lavoro già fatto dal Parlamento e non nell'interesse di questo Governo e di questa maggioranza, ma dei cittadini i cui comportamenti sono uniformati a norme di legge vigenti, non potendo essere lasciati «scoperti» dal punto di vista normativo (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo, della sinistra democratica-l'Ulivo e di rinnovamento italiano)!
Su queste cose va fatto un confronto. Il Presidente del Consiglio ha operato, ponendo la questione, una sottolineatura di rafforzamento del ruolo del Parlamento e di rispetto del medesimo in un rapporto costruttivo, ognuno per la sua parte e per il suo ruolo, parimenti importanti in quest'aula. Occorre però che vi sia un comune senso istituzionale.
So bene che la maggioranza deve essere in grado di assicurare da sola il numero legale, se necessario, ma non si può dire che questa sia la regola. La regola è che il Parlamento, l'intera Assemblea mantiene il suo numero legale. Togliere ripetutamente la tessera dal dispositivo per la votazione, se fatto frequentemente, equivale ad un abbandono dei lavori parlamentari!
La maggioranza farà la sua parte ed anche i suoi parlamentari che sono membri del Governo la faranno in quest'aula, votando. Ma non si può dire sia un compito soltanto della maggioranza, perché esso attiene alla dignità complessiva di questa Assemblea e di questa Camera.
Ecco dunque il tema del nostro confronto. Nessuno chiede all'altra parte di cambiare opinione, di cambiare lettura, ma avere consapevolezza, tutti insieme, di rivestire un ruolo di dignità importante in quest'aula. Il lavoro comune non può essere deliberatamente interrotto e continuamente rallentato solo per creare difficoltà al Governo.
L'esecutivo fa la sua parte, la maggioranza la farà. Mi auguro che il dibattito di domani servirà anche a ristabilire un clima nel quale, senza confusioni, ciascuno faccia con coscienza la propria parte (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo, della sinistra democratica-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti e di rinnovamento italiano).

MAURO PAISSAN. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
Le ricordo, onorevole Paissan, che ha a sua disposizione due minuti.

MAURO PAISSAN. La ringrazio, signor Presidente.
Io mi guardo bene, signori colleghi, dal contestare la legittimità dei comportamenti assunti dai deputati del Polo in quest'aula nelle scorse settimane, ma certo essi ha ragione il Presidente Prodi configurano una volontà pressoché univocamente indirizzata ad impedire e ad evitare che il Parlamento deliberi in un senso o nell'altro sui singoli provvedimenti, che sono poi decreti-legge dei precedenti Governi.


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MARCO TARADASH. Se ci sfidate, cominciamo a farlo davvero, perché siete dei bugiardi!

MAURO PAISSAN. Questo è stato il comportamento dell'opposizione. Il continuo ricorso, ad esempio, al richiamo in aula del giudizio di costituzionalità sui decreti-legge ed il far venire meno il numero legale sono stati gli strumenti più usati.
Si è giunti, come ricordava il collega Tatarella, a rendere vana un'intera seduta della Camera, giovedì scorso, per un emendamento sul controllo telematico del traffico cittadino, sostenuto non da un'amministrazione, collega Tatarella, ma da amministratori di vario orientamento politico: del centro-sinistra, della lega, del Polo.

FILIPPO BERSELLI. Meglio non parlarne!

MAURO PAISSAN. Ma io non voglio contestare il singolo atteggiamento, mi interessa interrogarmi sul significato di tutto ciò. Il ricatto del numero legale anche su temi non decisivi, non fondamentali, significa in sostanza la ricerca della mediazione su ogni cosa, su ogni provvedimento, su ogni norma, dunque la ricerca della consociazione. In pratica il Polo dice: qui può passare solo ciò che viene concordato tra maggioranza ed opposizione. Se questa è la volontà politica del Polo, lo dica apertamente, senza ammantare di chiacchiere alternativistiche un comportamento che va in direzione opposta!
Certo, la maggioranza non è esente da rilievi. I deputati verdi sono lealmente impegnati nel sostegno al Governo, ma io chiedo loro e lo chiedo a tutti i parlamentari della maggioranza, compresi coloro che stanno al Governo, compresi coloro che pensano di risolvere i problemi con le interviste ai giornali una maggiore presenza, un maggiore impegno, una maggiore coesione. E chiedo anche al Governo un miglior raccordo con la sua maggioranza parlamentare.
Penso che solo sulla base di una riaffermazione della compattezza della coalizione maggioritaria sarà possibile tentare di instaurare con l'opposizione rapporti di correttezza istituzionale nella distinzione dei ruoli, quei rapporti che finora il centro-destra non solo ha evitato, ma ha fieramente contrastato (Applausi).

GIORGIO LA MALFA. Chiedo di parlare (Commenti dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Colleghi, ciascun parlamentare ha diritto di esprimere le sue opinioni e non è consentito ad alcuno impedirgli di esprimerle. Questo deve essere chiaro.
Onorevole La Malfa, ha facoltà di parlare.

FRANCESCO STORACE. A qualsiasi pulpito appartenga!

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, vi poteva essere qualche incertezza sull'indirizzo del Governo in questi giorni a seguito di voci diverse nello stesso Governo e nella maggioranza. Il Presidente del Consiglio ha scelto di venire in Parlamento a fare un discorso chiaro e credo che la stessa opposizione possa apprezzare il fatto che tale questione sia stata esposta in Parlamento. La posizione del Presidente Prodi è netta: no ad un accordo politico e sì ad un modus vivendi sul funzionamento del Parlamento.
Ho letto con molto interesse questa mattina un'intervista dell'onorevole Fini sul Corriere della sera, in cui si accenna alla necessità di una maggioranza ampia. Sono da sempre convinto che i gravi problemi del paese si affrontino meglio con una vasta maggioranza ed un grande accordo politico, ma oggi, dopo che si è fatta fallire una legislatura con il divieto o con il diniego rispetto ad un'iniziativa che era stata intrapresa per un'intesa molto larga, onorevole Fini, il processo per arrivare ad una soluzione politica del genere mi pare necessariamente molto lungo e complesso.
In questo momento il Presidente del Consiglio ha scelto una strada netta e chiara. Noi ne prendiamo atto lealmente augurandoci che la maggioranza sappia


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compiere fino in fondo il suo dovere (Applausi).

RINO PISCITELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RINO PISCITELLO. Signor Presidente, la reazione di alcuni gruppi in quest'aula ad una semplice anche se ferma richiesta di correttezza appare ai deputati della rete spropositata e comunque indicativa di una difficile accettazione non del lavoro del Governo, quanto dello stesso risultato elettorale.
Ci pare normale che un Presidente del Consiglio venga in aula a chiedere di trovare un equilibrio nei rapporti tra maggioranza ed opposizione e ci sembra allo stesso modo normale che l'opposizione chieda sui provvedimenti di rilievo, però su quelli soli, il voto nominale; quello che non ci appare normale è che la richiesta venga avanzata per far mancare sistematicamente il numero legale.
L'immagine di un Parlamento in cui una sua consistente componente mostra alta la scheda per far capire che non vota allo scopo di rallentare i lavori parlamentari ed impedire la conversione in legge di decreti-legge ci pare poco dignitosa per quei parlamentari che scelgono questa via e per l'intera Camera.
Far mancare il numero legale è scelta non di poco conto, che non può che avere i caratteri dell'eccezionalità; se è costante si chiama ostruzionismo, e non è una favola, è la realtà e non si tratta di semafori o di macchine per multare gli automobilisti.
Detto questo, però occorre che la stessa maggioranza regoli se stessa, prima ancora di pensare ad uno statuto dell'opposizione; occorre che la maggioranza decida di confrontarsi al proprio interno con tutte le proprie articolazioni e che assuma dentro di sé il confronto per procedere unita, evitando assenze o dissensi non necessari. Capiterà che una maggioranza risicata a volte possa non essere tale; un Governo si basa su numeri e autorità politica, ma anche e soprattutto sui risultati elettorali, e il Governo dell'Ulivo senz'altro si basa su questi ultimi, sapendo, colleghi dell'opposizione, che l'ostruzionismo indebolisce i Governi ma fa perdere dignità ai Parlamenti e, quindi, anche alle opposizioni...

PRESIDENTE. Il suo tempo è esaurito, onorevole Piscitello.

RINO PISCITELLO. ...impedendo una democrazia compiuta (Applausi).

DOMENICO COMINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMENICO COMINO. Cari colleghi, noi pensavamo di partecipare ad un dibattito sul documento di programmazione economico-finanziaria; evidentemente ci sbagliavamo. Abbiamo sempre, in Commissione e in aula, posto questioni concrete. Cito un esempio banalissimo su tutti: abbiamo ricalcolato le previsioni del debito per il triennio indicato nel DPEF; se questo «quadra» (lo dico tra virgolette) in termini contabili per la pubblica amministrazione e questo è il quadro di riferimento per l'Unione europea, ministro Ciampi, non il quadro del «settore Stato» per il settore Stato abbiamo rilevato una riduzione complessiva, nel triennio, del debito di circa 40 mila miliardi. Abbiamo chiesto, oserei dire a cani e porci, spiegazioni su questa presunta riduzione ma né la Banca d'Italia né il relatore per la maggioranza né il Governo hanno saputo risponderci. Ci sorge un dubbio, che questo Governo o ha eccessiva dimestichezza con i numeri o ha un'assoluta incompetenza con le regole che dovrebbero guidare le scelte politiche.
Ci attendevamo delucidazioni dalla replica del Presidente del Consiglio e, invece, ci sentiamo accusati di ostruzionismo; si parla di rapporti fra maggioranza e opposizione che devono essere rivisti, di un dibattito complessivo sulle riforme, richiamato anche da altri interventi. Sentiamo il ministro Ciampi il quale, sia pur travisando il suo ruolo (ministro Ciampi, lei non parlava all'assemblea annuale della Banca d'Italia ma ai rappresentanti del


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popolo), si sarà forse accorto che quest'aula con il suo intervento è caduta in uno stato comatoso dal quale si è risollevata soltanto quando (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania, di forza Italia e del deputato Buontempo) ha esortato la maggioranza a votare la risoluzione di maggioranza.
Quanto all'ostruzionismo, signor Presidente del Consiglio, il Presidente di turno, onorevole Acquarone, ha dovuto oggi rinviare la seduta dalle 14 alle 14,20 perché il rappresentante del Governo non era presente in aula (Applausi dei deputati dei gruppi di lega nord per l'indipendenza della Padania, di alleanza nazionale, di forza Italia e del CCD-CDU)! Analogamente il Governo disdegna solitamente la presenza in molte Commissioni quando si devono discutere questioni di fondo.
Siamo inoltre molto perplessi sulle cosiddette politiche discrezionali, sulle manovre correttive di bilancio, sull'avvio di un processo virtuoso che il Governo intende avviare. Sono parole che si udivano già in quest'aula trent'anni fa e, ciò nonostante, il debito pubblico ha continuato ad aumentare e i conti dello Stato non quadrano mai.
Ministro Ciampi, non c'è bisogno di programmare il tasso d'inflazione: con queste politiche di spesa, con la riduzione complessiva dei redditi e quindi dei consumi il tasso d'inflazione rimarrà basso automaticamente, senza che il Governo intervenga, anzi è meglio che non lo faccia (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania e di forza Italia). Siamo fondamentalmente convinti però che in quest'aula è stato dato al paese un pessimo esempio di come deve essere amministrata la cosa pubblica; le responsabilità vanno equamente divise tra una larga maggioranza e una forte opposizione. Noi ci tiriamo fuori da questo dibattito insulso e forse ha ragione qualcuno quando dice che la strada delle riforme passa per Mantova (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Prima di passare alle dichiarazioni di voto, devo una spiegazione al collega Pisanu.
Onorevole Pisanu, non le ho dato la parola, perché lei l'ha chiesta sull'ordine dei lavori mentre l'onorevole La Russa l'ha chiesta per un richiamo al regolamento, sul quale è successivamente intervenuto il collega Fini. Questa è la motivazione del mio orientamento; può darsi che abbia sbagliato, ma ho voluto spiegarle perché mi sono comportato in questo modo.
Avverto che, a norma del comma 2 dell'articolo 118-bis del regolamento, sarà posta in votazione per prima la risoluzione Mussi ed altri n.6-00001, accettata dal Governo.
Ricordo altresì che, sempre a norma del comma 2 dell'articolo 118-bis del regolamento, in caso d'approvazione della medesima, le rimanenti risoluzioni dovranno considerarsi precluse.
Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazioni di voto l'onorevole D'Amico. Ne ha facoltà.

