XII COMMISSIONE
AFFARI SOCIALI

INDAGINE CONOSCITIVA
SULLA SPERIMENTAZIONE DELLA TERAPIA DI BELLA


Seduta di giovedì 15 gennaio 1998


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La seduta comincia alle 10.50.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. È stato chiesto che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

Audizione dei rappresentanti della Commissione oncologica nazionale e della Commissione unica del farmaco (CUF).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sperimentazione della terapia Di Bella, l'audizione di rappresentanti della Commissione oncologica nazionale e della Commissione unica del farmaco (CUF).
Darò prima la parola al dottor Oleari e al dottor Silano in rappresentanza, rispettivamente, della Commissione oncologica nazionale e della Commissione unica del farmaco, poi ai colleghi che chiedano di intervenire, possibilmente uno per gruppo, di modo che i nostri ospiti abbiano la possibilità di rispondere alle domande o richieste di chiarimenti.
Scusandomi per il ritardo con cui diamo inizio ai lavori, dovuto al fatto che ci ha molto impegnato la discussione sulla programmazione trimestrale dei lavori della Commissione conseguente al nuovo regolamento della Camera, sottolineo l'importanza di questo incontro non solo per noi stessi ma anche per sgombrare il campo dalla confusione creatasi su una materia così delicata.

FABRIZIO OLEARI, Direttore del dipartimento della prevenzione del Ministero della sanità. La ringrazio, signor presidente.
Come voi tutti sapete, il giorno 14 gennaio la Commissione oncologica nazionale si è riunita, sotto la presidenza del ministro Bindi, per una sessione straordinaria dedicata, essenzialmente, al problema e alla fattibilità della sperimentazione del metodo Di Bella nel trattamento dei tumori. La Commissione aveva previsto, dopo una prima discussione, un incontro con il professor Di Bella; tale incontro vi è stato e poiché nel corso dello stesso il professor Di Bella ha esposto il suo metodo, su quest'ultimo è stato quindi possibile un primo confronto con la Commissione.
Come ho detto poc'anzi, la Commissione ha affrontato il problema della sperimentazione o, se preferite, della sperimentabilità del metodo Di Bella anche a seguito degli input provenienti dagli assessori regionali alla sanità, che si erano precedentemente riuniti con il ministro Bindi; da parte dei rappresentanti regionali, anch'essi presenti in Commissione, è stata sottolineata l'opportunità di valutare attentamente taluni aspetti, in particolare quelli riferiti alla possibilità di effettuare uno studio osservazionale sui pazienti, ovviamente una volta definiti in maniera adeguata i criteri di eleggibilità a tale studio e, quindi, le caratteristiche dei pazienti stessi in rapporto alle patologie,


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ovvero uno studio clinico controllato randomizzato.
Nell'ambito della Commissione vi è stata anche, prima della discussione, una esposizione, da parte del professor Tomatis e del professor Monfardini, della prima analisi delle cartelle cliniche finora pervenute al Ministero della sanità, che non rappresentano certamente l'universo dei casi e sulle quali il professor Tomatis potrà poi esprimere qualche valutazione.
Prima ancora che intervenisse il professor Di Bella, la discussione all'interno della Commissione è stata molto ampia; si pongono infatti problemi importanti, considerato che la stratificazione dei pazienti e dei casi, in relazione allo stadio delle relative patologie e alla necessità di sperimentare farmaci diversi in diverse associazioni che comprendono, in molti casi, anche i chemioantiblastici, rappresenta sicuramente un problema tecnico, di impostazione del disegno dello studio da attuare, che, come è evidente, deve essere risolto prima che si avvii la sperimentazione.
Considerati gli strati con cui abbiamo a che fare, cioè tumori in stadio iniziale, tumori in stadio avanzato, tumori ovvero casi trattati con o senza chemioantiblastici, lo studio osservazionale parrebbe quello che meglio si presta ad affrontare le tematiche connesse alla sperimentazione; non è comunque escluso che la task force costituita nell'ambito della Commissione, ovvero il gruppo di lavoro dedicato a valutare e a proporre in tempi brevi alla Commissione oncologica il disegno dello studio corrispondente, possa prendere in considerazione anche altre opportunità offerte dell'epidemiologia. La Commissione ha infatti costituito un gruppo di lavoro la cui prima riunione si terrà oggi a mezzogiorno, tant'è che il professor Veronesi, che ne è uno dei coordinatori, assieme al professor Tomatis e al professor Amadori, non è presente a quest'audizione proprio perché deve recarsi al Ministero della sanità per coordinare il gruppo suddetto. Sottolineo che per il coordinamento si è preferito non individuare un'unica figura, in quanto, considerata la diversità delle competenze richieste per l'impostazione del disegno dello studio, si è optato per tre coordinatori, cioè il professor Veronesi, il professor Amadori e il professor Tomatis. Ovviamente nell'ambito della Commissione è stata sottolineata la necessità di uno stretto collegamento ed integrazione con le attività della Commissione unica del farmaco, che è qui rappresentata anche dal professor Silano, oltre che da suoi autorevoli membri, alcuni dei quali sono stati inseriti nel gruppo di lavoro istituito. Questo gruppo prevede anche esperti esterni ed esperti internazionali, che in parte sono già stati individuati - per esempio, il professor Dulbecco - ed in parte saranno indicati nel corso dei lavori del gruppo ed acquisiti come esperti da parte della Commissione oncologica nazionale, ciò di cui ha facoltà, evidentemente, il presidente. Il gruppo si mette al lavoro sostanzialmente oggi e penso che in tempi brevi produrrà i risultati dovuti.
Non mi addentrerei negli aspetti tecnici perché dovrei esporre tutto il dipanarsi della discussione in Commissione oncologica. Credo che gli autorevoli membri qui presenti potranno sintetizzare gli aspetti tecnico-scientifici nei loro interventi.

PRESIDENTE. Potremmo approfittare della presenza di questi autorevoli membri della Commissione oncologica nazionale anche per avere alcuni dati relativi ai risultati concreti raggiunti negli ultimi dieci-venti anni nell'utilizzo delle varie terapie per la lotta ai tumori.

VITTORIO SILANO, Direttore del dipartimento per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza del Ministero della sanità. Signor presidente, sono molto lieto di avere l'opportunità di partecipare a questa audizione. La mia responsabilità è quella di direttore del dipartimento del Ministero della sanità che ha competenza in materia di medicinali; nel quadro della competenza sui medicinali vi è anche quella relativa alle sperimentazioni cliniche. Queste ultime in Italia possono essere


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effettuate solamente previa valutazione del Ministero della sanità, che viene a monte, e previa valutazione, che deve essere sempre favorevole, da parte del comitato etico della struttura nella quale si svolge la sperimentazione.
Queste due valutazioni non sono equivalenti, perché quella del Ministero della sanità riguarda gli aspetti generali di sicurezza, di efficacia e di organizzazione della sperimentazione, mentre la valutazione del comitato etico concerne specificamente la fattibilità della sperimentazione stessa nell'ambito della struttura alla quale appartiene il comitato etico ed in particolare ha la finalità di tutelare i pazienti che poi si sottopongono alla sperimentazione e comunque di assicurare che tutte le norme di carattere internazionale recepite anche dall'Italia siano applicate.
Il ministro della sanità, quando non ha la possibilità di presiedere le riunioni della Commissione unica del farmaco, in genere delega me; quindi ho anche il privilegio, in assenza del ministro, di coordinare i lavori di tale Commissione.
La prassi è che il Ministero della sanità non autorizzi alcuna sperimentazione se prima la Commissione unica del farmaco non si è pronunciata in senso favorevole. Pertanto l'iter è normalmente il seguente: gli interessati alla sperimentazione presentano una domanda al Ministero, il quale la pone all'esame della Commissione unica del farmaco; quando la Commissione ha espresso parere favorevole, il Ministero rilascia l'autorizzazione (che noi chiamiamo in realtà delibazione, perché ha un carattere autorizzatorio sfumato e non molto penetrante); si passa poi alla struttura in cui si deve fare la sperimentazione, e lì il comitato etico si esprime; se tutti danno parere favorevole, finalmente si attua la sperimentazione.
Per quanto riguarda la Commissione unica del farmaco, vorrei ricordare che essa è composta da dodici membri nominati più tre membri di diritto ed è presieduta dal ministro stesso. I dodici membri sono eminenti esperti in ambito clinico o farmacologico; sono tutti nominati dal ministro, ma sono designati dallo stesso ministro in numero di cinque e designati dalla conferenza dei presidenti delle regioni in numero di sette. Pertanto questa Commissione ha una rappresentatività mista: governo dello Stato e governo delle regioni. Oggi sono qui presenti due membri eminenti della Commissione, il professor Preziosi ed il professor Pagliaro.
Per darvi un'informazione in estrema sintesi, ricordo che la Commissione unica del farmaco si è occupata ripetutamente, sia nel 1996 sia nel 1997, del metodo del professor Di Bella. In un primo momento se ne è occupata sotto il profilo della sua validità terapeutica globale; ed il parere che è stato espresso nel gennaio 1997 dalla precedente Commissione unica del farmaco (perché quella attuale si è insediata soltanto in aprile) è stato negativo, nel senso che si è rilevato che i dati a disposizione non consentono di concludere nel senso di poter ritenere efficace la terapia proposta dal professor Di Bella. Naturalmente questo parere è legato alle evidenze disponibili a quel tempo ed è chiaramente soggetto a revisione a mano a mano che le conoscenze scientifiche si dovessero evolvere.
Successivamente, verso la metà dello scorso anno, il Ministero ha ricevuto una richiesta affinché fosse consentito l'uso cosiddetto compassionevole, l'uso gratuito dei medicinali, in particolare della somatostatina (che è il principale medicinale utilizzato dal professor Di Bella) ai pazienti che fossero ritenuti dai medici curanti bisognosi di questa cura. La normativa vigente in Italia contempla questa fattispecie, prevedendo che, in assenza di una valida alternativa terapeutica, si possano ammettere a rimborso medicinali o non registrati in Italia o in corso di sperimentazione, o comunque medicinali che non sono altrimenti riconosciuti al rimborso dalle altre normative vigenti. Si tratta di una disposizione che il Parlamento ha approvato alla fine del 1996 e che esprime l'ansia, l'attenzione del Parlamento italiano verso la necessità di cure in situazioni particolari che non si configurano nel quadro di medicinali registrati


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per i quali è regolarmente riconosciuta la necessità, l'opportunità del rimborso.
Quando però l'attuale Commissione unica del farmaco ha esaminato, a metà del 1997, questa domanda, anch'essa si è espressa sfavorevolmente circa la richiesta di ammissione all'uso compassionevole e gratuito della somatostatina. I motivi del parere contrario potranno essere chiariti meglio di quanto possa fare io dal professor Pagliaro e dal professor Preziosi, ma sono dettati essenzialmente dalla sfiducia che gli esperti hanno espresso in ordine all'efficacia terapeutica di questo trattamento.

PRESIDENTE. Vi ringrazio per la vostra esposizione. Passiamo alle domande dei colleghi.

NICOLA CARLESI. Innanzitutto vorrei sapere se già nel corso degli incontri svoltisi nella giornata di ieri, o comunque negli incontri preliminari, sia stato individuato il tipo di approccio che sarà adottato per la sperimentazione. Alla luce dell'audizione di ieri e delle osservazioni del professor Di Bella, mi sembra estremamente difficile sperimentare, trovare la possibilità di riprodurre quanto il professor Di Bella ha affermato molto chiaramente di fare in termini personali, per rispondere solo del suo operato e non di ciò che in tutta Italia altri medici fanno utilizzando il suo metodo. Si tratta di un problema che mi sono posto anch'io e che non saprei come affrontare; mi piacerebbe sapere se esistano già delle idee al riguardo.
Rispetto, invece, all'attività della CUF nel passato e, soprattutto, negli ultimi mesi - parere sfavorevole all'uso compassionevole della somatostatina -, nonostante, a mio giudizio, tutta la vicenda sia stata montata in maniera esagerata, è comunque un dato di fatto reale che ciò si sarebbe potuto evitare se fosse stata assunta, in tempi precoci, un'iniziativa tendente, appunto, ad una chiarificazione a proposito della somatostatina e dei casi in cui viene impiegata. Mi chiedo, dunque, se gli atteggiamenti negativi assunti dalla CUF in passato fossero il frutto di una attenta valutazione o pregiudiziali; ciò per capire se vi siano state delle negligenze e come mai oggi le posizioni siano cambiate, nel senso che, in termini scientifici e non politici, si è deciso di arrivare alla sperimentazione.

ANTONIO SAIA. Innanzitutto, ringrazio i professori che ci hanno illustrato come si siano svolti i fatti fino ad oggi e mi appresto a fare delle osservazioni preliminari. La prima è che negli ultimi 25 anni - parlo anche da medico - abbiamo visto verificarsi più volte casi simili a quello oggi all'ordine del giorno ed abbiamo, quindi, un'esperienza di cui avremmo dovuto fare tesoro. Ricordo che tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta ci fu un certo dottor Vieri e che il professor Valdoni nel giro di uno o due mesi lo chiamò presso l'istituto Regina Elena: il caso si sgonfiò nell'arco di pochissimo tempo e, se non vado errato, il dottor Vieri fu denunciato ed arrestato. Un altro caso, del quale, invece, non si è mai preso ufficialmente atto, fu quello del veterinario Bonifacio: caso che si esaurì soltanto allorché, dopo vent'anni, questo dottore si ammalò e morì di tumore, mentre continuava, a Santa Maria in Trastevere, la fila dei pazienti che volevano il suo siero, proprio perché la scienza ufficiale non aveva mai dato il segno chiaro e preciso di aver preso in esame la questione. Recentemente, poi, si è verificato il caso dell'UK101. Anche allora dicemmo che la questione doveva essere immediatamente esaminata, perché sapevamo come intorno a queste iniziative si manifesti l'interesse enorme dei mass-media , per cui le cose si ingigantiscono e diventano incontrollabili. Per fortuna, si decise di compiere subito uno studio e questo fece scendere immediatamente il silenzio sull'UK101.
Anche un anno fa non era difficile prevedere, lasciandolo procedere in modo incontrollato, che il fenomeno relativo al professor Di Bella avrebbe preso la mano. Io stesso, sei mesi fa, dissi che sarebbe


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aumentato in progressione geometrica, e così è stato. Oggi, ha dilagato tanto che è difficile porvi rimedio. Vi chiedo, dunque, se non pensiate che vi sia stato un ritardo grave, che ha ormai determinato uno stato di fatto di cui non si può non tener conto. Ci sono decine di migliaia di pazienti disperati, a molti dei quali la scienza ufficiale ha detto che non c'è niente da fare, nonostante abbiano speso decine e decine di milioni presso strutture pubbliche o pseudopubbliche; a tutti costoro oggi, quanto meno, bisogna dire che si vuole studiare e verificare se su di loro questi farmaci possano avere effetto. Infatti, è ormai un dato di fatto che decine di migliaia di pazienti stiano facendo questa cura.
Sono dunque d'accordo sulla scelta che, forse, sta per essere compiuta, cioè quella di uno studio osservazionale. Questa è ormai la strada. Sono troppi i pazienti disperati che aggiungono alla disperazione della malattia quella di dover ricercare questo farmaco e di doversi, magari, rovinare economicamente per procacciarselo in giro per l'Europa. D'altro canto, per loro oggi questa è l'unica speranza.
Vi chiedo, allora, di procedere subito allo studio osservazionale, perché solo per tale via potrete prendere contatto con queste persone, aprire con loro un dialogo ed evitare che imbocchino una strada sbagliata: penso a tutti i tumori che ormai la scienza ufficiale riesce a guarire bene, come quelli ormonosensibili, a quelli che guariscono grazie alla chemioterapia.

