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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Agostini. Ne ha facoltà.
MAURO AGOSTINI. Signor Presidente, colleghi, signori rappresentanti del Governo, a me pare che nella discussione di
questi giorni, a volte un po' convulsa, si sia sottovalutato un fatto, che pure è considerato nel documento di programmazione economico-finanziaria e che ne sottende in qualche modo tutto l'impianto: il tratto di strada da percorrere per completare il risanamento del paese è breve. Certo, è un tratto impegnativo, irto di difficoltà anche per le condizioni nuove e non positive dell'economia europea, ma è pur sempre un tratto breve da percorrere.
volta a portata di mano, ma non sottovaluterei nemmeno che esistono interessi e comportamenti forti che non vogliono e non riescono a pensarsi in una situazione di inflazione al 2,5 o al 2 per cento. Sono interessi e comportamenti radicati, direi quasi inerziali. Proprio per questo vanno resi operativi ed incisivi strumenti, previsti anche nel documento di programmazione economico-finanziaria, come l'osservatorio dei prezzi deciso dal Governo, affinché l'Italia anche in questo diventi un paese normale, come ha detto il Presidente Prodi, un paese cioè nel quale vi siano periodi in cui i prezzi possono salire ma anche vivaddio periodi nei quali possono scendere. Ciò, però, non si verifica mai e tanto meno è accaduto negli ultimi due anni.
con la parte migliore di se stessa (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.
MARIO TASSONE. Nel poco tempo che ho a disposizione desidero innanzitutto rilevare, a differenza di quanto ha fatto il collega che mi ha preceduto, la grande incertezza che si registra nell'area di Governo sul documento al nostro esame. Tale incertezza e confusione sono diffuse nel paese, tra le forze sociali e sindacali; si registrano una scomposizione, un conflitto, un contrasto, un'assenza di fiducia e, in tema di economia, sappiamo che quando gli interventi non sono accompagnati da un minimo di fiducia anche tra i protagonisti, tutto diventa difficile, labile e precario.
PRESIDENTE. L'elenco lo farà un'altra volta, onorevole Tassone.
MARIO TASSONE. Comprendo benissimo, Presidente, ma intendevo solo rilevare l'insufficienza e la contraddittorietà di questo documento.
negativo sul documento presentato dal Governo (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU e di forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bicocchi. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE BICOCCHI. Signor Presidente, riteniamo che il documento di programmazione costituisca un faticoso punto di equilibrio tra spinte diverse e contrapposte e che esso susciti legittime preoccupazioni in tutti coloro che ritengono essenziale che l'Italia partecipi fin dall'inizio alla moneta unica europea. È quindi singolare che all'interno della maggioranza l'unica voce critica levatasi finora sia stata quella dell'onorevole La Malfa per i repubblicani.
nuove case per chi non ne ha, come molte coppie giovani, che proprio per questo non possono sposarsi.
PRESIDENTE. Scusi, onorevole Bicocchi. Onorevole Sgarbi, la prego di non sostare davanti al banco del Governo.
GIUSEPPE BICOCCHI. Dicevo che nell'ambito dei servizi sociali gli sprechi strutturali sono enormi, ma devono essere affrontati alla radice, con l'eliminazione delle posizioni monopolistiche, attraverso l'introduzione dei principi di efficienza e competitività, che comportino il licenziamento dei fannulloni, e con l'attuazione di un vero federalismo che decentri gestione e responsabilità, spese ed entrate, in tutti i campi: cito soltanto la sanità, i trasporti, la scuola.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giorgetti. Ne ha facoltà.
GIANCARLO GIORGETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il documento di programmazione economico-finanziaria presentato dal Governo può essere letto come un sistema di obiettivi e strumenti volti ad ottenere un risultato sintetizzabile con la definizione di «sviluppo con occupazione». L'obiettivo strategico è rappresentato dall'ingresso, in ritardo, nell'unione monetaria europea, in base ai criteri di convergenza definiti a Maastricht.
individuato per garantire il contenimento dell'inflazione è la politica dei redditi, che costituisce la trave portante di tutto il documento al nostro esame. Gli strumenti operativi che sorreggono tale disegno sono solo abbozzati e rinviati a futuri provvedimenti, ma è possibile isolare i seguenti tre punti forti o deboli -: la concertazione tra e con le forze sociali; il contenimento della crescita delle spese correnti dello Stato entro l'1 per cento in termini monetari e quindi con una riduzione, in termini reali, pari all'1,5 per cento; il mantenimento della pressione tributaria ai livelli del 1995. Tale sistema produce i suoi effetti qualora tutte le condizioni previste, ivi incluse le relazioni causa-effetto ipotizzate, si verifichino. Ammesso che l'opzione politico-economica di stampo monetarista che informa l'impianto di questa programmazione resista all'evidenza empirica, resta da chiedersi se le variabili ed i parametri utilizzati nel modello econometrico siano realistici o meno e se, quindi, i disavanzi programmati possano essere considerati credibili.
conti non trasparenti, insufficienti, frutto di aggiustamenti contabili per usare ancora una volta la terminologia della Corte dei conti -, ma che addirittura hanno a che vedere poco o nulla con quelli richiesti dall'obiettivo strategico europeo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nesi. Ne ha facoltà.
NERIO NESI. Signor Presidente, vorrei sapere quanto tempo ho a disposizione per il mio intervento.
PRESIDENTE. Diciassette minuti, onorevole Nesi.
NERIO NESI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro gruppo ha esaminato con la dovuta attenzione il documento di programmazione economico-finanziaria, attenzione resa necessaria dalla considerazione che esso rappresenta la dichiarazione degli indirizzi programmatici del Governo per i prossimi anni.
più bassa; infine il tasso di cambio, mantenuto per almeno due anni all'interno della fascia ristretta di fluttuazione del sistema monetario europeo.
due edizioni del documento. Infatti abbiamo due edizioni dello stesso: la prima, priva delle pagine sull'agricoltura; la seconda, che comprende anche le pagine sull'agricoltura; evidentemente si erano dimenticati di questo aspetto. Il Ministero degli esteri se l'è cavata con quattordici righe, il Ministero della difesa con poco più di una pagina. Il Ministero dei lavori pubblici ha fatto la parte del leone, con ben sei pagine nelle quali entra in dettagli di qualche interesse: la riorganizzazione dell'ANAS, il project financing, che hanno poco a che fare con l'economia complessiva del documento. Ci sembra cioè che l'assemblaggio abbia prodotto un lavoro contabile e descrittivo che contiene probabilmente dati esatti e certamente un elenco di buone intenzioni, ma non ha il pregio della sintesi di un progetto organico.
industria; una ridefinizione delle competenze ministeriali per arrivare a definire un ministero delle attività produttive che comprenda anche le responsabilità in materia di commercio estero e di sviluppo tecnologico.
Nel documento manca poi qualsiasi accenno alla tassazione della rendita, anche se ciò sarebbe stato coerente con quello che il documento stesso afferma a pagina 23, dove si legge: «Nel corso del triennio 1993-1995 anche per effetto del significativo incremento della domanda estera (...) si è verificata una redistribuzione del reddito a vantaggio dei profitti».
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.
PIETRO ARMANI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il documento di programmazione economico-finanziaria per il periodo 1997-1999 è, come il precedente redatto dal governo Dini per il 1996-1998, un ennesimo «libro dei sogni», in quanto le sue previsioni di crescita del PIL in termini reali, di tasso d'inflazione, di saggio di disoccupazione e di crescita percentuale dell'occupazione, già per il 1996 e poi per gli anni successivi, sono del tutto inattendibili e persino tra loro dotati di scarsa coerenza.
ed altri, sono state pari a 30.768 miliardi. Di questi circa la metà, 15.697 miliardi, fa riferimento ai ruoli di tributi erariali e locali per i quali è imposta ai concessionari di riscossione l'anticipazione degli importi agli enti impositori, mentre l'altra metà, 15.071 miliardi, si riferisce ai ruoli di tributi erariali, consorziali ed altri, per i quali ai concessionari non è imposta l'anticipazione a favore degli enti impositori.
anche nei molti decreti-legge esaminati in questi giorni dalla Camera).
probabilmente con un'addizionale IRPEF; il che potrebbe aggravare ulteriormente la progressività di tale imposta personale. Ma a tale soppressione si accompagnerebbero anche quelle dell'ILOR e dell'imposta sul patrimonio netto delle imprese: due imposte, però, che oggi gravano essenzialmente sulle imprese costituite sotto forma di società di capitali, mentre generalmente non pesano sulle imprese familiari che, secondo una rilevazione della Banca d'Italia di tre anni fa, sarebbero 3,5 milioni di unità. Ciò significa che, in conseguenza della complessiva e preannunciata parità di gettito, il peso dell'IPAR (indipendentemente dalla problematica definizione della sua base imponibile, come ha ben rilevato il collega Tremonti in diverse sue dichiarazioni) finirà per spostarsi in parte dalle imprese societarie (ricordo che solo l'ILOR ha un'aliquota del 16 per cento) alle imprese familiari, operanti in tutti i settori produttivi e generalmente di piccole o piccolissime dimensioni.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Colleghe e colleghi parlamentari, signor sottosegretario, premetto per brevità che, condividendo in larga parte molti degli interventi svolti da esponenti della maggioranza e, soprattutto, condividendo pienamente le valutazioni esposte nei giorni scorsi, in sede di audizione presso le Commissioni riunite, dal Governatore della Banca d'Italia, Fazio, il quale ha definito la manovra di notevole serietà e peso e, soprattutto, ha ammonito sull'insostenibilità di un eccesso di ambizione finanziaria cui invece molti colleghi quest'oggi hanno voluto fare riferimento vorrei concentrarmi su un aspetto particolare del documento di programmazione economico-finanziaria. Mi riferisco agli strumenti che il Governo introduce in tale documento in maniera molto innovativa e positiva, nello spirito della legge n.362 del 1988 sulle nuove norme in materia di bilancio e di contabilità dello Stato. Faccio esplicitamente riferimento ai contenuti di grande rilevanza presenti nei documenti collegati al documento di programmazione economico-finanziaria.
di programmazione economico-finanziaria della riforma della struttura di bilancio, del trasferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali, della riforma amministrativa. Vorrei sottolineare come questa sia una positiva e rilevante innovazione politica. Le decisioni legislative in materia di riforma di bilancio e di riforma amministrativa vengono considerate fra loro coerenti e contestuali. In attesa della riforma costituzionale, il Governo intende realizzare le riforme possibili a Costituzione invariata, in tempi certi e su argomenti certi; in attesa di dare nuova forma alle istituzioni, si innova la forma dei processi decisionali, in coerenza con le linee operative indicate dal Governo in sede di dichiarazioni programmatiche.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sgarbi, al quale ho l'obbligo di ricordare che ha a disposizione quattro minuti. Ne ha facoltà.
VITTORIO SGARBI. Saranno sufficienti!
il fallimento della sua iniziativa se in questo programma non vi è una sola voce che lo riguardi), si possa tenere a palazzo Grassi ma non in una sede pubblica? Non vi è una sede pubblica capace di avere il richiamo e l'attrazione che ottiene Agnelli con palazzo Grassi!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Signorino. Ne ha facoltà.
ELSA SIGNORINO. Signor Presidente, colleghi, nel documento di programmazione economico-finanziaria, in relazione alla composizione dell'intervento correttivo per il 1997 e per il 1998, si legge: «Le specifiche misure conseguenti verranno definite nel rispetto di obiettivi di equità distributiva e per la salvaguardia delle posizioni più deboli della collettività». Un tale obiettivo, certamente condivisibile, postula una riflessione ravvicinata sulle politiche di welfare.
abbiamo convenuto sulla necessità di conferire alle regioni pieni poteri di governo sul versante della sanità. Ma poiché il cuore delle politiche di federalismo consiste nella correlazione stretta ed inscindibile tra poteri e responsabilità, il processo potrà dirsi compiuto solo quando verranno poste in capo alle regioni responsabilità dirette sul prelievo fiscale. La fiscalizzazione dei contributi sanitari, la loro sostituzione con una nuova imposta a larga base imponibile e a bassa aliquota, con significativi effetti di riduzione del costo del lavoro, deve costituire un obiettivo ravvicinato, deve figurare a pieno titolo nell'ambito dei provvedimenti che il Governo si appresta a varare in materia fiscale.
pubblici, di privato sociale, di volontariato, no profit ed anche profit. Abbiamo inteso, per questa via, dare attuazione agli obiettivi di programma dell'Ulivo, ma anche predisporre uno strumento aperto al confronto, ad apporti molteplici, nella convinzione che sul versante della solidarietà il dialogo tra le diverse culture è risorsa preziosa ed insostituibile.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nocera. Ne ha facoltà.
LUIGI NOCERA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il documento finanziario presentato dal Governo al Parlamento racchiude in sé un lungo rosario di buoni propositi che servono solo a carpire la fiducia di una maggioranza parlamentare, come quella attuale, che presenta tutte le sue contraddittorietà. È in tale caotica situazione politica che il Presidente Prodi, con il documento di programmazione relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 1997-1999, nell'esaminare lo stato di salute del nostro paese ha voluto indicare i correttivi per giungere al risanamento dei conti pubblici con l'obiettivo dell'agognato rientro della lira nell'accordo di cambio europeo e con la successiva partecipazione nell'unione monetaria. Per fare ciò il Governo di centro-sinistra ha posto come elemento basilare il sostegno del Parlamento e delle parti sociali con riferimento all'accordo del luglio 1993, punto di partenza dichiara il Presidente Prodi del progresso che il paese ha compiuto verso il risanamento e la stabilità.
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Nocera, ma i colleghi seduti dietro di lei hanno preso l'aula per una centralina della Telecom. Nisi caste, saltem caute! Colleghi, ci sono tanti telefoni fuori dell'aula!
LUIGI NOCERA. I provvedimenti di natura finanziaria, così come impostati, e la ulteriore stretta di vite alla già critica economia delle famiglie non potranno produrre effetti benefici che servano da volano attorno al quale far girare tutte le attività, grandi e piccole, del nord, del centro e del sud, che diano un concreto segnale di ripresa del paese, una ripresa che tenga conto, sì, dello stato di salute della lira, ma che non escluda l'aspetto occupazionale, anche se lento e graduale.
relazione al documento di programmazione della finanza pubblica. Mi limiterò pertanto a sottoporre all'attenzione dei presenti alcuni dei punti che, a mio modesto modo di vedere, sono i più delicati e verso i quali mi è sembrata quasi nulla l'attenzione rivolta dall'attuale maggioranza.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Testa. Ne ha facoltà.
LUCIO TESTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, il documento di programmazione economico-finanziaria, pur rappresentando soltanto lo schema entro cui il Governo incardinerà la manovra di bilancio di fine anno, determinando i vincoli progressivi per la spesa e per le entrate, tocca in specifici punti le linee-guida delle politiche settoriali. Mi riferisco, in particolare, alle politiche dei lavori pubblici, del territorio, dei trasporti, dell'ambiente e della difesa del suolo, temi concreti e reali per la gente e per il paese.
decennio hanno avuto gravi conseguenze per lo sviluppo del paese e per la dotazione infrastrutturale rispetto agli standard europei.
normativa sulle opere pubbliche, avviato dalla legge Merloni, affinché l'Italia non sia più disseminata di opere incomplete ed inutili (ricordo che le opere iniziate e non terminate sono circa 9.500).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Malavenda. Ne ha facoltà.
MARA MALAVENDA. Signor Presidente, signore e signori, dalla metà degli anni settanta, con la politica dei sacrifici, i salari dei lavoratori hanno subito parecchie decurtazioni e siamo arrivati a tagli sui salari per circa due milioni all'anno. E ciò per sacrifici finalizzati, si diceva, alla occupazione. Sono state tagliate le pensioni, la sanità, lo Stato sociale; c'è stata la disdetta della scala mobile. I famigerati accordi del luglio del 1992 e del 1993 già prevedevano un minimo di recupero salariale, pari allo 0,50 per cento, vale a dire circa 7 mila lire nette nella busta paga dei lavoratori, in confronto ai due milioni all'anno tagliati dalle buste paga.
espressioni come «liberalizzazione del mercato del lavoro». Si sarebbe dovuta creare occupazione ed invece si sono solo elevati i profitti: quelli sì che sono cresciuti e tantissimo! Ma un aumento dell'occupazione non vi è stato.
PRESIDENTE. La prego, onorevole Malavenda, sono costretto a chiederle di concludere!
MARA MALAVENDA. Sì, mi avvio alla conclusione.
PRESIDENTE. La prego di concludere, non di avviarsi alla conclusione!
MARA MALAVENDA. Gli avvocati dello SLAI-Cobas hanno ricevuto da Craxi un appunto nel quale si legge testualmente: «Dopo la morte dell'onorevole Balzamo, mi venne consegnata da un suo collaboratore una busta contenente una documentazione riguardante dati riferibili ad attività dell'amministrazione. Vi era anche un elenco di versamenti con l'indicazione delle cifre versate e degli autori dei versamenti...».
PRESIDENTE. Onorevole Malavenda, non mi costringa a toglierle la parola!
MARA MALAVENDA. L'elenco è scritto di pugno dall'onorevole Balzamo...
PRESIDENTE. La prego, onorevole Malavenda: vuole concludere?
MARA MALAVENDA. Si indicano anche i responsabili di questa operazione di svendita dell'azienda in Prodi e in Amato...
PRESIDENTE. Onorevole Malavenda, la prego di concludere!
MARA MALAVENDA. A questo noi chiediamo ancora risposte! Sì, certo, queste sono le domande che io rivolgo ancora una volta, sperando che arrivino le risposte (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Per cortesia, si disattivi il microfono dell'onorevole Malavenda!
FRANCO FRATTINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, nel paragrafo 7.2 del documento di programmazione economico-finanziaria si delinea il programma di azione del Governo per la riforma della pubblica amministrazione e del bilancio statale, nonché per il decentramento di funzioni amministrative,
quest'ultimo impropriamente denominato, nel titolo, federalismo.
l'impossibilità di stimare ex ante i risparmi derivanti da settori non marginali.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giorgio Pasetto. Ne ha facoltà.
GIORGIO PASETTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la rilevanza che questo dibattito assume oggi in Parlamento consente di iniziare il mio intervento sul documento di politica economica e finanziaria del Governo con l'auspicio che il confronto in aula contribuisca a correggere una doppia distorsione che ha accompagnato nei giorni scorsi il confronto sugli indirizzi del Governo. La partecipazione appassionata sulla stampa e nelle sedi istituzionali di protagonisti di alto profilo tecnico ha in qualche modo contribuito a enfatizzare la sola valenza economico-finanziaria dei parametri di convergenza, proiettando e consolidando nell'opinione pubblica l'idea che l'appuntamento fissato per la primavera del 1998 riguardi soprattutto il sistema economico del paese e non già l'intera società italiana.
sembra essere maggioritaria nel paese. Anche per noi la ricerca delle condizioni ottimali non è sfoggio di rigore tecnocratico ma compito di Governo nel senso ampio del termine. Non esiste un convoglio già pronto e partito da chissà quanto lontano, formato da un nucleo di paesi forti che aspettano il suo passaggio e al quale altri paesi si possano agganciare con prontezza; esiste invece un tavolo dove le condizioni ottimali dei singoli paesi per promuovere uno sviluppo integrato vengono scambiate al massimo livello di beneficio possibile per promuovere un nuovo stadio di più alte opportunità e in direzioni più ampie.
la politica del credito come parte integrante per la riorganizzazione del sistema bancario in funzione dello sviluppo, la capacità di fornire un sistema di decisioni lineari a tutti i livelli istituzionali sono le vere questioni che dobbiamo affrontare per percorrere fino in fondo la strada dell'integrazione europea, per diventare paese portante e non solo accettato dal sistema economico europeo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alemanno. Ne ha facoltà.
GIOVANNI ALEMANNO. Signor Presidente, il documento che stiamo discutendo è l'ennesima edizione di quell'ormai antico e tante volte ripetuto libro dei sogni attraverso il quale, non solo in questa fase di transizione dalla prima alla seconda Repubblica ma anche dai tempi della politica del consociativismo partitocratico, si pretende di attagliare le misure governative alla realtà economica. Fa veramente impressione, infatti, constatare come in questo documento non vi sia alcun rilievo ed alcuna giustificazione coerente e seria rispetto al totale fallimento degli indici e dei parametri individuati nel documento di tre anni fa.
la Conferenza nazionale sull'occupazione. Sappiamo cosa ciò significhi: sostanzialmente dar vita ad un grande evento comunicativo in cui il sindacato, il Governo, le parti sociali, enumereranno una serie di proposte che poi, sganciate da politiche di settore veramente serie ed equilibrate e dall'idea di rilancio del nostro sistema-paese, finiranno in pratica per ridursi a quei famosi lavori socialmente utili che sono totalmente inefficienti per il rilancio del tessuto economico e sociale.
Vogliamo sottolineare anche un altro aspetto: siamo convinti e su ciò aveva preso l'avvio il Governo Berlusconi che la strada da intraprendere sia quella che punta ad un aumento della ricchezza reale, incrementando cioè la capacità di intervento e di sviluppo delle imprese italiane, rilanciando il sistema-paese, affrontando la sfida della globalizzazione, dando più forza alla struttura della nostra economia reale. A fronte di tutto ciò non possiamo non sottolineare che nulla viene detto in termini concreti, come è stato ribadito in diversi interventi. Infatti nei confronti dei diversi settori, nei quali si potrebbe ipotizzare un rilancio della nostra economia reale, non si compie alcuno sforzo di fantasia per costruire politiche diverse.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Biasco. Ne ha facoltà.
