Seduta n. 4 del 29/5/1996

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La seduta, sospesa alle 13,35, è ripresa alle 15,30.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Proseguiamo nella discussione sulle comunicazioni del Governo iniziata questa mattina.
È iscritto a parlare l'onorevole Massidda. Ne ha facoltà.

PIERGIORGIO MASSIDDA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, signori membri del Governo, ho letto ed ascoltato con attenzione il discorso programmatico dell'onorevole Prodi e seguito con interesse il successivo dibattito sviluppatosi in Senato e questa mattina qui alla Camera. Confesso che anch'io sono tra coloro che hanno provato una certa delusione, come del resto ho avvertito nei discorsi di alcuni membri della maggioranza che sosterrà il nuovo Governo, in quanto mi attendevo dal vostro discorso una maggiore ricchezza di contenuti in riferimento alle metodologie ed alle proposte concrete che intendete attuare.
In particolar modo non ci ha soddisfatti l'elencazione di tutti quei mali che affliggono la nostra nazione e ancor meno quella dei buoni propositi, gli stessi portati avanti dai Governi passati e mai realizzati e che hanno lastricato quella strada disastrosa che ha portato il debito pubblico del nostro paese a 2 milioni di miliardi. Non è sufficiente l'affermazione che il programma elettorale coincide con quello di Governo perché da quanto è accaduto nel corso degli ultimi giorni ci è sembrato di


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capire che il programma elettorale della maggioranza che sosterrà il Governo, di fatto, consiste in tre programmi: quello dell'Ulivo, quello di rinnovamento italiano e quello di rifondazione comunista. Sono infatti molte le divisioni su temi fondamentali fra cui, mi preme ricordarlo, le riforme costituzionali, le privatizzazioni e la libera concorrenza tra servizi quali scuola e sanità, tra pubblico e privato.
Personalmente sento di dovermi associare a quanto ha dichiarato questa mattina l'onorevole Costa circa uno scarso spazio riservato ai problemi della sanità. Sono fortemente preoccupato perché nei giorni scorsi ho letto le proposte di linee-guida per l'erogazione dei servizi sanitari che verranno sottoposte all'attenzione del Consiglio dei ministri quanto prima. Tali linee-guida sono in netto contrasto con lo spirito che caratterizza il decreto-legge n.517 concernente la riforma sanitaria, il quale invece sancisce la libertà dell'individuo di scegliere il luogo di cura ed il medico curante.
Anch'io, come il vostro ministro della sanità ha detto, vivo l'ansia di poter garantire una qualificata sanità soprattutto ai più deboli. Voglio ricordare che la libertà di scelta è volta a tutelare proprio i più deboli perché tale privilegio è stato goduto dai benestanti mentre ciò non potrebbe valere, se venissero introdotte queste linee-guida, per chi non ha i mezzi economici per pagarsi certi servizi sanitari.
Naturalmente da sardo sento il dovere di chiedere, signor Presidente del Consiglio, un impegno preciso per la mia isola, che vive gli stessi problemi comuni e drammatici a tutto il Mezzogiorno e tuttavia presenta caratteristiche legate alla sua insularità. Colgo l'occasione per chiedere che si intervenga soprattutto nel settore della viabilità interna, che si presenta in uno stato tanto disastroso da creare problemi di emarginazione e di scarsa scolarità, oltre che su quella esterna. Faccio riferimento alla continuità territoriale che penalizza in maniera insostenibile la nostra regione. Chiedo che vengano mantenuti e realizzati quegli accordi di programma stipulati dai Governi precedenti con la regione Sardegna tendenti ad introdurre la metanizzazione, la realizzazione di infrastrutture, di servizi, di strade e ferrovie.
Un'altra doverosa richiesta riguarda l'istituzione della zona franca in Sardegna, analogamente a quanto sta per fare il governo francese che attende dalla CEE una specifica autorizzazione per la Corsica. È questa un'occasione che potrebbe essere trainante per l'economia non solo della Sardegna ma anche di tutto il territorio nazionale, un'occasione irripetibile per attrarre capitali esteri che però potrebbe essere vanificata se la Corsica ottenesse prima questa autorizzazione.
Voglio anch'io chiedere a questo Governo di essere più presente soprattutto dove le istituzioni sono assenti in Sardegna. Ricordo, ad esempio, che, nonostante molti di noi parlamentari abbiano denunciato questo problema, vi sono ancora diversi comuni del nuorese nei quali da quattro o cinque anni non si svolgono regolari elezioni proprio per questioni legate alla delinquenza.
In conclusione, vorrei ricordare a coloro che sostengono il Governo Prodi che la stessa maggioranza da due anni governa la Sardegna, che ha prodotto soltanto tre giunte e le dimissioni in serie di diversi assessori, ha moltiplicato la chiusura delle piccole e medie imprese ed il livello di disoccupazione esistente!
Questa è una delle tante ragioni che inducono ad avere scarsa fiducia in questo tipo di maggioranza e che mi portano a preannunciare un voto contrario alla fiducia al Governo Prodi (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Nardini, alla quale ricordo che dispone di dodici minuti. Ne ha facoltà.

MARIA CELESTE NARDINI. Signor Presidente, signore e signori ministri, colleghe e colleghi, ad avvio del suo discorso al Senato il Presidente Prodi ha affermato che il popolo «ha indicato in una grande, inedita coalizione popolare lo strumento per dare avvio a una nuova fase della vita


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della Repubblica». È stata una buona premessa e, quindi, ci saremmo aspettati non certo che lei ed il suo Governo con un battito di mani poteste invertire una tendenza, ma l'impostazione di un lavoro lungo e di un impegno a partire da un giudizio sulla crisi, questa sì davvero inedita, del nostro tempo. Invece in qualche modo, dopo alcuni apprezzabili passaggi del suo discorso sulle questioni delicate delle autonomie e dell'unità del paese, il suo pensiero si è lasciato attrarre e affondare nel «pensiero unico» che, detto in maniera assai schematica, è l'unicità di un sistema, è al massimo la correzione di esso.
La differenza allora tra il suo ed il punto di vista delle donne si allarga. Le donne hanno portato una critica radicale a questo sistema, nelle forme del lavoro, nel come e nel cosa produrre, nel sapere, sulle questioni della pace e sulla necessità di un nuovo welfare state. In un'epoca in cui un capitalismo forte e sicuro è garantito dalla presenza della disoccupazione strutturale e di massa, in un quadro di generale impoverimento delle classi sociali che vivono di lavoro, con uno Stato sociale ridotto ai minimi storici, in un quadro generale in cui diventare anziano è una colpa da scontare sul diritto alla pensione, in una società in cui la negazione di libertà femminili giunge fino alla lapidazione di una ragazza, in un tempo in cui si decide di morire perché non si ha una casa né un lavoro, quando il diritto allo studio e alla salute sembrano essere in forse, allora, Presidente, lei avrebbe dovuto o dovrebbe ancora mettere in campo ben altre analisi e ben altre volontà di risposte!
Non pensi che le stia proponendo una società socialista, ma più rigorosamente di seguire due coordinate di ragionamento, lungo l'asse della giustizia sociale e della libertà. Ella, che è persona sensibile, durante il suo giro per il paese non può non avere colto il grande dolore sociale della gente della Calabria, della Puglia, della Campania, della Basilicata, della Sicilia e della Sardegna.
Il sud non è solo una «ferita nel paese», non è un peso; è soggetto, è risorsa, è mare, boschi, bellezza naturale, è tutta la generosità di donne e di uomini che hanno imparato l'arte di arrangiarsi, di distribuire un pasto lungo l'arco di tutta una giornata, e a volte neppure quello. Il sud è l'assenza di ferrovie e di strade in Calabria. Nel sud si caricano ed esplodono le contraddizioni di uno sviluppo distorto. Il sud è la mortificazione di un'agricoltura subalterna all'Europa, ma anche sfruttata e malgovernata in passato. Di che famiglie parliamo, Presidente Prodi? Parliamo di donne e di uomini, di bambine e di bambini e delle loro condizioni di vita spesso negate.
Mettiamo al centro della politica la grande questione del lavoro. Ne hanno parlato altri deputati e ne ha parlato bene - almeno secondo il mio punto di vista - il compagno Giordano. Desidero, però, andare oltre, perché quello che era il presupposto segreto delle società moderne, basate sul ciclo di produzione e sul consumo di merci, sta venendo allo scoperto: era il silenzioso lavoro gratuito delle donne. I ruoli tradizionali legati alla casa ed ai suoi abitanti non hanno più l'antico potere costringente sulla vita delle donne e non funzionano più come barriere al lavoro pagato direttamente. Ma, questo è importante, le donne non si sono identificate con la fine di questo lavoro essenziale, anche se invisibile e gratuito; stanno invece ponendo fine al silenzioso regime di sfruttamento dell'opera femminile, senza porre fine all'opera femminile della civiltà che ora viene in luce con tutta la sua vitale importanza anche economica.
La politica delle donne ha prodotto qualcosa di più della rottura del segreto, della sottomissione domestica femminile: ha reso e sta rendendo l'essere donna non rappresentabile come valore di scambio tra uomini; ha reso e sta rendendo l'essere umano irriducibile ai dispositivi che producono la mercificazione dei rapporti umani.
È a partire da questo punto di vista che guardiamo alla salute non come merce, ma come bene prezioso, da promuovere e tutelare, come consapevolezza del proprio corpo e della propria mente. Pertanto,


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investire in prevenzione, in servizi alla persona vuol dire predisporre un bilancio per la sanità che non è come fare il vestito di Arlecchino, una toppa qua ed una là, un taglio qui ed uno lì. Attuare una politica sanitaria significa innanzitutto dare possibilità di accesso a tutti alla prevenzione, alla diagnostica, alla cura; è innanzitutto abolizione dei ticket, è sicurezza sul lavoro, è ricerca scientifica, è bisogno di tenere le questioni legate alle droghe meno agganciate al penale e un po' più dentro le politiche sociali, pensando a finanziamenti ed investendo a lunga distanza nella sanità e nella scuola.
Nella scuola sta passando, in maniera strisciante ma radicale e senza un adeguato confronto con le parti interessate, docenti e studenti, la trasformazione in senso privatistico-aziendalista, mediante un ambiguo progetto di autonomia che non puntando su un'autonomia culturale non garantisce la qualità della didattica e della formazione culturale dei giovani. L'autonomia finanziaria rischia di portare la scuola statale alla privatizzazione, mentre va attuata l'autonomia didattica all'interno di un organico e unitario piano nazionale di riferimento. Programmi, quindi, non percezione passiva, ma elaborazione profonda.
Proponiamo, inoltre, un massimo di venti alunni per classe. Anche così si interviene per il recupero dei soggetti più a rischio di evasione nell'orario curriculare. È necessaria una ridiscussione dei corsi di recupero circa la loro qualità e le modalità nuove con cui possono attuarsi. Insomma, pensiamo ad una scuola aggiornata al presente, ma capace di porsi essa stessa come momento culturale e di ricerca per non appiattirsi sull'esistente.
Presidente, signori del Governo, signori ministri, il decreto sull'immigrazione va ritirato, non reiterato. Bisogna approvare una legge che sia frutto di un dibattito serio e che cominci a guardare verso confini multirazziali e multietnici, oserei anzi dire senza confini.
La legge sull'obiezione di coscienza, la riforma della leva, sono le altre grandi questioni su cui il suo Governo, signor Presidente, si misurerà. Siamo consapevoli di non chiedere troppo, ma di avviare una nuova fase della Repubblica. Avviarla non significa solo eliminare alcuni difetti, ma volere un altro progetto per lo sviluppo, cercare relazioni con soggetti, uomini e donne, che questo desiderano. Su questi obiettivi ci confronteremo, e il nostro impegno avrà i colori del rosso, del verde, dell'arcobaleno, per la passione con cui affronteremo le grandi questioni del lavoro, dell'ambiente e della pace.
Buon lavoro, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti e di deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gambato, alla quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

FRANCA GAMBATO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana, colleghi deputati, intervengo oggi nel dibattito soprattutto nella mia posizione di più giovane deputato del Parlamento per sottolineare con grande preoccupazione l'assoluta mancanza nel suo discorso, signor Presidente, di qualsiasi serio, concreto e credibile riferimento alla questione giovanile in termini di proposta.
I giovani non vogliono buone e meditate espressioni di attenzione, ma proposte precise e non equivoche, scelte che prevedano la destinazione di adeguate risorse per l'avvio di progetti specifici in favore del mondo giovanile.
Mi è difficile credere, signor Presidente, che lei possa governare un futuro dell'Italia - come mestamente espresso nel suo discorso - partendo da un sogno senile che non tiene adeguatamente conto delle energie più giovani del paese. Dimenticare il mondo giovanile con tutti i suoi problemi (quelli dell'occupazione, dell'istruzione, della casa per le giovani coppie solo per citare i più gravi ed emergenti) significa sognare, dunque, nel pieno della notte che prolunga la triste esperienza


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della peggiore Repubblica centralista, che purtroppo ancora tarda a morire. Se così è, il suo è un sogno che fa paura non solo ai giovani ma a tutti gli italiani, in particolare ai popoli della Padania, i quali il 21 aprile hanno indicato in gran numero di voler vedere con urgenza spuntare l'agognata alba della seconda Repubblica; una vera Repubblica federale capace di portare i popoli italiani in Europa. Il suo vago progetto di federalismo, invece, è assolutamente inadeguato e insufficiente alle popolazioni del nord e ai giovani, i quali le procureranno allora un risveglio con sussulto all'aurora ormai imminente di un nuovo ordinamento istituzionale e costituzionale, che ben altri sogni esige.
Il suo Governo, come il Parlamento, non può parlare dell'unità d'Italia per assiomi, ma deve tener conto della realtà concreta del paese, delle sue diversità e delle sue diversamente marcate invocazioni di riforma. Quest'ultima può essere attuata solo discutendo di un progetto radicale di federalismo, capace di portare l'Italia dei popoli, anche in aggregazioni territoriali diverse e in momenti successivi, ad entrare senza ulteriori ritardi e senza umiliazioni nell'Europa federale disegnata con il trattato di Maastricht, i cui principi vogliamo, signor Presidente, vedere attuati e rispettati. L'idea, invece, di mero decentramento, enunciata nel suo vago e troppo sfumato programma, contraddice e misconosce gli stessi principi di Maastricht, primi fra essi quello della sussidiarietà e quello della responsabilità dell'azione politica ed amministrativa.
Il suo sogno politico è lontano dal mondo dei giovani, i quali non si accontentano più delle parole e delle promesse del pulpito politico, che oggi con la sua voce non si esprime diversamente da ieri, in una continuità di vuoto e di mistificazione che può essere qualificata solo quale irresponsabile scelta consociativa di negare il futuro a tutti noi.
È difficile abdicare al centralismo del potere romano, ma i giovani, signor Presidente, hanno forti aspettative e grandi determinazioni di cambiamento. Ignorare tali energie e frustrare queste forze, che sono poi il futuro dei popoli italiani, significa non guardare a quell'Europa a cui lei è certamente lontano e rispetto alla quale ci fa essere sempre più stranieri.
I giovani, dunque, le chiedono un intervento deciso ed un progetto serio per il mondo della scuola con l'immediato innalzamento della soglia dell'obbligo al diciottesimo anno di età; con l'adozione di una riforma della media superiore, che è vergognosamente ferma da decenni; con interventi a favore dell'università, delineando una diversa regolazione del rapporto tra il mondo scientifico e quello del lavoro, per evitare che i giovani laureati si trovino disorientati e sulla strada senza alcuna possibilità di inserimento rapido ed onorevole nella realtà lavorativa.
Scuola ed università, signor Presidente, sono sempre state relegate a cenerentole nella visione delle emergenze nel nostro paese. Lei pare continuare su questa strada con indifferenza e approssimazione di progetto. Senza una adeguata valorizzazione del mondo della ricerca non si costruisce il futuro né ci si possono permettere dei sogni; si possono solo vivere inquietudini e sgomenti, si può solo diventare aridi liquidatori del fallimento dello Stato, che ha messo se stesso al centro dell'universo politico, istituzionale e scientifico, ignorando le positive energie e le legittime espressioni di autonomia e di auto-organizzazione presenti a livello locale anche nel mondo degli studi.
I giovani le chiedono una risposta urgente al drammatico problema del primo inserimento nel mondo del lavoro e dell'occupazione per tutti i cittadini. Non bastano i suoi slogans ancora intrisi dei compromessi della campagna elettorale, in un'atmosfera soffocata tra le pareti troppo strette di una coalizione di Governo che non pare lasciarle futuro.
Il suo discorso programmatico mi ha quindi delusa come italiana e come padana. La gente che mi ha eletta a rappresentarla, e per la quale parlo, ha voluto dare un segnale con un volto giovanile; un appello ormai corale e crescente per un cambiamento di rotta. La mia gente ha detto basta a Roma centralista che salassa


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le risorse e vuol far morire anche le ultime speranze di libertà, di federalismo, di autonomia e di indipendenza in uno Stato federale.
È per queste ragioni che noi gridiamo: viva l'indipendenza e la sovranità dei popoli della Padania in un'Europa federale guidata dal principio di responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pecoraro Scanio, al quale ricordo che il tempo a sua disposizione è di sette minuti. Ne ha facoltà.

ALFONSO PECORARO SCANIO. No so cosa sia la Padania, quesito che mi viene sollecitato dall'intervento dell'onorevole Gambato. La storia del nostro paese ha conosciuto popoli lombardi, veneti e piemontesi. È esistito uno Stato unitario, quello meridionale, ma la Padania non ha avuto una storia, una sua tradizione unitaria. Se - purtroppo - diventasse un paese autonomo, il giorno dopo diventerebbe - giustamente - la rivendicazione più corretta - forse - della repubblica veneta, di quella piemontese o lombarda, che hanno una storia ed una grande tradizione.
In questo mio intervento - il primo che svolgo nella nuova legislatura - prevedo di affrontare altre due o tre questioni rispetto al programma di Governo, ma credo che innanzitutto vada sfatato un mito, poiché all'inizio dell'attuale legislatura si sente parlare di un soggetto inesistente.
Io credo fortemente nel federalismo: il principio di sussidiarietà è stato inserito nello statuto dei verdi molto prima che in quello della lega, già dal 1980 (Commenti dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Ritengo francamente che molti amici leghisti sostengano una battaglia seria ed importante; tuttavia credo debba essere sottolineato che è un controsenso storico parlare di un'entità statuale possibile, inesistente nella storia, nella cultura e nella grande tradizione dei popoli del nostro paese. Non si può dire, infatti, ad un veneto che è identico ad un lombardo, che a sua volta è identico a un piemontese: questa è un'offesa alla storia, alla tradizione ed alla lingua di alcune realtà come il Veneto, che nulla hanno a che vedere nella loro grande tradizione con altri popoli, per esempio, del nord Italia.
Detto questo, vorrei sottolineare che provengo dal sud, il quale ha avuto una sua storia unitaria per tanti anni ed ha subito l'unità nazionale, dai Savoia più che dai piemontesi; ma non vorremmo ancora dover subire, caro Presidente del Consiglio, da una finzione statuale del nord anche il giusto processo di federalismo del nostro paese.
Sono convinto, in realtà, che sia molto importante l'impegno di questo Governo per fare dell'Italia una repubblica federale vera; sono convinto altresì che anche i controlli fiscali dovrebbero essere molto più utilmente decentrati, addirittura ai comuni in molti casi, e bene avrebbero fatto a prevederlo in passato. Probabilmente avremo meno casi scandalosi di evasione fiscale dell'ordine di centinaia di miliardi che oggi vengono mascherati da finte rivolte antifisco. Il fatto che evasori fiscali totali, non piccoli evasori, per centinaia di miliardi oggi facciano la rivolta contro la Guardia di finanza è equivalente alla rivolta dei mafiosi contro i carabinieri. Questa è la logica perversa di chi è illegale ed è contro lo Stato, contro le leggi, anche quelle comunali e locali. Credo quindi che su tale questione sia indispensabile una posizione ferma del Governo che significa decentrare ciò che è possibile decentrare.
La richiesta che rivolgo al nuovo Governo, ovviamente da sostenitore in quanto mi sono impegnato nella campagna elettorale a favore della coalizione dell'Ulivo, è in particolare quella di dare concretezza ai principi che il Presidente del Consiglio ha enunciato subito dopo la sua elezione ed anche prima, quando ha introdotto un elemento che noi del gruppo dei verdi abbiamo utilizzato moltissime volte al sud durante la campagna elettorale. Abbiamo sostenuto infatti che nel meridione non occorrono regalie, Casse del mezzogiorno ed assistenzialismo, ma un serio


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progetto di sviluppo. Il Presidente Prodi lo ha identificato bene, quando ha chiarito cosa può essere una Florida o una California degli Stati Uniti d'Europa. Vorrei sottolineare che la Florida era un paese povero degli Stati Uniti d'America finché non ha avuto una propria capacità di sviluppo grazie alla quale ha valorizzato le reali risorse territoriali.
Noi chiediamo in modo esplicito e chiaro al nuovo Governo che vi sia un intervento serio in tutta Italia, perché si aiutino gli sviluppi autocentrati, che dovrebbero essere molto cari a chi crede nel federalismo, rivalutando le risorse proprie, le capacità reali e produttive delle diverse zone del paese. In particolare chiediamo che l'investimento non si traduca in regalie di denaro, ma in condizioni reali di sviluppo possibile, proprie delle diverse realtà del paese.
Mi soffermerò su questo punto perché la richiesta che da sempre abbiamo avanzato, non solo come verdi, ma più in generale come meridionali, è che quando si parla di Florida o di California ci si riferisca allo sviluppo dei beni culturali, grande patrimonio del nostro paese, che non ci costringa ad assistere mai più a vicende gravissime come quella della cattedrale di Noto, sulla quale si è discusso troppo tardi.
Vi sono altri progetti, come ad esempio quelli relativi all'agricoltura. Ho partecipato alla manifestazione degli agricoltori italiani tenutasi ieri a Napoli, durante la quale si è chiesto - almeno io ho interpretato così - di non sottostare più a meccanismi perversi, come l'ex AIMA, o a logiche clientelari utilizzate ugualmente al nord, al centro e al sud del paese in modo perverso, bensì di raggiungere un serio sviluppo di un'agricoltura che può essere di qualità. Il mercato tedesco, per esempio, ha un'elevata richiesta di produzione biologica, mentre noi non riusciamo ad avere capacità di esportazione pur in presenza di clima e risorse in grado di realizzare una grande produzione nel settore. Dobbiamo essere competitivi sulla qualità.
Credo che questo discorso valga anche per il rilancio del turismo, valga anche per i problemi dello spettacolo, per tutto ciò che riguarda il rilancio di una capacità produttiva; altrimenti si rimane nella logica degli slogans piuttosto che delle proposte.
Queste sono alcune delle richieste.
Non possiamo non essere contenti come verdi, non posso non essere contento come deputato dell'Ulivo di assistere all'inizio di un difficilissimo compito che è quello di cominciare ad attuare l'ampio programma di iniziative che la coalizione dell'Ulivo ha posto in essere; credo però che l'obiettivo nei primi mesi di governo di questa coalizione sia sicuramente quello di dare un segno forte rispetto alla lotta al grande spettro della disoccupazione e della sottoccupazione, diffusissima nel nostro paese. Credo che sull'argomento il Mezzogiorno d'Italia, ma forse l'intero paese, si aspetti interventi immediati per liberare la nostra economia. Abbiamo bisogno di ridurre e di semplificare le leggi (dalle 150 mila alle 15-20 mila al massimo) e chiediamo che coloro che - giovani e meno giovani - vogliano intraprendere iniziative non trovino nella cosa pubblica degli ostacoli, ma trovino la possibilità di ricominciare ad avere vera libertà; solo così creeremo un grande paese e riusciremo ad ottenere lavoro per tutti e un vero federalismo che superi la logica delle barzellette e faccia dell'Italia una Repubblica federale italiana come quella tedesca (Commenti del deputato Roscia)... una Repubblica federale italiana come quella tedesca, che ha addirittura la polizia regionale dei L-nder.
Credo che la Germania, per rendersi più forte a livello europeo, abbia deciso l'unificazione con la realtà più debole del suo paese e non certo la secessione! Ecco perché ritengo che dobbiamo mirare ad una grande Repubblica federale, composta appunto magari da una repubblica veneta, lombarda e piemontese, ma non certo da un'inesistente, nella storia e nella tradizione dei popoli, Padania che in Italia non è mai esistita e non esisterebbe in ogni caso (Applausi - Commenti del deputato Roscia).


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Valensise. Ne ha facoltà. Le ricordo che ha quindici minuti a disposizione.

RAFFAELE VALENSISE. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, l'onorevole Prodi, all'inizio del suo discorso pronunciato al Senato ha affermato: «L'esecutivo vuole essere il Governo di tutti». E più avanti ha detto: «Occorre cominciare ad affrontare le urgenze del paese con una strategia di grande respiro, per collegare l'indispensabile risanamento della finanza pubblica con una credibile prospettiva di sviluppo economico, sociale e civile». E infine ha aggiunto: «L'unità nazionale è fuori discussione. Ciò che invece è in discussione è la forma dello Stato».
Noi riteniamo che la forma dello Stato possa e debba essere studiata, ammodernata, resa conforme al bisogno di partecipazione che è proprio di questi tempi. Un bisogno di partecipazione che per lo schieramento politico di alleanza nazionale è oggetto di riflessione da tanti anni; la volontà, la necessità di partecipazione è una tradizione culturale anche del vecchio movimento sociale italiano.
Noi quindi, signor Presidente del Consiglio, stiamo ad aspettare, augurandoci che, quando si afferma che l'unità nazionale è fuori discussione e quando si discuterà (se ciò avverrà) di riforma della forma dello Stato, non si dimentichino mai i principi della responsabilità e della solidarietà all'interno della nazione. Sono due principi cardine dai quali non si può decampare, nel segno dell'unità nazionale o della nazione unitaria che sta a cuore a tutti. Le parole federalismo, decentramento, autonomia, e quant'altro, passano come le mode, ma le esigenze di fondo della nostra civiltà, di questo nostro momento storico sono tali da indurci ad attendere la sua azione con occhio critico, vigile.
Noi invochiamo, soprattutto per il Mezzogiorno, la necessità di una unità nazionale che si confermi e si sostanzi nell'affrontare le urgenze del paese in termini di strategia di grande respiro sociale ed economico. Un deputato meridionale dell'estremo sud le dice, signor Presidente del Consiglio, che non è possibile andare avanti in questo modo perché nell'interesse, non del Mezzogiorno, ma della stessa funzione dell'intera Italia nel Mediterraneo e nell'Europa, è indispensabile, urgente ed indilazionabile che il Governo affronti il problema delle grandi infrastrutture meridionali. Mi riferisco, per esempio, alle infrastrutture ferroviarie.
La ferrovia tirrenica avrà (o avrebbe, secondo disegni che condividiamo solo parzialmente) il segno dell'alta velocità, ma a noi basterebbe che fosse potenziata. A noi basterebbe che, accanto o prima dell'alta velocità, venisse cancellata la vergogna della ferrovia ionica da Reggio Calabria a Taranto! Parlo di vergogna perché si tratta di una ferrovia che ha 120 anni e che, pur avendo un profilo altimetrico facilissimo, pianeggiante, con poche opere, non si riesce ad elettrificare e a raddoppiare. Ciò consentirebbe di realizzare la vera grande longitudinale italiana che, congiungendosi alla linea adriatica, possa veramente avvicinare il centro del Mediterraneo (la parte estrema della penisola italiana con la Sicilia) all'Italia centrale e all'Europa meridionale, centrale e settentrionale. Si tratta, quindi, di una urgenza improrogabile, perché con tale linea ferroviaria si avvierebbe la cancellazione delle diseconomie di scala, delle diseconomie locali, che è la precondizione per lo sviluppo del Mezzogiorno. Si può investire quello che si vuole, ma quando i prodotti del Mezzogiorno d'Italia che hanno costi elevati e prezzi deboli, come gli agrumi della Sicilia e della Calabria, devono raggiungere su mezzi gommati i mercati del centro e del nord d'Europa, essi arrivano fuori mercato. Così la crisi del Mezzogiorno continua ad essere endemica e vengono frustrati i disegni, i sogni o le assicurazioni (di cui lei stesso, signor Presidente del Consiglio, si è fatto portatore) di uno sviluppo economico che rompa con il vecchio e costruisca prospettive nuove.
Oltre al problema delle ferrovie vi è poi quello delle strade e delle autostrade. Il