PRESIDENTE. Onorevole Saia, il tempo a sua disposizione è ormai scaduto.

ANTONIO SAIA. È necessario fare questo studio anche perché se vi è anche solo un 1 per cento di tumori che possa giovarsi non della somatostatina ma, come ha spiegato ieri il professor Di Bella, di quel gruppo di farmaci che coagiscono, è giusto che la scienza ufficiale lo sappia e, soprattutto, capisca perché ciò avviene.

PRESIDENTE. Dando la parola all'onorevole Del Barone, invito nuovamente al rispetto dei tempi prefissati, per consentire a tutti i colleghi che lo desiderino di intervenire.

GIUSEPPE DEL BARONE. Come lei sa, presidente, sono l'unico rappresentante in questa Commissione del CCD, quindi se in questa prima fase userò uno o due minuti di più di quelli che mi sono concessi, me li leverà successivamente.
Quando ieri sono venuto per prendere parte all'audizione del professor Di Bella, ero pieno di buone intenzioni, ritenendo che, finalmente, tutti i dubbi di un vecchio medico, quale indubbiamente sono, sarebbero stati dipanati. Confesso, con la mia tradizionale onestà, che se ero entrato in Commissione con qualche dubbio, ne sono uscito solo con dubbi, perché non ne era stato dipanato nessuno. Abbiamo sentito una dissertazione poggiante su una certa ipertrofia dell'io. Mi pare che, in questi tempi, stia emergendo la cultura della non morte e della non malattia, non fosse altro che per far pagare tutto ai medici; però, nella fattispecie, abbiamo sentito che con quella terapia non si muore, si migliora la qualità della vita, ma senza accogliere la richiesta di uno sguardo accurato su cartelle cliniche autogestite, laddove io avrei gradito una sperimentazione eterogestita a livello nazionale ed internazionale, non per mancanza di rispetto nei confronti di autorevoli esponenti, quali voi siete, ma per accontentare le richieste del professor Di Bella. Mi riferisco ad una sperimentazione che non mettesse in contrasto l'idea della non morte con quella del miglioramento della vita, perché se si ottiene la prima, la seconda potrebbe anche essere messa, in certo modo, in discussione.
Oggi, invece, i dubbi che avevo sono stati abbondantemente eliminati dalla serena esposizione del professor Silano, che conosco come persona estremamente attenta - non fosse altro che attraverso la panoramica che di lui mi fa uno dei miei più fraterni amici, il professor Michele Olivetti - il quale ha detto in termini chiari che la cura Di Bella è stata sperimentata due volte, nel 1996 e nel


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1997, dalla Commissione unica del farmaco ed i risultati non sono stati brillanti. Voi siete, indubbiamente, grossi rappresentanti dell'ars medica italiana, molti di noi sono medici; personalmente, svolgo la mia attività da una quarantina d'anni - notizie può darvene l'amico professore Petrella - e mi trovo ad essere presidente di un ordine difficile qual è, indubbiamente, quello di Napoli; sono quindi impastato di queste cose e, se vi vorrete divertire a leggere i quotidiani napoletani di oggi, vedrete che già la compravendita della somatostatina passa attraverso la patologia più iniqua. Questo sta a dimostrare che, ammesso che fino ad ora non vi sia stato alcun business, poiché la buona fede del professor Di Bella la sottoscrivo al buio, un business inizierà da questo momento, perché la collateralità Di Bella, vera o falsa che sia, si proietterà nelle forme più negative.
D'altronde, mi permetto di rivolgere con estrema cortesia e garbo una domanda all'amico - se mi consente queste terminologia - professor Silano, in quanto, considerato che a volte presiederà la Commissione unica per il farmaco al posto del ministro Bindi, credo si renda senz'altro conto di ciò che accadrebbe nel momento in cui si dovesse arrivare ad una somministrazione non indiscriminata ma aperta della somatostatina: rispetto ai 106 mila miliardi della spesa per la sanità, i 12 mila miliardi della spesa per la farmaceutica non si ipertrofizzerebbero fino all'inverosimile? Quindi, professor Silano, che si dovrebbe dire di una CUF che, sia pure attraverso spiegazioni accettabili, ha proibito, consentendo il passaggio dalla fascia A alla fascia C, prodotti che potrei definire di banco ma che servono per l'umanità sofferente, quella delle pensioni sociali, e che ha invece consentito la somatostatina? E, per piacere, finiamola di parlare di somministrazione compassionevole, perché le cifre sono cifre: se erano stati stanziati 70 miliardi e a una regione come la Campania ne toccano soltanto 7, cosa si prescrive? Ho passato la mia vita, di onorato medico di famiglia, a prescrivere prodotti che la Commissione del farmaco aveva in grande stima.
In che misura incide, su questa vicenda, il 96 per cento degli italiani che gradiscono la cura Di Bella, e quanto c'è di verità, da parte vostra, nel poterla sperimentare ed accettare?

VASCO GIANNOTTI. Anch'io ritengo che la Commissione oncologica, sia pure con una decisione che immagino sofferta e difficile, abbia fatto bene a misurarsi con la sperimentazione; anch'io sono convinto che ritardi vi siano stati, ma non ne faccio debito alla comunità scientifica, anche se a volte mi è sembrato che qualche voce sopra i toni potesse essere risparmiata. Qui, infatti, un problema delicato c'è, e lo avverto quando leggo il fondo del Corriere della Sera di oggi, dove Indro Montanelli, pur scrivendo un articolo che io condivido in pieno, a sostegno della razionalità della scienza, invita, però, a fare attenzione, perché a volte l'arroganza può essere di chi rifiuta tutto ciò che non appartiene, come in questo caso, al metodo scientifico. Credo che questa affermazione faccia riflettere non solo me ma anche voi, in quanto ritengo che il metodo scientifico, se pur razionale e validato, debba essere anche parziale, attento, curioso di ciò che di nuovo può apparire sulla scena, anche se non rispettoso delle regole che la comunità scientifica giustamente si è date.
La domanda che voglio rivolgervi l'ho già fatta ieri al professor Di Bella, ma, purtroppo, ho avuto solo una risposta parziale, il che mi ha molto preoccupato. Concordo con la sottolineatura del dottor Oleari che ha parlato di uno studio osservazionale sui pazienti più che di una sperimentazione. Però, mi chiedo e vi chiedo: tenendo conto di ciò che sappiamo e che ci ha detto il professor Di Bella, cioè che il suo metodo è molto empirico, molto «personalizzato», che è difficile ricondurlo a uno o più protocolli scientifici, è possibile individuare un metodo che consenta, in tempi relativamente brevi, di compiere uno studio osservazionale su un


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certo numero di pazienti e che ci possa far dire che il metodo Di Bella ha o non ha effetti positivi? Credo che sia questo ciò che ci attendiamo noi e il popolo italiano, perché solo nel momento in cui saremo in grado di dare, in tempi brevi, una risposta a questo quesito, potremo dividere il grano dal loglio, nel senso che potremo dire ciò che vale e ciò che non vale.
A questa domanda gradirei, da parte vostra, una risposta molto precisa.

PRESIDENTE. Vorrei ringraziare e salutare il professor Silano che, per colpa nostra, avendo iniziato con notevole ritardo, è costretto a lasciarci prima della fine di questa audizione.

ANTONINO MANGIACAVALLO. Egregi colleghi - mi permetto di salutarvi così perché oltre ad essere parlamentare sono anche medico -, poiché ieri, durante l'audizione del professor Di Bella, ho espresso viva preoccupazione e grande perplessità, oggi mi permetto di manifestare grande compiacimento e soddisfazione perché finalmente il problema del metodo Di Bella è approdato nella sede giusta: al di là della pubblicità, dell'eco, della esasperata valutazione che, a volte, ha avuto nei mezzi di informazione, ritengo che la sede giusta per una valutazione serena e chiara del problema sia proprio quella scientifica. Le perplessità e le preoccupazioni manifestate ieri derivavano non da ciò che ho letto sui giornali, ma da alcune gravi affermazioni del professor Di Bella, le quali obbedivano più ad una logica comunicazionale, psicologica e, sotto certi aspetti, anche commerciale: il professor Di Bella si è permesso di dire che la scienza distrugge il buon senso, che il suo metodo è valido perché l'ha sperimentato su se stesso da quarant'anni, perché non è mai morto nessuno e per tutta una serie di valutazioni che non posso fare anche perché il tempo a mia disposizione è estremamente breve.
Ritengo che si debba esprimere vivo compiacimento anche per la comunicazione resa ieri dal Presidente del Consiglio Prodi, confermata oggi dai rappresentanti autorevoli e prestigiosi della Commissione oncologica nazionale e della Commissione unica del farmaco, cioè che finalmente parte la sperimentazione o, meglio, lo studio osservazionale. Però mi pongo dei problemi a tale proposito, certo, comunque, che la valutazione scientifica sarà lontana da qualsiasi condizionamento emotivo, passionale e pubblicitario; lontana anche dalle spinte che provengono dal mondo della magistratura, che, ancora una volta, si è appropriato di settori che, a mio modesto avviso, non le competono. Proprio in merito a questo studio osservazionale, mi chiedo e vi chiedo: cosa andrà a valutare il comitato che si è già costituito? Mi è stato detto: l'efficacia di questa terapia. Ma efficacia rispetto a che cosa? Si tratta di una terapia antiblastica in senso stretto? Si tratta, come ha detto il professor Di Bella, di qualcosa che permette la coesistenza della malattia con il malato e che, quindi, in termini molto stretti potremmo considerare come una terapia sintomatica, di supporto o adiuvante? Oppure si andrà alla ricerca di una efficacia non meglio identificata? Bisogna prefiggersi un obiettivo, in funzione del quale, evidentemente, lo studio può essere svolto in maniera diversa, perché se si tratta di una valutazione sull'attività sintomatica di questa terapia lo studio può avere ad oggetto qualsiasi forma di tumore, mentre nel caso in cui si dovessero prendere in considerazione altre componenti desidererei sapere se preventivamente siano state valutate le forme di tumore alle quali applicare questa sperimentazione o questo studio osservazionale. Inoltre, è uno studio che sarà effettuato - spero - in doppio cieco, versus placebo o versus altre terapie già adottate.
Mi auguro che la sperimentazione venga eseguita mettendo insieme il metodo Di Bella e la chemioterapia, che ufficialmente ha già dato i suoi frutti. Auspico comunque che questo studio possa fornire una risposta chiara ed inequivocabile, perché in qualità di politico questa volta mi preoccuperei immensamente


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delle false speranze e delle facili illusioni che potrebbero essere fornite a coloro i quali purtroppo soffrono e continuano a morire.

PIERGIORGIO MASSIDDA. Vi ringrazio per essere intervenuti, perché la nostra è un'osmosi, un passaggio di esperienze e di ruoli. Infatti, poc'anzi si diceva che forse vi sono state delle responsabilità in ordine ai tempi: io le divido fra tutti, compresi noi (ne parlavamo ieri sia io che Saia). Quando si verificano questi fenomeni, quello che non possiamo permetterci è il tempo, sia per il tipo di patologia sia per il fatto che, come è accaduto, il fenomeno degenera e la paura è che alla fine diventi quasi una moda, ci si dimentichi dell'urgenza, della gravità del problema e quasi venga demonizzato ciò che di fatto esiste. Conosciamo, per esempio, tutti i problemi che produce la chemioterapia, ma ne conosciamo anche l'estrema efficacia. Ne sono consapevole sia perché sono un medico sia perché ho vissuto nella mia famiglia l'efficacia di una terapia che causa però dolori, sofferenze ed una qualità della vita piuttosto scadente, piuttosto bassa. Ma ciò è inevitabile.
Parlo di questo perché anch'io ieri ho avuto dei dubbi, ma ho ricevuto anche dei chiarimenti. Ho avuto, inoltre, la sensazione che probabilmente il tipo di dibattito non abbia consentito di sviluppare tutti i temi. Anche a me è piaciuto - e credo che piaccia a qualsiasi cittadino - il fatto che ci possa essere una terapia che intervenga anche sulla qualità della vita, perché convivere con un tumore o combatterlo senza creare tutti quei passaggi dolorosi legati ad altre terapie sarebbe molto importante. I dubbi li abbiamo tutti.
Non intendo ripetere cose già dette, perché le domande che avrei voluto rivolgervi sono le stesse formulate dal collega Mangiacavallo. Tralasciando dunque tutti i quesiti che avrei voluto porre come tecnico, come medico, sia perché tedierei i colleghi sia perché tutto sommato quello che vi sto per chiedere, invece, come politico avrà una risposta, vi domando se sia possibile sapere esattamente come agirete, perché diventa anche nostro dovere vigilare affinché il vostro lavoro sia sereno, tranquillo e proceda in maniera coordinata con quello del professor Di Bella, per evitare quei dubbi, quelle nuvole che ogni tanto vengono presentati dai mass media in relazione ad interessi che vanno al di là della ricerca scientifica.