SALVATORE BIASCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, brucerei molto del mio tempo richiamando le cifre e le entità dello sforzo fiscale che il paese persegue dal 1992, ma è sbagliato dimenticarle: più di 200 miliardi di manovre e di correzioni. È sbagliato anche dimenticare che ciò è avvenuto senza che il paese avesse alle spalle l'aiuto di un piano europeo per l'occupazione od un disegno europeo per il recupero dell'imponibile sulle basi più mobili, una condizione che certo penalizza l'Italia più di altri paesi.
arriverebbero al 3 per cento in più rispetto agli scenari alternativi; quelli a lungo termine arriverebbero al 2 per cento in più, a partire già dal 1997; poi, si alzerebbero. Il cambio si assesterebbe sul 10-15 per cento di svalutazione; l'inflazione, dopo essere rimasta 2-3 anni al 4,5 per cento, se ne andrebbe di nuovo al 6 per cento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, onorevole Biasco.
ENRICO CAVALIERE. Presidente, colleghi deputati, rappresentanti del Governo, la discussione sul documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 1997-1999 alla quale abbiamo assistito non ci ha per nulla soddisfatto.
i suoi limiti perché con quel documento non si andrà mai in Europa; abbiamo sempre detto e ripetuto che con questa organizzazione del sistema-paese non avremmo mai potuto rispettare i parametri di Maastricht. Dunque, era ed è ora più che mai necessario cambiare la struttura e l'organizzazione del paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bastianoni. Ne ha facoltà.
STEFANO BASTIANONI. Signor Presidente, colleghi, il tempo che ho a disposizione mi consente di fare solo alcune brevi considerazioni sul DPEF, con particolare riferimento all'emergenza occupazione.
In estrema sintesi, possiamo dire che ci troviamo di fronte ad un documento che ha un carattere eminentemente finanziario, privo com'è di indicazioni strategiche e autenticamente programmatiche. In sostanza, l'intera azione di politica economica si riconduce al raggiungimento di determinati parametri di riferimento, che peraltro appaiono scarsamente credibili. Passando al campo delle politiche per l'occupazione, si rimane al livello delle enunciazioni, mentre restano vaghi o del tutto assenti i tempi di realizzazione degli obiettivi dichiarati. Si invocano una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, misure di sostegno alla nuova imprenditoria assieme alla riproposizione dei lavori di pubblica utilità e a programmi di inserimento di giovani nella pubblica amministrazione. A questi si aggiunge un generico impegno di realizzare un piano straordinario per gli investimenti pubblici da finanziare nell'arco di un triennio. È decisamente troppo poco.
PRESIDENTE. Non si avvia alla conclusione, conclude!
STEFANO BASTIANONI. Concludo, signor Presidente.
i picchi di domanda, specie stagionali, i patti territoriali.
PRESIDENTE. Per cortesia, onorevole Bastianoni, ha già «sforato» di un minuto. Non vi è un «poi», non vi è più nulla.
STEFANO BASTIANONI. ... dal punto di vista legislativo e fiscale, quello del cosiddetto terzo settore, il no profit, sul quale vi sono pesanti ritardi dal punto di vista legislativo e fiscale da parte del nostro paese.
PRESIDENTE. Basta così, per cortesia. Ha parlato due minuti in più (Applausi)!
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, se fosse presente il Presidente del Consiglio ricorderebbe senz'altro la prima riunione dei segretari politici dei partiti dell'Ulivo, che si svolse l'8 giugno 1995. Nel corso di quella riunione io posi immediatamente il quesito della posizione della nostra coalizione circa l'unione monetaria e i parametri di Maastricht. Chiesi se la coalizione, respingendo le incertezze, anzi l'aperta ostilità del Governo Berlusconi al Trattato di Maastricht, avrebbe avuto come obiettivo la piena partecipazione dell'Italia all'Europa o se invece, più mestamente, si dovesse proporre di accompagnare l'emarginazione del nostro paese dall'Europa.
MARCO TARADASH. Non vorrai mica essere da solo!
GIORGIO LA MALFA. Non desidero essere solo. Mi fa piacere trovare delle concordanze, ma rilevo una contraddizione nelle posizioni del Polo.
affidarla, anziché ad una discussione seria e meditata, ad una frettolosa liquidazione, accompagnata da qualche pietosa bugia o da qualche speranza, sulla quale non possiamo contare? La speranza, per esempio, che nel 1999 ci venga fatto uno sconto: ho sentito affermare che non si potrà dire di no ad un'Italia che negli ultimi cinque anni ha migliorato il deficit corrente e così via. Si potrà, invece, dire di no, perché se l'accordo sarà quello di partire il 1^ gennaio 1999 non ci sarà posto per i paesi che abbiano un deficit superiore al 3 per cento e già difficilmente vi sarà posto per chi abbia un debito pubblico attestato su tale quota.
MARIO TASSONE. L'unico fatto negativo è che non ci sia La Malfa al Governo...!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vozza. Ne ha facoltà.
SALVATORE VOZZA. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, la presentazione del documento di programmazione economico-finanziaria è stata sempre l'occasione per dar vita ad una discussione ricca ed anche questa volta è così, ma la puntualità con cui tale appuntamento si ripete non può farci perdere di vista le forti novità che sono intervenute e che danno a questo dibattito un nuovo carattere ed un nuovo valore. Vorrei soffermarmi su questi aspetti.
vinti né vincitori, se solo le correzioni al documento richieste fossero state accolte, se i suggerimenti avanzati dalle forze della maggioranza fossero stati considerati apporti utili per migliorare un documento su cui abbiamo espresso ed esprimiamo un giudizio positivo.
Concludendo, dalla discussione sono emerse proposte positive; le vicende di questi giorni ci dicono che dobbiamo cogliere la volontà di rifondazione di dare il proprio contributo alla definizione del programma come occasione per dare maggiore stabilità alla stessa maggioranza.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cicu. Ne ha facoltà.
SALVATORE CICU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, considerando il tempo a mia disposizione mi soffermerò, con alcune valutazioni, in modo particolare sul Mezzogiorno.
SALVATORE CICU. Da oltre un decennio si fa riferimento a stanziamenti di decine e decine di miliardi, ma queste previsioni di spesa non hanno mai trovato attuazione. A ciò si aggiunge il cosiddetto libro delle ulteriori favole, denominato nel documento di programmazione economico-finanziaria «libro bianco», opportunamente così definito stante la mancata presenza di alcunché in termini di concretezza.
di salari e pensioni, procurando una vera e propria distorsione nei meccanismi redistributivi, penalizzando nella sostanza la parte più debole del paese, il meridione. L'inflazione alta mantiene alti i tassi di interesse e quindi fa crescere l'indebitamento delle imprese, con tutto quello che ne consegue sul terreno delle politiche di sviluppo.
PRESIDENTE. Onorevole Cicu, la Presidenza autorizza senz'altro la pubblicazione di sue considerazioni integrative in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
JOHANN GEORG WIDMANN. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, considero il documento di programmazione economico-finanziaria come uno schema, una rincorsa, un tentativo di superare gli esami di maturità per l'Europa. Tutti coloro che conoscono la situazione globale italiana sanno che questa rincorsa comporta grandi dolori e grandi fatiche. Questo tentativo richiederà rinunce e sacrifici. In fin dei conti dobbiamo pagare per i peccati del passato ai quali abbiamo contribuito tutti quanti. Dobbiamo pagare anche per gli evasori che hanno sfruttato lo Stato e dobbiamo pagare per i politici e per gli amministratori che erano convinti che lo Stato fosse a loro totale ed esclusiva disposizione, anziché al servizio di tutti i cittadini.
riusciremo non solo a dare lavoro, soprattutto ai giovani, ma anche a creare molteplici effetti positivi in vari settori.
PRESIDENTE. Chiedo scusa, colleghi, ma dovete consentire all'onorevole Widmann di terminare il suo intervento.
JOHANN GEORG WIDMANN. Bisogna continuare nello spirito di questo accordo armonizzando la politica economica e sociale tra Governo e parti sociali e impegnando così tutti ad una responsabilità economica e sociale che contribuisce anche a difendere il potere d'acquisto dei redditi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare è l'ultimo intervento l'onorevole Volonté. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Onorevole Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, i problemi principali del sistema d'Italia si possono così riassumere: il riaggancio all'Europa e all'EURO, sui quali il documento non tratteggia alcuna strategia tesa al recupero di competitività per far fronte alle sfide della globalizzazione; la disoccupazione che, avendo natura strutturale, dovrebbe essere contrastata con una riforma sia del mercato del lavoro sia del ruolo dello Stato nell'economia con la valorizzazione delle piccole e medie imprese, uniche fonti di vera occupazione; gli squilibri territoriali, che
si aggraveranno se non verranno risolti i primi due problemi e quello del debito pubblico. Afferma infatti Monorchio, ragioniere generale dello Stato, che il federalismo si potrà realizzare nel momento in cui avremo ridotto il debito pubblico e prosegue dicendo che non ci potrà essere compartecipazione dei tributi finché non avremo estinto il debito pubblico. Le regioni d'Italia però non possono aspettare.
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Volonté, la avverto che ha terminato il tempo a suo disposizione.
LUCA VOLONTÈ. La nostra opposizione dimostrerà l'attaccamento che abbiamo ai semplici atti della realtà italiana. La nostra azione politica sarà rivolta a riconoscere ed armonizzare ciò che c'è: dal no profit alle famiglie fondate sul matrimonio, dall'abolizione dei novantanove versamenti ed adempimenti per ogni piccola e media impresa all'anno, alla diminuzione del rischio della propria vita per chi intraprende al sud.
Contra factum non valet argumentum: il Governo prima ne prenderà atto e prima eviterà di trascinarsi verso il baratro o di essere travolto da avvenimenti più gravi ed imprevedibili. A questo documento non possiamo dire sì né per noi né per i nostri padri né per i nostri figli (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU e di forza Italia).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
GIANCARLO PAGLIARINI, Relatore di minoranza. Oggi abbiamo avuto conferma di una cosa: vedete, da varie dichiarazioni ci era sembrato almeno a parole che quasi tutti i membri del Parlamento fossero improvvisamente diventati federalisti; nel dibattito di oggi i rappresentanti del Polo e dell'Ulivo hanno parlato di tutto spesso con serietà, profondità di pensiero e consapevolezza dei problemi ma se domani leggerete il resoconto stenografico vedrete, salvo rarissime eccezioni oltre ai membri del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, che nessuno ha parlato della necessità di cambiare l'organizzazione dello Stato, di decentrare, di togliere il potere ai politici, alla burocrazia dei ministeri e degli enti romani, di restituirlo al popolo, ai comuni, ai sindaci e agli enti locali (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
a rispettare il Trattato di Maastricht ed a consentire l'ingresso dell'Italia sin dall'inizio nell'unione monetaria (il collega La Malfa ricordava i discorsi fatti proprio all'inizio dai deputati dell'Ulivo). I cittadini della Padania si sentono europei, sanno che le migliori leggi approvate dal Parlamento negli ultimi anni sono quelle che hanno recepito direttive comunitarie. Le società e le aziende della Padania vogliono pagare gli stessi tassi di interesse che pagano i loro concorrenti europei.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, onorevole Cherchi.
SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Parlerò, onorevoli colleghi, solo per pochissimi minuti, poiché è giustamente atteso l'intervento anzi gli interventi del Governo, così autorevolmente rappresentato. Puntualizzerò rapidamente soltanto quattro gruppi di questioni che sono state poste nel corso del dibattito.
LUCIO COLLETTI. Ti sbagli completamente!
SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza ... di decisioni che sono particolarmente significative per l'Europa. La risoluzione proposta dalla maggioranza assume l'obiettivo della partecipazione dell'Italia all'unione economica e monetaria senza incertezze, in quanto questo obiettivo è rispondente ad un interesse generale per il paese e in quanto costituisce un
passo di grande rilevanza, comunque necessario verso l'unione politica.
PRESIDENTE. Onorevole Scalia, la prego!
SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Neppure è stata lesa l'autonomia delle parti sociali, poiché il Governo non può essere attore agnostico in relazione a quanto sta accadendo nella distribuzione dei redditi. Il Governo è attore primario della politica della concertazione e in questa vicenda, quindi, non poteva restare né neutrale né agnostico, soprattutto se vuole rilanciare e salvaguardare la vitalità della politica dei redditi.
quest'ultima richiamata anche da diversi intervenuti appartenenti all'opposizione.
PRESIDENTE. Onorevole Armaroli, può evitare di dare le spalle al relatore?
SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Il documento contiene, a Costituzione invariata (e non poteva essere che così), il proposito di realizzare, utilizzando nella misura più ampia le potenzialità insite nell'articolo 118 della Costituzione, il più ampio decentramento di poteri verso gli enti territoriali, regioni, province e comuni. Questo è un proposito presente nel documento, che non viene chiamato federalismo nel dibattito perché si tratta di operare all'interno di una cornice costituzionale che non prevede il federalismo. L'obiettivo di una trasformazione in senso federale rientra nei nostri propositi, ma oggi occorre adottare riforme istituzionali operando nell'ambito del quadro costituzionale dato.
PRESIDENTE. Si riferisce al punto C.4 della risoluzione, laddove si legge «a considerare come provvedimenti collegati in quanto concorrenti agli obiettivi della manovra di bilancio (...)?
SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Sì, signor Presidente.
PRESIDENTE. Forse è meglio che esponga adesso la sua proposta, così i colleghi possono acquisirla.
SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Al punto C.4, laddove si legge «esplicitamente rivolti a riportare le grandezze della finanza pubblica», dopo la parola «esplicitamente» propongo di aggiungere le seguenti: «ed esclusivamente».
PRESIDENTE. Ossia deve leggersi: «esplicitamente ed esclusivamente rivolti a riportare le grandezze della finanza pubblica».
SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Esatto. Propongo inoltre di sostituire alle parole «ogni provvedimento», che appunto possono ingenerare equivoci, le parole «i provvedimenti di manovra integrativa».
PRESIDENTE. Onorevole Cherchi, può leggere il testo riformulato?
SALVATORE CHERCHI, Relatore per la maggioranza. Rileggo l'intero periodo, Presidente: «C.4) a considerare come provvedimenti collegati in quanto concorrenti
agli obiettivi della manovra di bilancio per il 1997 di riduzione del fabbisogno e del disavanzo di competenza i provvedimenti di manovra integrativa esplicitamente ed esclusivamente rivolti (...)». La parte restante del punto C.4 rimane invariata.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Cherchi.
ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Onorevoli deputati, ho chiesto di parlare brevemente oggi in quest'aula, nel corso della prima importante discussione parlamentare successiva al dibattito sulla fiducia, per sottolineare innanzitutto la decisiva importanza che il nostro Governo attribuisce al documento che è stato sottoposto al vostro esame. Esso rappresenta il primo atto programmatico al quale il Governo conformerà la sua azione di politica economica e di bilancio per il prossimo triennio. Questo documento indica la via che il paese dovrà percorrere per giungere puntuale, con le carte in regola, all'appuntamento della moneta unica, affrontando contemporaneamente, in modo risoluto e deciso, il grave problema dell'occupazione.
MARCO TARADASH. Non è vero!
ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Ben lungi dall'apprezzare il senso di responsabilità istituzionale del Governo, l'opposizione ha creduto e crede di far emergere, così comportandosi, i segni di una debolezza politica e addirittura di una scarsa coesione della maggioranza. Avverto l'opposizione che si sbaglia e assicuro che non è questa la strada (Vive proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU).
MARCO TARADASH. Gli avvertimenti non li accettiamo!
MARIO TASSONE. Dimostratelo con i fatti!
PRESIDENTE. Colleghi!
ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Ricorrere con esasperante pervicacia ad uno strumento quale la verifica del numero legale, che consente di fare opposizione standosene al mare... (Vive proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU).
MARIO TASSONE. Erano quelli della maggioranza che non c'erano! Perché non ti vai ad informare?
PRESIDENTE. Colleghi!
ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. ...utilizzare ogni accorgimento consentito dai regolamenti per porre in essere un pregiudiziale ostruzionismo significa ritenere che il compito dell'opposizione sia soltanto quello di impedire alla maggioranza (ma, in realtà, anche al Parlamento) di decidere. La verità è che seguendo tali suggestioni non si ferma solo il Governo, ma si paralizza il paese (Proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU). Onorevoli colleghi, un minuto di pazienza!
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Non sono argomenti da presentarsi così!
MARIO TASSONE. La pazienza è sulle cose serie!
ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Tale comportamento ha messo a dura prova la resistenza dei parlamentari della maggioranza (Commenti e applausi polemici dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU), che io desidero qui ringraziare per lo sforzo compiuto, per il senso di responsabilità dimostrato e per la passione civile e politica con cui, sostenendo il Governo, hanno onorato l'impegno contratto verso i nostri elettori.
GIUSEPPE TATARELLA. Presidente, dovrebbe difendere i diritti della Camera! Queste parole sono offensive! (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Si accomodi, onorevole Tatarella! Si accomodi!
GIUSEPPE TATARELLA. Ha detto cose false!
ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. La dialettica...
GIUSEPPE TATARELLA. Lei deve difendere il Parlamento! Lei difende il Governo! Sta dicendo cose false! Abbiamo fatto bene a non votarla!
PRESIDENTE. Si accomodi, onorevole Tatarella! La richiamo all'ordine per la prima volta! Si accomodi! Prosegua, onorevole Presidente del Consiglio.
ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. La dialettica tra maggioranza e opposizione, per quanto dura, è sempre positiva. Ma in un ªsistema democratico, il Parlamento deve poter funzionare.
MARIO LANDOLFI. D'Alema, fallo tacere!
ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Non intendiamo assistere senza possibilità di reazione allo stallo di un Parlamento che è costantemente bloccato da espedienti ostruzionistici. Non è pensabile...
MARCO TARADASH. Non è vero niente! Non avete la maggioranza!
LUCIO COLLETTI. Lei ha fatto filibustering!
MARIO TASSONE. È stato informato male!
PRESIDENTE. Onorevole Taradash! Onorevole Tassone!
GIUSEPPE TATARELLA. Lei deve difendere anche una parte del Parlamento!
ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Non è pensabile che una forza sconfitta alle elezioni, qualunque essa sia, decida di bloccare il Parlamento. Questo è esattamente il contrario di una corretta dialettica democratica e della cultura dell'alternanza (Vive proteste dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU).
PRESIDENTE. Scusi, onorevole Presidente del Consiglio. Colleghi, è legittimo dissentire da qualsiasi tipo di posizione, ma qualunque deputato, tanto più il rappresentante del Governo e tanto più il Presidente del Consiglio, ha il diritto di esprimere le proprie posizioni, apprezzate o meno (Commenti dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU).
GIUSEPPE TATARELLA. Ma non di offendere! Ha il diritto di esprimere la verità!
PRESIDENTE. No, colleghi, io devo garantire, come il diritto dell'opposizione, così il diritto della maggioranza di esprimere le proprie posizioni. Questo deve essere chiaro (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti e di rinnovamento italiano).
MARCO TARADASH. Queste sono minacce, Presidente! Sono minacce al Parlamento!
L'Italia, insomma, è ad un passaggio cruciale ed ora è proprio il caso di dirlo ci troviamo su un crinale. L'obiettivo del risanamento può essere raggiunto, si può entrare nell'unione monetaria nel gruppo dei primi paesi, si possono liberare risorse per lo sviluppo e l'occupazione, ma ci potrebbe essere anche uno scivolamento indietro, un rinculo, uno smarrimento da parte delle forze che devono contribuire al risanamento; un rinvigorirsi, insomma, di interessi particolaristici, quasi in alcuni casi una paura di entrare in una fase completamente nuova.
Dietro alle cifre del documento vi è un paese in carne ed ossa, con interessi, aspettative, umori. È per questo motivo che è necessario mantenere la barra ferma, con rigore, certo, ma senza rigorismi sciocchi, avendo chiara la rotta e sapendo schivare le insidie.
E anche la dialettica che c'è stata tra Governo e maggioranza mi pare che vada letta con maggiore serenità. Che cosa si pensava da parte di alcuni che si sono stracciate le vesti in questi giorni? Che si metteva in campo una manovra da 16 mila miliardi, si definivano gli obiettivi del documento di programmazione economico-finanziaria e la legge finanziaria da 32 mila miliardi senza che tutto ciò determinasse un dibattito legittimo, positivo?
Credo ed è questo il punto politico che voglio sottolineare che tutto ciò sia stato un bene e che da qui possa uscire un rafforzamento dell'attuale maggioranza. L'importante è perseguire gli obiettivi che con il documento di programmazione economico-finanziaria ci diamo e proponiamo al paese.
Vedo quattro elementi chiave per il successo della politica economica che il documento intende perseguire: la riduzione dei tassi di interesse; l'abbattimento dell'inflazione; la politica per l'occupazione; la riforma fiscale. Questi quattro aspetti sono strettamente connessi tra di loro e non dobbiamo pensarli come obiettivi inconciliabili o confliggenti perché, ad esempio, nel momento in cui si riducono i tassi e la nostra azione è giudicata quindi credibile, in quello stesso momento stiamo lavorando per creare occupazione.
Il problema che rende più acuto lo sforzo che dobbiamo compiere in questo 1996 sta soprattutto nell'attuale congiuntura europea. In Italia, da una previsione di un aumento del 3 per cento del PIL per il 1996, si è passati e si sta passando ad un'ipotesi di incremento dell'1-1,2 per cento del PIL. Ciò significa 50-60 mila miliardi lo ha detto in questi giorni il ministro del tesoro di reddito in meno e 18-20 mila miliardi di entrate tributarie in meno.