NATALE D'AMICO. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, secondo rinnovamento italiano con il documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 1997-1999 il paese compie un ulteriore decisivo passo lungo la strada del risanamento e del rilancio dello sviluppo.
Anni di instabilità governativa e di irresponsabilità finanziaria hanno distrutto la credibilità del nostro paese nell'opinione dei cittadini come nell'opinione dei mercati internazionali. Recuperare questa credibilità è assolutamente essenziale; è essenziale...

PRESIDENTE. Per cortesia, onorevole Soave. Colleghi, liberiamo l'emiciclo per consentire all'onorevole D'Amico di esporre con tranquillità il suo pensiero.

NATALE D'AMICO. Recuperare la credibilità del paese è assolutamente essenziale; è essenziale nei confronti degli italiani, perché non esiste Stato democratico che possa a lungo reggere alla mancanza


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di fiducia dei cittadini, è essenziale nei confronti dei mercati internazionali, perché la mancanza di credibilità ci costringe a pagare per i nostri ingenti debiti tassi d'interesse che rischiano di diventare proibitivi.
Per recuperare questa credibilità non c'è strada diversa da quella che passa per l'annuncio di programmi rigorosi e credibili, per il rispetto puntuale dei programmi che ci si è dati, per la rinuncia ai voli di fantasia, tanto di quelli che si manifestano negli artifici contabili sostanzialmente lassisti, quanto di quelli che si manifestano nell'annuncio di obiettivi velleitari che non potranno essere mantenuti e che quindi rischiano di trasformarsi in un boomerang per chi ha voluto annunciarli.
Il ministro Ciampi ha appena ricordato che i messaggi devono essere sì ambiziosi, ma credibili. Dunque, il DPEF alla nostra attenzione ci convince perché conferma il percorso di risanamento finanziario già avviato, lo conferma sebbene nel frattempo il quadro macroeconomico si sia reso più difficile a causa della caduta del tasso di crescita del prodotto e del rallentamento della domanda internazionale.
È opportuno ricordare quanto il paese ha già fatto: nel 1995, per la prima volta da un quindicennio, si è invertita quella tendenza alla crescita del rapporto tra debito pubblico e prodotto che sembrava inarrestabile. Da un quindicennio il paese procedeva con piani triennali di risanamento finanziario che ogni anno dovevano essere rivisti, poiché fin dal primo anno fallivano gli obiettivi programmati. Ebbene, nel 1995 il fabbisogno pubblico si è mantenuto addirittura al di sotto del livello massimo originariamente previsto. Per la prima volta non siamo oggi costretti a rimettere in discussione quanto avevamo già annunciato e deciso.
Certamente, neanche il risanamento finanziario è perseguibile senza oneri. L'anno scorso la finanza pubblica ha registrato un avanzo primario di oltre 60 mila miliardi di lire: questo vuol dire che ogni italiano, compresi i neonati e gli ultraottantenni, ha versato nelle casse dell'erario un milione di più di quanto ne abbia ricevuto in termini di beni e servizi, e ciò a prescindere dalla qualità, spesso cattiva, degli stessi. Altrimenti detto: se non ci fosse stato il peso dei debiti irresponsabilmente contratti in passato, il 31 dicembre dello scorso anno lo Stato avrebbe potuto staccare un assegno di 30 milioni di lire a favore di ciascuna delle famiglie italiane sono circa due milioni che si trovano a combattere sulla soglia della povertà. Ciononostante, se non avessimo avuto il peso dei debiti contratti in passato, avremmo chiuso il bilancio in avanzo, ma il paese è costretto a farsi carico di un passato, appunto, irresponsabile...

PRESIDENTE. Onorevole Ruggeri, può evitare di dare le spalle alla Presidenza?
Prosegua pure, onorevole D'Amico.

NATALE D'AMICO. ...e lo sta facendo a prezzo di gravi sacrifici, lo sta facendo consapevole che in fondo al tunnel c'è un paese finalmente in grado di assicurare migliori e credibili prospettive di benessere a tutti i cittadini, in particolare alle giovani generazioni.
A chi obietta che questo sentiero di risanamento non è abbastanza rapido, che si potrebbe fare di più, vale la pena ricordare che il DPEF al nostro esame prevede che l'avanzo primario raggiunga nel 1997 i 105 mila miliardi di lire. Le cifre relative alla differenza tra quanto viene prelevato dalle tasche dei cittadini e quanto viene loro reso in termini di beni e servizi si innalzeranno da un milione a un milione e mezzo pro capite; l'assegno che potremo dare alle famiglie meno abbienti s'innalzerà da 30 a 50 milioni.
Bando, dunque, al rigorismo di maniera, poco attento alle condizioni di praticabilità, non solo politica e sociale, quanto anche economica, delle misure proposte! C'è da chiedersi, infatti, cosa succederebbe all'economia italiana se quell'avanzo, con l'orientamento restrittivo che esso comporta, venisse innalzato di qualche decina di migliaia di miliardi, com'è stato da alcuni parti proposto. E bando anche alle tentazioni lassiste, perché c'è da chiedersi quale effetto sui tassi di interesse e dunque


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sul fabbisogno complessivo avrebbe l'annuncio che il paese, dopo appena un anno virtuoso, abbandona la via del risanamento tracciata.
È invero strano che dalle fila della minoranza siano venute entrambe le proposte: sia quella rigorista, sia quella lassista. Sarebbe banale affermare che se le critiche giungono da due sponde opposte solo per questo la via percorsa è la migliore; certo, l'evidente disomogeneità delle posizioni emerse in quest'aula nella minoranza ci convince ulteriormente del fatto che la transizione istituzionale del sistema politico italiano verso un assetto sinceramente bipolare è purtroppo ben lungi dal compiersi e che essa richiede probabilmente una più vasta modifica dei meccanismi istituzionali. Ma questa è materia di cui la Camera si occuperà nei prossimi giorni.
Tornando al DPEF, noi di rinnovamento italiano crediamo che bene abbia fatto il Governo a confermare la strada a suo tempo tracciata, che bene faccia la Camera e dunque bene faccia la maggioranza, con la risoluzione presentata, a confermare quel percorso. Rimane l'esigenza forte di dare un contributo decisivo alla lotta alla disoccupazione. Anche su questo tema si sofferma la risoluzione che ci accingiamo a votare, ma non dobbiamo nasconderci che su questo terreno è necessario uno sforzo di iniziativa al quale sono chiamati insieme Parlamento e Governo.
Noi di rinnovamento italiano crediamo che su questo tema occorra continuare a riflettere. La risoluzione impegna il Governo a promuovere un piano straordinario per gli investimenti e l'occupazione, destinando a questo scopo nel triennio l'1 per cento del PIL, pur nel rispetto dei vincoli di fabbisogno già tracciati. Noi crediamo che si possa pensare ad uno sforzo ulteriore. Ad esempio riteniamo che risorse reperite attraverso privatizzazioni aggiuntive ripeto: aggiuntive rispetto a quelle già preventivate possano essere destinate a finanziare alcune opere pubbliche decisive. A ben vedere un intervento di questo genere avrebbe effetti solo benefici sulle finanze pubbliche, poiché sostituirebbe nello stato patrimoniale pubblico proprietà azionarie che spesso rendono poco o nulla con la proprietà di infrastrutture capaci di dare un contributo all'aumento del reddito nazionale e dunque alle entrate future dell'erario. Volendo spingersi nell'esempio, poiché il mercato, com'è successo per l'operazione Mediaset ha dimostrato di apprezzare le reti televisive, perché non ragionare intorno alla cessione sul mercato di una rete RAI, destinandone i proventi al rifacimento della SalernoReggio Calabria, o a qualche altra grande opera capace di dare un contributo importante allo sviluppo del paese? Ma di questo ci sarà occasione di discutere, speriamo, in Parlamento e nel paese.
Quanto alla questione sulla quale siamo chiamati a pronunciarci, rinnovamento italiano dichiara il proprio sostegno al DPEF elaborato dal Governo ed i deputati del gruppo si apprestano a votare a favore della risoluzione presentata dalla maggioranza, della quale sono parte (Applausi dei deputati dei gruppi di rinnovamento italiano e dei popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sbarbati, alla quale ricordo che ha tre minuti a sua disposizione. Ne ha facoltà.

LUCIANA SBARBATI. Presidente, il documento di programmazione economico-finanziaria che ci accingiamo a votare afferma che il Governo intende perseguire i principi fissati nel Trattato di Maastricht per rendere l'Italia pienamente partecipe del processo di integrazione europea, per la sua rilevanza sia politica sia economica.
Negli ultimi mesi si sono registrati buoni risultati sia per quanto riguarda l'inflazione sia per quanto concerne i tassi di interesse, che sono diminuiti rispetto ai valori della fine del 1995.
Secondo il documento, l'apprezzamento della lira ed il rallentamento dell'inflazione pongono oggi le premesse per un rientro negli accordi di cambio, ma a nostro avviso occorre rafforzare proprio


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per questo il programma di risanamento della finanza pubblica, avviandolo ad una giusta politica dei redditi.
Il DPEF prevede interventi incisivi sulla spesa per interessi, il rilancio dell'accordo del luglio 1993 ed un'azione di monitoraggio sull'evoluzione di prezzi e tariffe. Tuttavia non prevede un'accelerazione dei tempi di risanamento dei conti pubblici rispetto a quelli indicati nel precedente documento programmatico, per cui non risulta possibile un abbassamento del rapporto fabbisogno-PIL per il 1997 al 3 per cento.
Non si ritiene, però, che tale scelta significhi una rinuncia a presentare l'Italia come candidato all'ingresso nell'unione monetaria fin dall'inizio della terza fase, ma si esprime la convinzione politica che al momento il contesto macroeconomico così come affermava il ministro Ciampi non consente un'accelerazione del processo di avvicinamento ai criteri di convergenza, poiché una manovra più pesante rischierebbe di prostrare l'Italia.
Per il partito repubblicano va perseguito l'obiettivo di combattere con fermezza l'inflazione, poiché solo con una politica decisa in tale settore potremo ridurre il deficit senza dover ricorrere ad ulteriori dolorosi tagli alla spesa e perciò allo Stato sociale, o ad aumenti di entrate, il che contrasterebbe in modo stridente con il programma fiscale dell'Ulivo, che puntava sull'invarianza della pressione fiscale a medio e lungo termine (e questo abbiamo visto essere il binario entro il quale il DPEF si è mosso).
L'Italia ha già un attivo primario più che sufficiente, si dice, per cui si possono condividere, almeno per ora, gli obiettivi posti dal DPEF che sono: conciliare il riequilibrio dei conti pubblici con la ripresa dell'attività produttiva; risanare la finanza pubblica e abbattere l'inflazione per ridurre i tassi e liberare le risorse ad un costo più basso per investimenti privati e consentire allo Stato un impegno maggiore per la realizzazione di infrastrutture pubbliche; valorizzare il capitale privato ed i fondi comunitari; modernizzare soprattutto la pubblica amministrazione; procedere alle privatizzazioni; liberalizzare e regolamentare i mercati; attenuare i vincoli alla libera iniziativa ed introdurre la flessibilità del mercato del lavoro; consentire il rientro della lira nell'accordo di cambio europeo; e, per noi importantissimo, prevedere la partecipazione dell'Italia, fin dal primo gennaio 1999, alla terza fase dell'unione economica e monetaria.
Oggi, giornali e televisioni, commentando le reazioni dei mercati finanziari, annunciano la fine della luna di miele del Governo. Ma ciò che ci preoccupa realmente come repubblicani, e preoccupa soprattutto gli operatori finanziari, è il clima politico che stiamo vivendo. Il tentativo di mandare a casa il Governo Prodi, ripristinando vecchi sistemi con cui in Italia si facevano e si disfacevano i governi da un giorno all'altro, ignorando le scelte degli elettori...