ALESSANDRO CÈ. Devo dire la verità: nell'audizione di ieri del professor Di Bella ho notato un medico che ha sicuramente della genialità, ha un'impostazione peculiare. Nello stesso tempo, tutti noi abbiamo potuto constatare che si è creato un fenomeno di emergenza sociale e di evidenza sociale che non è assolutamente trascurabile; le testimonianze di molte persone ci dicono che qualche risultato sembra sia stato conseguito. Ho visto però delle zone d'ombra per quanto riguarda tutto quel tratto che intercorre fra le intuizioni, la capacità ed i risultati finali; penso che questo sia stato il problema avvertito anche da tutti gli organismi scientifici.
Sicuramente vi è stato un ritardo, a mio avviso maggiormente imputabile a chi aveva responsabilità politiche: innanzitutto al ministro, il quale avrebbe dovuto operare una mediazione tra le valutazioni delle commissioni scientifiche ed i problemi di rilevanza sociale, individuando le strade opportune per affrontare il problema prima che si ingigantisse troppo.
L'impressione che ho avuto - e qui mi rivolgo direttamente a voi - è che il compito della Commissione unica del farmaco sia in fondo un po' troppo burocratico, cioè che la Commissione si attenga a valutazioni di efficacia e tollerabilità, in linea di massima in consonanza con quanto avviene a livello europeo, comportandosi spesso, a mio avviso, come organo quasi di ratifica di decisioni prese in altra sede.
A questo punto mi ricollego al discorso, che condivido pienamente, già svolto da Giannotti, il quale però l'ha prospettato in maniera blanda, come episodio


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riportato sui giornali, in un articolo di Indro Montanelli, mentre io invece lo voglio porre come accusa. Non ritenete che il vostro ruolo debba essere anche quello di prestare maggiore attenzione a fenomeni che, pur avendo caratteristiche di tipo empirico, potrebbero essere frutto di intuizioni geniali ed avere quei riscontri sociali che anche voi vedete? Non pensate che il vostro compito sia quello di intuire se esista realmente qualcosa dietro e di valutare l'opportunità di chiudere quelle falle riguardanti tutti i passaggi intermedi che possono essere state le caratteristiche dell'intervento del professor Di Bella, ad esempio?
Questo poteva essere il vostro compito, in modo tale da avviare realmente una sperimentazione integrando quelle manchevolezze che ritengo esistano nel comportamento e nell'azione del professor Di Bella, anche perché egli ha operato in condizioni che non gli consentivano realmente di documentare, passo dopo passo, l'applicazione del suo metodo, portando poi ad un risultato che in ogni caso avrebbe avuto un costo - sono d'accordo -, ma un costo che poteva essere motivato da tutti questi fattori che si potevano esaminare, con il risultato minimo, eventualmente, di «sbugiardare» in tempi brevi una persona che, per quanto mi riguarda, potrebbe invece aver intuito qualcosa di veramente interessante. Dunque, un risultato si sarebbe comunque ottenuto.

DOMENICO GRAMAZIO. Possiamo dire che con l'audizione di ieri, ma forse ancora di più con la trasmissione televisiva dell'altro ieri e con quella di ieri, ci sia stato un avvicinamento tra la Commissione unica del farmaco, il ministro e le posizioni del professor Di Bella. Dobbiamo tuttavia andare un attimo indietro e pensare a ciò che è avvenuto in quest'ultimo mese: i pretori che governano la sanità. E i pretori e i magistrati, quando intervengono, lo fanno perché c'è stato, da parte di chi doveva governare la sanità, un comportamento tale da lasciar spazio ad altri per intervenire. Non c'erano risposte, anzi queste erano negative. Era un fronte contro un fronte, per creare una rottura permanente. Con immediatezza c'è stata, allora, la risposta di alcune regioni che si sono assunte delle responsabilità: ieri vi è stato l'intervento dell'assessore alla sanità della regione Puglia, Saccomanno; sempre ieri, in una trasmissione televisiva, quello del presidente della giunta regionale della Lombardia; entrambi, autonomamente, assumono determinati impegni, per l'aspettativa che ormai si è creata nell'opinione pubblica. Ripeto qui una battuta che ho fatto ieri a proposito della possibile elezione del Presidente della Repubblica: se dovessimo oggi mettere a confronto Di Pietro con il professor Di Bella, non so chi dei due otterrebbe miglior risultato in una campagna elettorale. Qualcuno ha detto che, sicuramente, Di Bella batteva Di Pietro. Cosa vuol dire questo? Vuol dire... (Commenti). Anche nel collegio di molti colleghi vorrei verificare quanti siano, oggi, i loro sostenitori e quanti siano quelli del professor Di Bella: forse qualcuno avrebbe lo 0,1 per cento perché si schiera contro Di Bella. Non è questo il problema. Il problema è che bisogna dare delle risposte.
Oggi, alcuni giornali sostengono che per la sperimentazione occorrerà un anno, altri che sarà necessario solo qualche mese. Noi vorremmo avere una indicazione da voi, che avete aperto un dialogo, facendo sì che non vi sia più contrapposizione da parte degli organismi ufficiali nei confronti della terapia del professor Di Bella, senza togliere nulla a coloro che in questi giorni diventano sostenitori di tale terapia e inventano un metodo Di Bella per i propri pazienti, come ha denunciato ieri lo stesso professore. Vogliamo sapere da voi in quanto tempo si possa arrivare alla sperimentazione, in collaborazione con lo stesso professor Di Bella, come ha detto ripetutamente il ministro. Peraltro, ieri il professore, nel corso di un incontro con il gruppo di alleanza nazionale, si è dichiarato disponibile a questo rapporto e, addirittura, durante la trasmissione Porta a Porta, il presidente della Federazione


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degli ordini dei medici ha fatto marcia indietro rispetto ad alcune dichiarazioni delle quali avevamo avuto notizia e che erano state inviate, in circolare, ai vari ordini. Vi è stata una marcia indietro anche con una telefonata tra Roma e Firenze...

PRESIDENTE. Onorevole Gramazio, lei non gode della rendita di posizione dell'onorevole Del Barone.

DOMENICO GRAMAZIO. Sto impiegando il tempo che spetta, complessivamente, al mio gruppo. Concludo ribadendo che noi vogliamo che vi sia la possibilità di continuare il dialogo, di andare incontro alle esigenze delle regioni, che sono le esigenze della gente sul territorio.

MAURA COSSUTTA. Intanto si dia pace l'onorevole Gramazio perché la somatostatina - che è stato chiesto se sia di sinistra o di destra - non è di destra. Chiarito questo, vorrei formulare, nei tre minuti a mia disposizione, qualche semplice domanda ai nostri ospiti.
La prima è la seguente. Non ritenete anche voi che questa, oltre ad essere l'occasione per verificare un possibile metodo alternativo, possa costituire un'occasione più generale, visto il grosso scarto che si è determinato tra opinione pubblica e tutto il mondo ufficiale, per verificare se non vi sia qualcosa da correggere? Cosa ritenete che costituisca ostacolo a dei possibili e, forse, necessari cambiamenti?
Nell'orizzonte segnato dalle compatibilità del bilancio, dalle risorse, dal mercato, dalle finalità di scelte che hanno poi una ricaduta sull'economia dei paesi - penso, ad esempio, al ruolo che ha l'industria farmaceutica nel garantire il lavoro - potete spiegarci perché, ad esempio, la Serono non abbia chiesto l'autorizzazione per le altre finalità terapeutiche previste dal metodo Di Bella?
Potete, poi, fornirci dati certi sul fatturato dei chemioterapici in Italia? È stata attivata una ricerca e, eventualmente, da parte di chi per possibili metodi alternativi alla chemioterapia? E ancora: come funzionano i comitati etici? Noi sappiamo che vi sono le linee guida, ma troppo spesso il consenso informato è un consenso passivo, in cui il malato si limita a ricevere informazioni. Quali correzioni ritenete si debbano apportare affinché tale consenso informato dia anche la possibilità di intervenire nei protocolli, per esempio per dire no alla eccessiva invasività non solo dei chemioterapici ma di tutta la terapia medica? Penso a tutta la cultura delle donne.
So che c'era una giungla e tutti l'abbiamo combattuta. Ci volevano delle regole, dei protocolli, ed ora esiste una cultura nuova, anche medica - penso alla farmaco-vigilanza, alla farmaco-economia, alla farmaco-epidemiologia - che consente la verifica dei risultati. Ma qualcosa ancora non funziona, perché se ci sono le regole bisogna anche vedere come vengono applicate: chi controlla i controllori? Non è una domanda rivolta contro di voi ma una domanda democratica, necessaria in conseguenza della modernità, perché sempre di più la scienza accentra i luoghi della formazione e del potere. Quello dell'informazione e del sapere è un potere immenso, tipico della modernità; quindi è necessario un sistema democratico di regole condivise, proprio perché c'è un sistema di controlli forti.
La CUF ha assunto delle iniziative importantissime - penso, ad esempio, al problema del prezzo unico - ma noi abbiamo presentato decine e decine di interrogazioni perché non comprendiamo, ad esempio, nella definizione dei farmaci innovativi quanto possa pesare il fatto che alcuni farmaci, come gli antiepilettici, siano ancora in fascia C, quindi non a carico del Servizio sanitario nazionale, mentre eliminano decisivi effetti collaterali che incidono sulla qualità della vita delle persone.
Ripeto: considerate anche voi che questa sia l'occasione per un riesame più generale e potete darmi risposta su tutti i punti che ho toccato?


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GIUSEPPE PETRELLA. Innanzitutto vorrei precisare che anch'io, ieri, sono entrato in quest'aula con tanti dubbi ma, a differenza del collega Del Barone, sono uscito con una certezza: quella che finalmente tra qualche mese - mi auguro pochi - i pazienti ammalati di tumore sapranno quali siano, effettivamente, le terapie che hanno successo, anche se hanno effetti collaterali non gradevoli, e potranno tornare, appunto, a quelle terapie che tutta la comunità scientifica, nazionale ed internazionale, reputa valide. Così dicendo parlo sia come parlamentare, sia come docente, da oltre vent'anni, di oncologia chirurgica presso l'Università di Napoli.
Aggiungo che ieri sera, attraverso la televisione, è stato lanciato agli italiani un messaggio deflagrante. Vedo qui presente il professo Santi, che ha partecipato a quella trasmissione, e gli do atto di non aver cercato consenso politico o di grande gratificazione, poiché ha risposto in maniera scientifica, rigorosa e seria agli interrogativi che gli sono stati posti. Dico che si tratta di un messaggio deflagrante perché milioni di italiani ieri hanno sentito, senza che vi sia possibilità di prova, che la cosiddetta terapia del dottor Di Bella ha, praticamente, efficacia su tutti i tumori e chiunque di noi è medico sa che da oggi i pazienti chiederanno di non fare più radioterapia o chemioterapia ma di seguire il cosiddetto metodo Di Bella. Questo, a mio giudizio, è estremamente grave e pericoloso.
Vorrei, poi, rivolgere una domanda ai colleghi della CUF ed una al professor Santi. Ai colleghi della Commissione unica del farmaco chiedo: come è possibile che un farmaco di cui è stato detto che non serve dopo che per due volte è stato sottoposto all'attenzione della comunità scientifica e per di più impiegato solo per uso compassionevole, il che significa che si poteva dare la somatostatina come l'aspirina o l'acqua benedetta, oggi lo si voglia addirittura sperimentare su tutti i tipi di tumore?
La domanda che rivolgo al professor Santi, oncologo riconosciuto a livello internazionale, è la seguente: innanzitutto, quali sono i tipi di tumore? Non penso, infatti, che in quattro mesi si possa sperimentare su tutti i tumori; dunque, tumori solidi o tumori emopoietici? E che tipi di tumori solidi? La Commissione oncologica cosa pensa di poter fare realmente affinché vi sia un rilancio della ricerca oncologica italiana e affinché vi sia una seria regolamentazione dell'accesso alla sperimentazione? Non vorremmo che fra qualche mese si trovasse qualche altro cocktail, qualche altro personaggio che creda di aver creato qualche altra terapia, a proposito della quale si dimostri poi che non serve a niente.

SALVATORE GIACALONE. Non posso non provare un certo imbarazzo nello svolgere questo mio intervento che, in certo senso, fa seguito a quello di chi mi ha preceduto. Chi mastica appena l'ABC del mondo medico, certamente non può non sentirsi a disagio in questo dibattito, con il quale, in qualche modo, il Parlamento ha dimostrato la sua voglia di conoscere, di entrare nel merito di questa vicenda dopo che è montata nel paese e che, portata in questa sede, rischia di creare una forzatura in più, un elemento quasi di intromissione ideologica in un mondo, quello della ricerca, che ideologie non ne può avere. Mi chiedo, quindi, se non rischiamo di mettere in moto un circolo vizioso che non riusciamo più a controllare, in cui elementi ideologici si inseriscono in una realtà che deve restare fuori, assolutamente legata ai parametri metodologici ed etici propri della ricerca.
Ieri, nel corso dell'audizione in Commissione del professor Di Bella, ho colto il profilo - la sua veneranda età e i suoi precedenti scientifici ed accademici mi frenano dall'usare altri termini - dell'oncologo, del ricercatore incompreso descritto in letteratura. Posso dire, con tutta franchezza, che vi sono tutti gli elementi perché si ravvisi questo tipo di figura. Sono sereno, così come lo sono coloro che masticano appena l'ABC del mondo della medicina, però colgo il rischio profondo che dopo la vicenda Di Bella ve ne siano


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altre, con il pericolo che si forzi ancora un mondo che deve rimanere asettico. Se condividete questo mio timore, gradirei una vostra risposta.

GLORIA BUFFO. Premesso che non sono un medico, dico subito che mi rivolgo ai nostri interlocutori in considerazione non solo del loro ruolo istituzionale e del compito cui sono stati chiamati ma anche come medici ricercatori di grande esperienza. Vorrei sapere se considerino soddisfacente il modo in cui nel nostro paese viene monitorato il fenomeno dei tumori. Chiedo, inoltre: quanti sono i malati? Di quali tipi di tumori? Quali terapie vengono applicate? Quali sono gli esiti?
Voi considerate possibile agire, non solo per vie legislative ma anche per altre strade, sulla qualità, nella pratica medica, delle cure oncologiche? Mi riferisco al rapporto con il paziente, che spesso non è di grandissima qualità - per fortuna non sempre - e ai rischi di accanimento terapeutico o, comunque, di interventi che, in qualche caso, si rivelano impropri. Voi che siete esponenti tra i più autorevoli riconosciuti del mondo scientifico e accademico, come vi spiegate la sfiducia così diffusa, che la vicenda Di Bella ha in qualche modo scoperchiato, nella medicina ufficiale? Pensate forse che sia una sfiducia che nasce soprattutto dal cattivo funzionamento della sanità? Si tratta, infatti, di due questioni diverse, che in alcuni casi si intrecciano e si sovrappongono. Cosa ritenete che si possa fare subito? Naturalmente, questo non è un compito che può essere caricato interamente solo sulle vostre spalle. Cosa pensate sia possibile fare subito - è quindi un consiglio che vi chiediamo - per evitare che i cittadini colpiti da tumori, già oggi sicuramente curabili con terapie tradizionali e senza devastazioni, perché questo è possibile per diverse tipologie tumorali, le abbandonino persino nei casi in cui il professor Di Bella non si sente di dare una garanzia? Ieri egli ha detto che le sue cure non sono, nemmeno a suo parere, efficaci in tutte le tipologie tumorali. Mi ha molto colpito che alla stessa domanda rivolta al professor Di Bella e ai suoi collaboratori non ci sia stata alcuna risposta.