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Mezzogiorno soffre di una crisi stradale ed autostradale che non è tollerabile e che si collega alla crisi delle ferrovie. Essa deve essere affrontata con mezzi straordinari, con prestiti internazionali; non è possibile rimanere silenti ed inoperosi di fronte alla condizione miserevole di debolezza strutturale delle infrastrutture che caratterizza l'Italia meridionale nella sua funzione di centro del Mediterraneo. Una centralità mediterranea che è stata finalmente scoperta dal mercato, come si dice adesso; si è scoperto che il porto di Gioia Tauro è equidistante da Suez quanto Gibilterra. Il transhipment, il nuovo modo di procedere dei traffici transoceanici, necessita quindi, al centro del Mediterraneo, di un porto di arrivo preferibile a quelli continentali di Amburgo o di La Spezia. È la geografia che ci insegna queste cose e che disegna le grandi correnti di traffico che saranno protagoniste dello sviluppo e dei consumi dei prossimi decenni.
Tanto più, signor Presidente del Consiglio, che come ella sa benissimo le rive del Mediterraneo sono interessate da una bomba demografica che coinvolge centinaia di milioni di uomini, per ora solo consumatori ma che dovranno essere anche produttori (questa è la realtà demografica, che per noi cattolici non è mai un'emergenza, giacché la vita è la vita e va affrontata con tutti i problemi che comporta tenendola nel dovuto conto). Riteniamo che questa enorme platea di consumatori, che diventeranno produttori, aumentando i propri consumi, debba essere assistita ed utilizzata dall'Italia che deve sfruttare la propria posizione al centro del Mediterraneo, a metà strada tra Suez e Gibilterra. Sono queste le scelte che possono davvero avviare il cambiamento, che non sono al di sopra della realtà e che vanno affrontate con grandezza di idee, senza municipalismi ristretti e senza immiserire le questioni nazionali in favore di questa o quell'altra autonomia.
Signor Presidente del Consiglio, il Mezzogiorno merita tutto questo perché non ha mai fatto i conti. Neppure in questa Camera abbiamo fatto i conti quando nel Mezzogiorno fummo vittime dei famosi decreti Stammati di finanza derivata per gli enti locali. Tali decreti provvedevano al finanziamento degli enti locali del Mezzogiorno e tenevano conto della spesa storica che era alta nella sua Bologna, signor Presidente, e miserrima nei poveri comuni della Sardegna, dell'Italia meridionale e della Sicilia! In base alla spesa storica quella finanza derivata ha perpetuato le condizioni di disagio e di debolezza degli enti locali del Mezzogiorno. È presente il ministro Bassanini, che sa come abbiamo sempre fatto inutilmente questi discorsi. Egli era allora all'opposizione e ci trovavamo insieme a denunciare fatti di questo genere. Se si vuole cambiare bisogna tenere conto di queste contabilità; dovrebbero farlo anche i colleghi di una certa parte politica che favoleggia di secessioni! Si tratta di anni ed anni di finanza derivata per gli enti locali durante i quali i flussi erano commisurati alla spesa storica in danno del Mezzogiorno d'Italia! Per questo mi permetto non di alzare la voce, ma di sottolineare, anche con la voce, l'importanza e la drammaticità di tali problemi a monte e a valle dei quali c'è il riscatto non del Mezzogiorno, ma dell'intera penisola. Quando, infatti, il Mezzogiorno procederà al massimo della produttività e sarà dotato di strutture ed infrastrutture viarie, ferroviarie ed aeroportuali di livello europeo che gli consentiranno di mantenere i livelli della concorrenza sfruttando il clima e la mitezza delle stagioni in gara con l'Europa, il problema del meridione rappresenterà soltanto un ricordo.
In quel momento il Governo, lo Stato, avranno cominciato a fare una piccola parte del loro dovere nei confronti delle popolazioni del Mezzogiorno, di questa parte tanto benemerita quanto trascurata della nostra nazione.
Signor Presidente del Consiglio, noi la sorveglieremo, la talloneremo. Le faccio anche una proposta concreta. Per avviare il porto di Gioia Tauro la Camera, in occasione dell'esame e dell'approvazione della legge finanziaria per il 1995, ha approvato un ordine del giorno a firma del sottoscritto e dei colleghi Napoli, Aloi, Basile, Colosimo e Falvo, che impegnava il


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Governo a provvedere con immediatezza alla soluzione di tre o quattro problemi concernenti il porto e la costituzione di una zona franca indispensabile per i transhipment, per il carico e lo scarico delle merci da una nave all'altra di diverse dimensioni. Tale ordine del giorno è stato approvato dalla Camera e a quella risposta positiva dell'Assemblea ne è corrisposta una non negativa da parte del ministero interessato. Noi affidiamo ai primi giorni di attività del suo Governo questo problema, come anche quello delle infrastrutture che sono a monte del porto di Gioia Tauro e ne condizionano l'immediato sviluppo e funzionamento in relazione al transhipment. Non pronunciamo queste richieste come una sfida, ma ci aspettiamo che un Governo, il quale dispone del viatico di un ordine del giorno approvato quasi all'unanimità dall'Assemblea della Camera, possa superare ritardi burocratici e dare luogo a quelle realizzazioni a brevissimo termine che costituirebbero un forte incentivo per il lavoro di migliaia di disoccupati i quali attendono che il porto di Gioia Tauro entri in funzione, perché tutto il comprensorio, tutta la provincia di Reggio Calabria e la stessa regione calabra ne traggano un immediato beneficio.
Dal punto di vista politico generale, signor Presidente del Consiglio - e mi avvio alle conclusioni -, noi saremo all'opposizione, con animo vigile, quotidianamente vigile. Saremo all'opposizione perché non discutiamo le sue intenzioni, ma ci permettiamo di discutere la possibilità che esse si traducano in realtà, visto il modo contraddittorio con cui la maggioranza si è formata e vista la desuetudine - non voglio dire altro - di certe impostazioni, non più praticabili alle soglie del 2000, le quali caratterizzano il vostro ampio schieramento, che ha zone di respiro ed altre di respiro più ridotto, che certamente condizioneranno il lavoro della compagine. Tale lavoro noi seguiremo, talloneremo, denunzieremo nelle sue carenze e nei suoi ritardi, come è nostro dovere di oppositori, e come è d'obbligo per una forza politica che ha fatto della proposta una bandiera, una significativa espressione quotidiana del lavoro politico. Noi opereremo, signor Presidente, nell'interesse della nazione, una, di tutti gli italiani, dalle Alpi al Mediterraneo, alla Sicilia. Opereremo nel segno delle grandi tradizioni, delle grandi possibilità e delle grandi prospettive che si possono aprire per il popolo italiano sol che si metta mano ai suoi problemi con spirito unitario e con altissimo senso del dovere: saremo implacabili nel denunziare carenze e contraddizioni.
Avete un compito grave, che il popolo italiano, a maggioranza, vi ha conferito; vi aspettiamo, non voglio dire al varco, ma al lavoro, per giudicarvi. Per adesso, la nostra prognosi è riservata e quindi ritengo che il nostro voto dovrà essere criticamente negativo, perché non riteniamo che una compagine così variegata possa avere, nonostante tutte le buone volontà, quella funzionalità e quella capacità di azione politica che le urgenze del paese, della nostra patria, avrebbero meritato, ma che non sono state volute dalla maggioranza, sia pure da quella maggioranza aritmetica dei seggi e non degli elettori che si è espressa il 21 aprile scorso (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lucà. Ne ha facoltà. Le ricordo, onorevole Lucà, che ha a disposizione quindici minuti per svolgere il suo intervento.

MIMMO LUCÀ. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi deputati, vi sono, nelle dichiarazioni del Capo del Governo, il volto di una coalizione ed il profilo di un impegno programmatico che fanno emergere una nuova speranza per questo paese: quella della possibilità di avere finalmente un buon Governo ed un lungo periodo di stabilità, nel corso del quale si possa costruire con pazienza ed intelligenza l'edificio lesionato della Repubblica; un periodo lungo il quale si realizzino le grandi riforme di cui ha bisogno la nostra democrazia.
La coalizione dell'Ulivo e le forze che hanno deciso responsabilmente di sostenere


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questo impegno si avviano, dunque, a realizzare un'impresa per la quale vi sono, nel paese, attese e speranze diffuse ed esigenti, che non possono essere deluse. Abbiamo più volte parlato di Italia solidale, ora è il momento di dimostrare cosa siamo capaci di fare per avere un paese in cui il lavoro non sia un lusso, i servizi sociali funzionino e producano benessere, la famiglia venga promossa e valorizzata, la criminalità organizzata venga efficacemente contrastata, la pubblica amministrazione venga finalmente rivoluzionata nel senso del federalismo e della semplificazione, i diritti dei più deboli vengano salvaguardati. Parliamo di un paese che investe nella scuola perché crede nelle energie vitali dei giovani, che guarda agli anziani come ad una grande ed inesauribile risorsa, un patrimonio di esperienze, di responsabilità civile, di solidarietà familiare; un paese infine che ribadisce con forza il legame che unisce l'intero territorio ed il suo stesso popolo negli ideali di libertà e di solidarietà, che possono essere rigenerati in questa difficile fase di transizione e di rinascita ma mai rinnegati o misconosciuti. Parliamo allora di politiche di solidarietà, di misure concrete in grado di aggredire con vigore ed efficacia le domande di quella parte del paese che ogni giorno deve fare i conti con i problemi della mancanza di reddito e di lavoro.
Questo vuol dire, ad esempio, ora che si avvicina la discussione sulla finanziaria, passare da una azione di risanamento ad una strategia di riforme, mantenere salda e vigile l'attenzione ai mercati finanziari e, nel contempo, dedicare un po' di attenzione in più a quello che accade nei mercati dove le famiglie italiane con redditi medi e medio-bassi fanno quotidianamente la spesa con difficoltà ed inquietudini crescenti; rilanciare la grande questione dell'equità, della redistribuzione della ricchezza e del lavoro. E tutto questo significa disegnare una strategia che consenta al paese, al Mezzogiorno in primo luogo, di superare una condizione storica di fragilità, di arretratezza; significa infine che l'intera politica economica deve porsi obiettivi più ampi e più ambiziosi del semplice aggiustamento dei conti pubblici. Sono ormai necessari, infatti, interventi significativi di sostegno delle fasce sociali più deboli della popolazione.
Da questo punto di vista, signor Presidente, ci preoccupano, anche se non ci stupiscono affatto, le voci anche autorevoli che ancora in questi giorni sollecitano il Governo ed il Parlamento ad assumere misure di revisione della riforma delle pensioni nel senso di una più radicale riduzione della spesa previdenziale, quale via più efficace per il raggiungimento degli obiettivi europei. Diciamo subito che sono sollecitazioni da rispedire al mittente. Non vi è traccia di alcuna disponibilità nella sua relazione a tale proposito, e questo è un bene.
Il Governo e la maggioranza che lo sostiene sapranno assicurare gli equilibri di bilancio del sistema ridisegnato dalla riforma del 1995, la sua sostenibilità finanziaria, il suo carattere pubblico ed universalistico. Adesso occorre dare corso alle deleghe previste dalla legge senza cedimenti e senza venir meno al patto sottoscritto con gli elettori in ordine alle garanzie di intangibilità del complesso sistema di protezione previdenziale. Ricordiamolo: l'Italia ha bisogno di stabilità e di pace sociale, non di riaprire conflitti sociali o di provocare lacerazioni insanabili e pericolose nel rapporto tra cittadini ed istituzioni!
Il rapporto annuale dell'ISTAT indica che il 10 per cento delle famiglie italiane si trova in condizioni definite al di sotto della soglia minima di benessere e cioè vive al puro livello di sussistenza. In cifre assolute stiamo parlando di due milioni e mezzo di famiglie, di sei milioni di persone. Oltre un milione di bambini (uno ogni sette) vive in Italia in condizioni di povertà e il numero di bambini poveri è all'incirca equivalente al numero di anziani poveri. Stiamo parlando di un paese ricco dove sciaguratamente c'è un numero troppo alto ed inaccettabile di poveri ed in cui stanno crescendo in misura intollerabile le diseguaglianze.
Signor Presidente, vi è un passaggio delle sue dichiarazioni programmatiche


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che ha suscitato molti commenti. Il nostro capitalismo - ha detto - vive ancora in stanze chiuse e ha perciò bisogno di aria nuova, di nuovi protagonisti, di nuove regole. Condivido senza riserve questa sua convinzione, ma allo stesso tempo avverto l'esigenza di aggiungere che il mercato produce problemi ai quali non è in grado, da solo, di dare soluzioni. Sono problemi che possono essere affrontati soltanto con l'intervento della responsabilità politica, con l'azione di un soggetto pubblico in grado di indirizzare e di programmare.
Ma oggi occorre alleggerire lo Stato di compiti e funzioni improprie ed affrontare una delle emergenze più acute emerse nel corso di questi anni: la riforma della pubblica amministrazione, nella prospettiva del federalismo cooperativo e solidale e nella più completa attuazione del principio della sussidiarietà.
Ciò potrà avvenire solo con la gradualità di un processo che può partire da subito nelle sfere di competenza del Governo per proseguire in misura ancora più sostanziale con le riforme istituzionali e costituzionali. Questo Parlamento può avviare rapidamente e portare al termine proficuamente tale processo.
Non servono altre soluzioni che comporterebbero, oltre tutto, un'imperdonabile perdita di tempo ed un'inutile e pericolosa duplicazione di sedi istituzionali e di poteri costituenti. È essenziale a questo scopo l'impegno di tutte le parti politiche, la sensibilità, l'intelligenza e la competenza di tutte le componenti di questo Parlamento, anche di coloro, onorevole Pivetti compresa, che sembrano aver dimenticato troppo presto di aver ricevuto dagli elettori il preciso mandato di compiere il proprio dovere a partire dalla necessaria opera di riforma e di innovazione della forma dello Stato e delle sue istituzioni nell'ambito dell'unico Parlamento della Repubblica italiana.
Ma i fenomeni di esclusione, di emarginazione, di povertà sono sempre più spesso provocati dalla mancanza di lavoro. Qui davvero vi sono le ragioni per dare vita ad un urgente patto per il lavoro nel quale si possano riconoscere le responsabilità del Governo e del Parlamento, delle forze sociali e delle imprese.
Occorrono politiche finalizzate alla riduzione del debito, allo spostamento di risorse pubbliche verso impegni produttivi, alla riforma del mercato del lavoro, all'agevolazione del lavoro parziale, alla riforma del sistema formativo, al riconoscimento della possibilità di creare nuove opportunità di lavoro nello sviluppo dei servizi alla persona, di cura dell'ambiente e dei beni culturali.
Ma tutto questo ancora non è sufficiente. Abbiamo bisogno di operare su una diversa modulazione dei tempi (quindi dell'orario) di lavoro ed anche di una diversa ripartizione dello stesso, modi e criteri per la concreta attuazione della quale dovranno essere affidati, in gran parte, alla contrattazione e alle varie forme di concertazione possibile tra le parti sociali.
La questione è, appunto, il lavoro, ma con esso la distribuzione equa e solidale della ricchezza prodotta ed una maggiore democrazia economica. Allora, signor Presidente, noi avremmo trovato conseguente e naturale un suo cenno preciso e propositivo riguardo agli impegni ed al ruolo che questo Governo intende assumere nel sistema della imprenditoria cooperativa.
La cooperazione italiana, che pure necessita di una serio processo di riordino, al quale si dovrà presto porre mano, comunque rappresenta un elemento decisivo rispetto all'ampliamento dei soggetti imprenditoriali e, sul versante dell'occupazione, è addirittura l'unico sistema che interviene con una quota di risorse proprie sottratta agli utili di ogni azienda per sostenere la creazione di nuove imprese e di nuovo lavoro.
Dunque, la questione del lavoro non riguarda solo l'economia di mercato, ma anche l'economia sociale, la valorizzazione dei soggetti impegnati in attività ed in settori di pubblica utilità. Sono soggetti in cui si registra una costante crescita delle opportunità di lavoro; sono i settori ai quali si riferiva Delors, ai quali rimanda oggi la Comunità europea.
Uscire dalla disoccupazione è possibile solo governando strategie complesse attraverso


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un uso creativo delle istituzioni finalizzato al sostegno e alla valorizzazione di quelle organizzazioni che, operando senza fini di lucro, producono beni e servizi di pubblica utilità con risultati significativi anche sotto il profilo economico ed occupazionale.
Il Governo da lei presieduto annovera tra i suoi componenti un ministro per la solidarietà sociale. È un fatto nuovo e di grande interesse, nel senso che, pur essendo - come io credo - tutto il programma del suo Governo seriamente animato da un impianto culturale che fa del valore della solidarietà uno dei cardini culturali più significativi, quel ministero potrà svolgere una funzione di orientamento e di stimolo per l'intero Consiglio dei ministri in ordine alla soluzione dei grandi temi della questione sociale, a condizione però che si assegnino poteri reali e di coordinamento effettivo, ad esempio anche in riferimento al tema dell'immigrazione, una delle emergenze che il Governo ed il Parlamento dovranno affrontare contemperando esigenze di legalità e spirito di tolleranza e di accoglienza, in un contesto di piena collaborazione tra autorità ed istituzioni civili, associazioni e comunità di volontariato laico e religioso.
Nuove politiche per una solidarietà vera, non solo celebrata a parole, che promuove e realizza giustizia: questa è la scommessa che abbiamo di fronte e a cui siamo chiamati tutti. C'è un gran bisogno di novità anche per quanto riguarda il rilancio e la riforma di quella che lei stesso ha definito la più grande conquista di questo secolo, lo Stato sociale. Lo Stato sociale va riformato, riqualificato, rigenerato. Equità ed efficienza non solo non rappresentano una antinomia insanabile ma devono potersi integrare. Occorre procedere tenendo ovviamente conto dei vincoli di bilancio, ma anche delle esigenze di equità e di protezione sociale, soprattutto per i più deboli. Conveniamo, quindi, con le indicazioni contenute nel programma, anche per ribadire che servizi, sanità, previdenza, assistenza, valorizzazione del terzo settore rappresentano altrettanti capitoli per la riqualificazione delle politiche sociali. In questo senso esprimo qui l'auspicio che venga al più presto ripresentato ed approvato il disegno di legge sulle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, che venga completata la normativa di riconoscimento del terzo settore con l'approvazione della legge sull'associazionismo sociale e, visto che ci sono, che si giunga finalmente alla riforma della legge sull'obiezione di coscienza.
Signor Presidente, nella sua relazione vi è uno spazio importante dedicato alle politiche per la famiglia. Noi non siamo tra coloro che si rammaricano a causa della scomparsa del riferimento alla famiglia nella dizione formale del ministero affidato alle responsabilità dell'onorevole Livia Turco; non lo siamo perché a noi interessa la sostanza e questa pensiamo sia contenuta là dove ha detto con chiarezza estrema che la famiglia sarà il soggetto fondamentale dell'azione di Governo, intorno al quale coordinare le politiche di numerosi dicasteri. Ma il Parlamento, mi creda, non starà a guardare. Noi - le parlo per l'impegno che potrà essere garantito dal gruppo della sinistra democratica e, più in particolare, da parte dei deputati cristiano-sociali, che in esso si riconoscono pienamente - intendiamo sostenere con lealtà e partecipazione convinta lo sforzo che il suo Governo si appresta ad affrontare con sollecitazioni e proposte.
Occorre l'attivazione combinata di una pluralità di strumenti: misure di sostegno economico alle responsabilità familiari, servizi sociali, politiche per la casa, misure di sostegno ai nuclei familiari tese a rovesciare il drammatico declino della natalità, politiche fiscali, interventi per la compatibilità del lavoro sociale con il lavoro domestico, la valorizzazione delle reti di solidarietà e di mutuo aiuto e dell'associazionismo familiare.
Mi consenta, infine, Presidente, di richiamare la sua attenzione sul problema della libertà religiosa. Si rende necessaria l'immediata convocazione della commissione per le intese con le confessioni acattoliche, dando un segnale importante nella direzione dell'integrazione nello Stato di tutte le confessioni religiose, secondo


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quanto recentemente sostenuto dal Presidente della Repubblica.
Politiche di solidarietà vuol dire, per concludere, politiche generali, buon governo, leggi sagge ed amministrazione efficiente e trasparente, ma significa anche attenzione e sollecitudine per i più deboli. È quanto ci è raccomandato dalla Costituzione, laddove libertà, giustizia, democrazia e solidarietà si saldano e costituiscono un riferimento indissolubile, diventano un patto vincolante perché condiviso.
Auguri, signor Presidente, e buon lavoro (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giovanardi, al quale ricordo che ha a disposizione dieci minuti. Ne ha facoltà.

CARLO AMEDEO GIOVANARDI. Onorevole Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, voglio partire da una famosa affermazione del Presidente del Consiglio su La Repubblica del 13 dicembre 1995: «Dalla sinistra improbabile di rifondazione ci divide tutto, tranne la simpatia di Bertinotti. Gli elettori vogliono coerenza, quindi niente patti di desistenza, non sarebbero onesti. È un problema di decenza politica». Questa maggioranza, pertanto, secondo lei, signor Presidente, è figlia di una scelta disonesta e politicamente indecente: la desistenza tra l'Ulivo e rifondazione comunista.
Il Polo delle libertà, come è noto, ha pagato un altissimo prezzo per risolvere la questione democratica nel nostro paese: la scissione di Rauti è costata politicamente lacrime e sangue ad alleanza nazionale ed a tutto il Polo, anche in termini di seggi; ma ne è emersa la limpidezza della scelta democratica del Polo (Applausi).
Nulla di tutto questo nel centro-sinistra. Credo che neppure in Polonia ed in Russia gli ex comunisti si vantino ancora di essere tali, ma hanno cambiato nome e dicono di essere diversi dal passato. La conseguenza di questa contraddizione, come dimostra il suo discorso programmatico, che non poteva non essere (e il mio può valere come un complimento) «sotto vuoto spinto», è la paralisi delle prospettive del suo Governo, il quale per vincere ha dovuto conciliare l'inconciliabile. In teoria l'equilibrismo da lei escogitato per risolvere queste contraddizioni avrebbe dovuto essere chiaro: secondo il vecchio sistema della lottizzazione, la cura delle cose materiali ai poteri forti, ben rappresentati nel Governo, la cura delle anime al partito democratico della sinistra (dalla scuola alla cultura, alla società), la cura della protesta a rifondazione comunista. Queste suddivisioni però funzionano soltanto a tavolino e diventano ancora più complicate quando nella maggioranza convivono altre culture, come quella dei verdi, fortemente antagoniste rispetto ad altre presenti nel centro-sinistra. Non so ancora se la camionabile di valico che collega Emilia e Toscana verrà realizzata o no, perché nella maggioranza, com'è noto, vi sono divisioni profonde riconfermate oggi nel merito.
Di certo nel suo Governo vi sono pastori d'anime di grande e provata professionalità: circa metà della delegazione del partito democratico della sinistra nel Governo Prodi è formata da funzionari di partito, da sempre temprati a tempo pieno e senza distrazione alcuna alla lotta politica. Così c'è da domandarsi da una parte cosa intendesse la Conferenza episcopale italiana quando lo scorso anno denunciava l'egemonia marxista nella scuola e nella cultura italiana, egemonia oggi rafforzata e resa totalizzante anche nel Governo con l'aiuto del partito popolare e, dall'altra, chi oserà ancora denunciare, come ha fatto la grande stampa e la pubblicistica negli ultimi anni, l'occupazione dello Stato da parte dei partiti, quando è passata quasi inosservata anche alla grande stampa l'occupazione del Governo da parte di una nomenklatura professionale e a tempo pieno del partito democratico della sinistra. Non c'è paese al mondo dove essa è presente contemporaneamente alla vicepresidenza del Consiglio, al Ministero dell'interno, al Ministero degli esteri, a quello del tesoro, al Ministero dell'ambiente e a quello dell'agricoltura, al Ministero delle poste e al Ministero dell'industria. Se poi


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consideriamo anche i Ministeri del tesoro e del lavoro, dove sono presenti sindacalisti, ci rendiamo conto (si può consultare La Navicella) che si tratta di funzionari di un solo partito. Non ho idee preconcette contro i funzionari di partito, voglio solo capire in che modo nel nostro paese siano stati demonizzati tutti gli altri partiti e chi faceva politica anche senza essere funzionario per poi arrivare comunque a questo risultato.
Appare davvero grottesca, signor Presidente, la sua affermazione (che ho annotato) espressa al termine della campagna elettorale qui a Roma relativamente ai mercenari del Polo che non potranno mai prevalere sui volontari dell'Ulivo. Da uno come me, che ha personalmente attaccato migliaia di manifesti per permettere ad altri, che non hanno mai perso un minuto del loro prezioso tempo per il volontariato... (Commenti). Certo, con il mio lavoro ho permesso di fare i ministri e i presidenti dell'IRI a persone che hanno utilizzato il lavoro dei volontari.
A tale proposito mi torna in mente la lezione antica di Orwell ne La fattoria degli animali circa l'uso spregiudicato che si fa da parte dei professionisti della politica, che comunque ottengono i benefici dell'entusiasmo degli sprovveduti volontari.
Signor Presidente, per la terza volta di seguito una legislatura repubblicana nasce profondamente segnata dalla questione giudiziaria, dal rapporto patologico fra magistratura e politica. Non posso dimenticare che, più che i mitici volontari di cui lei così enfaticamente parlava, abbia contribuito alla vittoria dell'Ulivo l'azzeramento di forze politiche storicamente antagoniste alla sinistra nel nostro paese. È già possibile tracciare un consuntivo di quanto è successo, un'opera di moralizzazione giusta e opportuna, ma quanti casi, da Darida a Rojch, a Pizzi, a Conti ad Adamoli, al caso della Sardegna, agli amici dell'Abruzzo, quante persone finite in carcere, distrutte moralmente e fisicamente insieme ai loro partiti e poi prosciolte da ogni accusa! Ciò è accaduto dove questi partiti erano in maggioranza e dove in minoranza; in Toscana sono stati incarcerati dal segretario regionale della democrazia cristiana di allora al vicesindaco di Firenze, tenuti in carcere per settimane e per mesi e poi, poco tempo fa, prosciolti da ogni accusa.
L'onorevole Rojch è addirittura finito in carcere, in isolamento, per un discorso pronunciato in quest'aula del Parlamento, con il quale chiedeva finanziamenti per la Sardegna! E ciò è stato indicato nel mandato di cattura come associazione per delinquere, perché sarebbe stato colui il quale procurava alla Sardegna i fondi su cui poi, «a valle», sarebbero state fatte malversazioni.
Allora, signor Presidente del Consiglio, il vero pericolo è che l'accanimento, un tempo esercitato verso i partiti di maggioranza, si rivolga oggi nei confronti degli oppositori; è un pericolo che ho denunciato e documentato anche nell'incontro che abbiamo avuto con il Capo dello Stato, come rappresentanti del Polo delle libertà.
Non si possono usare, allora, due pesi e due misure.
Ricordo che nel corso di una conferenza stampa abbiamo richiesto - lo ripeto in questa sede - le dimissioni del sottosegretario Bargone, perché non è possibile che in questo paese alcuni accusati dai pentiti finiscano in carcere ed altri, accusati dai partiti, diventino sottosegretari! Chiediamo al Presidente della Camera che tolga la segretazione degli atti depositati presso la Commissione antimafia. Vogliamo sapere esattamente che cosa ha detto quel pentito e quali accuse circostanziate ha fatto, perché non si può lasciare a cuor leggero un ministero di quel tipo - e con il Giubileo in arrivo - se non si è chiarito... Si è sempre detto: se uno finisce in carcere, se uno viene inquisito, la giustizia faccia il suo corso. Esattamente: faccia il suo corso ma, nel frattempo, in attesa di chiarire queste situazioni, non si ricoprano incarichi di questo tipo!
Signor Presidente, noi faremo comunque il nostro dovere, con pacatezza e determinazione, nella difesa dei nostri valori e nella piena esaltazione dei princìpi del bipolarismo. Ognuno si assumerà la propria


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responsabilità, senza sconti e senza cedimenti alle «sirene» del coinvolgimento, per esempio sulla scuola. Con riferimento a tale settore, devo dire che noi non ci sposteremo dal recente insegnamento della Corte costituzionale che ha identificato nella famiglia il titolare della libertà di scelta scolastica: o con il buono scuola, o con la defiscalizzazione. E diciamo fin d'ora che non aderiremo all'idea delle convenzioni liberticide e clientelari del modello emiliano, che non servono per dare libertà alla scuola, ma per renderla subalterna al potere locale e regionale. Noi siamo per la libertà delle famiglie di scegliere...
Una voce dai banchi del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo: Stai zitto!

CARLO AMEDEO GIOVANARDI. Non siamo per queste scelte di potere.

ADRIANO VIGNALI. Ma cosa dici? Stai straparlando!

CARLO AMEDEO GIOVANARDI. Se avrete la maggioranza, votatevele!

PRESIDENTE. Colleghi, lasciamo parlare l'onorevole Giovanardi!