Per questo, appare un po' farisaico anche qualche intervento che stamane è stato fatto in quest'aula, quando da una parte si paventa il rischio di una recessione a causa della cura che si prescrive al paese e dall'altra ci si rammarica del fatto che nel 1997 non si raggiungerà l'obiettivo di un deficit pari al 3 per cento del prodotto interno lordo. Qui vi è proprio un trade off, qui vi è la necessità di una scelta: da una parte l'intensità dell'azione di risanamento, dall'altra i rischi di recessione. Da qui, dunque, l'esigenza di graduare, di contemperare, ma non certo di tornare indietro rispetto al solo percorso che può dare una prospettiva al paese.
È chiaro a tutti che cosa significhi per i conti dello Stato una riduzione dei tassi; ma direi che essa è ancora più importante in una logica sistemica, perché dà certezza, favorisce gli investimenti produttivi, libera risorse e le sposta dal debito pubblico agli impieghi produttivi, richiama capitali in Italia. Analogo discorso si può fare per l'abbattimento dell'inflazione. Sono d'accordo con quanti sostengono che questo obiettivo è davvero e per la prima
Tutto questo non si fa in laboratorio, ma in una situazione concreta, ben precisa. Il documento di programmazione economico-finanziaria evidenzia bene come dal 1993 in avanti si sia determinata una forte redistribuzione del reddito a favore dei profitti. Non vi è quasi bisogno di esaminare i dati per rendersene conto. Attraversiamo tutti l'Italia reale, le regioni dove è forte la presenza dell'industria esportativa, dove si sono fatti utili, occupazione, reddito e profitti. Oggi il problema è ancora più sentito perché siamo in una fase di debole, debolissima crescita. Basta guardare il livello dei consumi e i risultati delle indagini sul problema della povertà che in questi giorni vengono sottoposte alla nostra attenzione.
Ma il documento di programmazione economico-finanziaria si pone anche l'obiettivo di riequilibrare le distorsioni nella distribuzione del reddito che si sono determinate in questi anni. Non vi è dubbio, allora, che quello del 2,5 per cento di inflazione è un obiettivo sacrosanto, un obiettivo di sistema; ma è altrettanto indubbio che non si possono penalizzare proprio coloro che sono stati penalizzati di più in questi anni, e non solo per una ragione di giustizia sociale, cioè per la variazione di 25 mila lire al mese nello stipendio, come ha detto qualcuno con un po' di spocchia. Sono importanti anche 25 mila lire al mese in uno stipendio di un milione e 550 mila lire come quello di tanti lavoratori i cui contratti dovranno essere rinnovati l'anno prossimo! Ma lo dico senza alcuna demagogia non vi è solo un problema di giustizia sociale, c'è anche un problema economico, che attiene al livello dei consumi. Credo che la risoluzione che verrà presentata indichi su questo terreno una strada giusta.
Della lotta alla disoccupazione non si può chiedere conto al Governo; si deve chiedere, piuttosto, che si lavori bene, che vi sia un confronto con le parti sociali e che si arrivi alla conferenza di settembre con un pacchetto credibile e praticabile di provvedimenti, e non per creare una occasione di discussione. La lotta all'evasione e all'elusione fiscale è imprescindibile in questa opera di risanamento e di sviluppo.
Il Parlamento e il Governo e concludo si stanno dando (lo dico senza enfasi) obiettivi importanti. Dobbiamo far sentire di più al paese che l'adesione all'unione monetaria e l'edificio di Maastricht non sono semplici parametri ragionieristici ma una grande occasione di sviluppo per l'economia e la società italiane. Sono una grande occasione di ridefinizione dell'identità nazionale di un paese che non vive più sul proprio debito rinviando le scelte più difficili alle generazioni future, ma investe su se stesso, produce e si innova. Un paese che nella sua modernizzazione definisce le condizioni e rinnova il suo sistema di solidarietà ai diritti sociali. L'ancoraggio fermo all'Europa non è una condizione esogena, ma la ragione stessa di uno sforzo, di una scommessa, che è al tempo stesso di rigore, di risanamento e di sviluppo. Qui vedo le ragioni davvero fondative dell'Ulivo, ciò che ci fa stare insieme, quel valore aggiunto che riceviamo e che ci ritorna indietro da questa coalizione.
Le condizioni per un lavoro di lungo periodo ci sono tutte, senza dimenticare mai le esigenze dell'oggi e partendo proprio da esse per dare forza e continuità a quel passo che ci porta ad un appuntamento che l'Italia non ha con qualcuno fuori da sé ma proprio con se stessa, direi
Esprimerò quindi, con qualche veloce argomentazione, una riserva su questo documento. Del resto, una riserva è stata poc'anzi espressa anche da alcuni esponenti dell'area della maggioranza. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha avvertito l'esigenza di recuperare i brandelli della sua maggioranza reintroducendo la vecchia consuetudine dell'incontro interpartitico. All'inizio della legislatura, durante la fase di presentazione del Governo, si era parlato di tutto questo come di episodi che appartenevano ormai al passato, alla prima Repubblica non esistendo più la consuetudine che portava il Presidente del Consiglio a confrontarsi con la maggioranza giacché tale maggioranza era forte, granitica, autonoma e autosufficiente. Non so se ci troviamo nella terza Repubblica; certo, non nella seconda. Molto probabilmente, ci troviamo nella fase più oscura della prima Repubblica.
Desideravo fare questa valutazione iniziale di carattere politico che lascia intravedere l'insufficienza del documento al nostro esame. La mia principale riserva riguarda due pilastri fondamentali di tale documento: il percorso esclusivo verso il Trattato di Maastricht e la conferma della tradizionale politica monetaria. Le mie proposte sono quelle di impostare con gli altri paesi del Mediterraneo un fulcro di riferimento economico-finanziario nel Mezzogiorno d'Italia che apra più organiche prospettive economiche con i paesi africani e mediorientali, in parallelo con il fulcro Milano-Berlino con riferimento ai paesi dell'est europeo; di ricondurre la politica monetaria all'interno di una più complessiva politica economica fondata sul binomio «più occupazione, più PIL» per evitare che la moneta sia l'unico arbitro dell'economia nazionale come nel passato, sottoposta alle speculazioni congiunturali dei centri finanziari internazionali privati e pubblici (crisi della lira e crisi del franco francese di qualche tempo fa); di affrontare il problema del debito pubblico in termini radicali, predisponendo un piano decennale di ammortamento per il 70 per cento del suo ammontare attraverso l'offerta di titoli idonea all'estinzione delle scorte di capitale e garantendo un'adeguata rendita periodica; di rilanciare massicciamente gli investimenti anche infrastrutturali legandoli per il 40 per cento alle unità da occupare; di riformare radicalmente la politica fiscale trasferendo l'imposizione dal reddito ai consumi e tassando soltanto la parte del reddito non utilizzata per consumi.
Prima di concludere mi limiterò a fare un'osservazione riguardo al Mezzogiorno, rispetto al quale tutte le previsioni contenute nel documento sono fallite. Esistono leggi che parlano chiaramente del fatto che non esiste più l'alta velocità e nel documento si parla dell'alta velocità; non è prevista la trasformazione della strada statale n.106 Reggio Calabria-Taranto; non è prevista la terza corsia dell'autostrada n.3...
Ho pertanto l'onore di esprimere le mie riserve ed un giudizio profondamente
Analoga preoccupazione voglio esprimere oggi in questo dibattito anche come appartenente al patto Segni, oltre che al gruppo di rinnovamento italiano, preoccupazione aggravata dalle conseguenze del cedimento a rifondazione. Diciamo che avremmo desiderato un maggior coraggio da parte del Governo, non sul versante dei tagli alla spesa è giusto ciò che è stato fatto ma nella lotta contro l'inflazione. Da tempo molti economisti, come Modigliani, Baldassarri, Sylos Labini, invitano a cogliere la forse irripetibile occasione per avviare un circuito virtuoso di abbattimento drastico dell'inflazione, corrispondente riduzione dei tassi di interesse, risanamento finanziario, partecipazione alla moneta unica europea, rilancio dell'economia e dell'occupazione. Essi sottolineano altresì la necessità di fuggire ad ogni costo il rischio opposto della ripresa della spirale inflazione, con conseguenti aumenti retributivi e dei prezzi.
So bene che un tale ambizioso obiettivo è conseguibile solo con il metodo della concertazione e che non è facile ipotizzare oggi un accordo simile con i sindacati, ma ritengo che sarebbe stato compito del Governo indicare a tutto il paese il senso alto di questo obiettivo e i vantaggi per tutti, lavoratori compresi, che ne conseguirebbero, nonché di premere sulle parti sociali, anche con opportune contropartite, per la chiusura di un accordo in tal senso, così come avvenne, a suo tempo, per l'accordo storico sul costo del lavoro. Invece, dopo che il Governo aveva indicato con fatica il modesto obiettivo del 2,5 per cento, la contrattazione politica in Parlamento ha messo in dubbio anche questo, imponendo, oltre alle giuste e da noi condivise correzioni sugli investimenti e l'occupazione, la salvaguardia del 3 per cento per i contratti. Il risultato è che il Governo e la maggioranza rischiano di fallire l'obiettivo principale della manovra, cioè la riduzione dell'inflazione.
Per di più, voglio sottolineare come questa scelta abbia provocato la reazione dura non solo della Confindustria ma soprattutto di quella parte del sindacato che era più attenta alle esigenze della lotta contro l'inflazione. Mi riferisco alla CISL e perfino alla UIL, che si era esposta a difesa della manovra governativa e che è stata irresponsabilmente spiazzata a favore della posizione meno disponibile assunta dalla CGIL. Si sono così verificati danni gravi sul piano della politica finanziaria e di bilancio come su quello politico più generale, essendo ormai comune la convinzione che la posizione di rifondazione sia divenuta determinante sulle scelte fondamentali del Governo.
Questa svolta è vissuta come l'inizio di una posizione che tende ad abbandonare la scelta del rigore, che si farà sempre più tentare da spinte corporative o rivendicative. Voglio fare un esempio concreto finora passato sotto silenzio: la delibera del CIPE di soprassedere agli aumenti dei canoni degli alloggi popolari, già decisi da tanto tempo e non applicati dalle regioni, e la proposta governativa di ripianare i debiti degli IACP vendendo gli appartamenti; si continuano a mantenere canoni sociali irrisori, inferiori al costo stesso della manutenzione e perfino a tollerare che anch'essi non vengano pagati, come dimostra la larghissima morosità presente, ad esclusivo vantaggio di chi ha il privilegio dico «privilegio» di una casa pubblica; conseguentemente, si accetta tranquillamente che gli IACP da anni non investano praticamente più nulla nella costruzione di
Questo esempio introduce un'ultima considerazione, cioè il timore che non vi sia la capacità di conseguire in concreto gli obiettivi indicati nel DPEF. Mi riferisco, in particolare, alla previsione di contenere l'aumento della spesa corrente, al netto interessi, nei limiti dell'1 per cento per il 1997, operando una riduzione sul disavanzo tendenziale di ben 21 mila 200 miliardi.
Nel rispetto dell'invarianza fiscale, che condividiamo (e che anzi consideriamo un impegno solenne ed imprescindibile assunto con gli elettori), e di fronte al grave congelamento della già depressa spesa in conto capitale, il contenimento della spesa corrente è il vero banco di prova della maggioranza e del Governo. Il documento di programmazione economico-finanziaria, però, è ben povero di indicazioni su quali saranno gli strumenti concreti per rendere possibile tale riduzione, ed anche i provvedimenti annunciati come collegati al disegno di legge finanziaria, come quelli del ministro Bassanini sulla pubblica amministrazione, appaiono oneste e giuste ripuliture dell'esistente, ma nulla di più, risultando sostanzialmente ininfluenti sul contenimento della spesa.
Occorre invece ribadire che vi sono ancora ampie possibilità di seri risparmi e che, soprattutto, occorre porre mano a drastiche riforme strutturali nelle spese per i servizi sociali, in cui gli sprechi strutturali...
È necessario avere il coraggio di affrontare drasticamente il nodo del ripensamento dello Stato, ponendo mano ad un profondo disegno riformatore delle strutture pubbliche del paese, spezzando l'atavica rassegnazione nei confronti del cattivo funzionamento del settore pubblico. Il dibattito di oggi sul documento di programmazione economico-finanziaria e quello di domani sulle tematiche istituzionali e costituzionali, pertanto, non sono separabili e devono essere considerati come strettamente collegati ed interdipendenti.
Le preoccupazioni sul fronte economico sono aggravate da quelle, non minori, relative al dibattito istituzionale, anch'esso già condizionato negativamente dalle posizioni più conservatrici della maggioranza. Vogliamo però mantenere la fiducia, perché siamo ancora in una fase preliminare e «aperta» e perché siamo convinti sostenitori di questa maggioranza e di questo Governo. Quest'ultimo ha la possibilità di un forte rilancio, con la Conferenza sull'occupazione che si terrà a settembre e con l'elaborazione del disegno di legge finanziaria per il 1997 e dei provvedimenti ad esso collegati, e siamo fiduciosi che saprà coglierla.
L'obiettivo intermedio, e considerato prioritario per raggiungere tale risultato nel lungo periodo, è identificato con la stabilità monetaria ed il contenimento dell'inflazione. Lo strumento strategico
Noi dubitiamo, in particolare, della capacità del Governo di contenere la crescita della spesa corrente, al netto degli interessi, nel limite dell'1 per cento in termini monetari, posto che alle più grosse voci di spesa pensioni e pubblico impiego sarà garantito, quanto meno, il recupero dell'inflazione. Dubitiamo, altresì, della promessa di mantenere invariata la pressione tributaria, circostanza che perde di significato qualora si consideri che le tariffe aumenteranno, ponendo a carico degli utenti costi altrimenti ricondotti alla fiscalità generale.
Il Governo prevede infatti di aumentare il contributo dei cittadini al finanziamento dei costi di produzione dei servizi e degli investimenti (si leggano al riguardo le pagine 46, 49, 93 e 94 del DPEF). Ma, in termini più generali, la credibilità dell'intera programmazione viene a cadere quando il Governo disconosce lo strumento strategico che ha appena adottato e cioè la politica dei redditi. «La politica dei redditi va intesa come politica di tutti i redditi», è quanto ci insegna il Governo a pagina 87 del documento di programmazione! Dopo tale affermazione, però, il Governo accerta che alcuni redditi possano sfuggire alla regola e ciò si badi bene senza che il proprio modello econometrico produca diversi effetti quantitativi in termini di fabbisogno. Ecco confermato, con sigillo governativo, lo slogan sindacale ormai caduto in disuso, quello del salario quale variabile indipendente!
Più in generale, ciò che ci lascia perplessi è l'humus culturale, l'approccio metodologico che ha partorito anche questo DPEF.
Alcuni aspetti della contabilità pubblica italiana apparirebbero incredibili se non fossero documentati dal disastrato stato della finanza statale. Mi riferisco, in particolare, alle spese sotto la linea, che vanno direttamente a debito senza passare dal fabbisogno, così da rendere i saldi dei conti pubblici indicatori inadeguati delle esigenze finanziarie da coprire (per usare le parole della Corte dei conti), la quale, tra l'altro, per bocca del suo presidente, non ha esitato a giudicare incostituzionale tale pratica, senza per altro suscitare la benché minima reazione.
Mi riferisco altresì all'esclusiva attenzione per il bilancio di cassa, che porta ad ignorare il progressivo deterioramento delle grandezze dei saldi di competenza. I rinvii di spesa, di cui abbiamo avuto recente dimostrazione con la manovra di giugno, con l'anomalo incremento dei residui passivi del 1995, il ricorso agli scarti di emissione ed agli aggiustamenti contabili potrebbero uso ancora le parole della Corte dei conti nascondere o allontanare temporaneamente un potenziale di impegni di spesa e di debiti fortemente destabilizzante.
Per finire, mi riferisco all'utilizzo dell'aggregato statistico del settore statale anziché di quello della pubblica amministrazione, quale grandezza di riferimento. Il DPEF, a partire da pagina 36, pur ammettendo che i criteri di Maastricht saranno misurati sulla base del conto della pubblica amministrazione, si concentra esclusivamente sui saldi del settore statale. Quindi, non solo stiamo discutendo di
Segnaliamo poi l'assoluta mancanza di enfasi su una grandezza macroeconomica che giudichiamo fondamentale: il risparmio pubblico, ovvero la differenza tra entrate correnti ed uscite correnti, che deve tendere a zero, poiché, secondo la nostra filosofia, l'indebitamento deve essere ammesso solo per finanziare gli investimenti.
Tutto ciò è mortificante, come è mortificante apprendere che l'Italia e la Grecia sono gli unici due paesi a presentare un documento programmatico che non rispetta i parametri di Maastricht. Allora, se permettete, noi aspiriamo a quello che il professor Monti ha definito il modello tedesco: stabilità monetaria, una banca centrale indipendente, votata a quell'obiettivo, mercati di concorrenza, disciplina di bilancio.
È questo che ci fa sentire sempre più europei, è questo che ci fa sentire sempre più padani (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)!
Su questo documento abbiamo posto subito, appena è stato portato a nostra conoscenza, alcune questioni di fondo: il riferimento di inflazione programmatica da considerarsi per il rinnovo dei contratti di lavoro ancora aperti; il recupero del potere di acquisto di salari e stipendi, che fosse perduto a motivo dell'inflazione reale più elevata di quella programmata; la necessità di prevedere iniziative specifiche e di destinare le risorse adeguate per combattere quello che riteniamo il male più grave del nostro paese, la disoccupazione; infine, il rapporto tra le maggiori entrate e le minori spese nel totale della manovra.
Il segretario del nostro partito nella sua dichiarazione di voto illustrerà le considerazioni politiche generali alle quali siamo giunti dopo il confronto nell'ambito della maggioranza, avvenuto in relazione alla manifestazione delle nostre posizioni.
A me spetta il compito più modesto di svolgere alcune considerazioni di carattere tecnico. Lo farò, rilevando innanzitutto che del centinaio di pagine delle quali è formato il documento oltre la metà sono destinate all'illustrazione della manovra monetaria. È un documento, quindi, di stampo e natura monetarista.
La manovra monetaria è largamente dominata dall'intento di creare le condizioni che ci consentano di entrare nell'unione monetaria europea secondo il Trattato del 7 febbraio 1992. È nota la nostra posizione su quest'ultimo e, soprattutto, sui famosi criteri di convergenza, che stabiliscono quali paesi del nostro continente siano degni e quali indegni di essere considerati europei. Vale la pena di ricordarli, perché spesso ne parliamo senza conoscerli compiutamente. Sono cinque, e due hanno la stessa natura, cosiddetta fiscale: il rapporto disavanzo pubblico-prodotto interno lordo, che non deve essere superiore al 3 per cento (questo è il più noto) ed il rapporto debito pubblico-prodotto interno lordo, che non deve essere superiore al 60 per cento (e anche questo è noto). Ma ve ne sono altri tre, che sono meno conosciuti: il tasso di inflazione non superiore all'1,5 per cento del tasso medio dei tre paesi ad inflazione più bassa; il tasso degli interessi a lungo termine, che non deve essere superiore del 2 per cento al tasso medio dei tre paesi ad inflazione
A nostro parere, questi criteri non hanno, innanzitutto, alcuna base scientifica. È noto che la loro scelta fu dovuta al fatto che sembrava essi rappresentassero il comportamento medio approssimativo degli Stati membri della Comunità intorno agli anni novanta. In secondo luogo, essi possono essere interpretati in modo assai diverso, tra un rigore che li farebbe considerare non realistici ed un'ambiguità che li farebbe divenire de facto non operativi.
Perché riteniamo che l'interpretazione possa essere così diversa? Perché l'articolo 104, lettera c), del Trattato prevede un'interpretazione non rigida quando, per quanto riguarda il rapporto disavanzo-prodotto interno lordo, stabilisce che il vincolo del 3 per cento possa essere mitigato o da una diminuzione significativa e continua o se la violazione sia eccezionale e provvisoria.
Per quanto riguarda il rapporto debito-prodotto interno lordo, il vincolo del 60 per cento può essere superato se il rapporto stesso si riduce in misura sufficiente e ad un ritmo adeguato.
Come vede, signor Presidente, si tratta di criteri assai vaghi. Se la loro interpretazione fosse rigorosa, un solo paese europeo avrebbe oggi, nel luglio 1996, le caratteristiche necessarie per essere ammesso nell'unione monetaria: il Lussemburgo. E questa considerazione rende per lo meno discutibile tale parte del Trattato; è probabile che nei due anni che ci separano dal 1^ luglio 1998 che è la data importante per la Comunità il numero degli Stati in grado di rispettare i criteri di convergenza continuerà a costituire una minoranza dei paesi della Comunità. Allora cosa succederebbe?
Domando al Governo, che purtroppo è poco rappresentato, se valga la pena di ridurre in maniera drastica la domanda aggregata, mettere in pericolo uno sviluppo che in presenza di una diminuzione delle esportazioni dovrebbe essere affidato soprattutto alla domanda interna, non poter affrontare radicalmente il male più grave, la disoccupazione, in sostanza alimentare una vera e propria recessione per presentare alla Comunità un vestito elegante che coprirebbe in realtà un corpo malato. Inoltre, un'interpretazione rigorosa dei criteri di convergenza genererebbe un grave rischio di frattura nell'unione europea sia sul piano economico, perché tra i paesi esclusi e quelli ammessi si creerebbero tassi di cambio volatili e distorsioni nei flussi commerciali, sia sul piano politico, perché questa divisione potrebbe allontanare nel tempo il disegno, questo sì, storico dell'unità europea.