ROCCO CACCAVARI. A me pare che da parte del professor Di Bella, accettando questo invito alla sperimentazione, vi sia stata la sottolineatura del successo di un metodo empirico affidato soltanto alle sue intuizioni. Quindi, è un processo che si avvia al di fuori della scienza, ma è anche vero che la scienza per poter essere tale deve accettare anche quello che non è spiegato per poterlo spiegare.
Sono convinto che quando la sperimentazione sarà compiuta, qualunque sia il risultato non supereremo la tragedia nella quale ci ha posto questa situazione, perché sempre e comunque qualcuno continuerà a crederci se dimostreremo che non funziona, e sempre qualcuno continuerà ad essere diffidente se dimostreremo che funziona, a meno che non sia una terapia miracolistica che porti alla guarigione.
Il grande equivoco all'interno del quale ci siamo tutti quanti cacciati, a mio avviso per una volontà eccessivamente portata a ricercare soluzioni definitive, è di aver trascurato un fondamento che, a mio parere, è essenziale nella medicina: il medico è soprattutto uno statistico. E ieri di dati non ne ho sentito citare nessuno dal professor Di Bella; anzi, ho colto un'affermazione molto grave (voglio sottolineare che ho insistito per la sperimentazione): ha affermato che non poteva esaminare con chiarezza le cartelle che gli venivano sottoposte perché sulle stesse mancava la diagnosi. Credo che questo sottolinei non una malafede ma una buonafede, che la scienza assolutamente deve rifiutare.
Dunque, partendo da questo dato di fatto, credo si debba sottolineare il fatto di aver risposto, questa volta, non in termini scientifici ma fortemente emozionali, ad una richiesta della pubblica opinione; vivaddio, ci siamo comportati come essere umani, accettando quindi di poter addirittura sperimentare la prova di un errore, non la prova di una certezza.


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Infatti, quello che è significativo nella ricerca - e voi me lo insegnate - non è tanto il dimostrare l'efficacia quanto il mostrare la prova del contrario. Credo che dovremmo tutti riflettere su questo aspetto.

FABIO DI CAPUA. Vorrei solo manifestare la mia sorpresa perché sin dall'inizio questo problema è sembrato essere una questione soltanto italiana, se non addirittura regionale o paesana. Mi domando come non sia emersa l'esigenza che momenti di verifica rigorosa, necessari in questo settore, vedano invece un coinvolgimento di strutture, organismi, soggetti internazionali, di quei paesi che sono molto all'avanguardia nella ricerca su questa patologia, sulla quale investono molte risorse. Abbiamo purtroppo registrato ieri una testimonianza di partecipazione del professor Di Bella ad iniziative e congressi internazionali. Ritengo opportuno procedere ad un approfondimento e ad una verifica sull'attendibilità di questi dati e fornire una risposta sull'efficacia della terapia attraverso una sperimentazione che tenga conto anche dei lavori, degli approfondimenti e dei risultati che altri paesi stanno realizzando. Abbiamo bisogno di un momento decisivo e risolutivo, che però non sia gestito - ed è impossibile che possa essere gestito - soltanto in ambito nazionale.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai nostri ospiti per le risposte, formulerò anch'io alcune domande. Colgo l'occasione della presenza del professor Amadori, presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica. Si è parlato poco dei risultati della terapia ufficiale: quali tumori si riesce a guarire, in quale percentuale. Gli ultimi anni che cosa ci dicono nel campo dei tumori? Come è possibile rendere più sistematico quel monitoraggio di cui si è parlato e far sì che i risultati siano conosciuti da tutti (questo è uno dei limiti del nostro Servizio sanitario nazionale)?
La seconda domanda è la seguente. Il professor Di Bella, riferendosi ai pesanti effetti collaterali della chemioterapia, ha detto che la chemioterapia uccide e la sua terapia no; ha inoltre affermato di usare dei chemioterapici, ma in dosi minori. Si stanno compiendo studi diretti all'individuazione di una chemioterapia più selettiva, che distrugga solo le cellule tumorali e non presenti effetti collaterali? A che punto è la ricerca in questo senso? È possibile studiare, come il professor Di Bella forse indirettamente ci suggerisce, dosaggi diversi, più leggeri ma somministrati per più tempo, che possano raggiungere gli stessi risultati debilitando meno il fisico?
Un terzo quesito riguarda il prezzo della somatostatina, su cui occorre fare chiarezza, se è vero, come è vero, che è già in parte in fascia A - quindi rimborsabile - un tipo di farmaco che ha le stesse proprietà, mentre altri invece non lo sono. Al riguardo si è fatta grande confusione, per cui sono necessari dei chiarimenti. Sempre con riferimento alla somatostatina, nell'audizione di ieri avevo chiesto - ma non mi è stata fornita risposta - come mai la Serono non abbia chiesto la sperimentazione, o non abbia sollecitato istituti di ricerca a farla, per indicazioni diverse da quelle prescritte.
Io sono tra quanti avevano chiesto che si avviasse la sperimentazione ed in queste audizioni si tenta di trovare una via di uscita da una situazione di preoccupante allarme sociale. Ma a vostro avviso come si fa ad operare la sperimentazione su tumori sui quali esiste già la certezza dei risultati, senza avere problemi etici? E quali sono i problemi etici che impediscono alcuni tipi di sperimentazione? Inoltre, non sarebbe opportuno affiancare a questa sperimentazione una ricerca, un'indagine epidemiologica sul pregresso ad opera, per esempio, dell'Istituto superiore di sanità o di altri organismi vostri? Un risultato sul pregresso risulterebbe utile ed avrebbe forse meno implicazioni etiche nelle varie forme di sperimentazione.
Un altro quesito riguarda la prevenzione oncologica ed il piano sanitario nazionale. Come è stato sollecitato da tutti


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i gruppi della Commissione, inseriremo nuovamente all'ordine del giorno un provvedimento di cui era relatore l'onorevole Giacalone e del quale avevamo sospeso l'esame stante la mancanza di finanziamenti che ci consentissero di svolgere un serio lavoro; tali finanziamenti sono stati ora previsti dalla legge finanziaria. Lavoreremo quindi sulla legge sulla prevenzione oncologica e quando discuteremo del piano sanitario nazionale terremo presente il fatto che la lotta ai tumori rappresenta una priorità per la salute del paese. Nell'affermare ciò credo di interpretare la volontà di tutta la Commissione. Sotto questo profilo, avete sollecitazioni da esprimere o suggerimenti da fornire?
Molti colleghi sono tornati sul grosso problema della scarsa umanizzazione dell'oncologia ufficiale, della medicina ufficiale nel rapporto tra medico e malato: al centro deve esservi la persona, non solo i numeri e le statistiche. Vi chiedo come sia possibile risolvere il problema, soprattutto per malattie come quelle di cui stiamo parlando. Forse anche la medicina ufficiale potrebbe mettersi un po' in discussione, cioè riaprire il grande capitolo del rapporto tra paziente e medico, che attiene non solo alla psicologia ma anche alla medicina.
Infine, ritengo che il dibattito sia stato condotto sui mass media in maniera provinciale. È chiaro che nel mondo globalizzato non esiste tanto un'oncologia italiana; credo che le terapie, i protocolli terapeutici sui tumori siano uguali in tutto il mondo, così come la scienza e la ricerca sui farmaci. Mi ha colpito un aspetto in particolare. Ho sempre pensato - e ciò lo si constata girando un po' il mondo - che l'oncologia italiana, soprattutto per la cura di alcuni tumori, sia al primo posto nel mondo. Le terapie vengono impiegate a New York, a Los Angeles, in Gran Bretagna; faccio riferimento solo a quella del professor Buonadonna sul tumore alla mammella. Siamo famosi in tutto il mondo per questo. Forse il rischio è che ora il mondo ufficiale, apparentemente o realmente ostile al professor Di Bella, svilisca invece i risultati della nostra ricerca nazionale. Esiste un modo di riequilibrare e di rendere razionale tutto ciò? Se errori sono stati commessi, non commettiamone ulteriori, rischiando di far apparire la nostra oncologia come la cenerentola del mondo, quando credo che così non sia.
Concludo osservando che stanno ora giungendo alla nostra Commissione numerose richieste di audizione da parte di persone che intendono proporci nuovi metodi alternativi. Non dico che non possano essere condotti nuovi studi, ma bisogna stare attenti ai possibili rischi e interlocutori istituzionali devono essere le commissioni ministeriali, anche se è ovvio che il Parlamento ha un suo ruolo, che noi abbiamo recuperato. Deve essere ben chiaro che errate diagnosi possono, poi, far pensare a soluzioni miracolistiche e che qualcuno, dopo un viaggio, può anche guarire se vi è stato un errore. In tutta Italia non c'è una capacità di risposta omogenea ai problemi oncologici e, forse, anche su questo bisognerebbe lavorare.

FABRIZIO OLEARI, Direttore del dipartimento della prevenzione del Ministero della sanità. Per poter essere più esaurienti, presidente, ci divideremo le risposte. A me tocca fare solo una breve puntualizzazione. L'incontro, svoltosi ieri, tra il professor Di Bella e la Commissione oncologica nazionale era teso a valutare la possibilità di una sperimentazione del metodo Di Bella e non di un singolo farmaco, perché, come risulta dall'illustrazione che il professor Di Bella ha fatto alla Commissione, il trattamento si compone di più farmaci e non sempre nelle stesse proporzioni. Questo, evidentemente, implica una serie di problemi relativi alla standardizzabilità del metodo.
La medicina, di solito, si basa sull'evidenza scientifica e l'evidenza è scientifica nel momento in cui è sperimentale. I disegni dello studio sperimentale sono diversi. Quando si parla di studio osservazionale non significa che si prescinde dall'obiettivo di dimostrare l'effetto, che in questo caso è non di un farmaco ma di


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una associazione di farmaci, e ciò implica un attento studio del numero dei pazienti da assegnare e, come ho detto all'inizio, della loro eleggibilità allo studio stesso; il che implica che non tutti i pazienti, non tutti i tipi di tumore possono e debbono - su questo credo che tornerà il professor Tomatis - entrare nello studio.
Mi è parso di capire che, al termine della seduta della Commissione oncologica, il professor Di Bella si sia dichiarato favorevole ad entrare in un gruppo di lavoro che possa impostare il disegno dello studio, quindi definire tutto questo, ed inoltre - su osservazione della Commissione - a sottoporre i dati e le cartelle cliniche in suo possesso all'esame del gruppo, al fine di consentire uno studio retrospettivo, magari proprio coinvolgendo quegli osservatori epidemiologici che potrebbero portare utili contributi.
Ieri, l'incontro era dedicato a questo: siamo d'accordo nel fare la sperimentazione? La risposta è stata affermativa. Sperimentazione non significa uso indiscriminato di un farmaco o di un metodo piuttosto che un altro, ma selezione dei casi da trattare in rapporto all'obiettivo che ci si propone, ovviamente nei tempi più brevi possibile. L'accordo c'è stato ed oggi il gruppo si riunisce - lo ribadisco - per la prima volta. Nell'arco di una settimana o dieci giorni sarà in grado di produrre i protocolli, che naturalmente saranno notificati anche al presidente della XII Commissione, in modo che possa prendere atto dei lavori compiuti del gruppo di lavoro i quali, comunque, ripassano alla Commissione oncologica e, come ho già detto, vanno poi alla Commissione unica del farmaco, per passare infine ai comitati etici.
C'è anche il problema - qui termino - del coinvolgimento in questa sperimentazione del Servizio sanitario nazionale e degli istituti di ricerca a carattere scientifico. Cioè, accanto agli aspetti di carattere epidemiologico o altro, c'è anche da produrre la fattibilità riguardo all'organizzazione necessaria per poter condurre la sperimentazione, sapendo che la richiesta delle regioni implica sperimentazione in tutte le regioni, secondo i criteri di eleggibilità enunciati dal gruppo di lavoro, cui partecipa il professor Di Bella. Quindi, in tale sperimentazione devono essere coinvolti gli istituti di ricerca a carattere scientifico e, secondo la richiesta delle regioni, anche strutture del Servizio sanitario nazionale ovvero dei servizi sanitari regionali, secondo le regole concordate con il professor Di Bella, messe appunto all'interno del gruppo di lavoro e vagliate dalla Commissione oncologica.
Ciò detto, passerei la parola ai miei collaboratori.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PAOLO POLENTA

ANTONIO SAIA. Vi chiedo di poter aggiungere una risposta. Visto che si tratta di uno studio osservazionale, se e come intendete coinvolgere - cosa che secondo me sarebbe utile - tutti quei pazienti che già adesso stanno facendo la terapia?

FABRIZIO OLEARI, Direttore del dipartimento della prevenzione del Ministero della sanità. È uno dei problemi del gruppo di lavoro, la cui attività - lo ripeto - è cominciata da mezz'ora circa e di cui fa parte anche il professor Tomatis. Quali saranno le conclusioni del gruppo di lavoro ora non siamo in grado di anticiparlo. Le comunicheremo, più correttamente e scientificamente, a posteriori, seppure doverosamente in termini molto brevi.