CARLO AMEDEO GIOVANARDI. Noi siamo per l'allargamento delle libertà, non per la costruzione di sistemi di potere!
Aspettiamo con curiosità di vedere con quale Prodi dovremo confrontarci: con quello che nel dicembre 1994 bollava con parole di fuoco, assieme al professor Baldassarre (andatevi a leggere l'Avvenire), l'accordo tra Berlusconi e i sindacati, affermando che quell'accordo era una truffa ai danni delle giovani generazioni e che erano state sacrificate le generazioni future agli interessi ultragarantiti degli ultracinquantenni; oppure con quello che, qualche mese dopo, applaudiva l'accordo al ribasso tra Dini e i sindacati, che accentuava quei difetti, e che ora ha scelto di governare - attenzione! - con i voti determinanti di rifondazione comunista, che ha contestato in quest'aula su tutta la linea anche quella riforma pensionistica, definendola assolutamente insufficiente anche se si trattava di una «riformetta»? Con quale Prodi dovremo confrontarci? E con quale maggioranza darà una risposta a questi problemi del paese? Vedremo!
È con questo spirito di pacatezza e di determinazione che noi svolgeremo, signor Presidente, il ruolo che, non gli elettori ma questo sistema elettorale, ci ha assegnato (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU, di forza Italia e di alleanza nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Aprea, alla quale ricordo che dispone di cinque minuti. Ne ha facoltà.

VALENTINA APREA. Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli ministri, colleghe e colleghi, nel mio intervento farò riferimento alla politica scolastica.
Non vi è dubbio che la politica per l'istruzione è giunta ad un passaggio delicato, che richiede ripensamenti non più formali o aggiuntivi - come è avvenuto in questi anni -, ma davvero sostanziali.
Sullo sfondo premono due questioni culturali di enorme rilevanza, quali l'identità della scuola nella società postmoderna ed il problema - in parte anche ad esso conseguente - della crisi universalmente riconosciuta delle grandi ingegnerie scolastiche centralizzate.
Porsi dunque il problema della riforma del sistema scolastico in tale contesto non può più portare a confondere la politica della scuola con la gestione del personale, così come abbiamo al contrario colto da alcune prime dichiarazioni rilasciate dal ministro della pubblica istruzione. Non con provvedimenti parziali, quali la promessa di diminuzione degli alunni per classe o dell'aumento dello stipendio ai docenti, ridaremo credibilità e fiducia ai docenti ed ai capi d'istituto che denunciano giustamente, e ormai da troppo tempo, lo stato di abbandono, una diffusa demotivazione, il senso di inadeguatezza e la perdita di prestigio e di riconoscimento sociale. Per di più, l'amministrazione scolastica nel nostro paese non è mai stata, fin dai tempi di Francesco De Sanctis, dai


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suoi discorsi parlamentari del 1864, un servizio alle scuole e ai ragazzi, piuttosto è diventata sempre più un cattivo servizio ai cittadini e ai dipendenti. Tutte le funzioni sono state burocratizzate in un servizio dove invece dovrebbero prevalere le funzioni e le competenze tecniche. Le condizioni, al contrario, perché la politica scolastica diventi un investimento produttivo nella formazione e allo stesso tempo uno strumento di emancipazione del personale della scuola, sono altre e molto chiare.
La prima è che l'amministrazione si spogli da subito di ogni competenza di gestione. Al ministero è il caso che si cominci a parlare di politiche formative, nazionali ed europee, e non di numero di alunni per classe, di razionalizzazione, trasferimenti, passaggi, disciplina, incentivazione, distacchi e aspettative. Tutti i dirigenti dell'amministrazione debbono essere messi, anche in questo caso da subito, nelle condizioni di esercitare pienamente le loro responsabilità manageriali, operando, come prescrive il decreto legislativo n.29 del 1993, con i poteri e gli strumenti del privato datore di lavoro. Ma la condizione prioritaria è l'immediata attuazione dell'autonomia, definita già nelle linee essenziali dall'articolo 4 della legge n.537 del 1993, congiunta all'attuazione della parità tra scuole statali e non statali.
Per fare queste riforme, signor Presidente del Consiglio, non è sufficiente il decentramento. Quest'ultimo, infatti, è la versione burocratica dell'autonomia. L'autonomia, inoltre, non deve essere confusa con il problema della forma delle autonomie locali ed in particolare dell'autonomia regionale. Il trasferimento alle regioni di funzioni svolte oggi dall'amministrazione centrale inciderebbe, signor Presidente del Consiglio, sulla forma dello Stato, ma non inciderebbe sull'autonomia delle scuole, le quali continuerebbero a servire un'amministrazione estranea e non ad essere servite. Così esse, legate alle amministrazioni regionali da un rapporto simile a quello che oggi hanno con il ministero, si ritroverebbero ancora prive di autonomia, con un ulteriore più grave rischio di frammentazione.
Il sistema scolastico italiano richiede piuttosto una riforma istituzionale, che ripensi il ruolo dell'amministrazione delle singole unità scolastiche e superi il monopolio statale, che ha determinato di fatto una condizione di marginalità delle scuole non statali, costrette ad operare in condizioni a dir poco sfavorevoli.
La riforma istituzionale dovrà per questo, a nostro avviso, necessariamente ed imprescindibilmente, soffermarsi sulle caratteristiche proprie del servizio che intendiamo creare. In realtà, finora è stata garantita la libertà di istituire scuole come aspetto strumentale alla libertà di insegnamento, mentre è stato di fatto ignorato il problema del pluralismo dell'offerta del servizio, che è diventato esclusivamente, o per la maggior parte, statale. La scuola è stata dunque per tutto questo tempo intesa come parte di un ente: la scuola statale, la scuola provinciale, la scuola comunale, la scuola gestita da privati, la scuola gestita da enti religiosi. È ricorrente questa concezione anche nelle ipotesi di decentramento, che vengono presentate come ricerca di individuazione dell'ente di riferimento piuttosto che come problemi di organizzazione del servizio dell'istruzione complessivamente intesa.
La vera riforma sta dunque nell'ammettere che l'istruzione non è, e non può più essere, un servizio statale, ma deve diventare un servizio collettivo pubblico, retto da professionisti responsabili del progetto educativo e dei suoi risultati e non riconducibile per questo, nella maniera più assoluta, a modelli di tipo burocratico. Se a un modello occorre far riferimento, bisogna magari guardare a un modello dei servizi nazionali a rete, che non hanno un centro nel senso tradizionale dal quale partono gli impulsi e i comandi e una periferia che esegue, ma sono articolati, appunto, come una rete all'interno della quale operano diversi soggetti dotati di autonomia, i cui rapporti non corrono lungo le rigide linee di una piramide, ma sono caratterizzati, invece, come rapporti di coordinamento e di collaborazione, a volte di competizione.


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Dunque, signor Presidente, noi chiediamo che responsabile dell'istruzione non sia più lo Stato, ma la scuola come corpo dotato di autonomia. Pertanto, chiediamo la definizione di regole comuni, ma anche la possibilità di differenziare il servizio e le prestazioni, allargando il circuito pubblico alle scuole non statali per la migliore soddisfazione delle esigenze degli studenti e delle famiglie, che devono poter scegliere il tipo di istruzione che maggiormente ritengono idoneo alla formazione dei propri figli, diritto finora negato (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pagliarini, al quale ricordo che ha dieci minuti di tempo. Ne ha facoltà.

GIANCARLO PAGLIARINI. Nelle dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio designato ho notato, oltre alla grave assenza di commenti sul sistema previdenziale, alcuni errori ed omissioni significativi che commenterò brevemente.
Primo errore: il nostro è un paese senza libertà. Ho l'impressione che il Presidente del Consiglio non abbia le idee chiare e stia usando in modo assolutamente improprio il termine federalismo. Invece la situazione del paese è veramente grave e non si può continuare ad andare avanti giocando con le parole e rimandando la soluzione dei problemi, così come hanno fatto per anni i vecchi democristiani. Devo ricordare che federalismo significa unire ciò che è diverso. Ciò vuol dire che occorre fare urgentemente tre cose: prima di tutto identificare le diversità che esistono nel nostro paese e che sono enormi. In secondo luogo bisogna restituire alle diversità il loro primo e fondamentale diritto naturale, cioè quello della libertà, e il diritto alla secessione è un diritto naturale dei popoli.
Ricordate le discussioni a proposito del referendum sul divorzio? Qualcuno affermava che se non fosse stata abolita quella legge tutti avrebbero divorziato. Naturalmente non è stato così. Rivendicare il diritto alla secessione non significa che necessariamente essa si verifichi e che ciascuno se ne andrà per conto suo; vuol dire solo che la Costituzione riconoscerà ai cittadini il diritto naturale alla libertà, fondamentale per poter realizzare il cambiamento del paese con armonia e senza tensioni.
In terzo luogo, dopo avere identificato le diversità e aver riconosciuto il diritto fondamentale della libertà, dobbiamo cercare di unirle con un federalismo autentico. Di tale impostazione, che a me sembra la più logica e razionale, nel testo e probabilmente nel cuore del Presidente del Consiglio non vi è traccia. Questo è un bel guaio per il paese perché la riforma federale non è una moda, come pensa il collega Valensise, né un tributo da pagare ad un'ideologia, né ancora un sentimento di egoismo, come affermano tanti che proprio non hanno capito nulla di ciò che sta accadendo. Tale riforma è invece una impellente necessità del paese il quale, senza di essa, rischia di dissolversi e di essere travolto da una crisi che diventa ogni giorno più grave.
Un secondo errore consiste nell'aumento della pressione fiscale. Il Governo ha in realtà deciso di aumentare le tasse e su questa via i parlamentari del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania non possono assolutamente seguirlo. Nelle dichiarazioni programmatiche lei, Presidente, ha affermato che il Governo si impegna a mantenere la pressione fiscale invariata rispetto ai livelli del 1995 per il triennio 1996-1998. Aggiunge poi: «a questo fine dovranno essere presi provvedimenti per sostituire il gettito dei prelievi una tantum» e questo significa nuove tasse.
Di spese da tagliare e di soldi da incassare senza aumentare la pressione fiscale ve ne sono veramente tanti; ecco un breve elenco che le viene offerto dal suo collega Pagliarini: le spese per il Giubileo; i miliardi che il Governo vuole dare al Banco di Napoli invece di venderlo o chiuderlo; i dipendenti pubblici in eccesso che devono essere tolti dagli organigrammi ed utilizzati per lavori di pubblica utilità; un vero


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blocco dei prepensionamenti; la privatizzazione della CONSOB e delle costituende authority; i falsi invalidi; la concessione ai privati della gestione di musei e di altri beni culturali; l'intensificazione dei controlli fiscali nelle province nelle quali il SECIT, nello studio pubblicato nell'agosto 1995, individuava la più alta evasione IVA. Al ministro Visco ricordo che le prime 27 provincie in testa a quella classifica dell'evasione erano localizzate nel meridione, mentre mi dicono che in questi giorni Guardia di finanza, ispettori INPS e fra un po' forse anche l'esercito sono scatenati e stanno letteralmente bloccando l'attività degli artigiani e delle piccole e medie imprese della Padania alla ricerca di ogni tipo di errore formale. Ministro, invii controlli anche là dove il SECIT afferma e dimostra che l'evasione è più alta. Vi sono poi i contributi SCAU evasi che possono e debbono essere incassati al più presto; il recupero dei contributi comunitari erogati all'AIMA e indebitamente percepiti, e tante cose ancora.
Tuttavia, dopo aver recuperato tali fondi e tagliato determinate spese, il Governo non potrà pensare di rendere strutturali le tasse una tantum del 1995, perché la pressione fiscale nel nostro paese non può aumentare. Il Governo dovrebbe invece avviare subito una profonda riforma dello Stato finalizzata all'obiettivo di eliminare la costosa ed assolutamente inutile intermediazione di Roma, nonché all'obiettivo di responsabilizzare la spesa rendendo trasparenti i meccanismi di finanziamento.
Un terzo errore riguarda le privatizzazioni: la sua relazione fa riferimento solo alla privatizzazione delle attività produttive, sulla quale siamo d'accordissimo. Mi auguro, però, che lei voglia al più presto chiudere l'IRI holding - che lei conosce molto bene - giacché la holding non svolge più alcuna funzione mentre ha sul libro paga un numero decisamente elevato di dirigenti. Soprattutto è importante ricordare che le privatizzazioni non sono solo quelle delle attività produttive: è necessario ed urgente vendere anche i beni immobili dello Stato ed ancor più necessario ed urgente privatizzare la maggior parte dei servizi statali erogati ai cittadini. Questi argomenti - purtroppo - non sono commentati nella sua relazione programmatica.
Il quarto errore riguarda i risultati del risanamento. Ho l'impressione che nelle dichiarazioni programmatiche il Presidente non abbia avuto il coraggio di dire la verità sulla reale situazione della finanza pubblica del paese. Al Senato egli ha infatti detto che deve essere dato atto ai governi precedenti che la finanza pubblica italiana ha intrapreso dal 1992 un costante cammino di risanamento. Constatiamo che al 31 dicembre 1991 il debito pubblico nel settore statale ammontava a un milione 454 mila miliardi di lire; nel 1992 comincia - ripeto - il costante cammino verso il risanamento, ma dopo 4 anni, alla fine del 1995, tale debito è salito a 2 milioni 128 mila miliardi. Dunque, dopo quattro anni di costante cammino verso il risanamento, aumento delle tasse, manovrine e manovrone - chi più ne ha, più ne metta - il debito pubblico è aumentato di 674 mila miliardi. In quattro anni di sacrifici e risanamento il debito pubblico è aumentato del 46 per cento. Per chiarire meglio il concetto, onorevoli colleghi, è come se uno di voi avesse avuto un debito di 100 milioni ed avesse deciso di fare sacrifici per risanare la situazione. Il risultato, dopo 4 anni di sacrifici, è stato che tale debito è aumentato da 100 a 146 milioni. E meno male che vi è stato questo risanamento, altrimenti chissà dove andavamo a finire!
La verità è che la situazione è drammatica, peggiora ogni anno ed ai cittadini viene nascosta la realtà; in questo modo, tra l'altro, nel paese non si ha la percezione della gravità della situazione, come fa l'onorevole Valensise, che continua a chiedere reti ferroviarie. La verità è che questo paese, con questa organizzazione e cultura, è un malato incurabile ed il Governo non dovrebbe illudere sé stesso, né i cittadini. La casa sta bruciando ed in questa situazione mi sembra che alcuni membri del Governo perdano tempo allo specchio a decidere il colore della cravatta da


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indossare. Il Governo non dovrebbe cercare di impedire o rallentare il cambiamento. È necessario cambiare pagina, cambiare il paese e la sua cultura. Per questo suggeriamo di lavorare subito e prioritariamente su un processo che realizzi una riforma federale molto seria, riconoscendo agli stati federati il diritto alla loro libertà, oppure se, come temo, risulterà che è ormai è troppo tardi e che si è perso troppo tempo, allora ci si impegni in un progetto alternativo che realizzi una divisione consensuale che sia di vantaggio per tutti - dovremo poi verificare come raggiungere tale obiettivo - e soprattutto che tale progetto si concretizzi senza traumi e senza tensioni.
Il quinto errore - gli altri non li commenterò - riguarda gli aiuti ipotizzati senza tener conto del mercato. Nella replica al Senato, svoltasi venerdì scorso, il Presidente incaricato ha fatto alcune dichiarazioni che, secondo me, sono veramente gravi ed inaccettabili. Egli ha dichiarato, cito testualmente le sue parole, che «bisogna trasferire attività economiche e produttive dal nord al sud». Ha detto che intende aprire al nord, con gli imprenditori, un centro operativo per il trasferimento di attività in aree già preparate ed infrastrutturate nel sud. Il Governo si rende conto che, per aprire la fabbrica di Melfi, la Fiat ha chiuso e ha generato disoccupazione e disperazione a Chivasso? Il Governo si rende conto che questa politica, così come è stata annunciata, è come una dichiarazione di guerra contro gli abitanti della Padania e contro il comune buon senso? Si rende conto che questi trasferimenti funzioneranno solo se saranno figli del mercato e di una onesta competizione, ma che certamente non funzioneranno se saranno «drogati» da incentivi o da altri interventi del Governo centrale di Roma?
Per il sud la soluzione deve essere nel mercato, ed una soluzione l'ha indicata, forse senza volerlo, il nuovo presidente della Confindustria Giorgio Fossa, quando nella sua relazione all'ultima assemblea ha detto che la Confindustria è contraria all'ipotesi di una secessione del paese, perché «cosa succederebbe se la Padania entrasse in Europa ed il resto d'Italia ne restasse fuori, potendo fare concorrenza al nord a colpi di svalutazioni competitive?». A mio giudizio se il Governo spendesse tutte le sue energie per ottenere una divisione consensuale del paese, in seguito alla quale il sud avrebbe una sua moneta, il Mezzogiorno effettivamente potrebbe fare concorrenza alla Padania ed anche al resto d'Europa a colpi - ripeto - di svalutazioni competitive. Giuseppe Turani su la Repubblica ha addirittura scritto che in questa ipotesi il sud rinascerebbe a nuova vita e diventerebbe di colpo un esportatore formidabile ed un territorio molto interessante per gli imprenditori.
Signori del Governo, se veramente volete aiutare il sud, la via da seguire è questa. Il risultato sarebbe una maggiore responsabilizzazione del Mezzogiorno, per far finire la disoccupazione e favorire investimenti veri e lavoro vero; le imprese del nord, dal canto loro, potrebbero realizzare maggiori investimenti, ricerche e sviluppo per diventare sicuramente più competitive sui mercati globali.
Vi ricordo che, in base ai più recenti ed accreditati studi sulla competitività mondiale, l'Italia è ormai superata anche da paesi come Giordania, Egitto, Filippine e Messico (fonte: Il Sole-24 ore di ieri mattina) (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cito. Ne ha facoltà. Le ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione.

GIANCARLO CITO. Devo compiere una piccola riflessione su quanto ha detto il rappresentante di alleanza nazionale: bisogna dare atto alla sinistra compatta di aver vinto queste elezioni. Sarebbe sciocco non riconoscerlo. Tuttavia, va anche detto che la sinistra e il Presidente del Consiglio durante la campagna elettorale, per strategia politica, hanno reso talune affermazioni al popolo italiano pur di ottenere voti e superare la destra, dicendo tutto e il


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contrario di tutto! Resta il fatto però che la sinistra è tutta compatta, e lo aveva già dimostrato con il Governo Dini, quando rifondazione comunista, uscendo dall'aula, ha dato la possibilità a quell'esecutivo di rimanere ancora in carica.
Oggi la destra non ritiene di dover fare un'analisi e di riconoscere di aver sbagliato sulle strategie per non aver raggiunto alcun accordo, mentre la sinistra con rifondazione e il centro-sinistra ha fatto l'accordo; così, alla fine, la destra ha perduto le elezioni in Italia.
E allora, mentre alleanza nazionale non ha fatto l'accordo con l'MSI e con le altre formazioni di destra, senza rendersi conto che questa decisione ha portato alla sua sconfitta, la sinistra è arrivata al potere e adesso deve gestirlo. Solo in Puglia il sottoscritto ha fatto perdere quattro senatori e otto deputati (tanto per essere chiari)!

RAFFAELE VALENSISE. Grazie!

GIANCARLO CITO. Prego, ma non è stata certo colpa mia!
E vengo al Governo Prodi. Non me la sento di accusare il Presidente di non aver fatto ancora nulla; deve lavorare, deve dimostrare al popolo italiano, soprattutto al Mezzogiorno d'Italia, di voler fare quanto ha promesso a proposito di investimenti nel sud. Il Presidente del Consiglio dovrebbe spiegarci da dove reperirà i fondi necessari: sembra che con la prossima finanziaria si dovrebbero recuperare 70-80 mila miliardi. Vorrei sapere - a meno che non siamo di fronte a giocolieri o a «inventori di denaro» - come si potranno realizzare investimenti nel sud con questa somma e cominciare ad eliminare così la disoccupazione nel Mezzogiorno! Tutti parlano del Mezzogiorno, del sud, soprattutto la lega lombarda, i benefattori di questa nazione (loro si considerano i benefattori della nazione, la Padania indipendente)! (Applausi polemici dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Questi signori sostengono che noi del Meridione siamo degli assistiti! Questi signori che vengono nel sud a prelevare i capitali con le attività imprenditoriali (Si ride)... C'è poco da ridere! C'è solo da piangere; basti pensare al quarto centro siderurgico che è stato regalato ad un uomo della Padania ... non so se glielo ha regalato il Presidente del Consiglio quando operava la privatizzazione delle aziende di Stato o chi per lui. Questo centro siderurgico, che ha appena 12 mila dipendenti, è stato svenduto per la somma di 2 mila 400 miliardi ed è stato un uomo della Padania, un benefattore, che è sceso nel sud a prelevarlo! Lo stesso è successo anche con l'azienda creata a Melfi, dove lo Stato italiano ha investito 7 mila miliardi per creare 7 mila posti di lavoro.
La sola Puglia, signor Presidente del Consiglio, ha oltre 500 mila posti di lavoro in meno, il meridione è una vera e propria polveriera: come potrà mantenere la promessa fatta al popolo meridionale? In una Italia unita, che non si divide, coloro che si trovano male possono prendere la valigia e andarsene all'estero. I signori della lega lombarda non si rendono conto che il giorno in cui, nella loro fantasia, l'Italia dovesse dividersi loro diventeranno il sud dell'Europa e noi diventeremo il nord dell'Africa (Applausi polemici dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania - Si ride).
Può darsi che il Presidente Violante manterrà la sua promessa, perché l'Italia è unita e tale deve rimanere. Dopo tanto parlare degli italiani morti per l'unità d'Italia, soprattutto cittadini del sud andati a morire ai confini italiani proprio per fare l'Italia unita, alle soglie del duemila non è possibile sentir parlare dalle stazioni televisive nazionali questi signori che dicono di volere dividere la nazione. Bene ha fatto lei, Presidente Violante, a dire che si dovrà intervenire con la forza se ciò dovesse avvenire. Mi auguro che l'esperienza della vicina Jugoslavia, in cui si sono avuti centinaia e centinaia di morti e milioni di invalidi, faccia ravvedere coloro che vogliono fare tutto ciò nella nostra nazione. Non solo non si dimostra come si vuole eliminare la disoccupazione nel Mezzogiorno, ma mi domando cosa succederà il giorno


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in cui il sud non acquisterà più i prodotti del nord.
A Taranto poi, dove l'amministrazione ha un attivo di bilancio, il prefetto ha commesso tanti reati, che sono stati denunziati...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Cito, ma il tempo a sua disposizione è terminato.

GIANCARLO CITO. Prima ha scampanellato tre volte e adesso è perentorio!

PRESIDENTE. Lei ha parlato già due minuti in più!

GIANCARLO CITO. La prossima volta, Presidente, come scampanella agli altri tre volte.....

PRESIDENTE. Se deve concludere, ha ancora qualche secondo per farlo.

GIANCARLO CITO. Dicevo che invece di bloccare un uomo che sta arrecando tanto danno alla città di Taranto gli si dà la possibilità di «completare» i reati commessi, di cui dovrà rispondere davanti all'autorità giudiziaria.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mantovano. Ne ha facoltà. Le ricordo, onorevole Mantovano, che ha cinque minuti a sua disposizione.

ALFREDO MANTOVANO. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli deputati, limiterò il mio intervento ai passaggi che il discorso programmatico dell'onorevole Prodi dedica alla giustizia, che a mio giudizio sono lacunosi, generici e preoccupanti. Giustificherò gli aggettivi che ho adoperato.
Si tratta anzitutto di passaggi lacunosi. Tra le lacune più gravi sottolineo, da magistrato, la totale assenza di riferimenti al ruolo che nell'amministrazione della giustizia svolgono i soggetti diversi dai magistrati. Nel suo discorso lei, signor Presidente del Consiglio, ha menzionato più volte i giudici tessendone le lodi indistintamente ed esaltandone la funzione, ma ha trascurato il lavoro che ogni giorno svolgono nelle aule e negli uffici giudiziari l'avvocatura, strumento indispensabile di legalità e di rispetto delle garanzie, il personale delle cancellerie e quello degli altri servizi ausiliari, spesso costretti a condizioni operative e a ritmi insostenibili.
L'amministrazione della giustizia non tollera una considerazione che non sia integrale e unitaria nel rispetto dell'autonomia delle sue differenti articolazioni e che non riconosca pari dignità, nella diversità dei ruoli, a tutti gli operatori a vario titolo impegnati nel settore. Vorremmo sapere se e quali provvedimenti il nuovo esecutivo intenderà adottare perché si realizzi l'effettiva eguaglianza delle parti nel processo penale, in particolare sul difficile tema dell'indagine difensiva, perché ciascun soggetto del processo consegua una più elevata professionalità con specifici percorsi di formazione, perché si assicuri il rigoroso rispetto della deontologia, che passa anche, con riferimento ai magistrati, attraverso la tipizzazione degli illeciti disciplinari e, con riferimento agli avvocati, attraverso la disciplina del diritto di sciopero sollecitata dalla recentissima pronuncia della Corte costituzionale.
Fra le lacune del suo discorso, va inoltre segnalata la mancanza anche di un solo cenno a proposte del Governo in tema di riforme dei codici; da quello di procedura civile (che non può continuare ad essere costruito a brandelli e per decreto-legge e in ordine al quale non si sa che sorte avranno le commissioni di studio istituite presso il Ministero di grazia e giustizia) al codice di procedura penale, oggi del tutto squilibrato, al codice penale per il quale, pure, esiste già un lavoro avviato.
Sono passaggi non solo lacunosi, ma anche generici. Si resta nel vago quando, senza fornire precisazioni, ci si pone gli obiettivi - cito testualmente - di una più razionale e moderna distribuzione degli uffici e delle forze sul territorio, del potenziamento del giudice di pace e della giustizia onoraria e dei circuiti differenziati del sistema carcerario. Vorremmo conoscere in concreto, senza scendere ovviamente nell'estremo dettaglio, se, quando e


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in che termini il Governo intenda procedere all'improcrastinabile e seria revisione delle circoscrizioni giudiziarie, all'individuazione di competenze penali per il giudice di pace, all'inquadramento organico e all'eventuale previsione di incompatibilità per i giudici di pace e all'impostazione di un programma efficace e rapido di edilizia penitenziaria, che rappresenta il presupposto per l'adeguamento dei trattamenti per fasce particolari di detenuti. In ordine a tutte queste voci l'opposizione non farà mancare a breve scadenza proposte serie ed articolate riprendendo il lavoro e le proposte delle precedenti legislature.
Vi sono, infine, passaggi preoccupanti. Lei ha auspicato, signor Presidente del Consiglio, che la magistratura svolga - cito - la sua funzione in difesa della legalità intesa come una funzione ordinaria e normale ed ha precisato che è giunto il momento di invocare a gran voce che il paese ha bisogno insieme di legalità e di normalità. Preoccupa quel duplice riferimento alla normalità. Preoccupa perché non se ne colgono la portata ed il significato. Se lei oggi auspica dal seggio che occupa, anzi invoca a gran voce la normalità è perché, evidentemente, con riferimento a taluni magistrati vi sono state e vi sono situazioni di anormalità. Se l'esegesi di questo passaggio del suo discorso è corretta, non mi pare un'esegesi ardita. Non voglio fare una rassegna di episodi concreti, perché mi basta ricordare che l'anormalità è stata autorevolmente teorizzata quando un procuratore della Repubblica come Francesco Saverio Borrelli in un'intervista dichiara pubblicamente che lo shock della carcerazione preventiva ha prodotto risultati positivi nella ricerca della verità; quando lo stesso procuratore valuta positivamente la compressione di certe garanzie per accertare reati contro la pubblica amministrazione; quando improvvide esternazioni a mezzo stampa del medesimo procuratore provocano crolli in borsa e tempeste valutarie; quando - più di una rassegna antologica che sarebbe lunghissima - un procuratore aggiunto della Repubblica precisa, a commento dei provvedimenti restrittivi che hanno colpito qualche settimana fa cinque manager del gruppo Fininvest, che non si poteva certo arrestare Berlusconi che è un parlamentare, di fatto sostenendo che le colpe del padre (in questo caso padrone) vanno espiate dai figli (in questo caso dipendenti); quando c'è questo ed altro e l'altro consiste nella fascia di corruzione e di collusione con l'area dell'illecito che le più recenti indagini fanno emergere con riferimento a non pochi magistrati, parlare di anormalità non è improprio.
Se lei con le sue parole si riferiva a queste tipologie di anormalità, la nazione ed il Parlamento hanno il diritto di conoscere dal Governo la dimensione esatta delle anormalità medesime e le iniziative che saranno adottate per eliminarle. Per essere più espliciti, se situazioni di anormalità sono presenti nella magistratura, il discorso va ripreso dalle attività disciplinari e di indagine ministeriale che sono state intraprese dai ministri Biondi e Mancuso e che sono state la causa del benservito dato al ministro Mancuso.
Può darsi, però, che questa interpretazione non risponda a realtà; può darsi che, alla stregua dell'elogio da lei rivolto alla magistratura senza eccezioni ed alla stregua delle recenti dichiarazioni del ministro Flick, il quale ha detto che lascerà l'iniziativa dell'azione disciplinare nelle mani del procuratore generale presso la Corte di cassazione, può darsi, dicevo, che il Governo ritenga che tutto va bene e che nella magistratura non esistano anormalità. In tal caso, il richiamo alla normalità suona più sinistro, perché deve intendersi come richiamo alla normalizzazione. Allorché, senza clamori e senza proclami, altri pubblici ministeri si interessano processualmente delle vicende della cooperazione rossa, degli ammanchi della Federconsorzi, dei presunti illeciti realizzati dalle grandi holding di area progressista - per fare qualche esempio fra i tanti -, allora viene il momento di confezionare la soluzione politica per Tangentopoli e, per l'appunto, di rientrare nella normalità. Bisogna dire, signor Presidente, che il ministro della giustizia che lei ha cooptato nel suo Governo ha le carte in regola per


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qualificare se stesso come il ministro della normalizzazione. In un'intervista comparsa il 24 maggio 1996 su Il Sole-24 Ore il professor Flick ha escluso che il suo dicastero si renda promotore di amnistie, ma io non so veramente quando gli esponenti di questo Governo dicono il vero, perché nei mesi di luglio e di agosto 1995 Il Sole-24 Ore ha ospitato un lungo ed articolato dibattito sugli aspetti processuali e sostanziali di Tangentopoli, che è stato aperto e chiuso proprio da due riflessioni sottoscritte dall'attuale guardasigilli. L'articolo conclusivo a firma del professor Flick, pubblicato il 18 agosto 1995 con il titolo eloquente «Amnistia senza amnesie», teorizzava un perdono generalizzato a certe condizioni, preferendolo anche al patteggiamento allargato, e precisava che l'amnistia doveva venir fuori dall'accettazione globale di tutti, politici - maggioranze e opposizioni di tutti i tipi - e, soprattutto, cittadini. Evocava, cioè, l'unanimità del Parlamento quale presupposto per il varo dell'amnistia, per scongiurare il rischio che la reazione popolare ad un simile provvedimento prendesse direzioni opposte a quelle volute dai suoi proponenti. In questo quadro, costituiscono certamente coincidenze occasionali, anche se fanno riflettere, le circostanze che i titoli dei reati amnistiabili, per il professor Flick, siano quelli addebitati ad illustri clienti del suo studio professionale e che gli stessi titoli di reato - in particolare il falso in bilancio - siano alla base dei recenti provvedimenti restrittivi a carico dei manager Fininvest.
Signor Presidente del Consiglio, da questo scranno denuncio il tentativo di scrivere per via giudiziaria il primo capitolo di un «inciucio» prossimo venturo. La via per uscire da Tangentopoli è scritta nei codici penale e di procedura penale e consiste nella conclusione delle indagini e nella celebrazione dei processi in corso, perché, senza indulgenze e senza accanimenti, chi ha violato la legge riceva la giusta punizione e chi è stato accusato senza colpa sia pubblicamente riconosciuto innocente, avendo il diritto a che sia fugato ogni dubbio sulla propria responsabilità, un dubbio che resterebbe se si applicasse l'amnistia.
È compito del Governo - al quale, per le ragioni appena esposte, non può andare la fiducia - garantire gli immediati adeguamenti strutturali che consentano la rapida ed efficace celebrazione dei giudizi, scongiurando il rischio delle prescrizioni. È compito irrinunciabile dell'opposizione vigilare perché la bilancia della giustizia non sia squilibrata e perché le indagini ed i processi proseguano senza incertezze e senza sconti, anche se gli indagati o gli imputati si chiamano Massimo D'Alema, Claudio Burlando, Antonio Di Pietro o Romano Prodi (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mancina. Ne ha facoltà. Le ricordo, onorevole Mancina, che ha a disposizione quindici minuti per svolgere il suo intervento.