PRESIDENTE. Onorevole Sbarbati, il tempo a sua disposizione è esaurito.

LUCIANA SBARBATI. ... ai quali si chiedevano ho concluso, signor Presidente semplici deleghe in bianco, è il vero motivo di preoccupazione dei mercati.
Tornare a quelle pratiche, che nulla hanno in comune con le regole della democrazia e dell'alternanza e con la necessità di instaurare con l'opposizione un dialogo civile e trasparente sulle riforme, riporterebbe indietro le lancette dell'orologio ai tempi di quei governi delle segreterie di partito, sui quali oggi pesa la responsabilità maggiore di aver reso il traguardo di Maastricht così lontano. Per tale traguardo noi continueremo a dare fiducia al Governo, soprattutto per quelli che sono stati gli impegni assunti in Assemblea ed in Commissione in particolare dal ministro Ciampi.
Per tali motivi i deputati del partito repubblicano voteranno a favore del DPEF (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scozzari,


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al quale ricordo che ha quattro minuti a sua disposizione. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE SCOZZARI. Signor Presidente, colleghi, signor Presidente del Consiglio, signori ministri, noi deputati della rete non abbiamo partecipato al voto sul documento di programmazione economico-finanziaria nelle Commissioni. Abbiamo voluto, signor Presidente del Consiglio, manifestare in silenzio il disagio che viviamo nella maggioranza; un disagio che riguarda il metodo ed i comportamenti nel vedere il Governo slegato dalla base parlamentare. E noi siamo base parlamentare.
Abbiamo comunque scelto di porci in chiave positiva e continueremo a lavorare per superare le frizioni esistenti nel rapporto con questo Governo e sulle cose che questo Governo deve fare per il paese.
Nonostante le perplessità che abbiamo manifestato anche al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Bogi, voteremo a favore del documento di programmazione economico-finanziaria. Desideriamo comunque ribadire in questa dichiarazione di voto alcune priorità importanti, premettendo che, purtroppo, signor Presidente del Consiglio, la fase recessiva non si è esaurita per il Mezzogiorno nel 1993, come è avvenuto per il resto del paese. L'espansione della domanda estera dovuta alla svalutazione della lira ha favorito solo quella parte del paese che aveva qualcosa da esportare, che aveva beni industriali da esportare. Purtroppo così non è stato per il Mezzogiorno e le aree depresse.
Il tasso di disoccupazione nazionale del 12 per cento come lei sa, signor Presidente del Consiglio, perché ha girato l'Italia prima e durante la campagna elettorale è un dato falso perché il paese, purtroppo, non è omogeneo sul versante dell'occupazione. Quel tasso non è distribuito omogeneamente su tutto il territorio e quindi determina alcune ingiustizie fra quelle che sono le aree del lavoro nel paese. In alcune regioni e province del sud il livello di disoccupazione è purtroppo pari anche al 50 per cento. Debbo aggiungere che la questione occupazione non riguarda solo i giovani: una volta si parlava di disoccupazione giovanile; oggi il problema è ancora più grave, poiché riguarda tutti quei lavoratori, non più giovanissimi, che hanno perso il lavoro a causa della crisi e che non hanno dei riferimenti lavorativi e non sanno come dare da vivere alle loro famiglie.
Noi chiediamo quindi alcune garanzie attraverso i contratti di solidarietà ed il prestito d'onore per le giovani imprenditorialità. Due questioni sono per noi molto importanti: in primo luogo, le garanzie sulla capacità reale d'acquisto per i contratti e, quindi, per i salari esistenti (riteniamo che la soglia del 3 per cento dell'inflazione programmata sia un punto di forza del documento).
La seconda questione è ancora in itinere al Senato. Mi riferisco, signor ministro, signor Presidente del Consiglio, al decreto-legge sui lavori socialmente utili. Chiediamo un impegno del Governo affinché i lavori socialmente utili possano essere prorogati, perché sono simili politicamente alla questione dei contratti di solidarietà. Oggi, nel Mezzogiorno in genere, ma in particolare in Sicilia, 43 mila lavoratori vivono grazie a questo tipo di contratti temporanei, che consente comunque di porre un argine alla questione lavoro ed altresì di evitare disordini che potrebbero lo dico senza enfasi, signor Presidente del Consiglio sfociare anche in momenti di tensione civile.
Per questo siamo molto soddisfatti nell'apprendere dai giornali (ancora non ci è pervenuta la notizia nonostante noi facciamo parte della maggioranza) che c'è un piano di interventi straordinari per il Mezzogiorno. Di questo ha bisogno il meridione, di strutture e di servizi, affinché la ripresa economica passi e si sviluppi nel Mezzogiorno...

PRESIDENTE. Il suo tempo è esaurito, onorevole Scozzari.

GIUSEPPE SCOZZARI. Ho concluso, Presidente.
È necessaria una politica del credito diversa, che possa essere un punto di omogeneizzazione tra quella praticata dalle


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banche del nord e quella attuata dalle banche del sud...

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Scozzari, il suo intervento è concluso.
Colleghi, qualcuno ha un telefono portatile acceso, mentre non dovrebbe averlo con sé in aula.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Benetti, al quale ricordo che può disporre di sei minuti. Ne ha facoltà.

LINO DE BENETTI. Signor Presidente, colleghi, signor Presidente del Consiglio, ministro Ciampi, il documento di programmazione con il quale il Governo dell'Ulivo e questa maggioranza iniziano il proprio lavoro, gettando le basi per la programmazione economica dei prossimi tre anni, ha destato nei parlamentari del gruppo verde serie preoccupazioni: non ci ha entusiasmato, signor Presidente. Alcuni autorevoli detrattori del DPEF avevano peraltro affermato, quando fu presentato, che esso non era nemmeno in grado di agganciarsi ai parametri dell'Europa. Ricordo che il presidente della Confindustria aveva affermato più volte che il taglio delle uscite non avrebbe pesato più del 50 per cento, indicando anche i punti su cui agire, chiaramente identificati in sanità, previdenza, pubblico impiego. Noi non avremmo accolto questa impostazione, che avrebbe peggiorato il DPEF. Siamo stati invece d'accordo con le intese e le modifiche che il movimento sindacale, rifondazione comunista e la stessa maggioranza dell'Ulivo hanno proposto e ripresentato attraverso la risoluzione che stiamo per votare.
Questa risoluzione, appunto, che come maggioranza abbiamo elaborato, offre maggiori garanzie sia per il potere di acquisto sia per la difesa dei salari.
Ma vi è qualcosa di più, signor Presidente. Il documento di programmazione economico-finanziaria non raccoglie ed è questo il senso della nostra dichiarazione di voto, perché lo poteva e lo doveva fare alcune sfide che proprio la globalizzazione dell'economia dei mercati, la modernizzazione delle imprese e delle tecnologie avanzate e produttive esigevano.
Premetto che noi siamo d'accordo, ministro Ciampi, sui pilastri, che lei indica, della politica economica del Governo, cioè i tassi di interesse e di inflazione; riteniamo anche noi che l'abbattimento dell'inflazione rappresenti la garanzia del potere di acquisto dei percettori di reddito fisso e che la stabilità dei prezzi migliori le condizioni reali dei lavoratori dipendenti. Ma non è tutto, e se ciò fosse tutto, noi non saremmo d'accordo su qualsiasi politica economica di qualsiasi governo.
La sfida che manca lo dico in senso positivo e costruttivo è quella che proprio il Libro bianco Delors (qui ricordato anche dal relatore, onorevole Cherchi) afferma essere una tra le sfide che permettono di costruire l'Europa, e per l'Italia di essere Europa e di essere in Europa: mi riferisco all'obbligo di promuovere, indicare, incentivare il modello dello sviluppo compatibile durevole per una società sostenibile. Occorre cioè promuovere non sono parole mie, ma affermazioni del Libro bianco nel suo ultimo capitolo una crescita economica in condizioni sostenibili, in un modo cioè che comporti una maggiore intensità occupazionale, una minore intensità di energia e un minor consumo di risorse naturali.
A questo punto, chiedo alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna di considerazioni integrative alla mia dichiarazione di voto, per trattare, in questi ultimi minuti che ho a disposizione, altre questioni importanti.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, onorevole De Benetti.

LINO DE BENETTI. Vogliamo cogliere questa importante occasione del voto sul documento di programmazione economico-finanziaria per dichiarare con pacatezza ma fermamente che, rispetto alla questione dello sviluppo sostenibile e quindi del rapporto subottimale tra risorse e lavoro, i verdi sosterranno soltanto uno sviluppo di opere pubbliche, sì utili,


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ma non dannose: appunto sostenibili e compatibili con le risorse.
Non è certo il caso della variante di valico, per esempio; non è certo il caso dello stretto di Messina. Ecco, signor Presidente del Consiglio, la sfida dello sviluppo sostenibile nel documento di programmazione economico-finanziaria non si riscontra del tutto; poteva esserci e doveva esserci.
I deputati del gruppo verde, dunque, approveranno il documento di programmazione economico-finanziaria; voteranno a favore della risoluzione presentata, perché ritengono di poter comprendere il programma di questo Governo, di questa maggioranza, perché ritengono di avere dimostrato tale potenzialità durante le fasi programmatiche della campagna elettorale di questo inizio di legislatura. Ma questa prima prova ce lo lasci dire a giudizio dei deputati del gruppo verde è deludente e non è sufficientemente innovativa rispetto alla direzione che ho indicato e che per sinteticità ho chiamato dello sviluppo sostenibile.
Il Governo sappia pertanto, che i verdi lo dico ancora con pacatezza per il futuro decideranno il loro atteggiamento e il loro voto per tutti i provvedimenti a seconda che le decisioni relative a nodi essenziali si rivelino in contrasto o meno con lo sviluppo sostenibile (ho indicato a mo' di esempio la variante di valico) o che ne favoriscono o meno la progettualità innovativa.
Per i verdi questi nodi costituiscono un discrimine invalicabile. Infatti, signor Presidente, non si tratta di una questione posta soltanto da noi; si tratta di accogliere una sfida che lo ripeto proprio in questo documento così importante, spesso richiamato in quest'aula, manca. Mi riferisco alla modifica del modello di sviluppo, che ha un nome preciso e una sua capacità di indirizzo economico ben chiara: sviluppo sostenibile. Se non si è in grado di accogliere questa sfida, che è veramente capace ...

PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è terminato, onorevole De Benetti.

LINO DE BENETTI. Ho finito, signor Presidente.
La sfida è quella di risanare, di creare più occupazione, e soprattutto di conferire dignità e qualità a quei 340 milioni di cittadini che risiedono, vivono e lavorano in quella parte del mondo che si chiama Europa, e dunque anche nel nostro paese (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Peretti. Ne ha facoltà.