DINO AMADORI, Presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica, componente della Commissione oncologica nazionale. Ringrazio per l'opportunità che ci viene offerta e cercherò di fornire le risposte che mi spettano per la mia competenza, mentre i colleghi qui presenti faranno la loro parte per le loro competenze specifiche.
Desidero partire proprio dalla richiesta, avanzata dal presidente di questa Commissione, di conoscere i dati relativi alla efficacia dei trattamenti convenzionali. Qui entriamo nel merito del problema


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biostatistico, che è stato sollevato in modo quanto mai opportuno in questa vicenda; essa, infatti, non può rimanere sul piano psicosociale ma deve ritornare su quello scientifico, altrimenti non se ne esce. Mi sono dunque permesso di portare - e se volete posso lasciarne fotocopia - i dati relativi alla percentuale dei pazienti adulti vivi a cinque anni dalla diagnosi, in Italia, in due diversi periodi di tempo (il 1978-1981 e il 1986-1989), nonché i dati relativi agli ultimi cinque anni, che dimostrano un trend significativo e costante di prolungamento della sopravvivenza in numerose forme di tumore maligno, che ora non sto ad elencare. In questa serie di dati troverete anche quello che accade nell'età più giovane - da 0 a 15 anni - nella quale circa il 70 per cento di tutti i tumori maligni guarisce con i trattamenti convenzionali. Troverete una tabella dalla quale emerge come anche tumori solidi e neoplasie linfomatose dell'adulto guariscono in percentuali che vanno dal 70 al 90-95 per cento dei casi solo come effetto della chemioterapia; cito i carcinomi del testicolo, i linfomi di Hodgkin, il linfoma di Burkitt - uno di quei casi che vengono sbandierati sulla stampa, guarito con la tonsillectomia e propagandato come guarito con la cura Di Bella - ed i linfomi non Hodgkin, oltre ai dati numerici ben consistenti che riguardano la percentuale dei lungosopravviventi nei carcinomi avanzati dell'ovaio, nei microcitomi, nei carcinomi della mammella. Questi elementi devono stare alla base dell'informazione corretta, che la stampa deve dare e della quale il Parlamento deve tenere conto.
Se si prescinde da questo, si crea confusione. I dati esistono e ve li posso mostrare assieme ad un elemento, che credo per voi sia molto interessante perché si riferisce a quanto richiesto prima circa il monitoraggio del fenomeno cancro nel nostro paese e gli strumenti per poterlo effettuare. Nelle tabelle che consegnerò alla presidenza troverete le curve di sopravvivenza a cinque anni dei principali tumori solidi che colpiscono la popolazione umana su base di popolazione, non su casistiche cliniche, quali emergono dai registri dei tumori italiani e, in particolare, dallo studio Itacare pubblicato esaustivamente in Italia. Esso fa riferimento anche ad un analogo studio europeo, l'Eurocare, pubblicato su prestigiose riviste di tipo epidemiologico.
Quando chiediamo dati al gruppo del professor Di Bella, chiediamo di avere elementi affinché la scelta del cittadino avvenga sulla base della probabilità di cura che ottiene dalla medicina ufficiale rispetto alla probabilità di cura offerta da una terapia diversa; ma questi dati non esistono, e ciò crea difficoltà nella sperimentazione clinica. Se dovessimo avviare la sperimentazione clinica sulla base di quanto emerso dall'analisi delle cartelle cliniche, dovremmo confessare di non avere elementi per farlo. Dunque, partiremmo da basi diverse, su cui si intratterrà il professor Tomatis.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIDA BOLOGNESI

DINO AMADORI, Presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica, componente della Commissione oncologica nazionale. Vorrei aggiungere qualche parola su un problema d'ordine generale a voi noto, perché siete medici, che è bene ribadire.
Il metodo Di Bella continua ad essere affermato come efficace sulla base del criterio soggettivo; il soggettivismo in medicina misura la qualità della vita, non l'efficacia del trattamento. Il criterio obiettivo sull'efficacia dei trattamenti e sulla loro attività è fornito solo ed esclusivamente dagli studi prospettici, i quali prendendo in considerazione casistiche omogenee trattate in modo differente, permettono di valutare attraverso il metodo statistico - che non è un'invenzione della fantasia umana, ma un dato concreto di misura dei fenomeni - quale delle due terapie sia più attiva, quale induca maggiori risposte obiettive e più efficace, il che vuol dire determinare il maggior numero di guarigioni e l'aumento della sopravvivenza. I dati da me forniti


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sui risultati della terapia convenzionale escludono le stabilizzazioni di malattia che, nella scienza medica attuale, sono considerate fallimenti del trattamento e non vengono inserite nei risultati positivi.
Molte affermazioni relative al metodo in oggetto sono del tipo «il tumore c'è ancora, non è regredito, ma sto bene»: in questo caso si tratta di una cura palliativa. Confrontiamo allora l'effetto palliativo del trattamento con una buona consistenza della medicina palliativa italiana, la quale, con costi risibili, consente una consistente «palliazione» della vita. Ai fini della sperimentazione clinica, vi sono alcuni problemi da affrontare e risolvere: innanzitutto l'attività del cosiddetto metodo Di Bella; in secondo luogo l'efficacia del metodo ed infine l'effetto palliativo del trattamento, in cui il rapporto costo-benefici, non essendovi guadagno di sopravvivenza, diventa determinante.
I tempi si collocano presumibilmente tra i sei mesi ed un anno; vorrei però chiarire, in relazione al concetto di studio osservazionale, che si tratta di uno studio longitudinale da riferire a pazienti già trattati nel passato, oppure a pazienti reclutati da ora in poi e osservati nel loro comportamento, ma questa non è la sperimentazione clinica! La sperimentazione clinica è attivare studi prospettici su tumori specifici che possano essere o pretrattati non responsivi alla terapia tradizionale, o refrattari d'enmblèe alla terapia tradizionale, oppure non pretrattati, in cui il problema etico impone che la terapia standard consolidata possa essere confrontata con se stessa, ed alla quale va aggiunta l'altra terapia. Mi chiedo quale ematologo sia disponibile a trattare in prima linea, con il metodo Di Bella, una leucemia linfatica acuta che in tre giorni deve essere riconvertita altrimenti il malato muore. Questi sono i problemi che l'oncologica affronta da sempre.
Per concludere, invito tutti voi, e in particolare il presidente, alla conferenza nazionale sull'oncologia che l'Associazione italiana di oncologia medica ha intenzione di organizzare nel mese di giugno. In tempi non sospetti abbiamo preso consapevolezza dei problemi esistenti nel nostro paese sul tema oncologico e nel corso dei lavori di quella conferenza vorremmo chiarire, seguendo un metodo scientifico, tutti gli aspetti citati. Il fenomeno Di Bella è nato negli spazi vuoti degli insuccessi terapeutici della terapia tradizionale oltre che per il difetto di comunicazione che esiste in materia e per l'inidoneità di talune norme vigenti di regolamentare la sperimentazione clinica in tempi rapidi. Penso sia giunto il momento d'affrontare seriamente la problematica e rivalutare quei sistemi di monitoraggio rappresentati dai registri tumori italiani, aumentandone eventualmente il numero oltre che l'efficacia nel nostro paese.
Si è parlato di pubblicazioni, ma un abstract ad un congresso non è una pubblicazione; le pubblicazioni devono comparire su riviste specializzate in cui sono riportati sinteticamente i dati da me citati, una volta validati dai referi, ossia coloro che verificano se corrisponde alla realtà quanto comunicato.

PRESIDENTE. Ringrazio per quest'ultima specificazione perché le regole internazionali di validazione della scienza non sempre sono conosciute.
Ad ogni modo, le tabelle da lei consegnate verranno allegate al resoconto stenografico della seduta odierna.

LEONARDO SANTI, Direttore scientifico dell'Istituto nazionale dei tumori di Genova, componente della Commissione oncologica nazionale. Ringrazio per l'incontro odierno perché la vicenda necessita di un chiarimento tra tutti coloro che possono recare un contributo per l'individuazione di un percorso comune. Ieri si è svolto l'incontro con il professor Di Bella in sede di Commissione oncologica: è stato un incontro civile, ma ho il dovere di dire con differenziazioni di un certo peso, che non compromettono la possibilità di raggiungere un risultato ma che occorre aver presenti. Da parte nostra non potremmo mai sottoscrivere affermazioni come quella secondo la quale Giovanni Agnelli sarebbe guarito se si fosse sottoposto


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alla terapia del professor Di Bella. Si tratta di affermazioni che non possono essere accettate!
Un'altra affermazione concerne il fatto che «il 90 per cento dei tumori è guarito»: non voglio scatenare una polemica, ma dire solo che esistono diversità di opinioni che dovranno essere chiarite.
Già in questa sede sono stati posti, all'inizio, alcuni quesiti e domande ai quali rispondo. Per esempio, è possibile sperimentare un metodo allorché non vi è una tipologia uguale per tutti i casi? Questa è una delle domande che anche noi abbiamo posto al professor Di Bella, il quale ha convenuto che per certe fasce tipologiche o per certe caratteristiche di malati, di tempi, eccetera si può identificare un metodo da sottoporre a sperimentazione. Di ciò parlerà meglio il professor Tomatis, comunque l'accettazione di una particolare metodologia su determinati settori differenziati è stata espressa, e questo mi sembra che già superi una difficoltà.
Un altro aspetto importante che è stato sottolineato attiene al fatto che la composizione di alcune miscele, specialmente quella dei derivati vitaminici o della melatonina con altre sostanze, non era possibile realizzarla se non in alcune farmacie che fossero sotto controllo. È una grande soddisfazione per tutti sapere che anche questo ostacolo è stato superato, in quanto è stato riconosciuto che il laboratorio di chimica dell'Istituto superiore di sanità è ritenuto credibile anche dal professor Di Bella. Quindi, è superato anche un altro limite.
È stato chiesto se fossero state possibili iniziative in tempi più brevi. Ho dichiarato più volte che in tutta questa vicenda, molto complessa, uno degli elementi è anche da ricercare nella storia della vita del professor Di Bella, più volte ripetuta da lui stesso e da suo figlio, e nella sua convinzione, non so se vera o falsa, di essere ostacolato dall'ambiente in cui viveva. Quindi, una sua frustrazione che si è portata avanti negli anni e che l'ha determinato a non rendere noti alcuni risultati. Infatti, anche quelli che ha portato ai congressi sono risultati di ricerche di laboratorio, non sono casistiche cliniche di risultati ottenuti o prodotti in base alle sue terapie. E anche questo è un elemento di debolezza nella valutazione.
Dunque, oggi il problema è di vedere come impostare una sperimentazione clinica, a proposito della quale vi è la disponibilità ad un passaggio diverso rispetto al passato.
Qui sono state citate alcune situazioni analoghe sotto il profilo emozionale: il siero di Bonifacio, l'UK101, eccetera. Purtroppo, data la mia canuta età, ho partecipato, con il professor Valdoni, alle commissioni istituite per questi ritrovati, diversi l'uno dall'altro: per esempio, mentre per Vieri si trattava di gocce d'aceto e di altre sostanze, il siero di Bonifacio era un frullato di feci e di urine; dunque, sostanze che sono state eliminate dopo essere state sottoposte ad un controllo degli effetti o delle composizioni. L'UK101, invece, a proposito del quale io stesso ho coordinato la commissione che lo ha esaminato, è stato poi utilizzato ai fini di una sperimentazione, ma ciò è avvenuto su richiesta della ditta che si era costituita - e la CUF si è espressa anche su una delle prime fasi - e che lo ha sottoposto anche alla fase della validazione, perché si trattava di un estratto di tessuti animali e a quell'epoca vi era l'ipotesi, appena emergente, della mucca pazza. Quindi, tutto il processo è stato seguito ed è tuttora in corso, in quanto necessita di tempi lunghi.
È stato chiesto se poteva esserci una sperimentazione eterogestita. A parte il fatto che ciò si sarebbe posto al di fuori della norma, in quanto essa prevede che il proponente sottoponga a validazione la sua ricerca, le sue ipotesi, in questo caso anche se avessimo voluto saltare questo passaggio, mancavano elementi di conoscenza. Abbiamo appreso da poco la disponibilità del professor Di Bella ed egli stesso ha dichiarato, sin dall'inizio, che si tratta di una cura soggettiva. Quindi, che cosa si sarebbe dovuto sperimentare?
Vorrei poi contestare quanto è stato detto da Montanelli in un suo articolo. Io


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pongo in discussione tutta la ricerca scientifica, tutti i risultati della ricerca scientifica, proprio perché, come sappiamo anche dalla filosofia della scienza, non bisogna sempre accettare come verità una situazione, anche se dominante. Dobbiamo essere pronti, quindi, alla negazione di ciò che avviene, però non possiamo rifiutare il metodo scientifico, in quanto è proprio quest'ultimo che ci porta ad annullare o a rivedere anche ciò che è consolidato e che ci consente di aprirci alle innovazioni. È il metodo scientifico a darci garanzie, anche contro ciò che uno crede di esaminare.
Sarebbe ipocrisia non dire che sul metodo Di Bella non abbiamo consensi scientifici di base. Siamo però disponibili a provarlo, insieme al proponente, perché non vi siano equivoci.
Né si può accettare che si delegittimizzino le istituzioni. In tutti i paesi del mondo sono avvenuti fatti come questo, ma in nessun paese del mondo sono stati messi in discussione gli organismi di verifica. Io posso solo mettere in discussione i risultati di un organismo che deve verificare. Questo, infatti, è un processo a cascata che investe tutte le istituzioni. Ecco il punto fermo che la democrazia non può mettere in discussione. Ripeto, possono essere messi in discussione i risultati, e gli organismi non possono arroccarsi nelle proprie convinzioni né ritenersi infallibili. Del gruppo di lavoro che è stato costituito, per esempio, fanno parte componenti esterni e vi saranno anche componenti stranieri, che, personalmente, vedrei più nella fase di valutazione.
Vorrei concludere sottolineando un aspetto che per me è molto importante. Nei medici, nei ricercatori e nella comunità scientifica in genere si è determinato un forte disagio, perché le regole costruite non dalla società scientifica ma dalla società civile - dal codice di Norimberga alle dichiarazioni di Helsinki - hanno via via spostato l'asse decisionale: prima era il medico ad avere la decisione sul malato, poi il gruppo di lavoro, poi, quando il consenso informato non è stato ritenuto più sufficiente dalla dichiarazione di Helsinki, perché il malato poteva essere privo di autonomia decisionale, si è passati ai comitati etici; oggi, se un farmaco è insufficiente, si fanno le lotterie per assegnarlo a chi ne ha più bisogno; non si fanno trapianti di fegato a chi è alcolizzato, né trapianti di cuore a chi è fumatore. Queste decisioni non può assumerle il medico o un gruppo ristretto, ma il Parlamento, i rappresentanti dell'opinione pubblica. Ma da questo punto di vista, purtroppo, nel nostro paese siamo in ritardo, per quanto attiene all'aggiornamento delle regole. La prossima settimana, alcuni di noi parteciperanno alla riunione della Commissione europea, dove si sta elaborando la direttiva sulle sperimentazioni cliniche, alla quale l'Italia dovrà adeguarsi. Da noi manca, per esempio, una regolamentazione, anche se sappiamo che è pronta, dei comitati etici. Il problema delle regole deve essere affrontato dal Parlamento.
Vi sono situazioni oggettive gravi nel campo dell'oncologia. Nel nostro paese non vi è l'assistenza ai malati terminali, non vi sono regole generali per cui il medico che cura il malato durante la fase acuta possa anche seguirlo per non abbandonarlo ad altri che lo sottopongano a cure che siano solo palliativi. Va recuperata anche la prevenzione, ma, considerata la decisione assunta nella finanziaria di quest'anno, devo dire che le previsioni delle due finanziarie precedenti non sono mai state rispettate. Tutto ciò rientra tra quanto è già stato accennato dall'onorevole Petrella. Stiamo cioè vivendo, specialmente nel campo della ricerca scientifica, un momento di grande trasformazione, di assetto, di riordino. La ricerca medica non può essere soltanto un momento di frattura fra istituzioni diverse. Individuiamo un sistema in cui tutto ciò di cui ho parlato prima possa trovare la sua espressione migliore: credo che questo sia un impegno di tutti.
Non intendo allargare troppo il discorso. Sottolineo come tutta questa vicenda abbia insegnato qualcosa ma abbia anche creato un disagio in tutti, un


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disagio che non possiamo lasciare nei malati e nei medici e che in qualche misura deve essere composto. Questo è l'appello che mi permetto di lanciare.