CLAUDIA MANCINA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi, ci apprestiamo a votare la fiducia e quindi ad avviare il cammino di un Governo che, per la prima volta nella storia repubblicana, non è il risultato di alleanze postelettorali, ma è stato scelto dagli elettori. Per la prima volta - poiché ciò non è avvenuto nemmeno nel 1994 - dalle urne è uscita la vittoria di una coalizione nettamente identificata di fronte agli elettori ed unificata da un programma e da un progetto politico di ricostruzione del paese. Si tratta di una svolta importantissima che giustamente il Presidente del Consiglio ha sottolineato nel suo discorso al Senato. Tuttavia, molta strada resta ancora da fare per raggiungere un assetto stabile e per realizzare, anche nel nostro paese, un'autentica democrazia dell'alternanza. Abbiamo vissuto gli anni di una difficile transizione, abbiamo visto la politica, i suoi soggetti e le sue istituzioni attraversati da una crisi profonda, mentre i problemi del paese crescevano. Non ci illudiamo che la transizione sia finita, ma la presenza qui di questo Governo significa che il processo


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di assestamento e di ricostruzione è cominciato ed è cominciato nel modo migliore; significa che la politica può ritornare ad essere cura dell'interesse collettivo attraverso la competizione di progetti alternativi, può ritornare ad essere il terreno in cui il conflitto, inevitabile nella convivenza umana, si articola con la cooperazione, senza la quale nessuna società può esistere. Perché questo processo si realizzi pienamente è ancora necessaria una evoluzione dei soggetti politici ed una decisa ed ampia riforma delle istituzioni: due aspetti che si intrecciano e si condizionano reciprocamente.
La legge elettorale maggioritaria, pur molto difettosa, ha però prodotto una iniziale ristrutturazione dei soggetti politici che è ben lungi dall'essere conclusa ma che è senz'altro positiva; ha prodotto delle coalizioni che si sono confrontate per il governo del paese, anche se non comprendevano la totalità delle forze politiche.
La coalizione dell'Ulivo comprende forze della sinistra democratica e forze di centro, laiche e cattoliche, il cui incontro non può essere considerato occasionale. È proprio questa la differenza tra una coalizione di governo post elettorale ed una che si è formata per chiedere la fiducia degli elettori. L'incontro coinvolge in profondità le culture politiche, le costringe a mettersi in gioco, a ripensarsi, a rinnovarsi nel profondo. Perciò il centro-sinistra di oggi non ha niente a che fare con il centro-sinistra di ieri; siamo oggi di fronte alla straordinaria opportunità di uscire da antiche divisioni ideologiche e di superare antiche e pur nobili definizioni di identità, senza che ciò faccia perdere ad alcuno di noi il patrimonio della sua storia.
Ma l'evoluzione dei soggetti è solo un lato della nuova costruzione, l'altro sono le istituzioni, gli assetti dello Stato, del Parlamento e del Governo, che devono essere trasformati. Su questo il Presidente del Consiglio ha manifestato un'intenzione netta per la parte che spetta al Governo; ma sarà compito specialmente del Parlamento impegnarsi a fondo nella revisione costituzionale, la cui necessità incombe ormai da troppo tempo.
Noi ribadiamo la nostra volontà di fare le riforme e di farle insieme all'opposizione perché il disegno costituzionale del paese è affare di tutti e non affare della maggioranza, è anzi la cornice all'interno della quale maggioranza ed opposizione si dispongono e si confrontano.
Vogliamo un confronto aperto e trasparente, anzitutto sui contenuti delle riforme e poi, certo, anche sulla via da seguire per attuarle. Prima delle elezioni si era andati molto avanti in questo confronto; da lì occorre ripartire perché lì si era manifestata una comune volontà e si erano definiti alcuni punti condivisi. Sulla base di quella esperienza confidiamo che sarà possibile realizzare ciò che da molti anni si attende, ciò in cui le ultime due legislature sono fallite: un'autentica fase costituente, che restituisca ai cittadini istituzioni rinnovate, adeguate ad un paese che è molto cresciuto sul piano economico e culturale, ma che ha bisogno ancora di una crescita civile. Dunque occorrono istituzioni più aperte, più trasparenti, più democratiche, regolate dai principi di autonomia, di responsabilità, di sussidiarietà.
Stringere un nuovo patto democratico, questo è il compito della legislatura ed è un compito che grava su tutti noi, nessuno escluso. Ciò che non è riuscito nelle settimane precedenti lo scioglimento della XII legislatura è oggi possibile perché dopo le elezioni la ricerca di un accordo costituente non interferisce, non deve e non può interferire, con l'attività di Governo e con la normale attività legislativa. Sarebbe grave la responsabilità storica di chi, in modo del tutto strumentale, usasse il tema costituente per indebolire la vita del Governo.
Il programma esposto dal Presidente del Consiglio, che corrisponde al programma che l'Ulivo ha presentato agli elettori, ci trova evidentemente concordi. Vorrei qui soffermarmi su un tema che non è certo l'unico importante, ma che ha costituito la principale novità del programma per generale riconoscimento, ossia quello della formazione e, più in generale, della cultura. Tema negletto nella tradizione politica italiana, in modo tanto più inspiegabile


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e tanto più colpevole se si pensa all'ingente patrimonio culturale del nostro paese. Se questa negligenza è connessa - come io credo - al ritardo e poi alla debolezza della costruzione nazionale, non possiamo non vedere oggi il legame tra un forte investimento politico in questa direzione e un'idea di nazione rinnovata e rigenerata, un'idea che è stata affermata dal Presidente del Consiglio, ma prima ancora è stata posta, a segnare la legislatura, dal discorso inaugurale del Presidente della Camera.
Lo sviluppo e la diffusione della cultura nazionale oltre i confini ristretti nei quali è sempre rimasta - basti citare le statistiche sulla lettura o il numero dei laureati - è una condizione ineliminabile perché il nostro paese possa svolgere un ruolo autonomo e da protagonista nel contesto europeo e internazionale.
La cultura, infatti, è oggi molto più che nel passato - questo è un tema caro a Prodi - una risorsa economica strategica per lo sviluppo, la vera ricchezza delle nazioni. I paesi più forti sono quelli che hanno più scolarità, un maggior numero di laureati e diplomati, migliori scuole ed università. Nello stesso tempo è un problema di equità e di diritti perché il possesso di elevati livelli di formazione e di cultura è oggi, in un mondo di tecnologie estremamente sofisticate ed in rapida evoluzione, qualcosa che condiziona il destino personale e di vita degli individui.
Offrire a tutti i suoi cittadini eguali opportunità ed eguali condizioni di accesso ad una risorsa essenziale come questa è un compito al quale lo Stato democratico non può sottrarsi, un compito peraltro prescritto dalla Costituzione e che la Repubblica italiana per tante e diverse ragioni ha adempiuto fin qui in modo insoddisfacente.
La ricostruzione del paese, che è l'obiettivo generale di questo Governo e della coalizione che lo ha espresso, non può dunque non prevedere tra i suoi primi capitoli la promozione e la diffusione della cultura attraverso politiche di indirizzo nazionale per il patrimonio e la produzione culturale - senza nessun equivoco, per quanto ci riguarda, sulla temuta ricostituzione di un organismo burocratico dirigistico che evochi vecchi fantasmi - e attraverso un ampio e coerente intervento legislativo per la riforma del sistema di istruzione.
In ambedue i casi la prospettiva del decentramento alle regioni (ma anche ai comuni e alle province) è per noi l'ossatura decisiva della riforma, con la sottolineatura che proprio il decentramento e l'instaurazione di un sistema delle autonomie richiedono una sede di indirizzo e coordinamento centrale di grande agilità ed efficienza, nel quale si esprima e si concreti l'investimento politico in questo campo.
Per quanto riguarda la cultura, molto decentramento è già stato realizzato, anche per effetto dell'abolizione del Ministero dello spettacolo. Ma per il sistema di istruzione, salvo che per l'università, tutto è ancora da fare, al punto che questo appare un capitolo essenziale della riforma dello Stato, che è una riforma istituzionale, come ha felicemente detto poco fa la collega Aprea, ed una delle più immediate incombenze del Governo.
Consideriamo la realizzazione dell'autonomia scolastica come un passaggio indispensabile e non più rinviabile per ridare vitalità alla nostra scuola tanto travagliata e per rimettere a frutto le grandissime risorse umane ed intellettuali che essa nella sua attuale configurazione troppo spesso non è in grado di utilizzare in modo efficace.
In questo quadro si dovranno definire in maniera articolata e non formalistica le funzioni degli insegnanti, così come i diritti ed i doveri degli studenti. È nostro obiettivo restituire la scuola ad una rinnovata, moderna, democratica funzione formativa, che non è affatto resa superflua - anzi, al contrario, risulta necessaria - dal complesso contesto formativo ed informativo che caratterizza la società attuale.
Siamo convinti che la fine della dipendenza burocratica dal centro e la diffusione della responsabilità e dell'iniziativa avranno l'effetto di liberare le energie e le risorse del mondo della scuola.


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Al Governo chiediamo la consapevolezza che il processo di realizzazione dell'autonomia deve essere governato con grande sapienza ed attenzione per superare le diffidenze, per conquistare il consenso dei soggetti concreti della scuola, perché nessuno possa pensare che lo Stato diminuisca il suo impegno.
Per concludere, voglio qui ricordare il lavoro di elaborazione che già da due anni esperti e dirigenti politici della sinistra - cattolici e laici - hanno compiuto insieme per formulare una proposta di superamento delle contrapposizioni ideologiche che hanno contrassegnato nel nostro passato la separazione tra scuola statale e non statale. Questo lavoro ha teso a definire una nuova idea di sistema pubblico, articolato sulla base dell'autonomia e di regole e verifiche comuni, sino a poter integrare al suo interno anche soggetti privati, purché dotati dei necessari requisiti di serietà e di qualità.
Crediamo di aver formulato una proposta valida che supera le posizioni originarie della componente laica come di quella cattolica e che punta ad elevare la qualità complessiva del sistema di istruzione inteso come un tutto; una proposta che mette la scuola italiana in linea con la scuola europea: sulla sua base sarà forse possibile nella presente legislatura arrivare a quella legge di parità che la Costituzione stessa prescrive e che finora è stata impossibile per l'inconciliabilità degli opposti punti di vista.
Ma soprattutto mi preme sottolineare come questo lavoro, iniziato già prima che si costituisse la coalizione dell'Ulivo, stia a dimostrare che vi è una reale possibilità ed una reale esigenza di confronto e di reciproco stimolo tra le culture politiche che sono state protagoniste della storia repubblicana e che lo saranno, certo, anche della prossima fase politica, ma non nello stesso modo, né con le stesse articolazioni. Questi, almeno, sono la mia previsione ed il mio auspicio.
Onorevole Presidente del Consiglio, noi sosterremo il suo Governo con la convinzione che deriva dall'impegno che insieme abbiamo preso davanti agli elettori. Il suo Governo è il nostro Governo. Non è dir poco per chi si trova per la prima volta a questo appuntamento per effetto del voto popolare. La fiducia che noi le daremo sarà, dunque, la conferma della fiducia che il popolo italiano le ha già dato e, insieme, il suggello di un comune progetto e di una impresa comune (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti, di rinnovamento italiano e del deputato Aprea - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone, il quale ha a disposizione otto minuti. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, vorrei fare qualche valutazione anche per dare un segnale a questa discussione sulla fiducia al Governo, che rischia di essere rituale: ognuno di noi parla, collocato chi alla maggioranza chi all'opposizione, e chi è all'opposizione deve parlar male delle dichiarazioni rese dal Presidente del Consiglio dei ministri, mentre dall'altra parte vi è un sostegno preconcetto e pregiudiziale.
La mia, signor Presidente del Consiglio, è una posizione meditata, oggettiva. Avrei voluto esprimere un giudizio diverso sulle sue dichiarazioni, però le debbo dire immediatamente, al di là delle posizioni che esistono sul piano politico, che tali sue dichiarazioni sono reticenti: lo sono sulle grandi questioni politiche del nostro paese, così come in riferimento alla problematica che è emersa durante il dibattito politico durante la campagna elettorale, ma soprattutto nella XII legislatura. Le grandi questioni non appaiono, vengono ad essere semplicemente richiamate in termini generici e, ovviamente, non costruttivi e non producenti. Non vi è alcun riferimento chiaro alla posizione del Governo rispetto ai grandi problemi delle riforme istituzionali. Voglio, allora, capire se il Governo in questo momento assuma una posizione neutrale, agnostica rispetto ai problemi istituzionali. E non credo che questo


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Governo o, quanto meno, questa maggioranza durante la campagna elettorale abbia dichiarato la sua neutralità rispetto alle grandi questioni istituzionali del paese. In effetti, anche osservando la composizione del Governo, dove l'onorevole Maccanico è confinato ad essere ministro delle poste e delle telecomunicazioni dopo che era stato detto che avrebbe dovuto assumere l'incarico di ministro per le riforme istituzionali, abbiamo capito che vi è una fuga da parte del Governo dal dichiarare chiaramente quale sia la sua posizione rispetto ai problemi ed alle riforme istituzionali. Ci auguriamo, allora, che il Presidente del Consiglio dei ministri ce la indichi in occasione della sua replica: è per riferirsi al lavoro svolto dall'onorevole Maccanico alla fine della XII legislatura? Ha una posizione questo Governo?
Le ricordo, signor Presidente del Consiglio dei ministri, che lei si è presentato ed ha avuto successo con un sistema bipolarista, nell'ambito del quale ritiene forse giustamente - tra virgolette - di essere espressione della maggioranza del popolo italiano. Ma le sue ondulazioni, i suoi equilibrismi, la sua assenza di chiarezza ci fanno chiaramente comprendere che lei è il Presidente di una coalizione di Governo; tanto per dirlo con estrema chiarezza, è il Presidente di una coalizione della prima Repubblica, quindi non si intravede alcun traghettamento dalla prima alla seconda Repubblica o, quanto meno, se novità dovevano esserci, noi non le abbiamo viste. Ma passiamo ai problemi economici. Signor Presidente del Consiglio, lei ha una frequentazione lunghissima in quest'aula ed io apprezzo la sua dottrina, la sua filosofia economica. Molte considerazioni ho sentito fare da lei, su questi banchi, ovviamente in un'altra collocazione, non da Presidente del Consiglio dei ministri, ma non so quale riferimento concreto possano avere in questo momento, in termini producenti, queste sue dichiarazioni e queste sue strategie economiche rispetto ai problemi del nostro paese.
In tale contesto i problemi sono di carattere istituzionale, economico e della pubblica amministrazione e in esso si innestano le questioni del nord e del sud. La prima si è appalesata perché i difetti strutturali e gestionali dello Stato si sono via via ingigantiti. Essi sono rappresentati dall'eccessiva legiferazione parlamentare e governativa, da un immobilizzante centralismo statale, da una esosa pressione fiscale che non trova risposta nell'organizzazione dello Stato, da un avviluppante burocraticismo, dall'erogazione di pessimi servizi i cui costi di fruizione vanno ad aggiungersi a quelli che il cittadino deve sostenere per colmare le lacune pubbliche.
Tutto questo ha fatto montare una protesta che denuncia in definitiva la limitazione della libertà personale del cittadino e delle famiglie senza vantaggio o ritorno alcuno.
La seconda è causata, come comunemente viene indicato, da un'assenza di industrializzazione e, quindi, da una scarsa coscienza del concetto di impresa e del rischio connesso, dall'altissimo tasso di disoccupazione (il grande problema di sempre) e dal radicato bisogno di assistenza come fattore culturale; dalla gestione clientelare delle risorse, almeno negli ultimi quindici anni, che di fatto ha significato l'assenza di finalizzazione; dalla inesistenza del concetto del rapporto costi-benefici; dal sistema bancario, le cui caratteristiche sono tassi più alti rispetto al resto del paese, investimenti in misura inferiore rispetto alla raccolta di risparmio, prevalenza di garanzia reale per i prestiti, colonizzazione degli istituti locali da parte di quelli settentrionali; dal sistema dei servizi che dal momento del blocco negli enti locali della spesa storica, incrementata dal tasso di inflazione, sono stati di qualità e quantità inferiore rispetto a quelli esistenti al nord, in molti casi anche l'inesistenza superata soltanto dal forte senso di solidarietà familiare ancora presente nelle popolazioni meridionali.
Pertanto il problema del paese si supera solo se si riuscirà a perequare i tassi, che al sud sono inferiori alla media nazionale, alla qualità della vita. Una lettura dei problemi in chiave solo economica non è esaustiva e soddisfacente, se non risolve altri problemi connessi con la comunicazione


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stradale, ferroviaria e aerea, una reimpostata scolarizzazione che guardi ad un sistema formativo integrato e concorrenziale pubblico-privato e che sia coerente con la domanda delle popolazioni, con una riforma degli enti locali ai quali accrescere competenze ed autonomia e agli enti pubblici ed economici nei quali coinvolgere anche l'imprenditoria privata, con un servizio sanitario che ponga fine alla migrazione sanitaria che costa risorse pubbliche e private.
Le proposte potrebbero riguardare la creazione di posti di lavoro laddove risiede la manodopera ridefinendo il concetto stesso di lavoro in funzione della nuova organizzazione della produzione che in futuro guarderà ai servizi come segmento importante nella formazione del PIL.
Occorre dunque una larga diffusione dell'informazione che permei anche culturalmente il tessuto sociale, soprattutto quello meridionale. Si pongono però ulteriori problemi, quelli relativi alla criminalità, alla camorra e alla 'ndrangheta, che il Governo deve tentare di sradicare e di sconfiggere.
Infine, signor Presidente del Consiglio, lei ha detto che il suo vuole essere il Governo di tutti. Da questa affermazione nasce la mia domanda conclusiva: con quale forza intende risolvere tutti questi problemi, in particolar modo quelli economici? O tale compito è affidato a quelle stesse forze che hanno piegato nel passato Parlamenti e Governi a quei poteri economici forti del nostro paese che hanno sempre compiuto le scelte di politica economica? Queste sono le domande a cui lei deve rispondere al Parlamento con la sua disponibilità. La nostra opposizione non è precostituita, ma vuole essere propositiva e in questo spirito intendiamo atteggiarci di fronte all'attività del suo Governo (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU e di forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Martino, al quale ricordo che ha dodici minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

ANTONIO MARTINO. Onorevole Presidente della Camera, onorevole Presidente del Consiglio, colleghe e colleghi, nel suo discorso al Senato il Presidente del Consiglio ha sintetizzato la strategia economica del Governo elencando alcuni nobili proponimenti: l'abbattimento dell'inflazione, il risanamento dei conti pubblici, l'aumento dell'occupazione ed il rilancio del Mezzogiorno.
Nel prenderne atto, vorrei far presente che quegli obiettivi sono condivisi da tutto il Parlamento. Non vi è nessun rappresentante del popolo italiano che auspichi la ripresa dell'inflazione, l'aumento della disoccupazione, il dissesto finanziario o il perdurare del dramma dell'economia meridionale. Quello che ci divide, onorevole Presidente del Consiglio, non è la desiderabilità dei fini della politica economica, ma la scelta dei mezzi per realizzarli. L'impegno del Governo al riguardo punta all'invarianza della pressione fiscale fino al 1998 (il che comporterà una serie di aumenti delle imposte da subito, con un possibile alleggerimento dell'IRPEF ma rinviato al futuro), alla lotta alla evasione fiscale ed alla riduzione dell'incidenza della spesa pubblica sul prodotto interno lordo.
Con tutto il rispetto, vorrei fare notare alla Camera che questa strategia e queste promesse non sono né particolarmente nuove né particolarmente originali. Tutti i Governi che si sono succeduti hanno promesso l'invarianza della pressione fiscale, la lotta all'evasione ed il controllo della spesa pubblica. I risultati, come sappiamo, sono stati a dir poco deludenti: spesa pubblica, fiscalità ed indebitamento sono cresciuti ad un ritmo esponenziale; e la disoccupazione, specie al sud, ha raggiunto livelli intollerabili.
Per quale ragione un'impostazione che per due decenni ha sempre fallito dovrebbe avere successo oggi?
Occorre rendersi conto del fatto che la crisi dello Stato fiscale non è la patologia temporanea di un sistema sano, è la conseguenza fisiologica, prevedibile e prevista di un sistema sbagliato. Il nostro non è un problema manageriale che possa essere risolto con la scelta degli uomini giusti; il


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nostro è un problema costituzionale che richiede la modifica dei meccanismi che presiedono alle decisioni di spesa. Non di manovre ha bisogno l'Italia, ma di riforme. Non di gestione dell'esistente, ma di cambiamento strutturale dell'intero sistema finanziario specie per quanto riguarda i centri autonomi di spesa.
Non abbiamo più tempo da perdere. L'esasperazione dei contribuenti - specie al nord - e la disperazione dei disoccupati - specie al sud - sono due facce della stessa medaglia. Lo statalismo, la crescita incontrollata ed irrazionale della spesa pubblica, si è tradotto in una pressione fiscale eccessiva, iniqua ed ingiustificata ed in un sistema di tributi farraginoso, contraddittorio, punitivo e fraudolento, determinando un clima di rivolta fiscale. Commetterebbe un grave errore chi ritenesse di poter liquidare il problema stigmatizzando alcune forme di manifestazione della protesta; il problema è grave e va risolto adesso, non può più essere rinviato alle calende greche.
D'altro canto, lo statalismo ha anche distrutto risorse che avrebbero potuto essere destinate ad investimenti produttivi, condannando alla disoccupazione milioni di nostri giovani, di donne e di meridionali. La disperazione della gente del sud è interamente giustificata, ma non si verrà incontro alle indilazionabili esigenze di rilancio del Mezzogiorno, onorevole Presidente del Consiglio, con una politica di inasprimenti fiscali, sia pure ispirata dal proposito di mantenere invariata la pressione tributaria. Quella politica, se perseguita, spaccherebbe il paese, perché aggraverebbe l'esasperazione dei contribuenti - specie al nord - e non lascerebbe speranze ai disoccupati (specie al sud). Il risanamento va perseguito con decisione, ma ad un livello di spesa pubblica e di imposizione fiscale minore di quello attuale, non certo ad un livello maggiore.
Il traguardo che la politica del Governo si propone di raggiungere è quello di arrivare in tempo a ridurre il rapporto fra deficit e prodotto interno lordo al di sotto del magico 3 per cento, per potere partecipare fin dall'inizio all'unificazione monetaria europea.
Il Presidente del Consiglio, nel sottolineare l'importanza che egli attribuisce a questo obiettivo, ha ripetutamente usato espressioni che suggeriscono una identificazione dell'ideale europeo con la strategia di Maastricht in materia monetaria. Egli ha detto - se non ricordo male - che intende portare a pieno titolo l'Italia in Europa. Come europeista e come italiano considero ingiustificata e pericolosa tale affermazione. Vorrei ricordare all'onorevole Prodi che l'Italia non ha alcun bisogno di essere portata in Europa. L'Italia è la sesta potenza industriale al mondo ed uno dei paesi fondatori dell'unità europea: per la sua geografia, per la sua storia, per la sua cultura, l'Italia è parte integrante e non secondaria dell'Europa! Attribuendosi il compito di portare l'Italia in Europa, onorevole Prodi, lei usa un'iperbole offensiva per il nostro paese.
In secondo luogo mi sembra sbagliato e pericoloso identificare l'idea europea, il più alto ideale che il ventesimo secolo abbia offerto al vecchio continente, con un progetto di unificazione monetaria che un numero crescente di osservatori di tutti i paesi considera sbagliato e destinato al fallimento.
Vorrei ricordarle che al momento nessun paese europeo rispetta tutti i parametri di Maastricht. Dobbiamo impedire che un possibile fallimento di questa strategia appaia agli occhi dell'opinione pubblica come un fallimento dell'Europa. L'unione dell'Europa è troppo importante perché il suo destino venga affidato alle dubbie possibilità di successo di un meccanismo ampiamente screditato.
Onorevole Presidente del Consiglio, credo che anziché legare il risanamento alle scadenze di Maastricht meglio sarebbe stato chiarire che il riequilibrio della finanza pubblica si impone per ragioni di interesse nazionale che sono indipendenti dal vincolo europeo. Dal risanamento finanziario e dal modo in cui esso verrà perseguito dipende la coesione del nostro paese, il futuro dei nostri giovani, lo sviluppo del Mezzogiorno. Esso va perseguito


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indipendentemente dagli obblighi europei. Sostenere invece che il risanamento è imposto dall'Europa significa correre il rischio di indebolire sia il sostegno alle politiche di rientro che l'entusiasmo per l'ideale europeo. Non è un caso che da più parti, anche in questo Parlamento, ci si comincia a chiedere se i sacrifici imposti in nome dell'Europa siano o meno giustificati.
Infine, sarebbe opportuno che si riflettesse sul pericolo che incombe su tutta l'Europa per via del fatto che molti paesi stanno simultaneamente tentando di realizzare i parametri di Maastricht attraverso politiche di inasprimenti fiscali. Quando politiche tributarie condotte in un paese vedono le possibili conseguenze recessive amplificate dagli effetti di politiche analoghe condotte dai partner commerciali, il rischio di una recessione diffusa aumenta. In aggiunta, quindi, alle considerazioni interne che sconsigliano aumenti dell'imposizione non sarebbe male che il Governo si rendesse conto del rischio attuale di una recessione di portata europea.
Onorevole Presidente del Consiglio, il contrasto tra la nobiltà dei proponimenti enunciati nel programma del Governo e l'inadeguatezza della sua impostazione di politica economica richiamano alla mente quanto dichiarato da Pierre Dupont, deputato di Nemours, all'Assemblea costituente il 25 settembre del 1790: «È un'abitudine deplorevole, cui si indulge troppo facilmente a causa dell'asprezza delle discussioni, quella di presumere che gli altri abbiano intenzioni cattive. Occorre invece essere indulgenti nei confronti delle intenzioni, si dovrebbe ritenerle buone, come manifestamente esse sono, ma non si deve in alcun modo essere indulgenti nei confronti delle incoerenze logiche o dei ragionamenti assurdi. I cattivi logici hanno commesso più delitti involontari di quanti ne abbiano commessi deliberatamente i malvagi».
È per queste ragioni che il programma del Governo non merita la nostra indulgenza (Prolungati applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD-CDU - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giovanni Bianchi, al quale ricordo che ha a disposizione quindici minuti. Ne ha facoltà.