Noi sappiamo tutti (e lo sanno tutti gli economisti) che l'interpretazione rigorosa dei criteri di convergenza ha una ragione squisitamente politica: essa è voluta dalla Germania per poter convincere i cittadini tedeschi che l'abbandono del marco è un fatto semplicemente nominalistico, ma che sarà sempre la Bundesbank, a dominare la politica monetaria europea. D'altra parte, a noi sembra che la istituenda Banca centrale europea sia modellata ad immagine della Bundesbank e se pensiamo che secondo l'articolo 107 del Trattato i paesi che saranno ammessi all'unione monetaria dovranno avviare il processo che porta all'indipendenza delle rispettive banche centrali dal potere politico, alla totale indipendenza, come è stato detto da un collega, non è azzardato prevedere che ci troveremo di fronte ad un potere monetario che non dovrà rispondere in alcun modo al potere reale, cioè dei popoli che lo compongono.
Queste sono le domande che una parte del documento solleva. Veniamo alla seconda parte dello stesso, quella nella quale si illustrano gli indirizzi di politica economica reale. Anche su questo vorrei richiamare l'attenzione del Governo perché essa ci sembra più il frutto di un assemblaggio delle schede inviate da alcuni ministeri alla Presidenza del Consiglio che l'illustrazione omogenea di un indirizzo generale. Parlo di alcuni ministeri perché non tutti hanno partecipato a questo lavoro: qualche ministro lo ha fatto in ritardo, costringendo la Presidenza del Consiglio a stampare
Siamo giunti a queste considerazioni anche leggendo, a pagina 47 del documento, che la politica di intervento sulla spesa si deve qualificare nel senso di riorientare le attività pubbliche sulle priorità strategiche dello Stato. Siamo totalmente d'accordo su questa impostazione, ma vorremmo sapere quali siano secondo il Governo queste priorità. Vorremmo altresì tentare di individuarne qualcuna, la cui assenza dal documento non può che destare meraviglia: in primo luogo, la politica dell'ambiente, nascosta nel documento sotto la voce burocratica di «difesa suolo» cito testualmente nell'ambito del Ministero dei lavori pubblici, mentre si tratta, come è noto, di un modo di essere che deve permeare di sé ogni attività economica; in secondo luogo, la politica dei beni culturali i quali costituiscono la più grande ricchezza del paese, il petrolio italiano, come dicono gli inglesi. Possibile che il Governo non abbia idee da comunicarci su come e quanto intende investire per salvaguardare, mantenere ed utilizzare un patrimonio nel quale si concentra oltre un terzo, secondo l'UNESCO, dei beni culturali di tutto il mondo? Anche la politica del turismo è assente dal documento, eppure essa ha complessivamente un fatturato superiore a quello di qualsiasi altro insieme di imprese ed è la fonte preziosa della maggior quantità di introiti annuali di valuta pregiata.
In conclusione, a noi sembra che le carenze più evidenti riguardino i problemi reali, intendendosi con questo le questioni non di natura monetaria, delle quali invece è permeato l'intero documento.
Vorremmo fare qualche esempio, sempre nell'intento di dare un apporto costruttivo. A nostro parere, la situazione dell'economia nelle aree del paese è contrassegnata dai seguenti dati: siamo di fronte ad un'anomalia strutturale dello sviluppo causata dalle scelte, fatte nell'immediato dopoguerra e confermate successivamente, di un modello di sviluppo economico di tipo export, tutto finalizzato all'esportazione, basato essenzialmente sull'industria dei beni di consumo finali e, dall'altra, sul sostanziale fallimento delle frontiere dell'innovazione, dello sviluppo delle tecnologie avanzate.
In secondo luogo, la gravità del vincolo estero impaccia il nostro sviluppo. Questo fenomeno è strettamente legato alla debolezza del modello di specializzazione produttiva con un squilibrio eccessivo e progressivo verso i settori tradizionali. In terzo luogo, la politica di breve periodo si basa fondamentalmente sulla competitività di prezzo, limitandosi ad alternare moderazione salariale e manovre del tasso di cambio. Manca infine, ed è sempre mancata, una capacità di sintesi strategica.
In questo quadro, abbiamo alcune proposte da avanzare: una revisione della legislazione degli strumenti di trasferimento finanziari delle imprese, in particolare della legislazione a favore dell'innovazione tecnologica e una chiamata in causa delle strutture pubbliche e private di ricerca e di sviluppo. Abbiamo notato con soddisfazione che la parte del documento elaborata dal ministro Berlinguer ne parla, sia pure brevemente. Ancora: un avvio di grandi progetti pubblici di sviluppo, alcuni dei quali fortemente basati sul Mezzogiorno; una politica di attrazione degli investimenti diretti italiani e stranieri; il decentramento regionale dei poteri in materia di politiche per la piccola e media
Il Governo deve porsi quindi i problemi di un radicale cambiamento della politica industriale, un'operazione in controtendenza difficile e a rischio, ma di cui vanno prima di tutto discusse le motivazioni, le necessità ed i problemi che ne spiegano e rendono urgente l'attuazione. Sarebbe già questo un risultato sufficiente per il paese.
D'altra parte, non si può dire che non ci sia stata in Italia in questi anni e in quelli del dopoguerra una politica per l'industria. Ne elenco alcune parti: la fiscalizzazione degli oneri sociali, la cassa integrazione guadagni, l'eliminazione di ogni vincolo all'organizzazione della produzione, il finanziamento dell'innovazione e della ricerca, le facilitazioni fiscali e le fusioni, la stessa svalutazione della lira (in cinque anni la lira ha perduto la metà del suo valore, e questo spiega in parte i successi del nostro export). Si è trattato di interventi di grande portata e sarebbe interessante, signor Presidente, conoscere l'onere che complessivamente, sommati tutti i capitoli di spesa dei vari ministeri, è gravato sulla collettività nazionale.
È uno studio questo che molti hanno tentato di fare ma che finora nessuno è mai riuscito a completare: si tratta di dati, a quanto pare, segreti. Sarebbe opportuno che il Governo facesse questo studio e tentasse questa impresa ed inviasse i risultati al nuovo presidente della Confindustria, un certo signor Fossa, se non sbaglio, il quale si è permesso di dire che, a fronte di un piccolo sgarbo ricevuto dal Governo, gli industriali italiani sarebbero andati all'estero. È una frase questa che non avrebbe mai dovuto essere pronunciata, che non avrebbe mai pronunciato non dico Adriano Olivetti, il quale si sarebbe vergognato solo a pensarla, ma nemmeno quei grandi imprenditori con i quali la classe lavoratrice ebbe scontri durissimi, ma sempre improntati al rispetto reciproco e dominati dall'obiettivo delle loro imprese (i Valletta, i Pirelli, i Donegani).
Ritiene, il Governo, che il paese debba avere in alcuni campi dei complessi industriali di portata tale da poter competere con i complessi che in misura crescente vanno concentrandosi in Europa e nel mondo? Questa è una linea di politica industriale e fu questa stessa linea che fece sì che i Governi succedutisi prima di quello attuale consentissero che si concentrasse attorno al gruppo FIAT tutto quanto esisteva in Italia in materia di industria meccanica ed automobilistica. È questa, secondo il Governo, una politica da seguire in altri campi? Ritengo che il Parlamento lo debba sapere.
Mi riferisco, ad esempio, a quanto sta avvenendo nel mondo delle comunicazioni: è più utile al paese che le varie aziende italiane che vi operano, alcune delle quali di notevole peso, si alleino singolarmente con gruppi di altri paesi o che si crei una grande galassia italiana multimediale, con al centro un nucleo di aziende pubbliche e private che abbiano un progetto unitario? Questi sono i grandi problemi di politica industriale del paese.
Ma anche nella politica commerciale, sia interna che esterna, il documento ci sembra carente. La distribuzione interna in particolare presenta situazioni difficili, crisi strutturali al limite della rottura. Le due associazioni di categoria ci hanno dato proprio in questi giorni un quadro preoccupante della situazione: una di esse chiede al Parlamento che disponga l'interruzione per tre anni della concessione di licenze per ipermercati e supermercati. Qual è il pensiero del Governo in questa difficile materia?
Ci sono infine alcuni punti specifici sui quali è necessario fare alcune osservazioni. Nelle diverse pagine che compongono il capitolo dedicato alle strategie per il fisco non appare, se non di sfuggita, l'espressione «lotta all'evasione». È una dimenticanza da correggere credo che nella stesura finale si provvederà in tal senso in un paese nel quale questa è una delle maggiori piaghe.
D'altra parte, questa materia era stata oggetto di una riflessione ampia ed interessante del ministro delle finanze, fatta alla Camera dei deputati l'11 giugno scorso. Aveva detto allora il ministro delle finanze: «Per quanto riguarda i redditi di capitale una riforma appare urgente. Un'apposita delega proporrà una forma di tassazione ad opera dei gestori e degli intermediari operata sul risultato annuo di gestione, con opportuni incentivi per le forme di risparmio gestito. In tal modo si unificherebbero le diverse tipologie impositive oggi esistenti, con rilevanti benefici in termini di neutralità, e soprattutto si porterebbero a tassazione tutti i proventi che oggi sfuggono ad ogni imposizione (i prodotti derivati, eccetera)». Si riferiva ai famosi futures.
Ci auguriamo che il ministro delle finanze voglia continuare nella linea indicata nell'audizione e troverà su questo tutto il nostro apporto.
Devo concludere. Al termine di questa esposizione voglio dire che ho cercato di mettere in evidenza le parti del documento che non trovano il nostro consenso e le carenze che abbiamo riscontrato. L'ho fatto affinché fossero chiare le diverse impostazioni del nostro programma rispetto a quello dell'Ulivo. Ma queste diversità non hanno impedito e non impediranno al nostro gruppo di appoggiare lealmente il Governo, nell'ambito di quella maggioranza di cui facciamo parte.
Raccogliamo con soddisfazione l'invito che ci è stato rivolto da alcuni colleghi dell'Ulivo di discutere preventivamente linee generali e provvedimenti specifici; è quello che ci siamo sempre augurato, che abbiamo sempre proposto, e che soltanto recentemente è stato attuato.
Il Presidente del Consiglio non deve temere dal nostro gruppo alleanze sotterranee o giri di valzer con quanti si propongono di succedergli (e sono molti). Al Presidente del Consiglio e al Governo nel suo complesso diremo sempre le nostre intenzioni alla luce del sole, pubblicamente, come abbiamo fatto la settimana scorsa e come stiamo facendo oggi (Applausi dei deputati dei gruppi di rifondazione comunista-progressisti e della sinistra democratica-l'Ulivo).
Non mi soffermerò sui predetti parametri e sul loro balletto, perché su di essi si sono già soffermati i colleghi Rasi e Marzano.
Nel contesto di queste incognite sull'evoluzione del PIL e delle altre grandezze macroeconomiche si inserisce pertanto anche la non congruenza delle stesse dimensioni e della qualità delle manovre di finanza pubblica previste per lo scorcio del 1996 e per il triennio successivo.
Infatti, dal lato delle entrate tributarie, vi è anzitutto e da tempo una forte carenza di incassi in termini di riscossione delle imposte, non solo di quelle successorie, ma anche di quelle dirette e persino di quelle regolarmente dichiarate e accertate (quindi non evase).
Secondo dati dell'Ispettorato centrale delle entrate del Ministero delle finanze, nel 1995 peraltro per il 1996 non muta la tendenza -, le complessive iscrizioni a ruolo di tributi erariali, comunali, consorziali
Sui primi l'effettivo incasso è stato pari a 9.951 miliardi, pari al 63,4 per cento, ai quali vanno aggiunti 5.746 miliardi non incassati dai concessionari, ma anticipati agli enti impositori, non recando così danno alle loro tesorerie. Ma, riflettendo su come i concessionari (che sono poi istituti creditizi) possono traslare tali oneri di anticipo e di mancate riscossioni sulle loro altre attività creditizie, si può facilmente arguire come su tali attività possa gravare un maggiore costo del denaro preso a prestito dai prenditori, specie se collocati nel Mezzogiorno ove i maggiori tassi attivi sono la norma.
Sui secondi, cioè sull'altra metà per la quale non c'è l'anticipo da parte dei concessionari agli enti impositori, l'effettivo incasso è stato risibile: il 3,3 per cento pari a 497 miliardi. In questo caso, non essendovi per i concessionari, come si è detto, un obbligo di anticipazione a favore degli enti impositori, ben 14.574 miliardi sono risultati una vera e propria perdita di gettito per gli enti pubblici impositori, pari al 47,4 per cento del totale dei citati 30.768 miliardi messi a ruolo nel 1995.
Ciò diventa un grave problema di tesoreria per gli enti pubblici che non incassano tali importi. In pratica, si tratta quasi di una cifra pari all'importo della manovra finanziaria varata nel giugno scorso con il decreto-legge 20 giugno 1996, n.323.
Tutte queste disfunzioni nella riscossione dei tributi messi a ruolo avvengono notoriamente a seguito della morosità e della non reperibilità dei contribuenti, peraltro spesso vessati da una fiscalità eccessiva anche se titolari di attività produttive condotte alla luce del sole, nonché per il mancato impegno degli stessi concessionari (in parte non obbligati all'anticipo a favore dell'ente pubblico impositore) o della Guardia di finanza, a sua volta oberata da altri pesanti impegni di istituto (come, per esempio, l'inseguimento e il controllo delle bolle di accompagnamento delle merci viaggianti, delle quali solo da poco e solo in parte si è decisa l'abolizione).
Alla luce di questi dati sulle mancate riscossioni, si può ben comprendere, allora, perché non abbiano grande credibilità risanatrice della finanza pubblica le programmate successive manovre di inasprimento fiscale (come appunto quella varata a giugno), quando nella realtà non si riesce nemmeno ad incassare parte dei tributi accertati e messi a ruolo dallo Stato, dagli enti locali e da altri enti pubblici impositori. Gli effetti negativi di tale prassi sono evidenti, dal momento che il continuo e ricorrente aggravio fiscale si riverbera fatalmente in termini di maggiore incentivo e propensione all'evasione e, per chi è effettivamente inciso e non evade, in termini di riduzione netta delle risorse per la propria attività produttiva. E ciò, mentre i mancati incassi per gli enti pubblici impositori ne aggravano ovviamente i già pesanti problemi di tesoreria.
D'altra parte, dal lato della spesa pubblica come dimostra la stessa periodica successione delle manovre finanziarie di aggiustamento gli sforamenti delle previsioni a livello di cassa sono sistematici e ricorrenti. Ciò avviene (un esempio fu la ritardata trimestrale di cassa di fine marzo scorso, aggravata poi dalle risultanze di cassa di aprile) anzitutto per lo scoordinamento che esiste tra ragioneria generale e gestione della tesoreria statale. Tale fenomeno deriva dalle continue discrasie tra competenza e cassa e tra competenza e residui, anche all'interno di uno stesso esercizio finanziario.
In secondo luogo, il predetto fenomeno si verifica come dimostrato dal rendiconto generale dello Stato del 1995 anche per il sistematico ripescaggio dei residui di spesa in deroga alle leggi di contabilità dello Stato (gli esempi sono contenuti
Delle leggi di contabilità dello Stato, varate in precedenti legislature, nel 1978 e nel 1988, da tempo si invoca una revisione strutturale sempre rinviata, nonostante le tante commissioni di studio a ciò preposte.
Tutto ciò dimostra come l'Italia voglia entrare nell'Europa di Maastricht restando l'unico paese dell'Unione a possedere due bilanci: quello di competenza, o delle autorizzazioni giuridiche, e quello di cassa, il solo ad avere un effettivo significato economico-finanziario. Il primo è, com'é noto, soltanto fonte di procedure farraginose e defatiganti, come sono quelle che scandiscono l'attuale sessione parlamentare di bilancio e le sue premesse formali, tra le quali il documento di programmazione economico-finanziaria che stiamo discutendo. Tali procedure sono utili, in definitiva, solo per conservare gli arcana imperii a tutti i livelli del settore pubblico allargato. Ciò ovviamente con danno per la trasparenza dei conti pubblici e dello stesso controllo esercitato su di essi dal Parlamento.
Oltre a quanto detto finora, il documento di programmazione economico-finanziaria ripone notoriamente molte speranze su una prossima riduzione dei tassi di interesse, cui sarebbe legata la diminuzione del costo del servizio del debito pubblico e, quindi, della spesa corrente da esso alimentata.
La Banca d'Italia, arbitro del tasso ufficiale di sconto, non vede per ora dietro l'angolo tale riduzione, nonostante i molti inviti rivolti ad essa da parte del Governo Prodi. La ragione di tale prudenza è evidente: la manovra varata nel giugno scorso non ha, infatti, carattere veramente strutturale dal lato dei tagli di spesa, che sono soltanto slittamenti dei flussi di cassa; mentre dal lato delle entrate fiscali oltre ad incidere fra l'altro sui bilanci delle banche ed a peggiorare la qualità di impiego della loro raccolta, con possibili conseguenze negative sui tassi e sulla stessa dimensione del gettito fiscale la manovra predetta potrebbe anche avere effetti molto diversi da quelli attesi.
La recente iniziativa di rifondazione e della CGIL, in tema di recupero del potere d'acquisto dei salari e di stipula dei contratti collettivi in rinnovo nel 1997, con aumenti reali dello 0,5 per cento superiori all'inflazione programmata dal Governo, potrebbe d'altra parte rendere impossibile il raggiungimento del traguardo atteso di crescita media dei prezzi nel prossimo anno e scatenare, persino, un cattivo effetto di annuncio sulla residua parte del 1996, come le recenti vicende della lira e della Borsa dimostrano.
Infine, a mettere in dubbio la fondatezza del documento di programmazione economico-finanziaria, altre incertezze si addensano sul 1997; esse potrebbero derivare dalla manovra di 32.400 miliardi già preannunciata dal ministro del tesoro, senza considerare quella ventilata e poi smentita di 21-23 mila miliardi, che potrebbe seguire la prima, con gli imponenti effetti di deflazione sui consumi e di ulteriore caduta dell'occupazione, che tutti possono immaginare.
La manovra da 32.400 miliardi, già implicita nel documento di programmazione economico-finanziaria, prevede fra l'altro, secondo quanto anticipato dallo stesso ministro Visco, l'introduzione dell'IPAR, imposta sull'autonomia regionale, che dovrebbe sostituire congrui trasferimenti dello Stato alle regioni ed agli enti locali e che nascerebbe dalla soppressione e dall'accorpamento, a parità di gettito complessivo, di ben sei tributi per finanziare la spesa sanitaria, che notoriamente è da tempo fuori controllo ed i cui oneri pregressi non sono stati integralmente e precisamente calcolati. Vi è dunque il rischio che, una volta varata l'IPAR e scoperti tali buchi, le aliquote a carico dei contribuenti finirebbero per aumentare continuamente.
Tra i tributi da sopprimere ed accorpare nell'IPAR, oltre ai vari contributi sanitari ed alla tassa sulla salute, figurerebbe secondo quanto affermato nel rapporto finale della commissione Gallo, che ha proposto tale soluzione anche l'ICIAP, incassata dai comuni, da sostituire
È ovvio che, se tale spostamento di incidenza tributaria si verificasse, le reazioni delle categorie più colpite non si farebbero attendere ed il Polo, signor Presidente, non potrebbe ignorarle.
Da tutte queste considerazioni emerge, dunque, il mio personale giudizio negativo sul documento di programmazione economico-finanziaria e sulle manovre di finanza pubblica che ad esso fanno o faranno riferimento. L'Ulivo in campagna elettorale ed il Governo Prodi nelle sue dichiarazioni programmatiche hanno sempre motivato le loro promesse in materia di politica economica e finanziaria con l'impegno di portare l'Italia nell'Europa di Maastricht.
Il documento di programmazione economico-finanziaria 1997-1999 non solo non si prefigge palesemente di raggiungere tale traguardo, ma anzi indipendentemente dalle valutazioni critiche, sempre possibili, sulla bontà per l'Italia e per l'Europa di realizzare la moneta unica senza aver raggiungo un'effettiva convergenza delle economie reali tra tutti o tra alcuni degli Stati membri, in particolare nel campo del tasso di occupazione da tale traguardo il documento di programmazione economico-finanziaria ci allontana sostanzialmente, specie dopo gli aggiustamenti che le contraddizioni interne di questa maggioranza hanno costretto ad apportare ad esso (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).
Onorevole Bressa, mi corre l'obbligo di ricordarle che ha a disposizione cinque minuti.
Il 3 luglio, in sede di Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato, il presidente della Corte dei conti, Giuseppe Carbone, nel dichiarare l'urgenza di intervenire per correggere il sistema di contabilità creativa (così viene definita dal Fondo monetario internazionale il sistema italiano di finanza pubblica), esprimeva una valutazione pienamente positiva sull'inserimento come parte integrante nel documento
Ma perché questo processo riformatore proposto dal Governo si compia, occorre che non vi sia un sovraccarico decisionale sul principale provvedimento collegato relativo ai saldi, ma che vi siano più disegni di legge collegati, separati dal principale ed omogenei tra loro per materia. Solo così facendo la Camera potrà affrontare ed approvare in tempi certi materie rilevanti per gli interessi del paese.