PRESIDENTE. Siamo molto sensibili a questo appello, tant'è che abbiamo previsto questa serie di audizioni per comporre il più possibile il disagio.

LORENZO TOMATIS, Direttore scientifico dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Burlo Garofalo di Trieste, componente della Commissione oncologica nazionale. Se questa vicenda ha un merito, è quello di costringere tutta la comunità scientifica e medica ad un ripensamento, perché a mio avviso - ma credo che non sia solo la mia opinione personale - quello che sta succedendo in Italia indica che l'intero paese è un po' malato e quindi ha bisogno di fare autocritica generale.
Per entrare nello specifico, ho trascorso la prima parte della settimana esaminando le cartelle cliniche inviate al Ministero della sanità, per verificare se contenessero dati sufficienti per valutare la cosiddetta terapia Di Bella. Abbiamo esaminato 67 cartelle. Di queste, 25 non erano valutabili perché riguardavano malati che si erano sottoposti a terapia in fase terminale ed erano deceduti nel giro di qualche settimana o al massimo di due mesi dall'inizio della somministrazione, per cui non era assolutamente possibile operare alcuna valutazione. Per quanto riguarda altre 35 cartelle, la difficoltà maggiore che abbiamo incontrato era che in nessun caso - ad eccezione di uno del quale vi parlerò - la terapia Di Bella era stata somministrata da sola, senza essere preceduta o senza essere in concomitanza con la chemioterapia tradizionale o la radioterapia.
L'unico caso che vi dicevo, abbastanza istruttivo, che ha destato un certo scalpore, riguarda una paziente di Firenze: la terapia Di Bella è consistita in Fluoracile ed Endoxan, due chemioterapici, e nient'altro. Dico, tra parentesi, che è bene sgomberare subito il terreno dall'idea che quando ci si riferisce alla terapia Di Bella si parli soprattutto della somatostatina. Nelle cartelle che ho esaminato, nel 100 per cento dei casi è stato usato un complesso polivitaminico, in ordine al quale il professor Di Bella ha sottolineato l'importanza di prepararlo in un certo modo; nel 100 per cento dei casi è stata usata la melatonina, che è un altro componente importante, e la somatostatina è stata utilizzata nel 95 per cento dei casi; nell'84 per cento dei casi è stato impiegato anche, in dose minima, un chemioterapico, l'Endoxan o l'Idroxiurea. Quindi non è che quando parliamo del metodo Di Bella parliamo di cose nuove; non è paragonabile al siero di Bonifacio o ad altre circostanze con cui ci siamo confrontati. Parliamo di una situazione molto complessa, non si tratta soltanto della somatostatina; questo deve essere chiaro, perché dai giornali o anche da qualche intervento di questa mattina sembra che si tratti invece solo di quello.
Un'altra circostanza emersa molto chiaramente dall'esame delle cartelle (dalle quali non si può trarre una conclusione perché sono troppo poche) è che per lo meno non c'è alcuna evidenza di danno. Per essere obiettivi, non abbiamo visto nessuna evidenza che la terapia Di Bella abbia causato un danno. Non sappiamo se abbia prodotto un vantaggio, perché dove si è registrato un vantaggio, cioè una sopravvivenza prolungata con un tipo di tumore abbastanza grave come il linfoma non Hodgkin, vi è stata in precedenza una chemioterapia somministrata in dosi che di per sé con molta probabilità sarebbero state sufficienti a garantire una sopravvivenza libera da malattia.
Vi è stato un caso che mi sembra istruttivo, perché è quello che sta succedendo nel nostro paese: un linfoma non Hodgkin trattato da un celebre ematologo italiano con due cicli di chemioterapia ed in remissione completa. Il paziente è stato informato che per garantire la remissione completa e duratura avrebbe dovuto probabilmente sottoporsi ad un trapianto di midollo che avrebbe garantito la guarigione. Avvertito della sofferenza che questa


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terapia avrebbe causato, il paziente, terrorizzato, è andato in depressione totale, si è sottratto al consiglio che gli è stato dato e si è recato da Di Bella, il quale (questa è la dichiarazione che egli fa per iscritto, allegata alla cartella) gli ha detto che non era necessario procedere al trapianto. Il paziente si è sentito enormemente meglio, scaricato psicologicamente e da un anno e mezzo sta benissimo. Dato che si parla sempre di metodo scientifico oggettivo, ricordo che esiste l'oggettività della scienza e la soggettività del malato; non possiamo dimenticarlo. Non dico che quando uno sta bene guarisce perché si sente bene, però lo star bene conta; chiunque di voi sia stato malato sa che essere trattati bene e sentirsi bene accolti è fondamentale. Parte dell'autocritica che dobbiamo fare è proprio questa: c'è qualcosa che non ha funzionato in questo atteggiamento.
L'altro elemento che non ha funzionato forse è il fatto che la chemioterapia sia stata paragonata all'energia atomica. È ora di arrivare all'uso pacifico dell'energia atomica; forse è anche ora di arrivare all'uso pacifico della chemioterapia, che è stata di un'aggressività estrema. Dico questo non per criticare la scienza, ma perché la scienza deve continuamente fare autocritica e quindi arrivare ad un compromesso rispetto a quello che finora ha dominato il campo in modo incontrastato e forse protervo.
Per quanto riguarda gli studi che si potranno effettuare in futuro, non posso esprimere un'opinione su un tema su cui è iniziata ora la discussione: mentre io sono qui, il gruppo ristretto che deve coordinare gli studi si è riunito al ministero e fra poco lo raggiungerò. Non posso quindi anticipare quale sarà la decisione finale. Evidentemente esistono diverse possibilità. La prima è quella di sapere cosa sia successo finora; evidentemente queste 67 cartelle non sono sufficienti. È chiaro che per avere una risposta adeguata dobbiamo basarci su informazioni corrette. Al riguardo, mi richiamo a quanto è stato precedentemente osservato in relazione al monitoraggio dei tumori. Il monitoraggio dei tumori è eseguito meglio dove ci sono dei registri tumori. Pertanto uno dei consigli che darò è che se si effettuano degli studi, almeno alcuni di essi, se non tutti, siano svolti in quelle regioni, in quelle aree dove esiste un registro tumori che funziona, dove la diagnosi della malattia e la registrazione della sopravvivenza e della mortalità sono eseguite in modo corretto.
Vorrei ricordare un aspetto fondamentale di carattere generale da non dimenticare. Fino a qualche anno fa la sperimentazione clinica era decisa dai ricercatori, dai medici, dall'industria farmaceutica e dalle autorità governative. Solo dopo la comparsa dell'AIDS si è formata una corrente di opinione fortissima da parte dei malati, che ha costretto le autorità ad adottare nei riguardi delle terapie un atteggiamento che non era assolutamente quello che le autorità scientifiche e sanitarie avrebbero preferito. Questa intromissione della lobby dei malati è una cosa nuova, che in Italia non si conosceva e si sta manifestando adesso. È la prima manifestazione di ciò che da anni in America già succede. Non dobbiamo sottovalutarlo, perché è un'era nuova nella quale siamo entrati.

DINO AMADORI, Presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica, componente della Commissione oncologica nazionale. A proposito dell'uso pacifico della chemioterapia concordo con quanto ha detto il professor Tomatis, però vorrei fare una precisazione: l'uso pacifico della chemioterapia non deve essere pacifico verso il tumore e stiamo attenti alle piccole dosi che inducono resistenza ai farmaci antiblastici. Nei centri qualificati, la chemioterapia è usata alle dosi necessarie per eradicare il tumore o, comunque, per indurre le remissioni della malattia.

LORENZO TOMATIS, Direttore scientifico dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Burlo Garofalo di Trieste, componente della Commissione oncologica nazionale. È vero, bisogna che la


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chemioterapia sia aggressiva nei confronti del tumore, però l'atteggiamento che ha dominato ieri, quando si è discusso del fatto che Di Bella è venuto dopo la chemioterapia ed ha interrotto una serie di cicli, era quello di evidenziare un effetto positivo che, evidentemente, era sufficiente, per cui il metodo di Di Bella non era valutabile riguardo alla sua efficacia. Questo, però, vorrebbe dire che il terzo, quarto o quinto ciclo non erano necessari: stiamo attenti a non «darci la zappa sui piedi».

PAOLO PREZIOSI, Direttore dell'Istituto di farmacologia dell'Università cattolica del Sacro Cuore, componente della CUF. Mi dispiace di non poter parlare in piedi, per rispetto del Parlamento, ma mi sembra che il sistema dei microfoni non lo consenta.
Vorrei riprendere rapidamente un argomento rispetto al quale ci sono dei punti che, forse, è bene chiarire preliminarmente. Il nostro mercato farmaceutico globale non raggiunge i 25 mila miliardi; il tetto di spesa previsto dalla finanziaria per il 1998 è di 11 mila miliardi; nel 1996, anno per il quale disponiamo dei dati, per i farmaci antiblastici sono stati spesi 1 miliardo 104 milioni. Al riguardo, voglio precisare che sono 32 i chemioterapici antiblastici; il resto sono farmaci attivi su momenti immunitari, su momenti ormonali, su momenti che riguardano altri aspetti della terapia, come quello di supporto, cioè i fattori di crescita emopolietica, che hanno anche un rilevante costo, ma che vengono tutti inclusi sotto il termine di chemioterapici antiblastici anche se la loro azione dal punto di vista terapeutico è diversissima.
Vorrei, a questo punto, fare anche una precisazione, innanzitutto terminologica, relativamente alla questione somatostatina. Il problema è che la somatostatina in alcuni paesi, come ad esempio gli Stati Uniti d'America, non è approvata dalla Food and drugs administration ed è come farmaco orfano solo per le varici esofagee, non altre indicazioni; l'octreotide, anologo della somatostatina e che è in commercio in Italia, ha una nota limitativa: alcuni tipi di tumori, trattamento prevalentemente di tipo sintomatico, di gravissime sintomatologie che sono quelle per le quali il farmaco è prescritto.

PRESIDENTE. È in fascia A questo farmaco, professore?

PAOLO PREZIOSI, Direttore dell'Istituto di farmacologia dell'Università cattolica del Sacro Cuore, componente della CUF. Sì, A 40. Se si va a prendere il Physician desk reference 1998, che mi è arrivato questi giorni dagli Stati Uniti, è esattamente quello che noi abbiamo in Italia: octreotide per il trattamento palliativo - se vogliamo, di questo tipo di tumori; non per quanto riguarda le metastasi, non per quanto riguarda la riduzione obiettiva, non per quanto riguarda l'evoluzione in senso positivo. Ripeto: Physician desk reference 1998, Stati Uniti d'America.
Qual è, allora, il punto nel quale ci troviamo? Traccio un percorso che, fino a un certo punto, è storico, perché le CUF si alternano ogni due anni. Il professor Pagliaro ed io abbiamo partecipato all'ultima decisione assunta dalla CUF, ma nelle precedenti cosa era stato richiesto a tale Commissione? Non l'approvazione del metodo. Nessuno ha chiesto l'approvazione di un metodo per il quale avrebbe dovuto fornire la consistenza del metodo stesso per quanto riguardava i costituenti, i dosaggi e tutte le altre indicazioni. È stato soltanto chiesto da parte di individui il pagamento a carico del Servizio sanitario nazionale di farmaci - la somatostina o l'octreotide - per i quali, però, non erano state riconosciute, a suo tempo, quelle che sono le condizioni essenziali per un farmaco in fascia A secondo la legge del 24 dicembre 1993: aumento dell'aspettativa di vita, riduzione delle complicanze invalidanti indotte dalla malattia e miglioramento della qualità della vita. Dunque, la Commissione unica del farmaco non ha fatto altro, precedentemente alla presenza mia e del professor Pagliaro, che dire di non poter concedere


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la prescrivibilità a carico del Servizio sanitario nazionale per indicazioni terapeutiche diverse da quelle già autorizzate, nonché deplorare che non si avviassero in questo, come in altri casi riguardanti malattie gravi, serie sperimentazioni cliniche controllate, capaci di documentare l'effettiva efficacia del trattamento a garanzia degli ammalati che vi si sottopongono.
Per chi è membro della CUF, il problema del diritto alla salute è anche un problema di salvaguardia della salute della popolazione circa la qualità dei farmaci che vengono registrati, accettati o fatti pagare dal Servizio sanitario nazionale. È un dovere al quale come cittadino, prima che come farmacologo, sento di non potermi sottrarre.
Ecco, allora, l'altro punto al quale arriviamo. Queste ultime richieste, sulle quali ci siamo pronunciati, si sono basate su tutto quello che prevede la letteratura mondiale, non gli atti dei congressi, che non hanno alcuna validazione, perché chiunque può dire qualsiasi cosa ed è eccezionale che vi sia un referaggio, ma la vera letteratura mondiale, quella che ha riscontro nelle riviste che sono pubblicate in tutto il mondo, che si trovano, oggi, attraverso Medline o Internet e che hanno una validazione internazionale? Purtroppo, di questo metodo non abbiamo trovato alcunché. Abbiamo un pacco enorme di dati relativi all'octreotide e suoi analoghi per quanto riguarda l'efficacia in tumori con risultati... In proposito vorrei dire che la presidente ed altri deputati ci hanno richiamato su un punto che è estremamente interessante, chiedendoci come mai le case farmaceutiche non abbiano chiesto di fare sperimentazione. La risposta è che le case farmaceutiche - naturalmente non posso fare nomi - hanno chiesto non solo a noi e dal 1992 ma negli Stati Uniti d'America di fare sperimentazioni e sperimentazioni serie, fornendo un prodotto (ad esempio un derivato della octreotide) a cominciare dalla fase uno, cioè su volontari sani, fino alla fase tre e alla fase quattro. Queste sperimentazioni sono in corso, non sono ancora concluse ed i risultati, di tanto in tanto, compaiono sulla letteratura medica internazionale. Ad esempio, ho qui con me un lavoro del 1997 nel quale è descritto uno studio su pazienti che sarebbero sensibili ad un particolare tipo di composto; in effetti, il prodotto funziona in una maniera tale che si può considerare, come diceva Amadori, di tipo palliativo e non altro. Ecco perché, presidente, la CUF è entrata in una situazione difficile. Peraltro, il cocktail, che è vario - da quello che si è potuto vedere raggiunge anche fino a sedici costituenti -, comprende alcuni prodotti che o sono galenici, cioè possono essere preparati su ricetta in farmacia, oppure non sono farmaco, non sono registrati in Italia, come la melatonina.
La melatonina, che negli Stati Uniti si compra nei drugstore o nei supermercati, serve per dormire oppure per contrastare la vecchiaia, ma è un prodotto che la Food and drug administration non considera neppure un farmaco. Se avessimo approvato un protocollo - che non c'è perché non è mai stata avanzata una richiesta in tal senso - avremmo approvato uno degli elementi costituenti il protocollo medesimo che non è farmaco e oltre tutto è privo di documentazione. Tra l'altro, è un farmaco di scarsissimo valore tossico ed il suo inserimento nel Servizio sanitario nazionale avrebbe creato qualche difficoltà; non entro nel merito, poi, di chi si sarebbe dovuto assumere l'onere delle sperimentazioni che è rilevante e consistente.
Possiamo essere accusati di non aver colto lumi di genialità? Direi di no, perché non abbiamo avuto elementi a disposizione per poterlo fare. Nella letteratura mondiale non vi era nulla sul principio attivo in base al quale richiedere la gratuità. Sulla melatonina, che non ha alcuna base scientifica nel settore, non è stata fornita alcuna documentazione e poiché noi non abbiamo poteri divinatori circa le capacità altrui - ferma restando la risonanza data alla vicenda dai mezzi di informazione - abbiamo aderito ad una fredda, ma umana adozione delle