GIOVANNI BIANCHI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, la discussione sul Governo giunge alla Camera dopo un intenso dibattito, che ha avuto il grande merito di approfondire non solo singoli aspetti del programma, ma anche il senso di questa esperienza nelle difficili vicende di questa transizione. Se è vero che il Governo è e si presenta come Governo di legislatura e manda un messaggio di serenità al paese e di stabilità ai mercati finanziari, è anche vero che il travaglio delle forze politiche non si arresta alle soglie di palazzo Chigi.
È anche vero che il mutamento della morfologia dei partiti è tuttora in corso ed è pensabile che il suo sviluppo sia un fatto fisiologico. Non è dunque il vulcano sul quale Lucio Colletti ci vedeva seduti nell'intervento di stamani, ma è necessità della fase apertasi dopo le macerie di Tangentopoli. È il travaglio interno ai partiti, più ancora profondo nelle aree di cultura popolare che stanno dietro ad essi e che arriva fino agli scenari che essi stanno progettando. È il travaglio, appunto, del passaggio dalla grammatica del proporzionale a quella del maggioritario. Qui sta l'occasione del Governo Prodi: accanto alle emergenze italiane, attrezzarsi a governare le incompiute metamorfosi delle forze politiche. Si tratta di una porta forse stretta, ma inevitabile e forse perfino esaltante.
Lei, Presidente del Consiglio, ha affermato più volte che ci troviamo dinnanzi ad una occasione storica, da non perdere, dinnanzi all'opportunità davvero unica di compiere un cammino non facile per approdare ad una nuova forma della nostra democrazia e del nostro Stato. Tre sono gli obiettivi strategici più volte sottolineati in questi giorni: il consolidarsi del sistema bipolare, non bipartitico; l'entrata a pieno titolo del nostro paese in Europa; il


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risanamento del debito pubblico. Sono tutti e tre obiettivi che esigono un grande sforzo comune da parte delle forze politiche, sociali e culturali della nazione intera. Senza la realizzazione di questi tre obiettivi la transizione non può dirsi compiuta.
Credo, signor Presidente, che sia importante nei confronti del suo Governo, per le forze che lo appoggiano e per quelle che invece vi si oppongono, tenere sempre presente questo carattere a suo modo eccezionale ed unico dell'esperienza appena intrapresa. Essa presenta due livelli di iniziativa: uno riguardante tutte le forze politiche, l'altro concernente il ruolo specifico della maggioranza; un livello che richiede il massimo di convergenza ed un altro che richiede invece il massimo di chiarezza nella distinzione. Per questo, per l'urgenza e complessità dell'impegno, sia chi l'appoggia sia chi vi si oppone deve oggi essere guidato da una visione politica alta dei processi in corso. Le astuzie, le tattiche distruttive, le interpretazioni di parte devono essere messe a tacere affinché questi anni servano davvero a tutti, non alla vittoria di una parte, ma a traghettare il paese verso una democrazia compiuta.
Un primo obiettivo comune consiste nel consolidarsi del bipolarismo; è questo l'aspetto di un problema più vasto. Non si tratta di cambiare solo la forma di governo, a partire dagli ultimi tentativi fatti e naufragati per una insana mania elettorale; si tratta soprattutto di cambiare, e in fretta, la forma dello Stato.
Il dibattito di questi giorni mi pare abbia chiarito in modo inequivocabile che la sua proposta di federalismo è ben lontana dal potersi ridurre ad un semplice decentramento. È ormai un obiettivo ineludibile che lo Stato unitario ed indivisibile si fondi su autonomie forti, su organi di governo territoriali reali e non semplici terminali di un centro. Gli esponenti della lega, quelli davvero interessati ad un rinnovamento radicale della forma dello Stato, dovrebbero riflettere sul fatto che il federalismo non è un evento, un fatto improvviso, ma un processo. Essi dovrebbero allora verificare se vi sia l'intenzione di avviarlo con forza e determinazione o se siamo davanti ad un'ennesima discussione, nella consapevolezza che il federalismo non si realizza d'incanto, per decisione sovrana di un principe astratto, e ciò vale per le stesse regioni del nord. Sono fermamente convinto che l'unità nazionale vada oggi riscoperta e riconquistata a partire dai comuni e dalle regioni attraverso una coraggiosa ridislocazione dei poteri e delle funzioni. È stata, non a caso, la grande lezione del popolarismo, di quella proposta di rivoluzione della forma dello Stato che, se ascoltata e perseguita, avrebbe avviato ben altri esiti nella nostra storia repubblicana.
Sabino Cassese ha scritto con l'abituale puntualità: «Sturzo non si limitò ad integrare le forze cattoliche nello Stato italiano, agendo così come potente strumento di raccolta del consenso intorno ai poteri pubblici, allargandone la legittimazione popolare. Egli fu anche l'unico politico che si preoccupò seriamente delle fondamenta e della struttura (dell'''organamento'', come egli diceva) di quello Stato, suggerendo un ambizioso disegno di riordino che va ben al di là del regionalismo e dell'autonomismo ai quali il nome di Sturzo è solitamente legato».
Vorrei chiedere ai rappresentanti della lega se siano interessati a questo processo o se siano ormai incamminati in una prospettiva secessionista che non solo è altra cosa dal federalismo, ma che obiettivamente lo ostacola, creando ulteriori alibi per quelle forze che anche oggi con tenacia si oppongono ad una diversa distribuzione dei poteri.
Vorrei altresì chiedere loro se pensano davvero che corrisponda alla realtà storica l'idea secondo la quale il vantaggio del federalismo segni invariabilmente il nord, al modo dell'ago della bussola. È milanese Cattaneo. È aostano quel Salvadori che Bossi ha eletto a proprio maestro, ma è federalista l'appena menzionato Luigi Sturzo, di Caltagirone. È federalista Salvemini, pugliese. È federalista Dorso, avellinese. È federalista Lussu, sardo.
Vi è una domanda che vorrei porre anche agli amici del Polo. Non è questo un problema comune al Governo ed all'opposizione?


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Le vie per arrivare ad un autentico federalismo sono certo molte, ma stiamo attenti alle formule altisonanti: esse corrono il rischio di rinviare decisioni concrete ed immediate; corrono il rischio di essere, ancora una volta, un pretesto per parlare d'altro, mentre sempre più cresce il disagio nel paese.
Un analogo ragionamento possiamo fare per l'Europa. Il dibattito di questi mesi ha chiarito molti equivoci ed ha anche visto la situazione internazionale incupirsi e diventare più incerta. Lo slogan dell'Europa ad ogni costo, dell'Europa comunque è apparso sempre più per quello che è: un espediente elettorale. È ormai un'evidenza che i modi attraverso cui costruire l'Europa comune andranno ridiscussi ed approfonditi. Ma da chi? Da chi l'Europa veramente la vuole, da chi non trasforma gli ostacoli in alibi, le incertezze in diversivi. L'Europa oggi non è un astratto orizzonte o una mera ipotesi del futuro: questa mi sembra una trappola micidiale. Nei prossimi mesi si avvieranno processi epocali che non possono vederci interlocutori distratti, invitati neghittosi che hanno altro per la testa. Certo, un'Europa non solo economica, ma politica e sociale, un'Europa dei diritti e dei doveri, un'Europa del lavoro. I parametri di Maastricht andranno pur rivisti, ma a patto di stare dentro un processo, una decisione, un impegno comune, standoci dentro con la convinzione che l'Europa non è una necessità, ma una scelta consapevole che comporta rischi e costi, ma apre anche ad una nuova speranza di futuro per noi e soprattutto per le generazioni che verranno.
Vi è infine un terzo obiettivo che caratterizza, signor Presidente del Consiglio, il programma del suo Governo: quello del rientro dal debito pubblico. In questo ambito credo che maggiormente si riflettano le diverse culture politiche e sociali che attraversano le forze di Governo e quelle dell'opposizione. Vedo nel programma che lei ha presentato un intreccio originale tra politiche di rientro dal debito e politiche di rilancio della produzione; tra l'obiettivo di riduzione progressiva del deficit e politiche di ripresa produttiva e sociale. Si tratta, infatti, di affrontare un autentico paradosso: come trasformare una politica di austerità in un'occasione di riforma economica e sociale. Di questi paradossi vive il pensiero economico più creativo, come ha ampiamente dimostrato questo lungo dopoguerra. Le ricette monetariste, liberiste, quella miope cultura che pensa di rilanciare l'economia distruggendo la società, sono esplicitamente abbandonate alla loro insignificanza dal suo programma.
Due punti emergono con particolare chiarezza: la difesa dello Stato sociale come una conquista di civiltà e non solo quindi come una formula transitoria dell'economia e la centralità del problema del lavoro.
Mi sembra che lei, signor Presidente, abbia chiarito assai bene la differenza tra Stato leggero e Stato minimo. Il primo vuole riformare, dare cioè una nuova forma amministrativa, culturale, organizzativa allo Stato sociale per portare innanzi quei diritti di cittadinanza su cui cresce una comunità nazionale. Il secondo si propone il semplice smantellamento della socialità delle istituzioni in nome di una mitica e sempre smentita, anche in America, bontà del mercato che in quei termini francamente non si dà.
La proposta che sottostà a questa seconda versione è quella di uno Stato sociale residuale, per i poveri. Basta iniziare con il mettere una card, anche di Stato, nel portafoglio della gente per vedere a rischio gli interventi per by-pass oltre una certa età (come avviene già in altri paesi europei), per distruggere nel giro di una settimana quello Stato sociale che non è caduto dal cielo e che è frutto di un processo di cittadinanza attraverso il lavoro e di democratizzazione durato mezzo secolo.
È vero, collega Colletti: chi taglia lo Stato sociale taglia la società; così chi si comporta con le pensioni. Ma c'è un elemento di oggettività che connota la situazione italiana, direi il suo particolare dolore civile, che proprio per questo ci fa sotto l'Ulivo umanamente e non ideologicamente attenti a uno scarto, ad una


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distanza con gli altri grandi paesi europei. Qui da noi la vita di chi lavora è tuttora più difficile.
Voglio ricordare che la vita sul lavoro sembra spesso, troppo spesso, legata ad un filo sottilissimo ed in ogni ora in Italia si contano più di 360 incidenti sul lavoro. Oltre 770 mila solo nel 1995. Sicurezza e prevenzione servono a poco se l'azienda impone i suoi tempi e decide di aumentare i ritmi di produzione. Ecco che allora arriva la morte per «tragica fatalità»; il destino, in verità, non c'entra quando si leggono certe cifre, quando si fanno i conti con le 1.121 vittime registrate l'anno scorso, 965 nell'industria e 156 nel settore agricolo. La statistica dice che ci sono 1,4 morti ogni mille infortuni, la più alta percentuale d'Europa rispetto allo 0,6 in Germania, all'1,1 in Francia e all'1 su mille in Belgio. Sommando infine i dati degli ultimi cinque anni, arriviamo ad un totale di 7.731 decessi.
Il record negativo, riferendosi sempre al 1995, spetta alla Lombardia che con quasi 9 milioni di abitanti, di cui 3 in età da pensione, ha un numero di morti sul lavoro quasi pari a quello della Repubblica federale tedesca che conta però 80 milioni di abitanti. E davvero non vorrei che la sequenza di queste cifre finisse per legittimare una lettura riduttiva e sarcastica delle Elegie duinesi, laddove Rilke canta che: «Esistere in terra è divino».
L'altro aspetto è la centralità del lavoro. Confesso di non condividere le perplessità degli amici di rifondazione comunista, quasi che questo tema fosse stato esposto tra i tanti, tra gli altri tanti, nell'agenda politica del Governo. Mi pare invece, signor Presidente, che lei ne abbia fatto uno dei temi di fondo, una delle scommesse decisive del suo esecutivo. Ma anche qui la drammaticità del problema, la sua urgenza, non deve impedirci di comprendere la sua complessità: il tema del lavoro investe l'impresa, il mercato del lavoro, ma anche il terzo settore; riguarda l'innovazione tecnologica ed innovativa, ma anche la formazione, l'istruzione come investimento (come lei, addirittura da qualche decennio, ha l'abitudine di ricordare), la scuola, l'università. Ma più ancora, il tema del lavoro oggi è il tema del Mezzogiorno, non più, come in un recente passato, come trasferimento di reddito, ma come creazione di lavoro, di impresa diffusa, di legalità, di presenza, insomma, dello Stato e del mercato.
Le urgenze, certo; i drammi, certo; ma a tutto questo non possiamo rispondere attraverso quella cultura dell'emergenza che ha costruito sulla sabbia la speranza di milioni di uomini e di donne del sud.
L'urgenza e il dramma devono risolversi nella concreta determinazione di risposte strategiche, di breve e di medio periodo. Bisogna riuscire, insomma, ad innescare quello sviluppo autopropulsivo che è stato da sempre il sogno del grande meridionalismo vecchio e nuovo, pur con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni.
Oggi la situazione è nuova. La battaglia federalista di Sturzo, nata al sud, è diventata un obiettivo condiviso da tutto il paese. Le migliaia di giovani scesi in piazza nel ricordo di Falcone e Borsellino esprimono in tutta la sua drammaticità una domanda di Stato come legalità da una parte e sviluppo dall'altra. Uno sviluppo che nasce dal Mezzogiorno e che guarda all'intero paese. Le donne e gli uomini meridionali sono oggi la base imprescindibile su cui dar vita ad una nuova esperienza che segua strade diverse dal passato.
Signor Presidente del Consiglio, il suo Governo rappresenta oggi una opportunità da non sciupare; è un'esperienza da cui tutti, forze di maggioranza e forze di opposizione, usciremo diversi da prima. Il senso di queste trasformazioni, la loro qualità politica e culturale, si misurerà proprio dalla capacità nostra di realizzare un confronto politico alto, non alla ricerca delle proprie velleitarie sicurezze, ma per la costruzione di una nuova democrazia e di una nuova qualità politica del paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo, della sinistra democratica-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti e di rinnovamento italiano - Molte congratulazioni).


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghezio. Ne ha facoltà. Le ricordo, onorevole Borghezio, che ha nove minuti a sua disposizione.

MARIO BORGHEZIO. Signor Presidente, colleghi, signor Presidente del Consiglio, questo Governo, che non ha certamente il diritto di arrogarsi il merito della cattura del capo mafia Brusca, ha però in merito già commesso il primo grave errore, in quanto ha mandato questo pericoloso capo mafia a Belluno. Noi protestiamo nella maniera più energica contro questa decisione irresponsabile.
A Belluno era stato già mandato in precedenza Cutolo e, come lei può ben immaginare, né l'uno né l'altro sono graditi in quelle zone! In realtà, nemmeno le carceri speciali, stracolme di mafiosi, sono gradite in Padania, perché sono giustamente viste come possibile e probabile focolaio di ulteriori inquinamenti mafiosi, proprio come i vari soggiorni obbligati e cautelari recentemente abrogati dal voto popolare e referendario. C'é da domandarsi fino a quando durerà, su questo tema, la pazienza della gente del nord. Per non parlare del numero spropositato di pentiti: 1200 nuclei familiari, che diventano 1800 con i parenti, per un totale di 6 mila persone, di cui quasi la metà, con gentile pensiero, è stata spedita da Roma nelle nostre regioni!
È lecito, signor Presidente del Consiglio, chiedere di rivedere questa politica criminale totalmente errata, tenendo anche conto che non risulta che lo Stato, prima dell'invio dei pentiti e dei loro cari e in precedenza dei soggiornanti obbligati, si sia mai posto il problema di sentire il parere delle comunità ospitanti? L'operazione «Idros» della procura di Reggio Calabria ha rivelato in questi giorni che una potente cosca della 'ndrangheta aveva tentato, non molto tempo fa, addirittura la scalata all'Italstrade. Siete consapevoli del rischio che la mafia partecipi al grande gioco delle privatizzazioni? Diteci subito, allora, quali procedure verranno attivate per azzerare tale rischio, per esempio limitando a quote minime la possibilità di intervento da parte di chi non riesca a certificare l'origine dei mezzi finanziari impiegati per partecipare alle offerte.
Vengono i brividi, signor Presidente del Consiglio, nel leggere le righe chiare in cui la relazione semestrale della DIA, recentemente trasmessa al Parlamento, parla dei pericoli e dei rischi che comportano i programmi dei lavori dell'alta velocità in Campania e nel Lazio, dove sono stati stanziati 5508 miliardi. Un bel regalo alla camorra! La DIA afferma che si preannunziano fin d'ora una serie di omicidi: bel corollario! Abbiamo l'impressione che per respingere la carica delle cosche agli appalti e ai subappalti dell'alta velocità in Campania al ministro Di Pietro non basterà schierare l'esiguo nucleo dei carabinieri del Ministero dei lavori pubblici. Sarà forse meglio mobiliare laggiù per intero quella Guardia di finanza che oggi dispiega forze di gran lunga eccessive ed inutili nel nord, specificatamente nel nord-est del paese.
Si sono levate molte voci sullo sfascio del sistema carcerario che è sotto gli occhi di tutti. Ci permettiamo di segnalare a questo Governo che in molti paesi occidentali (Stati Uniti, Inghilterra, Australia e Francia) quello delle privatizzazioni carcerarie non è più solo un tema in discussione, ma rappresenta una realtà operativa. Si passa dall'esperienza anglosassone, con vere e proprie privatizzazioni integrali, comprensive anche del settore della custodia, a quella della Francia, dove il programma dei 13 mila posti si è articolato essenzialmente nella concessione, progettazione e costruzione degli stabilimenti e nella connessa attribuzione della titolarità di servizi all'interno degli istituti così realizzati.
Noi proponiamo pertanto la costituzione di una commissione ministeriale che studi i numerosi problemi che si pongono in questo campo per arrivare presto a concrete proposte di modifiche legislative. Per renderci conto di pregi e difetti di un modello fortemente privatistico di gestione del carcere si potrà verificare direttamente, anche con visite mirate negli istituti che offrono le esperienze più


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avanzate, l'attuale stato delle privatizzazioni negli altri paesi, almeno con riferimento all'esperienza a noi più vicina, vale a dire quella inglese, anche alla luce del dibattito in corso nell'opinione pubblica internazionale sull'argomento.
Non certo dulcis in fundo, in ordine a quella che giustamente è stata definita la Cenerentola del sistema giudiziario italiano, la povera e disastrata giustizia civile, vi domando cosa intendiate fare. Ha idea, signor Presidente del Consiglio, di quale sia il carico di cause che gravano sulle sezioni stralcio dei tribunali civili? Nel tribunale della mia città, Torino, si rinviano per prove al 1998 nelle sezioni stralcio cause vecchie di sette o otto anni. Siamo alle solite e anche in seguito ai recenti provvedimenti le cause non andranno a buon fine prima di 10-12 anni!
È poi ora che qualcuno insorga contro l'eccessiva onerosità fiscale, contro il martellamento fiscale dello Stato anche nei confronti della povera gente, cui è negato l'accesso alla giustizia civile. Bella forma di libertà e di civiltà! Perché non decidersi allora a defiscalizzare completamente, compresa la tassa di registro, tutte le procedure di primo grado, almeno quelle davanti al giudice di pace?
Occorre infine introdurre nella giustizia civile e negli uffici i criteri di efficienza e di produttività anche in questo caso, ove possibile, privatizzando. Tutto il servizio degli ufficiali giudiziari e la stessa procedura esecutiva devono essere privatizzati. Privatizziamo senza indugio anche in questo settore! L'amministrazione della giustizia ne guadagnerà immediatamente in termine di riduzione dei costi, rapidità delle procedure e certamente anche in trasparenza (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scalia. Ne ha facoltà. Onorevole Scalia, le ricordo che ha sette minuti di tempo a disposizione.

MASSIMO SCALIA. Signor Presidente del Consiglio, colleghi, il programma di Governo presentato per la fiducia e il Governo da lei presieduto hanno il compito di dare ai cittadini italiani quelle risposte che le profonde mutazioni della nostra società esigono. Un Governo serio, concreto, come abbiamo promesso nella campagna elettorale dell'Ulivo; un Governo che vede per la prima volta in un paese dei G7 presenti i verdi; un Governo che affronti i problemi in un quadro di stabilità e di credibilità.
È appunto la credibilità, soprattutto nei confronti dell'Unione europea e degli altri partner internazionali e rispetto al risanamento del deficit pubblico, che sembra aver ispirato alcune importanti scelte di uomini nella compagine del Governo che lei presiede. Ma i due punti che risultano prioritari anche nel dibattito di questi giorni riguardano due questioni che attendono risposte precise ed impegni immediati: la riforma dello Stato in senso federalista e il problema del lavoro, della disoccupazione.
I verdi sono nati federalisti e rappresentano l'unica forza politica davvero organizzata come una federazione e non come un partito tradizionale su tutto il territorio nazionale. Abbiamo avuto, forse, il torto di non strillare, ma il modello di Stato che vogliamo, l'applicazione del principio di sussidiarietà e i livelli di ampia autonomia per i comuni e le regioni, il carattere solidale e cooperativo della nostra proposta di federalismo li abbiamo da tempo ben delineati, anche per alcuni delicati aspetti relativi, ad esempio, all'amministrazione della giustizia.
Spetta al Parlamento (nel quale sembra presente un'ampia maggioranza a favore di una tale riforma costituzionale) non perdere troppo tempo nello scegliere i modi per pervenire a questo esito, ma invece impegnarsi affinché nel minor tempo possibile si realizzi il federalismo - e non solo quello fiscale - nel nostro paese.
Un'altra priorità è quella del lavoro, di fronte ad una disoccupazione che supera, in Italia, il 12 per cento e vede, nel sud del paese, punte di oltre il 50 per cento per i giovani e le donne. Questa disoccupazione colpisce tutti i paesi industrializzati (oltre


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20 milioni in Europa, quasi 35 milioni nell'area OCSE) e non è risolta dal rilancio delle imprese, dalla dinamica del mercato, dalle ricette tradizionali. Questo è proprio ciò che si è realizzato in questi anni senza che - lo ricordava anche Giovanni Paolo II - alla crescita economica corrispondesse una risposta in termini di aumento delle occasioni di lavoro. Si tratta, allora, di avere il coraggio di innovare nelle politiche economiche, signor Presidente, di non restare chiusi nelle ricette tradizionali ed in quel deteriore continuismo che ha caratterizzato pressoché tutti i governi che si sono succeduti fino ad oggi. Come verdi, affermiamo con chiarezza che le tante proposte avanzate, nel labour day dell'Ulivo e nella campagna elettorale, non soltanto da noi, ma, quasi in coro, da tanti esponenti delle forze che oggi si apprestano a governare il paese, non possono restare desideri, non possono decadere nell'ormai abusato stilema «ho fatto un sogno».
Abbiamo indicato nell'ambiente, nelle grandi sfide che da tempo esso pone a tutti i governi del pianeta, quell'occasione di evitare una rotta di collisione con le attività produttive, con l'economia; al contrario, proprio l'ambiente suggerisce una nuova politica economica in grado di realizzare, nei diversi settori che abbiamo da anni indicato, centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro e, insieme, la modernizzazione di questo paese. Si tratta di indirizzare in tal senso gli investimenti pubblici, volano per investimenti privati ancor più consistenti, privilegiando - cito qualche esempio - la manutenzione ed il restauro dei grandi centri urbani ed il risanamento delle periferie degradate, l'economia associata alla realizzazione dei parchi, una vera e propria industria che valorizzi l'immenso tesoro di beni artistici, monumentali e archeologici dell'Italia, ai quali il bilancio dello Stato ha finora irresponsabilmente riservato irrisorie quote di poche unità per mille: sì, per mille, non per cento! Va poi considerata l'innovazione tecnologica nei settori dell'uso efficiente dell'energia e delle fonti rinnovabili, in cui la Germania di Kohl - suo ospite di pochi giorni fa - si propone come leader ed ha un ritorno doppio rispetto ad altri settori industriali.
Vogliamo riaffermare con chiarezza queste proposte di lavoro produttivo (altro che lavoro socialmente utile!), proposte di nuova occupazione che certamente richiedono anche di esaminare il grado di maturità di possibili riduzioni dell'orario di lavoro. Vogliamo riaffermare, signor Presidente, queste proposte nel momento in cui converge una forte attenzione sul rilancio delle opere pubbliche. Pulizia, trasparenza, certezza di regole ci assicura il ministro Di Pietro. Noi siamo qui a ricordargli ciò che lui stesso ha avuto modo di verificare ed affermare, ossia che molti dei progetti di Tangentopoli erano infondati, inutili, tesi solo a produrre affari e tangenti e non certo il bene pubblico.
A tutto il Governo vogliamo ricordare che la sfida della modernità oggi e di una società sostenibile per il futuro passa per quelle indicazioni che già a Rio de Janeiro venivano avanzate e che noi avevamo ben prima proposto.
Saremo vigili su questi aspetti programmatici; saremo vigili sull'azione del Governo, signor Presidente. Buon lavoro, Governo Prodi! (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Crucianelli. Ne ha facoltà. Onorevole Crucianelli, lei ha a sua disposizione quindici minuti.