Questo processo riformatore, questa importante novità che il Governo ha avviato con il suo documento di programmazione economico-finanziaria non ha nulla di clamoroso o di appariscente. Non è un fuoco di artificio che attira l'attenzione di folle plaudenti; ha però la forza della linearità e della concretezza, cose inusitate per il nostro paese ma che lo cambieranno profondamente (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo).
L'onorevole Nesi ha anticipato con magistrale efficacia gran parte delle osservazioni che io avrei ritenuto opportuno indicare all'Assemblea; per questo, mi limiterò a quelle che competono le mie inclinazioni e le mie attitudini, ricordando che tra i passaggi essenziali del suo intervento vi è quello in cui si dice che la carenza più grave di questo documento di programmazione economico-finanziaria riguarda i problemi reali ... Frase agghiacciante, alla quale, concordando in tutto e per tutto con quanto egli ha detto, non si capisce come possa conseguire poi un voto di approvazione a questo documento, se non sulla base di una inclinazione all'ipocrisia o al trasformismo, ovvero al godimento di una posizione alla quale egli con il suo gruppo è pervenuto, pur contraddicendo sostanzialmente il Governo sui problemi reali, ma temendo di allontanarsi dalla protezione dell'Ulivo.
Su questo suo ragionevole e giudizioso intervento, credo sia opportuno indicare, attraverso le sue parole, proprio la carenza di invenzione, di intuizione, la mediocrità, la banalità del documento presentato, pieno di luoghi comuni e di astrazioni del genere: ciò nella consapevolezza che la crescita culturale e civile del paese, le sfide connesse alla mondializzazione dell'economia e alla crescente dimensione del fenomeno della disoccupazione ... Sono invenzioni banali per dimenticare, in realtà, che manca in questo programma del Governo qualunque riferimento alla politica culturale, non «petrolio» ma civiltà sostanziale.
Così, abbiamo un monito, un modello ed un esempio nell'iniziativa privata in Italia, certo guardata con sospetto dai compagni di rifondazione comunista: l'esempio è palazzo Grassi, Agnelli; poteri forti dell'economia che determinano snobismo, soggezione e che riescono a fare in sei mesi ciò che lo Stato non fa in dieci anni! Non possiamo dimenticare che i simboli della nostra nazione, come la pinacoteca di Brera, sono largamente invisitabili; la galleria Borghese è chiusa da dieci anni e i restauri si protraggono per tempi illimitati! È possibile che palazzo Grassi sia restaurabile in sei mesi e la galleria Borghese sia ancora chiusa? È possibile che la mostra dei greci, straordinaria e visitatissima, modello per il ministro Veltroni (che qui, evidentemente, dimostra
È mai possibile che i musei del privato, Agnelli, assumano iniziative straordinarie che lo Stato non può assumere? Il modello ce lo abbiamo davanti! E allora perché il Governo non è in grado di indicare nulla che dia alla cultura quella centralità che è fondamentale per l'economia del nostro Stato, per l'occupazione, per qualunque futuro reale, un futuro di cui anche i problemi dell'ambiente sono simbolo e segnale?
Ebbene, su queste posizioni e proprio sulle indicazioni della politica dell'ambiente io credo di poter chiudere il mio intervento dicendo che per le medesime ragioni per le quali l'onorevole Nesi vota il documento di questo Governo io non lo voto (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Fatta eccezione per la spesa previdenziale, sulla quale è intervenuta efficacemente la recente riforma, l'incidenza percentuale sul PIL della spesa per sanità, sicurezza sociale e istruzione resta nel nostro paese, come è noto, al di sotto dei valori europei. Noi riteniamo che il processo di integrazione debba assumere tra i parametri di riferimento anche la qualità dei sistemi di sicurezza sociale. Pertanto consideriamo il progressivo allineamento del nostro paese ai valori europei un obiettivo irrinunciabile, anche se inevitabilmente condizionato, nella sua concreta attuazione, dagli esiti dell'azione di risanamento.
In questo quadro, in particolare in vista della manovra per il 1997, va a nostro avviso consolidata l'attuale dotazione di risorse per sanità e politiche sociali. Devono essere, in altre parole, evitati interventi che prefigurino tagli alle prestazioni. Aggiungo subito, affinché le mie affermazioni non sembrino pronunciate a difesa dell'esistente, che vanno contestualmente intensificati (come peraltro è indicato nel documento) i processi di riordino, di razionalizzazione e di innovazione. Tre considerazioni generali, a mio avviso, devono fare da cornice alle politiche di ridefinizione degli interventi di welfare.
La prima considerazione è che la crisi dello Stato sociale non è soltanto fiscale, da carenza di risorse, ma è anche crisi di efficacia, in relazione ai mutamenti intervenuti nella composizione della popolazione e nelle aspettative delle persone. La seconda considerazione è che le politiche di welfare sono il luogo di esercizio di fondamentali diritti di cittadinanza, ma devono essere sempre più apprezzate anche come investimento sociale, dotato di importanti ricadute non solo sulla qualità del vivere ma anche sullo sviluppo economico e dell'occupazione. La terza considerazione è che l'universalismo quale tratto distintivo dei sistemi di welfare, spesso tradito nelle sue concrete realizzazioni, va efficacemente ripensato. È necessario procedere alla definizione delle prestazioni destinate a mantenere un tratto tradizionalmente universalistico ed anche di quelle a condizioni di accesso diversificato, sviluppando il massimo impegno di contrasto dei meccanismi di esclusione.
In termini più ravvicinati, sul terreno delle azioni per accrescere la produttività della spesa sanitaria appare necessario procedere ad una forte accelerazione dei processi di regionalizzazione. Nella recente audizione del ministro Bindi abbiamo parlato di federalismo sanitario e
So bene che permangono su questo versante problemi, che sarà necessario procedere con gradualità, che bisogna prestare grande attenzione alla necessità di unire e a non introdurre elementi che possano accrescere le disparità tra sistemi regionali già oggi profondamente disomogenei. Pur tuttavia, è impossibile tacere che gli attuali sistemi di finanziamento della sanità producono essi stessi disparità e sono all'origine degli avanzi di gestione senza servizi di alcuni sistemi regionali e del riprodursi all'infinito dei deficit nei sistemi a più alto tasso di invecchiamento e a forte densità di servizi. Pertanto, andrà accelerato il processo di fiscalizzazione dei contributi sanitari con la consapevolezza, nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema, che deve essere conclusivamente affrontato l'annoso nodo dei deficit pregressi, anche attraverso meccanismi più impegnativi di compartecipazione delle regioni, e ciò per il 1994, ma anche per gli anni successivi.
Federalismo sanitario significa anche, ad evitare un possibile rischio di centralismo regionale, nuova valorizzazione del ruolo delle autonomie locali, precise modalità di partecipazione delle stesse al processo di programmazione e controllo dei risultati su scala locale, fermo restando che anche su questo versante poteri e responsabilità devono procedere in stretta correlazione. Per accrescere sensibilmente la produttività della spesa sanitaria è poi dirimente cambiare l'offerta dei servizi, spostare l'attenzione, oggi pressoché esclusiva, dalla cura per le acuzie alla prevenzione, alla medicina di base territoriale, alla riabilitazione. Su questo terreno è possibile coniugare insieme obiettivi più ricchi di salute e benessere con occasioni di autentico risparmio ed è questo il terreno sul quale deve dare buona prova di sé il processo di aziendalizzazione. Quest'ultima nel settore della sanità non costituisce un fine, così come appare improprio evocare per questo comparto dinamiche di mercato tradizionalmente intese. L'aziendalizzazione è uno strumento per ottimizzare le risorse e rendere a costi contenuti prestazioni di qualità più in sintonia con i bisogni dei cittadini. Pertanto i risultati aziendali per la sanità andranno concepiti e misurati, più di quanto non accada ora, sul terreno delle risultanze economico-finanziarie non meno che su quello degli obiettivi di salute.
Alla diversificazione dell'offerta di servizi per la salute può concorrere in modo significativo il rilancio della politica di investimenti. Completare gli investimenti ex articolo 20 della legge finanziaria per il 1988, dare attuazione alla seconda tranche degli stessi con i meccanismi introdotti, che premiano i progetti immediatamente cantierabili, può e deve costituire un importante volano di riordino del servizio sanitario con significativi esiti anche sul versante dell'occupazione.
Infine, nel documento di programmazione si individua come non più eludibile l'obiettivo del riordino delle prestazioni assistenziali. Come non convenire con un simile obiettivo! La legislazione attualmente in vigore risale a Crispi e all'anno 1890. Come deputati della sinistra democratica abbiamo di recente presentato un progetto-quadro di riforma che ridefinisce i livelli istituzionali di governo nel settore. È un progetto che declina le politiche sociali come politiche di percorso incardinate sulla centralità della persona, come politiche di mix tra servizi e prestazioni monetarie radicalmente ridisegnate. Il progetto delinea politiche sociali a più attori
L'auspicio che formuliamo è che il Parlamento possa finalmente legiferare in materia, essendo la legislazione di riforma di più ampio respiro una sua peculiare competenza. Molto dipenderà dagli impegni che tutti sapremo assumere a partire dalla consapevolezza che la piena operatività del Parlamento è responsabilità comune di maggioranza e opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo e di rinnovamento italiano).
Ma di quale risanamento e stabilità si parla? È veritiero e realistico quanto enuncia il Presidente nel suo documento finanziario? Io credo di no. Il rosario dei buoni propositi mi ha non poco sconcertato sia per le certezze indicate dal Presidente, sia per le promesse enunciate...
Continui pure, onorevole Nocera.
Signor Presidente, la politica dell'economia fino all'osso, di selliana memoria, se non oculata e chiaramente e decisamente finalizzata alla ripresa concreta della produttività, non può trovare, come infatti è nel documento, un risvolto pratico per i bisogni della gente, delle famiglie monoreddito, dei cassintegrati e, più ancora, dei disoccupati (categoria, quest'ultima, che diviene, giorno dopo giorno, sempre più numerosa e nella quale si alimenta sempre di più la sfiducia verso le istituzioni). I giovani, signor Presidente, non possono vivere più con lo spettro di un futuro che, guarda caso, non è più incerto ma che addirittura si presenta fortemente certo di un vuoto impressionante. E il documento, frutto di tante anime dell'attuale maggioranza, non va proprio nell'indirizzo del bisogno della gente. Anzi, tutt'altro: è un documento ricco di belle parole, di grosse cifre, ma tanto lontano dalla realtà vera ed estremamente delicata del nostro paese.
La brevità di tempo a disposizione non mi consente di svolgere in aula un'analisi approfondita della situazione italiana in
Si legge nel documento che «l'obiettivo, per il nostro paese, sarà quello di conciliare il riequilibrio dei conti pubblici con la ripresa della produttività». Certamente è questa la strada da seguire, ma in che modo e nel rispetto di quali tempi? Se si considera che tale obiettivo è stato inserito nel programma triennale 1997-1999 e che per l'aggiustamento dei conti pubblici il Governo indica tutta una serie immediata di provvedimenti, non si capisce e pertanto non si può giustificare come mai, poi, per la ripresa degli investimenti, per la ricerca dei più elevati livelli di produttività e per una maggiore flessibilità regolata sul mercato del lavoro non si specifichino chiaramente modi e, più ancora, tempi di attuazione.
Ad un Governo tecnico o pseudo tale Dini docet ha fatto seguito, sotto l'egida più chiara e marcata del centro-sinistra, l'attuale Governo, quasi con una neutrale politica di continuità. Tutto ciò, purtroppo, mentre appare chiaro che l'esecutivo del nostro paese ha ancora bisogno di studiare, per meglio approfondire gli aspetti ed indicare le soluzioni ai tanti, noti problemi che da tempo affliggono i nostri cittadini, quelli del nord, del centro e, più ancora, del meridione d'Italia.
Intanto, rimane certo che l'azione di riequilibrio dei conti pubblici, anche se parziale, sarà realizzata si legge nel documento con l'aumento del gettito tributario.
Signor Presidente, una politica economica e finanziaria che curi soltanto l'aspetto del riequilibrio dei conti pubblici, rinviando nel tempo la ripresa della produttività, appare quanto mai miope ed ingiusta verso la collettività nazionale. I cittadini sono stanchi di essere pressati senza ottenere alcunché in cambio. La disoccupazione galoppante, nonostante le tante, precedenti manovre di questi ultimi anni, ha creato nel tessuto nazionale un clima di sfiducia, di tensione, mentre è cresciuto ancora di più il bisogno.
In conclusione si tratta, signor Presidente, di un documento che ricalca quelli presentati dai precedenti Governi e che certamente non potrà portare ad alcun concreto risultato. È appunto questo il motivo della sfiducia di gran parte della classe politica nei confronti di tale documento, frutto, peraltro, di compromessi ed accomodamenti partitici che sanno del vecchio stampo dell'ancien régime (Applausi dei deputati del gruppo del CCD-CDU).
Confermo, innanzitutto, l'adesione del gruppo di rinnovamento italiano al documento, un'adesione, però, non del tutto acritica e tale da porre al Governo alcuni quesiti ed osservazioni puntuali nel merito.
Innanzitutto, va segnalato che nel documento è assente una visione d'assieme e coordinata del problema della mobilità. I programmi della viabilità, gli indirizzi strategici nel settore dei trasporti, gli impegni ulteriori nel settore ferroviario, dell'alta velocità e del trasporto locale dovrebbero trovare delle linee di sintesi per quanto riguarda la priorità dei finanziamenti e delle disponibilità di bilancio. A questo riguardo, il documento rileva che le carenze di investimenti nel settore nell'ultimo
Il quesito che voglio porre al Governo riguarda per essere concreti i dati riportati nella tabella 6, pubblicata a pagina 45 del documento. Sarebbe utile sapere dal Governo innanzitutto quale quota della spesa in conto capitale sia destinata al finanziamento dei progetti per i quali è previsto il concorso dell'Unione europea. È ancora più rilevante ricevere dal Governo una stima, per il triennio, del volume degli investimenti che si potrebbero attivare in regime di cofinanziamento, dato che non emerge né direttamente né indirettamente dal documento di programmazione economico-finanziaria. Anche una stima di larga massima della distribuzione tra i vari comparti della spesa in conto capitale aiuterebbe a capire se la politica della mobilità, dei lavori pubblici e dell'ambiente possa dispiegarsi su obiettivi plausibili e condivisibili.
Nel quinquennio 1994-1999 la dotazione di risorse comunitarie destinate all'Italia per il perseguimento di tutti gli obiettivi è di 18,5 miliardi di ECU, a cui si aggiungono 1,6 miliardi di ECU per il finanziamento di programmi di iniziativa comunitaria. Al cambio attuale, la quota destinata all'Italia ammonta a più di 38 mila miliardi di lire, gran parte dei quali riguarda gli investimenti nei settori indicati della mobilità, dei trasporti e così via. La mancanza di un bilancio dello Stato strutturato per obiettivi non consente una programmazione, egualmente per obiettivi, dei settori che sono maggiormente alimentati dalle risorse comunitarie. Ciò ha costituito, in passato, un serio ostacolo all'utilizzazione da parte dell'Italia di questa importantissima mole finanziaria che, al contrario, potrebbe e sottolineo il «potrebbe» dare una spallata allo sviluppo delle aree depresse ed offrire consistenza alla nuova politica per il Mezzogiorno, alla politica contro la disoccupazione. Se vi fosse la certezza dell'utilizzo di tutte le risorse rese disponibili dai finanziamenti comunitari, si potrebbe riscrivere, nella concretezza degli interventi, quel secondo rigo della tabella 6 dedicato alla spesa in conto capitale. È auspicabile, a tal fine, che le amministrazioni centrali e locali dello Stato diano assoluta priorità alla realizzazione dei progetti cofinanziati dall'Unione europea. Infatti, 40 mila miliardi circa rappresentano due manovre finanziarie al netto degli interessi e una massa di investimenti con efficacia moltiplicativa doppia: cioè, 80 mila miliardi di investimenti. Condizione indispensabile, però, è la sussistenza per il futuro di uno stretto legame tra programmazione per obiettivi e riforma della pubblica amministrazione, che nella sua attuale configurazione e strutturazione trova difficoltà a programmare ai diversi livelli e, ancor più, a progettare gli interventi da realizzare; questi ultimi dovranno trovare la copertura finanziaria necessaria negli stanziamenti statali, in quelli comunitari ed eventualmente nel cosiddetto project financing. Il coinvolgimento del settore privato per la realizzazione di un moderno sistema infrastrutturale si va dimostrando ogni giorno più decisivo. Il Consiglio dei ministri ha varato venerdì scorso un importante provvedimento in materia di realizzazione di opere pubbliche, senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione. Ciò pone le condizioni perché il capitale privato concorra efficacemente alla realizzazione di opere pubbliche, che non può essere sostenuta con le risorse di bilancio. L'iniziativa privata dovrà trovare però alcuni limiti, ovvero che la programmazione e la progettazione rimangano alla pubblica amministrazione e che vi sia il rispetto del principio della concorrenza, secondo le normative comunitarie in materia.
L'utilizzazione dei finanziamenti comunitari, il coinvolgimento del finanziamento privato avranno successo se andrà avanti la modernizzazione dello Stato, delle pubbliche amministrazioni, la semplificazione amministrativa, l'ampliamento in senso federale dell'autonomia degli enti territoriali, la delegificazione delle norme procedurali, salvaguardando la sostanza delle decisioni e dei controlli. Condizione base rimane tuttavia il completamento della
Espressa adesione va data a tre aspetti significativi contenuti nelle parti generali del documento. Il primo riguarda una politica ambientale che migliori le condizioni di vita nelle città e consenta a tutti i cittadini di disporre di risorse idriche adeguate, con particolare riferimento al sud; a ciò si aggiunga la necessità di produrre meno rifiuti e di ridurre l'inquinamento atmosferico da traffico. Il secondo riguarda la necessità di investimento in infrastrutture fisiche e di comunicazione per una migliore circolazione di persone, beni, servizi ed informazioni, come indicato nel libro bianco di Delors, nonché per la ricerca, lo sviluppo di tecnologie pulite, intendendosi con tali termini prodotti a basso impatto ambientale, con bassa produzione di emissioni inquinanti, di rifiuti e con scarti meno pericolosi e più facilmente recuperabili. Il terzo aspetto, considerato che lo sviluppo non può prescindere dalla tutela ambientale, è di contribuire, attraverso l'uso di incentivi e disincentivi fiscali, ad obiettivi di sostenibilità ambientale.
Le linee programmatiche del documento di programmazione sono complessivamente condivisibili; sembrano però opportune alcune considerazioni finali. Il tema delle nuove opportunità per l'occupazione non può prescindere dalle politiche per l'ambiente, la tutela del patrimonio artistico grande ricchezza dell'Italia! -, del territorio, della prevenzione e della difesa del suolo. Non va infatti dimenticato che, a seguito degli eventi alluvionali prodottisi dal novembre 1994 ad oggi, dal Piemonte alla Versilia, lo Stato ha impegnato ben oltre 12 mila miliardi in interventi di ripristino, risarcimento, ricostruzione. Questa importante mole finanziaria è effetto della mancata prevenzione che la legge n.183 sulla difesa del suolo non è riuscita ancora ad attuare perché priva di adeguate risorse e di snelle procedure. Il risparmio di alcune centinaia di miliardi all'anno può produrre effetti dirompenti sul bilancio dello Stato, oltre alle vittime, ai danni, alla devastazione di ampie zone. È per questo che tra le priorità della spesa pubblica vanno indicate le politiche per l'ambiente e per la difesa del suolo che, oltre a fornire garanzie di tutela, divengano parametro di uno sviluppo sostenibile. Ed è in questa ottica che il Governo dovrebbe infine dare indicazioni più precise in merito all'uso delle politiche fiscali, finalizzato ad uno sviluppo ecologicamente sostenibile (Applausi dei deputati del gruppo di rinnovamento italiano).
Si tratta di un minimo di recupero, come era già stato previsto con gli accordi del 1992 e del 1993. I lavoratori si opposero a questi provvedimenti e si oppose la sinistra tutta, compresa rifondazione comunista, che oggi pare averlo dimenticato.
Adesso si grida alla grande vittoria che porta, niente meno, ai salari dei lavoratori un aumento di 7 mila lire! Questo Governo ha una grossa responsabilità, quella di creare aspettative tra i lavoratori e la povera gente. In effetti tra i contenuti del documento di programmazione economico-finanziaria non notiamo alcun cambiamento, ed anzi rileviamo continuità con il passato, una pericolosa continuità: è il filo che ci ha legati in tutti questi anni ad
Oggi si insiste su tale strada e quel filo conduttore diventa la logica stessa del documento di programmazione economico-finanziaria. Si propongono il part time, il sottosalario, le gabbie salariali, il lavoro interinale, i contratti a termine: tutto questo non fa che indebolire ulteriormente la posizione dei lavoratori, addirittura rafforzando le sacche di lavoro nero anche per quei lavoratori che oggi hanno un minimo di tutela.
È una situazione che ci preoccupa moltissimo, che non ha mai creato e non creerà occupazione: lo sappiamo benissimo tutti! Aumenterà invece la giungla salariale, si cancelleranno tutti i diritti dei lavoratori!
Dove sono le novità di questo Governo? Perché non si parla di evasione fiscale? Perché non si fanno pagare le tasse a chi non le ha mai pagate? E la patrimoniale sulle grosse rendite? Non se ne parla più! Perché non si introducono vincoli sui finanziamenti pubblici volti a creare occupazione, verificando se essi vengono effettivamente utilizzati a tale scopo?