ETTORE PERETTI. Signor Presidente, colleghi, signor Presidente del Consiglio, il dibattito sulle linee di programmazione economico-finanziaria del Governo ha messo in luce il limite, la difficoltà del sistema politico-parlamentare a proporre soluzioni credibili ai problemi gravi del nostro paese. Ritengo, peraltro, che solo poche persone coltivino ancora la speranza che l'ordinaria amministrazione sia sufficiente a giustificare la permanenza di questo Governo a capacità limitata, in quanto è a tutti evidente l'incapacità di tale eterogenea coalizione di rispondere alle attese di profonda riforma e di rilancio dello sviluppo.
È vero che non può essere addebitata solo alla classe politica attuale la difficoltà di gestire la transizione, ma è pur vero che questa classe politica ha l'obbligo di prendere atto, senza perdere ancora tempo, che gli strumenti a sua disposizione sono insufficienti per far fronte alla grande richiesta di cambiamento del nostro paese. Non farlo, o peggio far finta di non accorgersene, è una colpa storica, grave e insostenibile.
Dobbiamo dunque prendere atto che i grandi mutamenti della società italiana non possono più essere governati e indirizzati con gli attuali strumenti politico-istituzionali. La stessa disputa sui poteri forti e su chi comandi realmente oggi in Italia, al di là di un approccio un po' provinciale al problema, mostra l'arretratezza del rapporto tra obiettivi, azioni politiche, strumenti ed efficacia delle scelte. S'incrociano oggi richieste di modernizzazione, consolidamento


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e conferma di diritti, come la parità di accesso alle opportunità per tutti i cittadini, che trovano difficoltà ad armonizzarsi nelle attuali risposte che faticosamente la politica e le istituzioni cercano di dare. Anzi, parte proprio dalla risoluzione di questo nodo la sfida di progresso nel futuro della nostra società: progresso, e non solo sviluppo economico. Ma anche lo sviluppo economico, al quale non può più essere estranea una valutazione qualitativa, diviene un elemento fondamentale sul quale misurare la capacità della nostra società di sapersi orientare nella sua inevitabile ed inarrestabile trasformazione.
È in questo contesto, forse più sociologico e culturale che economico in senso stretto, che noi valutiamo negativamente il primo e fondamentale documento di programmazione economica del Governo. La nostra è una valutazione ancor più negativa dopo la pseudomediazione sopraggiunta tra l'Ulivo e rifondazione comunista sul tasso programmato di inflazione. Mi chiedo se possa essere lo 0,5 per cento di questo tasso lo scoglio, il discrimine politico per valutare un documento che invece presenta macroscopiche carenze, sia dal lato del rigore sia da quello del rilancio dell'occupazione, verso una vera ripresa economica. Basterebbe questa disputa, fatta sulla pelle degli italiani, su chi ha la forza di dire e dettare l'ultima parola all'interno della maggioranza, per votare contro il documento in esame. Ma anche il merito è inaccettabile.
Come è ben evidenziato dalla risoluzione proposta dal Polo, tutto il resto del documento risente della contraddizione interna alla maggioranza di Governo. Il quadro macroeconomico programmato non è coerente con la situazione reale dell'economia del paese e quindi conduce inevitabilmente su un binario morto le azioni conseguenti. Manca una valutazione attendibile del rapporto costi-benefici dell'adesione dell'Italia al trattato che istituisce la moneta unica, e quindi viene a mancare il criterio per valutare la sostenibilità della manovra finanziaria per riequilibrare i conti dello Stato e della pubblica amministrazione. Manca un quadro organico di azioni per conseguire gli obiettivi di rientro della spesa. La manovra da 16 mila miliardi è fasulla, è solo un blando rinvio di spese; è tardiva e quindi esplica i suoi effetti su un arco temporale insufficiente. La manovra da 32.400 miliardi per il 1997 non viene resa esplicita nei suoi effetti e nelle sue linee. Manca una valutazione di equità, giacché rimangono vaghe nei contenuti le misure di lotta all'evasione fiscale. Non è prevista la necessaria revisione dello Stato sociale anche quando ormai appare evidente a tutti che non è più possibile dare tutto a tutti e che occorre invece selezionare l'accesso alle prestazioni privilegiando chi più ne ha bisogno. Manca un preciso impegno a mettere a regime il cofinanziamento come prima risorsa finanziaria (in questi giorni sta passando inosservato il fallimento della cabina di regia).
Infine, l'impegno a creare nuova occupazione si ferma alla difesa sindacale di quello che c'è. Noi, viceversa, proponiamo che la difesa del lavoro e la creazione di nuova occupazione partano dalla difesa e dalla promozione dell'iniziativa imprenditoriale, attraverso la riforma del mercato del lavoro, la riduzione del peso della burocrazia e gli incentivi sperimentati con successo dal Governo Berlusconi. Non c'è molta volontà di fare arretrare lo Stato dall'economia e, più in generale, non c'è la consapevolezza dello stretto legame che deve esistere tra questione economica, questione sociale e questione istituzionale.
Signor Presidente, colleghi deputati, ritengo che questi motivi siano sufficienti per votare contro il documento di programmazione economico-finanziaria. Annuncio pertanto il voto contrario dei deputati dal gruppo del CCD-CDU fondato sul diritto e dovere di fare opposizione. Ritengo importante che a tale proposito la maggioranza prenda atto della insostenibilità di questa politica e tragga da ciò le dovute conseguenze (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU, di forza Italia e di alleanza nazionale).


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bertinotti. Ne ha facoltà.

FAUSTO BERTINOTTI. Signori Presidenti, signore e signori deputati, come tutti sanno è un'evidente sciocchezza sostenere che la risoluzione Mussi ed altri n.6-00001 cui approdiamo è il frutto di una sorta di ricatto di rifondazione comunista. Del resto, se avessimo potuto dettare i nostri obiettivi, ben altro sarebbe stato l'esito. Ci siamo proposti invece di introdurre elementi positivi di rilievo sociale nel documento di programmazione economico-finanziaria che è stato presentato.
Avremmo potuto scegliere un'altra via ed anzi, forse, avremmo dovuto sceglierla se avessimo guardato semplicemente lungo la griglia dei nostri reali dissensi. Avremmo potuto cioè dissentire dall'impianto del documento di programmazione oppure, quando il Governo ha avanzato l'ambizioso obiettivo di ridurre il tasso di inflazione al 2,5 per cento, ricordando che tale obiettivo veniva posto in un quadro di relazioni industriali e sociali connotato dalla concertazione, avremmo potuto fronteggiare criticamente l'obiettivo medesimo. Abbiamo scelto un'altra via, quella di introdurre in progress correzioni che rispondessero ad istanze sociali. Abbiamo cercato di contribuire, nel confronto con le altre forze politiche della maggioranza e con il Governo, ad aprire la via affinché si potesse andare oltre l'impostazione del documento su due punti essenziali per il futuro dell'Italia, che del resto connotano direttamente anche l'intera vicenda europea, vale a dire il drammatico problema dell'occupazione e la questione della riforma dello Stato sociale.
Per questo abbiamo proposto la questione della difesa del potere di acquisto del salario non come semplice difesa, pure necessaria, di condizioni così duramente provate di tante masse del nostro paese. L'abbiamo proposta per sottolineare l'esigenza di un'inchiesta sulla condizione sociale di queste masse oggi nel paese. Abbiamo inteso cioè proporre una questione distributiva di ordine e di significato generale. Abbiamo indicato un'ingiustizia che si è andata costituendo duramente in questi anni. Veda, Presidente Ciampi, secondo noi la concertazione non ha dato i buoni esiti che lei qui ha ricordato. La concertazione è fallita perché ha visto falsificata la tesi per cui è stata costruita in questi anni. È stata falsificata perché i salari reali si sono ridotti durante un periodo di incremento della produttività, perché la disoccupazione si è solidificata durante un periodo di crescita e perché la condizione di lavoro ne sono testimoni i drammatici indici degli infortuni è venuta aggravandosi nonostante l'innovazione tecnologica.
No, non siamo andati verso un miglioramento della condizione di questo paese, ma verso un incremento dell'ingiustizia sociale che ci ha fatto raggiungere il record, in Europa, del tasso di ingiustizia sociale in un paese. Del resto, bastano i dati che lo stesso Governatore della Banca d'Italia ha citato nella sua relazione, quando ha ricordato che i profitti nel 1995 sono aumentati, rispetto al 1994, del 30 per cento dicasi del 30 per cento! mentre i salari dell'industria sfioravano, a malapena, il 3 per cento, mettendosi così al di sotto dell'inflazione reale, e dunque ancora protraendo come del resto il Presidente del Consiglio ha dovuto riconoscere una perdita al loro potere d'acquisto reale (perdita del potere d'acquisto che, per chi guadagna un milione e 400 mila lire o un milione e 500 mila lire al mese, induce sofferenze reali e quotidiane).
Del resto, in questo paese la povertà ha ormai raggiunto e superato il 10 per cento della popolazione e, in generale, siamo di fronte ad un incremento degli squilibri che vede sprofondare il Mezzogiorno. Di fronte a questa condizione abbiamo pensato e pensiamo che lo schema del documento di programmazione economico-finanziaria non è in grado, così com'è, di costruire e difendere la coesione sociale di un paese così provato. Ed è per questo che abbiamo provato a resuscitare lo spirito del 21 aprile, quello che ha consentito la vittoria contro le destre e che ha generato grandi attese.


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Non ha fondamento domandarsi chi abbia vinto in questa contesa. La domanda è sbagliata. Forse, una domanda accettabile e giusta è chiedersi chi ha perso con questa risoluzione, con la conclusione verso cui stiamo andando. Ha perso un soggetto come la Confindustria, che ha scelto una linea oltranzista, come quando, dopo l'annuncio del 2,5 per cento di inflazione programmata, ha chiesto, detto e preteso che i rinnovi contrattuali si effettuassero su quell'indice. O come quando il nuovo capo dell'ufficio studi chiede ai lavoratori italiani di disporsi ad accettare licenziamenti semplicemente quando cala la produzione, dimentico persino degli ammortizzatori sociali che si sono costruiti; di dimenticare la pensione pubblica muovendosi solo in direzione delle assicurazioni; di disporsi, quando ammalati, a essere curati solo negli ospedali e di ricorrere, in caso contrario, all'assicurazione privata.
Ecco, questa istanza è stata sconfitta e, in qualche modo, un elemento di riconoscimento delle esigenze dei lavoratori si è affermato. Ed è questo risultato che non fa vincere le nostre istanze ma quelle dei lavoratori, almeno come impegno che consente di dire che oggi il futuro di questo Governo, il domani di questo Governo è più positivamente aperto di quanto lo fosse ieri e non vedrà certamente, se si prosegue su questa strada di innovazione, di riforma e di attenzione alle istanze sociali, una minaccia da parte di rifondazione comunista. Semmai, una minaccia vera a questo Governo viene da chi continua a riproporre, «di riffa o di raffa», le logiche delle larghe intese, insomma lo snaturamento del senso di questa innovazione.
Ragioniamo, al contrario, sull'esperienza di questi giorni, anche sui contrasti che vi sono stati, sui conflitti, sui nostri voti contrari nelle Commissioni, ma anche sul fatto che un principio di realtà è diventato fatto politico e che la maggioranza che sostiene questo Governo si è rivelata, come è, non essere soltanto l'Ulivo, ma invece effetto di una coalizione che vede l'Ulivo e rifondazione comunista impegnati in questo cammino. Non è semplicemente una questione di composizione, ma di apertura alle istanze sociali. È questione di guardare al paese come all'esigenza di costruire una vera e propria coalizione sociale riformatrice.
È qui che, pure manifestando la nostra ferma intenzione di votare a favore della risoluzione per sottolineare questo elemento dinamico, non possiamo non indicare i nostri punti critici. Il Governo Prodi, se vuole durare, deve mettersi all'altezza della richiesta di riforme che ha suscitato nel paese.
Vorrei dire onestamente che non credo ci sia questo tipo di risposta nel documento di programmazione economico-finanziaria. L'intervento rigoroso svolto dal ministro Ciampi ha persino acutizzato i miei elementi di dissenso. Penso a questioni assai importanti, come alle privatizzazioni o al mercato del lavoro e al modo stesso con cui si pensa alla moneta unica europea.
Avremo come banco di prova dell'efficacia, dell'efficienza, della capacità di riforma di questo Governo, l'autunno, la Conferenza sull'occupazione e la finanziaria. Vorremmo dire, senza alcuna sottolineatura demagogica, che guardiamo a quell'appuntamento con fiducia e con impegno, ma sentiamo di dirvi, signori del Governo, che c'è un termine che non ci sentiremo di accettare in quella finanziaria: il termine «sacrifici». In un paese in cui l'evasione fiscale ammonta a 230 mila miliardi non è possibile pensare che un sacrificio ricada su chi guadagna un milione e mezzo al mese. Porsi, tra i tanti, anche l'obiettivo della riduzione del 10 per cento dell'evasione fiscale italiana credo possa essere un obiettivo indicatore della strada che si vuole percorrere (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti), che individua un'altra modalità di recupero delle risorse, per una nuova politica economica, che abbia al centro davvero l'occupazione.
Ministro Ciampi, lei ci ha riproposto in questa sede la logica e l'ispirazione di Maastricht. Creda, noi comprendiamo il suo ragionamento anche quando dissentiamo