FAMIANO CRUCIANELLI. Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, per chi in quest'aula e nel paese si è battuto per sconfiggere la destra questa è sicuramente una giornata di grande significato. Credo si possa dire senza retorica che il 21 aprile e la fiducia che quest'aula le darà, Presidente Prodi, sono momenti storici per il futuro del nostro paese, non solo perché la sinistra, dopo cinquant'anni, entra a pieno titolo, dalla porta principale, nel governo del paese ma perché in primo luogo forze che hanno un'autentica vocazione democratica sono chiamate a governare la transizione, una transizione difficile mentre un terremoto


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profondo che ha scosso il sistema politico, istituzionale e le ragioni sociali del nostro paese, è ancora in corso. Una transizione quindi difficile e dall'esito incerto.
Le cronache di ogni giorno sono altamente inquietanti: dagli insulti al Capo dello Stato durante manifestazioni solenni all'arresto di magistrati, dal boicottaggio fiscale ai proclami secessionisti. È vero, vi sono fatti di grandissima importanza come l'arresto di grandi criminali mafiosi, che testimoniano la vitalità e l'efficienza di parti importanti dello Stato. Ma non illudiamoci, la situazione è realmente critica; per questo è decisivo che su quei banchi del Governo in ministeri chiave vi siano uomini democraticamente e moralmente indiscutibili; è una garanzia per tutti, non solo per chi ha vinto le elezioni del 21 aprile. Ma ora per il Governo, per la maggioranza che lo sostiene, inizia la prova dei fatti. I problemi sono enormi: dalla necessità di una modifica radicale dell'organizzazione dello Stato all'obbligo di una riforma dei grandi mezzi di comunicazione.
Giustamente si pensa a questa come ad una legislatura di grandi riforme istituzionali e si è aperta un legittima - mi auguro feconda - non strumentale discussione sulle vie migliori per questa imponente opera riformatrice. È però su un altro terreno che vorrei svolgere qualche rapida riflessione, su problemi che sono intimamente in rapporto con i mutamenti dell'ordinamento istituzionale ma che hanno, almeno per me, una rilevanza straordinaria. Faccio riferimento all'emergenza economico-finanziaria. I mercati, gli operatori finanziari, hanno salutato positivamente la vittoria della coalizione democratica e il varo del Governo Prodi, e questo è un bene, è un incoraggiamento positivo, un messaggio di fiducia che in qualche misura può anche semplificare le cose. Ma non facciamoci illusioni: i problemi erano aspri e, per molti versi, in queste ultime settimane si sono ulteriormente complicati.
La crisi italiana viene da lontano, da molto lontano; in questi ultimi anni un uso spesso sconsiderato della spesa pubblica, un'altissima produttività e, da ultimo, la svalutazione della moneta sono serviti ad occultare la profondità e la strutturalità dei nostri problemi economici. Ormai - e non da oggi, ma almeno dalla fine degli anni ottanta - tutti i nodi stanno venendo al pettine. Il debito pubblico è divenuto travolgente, una vera e propria idrovora di risorse economiche e finanziarie. Nei nuovi settori dello sviluppo, nelle tecnologie del futuro, nell'innovazione tecnologica il nostro paese rischia la marginalità pagando così un caro prezzo alla miopia e all'egoismo di una parte rilevantissima degli imprenditori degli anni ottanta. Una parte decisiva dell'Italia, il sud, nel quale la disoccupazione supera il venti per cento, e dove più della metà dei giovani è senza lavoro e senza prospettiva, rischia una vera e propria deriva sociale ed economica. In sostanza, il nostro sistema è come sospeso e la straordinaria e diffusa vitalità economica di una parte del paese rischia anch'essa di trovarsi esposta tra due fuochi: da una parte, la concorrenza, impossibile da contrastare, sul costo del lavoro di alcuni paesi del sud del mondo e dell'est dell'Europa e, dall'altra, una arretratezza nei settori tecnologicamente avanzati che chiude alla nostra economia le porte del futuro.
Siamo quindi dentro una sofferenza strutturale del nostro sistema, una difficoltà che è stata occultata dall'ingegnosità, dalla capacità imprenditoriale e dalla vitalità economica di una parte del nostro paese e, in modo decisivo, dalla svalutazione della moneta nei confronti del marco e del dollaro, oltre che da una favorevole ripresa dell'economia europea ed internazionale.
Ora le cose stanno cambiando, e profondamente. La lira, grazie anche alla credibilità del nuovo corso politico italiano, è ormai a quota mille sul marco, ma soprattutto è nel cuore dell'Europa, in Germania, che l'economia e la realtà finanziaria sono entrate grandemente in difficoltà e siamo all'inizio di un contrasto sociale estremamente acuto e dalle conseguenze imprevedibili.
Alla stessa maniera si presenta la vicenda francese. Come è evidente, le acque


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nelle quali ha nuotato una parte importante della nostra economia rischiano di diventare rapidamente torbide ed i problemi di fondo di venire in superficie. È questa situazione che, molto più dei proclami resi a giorni alterni dall'onorevole Bossi sulla secessione, deve preoccuparci.
E se a tali profondi problemi che investono la nostra struttura economica e sociale si sommano alcune aggravanti, allora si moltiplicano i fattori di rischio per il paese e, soprattutto, diviene evidente la difficoltà estrema di interventi che intendono muoversi in continuità, senza una rottura, anche con le esperienze migliori degli ultimi anni.
La pressione fiscale, come è noto, ormai raggiunge livelli insostenibili e siamo ai limiti di una vera e propria rivolta fiscale. La spesa pubblica, anche se conserva zone di inefficienza e di spreco, è ormai all'osso, come ha affermato un provato chirurgo nella materia, quale è l'ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato. Insistere sulla politica dei tagli molto probabilmente vorrebbe dire compromettere centri nervosi decisivi dello Stato sociale.
Infine, il salario, il reddito dei lavoratori dipendenti durante questi anni ha subìto una continua, inesorabile erosione del suo valore reale. Questo è l'ordine dei problemi ed è per tali ragioni che, Presidente Prodi, la invito caldamente a non raccogliere né gli appelli del presidente della Confindustria che chiede un nuovo e punitivo intervento sulle pensioni, né i suggerimenti del professor Modigliani che le propone di abolire la tassa-inflazione, tenendo a zero l'aumento dei salari, non solo perché le ingiustizie e le sofferenze sono già acutissime nel nostro paese, ma anche perché, in attesa di un ipotetico circuito virtuoso, in realtà noi rischiamo di finire in un vicolo cieco.
È bene ricordare le gravi conseguenze sociali delle politiche economiche adottate in vista dell'Unione monetaria ed è un fatto che la politica deflattiva esportata dalla Germania in tutto il continente in nome di Maastricht ha già prodotto diciotto milioni e mezzo di disoccupati. Noi comunisti unitari la invitiamo sul terreno fondamentale della politica economica e finanziaria ad una vera innovazione, ad un superamento anche di quelle politiche che nel recente passato hanno rappresentato una prima risposta al mostro del debito pubblico.
Ciò che noi chiediamo a questo Governo è che finisca la politica dei due tempi: risanamento finanziario, nuovo sviluppo e lavoro devono essere un solo tempo ed una sola politica. Questo è il circolo virtuoso che deve entrare in movimento e da questo Governo deve venire un messaggio altrettanto chiaro, non solo nei propositi ma nelle scelte concrete: è finito il tempo nel quale i lavoratori, le classi meno abbienti sono stati la carne da cannone contro l'inflazione e per risanare il debito pubblico. Se la strada che si para dinanzi a noi non è tutta rose e fiori, è bene chiarire che le spine saranno equamente distribuite.
Per questo chiediamo al Governo di porre il dramma della disoccupazione in cima ai suoi pensieri, perché essa è la forma più odiosa delle diseguaglianze sociali ed il prezzo più amaro che pagano i più deboli. Alla lunga rappresenta anche una contraddizione insostenibile per lo stesso sistema economico.
Questo percorso e queste scelte daranno forza e stabilità al suo Governo e alla sua maggioranza, signor Presidente del Consiglio. Per essere chiaro, essi rappresentano la condizione perché si possa compiere una salto di qualità politica, perché si possa superare un'incertezza che era evidente ancora nel dibattito al Senato e dalla quale ha tentato di trarre giovamento la destra (e sempre più potrebbe farlo), ovvero il rapporto tra l'Ulivo e rifondazione comunista.
Poco più di un anno fa in quest'aula si è consumata una rottura all'interno del gruppo parlamentare di rifondazione: un dibattito difficile e scelte ancor più difficili per alcuni di noi. Durante quest'anno molta acqua è passata sotto i ponti e di quei fatti mi auguro che un domani si possa tornare a discutere con tutti, serenamente. Oggi, però, vi è un passaggio che vedo come obbligato per tutti, per il


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Governo, per rifondazione, per la sinistra e per l'Ulivo. Dovrebbe essere evidente che una maggioranza unicamente elettorale, qual è quella che oggi sostiene il Governo, non reggerebbe a lungo alla prova del tempo e dei fatti e se su questo terreno non si produce un vero e proprio salto la prospettiva diviene rischiosa; per questo è necessario un passo avanti. Ciò che ormai è indispensabile è il superamento della logica, tutta difensiva, ieri della desistenza ed oggi della maggioranza elettorale. Si tratta di impegnarci su alcuni punti di programma, in modo realistico ma con l'obiettivo chiaro di costruire le condizioni per una convergenza politica, per ampliare la maggioranza politica di questo Governo. Una scelta di questa natura obbliga tutti a dei mutamenti; obbliga ad esaltare i punti di unità e la ricerca della convergenza.
Capisco che viene messo in discussione un ragionamento che nella sinistra è stato dominante e forse anche utile, ovvero l'idea che bisognasse marciare separati per colpire uniti. Oggi, diversamente da ieri, è necessario che tutti ci si impegni non solo a colpire ma anche a marciare uniti. La posta in gioco è troppo alta.
Presidente Prodi, la partita - come ho cercato di dire - è difficile ma si può vincere. Nel paese vi è una grande speranza, una grande attesa. Dipende in gran parte da noi, dall'opera di questo Governo, trasformare queste energie in una grande forza di cambiamento. Dipende da noi cogliere questa occasione storica per superare gli ostacoli difficili della transizione e garantire al paese un futuro di sviluppo, di giustizia sociale e di democrazia (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lucchese, che ha a disposizione otto minuti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, come deputato eletto in Sicilia non posso non manifestare delusione per le dichiarazioni programmatiche del Governo Prodi, che riserva scarsa attenzione ai problemi del sud e della Sicilia in particolare. Non basta, signor Presidente del Consiglio, una fredda elencazione di problemi, che potrebbe rappresentare una pia intenzione, mentre manca un preciso impegno a dare soluzioni concrete. Anche il Governo Dini promise interventi nel sud per miliardi e miliardi nel famoso libro bianco dei lavori pubblici, ma non è stata spesa una lira.
Abbiamo notato - come era già accaduto nel precedente Governo - una scarsa presenza di ministri del sud. La Sicilia è rappresentata dal ministro per le pari opportunità, che assume da sola tutto il peso dei problemi della Sicilia ed alla quale esprimo, comunque, la mia solidarietà ed il mio augurio. Vi sono, poi, quattro sottosegretari siciliani, dei quali uno solo eletto in Sicilia, due eletti fuori ed uno non parlamentare - quota manuale Cencelli -: anche a loro il mio saluto ed il mio augurio di buon lavoro.
Il ministro Di Pietro promette il rilancio delle opere pubbliche incompiute e speriamo che vi sia spazio anche per il meridione e la Sicilia. Vorrei cortesemente ricordare al ministro dei lavori pubblici che l'autostrada Palermo-Messina è bloccata da 25 anni per la mancata costruzione di un tratto di 61 chilometri; così come vorrei porre all'attenzione del ministro dei trasporti il fatto che mentre nel centro nord si realizza l'alta velocità, in Sicilia la rete ferroviaria ha un binario solo. Alcuni esempi: da Messina per raggiungere Marsala via ferrovia si impiegano sette ore; quasi cinque da Palermo a Catania. Vorrei far presente al Governo Prodi che in Sicilia mancano le infrastrutture, senza le quali è impossibile pensare ad iniziative imprenditoriali. L'acqua è un bene prezioso ed indispensabile: in Sicilia è inesistente. Alcune dighe sono rimaste incompiute e spero intervenga subito il ministro dei lavori pubblici.
Le alte tariffe aeree, signor Presidente del Consiglio, isolano la Sicilia e non permettono l'afflusso di turisti. Sa che da Milano o da Roma costa meno raggiungere i vari paesi europei che andare a Catania o a Palermo? Sa che la commercializzazione


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dei prodotti siciliani è bloccata per le alte tariffe di trasporto e per i disservizi ferroviari?
I giovani del sud e della Sicilia sono senza lavoro e non hanno neanche la speranza di poter lavorare. È una grande tragedia alla quale occorre porre rimedio con ogni mezzo. Bisogna che finalmente i giovani trovino il posto di lavoro nella propria terra e tale risultato può essere raggiunto valorizzando le risorse presenti, quali l'agricoltura, il turismo, l'artigianato, la piccola e media impresa, la commercializzazione dei prodotti ed i beni culturali.
Per quanto riguarda il federalismo, noi guardiamo ad esso con attenzione e ne auspichiamo la realizzazione. Debbo però fare presente che, a distanza di cinquant'anni, lo statuto siciliano non è stato pienamente attuato per colpa dello Stato; anzi chiediamo una modifica di alcune sue parti e la piena applicazione dell'articolo 38 sui fondi di solidarietà nazionale, che poi derivano dalle imposte che vengono pagate in Sicilia (si tratta di circa 20 mila miliardi che la regione siciliana accredita nei confronti dello Stato). Auspichiamo altresì l'applicazione dell'articolo 36 dello statuto che definisce i rapporti finanziari tra lo Stato e la regione Sicilia. Attualmente perfino alcune categorie di impiegati statali trasferiti alla regione sono posti a carico del bilancio regionale, per non parlare dei problemi connessi alla tesoreria unica, che hanno portato alla penalizzazione delle risorse che la regione deve passare a questa con grave danno per la stessa regione e le banche siciliane le quali non hanno più potuto usufruire di questa fonte di approvvigionamento.
Per quanto riguarda la sanità e i trasporti, appunto per la mancata applicazione dell'articolo 36 dello statuto, lo Stato versa le relative somme alla Sicilia in misura inferiore rispetto alle altre regioni poiché queste vengono rapportate alla spesa storica e non agli abitanti.
È stata abolita l'alta corte della Sicilia prevista dallo statuto, né è stata ancora realizzata la sezione speciale della Corte costituzionale; non è stata ancora istituita la sezione d'appello della Corte dei conti per la regione Sicilia. Per quanto riguarda l'ordine pubblico, il ministro dell'interno, che è persona di alto profilo, spero dia la dovuta attenzione alla Sicilia e combatta con energia la grande e piccola criminalità. In caso contrario si attui l'articolo 31 dello statuto siciliano che affida al presidente della regione la responsabilità dell'ordine pubblico.
Signor Presidente del Consiglio, giorni or sono ho scritto una lettera al Presidente della Repubblica che si era tanto amareggiato per il fatto che nel siracusano, colpito dal terremoto nel 1990, non era stata realizzata la ricostruzione. Ho voluto cogliere l'occasione per rappresentare che nel Belice, dopo 28 anni dal terremoto, la ricostruzione non è stata ultimata e molta gente vive ancora nelle baracche umide e malsane.
Andrea Barbato, rispondendo un anno fa con una delle sue Cartoline ai bambini di Santa Margherita Belice, faceva le seguenti considerazioni che ci danno la misura del tempo trascorso: «Pensate, nel 1968, quando avviene la sciagura nella Sicilia occidentale, nono grado della scala Mercalli, distruggendo tanti piccoli centri tra i quali Santa Margherita Belice, il Papa era Montini, l'uomo non era ancora andato sulla luna, c'era la guerra in Vietnam, c'era Dubcek a Praga e il Presidente della Repubblica era Saragat». Sembra preistoria e invece lì, a Santa Margherita Belice, il terremoto è perenne. E continuava ancora: «È una vergogna per tutta la comunità nazionale che le popolazioni della valle del Belice siano ancora abbandonate; è un fatto incivile che non può essere tollerato né può avere giustificazioni».
Si sappia però che nel Friuli, la cui opera di completa ricostruzione è prevista entro il 2006, si sono spesi due terzi in più rispetto alla Sicilia, come è stato accertato e dichiarato dal ragioniere generale dello Stato alla Commissione bicamerale per il Belice.
Signor Presidente del Consiglio, non possiamo darle la fiducia perché il suo programma, anche se lungo e dettagliato, è confuso e contraddittorio; ci auguriamo che possa venire attuato, ma nutriamo


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molte perplessità. Le forze che la sostengono sono le più diverse; ciò significa che la prima grossa contraddizione sta nella vostra composita maggioranza. In particolare per il sud e la Sicilia il vostro è un ulivo nano, un bonsai, che anche se appare bello non dà frutti, come frutti non produce la quercia e dal cui incrocio non sappiamo quale pianta possa svilupparsi, anche perché è sempre in agguato la potatura che verrà operata da una falce e un martello.
Concludo, signor Presidente, con una speranza: che Cristo riprenda il cammino interrotto ad Eboli e finalmente arrivi in Sicilia, prima che sia troppo tardi e perché si possa dire che l'Italia e l'Europa non finiscono, ma cominciano da Trapani (Applausi dei deputati del gruppo CCD-CDU).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buglio, al quale ricordo che dispone di dieci minuti. Ne ha facoltà.

SALVATORE BUGLIO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, in questi giorni tutti discutono con passione sul federalismo. Le parole su questo argomento ormai si sono consumate. Non ci rimane che la forza delle riforme accompagnata al rispetto delle regole: è un principio indispensabile per governare. L'alternativa è il principio di anarchia, che porterebbe allo sfascio delle istituzioni.
Caro Presidente, io proverò a parlare di un'altra Italia: di un'Italia che non fa quotidiane sceneggiate da opera dei pupi, che non appare su tutti i giornali e che è composta da milioni di cittadini che hanno tirato e continuano a tirare la cinghia con grande e responsabile fatica. Parlo dei lavoratori della FIAT, che si interrogano quotidianamente sul loro futuro, dei lavoratori della Ferrero, della Mandelli, delle acciaierie della provincia di Torino chiuse a seguito di accordi europei. Gli imprenditori ricevono i premi della Comunità europea ed i lavoratori sono a spasso senza una lira! Le parlo della Viberti, dell'Olivetti, dell'Alenia, dei lavoratori del sud che non sentono nemmeno l'alito del lavoro e di tanti altri che attendono un segnale, una strategia per il lavoro che questo paese non ha mai avuto.
E vi sono quelli - e sono tanti - che, avendo perduto il lavoro e non essendo attrezzati per conquistarne un altro, perdono la loro identità e, molte volte, la loro vita. Sono tanti, onorevole Presidente del Consiglio! Sono lavoratori che non chiedono assistenza, non sanno cosa farsene. Chiedono allo Stato l'opportunità di lavorare, di una formazione continua e l'opportunità per i propri figli di studiare per attrezzarli alla competizione. Oggi questo non avviene. Oggi solo il 3 per cento - dico: il 3 per cento! - dei figli degli operai arriva alla laurea. È questo un dato che fa giustizia del «chiacchiericcio collettiano». Oggi i ricchi sono più ricchi ed i poveri sono molto più poveri: questa è la fotografia del nostro paese!
E nella soglia della povertà stanno arrivando speditamente coloro i quali ieri erano considerati ceti medi: impiegati, insegnanti e parte del terziario arretrato. Ecco perché il Governo deve destinare risorse alla scuola, alla formazione e allo sviluppo! Risorse che possono provenire dalla riforma dello Stato sociale; meno assistenza, più opportunità: se dovessi definire un nuovo Stato sociale, lo descriverei in questo modo. Risorse che devono venire anche dall'evasione fiscale, dal superamento degli sprechi e dalla privatizzazione di molte aziende pubbliche. Questi ed altri sono i settori che devono contribuire alla formazione della prossima legge finanziaria. I lavoratori dipendenti hanno già dato e, anche se volessero, non hanno la possibilità di farlo ulteriormente.
Signor Presidente del Consiglio, sa quanto entra nella busta paga di un operaio? Glielo dico subito: dal milione e mezzo ad un milione e 800 mila lire al mese, caro ministro Ciampi! E per diretta esperienza le dico come vengono spesi: 650 mila lire al mese per un mutuo o l'affitto con relativa spesa; 700 mila lire per il vitto, più luce, gas, telefono e spese varie. Lo stipendio è finito!
Dottor Fossa, si legga questi dati e la smetta di considerare i lavoratori come i


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pirati che nascondono i loro tesori! Noi abbiamo già dato, ricevendo in cambio qualche bella parola e molti schiaffi. Abbiamo fatto degli accordi che hanno creato un circolo virtuoso: meno inflazione e debito pubblico, più risorse e competitività delle aziende, che hanno prodotto grandi, grandissimi profitti.
Per ingraziarci ci dicono che l'accordo di luglio e la riforma delle pensioni sono da ridiscutere. Non se ne parla, non solo per un elementare senso di giustizia sociale, ma anche perché avrebbe effetti negativi, rottura della pace sociale e fuga verso le pensioni. I lavoratori, i disoccupati, le piccole aziende del sud, del centro e del nord, non aspettano miracoli - rispetto a questo siamo già vaccinati - ma occasioni di lavoro, di nuovo lavoro, che si indirizzi alla cultura, al tempo libero, al turismo, ai beni immateriali, favorendo la creazione di aziende no profit del terzo settore, che vada oltre lo storico binomio pubblico-privato. Queste esperienze hanno già un forte mercato negli altri paesi europei (penso alla Germania con il 7 per cento). Lo Stato deve dare un sostegno iniziale a queste iniziative imprenditoriali. Bisogna offrire incentivi fiscali, creditizi, finanziari, servizi ausiliari nei distretti industriali, formazione professionale adatta a quelle imprese, infine assistenza tecnologica. Ricordo che con il Governo Berlusconi le risorse sulla ricerca fondamentale furono ampiamente ridotte; cosa gravissima per un paese che importa tecnologie con costi elevatissimi e che deve necessariamente basare la propria competitività puntando sul valore aggiunto.
Quando pensiamo al lavoro dobbiamo scrollarci dal torpore ideologico, dobbiamo sapere che nel futuro diminuiranno i lavoratori dipendenti - è inevitabile, è il frutto dello sviluppo virtuale - e aumenterà la schiera dei piccoli imprenditori.
Ecco perché dobbiamo compiere uno sforzo vigoroso per promuovere la crescita di nuovi lavori, di piccole aziende innovative, anche incentivando i lavoratori che dipendono da imprese grandi e medie a mettersi in proprio. È importante per l'intero paese, ma è addirittura vitale per il Mezzogiorno perché quella crescita ridurrebbe la disoccupazione e soprattutto perché con l'espansione della schiera delle persone autosufficienti diminuirebbe il clientelismo che costituisce un ostacolo molto grave allo sviluppo civile.
Come vede, signor Presidente, ho cercato di parlare di argomenti che interessano milioni di persone: la riforma dello Stato sociale, la valorizzazione di chi offre il lavoro e di chi lavora, la ricerca di nuovi lavori. Se riuscissimo in questo dibattito a dare segnali in questa direzione, forse le fondamenta e la credibilità del paese ne uscirebbero rafforzate.
Una preghiera: evitatemi, cari colleghi, la santificazione di una parte del paese perché leggendo i giornali sembra che in questa benedetta Italia lavorino e producano solo gli abitanti del nord-est. Non scherziamo! Diamo una risposta, caro Presidente, ma diamola a tutta la nazione, da Lampedusa a Bolzano, senza distinzione. Di un vero federalismo hanno bisogno tutti, un fisco che premi e non soffochi è un sogno di tutto il paese. Non facciamo l'errore di trasformare i rivoltosi antifisco in eroi. Certo, vi sono giuste esigenze, ma, diciamocelo con franchezza, vi sono tanti evasori, che, con la scusa del fisco ingiusto, vogliono mantenere i privilegi che un vecchio patto doroteo aveva loro elargito e che la nuova Italia, che deve costruire i germi di una società giusta, non può più mantenere (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo e dei popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pepe, il quale ha a disposizione dieci minuti. Ne ha facoltà.

MARIO PEPE. Onorevole Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, ho letto e approfondito e chiosato con me stesso le dichiarazioni programmatiche che ha avuto l'amabilità di consegnare con tanto garbo all'Assemblea dei deputati.
Ho apprezzato il richiamo culturale e politico della tradizione democratica del nostro paese, che trova il suo ancoraggio nella Carta costituzionale, da rivedere ma


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non da stravolgere, da arricchire con nuove attualizzazioni, ma non da rabberciare con strane e immotivate idee istituzionali.
Nelle sue analisi c'è quel pascaliano esprit de finesse, cioè quella pacatezza, quella serenità nell'analisi politica dei problemi che aiuterà molto il paese ad uscire fuori dalla crisi. Una crisi strutturale, diffusa, avvertita anche emotivamente soprattutto dai giovani nel loro disagio psicologico ed esistenziale, nella loro irrefrenabile gioia di vivere, nel loro desiderio eudemonistico di dare un senso alla vita.
Si tratta di questo: dare un senso alle cose, alle scelte coraggiose e difficili che bisogna compiere, alle priorità programmatiche che occorre selezionare nell'attività di Governo. Il riferimento agli uomini illustri della patria, che hanno liberato la democrazia dalla logica dei blocchi e dalle guerre ideologiche, è stato notevole e paradigmatico per ciascuno di noi. Dopo i tanti eventi ci rendiamo conto del grande merito che tali uomini illustri hanno svolto storicamente nel nostro paese.
È possibile fare di più? Io sono convinto di sì. La coalizione dell'Ulivo tutta intera può e deve fare di più. Il paese ha fiducia; le famiglie smarrite attendono provvedimenti qui ed ora. Si tratta di provvedimenti coraggiosi da adottare senza tentennamenti e infingimenti. Si tratta, cioè, signor Presidente, di implementare di nuovi valori la democrazia repubblicana, rendendola più vicina ai cittadini e più rappresentativa delle diversità culturali e politiche.
Forse, anche in qualcuno dell'Ulivo - perché non dirlo? - vi è una voglia di occupazione di posti di responsabilità, di piazzamento dei propri «armati», di sistemi di sicurezza e di sopravvivenza. Non dobbiamo far prevalere questa logica - come lei diceva - perché essa appartiene alla cattiva idea della politica, ma dobbiamo costruire una nuova ideazione della politica, una maggiore concretezza della stessa prassi politica.
Perché non ricordare a lei le esortazioni del grande Plutarco? Egli affermava: «Quelli che scendono nella lotta politica con preparazione e discernimento, molto serenamente e con misura governano gli impegni e non si tormentano per nulla perché hanno come fine delle loro azioni il bene e nessun'altra cosa». Lei ha manifestato queste qualità consentendo alla coalizione dell'Ulivo, anche se giudicata eterogenea da qualche nostro avversario, di vincere, perché non è una coalizione di trasformisti. L'Ulivo ha trovato riscontro nella disponibilità dei nostri concittadini; la gente ci ha seguito perché ha visto in lei, nella sua proposta politica una coerente linea per superare le difficoltà. Dobbiamo essere tutti insieme quando si tratta di delineare gli obiettivi istituzionali e politici della nostra patria; diverso sarà il servizio e diverse le responsabilità tra maggioranza e opposizione.
L'Ulivo non ha vinto per creare nuove egemonie totalizzanti, ma per determinare nuove condizioni di sviluppo e di rafforzamento della nostra democrazia; per costruire un nuovo modo della politica, una diversa modalità operativa nell'affrontare le questioni fondamentali del nostro paese.
Il grande cancelliere tedesco della metà dell'ottocento affermava: «Faust si lamentava di avere due anime nel petto. Io ho dentro di me un'intera folla di persone in perpetuo litigio: quasi fosse una Repubblica».
La Repubblica, signor Presidente, è proprio questa diversità, una pluralità di culture, di etnie, di passioni sedimentate nella coscienza umana. La nostra Repubblica va radicata nella coscienza dei cittadini, deve diventare il valore fondamentale della nostra comunità tutta intera, unita, pronta a migliorare nell'efficienza la forma dello Stato attraverso un federalismo collaborativo e solidaristico. Questa è l'attesa della storia del nostro tempo; cadere nella storia significa - come dice Cioran - rendere visibile la nostra azione, rendere coerenti le nostre scelte.
Concordo sostanzialmente sui punti fondamentali delle sue dichiarazioni, sui punti forti che lei ha toccato: si tratta di creare un nuovo ethos civile, perché è in


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gioco oggi non solo il senso del nostro essere, ma del nostro co-essere.
La scuola deve essere un punto centrale, ma indirizziamo la nostra attenzione anche e soprattutto agli educatori, perché se non vi sono buoni docenti non ci saranno ottimi cittadini e il cittadino è il fondamento della vita sociale e dello Stato.
Le sue dichiarazioni programmatiche non sempre però hanno trovato riscontro in tutta la squadra dell'esecutivo. La compagine governativa è stata composta nelle sue varie parti molto frettolosamente, autentiche testimonianze di esperienza e di cultura territoriale non sono state utilizzate, facendo largo spazio a molti candidati non eletti, senza tener conto del risultato elettorale.
Sarà questo il paradosso della politica: capovolgere la razionalità del voto con l'irrazionalità della compensazione. Queste tuttavia sono considerazioni che attengono a quello che è accaduto, ma rimane il grande amore per l'Ulivo come disegno globale di rinnovata democrazia, resta la fiducia che ispira la sua Presidenza.
Con queste riflessioni vorrei affidare al suo Governo alcuni aspetti che mi premono in maniera particolare. Il sud deve uscire fuori da un'analisi oleografica e stereotipata, deve diventare la questione centrale della politica, valorizzando quello che c'è. Il sud non ha bisogno di novelli Masaniello - questi, riciclati, sono un danno per tutti, una vergogna per le istituzioni - ma dovrà fare appello alla sua cultura, alla sua fedeltà allo Stato democratico e riscattarsi, per onorare un nuovo tavolo negoziale per il suo sviluppo. Non vi è sviluppo nel sud senza risorse e potenzialità endogene.
Vanno potenziati i distretti produttivi, in una interconnessione dinamica con il territorio, che è già potenzialmente atto ad essere competitivo. Occorre concentrare l'intervento con risorse adeguate, creando le opere infrastrutturali essenziali. Penso alle aree marginali del Fortore beneventano, della valle dell'Ufita e dell'Irpinia. In queste zone mancano, onorevole Presidente, le opere essenziali per sopravvivere, i servizi sanitari di base, la viabilità di collegamento. Occorre poi rilanciare l'agricoltura con l'approvazione della legge poliennale di spesa, che deve essere il provvedimento degli obiettivi e delle finalità nel quadro della politica di sostegno dell'Unione europea.
Le grandi manifestazioni degli agricoltori a Napoli ieri ed alcuni giorni fa a Milano sono un segno del diffuso malcontento che investe il mondo agricolo. Essi non hanno protestato, ma proposto una politica forte ed autorevole che il Governo dovrà svolgere nell'Unione europea.
Questo settore andava schematizzato con più forza propositiva e con maggiore impegno. Il sud ed il nord devono trovarsi in competizione collaborativa per rendere forte, nelle variegate domande, l'Italia nell'economia globalizzata. Siamo per un'Italia senza pregiudizi e senza frontiere, il neoguelfismo laico non ci attrae. Si tratta di questioni diverse che devono essere affrontate senza indugio, ma anche senza la presunzione di etnie eccellenti. Dobbiamo alimentare la spes contra spem, come direbbe La Pira: sperare contro ogni apparente impossibilità di sperare. Avevano ragione due grandi pensatori dell'inizio del novecento Bergson e Blondel: «Bisogna dare uno slancio di creatività, di azione trasformatrice morale e politica, di rinnovamento culturale e spirituale dell'attività di governo del nostro paese».
Mi creda, onorevole Presidente, segua il sentiero di Isaia, cioè quello della tolleranza, della pacificazione, della serenità operosa. Giustamente diceva La Pira, ripensando i suoi propositi programmatici e le cinque domande che condizionano la riflessione storico-politica del nostro tempo, «solo rispondendo ad esse si può trovare la via giusta attraverso la quale la nuova dirigenza politica, economica e culturale raggiungerà le nuove frontiere».
Il segretario del mio partito, il partito popolare italiano, nell'indirizzare a lei una lettera aperta afferma: «L'Italia unita con adeguate riforme istituzionali, capace di valorizzare in modo efficace le responsabilità delle comunità locali nell'autogoverno, così come Sturzo aveva sognato, deve


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infatti procedere speditamente nel processo di integrazione economica, finanziaria e politica con l'Europa». Con queste affermazioni ribadiva l'esigenza di creare un impegno comune.
Con tali considerazioni noi salutiamo e sosteniamo il suo Governo, convinti che una nuova stagione, radiosa ed affascinante, di democrazia, di sviluppo e di progresso ci sarà per il nostro paese.
Questo è il desiderio dei nostri cittadini, questo è l'appello che viene a lei da tutte le contrade del nostro paese, questa è la speranza che viene dal partito popolare (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tremonti. Ne ha facoltà. Le ricordo che ha quindici minuti di tempo a disposizione.