Nel documento di programmazione si parla nuovamente in maniera ostinata di privatizzazioni: questo è stato un suo capolavoro, onorevole Prodi! Al momento dell'insediamento del suo Governo, le ho rivolto alcune domande importanti che però sono rimaste tutte senza risposta. Oggi vi sono fatti nuovi: sui giornali di questa mattina sono riportati alcuni appunti...
È iscritto a parlare l'onorevole Frattini. Ne ha facoltà.
Onorevole Frattini, non l'avvertirò prima dello scadere del tempo a sua disposizione, perché ove potessi togliere la parola ad un consigliere di Stato, sarebbe per me una tale soddisfazione!
A tal fine si è preannunziata una richiesta di delega legislativa, specificando già ora che tali misure dovrebbero poter essere considerate come provvedimenti collegati alla manovra con la relativa corsia preferenziale in Parlamento e una forte restrizione della emendabilità.
Ritengo che l'impostazione proposta affronti il tema storico della riforma della pubblica amministrazione sotto un profilo limitativo e, mi permetto di dire, fuorviante. Lo snellimento della burocrazia, partendo dalla struttura e composizione dei ministeri, la rapidità delle procedure, l'esigenza di assicurare servizi efficienti ed efficaci con il principio della sussidiarietà, una vera riforma del pubblico impiego e della sua dirigenza che coniughi il merito con la responsabilità, l'importanza di una comunicazione pubblica che apra le porte dei palazzi del potere con assoluta trasparenza, ebbene, la ragione di tutti questi capisaldi della riforma non è di ordine finanziario: il motivo è la giusta pretesa di milioni di cittadini di ottenere servizi almeno decorosi a fronte delle imposte che versano e di non vedersi più oppressi da regole burocratiche offensive delle coscienze e spesso dei principi generali del diritto; è la rabbia di chi assiste agli scandali che dilagano in settori deviati della pubblica amministrazione ed agli sforzi vittoriosi degli apparati per coprire gli scandali e per continuare nella gestione quotidiana del potere.
È il servizio ai cittadini che impone anzitutto questa riforma, non tanto una ragione finanziaria che tutt'al più ne sarà uno degli effetti di lungo periodo. Le corsie preferenziali della manovra mal si conciliano con la caratteristica del disegno su cui il Parlamento può e deve sviluppare un dibattito ed esprimere una valutazione con assai maggiore ampiezza.
Lo schieramento dell'attuale maggioranza, quando costituiva l'opposizione al Governo Berlusconi, ottenne lo stralcio dal disegno di legge collegato alla finanziaria del provvedimento di riforma previdenziale, che pure riguardava un settore assai limitato rispetto al generale piano di riordino della pubblica amministrazione e certamente aveva un effetto sulla manovra molto più diretto e soprattutto quantificabile. Lo stesso schieramento delle sinistre, che pure sosteneva il Governo Dini, fortemente richiese ed ottenne lo stralcio dal disegno di legge collegato alla finanziaria 1996 di norme di delega per il riordino, l'accorpamento e la soppressione di ministeri, il riordino del bilancio dello Stato, la riforma della comunicazione pubblica, un forte decentramento, la rivalutazione e la responsabilizzazione della dirigenza.
Onorevoli colleghi, chi vi parla aveva proposto, come ministro del Governo Dini, di inserire quasi tutte e forse anche ulteriori tra le materie oggi indicate come oggetto di delega da collegare alla manovra nei provvedimenti collegati alla finanziaria e si è sentito dire dal Parlamento che una riforma ordinamentale della pubblica amministrazione non può essere ristretta nei tempi, limiti e procedure condizionati dall'urgenza di evitare l'esercizio provvisorio.
Il ministro Bassanini, nell'audizione del 4 luglio scorso illustrativa del piano di riordino, ha esplicitamente stigmatizzato, cito testualmente, «il rischio di affrontare la riforma con la vecchia logica che ha dominato per tanti anni e cioè una logica esclusiva di riduzione dei costi amministrativi, mentre il problema prevalente su quello finanziario è della qualità ed efficacia dei servizi che il sistema dà ai cittadini». Auspico che il senatore Bassanini sia ancora oggi convinto, come me, dell'esattezza di queste parole da lui pronunziate in Parlamento.
Ritengo senz'altro che il Parlamento debba impegnarsi a fondo per una delega legislativa volta alla riforma della pubblica amministrazione, che il paese non può aspettare, ma sono persuaso che la riforma si debba articolare in profili anche non direttamente o per nulla collegati alla manovra. Non a caso il documento di programmazione economico-finanziaria non è in grado di calcolare l'effetto finanziario di alcuna delle misure di riordino per le quali propone la delega. Ciò si spiega con
Vi sono poi aspetti essenziali da cui un risparmio in senso contabile certo non deriverà. Penso alle misure per contrastare l'illecito e la corruzione, per colpire i dipendenti pubblici corrotti e coinvolti in gravi scandali, penso alle misure per potenziare l'informatizzazione e la comunicazione con i cittadini, penso infine allo snellimento di moltissime procedure amministrative, intollerabilmente onerose anzitutto per i cittadini e non anche direttamente per la pubblica amministrazione che, anzi, è gelosa di ogni ritaglio di potere e ne scarica i costi sul privato.
Mi chiedo e vi chiedo, onorevoli colleghi: intendiamo non affrontare ed abbandonare questi profili che sono capisaldi di una seria riforma e che non sono oggettivamente stimabili in termini di risparmio? Io non sono affatto d'accordo. Non sarebbe meglio, in questa occasione storica, che tutte le forze politiche ricercassero una sede propria, unitaria, non vincolata dalle procedure dei collegati alla finanziaria per impostare una riforma complessiva? Noi proponiamo un sottocomitato permanente a ciò dedicato, nell'ambito della Commissione affari costituzionali, che in tempi certi e rapidi compia il lavoro di redazione di un testo unitario e completo del progetto di riforma, altrimenti il Parlamento decida, ma con il nostro voto contrario, di rinunciare (e con ciò si darebbe un brutto segnale al paese) ad un quadro di riordino e modernizzazione che veda il cittadino al centro del sistema e la pubblica amministrazione finalmente al suo servizio, indipendente dalle pur comprensibili aspettative di immediato risparmio per la finanza pubblica (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU Congratulazioni).
Questa prima distorsione, che rischia di consolidare nell'immaginario collettivo la vecchia idea dell'Europa dei mercati e dei mercanti, ne ha prodotta a sua volta un'altra, che la politica sia marginale in questo processo e che essa non sia più in grado di mediare gli interessi della società. Lo spessore culturale e l'autorevolezza istituzionale di alcuni interventi, incentrati soprattutto sui parametri di convergenza economico-finanziaria, ed il braccio di ferro che su tali questioni si è svolto hanno rischiato di far passare in secondo ordine quelle che ritengo siano le vere incompatibilità italiane con il processo di integrazione europea e con i traguardi che sono stati fissati di qui alle soglie del 2000. Tant'è che la forzatura del dibattito sui parametri meramente economici può apparire persino come una via di fuga dai problemi di politica istituzionale che dobbiamo affrontare per recuperare i ritardi fondamentali del nostro paese.
Ad onor del vero, alcuni di questi stessi autorevoli interlocutori nella Commissione bilancio si sono fatti carico di calare la discussione tecnica in un contesto politico più generale e già nelle audizioni ci sono stati aggiustamenti di tiro sui tempi di contenimento dell'inflazione e sul rientro del debito pubblico che hanno permesso di allargare il campo sulla prospettiva più generale. Soprattutto da parte del governatore della Banca d'Italia è venuta la conferma di una linea del passo giusto che
È questa la ragione per la quale Maastricht non è una sorta di esame di Stato gestito da altri Stati e, men che meno, da eurotecnici; quel posto e quella data segnano semplicemente il momento in cui queste condizioni si stabilizzano al livello più alto. Ma se questo è Maastricht nella sua valenza profonda, le ragioni di questo sforzo non sono dettate dalla necessità ma dalla virtù. Allora il problema che abbiamo qui e subito è quello di come muovere tutte le azioni del nostro paese verso questo obiettivo. Si comincia sempre più a cogliere qui il nesso inscindibile tra le riforme istituzionali e le capacità di governo del sistema economico. Non è un caso che entrambe queste esigenze siano contemporaneamente all'attenzione del Parlamento. È come se dal dibattito sul DPEF sia risultato chiaro che, al di là del rientro del debito pubblico, il problema centrale che abbiamo di fronte per stare a pieno titolo in Europa sia la riorganizzazione delle istituzioni e, al suo interno, la conseguente riforma della pubblica amministrazione.
La nuova linea deve coniugare i tagli con le riforme. Se vogliamo che alla progettualità privata si accompagni come premessa una rinnovata progettualità pubblica che nasca dall'interno della pubblica amministrazione, dobbiamo convincerci che è arrivato il momento di ottimizzare tutte le risorse esistenti al suo interno, abbandonando la politica dei tagli indiscriminati.
Riordino istituzionale significa anche capacità di rispettare quella costituzione materiale che affida alle parti sociali ruoli che non possono essere alterati dalla contingenza delle situazioni e dall'urgenza dei problemi. Vi è stato un momento nella vicenda del DPEF in cui lo schema di concertazione tra le parti sociali è sembrato in qualche misura forzato dall'esterno sulla base di esigenze politiche rispettabili e per qualche verso condivisibili, che non possono tuttavia essere ritenute in linea con le regole che ci siamo dati, regole indispensabili per accompagnare il cammino di quella pluralità di soggetti istituzionali e sociali che concorrono alle scelte in una società complessa. Il partito popolare ha fatto dell'accettazione delle regole la sua linea politica; da quando si è avviata una politica di risanamento, pur nelle difficoltà che hanno caratterizzato la sua trasformazione, non abbiamo mai perso di vista il ruolo di partito responsabile con riferimento sia al Governo sia alla governabilità.
La coalizione guidata dall'onorevole Prodi ha uno spirito e una dimensione completamente diversa dalle coalizioni che negli ultimi anni hanno governato il paese. La sua forza è affidata ad un progetto comune ed un tratto forte di questo progetto è l'autonomia del Governo nel cercare di realizzarlo. Le forze politiche della maggioranza devono partecipare a questa realizzazione soprattutto creando un clima di stabilità, della quale è fattore essenziale anche la capacità di confronto con le opposizioni.
Ma una politica di sviluppo che voglia affrontare il problema centrale, che in Europa è l'occupazione, deve farsi carico di un modello di sviluppo che implica una selezione dei consumi globali. Compito del nuovo Stato sociale è la ricerca delle varie opportunità delle fasce attive e l'incentivo a recuperare queste varie opportunità per le fasce deboli. Condizione essenziale è che lo Stato funzioni bene nell'uno e nell'altro caso.
Signor Presidente, il riassetto del sistema istituzionale e la conseguente riorganizzazione della pubblica amministrazione,
Il peso della sfida europea non è dunque tutto sulle spalle del Governo; è in gran parte e forse per quella più significativa ed incisiva per il futuro sulle spalle del Parlamento, perché se al Governo spetta in via prioritaria il compito di creare da subito le condizioni favorevoli per essere tra i paesi promotori dell'Europa unita, al Parlamento spetta il compito di creare le condizioni per restarci, camminare nel gruppo di testa e non limitarci ad inseguire gli altri.
Vi è quindi all'orizzonte una grande stagione politica; è grande perché la stabilità può garantire una forte capacità di Governo, può e deve garantire una grande capacità di iniziativa e di presenza del Parlamento. Chi ha a cuore la difesa del Parlamento e delle sue prerogative ha l'occasione storica di dimostrare che la forza del Governo e quella del Parlamento in democrazia possono e debbono coesistere, anzi coesistono solo se sono contestualmente presenti ed attive. Anche per questo la posizione del partito popolare è coerente nel sostegno al Governo Prodi.
Noi popolari vogliamo riforme che consolidino lo sviluppo della democrazia che contempla forti, in egual misura, Governo e Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo).
Questa situazione, questa continua mancanza di governo degli indici e della realtà e, ciò non di meno, la pretesa di ridurre il deficit pubblico e il collegamento tra deficit pubblico e prodotto interno lordo, rimandano ad un'ormai consolidata schizofrenia, per cui da un lato vi è la pretesa di seguire i dettami di una politica strettamente monetarista, dall'altro alto si pretende di dare risposte alle sollecitazioni sociali, di difesa dello Stato sociale, che magari provengono dall'estrema sinistra di questo Governo. Tale schizofrenia ha magari come unica possibilità di uscita la speranza che alla fine di questi processi intervenga, come una sorta di avvento messianico, la riduzione del tasso di sconto per permettere così un qualche miglioramento della situazione del disavanzo pubblico.
Altro aspetto che rileviamo all'interno del documento di programmazione economico-finanziaria è il carattere quasi esclusivamente contabile-finanziario, è la mancanza di politiche, di prese di posizione di carattere veramente innovativo dal punto di vista economico. In pratica, non si fa alcuno sforzo per andare verso una politica che riesca effettivamente ad aumentare la ricchezza reale del paese: non si individuano politiche di rilancio, non si individuano politiche che possano veramente portare il sistema di impresa italiano verso possibilità di ampliamento e di sviluppo.
A fronte di ciò, quindi, quello che viene dichiarato come secondo obiettivo per il rispetto delle norme del Trattato di Maastricht, ovvero la difesa dell'occupazione, appare totalmente disegnato nell'aria: sostanzialmente non vi è null'altro che un tentativo di enumerare una serie di buone intenzioni e rimandare tutto ad un altro evento messianico, che poi dovrebbe essere
Vorrei sottolineare anche altri aspetti. Per esempio, nel documento nulla o quasi si dice a proposito di quello che era stato un po' il fiore all'occhiello, il tentativo nuovo impostato dal Governo Berlusconi. Nulla si dice a proposito delle provvidenze previste dalla legge Tremonti per le imprese che reinvestono i propri utili in una politica di nuove assunzioni. Ebbene, questo tentativo è stato seppellito tra le pieghe e tra le righe del provvedimento collegato alla finanziaria, quando sostanzialmente le possibilità di aiuto sono state legate ai limiti di intensità di spese previste dalle leggi comunitarie, dimenticando di sottolineare come questi limiti siano estremamente ridotti e dimenticando di dire che sono limitati a dei settori che poco hanno a che fare con l'economia del nostro paese.
Oltre a ciò dobbiamo anche sottolineare che dal punto di vista dell'aumento delle entrate si ripropongono vecchie manovre di carattere puramente mistificatorio. Per esempio, quando si immagina di recuperare quasi 10 mila miliardi con manovre antielusive, si dimentica che queste hanno effetto a breve termine.
Quando viene realizzata una manovra antielusiva, sostanzialmente si producono mutamenti nei comportamenti fiscali dei cittadini; si tratta quindi di interventi che possono funzionare solo per pochi mesi, giacché poi il comportamento delle persone cambia. Dunque, è impossibile fare previsioni di rientro in base a misure antielusive.
A fronte di ciò, riteniamo che il Governo ed in generale il paese siano giunti ad un nodo non più risolvibile con semplici tentativi di carattere comunicativo e con coperture dell'informazione. Oggi siamo di fronte ad una scelta.
Premesso che tutte le forze politiche e sociali del paese devono riconoscere che l'Italia non è in grado di recepire l'imposizione di Maastricht, secondo i parametri attualmente individuati, e se si accetta quello che è stato il grande vanto, la caratterizzazione del Governo Prodi (appunto il rispetto di quei parametri e l'ingresso dell'Italia in Europa), avallando la definizione di «euroscetticismo» della posizione di alleanza nazionale, o si affronta il problema con tutta la forza politica del nostro paese pervenendo ad una rinegoziazione del Trattato, oppure bisogna ammettere che occorre adottare politiche di rigore e di intervento, che sono di tutt'altra natura rispetto a ciò che è contenuto nel documento in discussione.
Si può scegliere una strada o l'altra: si può, come noi preferiremmo, decidere per la rinegoziazione del Trattato, con un'attenzione alle realtà sociali del paese e nella consapevolezza che, forzando la situazione, si rischierebbe come ha affermato lo stesso Presidente del Consiglio Prodi di portare al traguardo un paese morto; oppure anche se ciò determina perplessità e può apparire più difficile ci si può muovere nella direzione indicata, ma avendo ben presenti tutte le eventualità. Non è invece assolutamente consentito rinviare una riflessione sulla situazione, continuando a mentire sulle cifre ed a delineare politiche sulla carta, facendo finta di niente rispetto a documenti di programmazione economico-finanziaria che sono sistematicamente falliti.
Si è fondata la nascita della seconda Repubblica sulla critica profonda del consociativismo partitocratico, rilevando che quest'ultimo comportava in medesimi Governi politiche profondamente divergenti. Ebbene, oggi constatiamo che il Governo Prodi ricade in tali errori in maniera più marcata dei Governi tecnici che lo hanno preceduto. Quindi notiamo un passo indietro rispetto all'evoluzione del paese.
Dinnanzi a tutto ciò temiamo che la medicina che verrà propinata dal centro-sinistra al paese porterà sempre più verso la depressione. Magari si guarderà ai problemi di una moneta forte senza però rendersi conto che la lira forte, se non è collegata ad un'economia forte, rischierà soltanto di determinare speculazioni legate ai grandi interventi della finanza internazionale e non alle necessità effettive del popolo italiano.
In considerazione di tali valutazioni, condanniamo non solo con un voto contrario, ma anche con un giudizio complessivamente negativo sull'attuale fase politica, il documento di programmazione economico-finanziaria.
Condanniamo il documento in discussione perché lo ripeto continua a commettere vecchi errori che non sono più accettabili. Né è ammissibile assistere al mercanteggiamento sulle cifre com'è avvenuto tra rifondazione comunista e l'Ulivo a proposito del tetto d'inflazione programmata e dei limiti contrattuali; non è accettabile perché qui non stiamo ragionando in termini di generici effetti programmatici, ma di cifre su cui si costruiscono poi le politiche di Governo.
A fronte di ciò possiamo dire, in conclusione, che a pochi mesi, a poche settimane dalla nascita di questo Governo, rileviamo delle incertezze profonde. Certo, può esserci obiettato che anche il Governo Berlusconi aveva delle incertezze, ma noi abbiamo l'orgoglio di dichiarare che magari quelle incertezze erano legate ad un nuovo che stentava a nascere ed a crescere. Noi invece accusiamo il Governo Prodi di avere delle incertezze consistenti nel continuare a ripetere, con risorse e fantasia sempre minori, gli errori del passato.
Ebbene, di fronte a queste incertezze, all'incapacità di dare una prospettiva chiara al paese e di evitare di mentire sulle cifre, credo che questo Parlamento debba dare dei segnali precisi. Abbiamo bisogno di un Governo che vada verso la nuova Repubblica che gli italiani si aspettano non soltanto con riforme istituzionali, che sono la premessa logica, ma anche con un grande progetto di rilancio del sistema paese. La realtà nazionale italiana ha bisogno di un progetto che ricollochi e ridefinisca il ruolo della nostra nazione rispetto all'estero, affinché vada in Europa non con un'economia morta e stanca, ma con una economia che sia in grado di sostenere un confronto ravvicinato con quelle degli altri paesi europei. Se questo non sarà fatto, Maastricht sarà per noi il passaggio verso l'effettiva depressione; Maastricht sarà per noi la scelta tra una totale subordinazione alle economie degli altri paesi europei, oppure quello che più volte è stato sottolineato come il rischio di uno slittamento verso il Terzo mondo. Per questo crediamo che sia veramente tempo di smettere di giocare con le cifre e di mentire ai cittadini italiani, di cessare di giocare ad una concertazione che finisce sempre per essere una sorta di compromesso sulla pelle dell'economia reale. Per queste ragioni il nostro voto sul documento di programmazione economico-finanziaria sarà negativo. Vorremmo infatti che la politica economica del nostro paese si facesse carico delle necessità realmente avvertite (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Stiamo perseguendo una convergenza che sarebbe più facile ottenere dentro un'unione monetaria che come processo di avvicinamento ad essa. In più, il cammino di risanamento ha avuto nel 1994 un ritorno all'indietro da cui sono nate tutte le dinamiche che sono alla base delle difficoltà del quadro specifico del paese, con cui stiamo facendo i conti oggi.
Al punto in cui siamo, tuttavia, non abbiamo altra scelta che arrivare in fondo al processo con regolarità e determinazione, imboccando una dirittura d'arrivo che, se non ci porterà a tagliare il traguardo nel 1999 (ma io spero che ciò possa verificarsi), ci consentirà di raggiungerlo uno o due anni dopo.
Mi sono sforzato di capire, attraverso gli interventi svolti dagli esponenti del Polo oggi in aula e ieri in Commissione (ho letto i resoconti di tutte le audizioni e le memorie), se esistano vie alternative a questo DPEF. Ricordo che è in discussione un quadro di flussi e di obiettivi che dovranno essere riempiti da provvedimenti specifici. Nessuno pensa che l'entità dell'intervento previsto sulla spesa e sulle entrate possa essere soddisfatto senza cambiare i meccanismi stessi di funzionamento del settore pubblico, senza un'ampia riorganizzazione dello Stato e dei criteri di intervento e senza una riorganizzazione dello stesso Stato sociale. Ma questo non è in discussione oggi. Ci confronteremo su questi aspetti quando sarà il momento. Oggi non è in discussione neanche il merito della manovra correttiva per il 1996.