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dal medesimo, tuttavia dobbiamo chiederle se siamo o no di fronte ad un fatto nuovo nella congiuntura dell'Europa e dell'Italia. Si affaccia o no, concretamente, anche un pericolo di recessione? Questo paese, provato dal 12,5 per cento di disoccupazione, può tollerare che una stretta recessiva produca altra disoccupazione? Allora, ecco che i parametri di Maastricht non possono essere enunciati come dogmi, su di essi si deve riflettere criticamente. Il Presidente del Consiglio ha già fatto l'esperienza del Parlamento europeo e quando ha parlato del Consiglio europeo di Firenze, non io, un esponente di rifondazione comunista, ma Pauline Green, ha criticato questa impostazione. Il capogruppo della socialdemocrazia europea ha sferrato un attacco a fondo alle politiche che non rispondono ai problemi dell'occupazione, chiedendo un'innovazione e una svolta e lo stesso chiediamo noi (Applausi dei deputati dei gruppi di rifondazione comunista-progressisti, della sinistra democratica-l'Ulivo e di deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.

GIANCARLO PAGLIARINI. Signor Presidente, in premessa devo ricordare che abbiamo chiesto al presidente della Commissione bilancio, Solaroli, e suo tramite al Presidente Violante la possibilità di proporre emendamenti alla risoluzione presentata dalla maggioranza, perché questo ci avrebbe consentito di apportare dei miglioramenti e, forse, se gli emendamenti fossero stati approvati dall'Assemblea, ci avrebbe permesso di votare a favore del documento, oppure di concedere una benevola astensione. Purtroppo questa possibilità, prevista dal regolamento del Senato, ci è stata negata. Peccato, perché l'Assemblea avrebbe potuto modificare ed integrare il documento predisposto dalla maggioranza e dai suoi dintorni.
Il gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania voterà contro la risoluzione presentata, perché pensiamo che essa sostanzialmente avalli un documento di programmazione economico-finanziaria culturalmente vecchio ed economicamente dannoso, salvo per l'obiettivo, che condividiamo, di assumere iniziative per realizzare in Europa l'armonizzazione dei vari sistemi fiscali. In generale, questi due documenti mancano di coraggio. In essi si parla troppo poco e con pochissima enfasi e convinzione di decentramento e di autonomia e non si parla mai di libertà e di indipendenza. Questi documenti ci terranno sicuramente fuori dall'Europa, con la conseguenza di condannare le imprese italiane a fare i conti con un costo del denaro molto più alto di quello che pagheranno i loro concorrenti europei e con l'ulteriore conseguenza di condannare il paese ad un futuro di recessione e di disoccupazione.
Chi ha scritto questo documento di programmazione economico-finanziaria e questa risoluzione non si rende conto che nel nostro, come in altri stati tradizionali organizzati in modo marcatamente centralistico, le istituzioni stanno perdendo, giorno dopo giorno, la capacità di controllare i rapporti di cambio e quindi di proteggere la propria moneta. Pertanto la nostra esclusione dall'unione monetaria, che con questa proposta di soluzione deve considerarsi sicura dato che con essa il Governo non si pone l'obiettivo di cominciare seriamente ad organizzare in modo più razionale il paese, togliendo privilegi ed eliminando la cultura e la prassi dell'assistenzialismo, assumerà il significato di una vera e propria condanna ad un alto costo del denaro, alla recessione e a subire gli effetti devastanti dell'inflazione.
Secondo: chi ha scritto questo DPEF e questa proposta di soluzione non si rende conto che il Governo del nostro paese, al pari dei Governi di tanti altri Stati tradizionali organizzati in modo marcatamente centralistico, non è più in grado di creare vere attività economiche, ma è ormai solamente un meccanismo inefficiente di distribuzione di risorse; risorse la cui sorte è sempre più determinata da scelte di mercato compiute altrove. Le migliaia di miliardi che spenderemo per il Banco di Napoli,


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per il Giubileo, per Bagnoli non sono spese produttive; se li avessimo lasciati all'interno delle aziende, riducendo la pressione fiscale sulle società, quei soldi avrebbero sicuramente creato occupazione e sviluppo.
Terzo: chi ha scritto questo DPEF non si rende conto che fino ad oggi i nostri Governi hanno considerato le differenze tra le regioni come problemi destabilizzanti da risolvere dal centro; invece esse devono essere viste come opportunità per attirare capitali, per creare nuove aziende, ricchezza, lavoro e sfide da vincere, naturalmente con impegni e sacrifici senza i quali non si vince alcuna sfida e si resta inevitabilmente in una situazione di sottosviluppo e di Stato sociale finto, ingiusto, inefficiente e destinato a generare gravi tensioni sociali.
Concentrarsi su come risolvere interamente i problemi dal centro in realtà significa mirare soprattutto al mantenimento del controllo centralistico e al mantenimento della conseguente struttura del potere, anche a costo di far colare a picco l'intero paese. È necessario invece consentire alle singole regioni sviluppate di svilupparsi sempre di più, in modo che esse possano fornire l'energia, lo stimolo ed il sostegno per coinvolgere anche le altre regioni nel processo di crescita.
Quarto: chi ha scritto questo DPEF e questa proposta di soluzione non si rende conto che la redistribuzione della ricchezza decisa dai Governi per favorire legittimi interessi particolari e per aiutare le regioni meno abbienti rende di fatto impossibile l'attuazione di politiche razionali, sensate e coerenti per la nazione nel suo complesso.
L'inefficiente allocazione delle risorse penalizza le imprese della nazione indipendentemente dalla capacità, onestà e buona fede dei Governi e dei detentori del potere che gestiscono dal centro la redistribuzione della ricchezza, perché questa anacronistica organizzazione è di per sé fonte di inefficienze, disfunzioni e soprattutto di perdita di competitività per quanto concerne l'attività economica.
Quinto: chi ha scritto questo DPEF e questa proposta di soluzione non si rende conto che le aziende che non sono in grado di competere sui mercati globali sono destinate a non espandersi; non potranno creare nuova occupazione e, salvo poche situazioni particolari, prima o poi non saranno più competitive, e allora dovranno procedere ai licenziamenti e prima o poi dovranno chiudere! Nel nostro paese, in assenza di aziende capaci di competere sui mercati, la disoccupazione continuerà a crescere.
Sesto: chi ha scritto questo DPEF e questa proposta di soluzione non si rende conto che questo nostro Stato centrale ha ormai stabilmente assunto la fisionomia di una organizzazione lontana dai cittadini, che cerca solo di incassare più tasse possibili per pagare i debiti accumulati che ci stiamo trasferendo di padre in figlio, e per pagare gli stipendi della sua burocrazia. E questo mentre le risorse finanziarie spese per dare servizi ai cittadini, spese per l'istruzione, la sanità e la giustizia e via dicendo, diminuiscono ogni anno.
Chi ha scritto questo documento non si rende conto che in quasi tutto il mondo gli incentivi, le sovvenzioni e le agevolazioni fiscali degli Stati stanno gradualmente perdendo ogni rilevanza nelle decisioni degli investimenti; ormai gli investimenti vanno solo dove si svolge il vero lavoro e dove fioriscono veri mercati.
Chi ha scritto questo documento di programmazione economico-finanziaria non si rende conto che non è umanamente ed eticamente corretto continuare ad accumulare debiti la cui vera natura, in sostanza, è quella di tasse che vengono spese oggi poiché dovranno essere pagate dai nostri figli, senza ricevere niente in cambio salvo la consapevolezza che però potrà diventare rabbia e contestazione di pagare per debiti contratti dalle generazioni precedenti solo per pagare stipendi ai loro dipendenti pubblici, per pagare i loro prepensionamenti e per pagare altre loro spese correnti (Applausi dei deputati della lega nord per l'indipendenza della Padania). E questa si chiama mancanza di equità economica tra generazioni.


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Allora sarebbe necessario che il Parlamento copiasse integralmente la prima legge intitolata «Clausola di salvaguardia delle generazioni future», pubblicata sul n.1 della gazzetta ufficiale della Padania (Applausi dei deputati della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Per questi e per altri motivi, che adesso vi risparmio perché non mi sono mai piaciuti gli interventi troppo lunghi, ma che abbiamo portato a conoscenza dei colleghi e del Governo durante i lavori della Commissione e nel corso della discussione in aula purtroppo per i nostri concittadini le nostre proposte non sono state recepite nella risoluzione presentata dalla maggioranza i deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania esprimeranno un voto contrario su questo documento. Speriamo che la risoluzione della maggioranza non venga approvata dall'Assemblea e che, invece, venga posta in votazione ed approvata la risoluzione presentata dal gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania (Applausi dei deputati della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Soro. Ne ha facoltà.

ANTONELLO SORO. Noi esprimiamo il favore dei popolari e dei democratici sul documento di programmazione economico-finanziaria e sulla risoluzione presentata dalla maggioranza.
Le ragioni del nostro favore stanno tutte nella fiducia che abbiamo espresso meno di due mesi fa sul programma del Governo, sulla complessiva azione riformatrice che esso ha disegnato.
Il nostro non è stato un consenso occasionale. Noi abbiamo affidato a quel programma, a questo Governo, a questo Presidente del Consiglio un ruolo decisivo nel futuro politico del nostro paese e ci sentiamo seriamente impegnati a corrispondere a questa prospettiva e, insieme, alle speranze che su questa maggioranza e su questo Governo hanno riposto gli italiani che hanno scelto il centro sinistra ed il suo programma.
Ci sentiamo impegnati a non disperdere il grande sentimento di fiducia e di speranza manifestato da uno schieramento di opinione interno ed internazionale assai più esteso della maggioranza parlamentare. Con queste intenzioni abbiamo sostenuto e sosteniamo il cammino del documento di programmazione economico-finanziaria perché esso traduce nell'architettura del bilancio dello Stato l'insieme del programma di governo che il Presidente Prodi ha presentato a questo Parlamento.
Il programma si caratterizza per alcuni obiettivi che hanno valore strategico: proseguire il risanamento dei conti attraverso un percorso socialmente sostenibile con l'obiettivo di partecipare nel 1999 all'unione monetaria europea e, insieme, assicurare per due anni un'invarianza di pressione fiscale, una risoluta azione di contenimento dell'inflazione, un processo concreto e deciso di privatizzazione, un sostanziale intervento riformatore della pubblica amministrazione che si connetta con una riqualificazione della spesa.
Questa impalcatura del documento diventa per i prossimi anni un riferimento ineludibile, con le sue cifre e con i suoi contenuti, per le misure e le attività di governo.
Il percorso del documento è parso in qualche modo dissociato o fortemente divaricato rispetto al confronto sul merito delle questioni in gioco. Un eccesso di riflettori, di enfasi intorno ad alcuni aspetti significativi ma comunque parziali ha attenuato o distorsivamente condizionato l'espressione del giudizio sulle prospettive generali indicate dal Governo. Tuttavia non vogliamo sottovalutare, e non sottovalutiamo, che nel corso di questa tornata parlamentare si sono precisate importanti relazioni politiche all'interno e all'esterno della maggioranza.
Noi apprezziamo la decisione di rifondazione comunista, testé confermata dal suo segretario, di votare a favore del documento di programmazione economico-finanziaria, pur dichiarando sostanziali