GIULIO TREMONTI. Signor Presidente, l'Italia è in Europa il paese più centralizzato, più indebitato, più disordinato. Centralismo, debito, disordine sono anelli di una stessa catena che ha cominciato a stringere il paese a partire dalla prima metà degli anni settanta; tutto è cominciato con la cosiddetta centralità del Parlamento, da cui il centralismo finanziario è stato tratto come un corollario.
Il nuovo supercentralizzato impianto di finanza pubblica ha unificato ciò che doveva restare separato - centro e periferia - mentre ha separato ciò che doveva restare unificato (le entrate e le uscite, i doveri e i diritti). Questo miracolo all'incontrario è stato reso possibile certamente dall'uso non responsabile del debito pubblico, che ha corrotto la nostra democrazia, facendola precipitare nel disordine tipico di una democrazia del deficit.
Se questa - centralismo, debito, disordine - è una triade, il suo discorso - mi consenta, signor Presidente del Consiglio - è una specie di monade. Sull'enciclopedia Treccani si legge che la monade non ha finestre, essendo il centro di una sfera invalicabile di consapevolezze, che si accresce solo traendo, alla luce della coscienza, gli infiniti tesori della sua coscienza inconscia. E appunto nel suo discorso, signor Presidente, non mi pare che vi sia sufficiente coscienza di ciò che davvero è necessario in materia di politica istituzionale, di politica economica, di politica legislativa.
Parliamo della politica istituzionale. Politica istituzionale vuol dire federalismo e presidenzialismo. Nessuno è salito sul monte Sinai per ricevere le tavole del federalismo; il federalismo è una formula empirica, non è una formula dogmatica. Noi empiricamente sappiamo che il federalismo si colloca tra due estremi: da un lato il confederalismo, dall'altro il semplice decentramento. Il confederalismo si basa sull'idea di un pactum unitatis stretto tra comunità politiche originariamente autonome e perciò titolari del diritto di risoluzione del patto di unità. Il decentramento è solo un movimento grazioso ed altezzoso, che fa scendere verso il basso semplici competenze amministrative, competenze che si intendono però pur sempre e continuamente revocabili dell'atto.
È nel mezzo che si pone un vasto spazio per cercare, nella speranza di trovarle, formule politiche su cui tentare di raccogliere il più vasto consenso possibile. Sono le formule che, come ha detto il Presidente della Repubblica, non tollerano maggioranza. La ricerca di queste formule non mi pare competa al Governo e il fatto che lei si sia dichiarato favorevole al federalismo è certo positivo. Tuttavia occorre fare una precisazione: sarebbe positivo se lei si astenesse dal compiere atti o dal portare avanti proposte che rischiano di produrre effetti di contrasto sulla via del federalismo, introducendo a titolo di federalismo forme di tassazione che in realtà non sono federali ma surreali.
Mi riferisco in particolare all'IRAP, all'imposta regionale sulle attività produttive, che è specificamente prevista nel suo programma. Vede, il federalismo è un fenomeno politico che non si esaurisce nei domini della fiscalità, ma è certo che senza fiscalità non c'è federalismo. Il federalismo o è fiscale o non lo è. Tocqueville indicava l'essenza politica del federalismo nel budget, nella coincidenza tra la cosa


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amministrata e la cosa tassata. Ebbene, dov'è questa coincidenza nell'IRAP per il cui effetto la spesa per la sanità dei cittadini dovrebbe essere pagata da soggetti tutti diversi dalle imprese?
Questo è il punto. Vi è una completa dissociazione e sfasatura tra spesa ed entrata che mi sembra il carattere strutturale, federalisticamente negativo, di questa ipotesi di imposta. Aggiungo che, se ciò fosse chiaro ai produttori che dovrebbero pagare la tassa sulla salute dei pubblici dipendenti, forse portare avanti questa ipotesi di imposta sarebbe non un contributo sulla via del federalismo, ma un contributo sulla via della secessione.
Per quanto riguarda la politica economica, è certamente vero che è difficile governare con il sistema maggioritario, e per di più avendo una maggioranza limitata, uno stock di debito pubblico di oltre 2 milioni di miliardi accumulato in vent'anni di proporzionale. Ma le difficoltà che questo comporta imporrebbero precisione nel programma, mentre mi pare che nel suo discorso non vi sia niente di preciso a proposito di finanza pubblica. Non dice, infatti, cosa tassa e cosa taglia, quando tassa e quando taglia. È vero che ci sono forme di medicina rituali che danno la possibilità di guarire by magic, con il semplice fatto del toccare, ma mi sembra che qui si stia cercando di andare oltre: lei ci vuole far credere che è possibile guarire senza neppure toccare! Non si stupisca se restiamo abbastanza scettici circa la possibilità che lei possa realizzare tutto e il contrario di tutto, Maastricht e il contrario di Maastricht.
La politica legislativa. Gli ordinamenti giuridici hanno assegnate dalla storia tre sorti: o hanno la forza per disciplinare la realtà o, in seconda alternativa, trovano al loro interno la forza per superare la crisi con una nuova disciplina della realtà, oppure, in terza alternativa, vengono travolti. L'ordinamento giuridico italiano non pare avere più la prima forza, non ha ancora perso né ancora preso la seconda forza, perciò è altissimo il rischio dell'anarchia. Il Governo precisi e sviluppi la sua azione su questa parte, altrimenti dica perché deve farlo il Parlamento. La rivoluzione francese culmina con la formula liberté, egalité, fraternité, in cui egalité vuol dire soprattutto legalité, il primato della legge votata da un libero Parlamento eletto da un libero popolo, quale noi siamo e dobbiamo dimostrare di essere.
Signor Presidente del Consiglio, parlando al Senato lei ha usato una immagine di confine, l'immagine della carovana. Forse avrà notato, signor Presidente, che al suo carro manca un'asse, l'asse del tempo. Forse avrà notato che nel suo programma non c'è una data e non c'è un numero; come spesso succede in Oriente, lei presenta un programma che pare appiattito sull'infinito, piattamente infinito. Mi correggo. Quando ho detto che nel suo programma non ci sono date ho fatto uno sbaglio: una data c'è ed è quella di fine legislatura, che lei ci indica come data di fine del suo Governo. Questo evento è certus an ma incertus quando. Signor Presidente del Consiglio, che il suo possa essere o no un Governo di legislatura non dipende solo da lei, ma anche da noi. Se nel Parlamento o nel paese si avvia una fase di riforme, questa può e deve chiudersi entro i tre anni indicati dal Presidente della Repubblica, dopo di che si vota. Altrimenti si vota lo stesso, perché alla fine delle speranze di evoluzione subentrerà l'implosione. Dipende da lei se vuole durare per fare o fare di tutto solo per durare. Nel suo programma ciò non è ancora sufficientemente chiaro e per questo, con personale rammarico, esprimerò un voto contrario (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Novelli. Ne ha facoltà. Le ricordo, onorevole Novelli, che ha dieci minuti a sua disposizione.

DIEGO NOVELLI. Pensavo di avere un quarto d'ora, Presidente.

PRESIDENTE. Mi è stato detto che ha dieci minuti. Può aprire una negoziazione con il suo gruppo, se vuole!


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DIEGO NOVELLI. Farò una premessa e due considerazioni piuttosto succinte, per rientrare nel tempo che mi è stato assegnato. La premessa vuole essere anche una modesta raccomandazione. Cambiare si può, anzi si deve, purché il processo di cambiamento venga subito avviato e sia subito avvertito dai cittadini.
Penso che non sia più tempo di proclami e di manifestazioni di intenti; è giunto il momento del fare, dell'operare nella direzione indicata agli italiani nel corso della campagna elettorale. Le mie radici, direi caratteriali (visto che vanno di moda le etnie), mi fanno avvertire molte affinità con i suoi comportamenti, signor Presidente del Consiglio. Mi trovo cioè molto spesso in sintonia con i suoi toni, semplici ma determinati, con le sue affermazioni, non arroganti ma rigorose. La politica spettacolo dovrebbe aver fatto il suo tempo dopo quindici anni di ubriacature e di frastuoni, a partire dal nefasto 1980.
Il distacco, la grave frattura che si è determinata tra il paese reale e quello legale, tra il Palazzo e i cittadini ha alla base un certo modo di concepire e di praticare la politica. Ecco perché si avverte più che mai la necessità che il suo Governo, onorevole Prodi, che tante speranze ha suscitato nel paese, adotti un comportamento caratterizzato più dalla collegialità che dal protagonismo personale, possibilmente ispirato a quell'understatement che ci ricordava sempre Augusto Monti e che, tradotto in piemontese, vuol dire esageruma nen, non esageriamo!
Non è necessario che ogni giorni si cerchi di colpire ad ogni costo la fantasia dei cittadini con raffiche di dichiarazioni o esternazioni di varia umanità. Non è necessario, soprattutto, come dicono i francesi épater les bourgeois; per esercitare le funzioni di Governo, come lei sta dimostrando, sobrietà e coerenza nei propositi sono auspicabili nell'interesse della coalizione e, quindi, della governabilità.
Vengo alla prima considerazione di carattere generale. A mio avviso il Governo si dovrebbe tenere abbastanza fuori dalle questioni istituzionali. Proponga subito, attraverso le forze politiche che lo sostengono, quelle riforme che ritiene indispensabili per la sua azione di Governo per andare al più presto ad un confronto con tutte le forze presenti in Parlamento. Il decentramento dello Stato in una visione federalista fondata sul principio della sussidiarietà è indispensabile per fare dell'Italia un paese moderno ed efficiente, per ridurre le vergognose disuguaglianze sociali, economiche e culturali che negli ultimi quindici anni si sono accentuate anziché ridursi, sino a mettere a rischio seriamente le capacità competitive dell'Italia a livello internazionale. Come esempio, basti ricordare i bassi tassi di scolarizzazione del nostro paese rispetto a quelli europei o dei paesi a capitalismo maturo del cosiddetto mondo occidentale per rendersi conto che l'Italia rischia di andare, per usare un'infelice espressione, fuori mercato.
Per fare queste riforme istituzionali non è necessario inventare un'assemblea costituente da contrapporre all'attuale Parlamento. A meno che l'onorevole Berlusconi, con l'ex Presidente Cossiga e con Mario Segni, considerino questa Assemblea e quella del Senato delegittimate. A mio avviso vanno invece presentate subito alla I Commissione affari costituzionali le proposte di riforma: dalla riduzione del numero dei parlamentari al superamento del bicameralismo, alla riscrittura dell'articolo 138 della Costituzione per adeguarlo al mutato meccanismo elettorale e maggioritario, vale a dire per impedire che una minoranza elettorale che conquista legittimamente la maggioranza dei seggi in Parlamento possa poi a suo piacere cambiare la Costituzione. Non considero la Costituzione un tabù, ma chi la conosce bene non può non ritenerla un bene prezioso per la nostra democrazia presente e futura.
E perché mai una Commissione bicamerale che si interessi di tali questioni dovrebbe essere considerata, come fa l'onorevole Berlusconi, un «inciucio»? E, sia detto una volta per tutte, a riparo delle tante stoltezze dette e scritte anche da autorevoli - o presunti tali - uomini di dottrina politica e giuridica: la Commissione


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bicamerale aveva svolto un buon lavoro, che rimane a disposizione di chiunque voglia affrontare seriamente questa materia. Va detto che le distanze registrate allora, anche tra la lega e le altre forze politiche, non erano così incolmabili. Basti ricordare che alla riscrittura dell'articolo 117 della Costituzione aveva materialmente concorso in quella sede il professor Miglio, allora «teologo» della lega.
La seconda considerazione, di carattere più specifico, riguarda il mondo delle autonomie. Una riforma dello Stato in chiave federalista non può non partire dai livelli più bassi della piramide, cioè dai comuni (e non dico questo per piaggeria nei confronti dei sindaci barricadieri - come poc'anzi un collega li ha definiti -, i nuovi Masaniello che spuntano come i funghi non solo nel nord-est, ma un po' in tutte le regioni, per quei fenomeni imitativi non sempre esaltanti).
Ho apprezzato la proposta lanciata ieri dal ministro Napolitano dell'urgente convocazione di una conferenza Stato-città, strumento indispensabile per evitare il rischio del neocentralismo regionale, però, con grande franchezza, onorevole Prodi, debbo dire che da questo Governo mi sarei atteso lo sganciamento degli enti locali dal Ministero dell'interno, attribuendo le competenze in materia non ad uno specifico ministero, ma alla Presidenza del Consiglio, che le avrebbe esercitate attraverso un forte sottosegretariato. Si tratta di una proposta avanzata da circa trent'anni dall'Associazione nazionale dei comuni d'Italia e da tutto il mondo delle autonomie locali e sempre disattesa da tutti i governi che si sono succeduti in questo arco di tempo.
Alle agitazioni dei sindaci del nord-est (che, peraltro, non mi risulta abbiano presentato specifiche richieste riformatrici, ma continuano a lanciare minacciosi ultimatum) il Governo ed il Parlamento devono rispondere con misure immediate, alcune delle quali realizzabili in cento giorni - nei fatidici cento giorni -, altre nel giro di diciotto mesi.
Sintetizzo tali misure in dieci punti. Primo: passaggio delle competenze relative alle autonomie locali dal Ministero dell'interno alla Presidenza del Consiglio, onde garantire autorità di intervento su tutti i ministeri.
Secondo: immediata approvazione della legge - già discussa dalla Commissione affari costituzionali - sui segretari comunali, con la creazione dei direttori generali per i comuni superiori a 15 mila abitanti, scelti dalle amministrazioni, lasciando ai segretari il compito del controllo sulla legittimità degli atti.
Terzo: abolizione dei comitati regionali di controllo, con immediato svuotamento, in attesa della legge costituzionale, delle loro funzioni tramite legge ordinaria di revisione della legge n.142 del 1990, lasciando ai comitati di controllo il solo controllo sui bilanci e sugli statuti comunali.
Quarto: assegnazione ai comuni, con relativo finanziamento, del compito di aggiornamento del catasto, fermo, in alcune realtà del nostro paese, al 1938. Questa operazione può dare lavoro subito, onorevole Prodi, a 20 mila giovani, diplomati e non.
Quinto: l'aggiornamento del catasto può consentire il recupero di quel terzo del patrimonio immobiliare oggi evasore totale del fisco, consentendo, conti alla mano, di procedere entro il 1998 all'abolizione dell'ICI sulla prima casa - un'imposta vergognosa - ed alla triplicazione invece, sul modello di altri paesi europei, dell'ICI sugli alloggi sfitti. Ciò determinerebbe automaticamente l'immissione sul mercato delle abitazioni di una massa consistente di appartamenti e svolgerebbe una funzione calmieratrice dei canoni, con il conseguente alleggerimento delle tensioni presenti, soprattutto nelle grandi città, a causa degli sfratti e delle carenze di abitazioni per le giovani coppie che intendono crearsi una famiglia.
Sesto: assegnazione gratuita, o in comodato per 99 anni, dei beni demaniali civili e militari che da molti anni non vengono usati dallo Stato (una forma di usucapione abbreviata). La condizione è che i comuni presentino progetti esecutivi per il loro concreto utilizzo, da realizzare tramite la concessione di mutui agevolati


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attraverso la Cassa depositi e prestiti o il CREDIOP. Onorevole Prodi, le cito un solo esempio, che mi è stato fornito stamane da un collega: il comune di Cuneo è interessato ad un bene del demanio militare usato, per l'ultima volta, l'8 settembre 1943; ebbene, l'UTE ha valutato quel bene 18 miliardi di lire e pretende questa cifra dal comune di Cuneo.
Settimo: nel quadro della riforma fiscale, ritorno della capacità impositiva e della responsabilità dell'accertamento dei redditi - in modo particolare ai fini del calcolo dell'IRPEF - ai comuni. Si tratta di un atto di grande democrazia fiscale: colpire l'evasione attraverso i consigli tributari eletti dai cittadini. Voglio vederli, quei sindaci del nord-est che solidarizzano con coloro che aggrediscono la Guardia di finanza (Commenti dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)!

GIANPAOLO DOZZO. Non è vero, Novelli, questo!

DIEGO NOVELLI. Ottavo: approvazione immediata... così hanno scritto le cronache; dopo di che, se voi vi distinguete, ne prendo atto con soddisfazione (Commenti dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Collega Dozzo, prendo atto con soddisfazione che tu ti distingui da quelle prese di posizione.
Ottavo: approvazione immediata della legge sulle aree metropolitane, già approvata dalla Camera nella precedente legislatura, considerato che in queste aree si è accentrata la gran parte del malessere sociale.
Nono: immediata approvazione della legge sullo status degli amministratori (non dobbiamo avere delle pruderie in questo senso!), già definita presso la I Commissione affari costituzionali...

PRESIDENTE. Onorevole Novelli, spero che il suo sia soltanto un decalogo in quanto ha esaurito il suo tempo.
DIEGO NOVELLI. Ho terminato.
Decimo: favorire l'accorpamento dei comuni senza annullarne l'identità, attraverso incentivi finanziari e sostegni di diversa natura tendenti a razionalizzare la spesa pubblica e a rendere più efficienti ed efficaci i servizi alla persona.
Colleghi, signor Presidente, si tratta di provvedimenti da varare subito ed entro tre mesi si possono già registrare risultati positivi dando una risposta immediata non solo agli amministratori locali (dal comune di Moncenisio a quello di Lampedusa) ma soprattutto ai cittadini che vogliono vedere fatti concreti anche perché di parole ne hanno sentite troppe (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo e dei popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Novelli, e le chiedo scusa per l'interruzione.
È iscritto a parlare l'onorevole Stefani. Ne ha facoltà. Onorevole Stefani, lei ha a sua disposizione nove minuti.

STEFANO STEFANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'ampio disegno tratteggiato dal Capo del Governo spiragli di luce si alternano a zone d'ombra. Mi limiterò pertanto a sottoporre a quest'Assemblea alcune considerazioni su queste ombre, con particolare riguardo alla piccola e media impresa, alla quale il Presidente del Consiglio attribuisce giustamente il ruolo di volano nella creazione di nuovi posti di lavoro.
Da sempre la lega ha difeso le ragioni del piccolo e medio imprenditore e del mondo dell'artigianato, che rappresentano oggi in Italia la spina dorsale della nuova economia e la risorsa migliore per affrontare le sfide che la globalizzazione dei mercati impone.
Recentemente, lo stesso Presidente del Consiglio ha detto che il capitalismo italiano è una casa con troppe stanze chiuse. La piccola e media impresa sono il grimaldello migliore per aprire quelle porte a lungo chiuse, per arieggiare e portare nuova luce in quella casa.


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Il programma del professor Prodi non sembra, a nostro avviso, cogliere questa opportunità. L'atteggiamento prudente, talvolta remissivo del Governo verso alcuni nodi strutturali del nostro sistema sembra confermare questa impressione; preoccupa la cautela con cui il Presidente del Consiglio affronta le posizioni di rendita consolidata attorno a centri corporativi supergarantiti, in aperto conflitto con la società italiana.
I parametri virtuosi di Maastricht non sono solo i risultati combinati di calcolo ma sottintendono profonde ed incisive azioni e trasformazioni proprio nella destrutturazione dei centri corporativi che già oggi opprimono la società italiana.
Mi chiedo e vi chiedo se veramente riteniate possibile il rispetto del trattato di Maastricht senza incidere profondamente nelle appartenenze corporative protette, prima fra tutte la casta burocratica. Se è vero che la casa del capitalismo italiano ha troppe stanze chiuse, è altrettanto vero che le chiavi di alcune stanze sono nelle mani di questo Stato e dei suoi apparati, che sono cresciuti in un sistema se non di cooperazione almeno di non belligeranza con il grande capitale ai danni dei ceti produttivi del paese. Questo sistema, con il corollario di incombenze e di oppressioni varie, oggi è il principale e vero nemico della piccola e media impresa. Non dimentichiamo che la mediazione dello Stato nell'economia comporta costi e distorsioni che gravano su oltre il cinquanta per cento del prodotto interno lordo.
La commistione tra mondo degli affari e palazzo nasce dal perverso rapporto tra quest'ultimo e la casa chiusa del capitalismo italiano. Si tratta di un rapporto che non è estraneo - anzi! - alla genesi e allo sviluppo di una corruzione diffusa ed estesa non solo nel mondo della politica. All'origine di tale anomalia sta uno dei principali problemi dell'economia italiana, uno dei nodi strategici che investe la piccola e media impresa, ovvero la scarsità del capitale di rischio, la sottocapitalizzazione dell'impresa, la totale dipendenza di questa dal finanziamento bancario. Chi ha avuto nelle mani le chiavi delle casseforti, del risparmio è stato ed è tutt'oggi in grado di determinare il successo o il fallimento di un'impresa, indipendentemente dalla sua effettiva capacità di creare ricchezza o di conquistarsi uno spazio nel mercato.
Il ribasso dei tassi bancari, la revisione del tasso di sconto sono semplici palliativi, se non si affronta il problema della riforma complessiva del sistema bancario italiano, altro grosso centro di potere corporativo finora sfuggito ad ogni azione di rinnovamento.
La piccola e media impresa e anche il semplice cittadino sono costretti a sottostare alle condizioni imposte da un cartello che, nei fatti, determina un mercato del credito monopolistico e tutt'altro che trasparente. Il costo del denaro non è frutto solamente delle manovre sui tassi: oggi sulla clientela ordinaria, sul piccolo imprenditore e sull'artigiano gravano tutti i costi dell'inefficienza del sistema creditizio, un sistema che si è sviluppato sotto l'ombrello protettivo del Palazzo, un sistema che non conosce la concorrenza.
Se non si affronta la ristrutturazione del settore del credito, non si potrà seriamente dotare l'economia di una solida base. Altrettanto dovremmo dire del mercato finanziario e di quello borsistico: anche qui è necessaria un'opera incisiva per favorire il finanziamento della piccola e media impresa, garantendo però anche i risparmiatori, soprattutto i piccoli risparmiatori che troppo spesso a piazza affari sono stati scarsamente considerati e, talora, maltrattati.
È, per esempio, impensabile parlare di privatizzazioni quando saranno le banche pubbliche a sottoscrivere buona parte del capitale delle aziende di Stato privatizzate. La prima vera privatizzazione è quella del sistema bancario, che necessita di una profonda revisione.
Oggi i fronti sui quali la nostra piccola e media impresa affronta la concorrenza sono quelli della finanza e della sburocratizzazione. È rispetto ad essi che è oggi possibile conquistare grandi margini di potenzialità. Se veramente si crede che la scommessa dello sviluppo passa attraverso


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la piccola e media impresa, lei, signor Presidente del Consiglio, deve affrontare senza tentennamenti questi due nodi gordiani.
Colleghi, signor Presidente, mi avvio alla conclusione sostenendo ancora una volta le ragioni della piccola e media impresa che nella lega nord trovano un punto di riferimento e di tutela. Voglio ricordare ad alcuni deputati che questa non è l'assemblea della Confindustria, come potrebbe sembrare dagli innumerevoli richiami alla stessa ed al suo presidente.
Mi rammarico, signor Presidente, di non aver sentito da lei alcun accenno alla vitale rivoluzione tecnologica che nel volgere di pochi anni muterà non solo l'impianto economico ma anche il nostro modo di vivere. La tecnologia è il terzo fronte che la piccola e media impresa si trovano dinanzi nella globalizzazione dei mercati: la tecnologia e le sue innovazioni, che non possono essere retaggio esclusivo di pochi né, ancora peggio, essere controllate da sistemi monopolistici che escluderebbero le piccole imprese. Bisogna agevolare l'investimento nella tecnologia e nella ricerca. L'Italia investe in ricerca meno della metà dei paesi nostri principali concorrenti e solo l'1,2 per cento del prodotto interno viene, pertanto, investito in questo ramo, mentre il Giappone prevede di arrivare entro la fine del secolo alla soglia del 5 per cento ed oltre. Bisogna che quelli che nel suo programma, signor Presidente, sono barlumi di luce diventino squarci che illuminino le troppe ombre del sistema Italia.
Contrariamente a quanto pensa il Presidente di questa Assemblea, l'unico modo per fare piena luce, per aprire le stanze chiuse non solo della casa del capitalismo italiano è quello di giungere ad un nuovo patto sociale, ad un nuovo contratto che poggi le sue basi sul cittadino, sul lavoro, sulla democrazia diffusa; un contratto che ammetta le oggettive diversità esistenti oggi in Italia tra diverse aree, ma che consenta a queste di sviluppare le proprie potenzialità nella massima trasparenza e responsabilità della classe dirigente. È una grande impresa quella che ci attende; arroccare il sistema su posizioni corporative e su modelli anacronistici non farebbe che aggravare la situazione.
Concludo, signor Presidente, con uno di quelli che potrebbe essere considerato un motto per il piccolo e medio imprenditore: sfruttiamo una posizione di rischio per farla diventare un investimento. Facciamo diventare un vantaggio ciò che oggi è un limite, approfittiamo di questa situazione per rilanciare l'intero paese attraverso l'assemblea costituente e la nascita di uno Stato federale al quale la Padania, libera e indipendente, contribuirà con le sue migliori energie (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gerardini. Ne ha facoltà. Faccio presente al collega che ha a disposizione dieci minuti.

FRANCO GERARDINI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, le dichiarazioni programmatiche del Governo contengono un'attenzione nuova per i temi ambientali. Il riferimento ai principi espressi dalla comunità internazionale a Rio de Janeiro ed il potenziamento del Ministero dell'ambiente sono molto importanti. Vi è la consapevolezza di un lavoro difficile da portare avanti, ma anche la forte volontà di fare dell'ambiente un fattore di sviluppo per il nostro paese; un'occasione per un nuovo sviluppo economico ed occupazionale fondato su tutela, valorizzazione, fruizione delle ricchezze ambientali del nostro paese.
Credo che si debba soprattutto realizzare un obiettivo su cui si è discusso per tanti anni: l'ambiente come occasione di lavoro; si debba cioè passare da testimonianze o da sporadici esempi in questo settore, oggi definiti alternativi, ad una vera e propria organicità dell'azione di governo per realizzare un nuovo modello di sviluppo ecosostenibile, peraltro il solo in grado di salvare il nostro paese e, aggiungerei, il nostro pianeta da catastrofi ecologiche.