Sforzandomi di capire le alternative, ne leggo due negli interventi dell'opposizione. La prima è l'adesione alla linea indicata dal professor Monti: arrivare subito, nel 1997, ad un deficit pari al 3 per cento del PIL. Questa alternativa ha trovato sostegno nelle dichiarazioni dell'onorevole Berlusconi, dell'onorevole Marzano in Commissione (qui in aula non ho capito bene se aderisse ancora ad essa); ne hanno parlato inoltre l'onorevole Delfino e l'onorevole Colletti. L'altra linea è quella espressa oggi dall'onorevole Rasi; la colgo anche in alcuni interventi che mi hanno preceduto, come quello del collega Nocera e dello stesso Alemanno. Questa alternativa l'abbiamo sentita anche in Commissione nella dichiarazione di voto contrario al DPEF dell'onorevole Viale del gruppo di forza Italia, sulla considerazione che il documento di programmazione economico-finanziaria segna una linea recessiva, non provvede ad una detassazione che tonifichi l'economia e rilanci l'esportazione attraverso la ridiscesa del cambio.
Si tratta di due linee divergenti, che si ritrovano talvolta nello stesso intervento, che andrebbero chiarite nei loro meriti, non tanto a fini polemici con l'opposizione (perché forse qualche dimostrazione di simpatia la raccolgono sia l'una che l'altra all'interno della maggioranza), ma per capire se veramente ci stia sfuggendo una qualche alternativa che è a portata di mano.
Linea espansionistica? Non potrebbe che venire per via fiscale, attraverso il mancato recupero delle una tantum, attraverso sgravi sulle imprese e sulle famiglie, attraverso l'accelerazione degli investimenti pubblici.
Certo, se seguissero consumi ed investimenti privati, si potrebbe sicuramente alzare di 0,3-0,4 punti percentuali la crescita del PIL nel 1997 e successivamente anche di qualche punto in più. Non sto pensando ad una linea che deroghi dal rientro, bensì ad un intervento che blocchi sui 120 miliardi il deficit pubblico.
Le simulazioni ci dicono che i tassi sui BOT in questo caso perché la Banca centrale non potrebbe che essere rigorosa
L'accrescimento della spesa degli interessi arriverebbe all'11 per cento del PIL e porterebbe comunque, sotto la pressione dei mercati, alle stesse manovre di oggi senza più alcun beneficio, che invece al momento attuale è possibile conseguire.
In ogni caso, tutte queste simulazioni ci dicono che alla fine avremo minor reddito, minore occupazione, un risanamento più difficoltoso, sempre che tutto possa essere tenuto sotto controllo e che non ci attenda un destino di tipo messicano.
Lo scenario alternativo richiede, all'opposto, che già da ora si avviino correzioni di bilancio pubblico per circa 60 mila miliardi. Anche questa alternativa ha le sue simulazioni. È giusto pensare che la correzione addizionale si ripaghi da sé per una parte attraverso una più rapida caduta dei tassi di interesse, per cui la stessa correzione potrebbe avvenire con una tantum. Ma in verità si ripaga non integralmente ma per metà, non immediatamente ma dopo uno o due anni. A fronte di ciò è indubbio che vi sarebbe un effetto deflazionistico che probabilmente sacrificherebbe l'1 per cento di crescita, comunque sia congegnata la manovra.
Molte cose, a parità di condizioni, date per scontate in questo scenario potrebbero non verificarsi: innanzitutto, l'abbassamento del tasso di crescita potrebbe rendere la manovra, quale che ne sia l'entità, un cane che si morde la coda, nel senso che non si raggiungerebbero comunque gli obiettivi. In secondo luogo, il contesto sociale muterebbe radicalmente, con ciò rendendo impossibile qualunque obiettivo.
Il quadro presentato dal Governo raggiunge quindi una sorta di equilibrio tra gli effetti positivi e quelli negativi che possono scaturire da varie entità dell'intervento. Ricordo che anche quel quadro è abbastanza severo (il Governatore della Banca d'Italia ritiene che la manovra prevista nel documento di programmazione economico-finanziaria sia di notevole serietà e peso e vada realizzata con provvedimenti strutturali) in quanto è estremamente impegnativa. Ritengo che oggi sia in un certo senso un bene pubblico delineare un quadro di rientro e che l'opposizione darebbe una dimostrazione di responsabilità nazionale se contribuisse positivamente a delinearlo, anche se ci divideremo sui provvedimenti specifici.
Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione di considerazioni integrative al mio intervento in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).
È iscritto a parlare l'onorevole Cavaliere. Ne ha facoltà.
Il gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania ha presentato una relazione di minoranza (illustrata questa mattina dal collega Pagliarini) e, in base ad essa, una risoluzione. Quest'ultima parte dalla constatazione che lo Stato centrale non può più reggere e che le forme di autodeterminazione e di indipendenza che vengono spontaneamente dal paese non possono più essere disattese. È anche l'unica risoluzione di minoranza che la Camera sarà chiamata a votare; essa proviene dal parlamento di Mantova e, tramite il «Governo sole», arriva a Roma. Sono realtà con le quali bisogna fare i conti e con cui lo Stato non può usare solamente l'arte dell'esorcismo.
Con il documento di programmazione economico-finanziaria il Governo ha rappresentato tutti i suoi limiti, le sue ambiguità e la sua eterogeneità. Ha rappresentato
Durante la campagna elettorale l'Ulivo si era impegnato solennemente con gli elettori, ricordando ad ogni occasione la necessità di arrivare puntuali alla scadenza della moneta unica. Ma, come abbiamo visto, anche se il Governo do-vesse centrare tutti gli obiettivi previstidal suo documento, l'Italia non potrà mai rispettare i parametri del Trattato di Maastricht.
È incredibile che nel documento di programmazione economico-finanziaria si leggano frasi come la seguente: «Il mutamento del quadro economico non consente al momento una accelerazione del processo di avvicinamento ai criteri di convergenza». Ma quale mutamento di quadro economico? Le cose non sono cambiate in modo così significativo dall'epoca della campagna elettorale e da quando il Governo Prodi ha chiesto la fiducia. Spero che il Governo non voglia far credere agli italiani che il quadro economico sia cambiato così improvvisamente: un brutto mattino Prodi, Ciampi e Visco si sono svegliati e qualcuno ha detto loro che il quadro economico era mutato, che si era deteriorato!
La verità è che tutti sanno che con un paese organizzato in questo modo la situazione dei conti pubblici è insostenibile, continuerà a peggiorare e il debito pubblico trascinerà il paese nel baratro. L'eterogeneità del Governo porta ad un continuo scontro tra un'impostazione capitalistica dell'economia, voluta e propugnata da alcuni ministri, e un'impostazione assistenziale e clientelare, voluta da altri. Assistiamo giornalmente ai ricatti di rifondazione comunista, alle impuntature tipoDiktat di Bianco, ai tentativi di mediazione oggi di Prodi e domani di D'Alema. È una eterogeneità che esplode maggiormente sui temi economici, perché il Governo, con il rapporto che ha istituito con i sindacati e i partiti, non può governare ma solamente tentare di mediare, scontentando tutti.
La nostra risoluzione di minoranza invita il Parlamento a modificare l'articolo 81 della Costituzione, nel senso che lo Stato sia autorizzato a contrarre debiti da utilizzare solamente per effettuare investimenti e non per pagare interessi su altri debiti.
L'ambiguità della maggioranza, infine, è riflessa anche nel documento in esame, in quanto il Presidente del Consiglio, primo fra tutti, non potrà mai scrollarsi di dosso il fatto di essere stato l'uomo che De Mita impose alla guida dell'IRI e che fece le peggiori operazioni finanziarie ai danni dei contribuenti italiani e in favore di grossi gruppi economici ben definiti. È inutile volersi oggi riciclare. È inutile, onorevole Prodi, autodefinirsi il Robin Hood della politica italiana: non dimentichi che Robin Hood era il principe dei ladri. La stessa ambiguità si manifesta quando il ministro dei lavori pubblici intende proporre di cacciare i dirigenti dello Stato che vivono al di sopra delle loro possibilità economiche: anche quelli, signor ministro, che comprano con un prestito la Mercedes?
Abbiamo presentato una nostra relazione di minoranza e proporremo una risoluzione. Preannuncio pertanto che voteremo contro la proposta del Governo e ci esprimeremo a favore della sola risoluzione presentata dal gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, che ha anche presentato l'unica relazione di minoranza. Ancora una volta Roma-Polo e Roma-Ulivo manifestano chiaramente la loro ormai neppure molto tacita intesa (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Credo che nell'affrontare l'emergenza lavoro la prima vera preoccupazione del Governo dovrebbe essere quella di assicurare alle giovani generazioni di oggi le stesse opportunità di coloro che li hanno immediatamente preceduti. Dobbiamo riconoscere che, per la prima volta nella storia del paese, con ogni probabilità il futuro dei giovani di questa generazione non potrà vedere migliorare le proprie condizioni rispetto a quelle dei loro padri; potrebbe anzi accusare un vistoso arretramento. Si va sempre più innalzando l'età di ingresso nel mondo del lavoro. Fino a qualche decennio fa era attorno ai vent'anni; grazie ad una più elevata scolarizzazione ha finito per spostarsi attorno ai 25-30 anni, avviandosi drammaticamente, in alcune situazioni, in particolare al sud ma non solo, verso i quarant'anni. Esiste oggi una fascia consistente di una generazione, che comprende molte donne, che rischia per sempre di essere tagliata fuori dal mondo del lavoro. Questi giovani non possono essere considerati «figli di un Dio minore». Dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che lo Stato sociale italiano oggi serve soprattutto a garantire chi è già garantito e per certi versi privilegiato mentre dà poco o niente a chi si trova in condizioni di reale bisogno.
Su questa situazione anche il sindacato dovrebbe aprire una seria ed approfondita riflessione ed agire di conseguenza. È stato detto che l'occupazione cresce in modo qualitativo e quantitativo se si sviluppano imprese sane e dinamiche. Ciò richiede un contesto che favorisca tale processo anziché penalizzarlo, se non vogliamo che le nostre imprese trasferiscano all'estero proprie unità produttive. Gli investimenti industriali devono essere sostenuti anche da norme fiscali di carattere generale, come il rilancio su base organica della legge sugli utili reinvestiti, e di carattere specifico per le aree depresse, come l'esenzione da IRPEG ed ILOR per un determinato periodo di tempo. Particolare attenzione deve essere inoltre dedicata ad una piena valorizzazione del ruolo prezioso svolto dalle piccole e medie imprese e dall'artigianato per l'apporto occupazionale di valore aggiunto che sono in grado di offrire come fondamentale fattore di sviluppo.
È indispensabile proseguire la riforma del mercato del lavoro per rendere i meccanismi più snelli e adeguati alle caratteristiche attuali dei sistemi produttivi. Anche la pubblica amministrazione deve avere un'attitudine più favorevole allo sviluppo delle imprese.
In questo contesto mi avvio alla conclusione, signor Presidente si inquadra...
In questo contesto si inquadra la riforma del collocamento con la fine del monopolio pubblico e una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, con l'introduzione del lavoro interinale, l'istituzione del job sharing (la divisione di un posto fra due persone), l'estensione del part time e dei contratti a termine, anche per fronteggiare
Vi è poi un grande capitolo...
Sono queste...
È iscritto a parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
La domanda era giustificata perché non mi sfuggono né mi sfuggivano i dati terribili della situazione economica (sono stati ricordati pochi minuti fa dall'onorevole Biasco e da molti altri). Ma la risposta a quella domanda è in un documento che fu approvato unanimemente dalla coalizione dell'Ulivo e che recitava testualmente: «La coalizione ritiene che l'obiettivo fondamentale nell'azione di Governo debba essere quello di assicurare la piena partecipazione dell'Italia alle tappe prossime del processo di integrazione europea e, in particolare, il rispetto del Trattato di Maastricht».
Mi rivolgo a lei, signor Presidente del Consiglio, al ministro del tesoro e ai colleghi della maggioranza: il documento di programmazione economica che stiamo per approvare rispetta quel nostro impegno? Comprendo che trovandoci davanti ad una opposizione che non aveva e non ha una posizione filoeuropea, che non ha una posizione chiara ma piena di ambiguità, possiamo pensare che le nostre incertezze, la rinuncia all'obiettivo che noi stessi c'eravamo dati possano non essere percepite come una sconfitta politica. Ma il problema è in sé rilevante e non dipende dall'accordo che abbiamo fatto con rifondazione, il quale non modificava sostanzialmente l'impostazione del documento di programmazione economica e conteneva anche un riferimento ai problemi dell'occupazione che considero importante e positivo. Il problema, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, è il DPEF in sé, con quel 4,4 per cento o forse 5,5 per cento di deficit che ci condanna all'esclusione dall'Europa.
Ciò che mi preoccupa, onorevoli colleghi, è l'assenza di una discussione aperta sugli aspetti politici, sulle conseguenze di questa decisione (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia). E non può essere la destra, da cui ho sentito discorsi contraddittori, a dare questo apprezzamento...
Qualche giorno fa, onorevoli colleghi della maggioranza, il ministro del tesoro Ciampi ha detto testualmente: «Rimanere anche temporaneamente fuori dal gruppo di testa avrebbe ripercussioni che andrebbero al di là delle pur rilevanti conseguenze economiche, monetarie e finanziarie, pregiudicherebbe l'avvenire di intere generazioni». Allora questa decisione (che, lo ammetterete, ha conseguenze politiche enormi, che potrebbero portare l'Italia ai margini della costruzione europea) vogliamo
Onorevoli colleghi, ho poco tempo per svolgere il mio intervento, ma il nodo della questione è quello che ho indicato. Intendo rivolgermi all'onorevole Bertinotti, ma anche a buona parte della nostra maggioranza. Siamo certi che i nostri gravi problemi sociali, quelli dell'occupazione e dello Stato sociale, troverebbero una migliore risposta il giorno in cui fosse sancita l'esclusione dell'Italia dall'Europa? Quali effetti sui tassi di interesse e sul nostro indebitamento si determinerebbero all'indomani della certezza della nostra esclusione? Quale effetto si avrebbe sulla stabilità del cambio e quindi sul tasso d'inflazione? Mi chiedo, infine, quale banca centrale europea verrebbe in soccorso della moneta italiana se questa rimanesse fuori dall'euro. Già nel 1992 la banca tedesca non volle venire in nostro soccorso, malgrado gli impegni del sistema monetario europeo. L'Italia stessa, non solo la sua moneta, fluttuerebbe nel Mediterraneo, questo è il problema politico.
Concludo, signor Presidente, dichiarando che da queste considerazioni avrei dovuto trarre già oggi una posizione negativa sulla linea del Governo in materia, ma non lo faccio, per le parole contenute nel paragrafo 4.10 del documento e per la presenza del ministro Ciampi, che considero un impegno politico.
In autunno, signor Presidente e concludo -, dovremo valutare fino in fondo e seriamente tutto questo. Pensi, la maggioranza, ad Altiero Spinelli, pensino i popolari a De Gasperi e a Colombo e decidano se questa discussione non meriterebbe di essere ripresa in ben altro contesto (Applausi).
In primo luogo, non solo siamo in presenza di un miglioramento di tutti gli indicatori, ma anche di una ripresa di prestigio e di credibilità del nostro paese a livello internazionale e se siamo in questa situazione lo dobbiamo anche ai costi che sono stati sopportati dai lavoratori, nonché al ruolo svolto dai sindacati. Risulta ormai chiaro a tutti, però, che i benefici della ripresa non sono andati ai lavoratori, né sono serviti a dare una risposta ai problemi dell'occupazione e del Mezzogiorno. La vittoria dell'Ulivo ed il nuovo Governo appaiono come risorse in più per il paese per ritrovare stabilità, fiducia nelle proprie capacità e credito a livello internazionale. È anche in ragione di ciò che la maggioranza deve sentire tutto intero il peso di questa responsabilità, a partire dalla ricerca del necessario consenso sulle scelte compiute.
La discussione di questi giorni sul tasso di inflazione programmata, sulla difesa del potere d'acquisto dei salari e sul rispetto dell'accordo del luglio 1993 con i sindacati avrebbe trovato gli stessi sbocchi cui si è giunti, senza che venissero decretati né
L'altra novità che accompagna il documento di programmazione economico-finanziaria è rappresentata dal fatto che il perseguimento degli obiettivi fissati a Maastricht avviene in un quadro in cui emerge la piena consapevolezza che occorre rilanciare fortemente la nostra economia e che a questo appuntamento, dunque, deve arrivarci un paese che non solo ha avviato il risanamento della finanza pubblica e la riduzione dell'inflazione, ma che deve misurarsi, nello stesso tempo, con la grave emergenza occupazionale, con una situazione, come ci dicono tutte le recenti analisi, dove l'aumento della povertà, le condizioni di disagio delle famiglie italiane coincidono sempre più con il Mezzogiorno del paese.
Nelle scelte delineate nel documento c'è la convinzione che in Europa non possa andare solo una parte del paese; sarebbe una sconfitta per l'Italia.
L'altro aspetto che a noi appare rilevante è dato dal fatto che questa volta il dibattito che da tempo si svolge intorno ai temi del federalismo, della riforma della pubblica amministrazione, della semplificazione delle procedure amministrative, di poteri da trasferire alle regioni e ai comuni trova un primo sbocco concreto nelle proposte avanzate.
Nella risoluzione finale viene giustamente chiesto di perseguire una più consistente riduzione del tasso di disoccupazione rispetto a quanto previsto nello stesso DPEF: è un tema che tocca direttamente il Mezzogiorno. Su questo aspetto occorre necessariamente stabilire una maggiore coerenza tra le affermazioni riportate nel documento e le previsioni di crescita dell'occupazione. Nel documento si dice che non è lo sviluppo in sé bensì lo sviluppo con occupazione che si intende ricercare e che la creazione rilevante di posti di lavoro è al centro dell'attenzione del Governo. È un'affermazione che condividiamo, così come apprezziamo le prime misure che il Governo ha annunciato: dalle risorse messe a disposizione per i patti territoriali al disegno di legge per utilizzare i 10 mila miliardi previsti dalla precedente finanziaria.
Abbiamo però bisogno che anche le indicazioni contenute nel libro bianco relative alle grandi infrastrutture, a partire da quelle di Salerno e Reggio Calabria, decollino davvero. Ed è indispensabile ricercare nuovi meccanismi e definire nuove procedure con le regioni e con l'Unione europea per il pieno utilizzo dei fondi comunitari; oggi la situazione è inaccettabile: sono risorse alle quali non possiamo rinunciare. Occorre avere piena consapevolezza che ad una svolta si arriverà solo se al centro vi sarà una politica nazionale che abbia come obiettivo principale quello di unire il paese e non di dividerlo, quello di promuovere un vero e proprio processo di modernizzazione, dai servizi alle infrastrutture, al risanamento dei centri storici, a quello ambientale, al sostegno della piccola e media impresa: una nuova politica industriale che sposti verso il Mezzogiorno tecnologie, centri di decisione, ricerca scientifica.
La conferenza sull'occupazione annunciata dal Governo deve rappresentare l'appuntamento decisivo per aprire questa fase. Nel DPEF viene delineato un ventaglio di proposte, sulle quali occorrerà lavorare, sentire le parti sociali, definire proposte concrete. Guai però se tutto si riducesse al tema della flessibilità salariale nel Mezzogiorno!
La proposta avanzata nella risoluzione è di promuovere un piano straordinario per investimenti pubblici e per l'occupazione, finanziato con un volume di risorse non inferiore, nell'arco del triennio, ad un punto di percentuale del PIL, che configuri una innovazione rispetto alle tradizionali politiche economiche di grandi opere ed infrastrutture, privilegiando i settori ad alta intensità di lavoro, e che coniughi l'occupazione con lo sviluppo compatibile e la qualità culturale ed ambientale.
È per questi motivi che noi, come sinistra democratica, daremo un voto positivo al documento (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo e dei popolari e democratici-l'Ulivo).
Non si prospetta alcuna valutazione delle cause strutturali del divario e non vengono fornite indicazioni efficaci per affrontare il problema storico. La questione del Mezzogiorno si affronta non solo con risorse aggiuntive, che non esistono in questo documento di programmazione economico-finanziaria, ma anche e soprattutto con la razionalizzazione delle spese e la lotta agli sprechi. Se i fondi comunitari non vengono spesi, è illusoria la prospettiva di un intervento ordinario senza avviare un processo di modernizzazione della pubblica amministrazione.
Anche il più ordinario degli interventi dello Stato diventa un obiettivo irraggiungibile senza la presenza di competenti e responsabili amministratori locali che devono diventare parti vitali della ripresa. Ci vuole una rivoluzione sia sul piano tecnico sia su quello del costume.
Il Mezzogiorno, vittima principale della criminalità organizzata, della disoccupazione, del malgoverno è diventato nell'immaginario collettivo anche il dissipatore delle risorse prodotte nel paese. L'incapacità della classe dirigente nazionale si è trasformata nella scarsa vocazione al lavoro e all'impegno delle popolazioni meridionali. Gli investimenti per il risanamento del Mezzogiorno continuano ad apparire come beneficenza ed elemosina ed i meridionali come mendici e responsabili delle loro disgrazie.
Ancora una volta questo Governo, in piena conformità a quegli esecutivi e a quella classe politica che ha fatto saltare i conti pubblici per pagarsi il consenso elettorale, nel documento di programmazione economico-finanziaria si limita per il suo rilancio a mere dichiarazioni di principio.
Infatti nel documento si cerca di fornire una valutazione delle cause strutturali, ma del tutto genericamente ed in maniera superficiale si indicano intenzioni senza affrontare con la dovuta, necessaria, improcrastinabile importanza il problema.