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divergenze di giudizio rispetto ad aspetti significativi del documento e tanto più marcate sono queste divergenze, tanto più noi apprezziamo questa scelta, ma non intendiamo ipocritamente rimuovere i problemi di cui nei giorni scorsi molto si è discusso.
Noi abbiamo espresso più di una preoccupazione per il modo, il tono, la forma con cui rifondazione comunista ha rappresentato le sue posizioni. Non ci ha preoccupato il merito delle questioni; abbiamo espresso senza reticenza condivisione per le conclusioni del relatore ed abbiamo, credo, fin dall'inizio, esposto un'impostazione condivisa dalla maggioranza e da tutte le parti che si sono pronunciate a favore del provvedimento.
Crediamo che la risoluzione, così come proposta, non modifichi le politiche del Governo Prodi e il programma dell'Ulivo, ma ci ha preoccupato e ci preoccupa la sensazione che esistano, per la verità non solo in rifondazione, tentazioni di privilegiare un interesse tattico, di visibilità politica rispetto al contenuto dell'azione di governo, alla prospettiva generale della coalizione. Suscita preoccupazione la tentazione, in qualche modo pervasiva della politica italiana, di privilegiare l'esibizione muscolare, la ricerca di un consenso immediatamente esigibile, di concedere molto alla spettacolarità dei contrasti. Si è data così la sensazione di un'interminabile mediazione all'interno della maggioranza e questo non è vero. Rifondazione ha posto legittimamente il problema dell'equità sociale, dell'occupazione, della tutela dei lavoratori e dei salari. Questi non sono problemi esclusivi di rifondazione, ma sono problemi del Governo nel suo complesso e della maggioranza che lo sostiene e a questi noi non ci sentiamo affatto indifferenti, estranei o chiamati all'ultima ora.
Il problema che noi abbiamo posto riguarda la prospettiva generale, gli obiettivi complessivi del lavoro di questo Governo. Noi pensiamo sia possibile coniugare il risanamento e la tutela delle posizioni sociali più deboli. Il risanamento è la condizione ineludibile per poter affrontare con serietà le nuove sfide della nostra modernità.
Il Governo italiano si misura con le difficoltà con le quali si confrontano i governi di tutti i grandi paesi europei: la necessità di combinare il benessere economico, la coesione sociale e gli istituti di una libera democrazia politica. Il nostro tempo è segnato da processi di mutazione rapidissimi dentro e fra i vecchi aggregati sociali. È cresciuta la diseguaglianza e viene fortemente alterato il valore della coesione sociale come un bene comune. Esistono gruppi sociali in declino che negli ultimi cinque anni hanno visto calare costantemente i propri redditi reali e peggiorare la qualità della vita. In questi gruppi è diffuso un sentimento di apprensione crescente perché si avverte che il rischio di transitare al di là della soglia della povertà non è un'ipotesi remota. Una politica di soddisfacimento spettacolare, a breve, di questi segmenti deboli della società italiana può essere estremamente pericolosa perché rischia di rendere sempre più larga la fascia degli esclusi, soprattutto fra i giovani, e non garantisce gli stessi lavoratori salariati più esposti al rischio di un transito drammatico verso la povertà.
Il documento di programmazione economico-finanziaria propone un percorso più complesso ed articolato nel tempo, più impegnativo per tutte le parti sociali. Esiste un delicato punto di equilibrio dal quale è pericoloso spostarsi. Dobbiamo completare il processo di risanamento dei conti, garantire la politica dei redditi utilmente perseguita in questi anni, conservare la vitalità della domanda interna, incidere profondamente nella riforma dello Stato e dell'amministrazione, riqualificare la spesa in direzione degli investimenti e del lavoro, conservare la prospettiva di partecipare alla ripresa del 1997 senza i vincoli che hanno segnato la fase espansiva appena conclusa. Questo è l'orizzonte indicato dal documento di programmazione economico-finanziaria, questo è il senso del discorso puntuale ed autorevole di replica fatto questa sera dal ministro del tesoro.


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Tale prospettiva ci impegna tutti, maggioranza ed opposizione. Nelle moderne democrazie esiste e trova rispetto la competizione per il consenso, nel nome di alternativi disegni di programma.
Noi abbiamo colto in questi giorni, nei confronti di questo documento, una varietà infinita di posizioni critiche provenienti dal Polo, informate allo stesso tempo alla cosiddetta sensibilità sociale per negare la riduzione della spesa ed alla sensibilità radicale, liberista, monetarista per sollecitare una manovra più incisiva, tutta giocata sui tagli alla spesa, fino alla posizione nichilista dell'onorevole Tremonti, il quale ha negato tutto. Noi abbiamo molto rispetto per le posizioni rappresentate, ma ci è sembrato prevalente il desiderio di rivalsa di un contrasto rivolto al passato piuttosto che alla prospettiva di una seria e credibile alternativa di Governo.
Vogliamo credere che si tratti di una parentesi, di un momento legato alla complessità di questo avvio di legislatura. Ha pesato sicuramente un'incompiuta definizione delle prerogative e dei doveri, di quelle regole di cui pazientemente e serenamente vorremmo discutere. Il Presidente del Consiglio ha indicato questa sera, con franchezza e insieme con grande onestà, un'iniziativa di confronto di sicuro interesse per questo Parlamento e di straordinaria utilità per tutti noi. Noi parteciperemo con tutta la nostra passione e con le nostre ragioni ed è con questo spirito e con queste intenzioni che dichiaro il voto favorevole del gruppo dei popolari e democratici (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo, della sinistra democratica-l'Ulivo e di rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tatarella. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE TATARELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, devo conciliare due esigenze, quella di intervenire sul punto come dichiarazione di voto e quella di collegarmi al precedente intervento interrotto. Cercherò di conciliare le due esigenze perché ho avuto un precedente illustre, quello dell'intervento del Presidente del Consiglio Prodi.
Sul punto, cioè come dichiarazione di voto, riteniamo che nella risoluzione vada inserito un riferimento alla necessità di rifiutare in qualsiasi provvedimento la previsione di norme di delega per il riordino e la razionalizzazione dei vari settori dell'ordinamento.
In considerazione della limitatezza del tempo a mia disposizione per il discorso che intendo fare, essendo questa una dichiarazione di voto, chiedo alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna mie considerazioni integrative della mia dichiarazione di voto insieme ad un elenco che va riprodotto ai fini della verità per i colleghi deputati.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, onorevole Tatarella.

GIUSEPPE TATARELLA. Tale elenco riguarda, come ha annunziato l'onorevole Fini, il numero delle volte in cui è mancato il numero legale durante il Governo di centro-destra. Durante il Governo di centro-destra, onorevole Prodi, dal maggio 1994 al gennaio 1995, il numero legale è mancato 28 volte; fate la proporzione (avete tanti professori di statistica capaci di capire tutto ciò che avviene nell'economia di Maastricht!) e sarete capaci di capire cosa significhi far mancare il numero legale 28 volte in otto mesi, compresi due mesi di ferie, rispetto a ciò che è accaduto in questi primi mesi di legislatura.
Ho fatto l'esempio della nostra opposizione all'emendamento lobbistico dei sindaci per evitare un giudizio di responsabilità davanti alla Corte dei conti: una «legislazione pro sindaci» fatta da una maggioranza che ha incorporato in se stessa i sindaci!
A proposito di sindaci, se il ministro dell'interno fa l'esame della mancanza del numero legale che l'Ulivo attua nei comuni dove la maggioranza è di centro-destra, si accorgerà che oltre alle 28 volte del


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Governo Berlusconi, in tutta Italia l'Ulivo, quando è all'opposizione nei grandi consigli comunali e la maggioranza di centro-destra non raggiunge da sola il numero legale, esce dall'aula e sceglie l'Aventino in modo permanente, ai danni degli interessi della città, perché le delibere sono relativi finanziamenti, non sono leggi.
Quindi, il discorso è esteso: fate una verifica all'ANCI e potrete appurare la verità di quanto sto dicendo, sempre con prove alla mano.
L'altro argomento che ci ha irritato (uso il termine «irritato») è l'incapacità al dialogo sul problema del metadone. Onorevole Mattarella, lei ha avuto l'amabilità di rivolgersi alla nostra parte politica con il garbo, che è suo proprio e della sua tradizione parlamentare, per discutere di questi problemi in modo pacato. Allora in modo pacato le dico: dopo il rifiuto da parte della maggioranza, che comprende i cattolici del partito popolare, abbiamo avuto un incontro con tutte le comunità. È stato presentato un documento: in occasione dell'esame del prossimo provvedimento legislativo quel documento, onorevole Mattarella, costituirà una base di discussione tra la maggioranza e l'opposizione, oppure voi del partito popolare per necessità siete costretti a votare sempre insieme agli altri anche su argomenti che non attengono all'economia, ma ai valori? Allora, come si deve svolgere il dialogo in questo Parlamento? Non può avvenire quando vi chiediamo di ritirare gli emendamenti lobbistici per salvare dal giudizio di responsabilità un'amministrazione comunale di sinistra, non può avvenire per il metadone: scusate, in che modo deve svilupparsi?
Non è avvenuto, onorevole Presidente Prodi, su un altro argomento. Personalmente, a nome di alleanza nazionale, ho posto in materia di regole un solo problema; onorevole Mattarella, lo affido alla sua valutazione. Sosteniamo che le Commissioni d'indagine e di inchiesta non gli organi esistenti, ma quelli da creare a futura memoria per principio vanno affidate all'opposizione. Occorre una dichiarazione di principio, chiediamo solo questo! Una norma base, nella quale tutti si riconoscano sottoscrivendola; quando verrà costituita la Commissione d'inchiesta sulla Federconsorzi, se questa verrà presieduta da un membro della vecchia maggioranza della prima Repubblica, non produrrà i risultati doverosi e auspicabili, per cui deve essere affidata all'opposizione; siete disponibili a questo colloquio sui principi, sulle regole, oppure dobbiamo fare la sceneggiata, così come è stato per la RAI? È stata una presa in giro per tutti, è stato un colpo «mancino», «violante» tutti i principi del pluralismo (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Se gli altri deputati vogliono essere presi in giro, lo possono fare, ma noi che apparteniamo all'opposizione e sappiamo che a volte la parola serve, come disse un filosofo francese, per nascondere il pensiero, quando capiremo quello di Violante e di Mancino diremo di sì, ma fino a quando questo non sarà, non perderò tempo, non parteciperò a riunioni fittizie perché in realtà le decisioni vengono prese altrove.
Questo è il rispetto dell'opposizione; c'è questo rispetto?
Consideriamo la prima parte del discorso del Presidente Prodi un infortunio, oppure un infortunio voluto che ha come destinatario formale il Polo, come destinatario sostanziale, per esempio, Maccanico (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale e di deputati del gruppo di forza Italia). Ma è un problema vostro; allora, onorevole Prodi, da parte nostra non avrà in questo anno alcun elemento di preoccupazione.
Per ricorrere a quella bonomia che è tipica della sua e della mia regione, le leggo un recente «lancio» dell'agenzia Adn-kronos (è di un'ora fa): «Prodi: resterà saldo in sella. Parola di Otelma. Romano Prodi resterà saldo in sella. E il suo Governo reggerà egregiamente ad ogni scossone. Parola del divino Otelma. Il gran maestro dell'ordine teurgico di Elios, al secolo Marco Belelli, non ha dubbi sulla resistenza dell'esecutivo nato dalle elezioni del 21 aprile. Nonostante qualche errore, per esempio la riforma del decreto immigrati,


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che non mancherà di avere ripercussioni ha detto è escluso che possa accadere entro quest'anno.(...)». Lunga vita fino al 31 dicembre (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale e di deputati dei gruppi di forza Italia e del CCD-CDU Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Taradash. Ne ha facoltà.