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Dobbiamo dunque puntare su tre aspetti se vogliamo vincere la scommessa per un'Italia pulita, in cui le ragioni dell'ambiente, dell'economia e del lavoro procedano insieme: la legalità, la modernizzazione, la difesa del patrimonio ambientale come fattore di sviluppo. In sintesi, si potrebbe dire che l'Italia deve competere in Europa sullo sviluppo, una strada che, per esempio, la Germania ha già imboccato con significativi risultati. Ciò significa che la proposta contenuta nel libro bianco di Delors deve essere un costante riferimento dell'azione di governo se vogliamo posti di lavoro puliti, cioè occupazione tramite le politiche ambientali, tra le poche che parlano di futuro. E questo Parlamento ed il suo Governo, oltre a lavorare per la soluzione dei problemi del presente, deve vincere un'altra sfida, quella di programmare bene anche il futuro del paese, superando gli egoismi generazionali ed indicando certezze e speranze alle nuovissime generazioni.
Si tratta di imboccare una strada radicalmente nuova, che metta in campo diversi strumenti di politica economica finalizzati alla promozione dell'innovazione tecnologica, alla soddisfazione di grandi bisogni collettivi finora largamente penalizzati, a cominciare dall'ambiente, alla creazione di nuovi posti di lavoro.
Una delle strade da percorrere in questo contesto è quella della fiscalità e, in modo particolare, quella di tipo ambientale, nel senso che occorre passare da un sistema fiscale che colpisce prevalentemente il lavoro ed il capitale ad un altro che «internalizzi» una scarsità, quella delle risorse ambientali. È necessario cioè un graduale passaggio da una tassazione modulata prioritariamente sulle persone e sui redditi delle persone ad un sistema tributario che colpisca prevalentemente le cose ed i consumi. Una tale azione è l'unica che, per esempio, potrebbe seriamente contribuire alla diminuzione della quantità dei rifiuti prodotti: è una sfida che in Italia non abbiamo ancora vinto.
Quanto siano importanti la legalità e la modernizzazione delle politiche ambientali lo si può constatare in un comparto economico ambientale culturalmente trascurato nel nostro paese, quello dei rifiuti. Nella XII legislatura abbiamo lavorato affinché tutta la problematica fosse affrontata con un minimo di organicità, ma non ci siamo riusciti. Da una parte la relazione conclusiva presentata l'11 marzo 1996 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, presieduta dall'onorevole Scalia, e, dall'altra, un testo unificato di diverse proposte di legge su norme in materia di gestione di rifiuti, di cui ho avuto l'onere e l'onore di essere relatore, rappresentano un concreto ed utile lavoro per avviare l'intero settore su un piano di legalità e modernizzazione.
Ritengo che il nuovo ministro dell'ambiente debba ripartire in questo comparto ambientale dai punti di riferimento che ho qui richiamato tenendo conto del ruolo del Parlamento. La Commissione parlamentare di inchiesta ha evidenziato la necessità di abbandonare la politica dell'emergenza e di tracciare una strategia di interventi che scaturiscano dalla scientifica individuazione dei bisogni e dalla programmazione degli stessi.
In tal modo è possibile avviare a soluzione anche l'altro delicatissimo problema della presenza degli interessi della criminalità organizzata nell'affaire rifiuti. Si tratta di un giro di migliaia di miliardi, in particolare per quanto riguarda gli smaltimenti illeciti di rifiuti tossico-nocivi in numerose discariche abusive la cui gestione è riconducibile a clan della criminalità organizzata.
Estirpare tali fenomeni significa non tanto difendere l'ambiente quanto tutelare centinaia di operatori economici onesti che in tale settore hanno investito per il rispetto delle norme legislative e per essere più competitivi sul piano tecnologico in un mercato sempre più complesso e in cui va aperta una fase nuova nell'affrontare i problemi del settore; una fase che realizzi, in un paese in cui ogni abitante produce 465 chili l'anno di rifiuti (dati relativi all'anno 1993), un salto tecnologico finalizzato a valorizzare le frazioni merceologiche presenti nei rifiuti sia in


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termini di riciclo di materie che di recupero di energia.
Così avviene ormai da tempo nei paesi dell'Europa più industrializzata, dove la termoutilizzazione dei rifiuti con recupero energetico copre mediamente oltre il 30 per cento della produzione di rifiuti, raggiungendo in alcuni paesi (in Svizzera e nei Paesi Bassi) valori superiori. In questi stessi paesi le attività di raccolta differenziata fanno parte della cultura comportamentale delle nuovissime generazioni, mentre in Italia centinaia e centinaia di comuni devono ancora attivarla.
La modernizzazione del settore diventa quindi una necessità, se si vuole uscire dall'emergenza. Si può, con un'accorta politica dei ministeri interessati e delle regioni in sinergia con il comparto industriale, definire un piano di interventi che gradualmente porti l'Italia a livelli europei, che incanali capitali privati e pubblici, i quali ultimi non sono ancora del tutto utilizzati. La strada maestra è l'individuazione di impianti di termoutilizzazione con recupero di energia al servizio di significativi bacini di produzione inseriti organicamente in un sistema di gestione dove si realizzino le raccolte differenziate e le discariche diventino così elemento residuale.
Alle maggiori difficoltà deve quindi corrispondere maggiore capacità di programmazione e controllo e di superamento di politiche aventi esclusivamente carattere di emergenza, affermando su scala nazionale un modello di gestione dei rifiuti basato su un tipo integrato.
Ad un quadro legislativo carente e rigido, occorre quindi far fronte emanando norme chiare e di agevole applicazione, che siano allineate e completino il quadro normativo comunitario. Il superamento della penosa «econovela» delle sedici reiterazioni del decreto-legge sui residui riutilizzabili si impone come uno dei primi obiettivi di questo Governo, per ridare trasparenza e certezza in tale settore. Bisogna però uscire dalla palude dei decreti reiterati senza creare conseguenze - magari sul piano penale - a milioni di operatori del settore, dopo circa due anni e mezzo di efficacia delle attuali norme, per recepire definitivamente e correttamente le direttive comunitarie nn.91/156 e 91/689, rispettivamente sui rifiuti e sui rifiuti pericolosi, i cui termini sono scaduti da tempo.
L'Unione europea ha peraltro avviato la messa in mora del nostro paese su questi aspetti. Credo che il ministro Ronchi farebbe bene ad ascoltare prima il Parlamento sulle modalità di uscita da questa situazione; un Parlamento che nella XII legislatura ha approvato un apposito ordine del giorno in sede di discussione della legge comunitaria del 1994, che contiene una specifica delega al Governo su tali problematiche.
È necessario che entro l'8 luglio si avvii un quadro normativo più corretto ed efficace, magari integrato con altre norme, come quella sull'imballaggio e i rifiuti di imballaggio, relativamente al quale il recepimento della relativa direttiva comunitaria n.94/62 è fissato entro il 30 giugno 1996 ed il cui impatto influenzerà gli stessi stili di vita dei consumatori.
Anche in questa materia vi è una elaborazione avanzata del Parlamento. Si realizzerebbe un primo elemento di riforma organica della legislazione del settore, preludio ad un testo unico, per l'elaborazione del quale vi sarà bisogno di maggior tempo per la sua predisposizione.
Con questo mio breve intervento, ho voluto indicare alcune soluzioni in un settore in cui è possibile creare nuovi posti di lavoro puliti, attivare investimenti consistenti, avviare politiche ambientali alternative ed avanzate, tutelare e risanare l'ambiente e tutelare la salute dei cittadini con provvedimenti legislativi concreti, che favoriscano legalità e modernizzazione. Non è utopia, tutto ciò è possibile! Bisogna che vi sia innanzitutto una forte convinzione ed una grande capacità di ascolto che io spero - ma ne sono sicuro - che questo Governo praticherà da subito.
Alla luce di tali considerazioni, preannuncio il mio voto favorevole alla fiducia al Governo (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Amico, al quale ricordo che dispone di otto minuti. Ne ha facoltà.

NATALE D'AMICO. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghe e colleghi, dopo la composizione del Governo, dopo le dichiarazioni programmatiche e dopo il dibattito che si è svolto al Senato, noi deputati del gruppo di rinnovamento italiano vediamo pienamente confermate le ragioni che ci indussero a stipulare con le forze coalizzate nell'Ulivo quella alleanza per il governo che oggi consente a lei, onorevole Prodi, di assumere la Presidenza del Consiglio. Siamo dunque del tutto pronti ad assicurare al suo Governo quella lealtà e quella collaborazione che ella ha chiesto a conclusione delle sue dichiarazioni programmatiche. Signor Presidente del Consiglio, è certo che noi tutti non dobbiamo dimenticare che il suo Governo prende avvio in un momento per molti versi difficile.
Ebbene, io credo che in questo Parlamento e nello stesso Governo vi debba essere la piena coscienza del fatto che nella vita delle nazioni, come in quella degli individui, vi è un tempo per la prudenza ed un tempo per il coraggio. Questo che il nostro paese vive è il tempo del coraggio. Coraggio riguardo alla modifica delle istituzioni, alla ridefinizione dei rapporti tra Stato, mercato e società civile ed alla modifica dei comportamenti della politica.
Riguardo alla modifica della forma di Stato, ella ha indicato una sorta di politica dei due tempi. Ci sembra un'apprezzabile esempio di realismo. La sosterremo lungo questa strada: sicuri che nel determinare quanto è possibile fare con gli strumenti della legge ordinaria e della delega legislativa, ella adotterà il coraggio al quale accennavo prima; sicuri che la politica dei due tempi non vuole comportare e non comporterà l'abbandono degli obiettivi più ambiziosi che è possibile raggiungere solo nei tempi più lunghi richiesti dalla modifica costituzionale.
Siamo convinti - lo abbiamo scritto nel nostro programma elettorale - che per selezionare i programmi pubblici effettivamente necessari, per ridurre gli sprechi ed ostacolare la corruzione, il modo migliore consiste nel mettere i comuni e le regioni di fronte alle proprie responsabilità: più alte sono le spese e più elevate saranno le tasse da far pagare ai propri contribuenti ed elettori.
Lungo questa strada troveranno risposta non solo le legittime aspirazioni delle zone del paese più sviluppate, ma anche le più genuine esigenze delle zone meno ricche, prime tra tutte il nostro Mezzogiorno. Non c'è altra strada affinché, come ella stessa ha affermato, il sud possa ritrovare la fiducia in sé stesso e possa formare una classe politica nuova e responsabile.
Riguardo alla forma di governo siamo come lei ben consapevoli del fatto che anche i regimi parlamentari possono produrre Governi efficaci; questo stesso paese lo ha sperimentato nell'ultimo anno. Tuttavia, rimaniamo convinti che sia necessario rivedere i modi di elezione del Capo dello Stato, del Capo del Governo, del Parlamento e i rapporti tra questi organi dello Stato. A noi continua a sembrare che la mediazione raggiunta al momento dell'incarico all'onorevole Maccanico costituisca un buon punto di partenza.
L'altro terreno decisivo sul quale si misurerà la capacità di questo Governo e di questo Parlamento di dare risposte concrete ed efficaci alle esigenze dei cittadini è connesso al governo dell'economia. È a tutti noto che il nostro paese ha già compiuto grandi passi lungo la strada del risanamento finanziario. Condividiamo pienamente la cautela con la quale ella ha accennato alla possibilità che, di fronte ad una caduta dei tassi di interesse particolarmente pronunciata, l'esecutivo possa - cito testualmente - «valutare la possibilità di raggiungere obiettivi ancora più ambiziosi di quelli annunciati dal Governo che ci ha preceduti». Da troppe parti si reclama, con una qualche irresponsabilità, una politica di «lacrime e sangue»; noi riteniamo, invece, che il paese debba recuperare la propria credibilità internazionale, proseguendo lungo la strada annunciata, con vigore e serietà, ma senza


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ricominciare, come era avvenuto in passato, ad annunciare obiettivi realistici regolarmente smentiti dalla realtà dei fatti.
Mentre si tutela dai rischi del rigore parolaio, allo stesso modo crediamo che il Governo debba riguardarsi dai rischi di chi sembra aver individuato nella politica del cambio lo strumento principe della lotta all'inflazione. Se l'esigenza di estendere la politica di controllo dei redditi ai profitti è giusta, il rimedio rischia di essere peggiore del male. In una moderna economia di mercato nel lungo termine i profitti delle imprese si controllano, infatti, non attraverso la rivalutazione del cambio, che rischia di avere effetti perversi sulla base produttiva e sull'occupazione, ma attraverso una politica che favorisca concorrenza. Su questo fronte molto il paese può e deve fare.
In troppi hanno visto nella costituzione dell'autorità garante della concorrenza del mercato la conclusione, anziché l'avvio, del processo che deve creare anche nel nostro paese mercati più liberi e più concorrenziali. La privatizzazione delle imprese di proprietà pubblica deve essere vista come una grande occasione in questa direzione. Metodi e tempi delle cessioni devono essere funzionali a questo obiettivo. La privatizzazione delle banche oggi possedute dalle fondazioni deve procedere con molta maggiore celerità di quanto sia avvenuto finora, anche rafforzando la cogenza dei termini fissati nella direttiva emanata dal ministro del tesoro.
La revisione della burocrazia pubblica, la delegificazione, la redazione dei testi unici, non debbono avere solo una funzione di razionalizzazione delle norme esistenti, ma debbono prefiggersi lo scopo, ben più ambizioso, di rimuovere i troppi vincoli che impediscono nel nostro paese il miglior funzionamento dei meccanismi di mercato.
Siamo del tutto d'accordo con lei, signor Presidente del Consiglio, nel vedere il mercato concorrenziale non come uno stato di natura, ma come una costruzione sociale, in fondo come il prodotto di un sistema di regole; ma troppo spesso questo ragionamento è stato utilizzato in Italia per introdurre regole che, anziché favorire la realizzazione di un mercato concorrenziale, fissavano barriere all'ingresso, instauravano privative di fatto, tutelavano monopoli pubblici e privati. In questi meccanismi si annida molto del ritardo competitivo che il paese rischia di accumulare.
Esiste l'impellente necessità di smantellare le barriere anticompetitive che esistono ancora in troppi campi. Occorre promuovere la concorrenza a vantaggio del benessere collettivo, dello sviluppo economico, della stessa lotta all'inflazione. Siamo consci del fatto che per molto tempo queste istanze sinceramente liberali sono rimaste nel nostro paese minoritarie. Siamo convinti che oggi esse siano invece divenute maggioritarie, non solo nel centro-nord dello sviluppo diffuso e delle piccole imprese, ma anche in un Mezzogiorno che vuole riscattarsi da una condizione di arretratezza e che ben sa che non potrà farlo senza lo stimolo e il confronto dei liberi mercati competitivi.
Signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, il paese ha intrapreso un difficile cammino di trasformazione della propria struttura istituzionale ed economica. Noi di rinnovamento italiano siamo convinti che questo Governo disponga delle idee, delle donne e degli uomini, necessari per accelerare e guidare questo cammino; per questo lo sosterremo con lealtà. Siamo altresì convinti che il cammino non sarà facile. Per questo concludo, onorevole Prodi, formulando a lei e anche a tutti noi gli auguri affinché insieme possiamo compiere un buon lavoro che si riveli di utilità per l'intero paese (Applausi dei deputati del gruppo di rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Widmann, al quale ricordo che ha otto minuti a sua disposizione. Ne ha facoltà.

JOHANN GEORG WIDMANN. Signor Presidente, cari colleghe e colleghi, signor Presidente del Consiglio, devo riconoscere al Presidente Prodi di aver dato al suo


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discorso programmatico un'impronta umana, un aspetto sincero e credibile. Ha lasciato intendere che vuole ispirarsi alla filosofia kennediana; non chiedere cosa può darti il paese, ma chiediti cosa puoi fare per il tuo paese. Sono altresì convinto che tutti i componenti del Governo abbiano una siffatta impostazione altruista. Nonostante ciò, debbo esporre qualche specificazione che ritengo necessaria per comprenderci meglio.
Federalismo significa semplicemente dare alle regioni un'ampia autonomia legislativa e amministrativa nel più vasto senso della sussidiarietà. Di conseguenza bisogna trasferire loro anche l'autonomia fiscale che deve diventare alternativa al fisco statale. Dalle autonomie locali così configurate può partire un'autentica solidarietà verso le regioni più povere; una solidarietà convinta e non imposta.
Per sottolineare la fiducia nelle autonomie locali bisogna abolire la figura del commissario di Governo come organo di controllo e di sorveglianza.
Le autonomie locali sapranno gestire al meglio le politiche occupazionali; una gestione intelligente delle competenze in materia ci ha consentito di abbassare il tasso di disoccupazione all'1,8 per cento.
Per quanto riguarda la politica fiscale, devono essere abolite tutte le tasse che non contribuiscono in maniera significativa al gettito fiscale. Il fisco deve diventare semplice, trasparente e senza scappatoie; la lotta all'evasione fiscale deve diventare seria, giacché fino ad ora si è avuta l'impressione che nei vari Governi che si sono succeduti si erano nascosti i complici degli evasori.
Come atto di giustizia bisogna abolire l'ICI sulla prima casa. Tante famiglie si costruiscono o si comprano con i propri risparmi la prima casa indebitandosi pesantemente, e poi arriva lo Stato a tassare tale diritto fondamentale, invece di sostenerlo con un contributo cospicuo.
Occorre inoltre abolire al più presto la tassa SIAE, poiché essa impedisce tante iniziative e soffoca molte attività di sussidiarietà delle associazioni di volontariato.
Nel concepire il futuro assetto fiscale bisogna tener conto dei bisogni delle famiglie, valorizzando in tal modo appunto il ruolo fondamentale della famiglia nella società.
La parte del discorso dedicata allo Stato sociale merita il nostro apprezzamento. Aggiungo, però, che prima di ogni cambiamento bisogna trovare un metodo garantista affinché tutti, proprio tutti, paghino le tasse sul reddito vero e proprio. Solo così si possono stabilire criteri equi in base ai quali usufruire delle prestazioni dello Stato sociale. Senza l'individuazione di tali criteri si verifica l'ingiustizia per cui chi non paga le tasse e i contributi sociali può fruire dello Stato sociale, mentre gli onesti ne rimangono esclusi. Lo stesso dicasi per l'eventuale introduzione di ulteriori ticket nella sanità.
L'amministrazione statale deve essere riformata profondamente; i dipendenti pubblici devono rendersi conto che sono una categoria di servitori dello Stato, cioè dei cittadini. Per raggiungere tale obiettivo occorre privatizzare la dirigenza, investendola della responsabilità del funzionamento dell'amministrazione statale.
Voglio citare solo due brutti esempi di disfunzione: la divisione VI della direzione generale degli ospedali del Ministero della sanità non funziona e i cittadini vengono presi letteralmente in giro; il Ministero delle finanze non risponde per anni alle lettere ad esso inviate, nonostante le ripetute sollecitazioni.
La legge n.241 del 1990, cioè quella sulla trasparenza, in molti casi è rimasta lettera morta. Bisogna finalmente individuare le responsabilità ed i motivi delle disfunzioni, traendone le dovute conseguenze. In tale contesto devo criticare l'assedio attuato dalla polizia nella nostra provincia; vengono effettuati ogni giorno controlli molteplici su brevi tratte stradali e la nostra popolazione si sente assediata e perseguitata.
Apprezziamo le riforme prospettate per il settore scuola; il funzionamento dell'istituto scolastico, infatti, è base e garanzia per lo sviluppo del paese.
Manca, tuttavia, una precisa strategia per far fronte all'immigrazione. È giusto


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ed umano essere solidali con i cittadini provenienti da paesi che si trovano in una situazione di estrema povertà. Questa solidarietà incontra però dei limiti; è quindi necessario stabilire precisi criteri e norme per il diritto all'immigrazione, ma sono soprattutto gli immigrati che devono attenersi alle leggi ed alle norme di convivenza.
Spero tanto nell'approvazione di una nuova legge sull'obiezione di coscienza, che deve essere riconosciuta come alternativa al servizio militare, ed il servizio civile deve essere favorito come una scuola per la vita.
Lei, Presidente, ha inteso benissimo cosa significa tutelare le minoranze linguistiche. Questa tutela è possibile e fattibile attraverso un'ampia autogestione nell'ambito del proprio territorio. La cessione infatti delle varie competenze trasferite alla provincia autonoma di Bolzano ha contribuito in modo decisivo all'attuale stato di benessere a favore di tutti gli abitanti della provincia stessa.
Tanto di quello che lei intende realizzare nel futuro da noi è già realtà. Per questo motivo non capisco talune lamentele, paure, astiosità e certe diffamazioni.
Le prestazioni sociali offerte dallo Stato sono integrate in modo sostanziale per esempio nel settore dell'edilizia agevolata. Registriamo la piena occupazione, che favorisce tutti. Il bilinguismo non è più solo un requisito per accedere al pubblico impiego, ma viene richiesto anche dalle aziende private operanti nel settore terziario. La proporzionale etnica nel frattempo viene riconosciuta come un vantaggio anche per il gruppo linguistico italiano. Se si registra una denatalità, il fenomeno non è certo da attribuire alla cessione dell'autonomia, che peraltro avviene sulla base di un preciso accordo di coalizione.
Queste lamentele e paure, stimolate artisticamente da una certa classe politica, non sono utili al gruppo linguistico italiano, che non è affatto in pericolo, bensì alla sopravvivenza di scheletri politici che non riescono a staccarsi dal passato e non sanno darsi lo scatto decisivo per intraprendere una strada comune verso un futuro sempre più europeo.
Signor Presidente, auguro a lei ed a tutto il Governo una lunga vita ed una mano felice nella gestione dell'evoluzione prospettata. Seguiremo con attenzione l'azione del Governo (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pozza Tasca, alla quale ricordo che il tempo a sua disposizione è di nove minuti. Ne ha facoltà.

ELISA POZZA TASCA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, nell'esporre le dichiarazioni programmatiche del suo Governo lei ci ha messo di fronte, con la franchezza che le è propria, tutta la problematicità di cui il paese oggi è investito nella sua non facile fase di transizione possibile. Al tempo stesso, con ammirevole umiltà, ma con determinazione, ci ha indicato le linee per una via d'uscita o meglio ancora per un superamento coraggioso ed inedito di una situazione gravemente aggrovigliatasi negli ultimi anni, che indubbiamente richiede a tutti noi una vera e propria rigenerazione morale ed intellettuale.
Un comune impegno democratico lega il suo Governo alla maggioranza che si accinge ad esprimerle fiducia; un impegno che occorre rendere operativo nell'azione pratica.
A cinquant'anni dalla nascita della Repubblica, viene affidato a noi, alla coalizione delle forze democratiche, che affondano le radici delle loro culture nell'atto di nascita della Carta costituzionale, il compito di rinnovare lo Stato e dare vita ad un nuovo patto di fiducia tra i cittadini e le cittadine di questo grande paese e le istituzioni democratiche.
Signor Presidente del Consiglio, sicuramente ci sarà nell'agenda del suo Governo una scala di priorità dei vari interventi. Disponendo di poco tempo, mi soffermerò sulle istanze del mondo che rappresento, le quali peraltro sono più vicine al mio sentire. Anzitutto la famiglia, che in Italia continua a rimanere un importante


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serbatoio di solidarietà e di mutuo aiuto, ma, purtroppo, manca una politica di sostegno alle responsabilità familiari. Eppure è la società che usufruisce dei benefici derivanti dal fatto che la famiglia assolve pienamente alle proprie funzioni. Quando affermiamo con espressioni forse retoriche che la famiglia è una società naturale, oppure la cellula fondamentale dello Stato, facciamo riferimento alla funzione fondamentale e tutt'altro che retorica di formazione dei cittadini del domani. Se il sistema familiare è sano, è la società intera che ne beneficia. La famiglia è da sempre il luogo degli affetti e per questo anche il luogo della cura dei bambini, degli anziani, dei malati e degli handicappati; se invece la famiglia versa in uno stato di disagio e fatica a tener dietro alle conseguenze dei mutamenti velocissimi delle nostre società, allora ne deriva un aumento delle povertà e delle condizioni di rischio dei suoi membri, con un aumento verticale dei costi sociali che tutto ciò comporta e con una caduta altrettanto drastica del nostro grado di civiltà.
Condividendo la sua affermazione sulla centralità della famiglia rispetto ad una molteplicità di scelte legislative e governative, ribadisco che una efficace politica familiare non può che risultare dall'attivazione contestuale e combinata di una pluralità di strumenti, dalle misure di sostegno economico ai servizi sociali, dalle politiche abitative alla flessibilità dei tempi di vita e di lavoro.
Per quanto concerne specificatamente le misure di sostegno economico, va ribadito che queste devono essere selettive e mirate a ciò per evitare sprechi inutili e scongiurare l'aumento di ineguaglianze. Tutti i servizi sociali a carico degli utenti e le misure di redistribuzione del reddito dovrebbero essere basati sul cosiddetto quoziente familiare, parametro invano predicato dalla commissione sulla povertà dal 1985 in poi, che prevede che il reddito complessivo familiare sia rapportato, secondo una scala di equivalenze, al numero delle persone da mantenere.
Lei, signor Presidente del Consiglio, ha affermato che le politiche familiari saranno coordinate da numerosi dicasteri; bisogna però evitare il rischio di politiche dispersive. Sarebbe auspicabile, per dare garanzia al Parlamento di una costante e continuativa verifica su quanto l'esecutivo propone nei vari dicasteri in tema di famiglie, la creazione di uno strumento di raccordo, di coordinamento e di controllo quale potrebbe essere una Commissione parlamentare speciale sulla famiglia. Questo Governo dovrà legittimare la famiglia come comunità intermedia, capace di interconnettere in forma positiva da un lato le scelte di vita dei suoi membri e dall'altro l'azione delle istituzioni pubbliche.
Attivare e responsabilizzare la domanda dei servizi, rapportarsi ai cittadini e alle famiglie non soltanto come destinatari o utenti passivi, ma anche come attori o soggetti nella progettazione dei servizi stessi, sono passaggi fondamentali; coinvolgere l'intero tessuto sociale comunitario nell'individuazione dei bisogni è un passaggio necessario per la sburocratizzazione e la trasformazione del welfare pubblico.
In tale prospettiva, assume un ruolo rilevantissimo l'insieme delle iniziative riconducibili al terzo settore o no profit, a cui si dà spesso una valenza residuale per ciò che riguarda la sussidiarietà di natura economica e di natura sociale legata ai servizi, ma che negli ultimi anni ha supplito spesso ai vuoti, alle carenze della politica e dell'amministrazione pubblica.
Nelle scorse legislature la cooperazione sociale e il volontariato avevano ricevuto un giusto e corretto riconoscimento giuridico. Questa legislatura dovrà legiferare in merito all'associazionismo. Pensi, ad esempio, alle pro loco, soggetti sociali senza fini di lucro che con generosità, disinteresse e spirito di sacrificio prestano la loro opera a favore di un'intera comunità. Su tutto il territorio nazionale le pro loco promuovono la tutela dei valori umani e naturali, artistici e culturali ma in cambio delle loro prestazioni gratuite sono costrette a versare tributi alla SIAE.
In tal senso, tra gli impegni più urgenti c'è quello di riprendere il cammino iniziato con il disegno di legge del ministro


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Fantozzi per dare un ordinamento sul piano fiscale al terzo settore, consentendo che, attraverso la leva fiscale, si possano creare sviluppo e qualificazione delle organizzazioni che al suo interno operano.
La parola d'ordine deve divenire riconoscimento e valorizzazione di tutte le risorse del sociale, senza però penalizzare la loro generosa assunzione di responsabilità.
Un'altra istanza che sento il dovere di sollecitare è quella della scuola, scuola alla quale lei, signor Presidente, affida giustamente il compito alto di essere laboratorio di convivenza civica e sociale, un luogo - per usare le sue espressioni - nel quale ciascuno impara a vivere insieme agli altri nel rispetto delle regole.
Lei giustamente ha notato che, se in un paese la scuola non funziona bene, in esso non c'è futuro. La scuola italiana ha bisogno di molte cure, ma attende anche una parola chiara sul problema del finanziamento pubblico al settore privato. Lei parla di libertà e di spazi comuni, ma non chiarisce in concreto quali politiche di governo richiederanno. Pur sottolineando il ruolo svolto dalla scuola pubblica nel nostro paese, non si deve altresì dimenticare il ruolo «valoriale» esercitato dalla scuola privata. Non si tratta - occorre dirlo subito - di rivendicare privilegi per la scuola non statale; non si salva tale scuola se si pensa di riaffermarla oggi contro la scuola statale. Scuola statale e non statale sono chiamate insieme a sostenere la battaglia per un rinnovamento nel nome del servizio che entrambe rendono al diritto all'istruzione, alla cultura, nonché alla libertà di scelta dei giovani, delle famiglie e degli insegnanti. Attraverso un sistema articolato di convenzioni si dovrebbe garantire la sopravvivenza di quegli istituti, come ad esempio le scuole materne, che hanno contribuito per anni al processo formativo ed educativo dei giovani.
Mi permetta un'ultima considerazione, onorevole Prodi. Lei ha richiamato la necessità di un nuovo ruolo del nostro paese nella scena internazionale, ma non ha chiarito quale sarà la politica di cooperazione italiana nei confronti dei paesi terzi. Sono centinaia le organizzazioni non governative che onorano il ruolo del nostro paese nella cooperazione internazionale, le quali, facendo fronte ad oneri gravosi di organizzazione e di investimento economico, attendono linee programmatiche e collaborazione dal Governo. La cooperazione non è soltanto giuridicamente obbligata, ma anche portatrice di effetti positivi per i paesi beneficiari.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Pozza Tasca.

ELISA POZZA TASCA. Sto per concludere, signor Presidente.
Vorrei farle presente, onorevole Prodi, che lo scioglimento anticipato delle Camere ha impedito la prosecuzione dei lavori della Commissione di inchiesta sulla cooperazione con i paesi in via di sviluppo, che non è riuscita ad ultimare i propri lavori. Dopodomani, 31 maggio, scade il termine ultimo per la proroga dei lavori di tale Commissione, nel corso dei quali si è sottolineata più volte l'importanza di istituire una Commissione permanente che formuli indirizzi al Governo in merito alla politica di cooperazione. In questo modo il dialogo tra Governo e Parlamento sarebbe supportato anche in termini di controllo, la cui assenza in passato ha permesso la degenerazione della nostra politica di cooperazione.
La cooperazione italiana non deve morire. Non sono non evidenti le difficoltà, gli impedimenti e la portata della sfida che la realizzazione di questi obiettivi presenterà. Ma lei deve sapere che può contare sul nostro lavoro e sul nostro reale sostegno, sulle nostre critiche costruttive e sui nostri suggerimenti. Buon lavoro, Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi di rinnovamento italiano, della sinistra democratica-l'Ulivo e dei popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione alla seduta di domani.

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