I punti più deboli di questa manovra appaiono infatti quelli individuati come tutela della produzione e dell'aumento dei livelli occupazionali. Abbiamo un tasso di disoccupazione stimato al 24 per cento nel Mezzogiorno ed il Governo con questo documento, senza tenere in alcun conto l'importanza fondamentale di una ripresa del Mezzogiorno ai fini dell'ingresso dell'Italia in Europa, in maniera incoerente ed inefficiente continua a sottrarre risorse al sud anche attraverso l'aumento del costo del denaro, nonché delle aliquote contributive.
Occorre rilevare i dati in termini reali: abbiamo un'inflazione ad un livello che è quasi tre volte quello della Germania e della Francia. L'inflazione è la più ingiusta delle tasse, diminuisce il potere d'acquisto
Infatti il problema del costo del denaro al sud è il grande assente della manovra, con riferimento soprattutto al fatto che esiste una differenza di livello dei tassi che raggiunge il 6 per cento per quanto concerne i prestiti interessanti i piccoli e medi imprenditori.
Non può essere liquidato il problema del costo del denaro al sud come derivato da maggiori livelli di sofferenza. L'inflazione alta, gli alti tassi di interesse, gli interessi disincentivati dall'abolizione della Tremonti e la domanda interna ancora modesta costituiscono ad oggi un negativo quadrilatero entro il quale viene ingabbiata l'economia.
Mi appresto a concludere, Presidente, e le chiedo di poter consegnare agli uffici considerazioni integrative del mio intervento perché vengano pubblicate in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
Aggiungo, concludendo, che con questo documento di programmazione economico-finanziaria non si va in Europa. Il pericolo peggiore è che una parte dell'Italia viva l'esclusione, a ragione o a torto, come la prova storica che altre parti d'Italia con il peso della loro maggiore dipendenza dalla sfera pubblica siano alla fine riuscite a staccarla dall'Europa. Invece che un passo in avanti verso la piena integrazione europea dell'Italia intera, si compirebbe così un passo indietro verso una minore integrazione nazionale (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
È iscritto a parlare l'onorevole Widmann.Ne ha facoltà.
Sopportare il peso del passato sarà doloroso, ciò nonostante dobbiamo renderci conto che restare fuori dall'Europa comporterebbe un ulteriore peggioramento della situazione; è pertanto necessario risalire la china e trovare la strada che ci conduce verso l'Europa.
Riconosco al Governo di aver tentato con questo documento di trovare un equilibrio nella distribuzione dei sacrifici e di proporre provvedimenti che dovrebbero portare sulla giusta strada. L'impostazione delle azioni di politica economica è comunque da considerare buona anche perché non vengono «strapazzate» le capacità di contribuzione che ognuno può dare.
Nel settore fiscale bisogna introdurre al più presto la verità fiscale, un principio, questo, che è la base per la soluzione di tanti altri problemi e soprattutto per la difesa dello Stato sociale. Non dobbiamo cedere ancora una volta alla lobby degli evasori perché un cedimento in questo campo sarebbe la fine del cammino verso il progresso.
Inoltre dobbiamo prestare tutta la nostra attenzione al grave problema della disoccupazione. Favorendo la creazione di posti di lavoro con provvedimenti adeguati
Per quanto riguarda la scuola e la formazione professionale, sono dell'avviso che questo settore non debba subire tagli, bensì ulteriori investimenti per dare una preparazione ai nostri giovani che permetta loro di affrontare con successo il mondo del lavoro contrassegnato da uno sviluppo tecnologico velocissimo. Quindi non risparmiare, ma investire in una scuola che aiuti i giovani ad affrontare un futuro alquanto insicuro. A tale proposito, le proposte del ministro Berlinguer sembrano andare nella giusta direzione.
Il ministro Bassanini con la sua esposizione sulla riforma dell'amministrazione statale lascia intravedere buone prospettive. Finalmente si comincia a capire che l'amministrazione pubblica non è fine a se stessa ma è un servizio per i cittadini. È necessario responsabilizzare i dipendenti pubblici, facendo capire loro che non producono bulloni, ma che trattano problemi riguardanti persone o gruppi di persone e che dalla soluzione di questi possono dipendere anche destini personali od aziendali.
Devo insistere affinché la legge n.241 del 1990 venga finalmente applicata da tutte le strutture. Il sostegno alle famiglie è un compito fondamentale dello Stato. Se presente in modo decisivo, contribuisce allo sviluppo delle nostre famiglie in un clima sereno, risparmiandoci tanti problemi ed aiutandoci a far crescere delle generazioni responsabilizzate verso se stesse e verso gli interessi generali.
L'assistenza sanitaria deve essere garantita a tutti. I buoni propositi contenuti nel documento devono essere convertiti al più presto possibile in realtà al fine di evitare gli sprechi verificatisi durante la lunga fase di malamministrazione del settore.
Il federalismo garantisce più di altri provvedimenti il risanamento pubblico. Federalismo significa non solo gestione autonoma degli interessi regionali, provinciali e comunali, ma anche assunzione di responsabilità propria nei confronti del proprio territorio e dell'intero paese. Se ognuno governa bene la propria regione, la propria provincia ed il proprio comune, ottiene vantaggi per tutti. Essere contrari a questo concetto significa difendere interessi particolari, celati dal centralismo ormai totalmente fallito.
Se oggi dobbiamo riemergere da una profonda palude con tanta fatica e tanti sacrifici, lo dobbiamo proprio al centralismo che è tanto lontano dalla gente e, di conseguenza, tanto lontano dai loro problemi.
I lavoratori, con l'accordo del luglio 1993, hanno dato un grande contributo per la riduzione dell'inflazione.
Con questa brevissima analisi mi sento in grado di esprimere un cauto parere positivo a nome della SËdtiroler Volkspartei (Applausi).
Nel documento si afferma che lo Stato assistenziale non si tocca, che la pseudo riforma delle pensioni rimane così com'è, che si devono conservare sia i beni pubblici sia l'apparato burocratico della pubblica amministrazione e che, infine, è necessario mantenere uno dei sistemi fiscali più oppressivi del mondo. È un documento che si può sintetizzare nel concetto che tutti prendono a dismisura dalle generazioni future, scaricando su di esse debiti e tensioni che non potranno essere sopportate. Questa politica ricade anche sui non occupati, sulle imprese non protette, sulle nuove imprese, sul ceto medio produttivo, sugli amministratori locali responsabili.
Quali sarebbero state le nostre linee di intervento prioritario? È presto detto: la riforma della previdenza con un aumento dell'età pensionabile, con la fissazione di un tetto minimo e massimo alla previdenza pubblica e con un'azione volta a favorire la previdenza integrativa; la riforma della sanità, volta a garantire i più deboli di fronte a vere e proprie situazioni di bisogno e parallelamente a favorire forme di assicurazione privata; infine, aprendo ai privati il settore sanitario con uguali diritti e doveri dell'operatore pubblico. A tale proposito si veda la riforma sanitaria della regione Lombardia che verrà approvata tra breve.
Per quanto ci riguarda, saremmo intervenuti per snellire il processo di privatizzazione di tutto ciò che non è essenziale per la pubblica amministrazione. Qui è bene ascoltare il Cattaneo quando descrive la liquidazione della manomorta pubblica all'inizio del 1700, dopo la cessazione del dominio spagnolo in Lombardia: «Dalla metà del secolo» egli dice «si attivò un'immensa divisione e suddivisione dei beni; il numero dei possidenti crebbe nella proporzione stessa in cui crebbero i frutti. Si abolirono le manimorte, si rimisero in circolazione i loro sterminati beni, si riordinarono le amministrazioni comunali, si abolirono i vincoli del commercio e quasi tutti i regolamenti che inceppavano le arti».
Per risolvere i problemi legati alla disoccupazione e agli squilibri territoriali avremmo ridotto il costo del lavoro e la forbice fra costo del lavoro complessivo e retribuzione diretta del lavoratore; favorito il recupero di competitività delle imprese italiane reintroducendo la legge Tremonti e riducendo l'assorbimento del risparmio da parte dei titoli di Stato riattivando la legge Ossola. Dobbiamo purtroppo registrare che l'accordo raggiunto dal Governo con rifondazione comunista, oltre a creare un forte disagio tra le parti interessate alla concertazione, oltre a reintrodurre, grazie al suo meccanismo automatico di aggiustamento e di recupero dell'inflazione reale, una scala mobile con quel che ne consegue sui conti pubblici certamente creerà forti spinte di rincorsa salariale in tutti i settori economici.
Avremmo riformato il mercato del lavoro con la piena applicazione del protocollo del 1993; infine, avremmo ridotto la spesa pubblica bloccando il turn-over, le nuove assunzioni e varando un piano pluriennale di sfoltimento della pubblica amministrazione.
Avverto che sono state presentate le risoluzioni Mussi ed altri n.6-00001, Comino e Pagliarini n.6-00002, e Pisanu ed altri n.6-00003 (vedi l'allegato A).
Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, deputato Pagliarini.
Adesso, se ce ne era bisogno, abbiamo la conferma che forse Polo e Ulivo hanno punti di vista diversi su qualche argomento, ma su una cosa sono assolutamente d'accordo: sulla necessità di non cambiare niente, di lasciare tutto il potere qui a Roma a loro disposizione, perché per loro il potere e la tutela del potere sono evidentemente la cosa più importante.
Per quanto riguarda il nostro ingresso nell'unione monetaria, è stato detto che un solo paese, il Lussemburgo, oggi rispetta i parametri del Trattato di Maastricht. Devo dire che tutti, salvo Italia e Grecia, hanno presentato documenti contabili che confermano come obiettivo il rispetto del Trattato di Maastricht entro il 31 dicembre 1997.
Visto che molti colleghi sono intervenuti invocando maggiore impegno contro l'evasione fiscale, dirò che finché i soldi delle tasse non andranno agli enti locali ma ad un Governo centrale lontano mille miglia dai bisogni dei cittadini, finché la responsabilità di identificare gli evasori sarà propria di un ministero romano, anch'esso lontano anni luce dai cittadini, certamente l'evasione non diminuirà; anzi, con queste aliquote e con l'aumento della pressione fiscale previsto nel DPEF vedrete aumenterà.
La soluzione è una sola, il problema si potrà risolvere solo quando vi sarà un'inversione dei flussi fiscali, perché non è logico che i cittadini di Bergamo paghino le tasse, che i soldi affluiscano qui a Roma e poi quest'ultima trasferisca nuovamente le risorse finanziarie al comune e alla provincia di Bergamo. Questa è una follia; è necessario che in prima battuta tutti i proventi delle tasse rimangano nelle regioni, che le regioni ed i comuni abbiano la piena responsabilità dell'accertamento dei redditi fiscalmente imponibili, nonché del perseguimento degli evasori; dopo, con la massima trasparenza si deciderà che cosa mettere in comune per le spese generali dello Stato, per le infrastrutture di interesse nazionale, per pagare alle scadenze dovute le quote del vecchio debito pubblico, per la solidarietà e per la perequazione. Chi vuole combattere seriamente l'evasione fiscale dovrebbe votare a favore della proposta di soluzione presentata dal gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, illustrata dal collega Cavaliere, la quale contiene questo principio e queste tecniche. Altrimenti, vuol dire che qualcuno vuole combattere l'evasione fiscale solamente a parole. Infine, è stato ricordato che l'Ulivo si è sempre impegnato
Dunque, coraggio! La maggioranza è ancora in grado di modificare la proposta di risoluzione; tutto quello che dovete fare è togliere qualche privilegio e tagliare qualche spesa inutile. Fate questo sforzo, voi che avete la maggioranza, per portare il paese in Europa! In fondo si tratta solo di tagliare qualche spesa. Ecco qualche esempio: non diamo una lira al Banco di Napoli, ma chiudiamolo e vendiamo gli sportelli (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)! Non spendiamo i 3.500 miliardi stanziati per il Giubileo; il paese è povero (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)! Vedrete che il buon Dio, che ha fatto nascere suo figlio nella povertà, capirà; e se capirà il buon Dio vedrete che capiranno anche Rutelli e i suoi amici e, se non capiranno, pazienza (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)! E ancora: identificate i dipendenti statali in eccesso, toglieteli dagli organigrammi, metteteli in mobilità e intanto utilizziamoli per lavori di pubblica utilità!
Insomma, signori del Governo, vi chiedo solo un po' di coraggio e di onestà intellettuale: l'Europa è troppo importante e i cittadini della Padania non vogliono rinunciare ad essere, a pieno titolo, cittadini dell'Europa (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)!
I numerosi colleghi dell'opposizione, ma anche taluno della maggioranza, hanno affermato che gli obiettivi posti dal documento, ancorché conseguiti, porrebbero il paese nella condizione di non potersi neppure presentare come candidato all'unione monetaria, quanto meno come candidato alla partecipazione all'unione monetaria, sin dal 1^ gennaio 1999. Rispondo con gli argomenti di quanti, nel corso del dibattito, hanno sottolineato che l'unione monetaria non è un appuntamento per esami o per verifiche ragionieristiche, ma è essenzialmente un incontro tra economie virtuose e, non a caso, il Trattato e gli allegati fanno riferimento ai parametri e alle tendenze in atto.
Il documento propone, anche in relazione alla questione del disavanzo delle pubbliche amministrazioni, che entro il 1998, quindi nell'esercizio antecedente alla decorrenza del 1^ gennaio 1999, il parametro dell'indebitamento delle pubbliche amministrazioni sia contenuto entro il 3 per cento del prodotto interno lordo. Quindi, quanto è stato già fatto e quanto il documento propone venga fatto consentirà all'Italia, che non è certo un piccolo paese, di presentarsi a testa alta all'appuntamento...
Nell'assumere questo obiettivo viene altresì sottolineato che la lotta alla disoccupazione in Europa non può essere affidata solamente all'unione monetaria, all'unificazione dei mercati e alle politiche degli Stati membri. La costruzione dell'Europa un'Europa caratterizzata da rilevanti contenuti sociali richiede che l'Unione sviluppi proprie e specifiche politiche strutturali in tema di lotta alla disoccupazione. In ciò è stata raccolta una preoccupazione manifestata dalla generalità dei settori costituenti la maggioranza.
Un secondo gruppo di obiezioni ha riguardato l'attendibilità del documento, che è stata variamente contestata. Gli scenari macroeconomici hanno un'alea intrinseca; peraltro lo scenario tendenziale ipotizzato è tutt'altro che improntato ad un ottimismo fuori misura. Le ipotesi di crescita adottate nel documento sono piuttosto moderate e d'altra parte gli istituti di ricerca consultati dalla Commissione bilancio nel lavoro istruttorio non hanno indicato scenari che marchino scostamenti significativi.
Circa la finanza pubblica, l'impegno che si assume oggi riguarda innanzitutto il rispetto vincolante di determinati saldi finanziari. Questo è l'impegno che si assume in vista della sessione di bilancio, allorché verranno discussi i provvedimenti che daranno contenuto alle misure necessarie per conseguire gli obiettivi che oggi vengono deliberati. In quella sede si dovrà verificare la coerenza tra gli impegni che poniamo oggi ed i provvedimenti che daranno corpo agli stessi. La maggioranza afferma che quella coerenza dovrà essere pienamente verificata.
Alcuni colleghi hanno parlato di cedimento a proposito dell'attenzione posta al tema del potere d'acquisto delle retribuzioni. In realtà la Commissione bilancio ha semplicemente sviluppato un ragionamento, avviato da vari settori della maggioranza, coerente con l'obiettivo di salvaguardare la politica dei redditi, prendendo atto delle dinamiche sperequative in atto nella distribuzione del reddito. La maggioranza non poteva rimanere insensibile ad una questione di equità che è sicuramente fondata.
È stato inoltre atto di saggezza compiere tali scelte proprio al fine della salvaguardia di quella politica dei redditi che tanto ha contribuito al risanamento della finanza pubblica ed alla stabilità sociale del nostro paese.
Dal dibattito è emersa una generale sottolineatura della centralità del problema dell'occupazione e della necessità di assumere tale questione non affidandosi esclusivamente all'andamento delle variabili macroeconomiche. È stata anche sottolineata l'esigenza di adottare specifiche politiche. La proposta avanzata dalla maggioranza, d'intesa con il Governo, nella risoluzione conclusiva risponde proprio a tale preoccupazione. Vi è un problema di risorse finanziarie, ma non solo; occorre innanzitutto migliorare sostanzialmente la capacità di realizzazione dell'amministrazione pubblica al fine primario di utilizzare meglio e compiutamente le risorse comunitarie nazionali già assegnate per investimenti e per l'espansione dell'occupazione.
La risoluzione richiede però uno sforzo aggiuntivo e straordinario; credo che ciò risponda bene anche alle preoccupazioni ed alle esigenze manifestate da diverse parti della Camera dei deputati, soprattutto in relazione alla necessità di sviluppare quei settori ad alta intensità di lavoro ed il cosiddetto terzo settore, questione
Il Governo propone infine, signor Presidente, che vengano adottate nei tempi più celeri riforme dirette al risanamento strutturale, all'efficienza e ad obiettivi di risparmio di spesa. A tal fine il Governo ha chiesto nel documento che vengano dichiarati come collegati quei disegni di legge che danno corpo all'intendimento riformatore del Governo.
Rispondo per inciso anche all'onorevole Pagliarini.
Onorevole Cento, prenda posto.
Quanto alle questioni poste in particolare dall'onorevole Frattini, relativamente all'opportunità di trattare come collegati i disegni di legge che sostanziano l'intento riformatore del Governo, rispondo che intanto è prassi consolidata da diverse deliberazioni della Camera dei deputati ed anche del Senato della Repubblica quella di trattare come collegati quei disegni di legge che concorrono agli obiettivi di risanamento finanziario realizzando riforme di carattere strutturale. È peraltro fondata l'esigenza, sottolineata anche dall'onorevole Frattini, di non determinare sovrapposizioni, ingorghi e confusione all'interno della sessione di bilancio. Pertanto questi disegni di legge, che riguardano le riforme annunciate dal Governo nel documento, dovranno essere discussi al di fuori della sessione di bilancio.
Signor Presidente, se lei lo consentirà, proporrò delle limitate modifiche al testo della risoluzione Mussi ed altri n.6-00001, della maggioranza, proprio per specificare meglio che i disegni di legge che trattano queste riforme debbono concorrere agli obiettivi di risanamento finanziario, anche al fine di circoscrivere l'area dei possibili dissensi o dei possibili equivoci su questo argomento.
Un'ultima correzione riguarda il punto B. 10) della parte dispositiva relativo alla riforma delle pubbliche amministrazioni: suggerisco di aggiungere dopo le parole: «delle pubbliche amministrazioni» le parole: «, di autonomia».
Ha chiesto di parlare per la replica il Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Prodi.
Ma sono qui anche per testimoniare a voi e, per vostro tramite, al paese, l'attenzione che il Governo, la maggioranza parlamentare che lo sostiene ed io personalmente abbiamo per l'istituzione parlamentare e per tutti i suoi membri.
Sappiamo bene, infatti, che tutti noi, Governo e Parlamento, maggioranza parlamentare di Governo e opposizione, abbiamo innanzitutto un comune dovere verso il nostro paese: garantire che le istituzioni democratiche adempiano pienamente alla propria funzione ed esercitino i compiti che la Costituzione assegna loro.
Per questo, l'esecutivo e la maggioranza che lo sostiene hanno dimostrato fin dai loro primi atti la ferma volontà di garantire non solo la capacità del Governo di governare e di decidere, ma anche quella del Parlamento di legiferare, di indirizzare e di controllare.
È in questa logica istituzionale che il Governo, anche ascoltando con doveroso rispetto le esortazioni del Presidente della Repubblica, ha operato una scelta molto precisa: limitare all'indispensabile il ricorso al decreto-legge e consentire contestualmente al Parlamento di smaltire il più rapidamente possibile il rilevante peso dei quasi cento decreti-legge emanati dai Governi precedenti, alcuni dei quali sono ormai in vigore da molti anni.
Come a voi è ben noto, si è fatto ogni sforzo per ridurre il numero dei decreti-legge reiterati. E gli effetti di questa nostra politica sono sotto i vostri occhi: in meno di due mesi di Governo il numero dei decreti in giacenza è passato da 94 a 63.
Nello stesso tempo, abbiamo dovuto pensare a sanare gli effetti già prodotti dai decreti-legge non reiterati. A questo fine, sempre allo scopo di agevolare per quanto possibile l'iter parlamentare, il Governo ha presentato due disegni di legge di sanatoria ed ha annunciato la sua intenzione di procedere analogamente anche per il prossimo futuro, man mano che verranno a scadenza e non siano reiterati altri decreti-legge.
A queste determinazioni, come ho detto, siamo pervenuti perché è volontà della maggioranza che il Parlamento sia messo al più presto nelle condizioni di esercitare nel modo migliore possibile la propria funzione, quella della sede in cui maggioranza e opposizione, rispettose ciascuna del proprio ruolo, ma anche attente all'interesse del paese, si confrontano sui progetti di legge, sulle grandi questioni di indirizzo e sull'attività stessa del Governo.
L'opposizione ha risposto fino ad ora ricorrendo solo e soltanto all'esercizio di un potere di pura interdizione (Commenti dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU).
L'atteggiamento dell'opposizione sta mettendo a dura prova non solo il senso di responsabilità della maggioranza, ma lo stesso ruolo istituzionale del Parlamento. Voglio essere molto chiaro al riguardo.