MARCO TARADASH. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, lei ha ascoltato molte critiche al documento di programmazione economico-finanziaria, ma credo che quella più incisiva le sia arrivata in questi due giorni dai mercati finanziari internazionali. Proprio nei due giorni in cui si discuteva alla Camera il documento i mercati hanno sancito la loro sfiducia nei confronti del suo Governo, signor Presidente del Consiglio.
Al di là della diminuzione dell'indice di borsa a Wall street, lei sa bene che in questi due giorni si è creato un differenziale di 50 punti base rispetto alla Germania sui buoni del tesoro a 10 anni. Dato che voi avete fatto sempre grande affidamento sugli indicatori che provenivano dai mercati internazionali, è chiaro che c'è sfiducia nel nostro paese ed è chiaro che la sfiducia non è soltanto in ciò che è scritto nel documento, ma nasce anche dall'instabilità della maggioranza che si è venuta a creare durante questa discussione.
Abbiamo assistito, giorno per giorno ed ora per ora, signor Presidente del Consiglio, al mutamento del suo Governo. Il Governo è cambiato: lei, signor Presidente del Consiglio, credeva, come evidentemente il presidente della Confindustria, che a governare il paese fosse l'Ulivo. Ma non era così, e noi lo avevamo dichiarato durante la campagna elettorale. Voi avete ingannato i vostri elettori in campagna elettorale, facendo credere che avreste governato il paese! Invece il paese è governato dall'Ulivo e da rifondazione comunista, come Bertinotti e come il Polo sapevano, ma come non sapeva il Presidente del Consiglio e come non sapeva il presidente della Confindustria, evidentemente!
È avvenuto che sulla politica della concertazione si è creata questa nuova maggioranza. Certo, una guerra in un bicchier d'acqua: 7.500 lire sono certamente importanti, compagno Bertinotti, però voi di rifondazione comunista, che avete il merito di tentare delle analisi di quello che sta succedendo, di tentare di capire che cosa succederà nel paese, che avete il merito di ricordare a questa maggioranza burocratica e tecnocratica che il paese e il mondo stanno cambiando, voi ponete i problemi, come cerchiamo di fare anche noi. Voi ponete i problemi delle nuove povertà, della disoccupazione e dell'occupazione, nonché il problema del Mezzogiorno, in termini concreti; secondo me date soluzioni sbagliate, che guardano al passato, che non sono capaci di affrontare questi temi, ma almeno li ponete!
Il Governo, invece, tenta di costruirsi oggi uno scudo, tenta di indossare l'armatura e certamente lo fa perché è una maggioranza di pasta frolla quella che sostiene il suo Governo, Presidente Prodi! Come la pasta frolla va battuta e poi accarezzata, lei oggi, in quest'aula, ha recitato la grande commedia che l'ha costretta a mentire al Parlamento, a dire cose false, di cui, credo, sia cosciente; l'ha costretta a dire che l'opposizione fa ostruzionismo, che l'opposizione ricorre sistematicamente alla richiesta di verifica del numero legale, che l'opposizione ha richiamato in aula tutti i decreti-legge. Questo è falso: su quarantasei decreti-legge, soltanto quindici sono giunti in aula, ex articolo 96-bis, per la verifica dell'esistenza dei presupposti di costituzionalità e sette di questi perché la Commissione affari costituzionali aveva espresso parere contrario! Non ci vorrà rimproverare, spero, di fare, attraverso l'opposizione, il nostro mestiere di battere la maggioranza quando questa non è più tale!
E poi, signor Presidente del Consiglio, come si può credere a quello che costantemente anche oggi avete riaffermato? Il Governo vuole entrare in Europa, il Governo pone come suo obiettivo quello della partecipazione, sin dalla prima fase, al


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percorso dell'unione monetaria europea; signor Presidente, signor ministro Ciampi, «vorrei ma non posso»...!
Ma allora ditela tutta: non potete perché in realtà voi, che siete il primo Governo, con la Grecia, a proclamare ufficialmente nel documento di programmazione economico-finanziaria il non rispetto dei parametri di Maastricht, non potete intaccare l'80 per cento delle spese correnti dello Stato. Per voi è impossibile, perché la vostra maggioranza non ve lo consente! La vostra maggioranza non vi consente di entrare in Europa perché non vuole rimettere in discussione il welfare state che abbiamo ereditato dalla prima Repubblica!
La politica dei redditi cosa ha prodotto in Italia? Non so, onorevole La Malfa, se la politica dei redditi sia sempre uno strumento sbagliato, ma certamente in Italia ha prodotto la concentrazione dei capitali in poche mani; ha prodotto un potere straordinario del sindacato nella politica, a dispetto della tutela dei lavoratori; ha prodotto la secessione di fatto, dal punto di vista economico e sociale, del Mezzogiorno rispetto al resto dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Ha inoltre prodotto una ancora peggiore e più dura secessione generazionale, per cui oggi, chi ha meno di quaranta anni in questo paese si vede tutte le porte sbarrate.
Se allora non potete mettere mano allo Stato sociale costruito negli anni della partitocrazia, della sindacatocrazia, del clientelismo; se voi volete mantenere quell'involucro perché soltanto esso vi consente l'adesione di tutte le oligarchie, compagno Bertinotti, anche della Confindustria oltre che della Trimurti sindacale, anche le oligarchie delle grandi banche pubbliche e private; se dunque non potete rinunciare a questo involucro, se dovete difendere ciò che di vecchio e di superato esiste nello Stato sociale e non potete rimettere in discussione le linee di costruzione di un nuovo Stato sociale, che guardi ai nuovi fenomeni di emarginazione presenti nel nostro paese, è chiaro che siete disarmati e che non potete fare altro che esprimere il vostro «vorrei ma non posso». L'Europa è lì e tutti noi sappiamo che cosa comporti stare oggi fuori dal processo di integrazione europea.
È vero che i parametri di Maastricht sono arbitrari e discutibili, ma è anche vero che occorre prendere atto della realtà di quei parametri intorno ai quali si è creato un accordo storico importante. I paesi della moneta unica avranno una moneta stabile, avranno una migliore garanzia per i cittadini a basso reddito, avranno mercati concorrenziali e sempre maggiore libertà di scelta. Se ci preoccupiamo della costruzione di nuova occupazione, dobbiamo produrre sviluppo, dobbiamo avere qualcosa da redistribuire. Per poterlo fare dobbiamo seguire il percorso che i paesi dell'unione monetaria europea stanno per intraprendere.
Signor Presidente del Consiglio, il presidente Mussi ha parlato di comportamenti antidemocratici, poi si è corretto ed ha parlato di forzature democratiche. Ma oggi il buonista Veltroni, vicepresidente del Consiglio, che come tutti i giacobini in nome del bene riesce a compiere ogni sorta di male almeno nella sua intellettualità, annuncia colpi di mano della maggioranza; afferma che andrete avanti e che schiaccerete l'opposizione. E voi tentate già di farlo, perché è scritto nel vostro documento di programmazione economico-finanziaria e nella risoluzione della maggioranza; voi cercate di collegare alla legge finanziaria provvedimenti di riforma ordinamentale che niente hanno a che vedere con la programmazione triennale, ma che vengono previsti per impedire la discussione nel Parlamento.
Noi vi forniamo, collega Mussi, con la nostra risoluzione la strada giusta: quella del percorso accelerato per i provvedimenti del Governo. Siamo consapevoli del fatto che le grandi riforme debbano essere varate; sappiamo che voi non sarete in grado di farle, ma noi pensiamo a quando saremo al Governo e vorremo avere la possibilità di cambiare in Parlamento la struttura di fondo del paese. Non siamo, quindi, ciechi e disattenti rispetto ai problemi che sono stati posti. Noi indichiamo


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le soluzioni, voi suggerite una via autoritaria, perché soltanto attraverso ...

PRESIDENTE. Onorevole Taradash, ha esaurito il suo tempo.

MARCO TARADASH. ...la via autoritaria per voi è possibile governare il paese.
Concludo sull'argomento del fisco. Certo, l'evasione e l'elusione fiscale sono un grande peso sullo sviluppo del paese. Ma se la cifra di 230 mila miliardi di evasione ed elusione è vera, se la pressione fiscale in Italia è pari a quella degli altri paesi industrializzati, allora mi dite quando sarà possibile celebrare il giorno della libertà dallo Stato? Il 10 luglio è il giorno in cui commercianti, imprenditori e lavoratori dipendenti cominciano a lavorare per se stessi. Se l'evasione e l'elusione possono essere combattute ciò può avvenire solo diminuendo le aliquote, altrimenti il recupero di evasione e di elusione a questi livelli farà suonare il giorno della libertà il 2 di novembre,...

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Taradash.

MARCO TARADASH. ...il giorno dei morti, il giorno della morte dell'economia italiana (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU)!

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Taradash.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mussi. Ne ha facoltà.

FABIO MUSSI. Signor Presidente, colleghi, signor Presidente del Consiglio, signori del Governo, la risoluzione n.6-00001 che ho firmato con i presidenti dei gruppi dell'Ulivo è di dichiarato e forte sostegno al documento di programmazione economico-finanziaria del Governo. Lo ha spiegato bene il relatore Cherchi ed ho trovato ulteriori motivi di conforto e di consenso nella precisa ed impegnata replica del ministro del tesoro Ciampi.
L'obiettivo è esplicitamente dichiarato nella nostra risoluzione, che richiama il documento: creare le condizioni economiche, finanziarie e di bilancio perché l'Italia possa partecipare dal 1^ gennaio 1999 alla terza fase dell'unione economica e monetaria. Insomma, rotta sull'Europa, sapendo che le difficoltà sono tante, collega Taradash.
Bisogna rispettare gli impegni assunti a Maastricht? Certamente. Stiamo parlando di una politica economica che valga a questo. Eppure è bene in questo dibattito non dimenticare, colleghi, che non solo di monete e di mercati stiamo parlando. Noi dobbiamo essere impegnati a rispettare il sogno di numerose generazioni passate e farlo vivere alle nuove: il sogno dell'Europa unita, dell'Italia in Europa, non della Padania in Baviera, colleghi della lega, collega Pagliarini, che assomiglia più ad un incubo che ad un sogno (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo Proteste dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)!

PRESIDENTE. Colleghi, chi terrà questo comportamento sarà invitato ad uscire dall'aula.
Prego, onorevole Mussi.

FABIO MUSSI. Questa, onorevoli colleghi, anche per chi se ne fosse dimenticato dietro ai fischi, è una delle cose per cui oggi merita spendere il nostro impegno politico: lavorare alla costruzione di una grande potenza democratica sovranazionale che abbia un ruolo nella storia del mondo che verrà. E che rifondazione comunista voti questo testo credo abbia un significato politico di non poco conto.
C'è una domanda che si sente anche tra i cittadini, tra la gente qualunque: tutto questo vale i sacrifici necessari? A parte il fatto che la globalizzazione del mercato impedisce a chiunque di immaginare il «Bengodi» in un paese solo, credo che questo grande progetto valga i sacrifici necessari, che non sono pochi per il 1996 ed il 1997. La «manovrina» di correzione (16 mila miliardi non si possono definire proprio una «manovrina») che ha votato il Senato e che verrà all'esame della Camera


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è una manovra consistente ed i 32.400 miliardi indicati nel documento per il 1997 sono una cifra consistente.
Gli obiettivi qui ricordati da lei, signor ministro del tesoro, sono quelli di contenere il fabbisogno in 88 mila miliardi, di consolidare l'inversione di tendenza del rapporto debito-PIL, dell'avanzo primario intorno al 5 per cento, così grande da far intravedere una nuova virtù del nostro paese, seppure ancora insufficiente a cancellare gli antichi vizi; demolire la massa del debito è infatti un'impresa da far tremare i polsi e si capisce perché lei punti con tanta forza ad una politica che porti alla riduzione dei tassi, che è una delle vie che può condurre a questo obiettivo. Questa è una linea, colleghi.
Oggi il collega Biasco, del mio gruppo, ha posto in modo molto dialogante al Polo il seguente interrogativo: se non va bene questa linea, qual è quella alternativa?