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regole. Tutto ciò non è burocrazia, perché se si intende entrare in Europa ci si deve adeguare alle disposizioni vigenti a livello europeo, tanto che il Parlamento ha recepito le direttive europee sulla buona sperimentazione. Come facciamo a deviare da quanto è stato codificato a protezione del paziente e nell'interesse della salute?
Relativamente alla chemioterapia, vorrei sommessamente ricordare la vicenda della sifilide, la cui cura fu scoperta da Erlick nel 1912. Costui, essendo stato pesantemente attaccato, propose di iniettare il Salvarsan su pazienti scelti da chi si opponeva alla terapia. Badate, vi erano pazienti con ulcere alla gola talmente estese da non poter parlare e altri con devastanti effetti cutanei o ossei a cui fu iniettato quel farmaco che produsse effetti in pochi giorni. Finché non è scomparso, il Salvarsan è stato fortemente contrastato perché produceva effetti ben più pesanti di quelli della chemioterapia, dal momento che un certo numero di pazienti moriva dopo l'iniezione e solo negli anni venti-trenta fu fatta la sua validazione.
Quanto all'efficacia della chemioterapia, si pensi che un paziente affetto da carcinoma della prostata, che accusa dolori in tutto il corpo, ha un torace impallinato dalle metastasi ed assume un farmaco analogo alla gonadorelina - che è un ormone ipofisario - per bloccare la secrezione di ormone maschile responsabile del cancro, vede scomparire le metastasi. Il paziente si alza dal letto, cammina, mangia e svolge le normali attività virili, il tutto senza alcune sofferenza, anzi è fortemente sollevato. Questa cos'é, chemioterapia o terapia antiblastica? È la terapia medica illustrata da riviste quali The lancet che ne indicano i risultati, senza citare la somatostatina. Dunque, quando ci si riferisce a mille miliardi, non si parla solo di chemioterapici antiblastici. Il professor Di Bella critica il Desametasone, ma utilizza l'ACTH che libera glucorticoidi nell'organismo ottenendo gli stessi effetti con un altro sistema, anzi forse ottenendo addirittura qualche effetto aggravato.
Per quanto riguarda la CUF, vi era la richiesta di porre questi farmaci a totale carico del SSN ed io ho cercato di spiegare l'iter seguito, come ci siamo comportati e ci comporteremo in futuro...

LUIGI PAGLIARO, Direttore dell'Istituto di medicina generale e pneumologia dell'Università degli studi di Palermo, componente della CUF. Non è presente il professor Petrella, il quale aveva chiesto come mai la CUF sia passata dalla bocciatura del trattamento alla sperimentazione. In realtà, la sperimentazione di terza fase, cioè su un numero adeguato di pazienti, è qualcosa che segue ad alcune fasi preliminari, che interessano piccoli gruppi di pazienti e prima ancora gli animali allo scopo di raccogliere una evidenza che consenta di essere fiduciosi sull'efficacia della terapia, per non danneggiare i malati che vi si sottopongono. Quando il trattamento Di Bella è stato sottoposto alla CUF non vi era (né vi è ora) traccia di evidenze preliminari di efficacia del cocktail utilizzato; purtroppo la CUF è soggetta a vincoli di legge in base ai quali non poteva accettare il metodo alla stragua di una sperimentazione, di cui peraltro non vi era alcuna richiesta.
La CUF oggi accetta qualcosa di differente come fa la Commissione oncologica; per quanto riguarda la storia del trattamento, non possediamo evidenze scientifiche a dimostrazione che il trattamento sia efficace, anche se i dieci milioni di persone che seguono le trasmissioni televisive e il numero sempre più rilevante di malati che vogliono la somatostatina gratuitamente rappresentano un problema sociale. La comunità scientifica non fa altro, senza evidenze scientifiche, che accettare il peso di questo problema sociale e avviare la sperimentazione. Intendiamoci, però: la sperimentazione parte con basi scientifiche assai poco mature; in effetti, non sarebbe matura per essere avviata. Ripeto, mi dispiace che il professor Petrella sia assente...

PRESIDENTE. Tuttavia, c'è il resoconto stenografico anche per dar modo a


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chi è in questo momento assente di leggere le risposte.

LUIGI PAGLIARO, Direttore dell'Istituto di medicina generale e pneumologia dell'Università degli studi di Palermo, componente della CUF. Gli onorevoli Buffo e Cossutta hanno sollevato problemi d'ordine generale, il primo dei quali concerne i comitati etici e il consenso informato. A livello mondiale si sta verificando una maturazione progressiva, nel senso che ci si apre alle esigenze della società in maniera più ampia rispetto al passato. Pertanto, dei comitati etici che saranno istituti negli ospedali, secondo una regolamentazione che è stata elaborata all'interno della CUF e che è alla firma del ministro, faranno parte persone che non sono medici ma magistrati o, comunque, esperti in dottrine giuridiche, persone eticamente significative, rappresentanti dei pazienti. Ciò è assolutamente giusto e sacrosanto, la CUF ha elaborato questa regolamentazione e l'ha inviata alla firma del ministro.
L'onorevole Buffo sottolineava un aspetto molto interessante quando ha detto che questa vicenda mostra come nella società vi sia, attualmente, una certa sfiducia verso il medico moderno. Ciò è verissimo ed è stato rilevato anche in articoli scientifici molto eleganti. Bisogna però ricordare che a inizio o a fine Ottocento, per esempio, il medico dipinto dai pittori inglesi e riprodotto nei francobolli non aveva strumenti terapeutici, in quanto era egli stesso l'unico strumento terapeutico; dunque, moltiplicava sé stesso accanto al paziente, senza avere strumenti per incidere realmente su una patologia. Il medico attuale, invece, dispone du una serie di strumenti medici e chirurgici oltre che di una serie di tecnologie; inoltre, in proporzione si è progressivamente ridotta la quota affidata al placebo, al carisma del medico, a vantaggio degli strumenti obiettivamente funzionanti. Qualche volta, ciò è stato eccessivo e continua ad esserlo, nel senso che il medico abdica a questo suo aspetto di sciamano o di stregone, se si vuole, o di persona che sta anche vicino ad un'altra persona che soffre. Però, nella medicina moderna vi è il paradosso per cui più è efficace la medicina e minore è la fiducia nel medico come persona e, quindi, nella sanità.
Passando agli aspetti più direttamente attinenti al trattamento del professor Di Bella, può essere istruttivo ricordare quello che, probabilmente, è stato il più macroscopico precedente in questo senso. Nel 1952, negli Stati Uniti è stata patentata e descritta come antitumore globale una sostanza ricavata in Messico dai noccioli delle albicocche. Questa sostanza ebbe una diffusione progressiva e nel 1977, quando il problema diventò più acuto, si stima che fu prescritta a 75 mila americani ammalati di tumore, anche se non fu mai approvata né dal National cancer institute né dalla Food and drug administration. Quindi, non fu mai un trattamento ufficiale, ma 27 Stati su 50 lo approvarono nei loro confini. Ciò a dimostrazione del fatto che non è la prima volta che i politici entrano nella scienza, nella ricerca, nella medicina e decidono per conto dei medici. E questo può avere un senso, perché quando è così forte la pressione dell'opinione pubblica, è in questo modo che risponde il politico. Nel 1977, negli Stati Uniti non c'era la medicina pubblica, ma vi erano le società assicuratrici, e i tribunali le condannarono a pagare quella sostanza per le persone che ne facevano uso. Questo fino a quando vi fu un esame delle cartelle che, come quello fatto dal professor Tomatis, non fu conclusivo, in quanto nulla si ricavava dalle stesse; quando poi fu effettuata una sperimentazione osservazionale su 178 soggetti per i quali non vi era possibilità di trattamento alternativo, il prodotto in questione si rivelò perfettamente inutile, per cui fu progressivamente abbandonato, nonostante fosse stato ritenuto efficace anche da alcuni premi Nobel.
Tornando a noi, cosa si può fare, dal punto di vista della sperimentazione, con il trattamento Di Bella? Io non credo che si possa fare, come accennava il professor Amadori, quello che si fa in molti campi,


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dove il trattamento in esame si somma a quello tradizionale versus il solo trattamento tradizionale. Il professor Di Bella, infatti, sostiene che se si pratica la chemioterapia, quest'ultima non può essere associata al suo metodo. Probabilmente, la sola cosa che si può fare è di associare il metodo Di Bella alla chirurgia nei casi in cui non vi siano trattamenti adiuvanti efficaci - altrimenti non avrebbe senso sostituire qualcosa che funziona con qualcosa che non funziona - oppure in soggetti in cui non vi sia possibilità di altri trattamenti. In quest'ultimo caso, dove non vi è possibilità di uno studio osservazionale, credo che i punti fermi debbano essere tre, gli stessi che mancano totalmente nelle cartelle sottoposte dal gruppo Di Bella: una diagnosi di sicurezza, il che vuol dire una diagnosi istologica con riconoscimento del tipo di tumore; l'identificazione di strumenti di verifica obiettiva che siano verificabili, radiografici o ecografici, per esempio, su cui si possa puntare nei mesi successivi per vedere le modifiche in assenza di altri trattamenti non solo contemporanei ma anche pregressi, cioè riferiti a un mese o 15 giorni prima, considerato che gli effetti degli stessi si trascinano beneficamente o meno a seconda dei casi; infine, una valutazione obiettiva di ciò che avviene. Questo è uno studio osservazionale preliminare, perché gli strumenti di verifica obiettiva surrogati non danno la dimostrazione che il trattamento è efficace. La risposta va data in base a strumenti veri, vale a dire sui casi di sopravvivenza da tumori, e per questo ci vorrà tempo. Ma per la prima fase, quella basata sugli strumenti surrogati, concordo con la valutazione dei colleghi Amadori e Tomatis, cioè che potrebbero essere sufficienti sei mesi o un anno.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti, perché la loro audizione è stata veramente di grande utilità.
Sospendo brevemente la seduta che riprenderà con l'audizione dei rappresentanti delle regioni.

La seduta, sospesa alle 13.25, è ripresa alle 13.30.

Audizione dei rappresentanti delle regioni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sperimentazione della terapia Di Bella, l'audizione dei rappresentanti delle regioni.
Mi scuso per il ritardo con cui diamo inizio all'incontro; ciò non significa che esso non costituisca uno dei punti fondamentali per l'approfondimento al quale sta procedendo la Commissione, dal momento che il rapporto con le regioni per noi è sempre stato assolutamente privilegiato. Considero importante conoscere il vostro punto di vista su questa vicenda. Probabilmente ci incontreremo di nuovo quando affronteremo l'esame del provvedimento sulla prevenzione oncologica e le questioni del piano sanitario nazionale; in quella sede potremo procedere ad un approfondimento ed avremo sicuramente più tempo a disposizione. Per quanto concerne invece l'oggetto dell'odierna audizione, vi chiedo di attenervi al tema della terapia Di Bella e di chiarire le questioni relative al farmaco.
Nel ringraziarvi per essere intervenuti, vi do la parola.

ILES BRAGHETTO, Assessore alla sanità della regione Veneto. Intervengo molto brevemente non soltanto per ragioni di tempo, ma anche perché il nostro punto di vista, almeno quello essenziale, è contenuto nella proposta che il 9 gennaio abbiamo inviato tramite lettera al ministro, la quale poi rappresenta il punto di intesa scaturito nell'incontro con il ministro avvenuto lunedì e che oggi in sede di Conferenza Stato-regioni credo verrà formalizzato. Tralasciando tutti i preliminari, nella lettera sostanzialmente si sosteneva che di fronte alla situazione che si era creata, al di là, o meglio, oltre le questioni di natura scientifica e di programmazione sanitaria, bisognava trovare una strada per dare delle risposte alle attese che si erano manifestate.