BENITO PAOLONE. L'abbiamo data!

FABIO MUSSI. Quella più ispirata alle idee del professor Monti o quella più ispirata alle idee della destra sociale, che sono state espresse in quest'aula, decisamente in rotta di collisione le une con le altre? Non abbiamo sentito alternative!
Nella risoluzione, signori del Governo, i gruppi di maggioranza hanno voluto sottolineare qualcosa, per lo più in armonia con le idee e le proposte del Governo: lotta all'evasione e all'elusione fiscale, privatizzazioni, valenza strategica delle scelte per scuola, università e ricerca, una sobria scelta di provvedimenti collegati alla legge finanziaria.
Caro Taradash, bisognerà pure decidere! E questo Governo, questa maggioranza, questo Parlamento dovranno certamente decidere, e presto! Infatti, non possiamo aspettare il tempo che verrà.
Abbiamo suggerito qualche correzione al Governo e gli esempi più significativi sono due: il primo e su di esso insistiamo nella nostra risoluzione riguarda un piano straordinario per gli investimenti pubblici e l'occupazione, perché non è sufficiente una previsione lineare a evoluzione costante degli indicatori macroeconomici, di una riduzione dell'1 per cento nei tre anni del tasso di disoccupazione. Bisogna fare di più.
Signor Presidente del Consiglio, il dramma del lavoro, la grande tragedia dei nostri tempi, soprattutto al sud e tra i giovani, chiede che si tenti di più. E allora, l'indicazione dell'1 per cento del PIL nel triennio non pare così utopistica.
Il secondo punto quello che ha suscitato tanta discussione e tanta polemica è relativo alla distribuzione del reddito, alla questione salariale. Il documento di programmazione economico-finanziaria indica un'inflazione programmata al 2,5 per cento; non potevamo essere contrari a questa indicazione, perché una linea di abbattimento dell'inflazione è essenziale, non solo per arrivare a quei risultati macroeconomici, ma anche perché l'inflazione è la più ingiusta delle tasse, è quella che pesa maggiormente sui redditi più bassi, sulle famiglie che hanno uno stipendio solo. Lo abbiamo imparato da tanto tempo.
Eppure, qual è stato il punto che abbiamo trovato qualche difficoltà persino a discutere e a comunicare in un certo momento? Un progetto come questo giusto -, un'idea, un obiettivo limite, dato l'accordo del 23 luglio 1993 e date quelle norme della concertazione (un metodo che difendiamo e non ne immaginiamo altri, Bertinotti, in questo momento che possano portare ad una politica dei redditi), con l'indicatore di inflazione programmata, vale anche come misura di contenimento dei salari.
E allora, bisognava e bisogna dare garanzie sul recupero del potere di acquisto dei salari. Sono sotto i nostri occhi i dati che il documento di programmazione economico-finanziaria riporta elaborati dalla Banca d'Italia sul modo in cui ci si è mossi in questi due anni e mezzo per quanto riguarda le retribuzioni pro capite nell'intera economia e nell'industria, i profitti industriali, i prezzi al consumo, i tassi di disoccupazione, gli investimenti fissi lordi. Queste tabelle dicono che non è massimalismo chiedere che gli stipendi e i


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salari dei lavoratori dipendenti vengano difesi!
Certo, la questione si poteva risolvere tra le parti sociali; avrebbe potuto farlo rapidamente la Confindustria, ma questa ha commesso errori, quasi imperdonabili. Il 25 giugno il presidente, dottor Fossa, ha affermato che non si può pensare di usare due misure diverse e di costringere i prezzi al 2,5 per cento di inflazione, permettendo invece ai contratti di lavoro di essere rinnovati con il 3 per cento. Non vi è alcuno strumento per costringere i prezzi al 2,5 per cento di inflazione; non c'è alcuna legge che blocchi i prezzi, ma c'è un osservatorio dei prezzi e una politica del Governo. Tuttavia, per i salari e gli stipendi bisognava fare qualcosa di più per garantirne e tutelarne il potere di acquisto.
La Confindustria lo ripeto avrebbe potuto rapidamente risolvere il quesito. Non lo ha fatto ed è per questo che è stata necessaria quella iniziativa politica.
La clausola non è diventata cogente, importante, impegnativa perché l'ha voluta rifondazione comunista. La clausola c'è perché è giusta (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti, dei popolari e democratici-l'Ulivo e di deputati del gruppo di rinnovamento italiano), perché il Governo e il Parlamento devono impegnarsi su questo terreno.
Ho concluso, Presidente. Il punto di vista della risoluzione di maggioranza è chiaro. Non abbiamo cercato accordi con l'opposizione: sono posizioni alternative, niente consociazione né confusione di ruoli. Ma proprio perché su questi terreni le proposte devono essere alternative, devono misurarsi, confrontarsi e scontrarsi, collega Tatarella e colleghi dell'opposizione, dobbiamo pur avere il luogo per far valere queste posizioni, il luogo dove incrociare le spade, dove fare la battaglia. Bisogna che il Parlamento non solo ci sia, ma funzioni, altrimenti perdono la voce la maggioranza e l'opposizione! Siamo tutti dimezzati: se il Parlamento non funziona, noi abbiamo tradito non l'appartenenza ad una parte, ma il nostro mandato.
Con una qualche schietta asprezza, che dovrebbe non offendere chi ha forti passioni politiche e ha voluto sollevare questo problema dinanzi al Presidente del Consiglio, dico che ciò deve essere ascoltato non come una provocazione ma come un monito leale, per evitare quel gioco di interdizione e quei blocchi che non sappiamo dove ci porteranno.

PRESIDENTE. Onorevole Mussi, deve concludere.

FABIO MUSSI. Per questo penso che bisogna riaprire il dialogo; se vi è stato gelo e incomunicabilità, è necessaria una stagione di disgelo, non per confondere le posizioni politiche, ma per affrontare lo straordinario impegno della grande riforma costituzionale e delle regole quotidiane. Non è un piacere che ci facciamo reciprocamente, è un piacere che facciamo ai cittadini, è l'obbedienza al dovere del nostro mandato (Vivi applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rinnovamento italiano e di deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Malavenda, che ha cinque minuti a sua disposizione. Ne ha facoltà.

MARA MALAVENDA. Signor Presidente, colleghi e colleghe, voterò contro la risoluzione della maggioranza sul documento di programmazione economico-finanziaria perché è evidente dai contenuti di tale documento la continuità con gli accordi di concertazione del luglio 1992 e 1993. Mi dispiace constatare che anche rifondazione comunista, che si è sempre dichiarata contraria alla logica di quegli accordi, oggi voterà a favore del documento in esame.
Anche sulla spinosa questione delle rappresentanze sindacali il Governo non dimostra discontinuità rispetto a quelli precedenti. Infatti, un ennesimo accordo siglato poco tempo fa, il 28 giugno, dal Ministero del lavoro concede alla FIAT ulteriore


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cassa integrazione per chiudere lo stabilimento di Arese e ridimensionare quello di Pomigliano. Ciò senza convocare lo SLAI-Cobas, che è risultato il primo sindacato alle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie.
Il documento di programmazione economico-finanziaria indica nella concertazione con la Confindustria e con i sindacati confederali la chiave delle politiche per l'occupazione, gli investimenti e il rilancio del Mezzogiorno. È la vecchia logica che i passati governi hanno perseguito; il risultato è stato il crollo dell'occupazione e una riduzione dell'inflazione che non ha portato alcun beneficio sociale, ma solo danno ai lavoratori e alle masse popolari. Nel frattempo, i profitti sono saliti alle stelle grazie all'eliminazione della scala mobile, alla controriforma delle pensioni, alla liberalizzazione del mercato del lavoro, ai tagli ai servizi sociali, primo fra tutti la sanità.
Tutto questo ha consentito il trasferimento di consistenti fasce di reddito dalle famiglie alle imprese. A farla da padrone, in questo Governo, sono sempre gli interessi del grande capitale, nazionale ed internazionale, che si contrappongono a quelli dei lavoratori dipendenti, dei disoccupati, dei pensionati, dei giovani e degli studenti (Applausi di deputati del gruppo di alleanza nazionale), legando le dinamiche occupazionali alla maggiore flessibilità del lavoro. Gabbie salariali, part-time, lavoro interinale, contratti a termine, salario di ingresso: questo Governo si assume la consapevole responsabilità di incentivare la costruzione di una vera e propria giungla del mercato del lavoro per dividere ed indebolire il potere contrattuale dei lavoratori e consentire alle imprese la trasformazione in nero di buona parte del lavoro tutelato ancora esistente.
Ma dove sono le novità proposte da questo Governo di centro-sinistra? Quali sono le sue indicazioni per una chiara e mirata lotta all'evasione fiscale? Perché non si ricorre a nuove assunzioni per effettuare verifiche incrociate, stabilite con leggi dello Stato, per far pagare le tasse a chi non le ha mai pagate? Perché non si introduce un'imposta sui grandi patrimoni? Perché non si vincolano i finanziamenti pubblici alle imprese a precisi parametri di incremento occupazionale e tutele lavorative e sindacali, verificandone i risultati ed effettuando sin d'ora un serio controllo sui finanziamenti già erogati?
Sulle privatizzazioni aspetto ancora da lei, Presidente, risposte a proposito del suo primo grande capolavoro, consistente nella svendita dell'Alfa Romeo alla FIAT (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania). Quali responsabilità ebbe lei in prima persona in questa oscura vicenda insieme a Craxi e a Darida? Perché non fornisce elementi alla magistratura utili all'accertamento di quali e quante mazzette sono circolate per la cessione dell'Alfa (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania)? Giusto ieri mattina la notizia compare su tutti i giornali di oggi, Presidente Craxi ha fatto pervenire allo SLAI-Cobas, l'organizzazione sindacale in cui milito, un appunto su elenchi di versamenti di mazzette a politici...

ROBERTO GRUGNETTI. Brava!

MARA MALAVENDA. ...dove ancora una volta compare la FIAT. E sostiene che la decisione delle vendita dell'Alfa alla FIAT fu di Amato e sua, Presidente Prodi (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia). Il suo silenzio in proposito è ambiguo, ci preoccupa sia come lavoratori che come cittadini e caratterizza con un forte e negativo segnale la filosofia delle privatizzazioni da lei perseguita.
Nonostante l'appiattimento della sinistra parlamentare sul DPEF, compreso chi si schierò con i lavoratori contro gli accordi del luglio del 1992 e del 1993, considero gli indirizzi del DPEF funzionali ad aggiungere al danno sociale anche la beffa di chi grida allo scandalo del Governo rosso per meglio aprire la strada a contenuti politici di destra. Mi consenta, Presidente, per noi lavoratori questo Governo di rosso ha solo la vergogna (Applausi dei


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deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.
Avverto che è pervenuta dai gruppi di forza Italia e del CCD-CDU la richiesta di votazione nominale.
Passiamo alla votazione.
Indico la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Mussi ed altri n.6-00001, accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Invito i colleghi a votare ciascuno per sé. Naturalmente, l'invito vale per tutti.
I colleghi hanno votato?

PIERGIORGIO MASSIDDA. Malavenda, sei una buffona! Come voti?

PRESIDENTE. Collega!
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti e votanti 585
Maggioranza 293
Hanno votato 314
Hanno votato no 271
(La Camera approva).

Avverto che sono così precluse le rimanenti risoluzioni Comino e Pagliarini n.6-00002 e Pisanu ed altri n.6-00003.

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