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Come dare le risposte? Individuavamo semplicemente talune questioni. La prima è rappresentata dal famoso protocollo, cioè la definizione precisa dei tipi di tumore, delle caratteristiche dell'insieme delle terapie di cui si intende valutare l'efficacia, delle caratteristiche dei pazienti candidati alla sperimentazione di questa terapia. A voce abbiamo anche detto che il protocollo dovrebbe essere costruito insieme con l'équipe del professor Di Bella.
Il secondo passaggio è rappresentato dalla cosiddetta sperimentazione, che abbiamo articolato secondo due modalità. La prima è la valutazione della fattibilità tecnica e della eticità di uno studio randomizzato, controllato, multicentrico (ovviamente abbiamo usato termini tecnici), ad accesso totalmente gratuito dei pazienti. Questa è una modalità.
Abbiamo poi precisato che in caso di mancata fattibilità del predetto studio, soprattutto per ragioni etiche (perché questo obbligherebbe a scegliere un numero ristretto di pazienti ed oggi, con la situazione che si è creata, questa ci pare essere forse una strada scientificamente ineccepibile ma non una risposta capace di venire incontro alle aspettative che si sono create nel paese), è necessaria l'organizzazione di uno studio osservazionale, anch'esso ad accesso gratuito, pur con le necessarie cautele nella successiva interpretazione dei risultati. Questa è l'indicazione che abbiamo dato al ministro.
Abbiamo chiesto che questa sperimentazione non venga affidata soltanto agli IRCCS (questa era la prima indicazione emersa dal Consiglio dei ministri di quello stesso giorno, venerdì 9) ma che sia articolata sul territorio, almeno una per regione. Questo già indicava la necessità di una sperimentazione più ampia. Lo studio osservazionale è una modalità forse scientificamente un po' anomala, ma ha in sé le condizioni per rispettare un dato scientifico ed anche per rispondere alle esigenze della popolazione.
Questa, in sintesi, è la posizione delle regioni. Devo dire che sostanzialmente questo è anche il punto di incontro emerso nella riunione di lunedì su cui si sono avviati poi i segni di disgelo di questi giorni. Posso affermare che su questo percorso esiste l'unanimità delle regioni. Vi è qualche differenziazione, di cui vi parlerà Saccomano, ma mi sembra importante evidenziare che le differenziazioni non sono ostacolo, non sono obiezioni al percorso che avevamo individuato unitariamente. Probabilmente, se questo percorso fosse stato adottato un mese fa qualche distinzione, dovuta anche a situazioni contingenti, particolari di una o due regioni messe in maggiori difficoltà, non ci sarebbe stata.
Su questo aspetto il collega Saccomano esporrà le sue ragioni e poi il collega Cosentino completerà l'illustrazione del contenuto della proposta che abbiamo avanzato al ministro.

MICHELE SACCOMANNO, Assessore alla sanità della regione Puglia. Ringrazio per averci invitato ad esprimere la nostra posizione. Coglieremo l'occasione per chiarire alcuni punti che possono non trasparire chiaramente in quanto riportato dalla stampa o dalla televisione.
La posizione espressa poc'anzi dal collega Braghetto indica un dato inquietante, perché, teoricamente, noi siamo tutti d'accordo sul percorso indicato, ma la risposta applicativa di quest'ultimo alle esigenze oggi determinate sul territorio nazionale costituisce il momento della divisione. Cioè, noi abbiamo la necessità di applicare quel percorso a persone che non sono né gli assessori, né la comunità scientifica, né il mondo medico; dunque - questo è il discorso che abbiamo fatto - dobbiamo cercare di trovare la mediazione tra il rigore nei confronti dell'efficacia della terapia e l'attenzione verso problemi che si stavano sviluppando e che ci sfuggivano di mano. Come regione abbiamo scelto, innanzitutto, di bloccare il problema nei limiti in cui potevamo farlo e di stimolare anche altri nella stessa direzione.
Noi non discutiamo il protocollo Di Bella. Né io né altri né la regione ci siamo mai permessi di dire che il metodo Di


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Bella funziona: non esiste; non lo penso e, nel corso della mia professione, non ho mai prescritto un farmaco di quelli previsti nel protocollo Di Bella. Tuttavia, nel momento in cui la discussione non è più tra medici ma con i cittadini e viene sottolineato e diffuso che quelli sono farmaci non negativi, che sicuramente non provocano danni e, forse, possono arrecare benefici per quanto riguarda condizioni migliori generali, nel momento in cui tutto questo sistema cresce nelle aspettative, diventa difficile discutere con il cittadino. Avremmo potuto discutere se fosse o non fosse un placebo, ma certamente i cittadini quel farmaco sarebbero andati a comprarlo da qualche parte ed in determinate situazioni; in alcuni casi, poteva essere un placebo, in altri, situazione migliorative erano opinabili da parte di pazienti e di congiunti. Noi abbiamo ritenuto che il farmaco dovesse essere messo a disposizione dalla regione, anziché farlo ricercare su altri mercati; poiché, comunque, sul territorio arrivava, abbiamo preferito che venisse richiesto presso di noi, adottando quel percorso che, per legge, è già previsto per i farmaci in fascia H. Esiste, infatti, un decreto del Presidente della Repubblica del 1992 che, in modo chiaro, prevede che i farmaci in fascia H (ospedaliera) possono essere distribuiti in day-hospital, passando sul territorio attraverso un determinato percorso che le regioni devono regolare. Noi l'abbiamo fatto e tra i farmaci in fascia H c'è anche la somatostatina. In un primo momento, il dubbio che si è espresso è stato duplice: da un lato, che si tratta non di un farmaco di tipo gratuito, della fascia A, ma solo di un farmaco di tipo ospedaliero; dall'altro, che lo si sta prescrivendo oltre il limite della prescrivibilità delle indicazioni. Il problema è che di questo possiamo discutere con il medico, ma non con il paziente. Se il medico, sbagliando o non sbagliando - con i limiti che abbiamo sentito indicare anche dal presidente dell'ordine dei medici - prescrive il farmaco, questo è un fatto su cui deve intervenire l'ordine; ma al paziente messo in condizione di decidere dopo che il medico ha fatto la prescrizione, noi diciamo che non deve cercare il farmaco per vie nascoste ma che lo mettiamo a sua disposizione. Questo è stato il comportamento della regione Puglia.
Nel momento in cui è emersa questa proposta concordata nella conferenza degli assessori - e che noi avevamo sollecitato che venisse raggiunta proprio al fine di arrivare ad un atteggiamento univoco - per quanto riguarda il punto relativo allo studio osservazionale abbiamo detto che siamo in una fase in cui quella di accettare mille pazienti anziché millecinquecento diventa veramente una decisione difficile da sostenere, perché non esistono le motivazioni per dire sì a mille e no agli altri cinquecento. Quindi, assoluta, totale disponibilità a votare quel documento, nel quale però si dica che se nei protocolli individuati dai medici in collaborazione tra medicina, per così dire, scientifica e medicina del professor Di Bella l'accesso allo studio osservazionale viene indicato al paziente, tale accesso deve essere non per mille ma per la totalità di tutti quelli individuati come assoggettabili a tale protocollo; ritenendo altresì che quest'ultimo, in questo momento, per le condizioni che si sono create sul mercato, debba essere comunque concesso agli ammalati terminali che, su prescrizione del medico, si dovessero trovare nella condizione di scegliere tale tipo di terapia.
Dunque, va benissimo la proposta che noi abbiamo fatta - l"abbiamo discussa anche questa mattina con il ministro, così come l'abbiamo discussa quella sera e come era nella interpretazione di molti, anche se poi, nel dubbio, il discorso è diventato un po' più limitativo -: chiunque venga riconosciuto dalle fonti mediche, individuate dal ministero o che questo individuerà in qualunque parte del mondo, in condizione di ricorrere a questa terapia, deve poterlo fare senza la selezione del numero e, comunque, includendo tutti gli ammalati terminali che lo richiedano.

LIONELLO COSENTINO, Assessore alla sanità della regione Lazio. Personalmente,


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non ho molto da aggiungere alle considerazioni dei colleghi che mi hanno preceduto. Credo che il legislatore nazionale non possa non vedere la situazione, francamente paradossale, di una terapia della quale non è testata da nessuna parte l'efficacia e che, tuttavia, viene ordinata dai pretori e consentita, in alcune regioni sì e in altre no, a carico del Servizio sanitario nazionale. È certamente necessario uno sforzo che consenta di superare nel tempo più rapido possibile una situazione che vede i cittadini non uguali davanti alla legge e la legge non chiara, se i pretori la interpretano in un modo, l'esecutivo in un altro e il Parlamento non si sa come.
Detto questo, siamo in presenza di un dato evidentissimo, cioè che fino a che non vi saranno elementi successivi ad una sperimentazione, non saremo in grado, né avremo alcun titolo né, penso, che gli assessori regionali, l'esecutivo o i pretori abbiano alcun titolo per decidere sulla validità del sistema terapeutico. Credo, quindi, che sia molto importante il fatto che nei giorni scorsi si sia sbloccato, forse anche sulla base del modesto suggerimento che le regioni hanno proposto al Governo, l'avvio di un dialogo che ha consentito di cominciare a porre le condizioni per la sperimentazione non di una qualunque terapia possibile ma del metodo Di Bella, insieme al professor Di Bella, sulla base delle valutazioni della sua esperienza clinica e professionale, nonché dell'esperienza derivante dall'utilizzo del metodo in questi anni.
Aggiungo che anche la proposta che adesso veniva ricordata dai miei colleghi è una proposta che è stata indirizzata al ministro semplicemente perché ne sia tramite verso la commissione scientifica. Credo, infatti, che non spetti né alle regioni né al ministro decidere come debba avvenire la sperimentazione. Le regioni, tuttavia, avanzano un suggerimento: quello di valutare la possibilità, innanzitutto, di una sperimentazione randomizzata, che tuttavia, dal nostro punto di vista, incontra difficoltà di tipo etico. Si tratta, infatti, di sottoporre popolazioni diverse alle due diverse terapie, senza che queste ne abbiano consapevolezza. Ciò avviene nella sperimentazione dei farmaci, ma è dubbio che possa avvenire a questo livello di validazione scientifica delle ipotesi che si sottopongono a sperimentazione. Quindi, alle regioni pare che sia abbastanza utile accompagnare all'eventuale studio randomizzato, secondo le tecniche in uso in tutto il mondo, anche uno studio osservazionale, anche questo in uso in Italia e in tutto il mondo, per verificare - come diceva l'assessore Saccomanno - se, definiti i protocolli e definito il tipo di patologia che si intende sottoporre a sperimentazione, sia possibile avere, nel tempo necessario, una valutazione di efficacia.
Da questo punto di vista, non penso che debbano essere le regioni a determinare il numero dei pazienti che volontariamente accedono allo studio osservazionale. Il punto fondamentale è definire, in tempi rapidi, il tipo di patologie da sottoporre alla verifica e i protocolli terapeutici connessi. Qualora ciò avvenisse, suggeriremmo alla Commissione di valutare la possibilità che in sede regionale vi siano strutture - istituti di ricovero e cura, policlinici universitari o aziende ospedaliere - idonee a praticare la terapia, sempre con il coordinamento scientifico della commissione nazionale alla quale partecipa anche il professor Di Bella e con la garanzia della valutazione scientifica dei risultati. Al di fuori di questo vi è soltanto una liberalizzazione di dubbia validità giuridica e scientifica, pericolosa sotto il profilo etico per l'indiretto accreditamento di un valore terapeutico della cura, di cui oggi non possediamo alcun elemento, oltre ad una situazione di incertezza e di disparità di trattamento tra i cittadini delle varie regioni che non credo possa durare a lungo.
Il suggerimento che diamo consente anche alle regioni di assumere una posizione univoca e di avanzare alla commissione scientifica una proposta altrettanto univoca di cui valutare l'opportunità.


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GLORIA BUFFO. Signor presidente, mi limiterò ad una considerazione e ad una domanda. Mi pare di capire che ci è stato rivolto un quesito nel senso che dopo aver ascoltato il professor Di Bella e i suoi collaboratori, la CUF e la Commissione oncologica, ci si chiede se abbiamo suggerimenti da indicare.
Mi sembra che il problema sia chiarissimo: il ministero avvia la sperimentazione, ma cosa accade della domanda dei cittadini? Come si fa a rispondere a questa domanda senza rinunciare ad esercitare una responsabilità? È vero, come è stato confermato anche questa mattina, che i farmaci utilizzati nelle terapie del professor Di Bella non fanno male, ma è anche vero che la fuga indiscriminata da terapie provatamente efficaci rappresenta un fatto negativo per la salute dei cittadini, tanto più che ieri il professor Di Bella ha sostenuto che la sua terapia non è efficace per tutti i tipi di tumori bensì solo per alcuni. Altrettanto chiaro è il livello di pressione, al quale sono sottoposte le regioni, perché se un maggior numero di pretori decidesse di sostituirsi ad altre sedi di decisioni, le regioni incontrerebbero notevoli difficoltà. Dobbiamo dunque individuare la risposta idonea al quesito posto oggi dagli assessori.
Da quanto ho capito dall'audizione precedente - e penso di non essere stata la sola - la sperimentazione verso la quale sono attualmente orientati gli oncologi non sarebbe di tipo randomizzato, ma osservazionale; l'ampiezza non è ancora stata definita anche se qualcuno, questa mattina, ha previsto un numero piuttosto ristretto. Se si confermasse che la sperimentazione di tipo osservazionale è ristretta, suggerirei - senza peraltro assumere alcuna decisione - di aggiungere uno studio osservazionale più ampio, rispettoso di quel protocollo e tenendo presente i tipi di tumore rientranti nello studio ristretto, il che naturalmente non significa includere tutti coloro che avanzano domanda. Se il protocollo indica i criteri e i tipi di tumore sono solo alcuni e non altri, ciò implica preventivamente una selezione, il che ripropone un dilemma non nuovo; quando negli Stati Uniti si sperimentò l'AZT e si decise che alcuni avrebbero partecipato alla sperimentazione mentre altri no, ciò accese un focolaio di tensioni. Personalmente sono per ragionare sull'ipotesi prospettata che non mette in discussione i criteri selettivi.
La domanda che rivolgo agli assessori regionali è se in un caso del genere, ovvero se rispettando i criteri indicati dalla Commissione scientifica ed allo scopo di dare risposta ad un numero superiore di malati rispetto a quelli osservati a livello nazionale, si sentano sia di garantire il rigore del lavoro da svolgere, sia di assumersi la responsabilità di dire che non tutti coloro che chiederanno di ricorrere alla terapia Di Bella vi accederanno gratuitamente, fermo restando che a proprie spese la libertà terapeutica è intoccabile.

DOMENICO GRAMAZIO. Leggendo l'ordinanza di un pretore romano relativa alla ASL B, mi sono domandato se nel Lazio possa accadere quanto si è verificato in Puglia. Poiché questa è soltanto la terza ordinanza, ma mi risulta che altri ricorsi siano stati presentati, nel caso in cui si registrassero ricorsi «a martello», la regione Lazio rimarrà insensibile oppure prevede di venire incontro alle esigenze prospettate? Durante gli incontri avuti nei giorni scorsi, abbiamo sottolineato che la sanità non può essere governata dai pretori: quando si ricorre al pretore, lo si fa perché vi è un vuoto di governabilità. Non siamo qui per dire che il professor Di Bella possiede l'acqua santa capace di risolvere ogni problema, ma il riavvicinamento tra le posizioni ufficiali, avvenuto nelle ultime ore, sicuramente legato alla protesta popolare e all'intervento degli organi di stampa consente agli assessorati regionali alla sanità di intervenire autonomamente per soddisfare le istanze dei cittadini. Durante una trasmissione televisiva di ieri, credo abbiate visto tutti quel cittadino romano costretto ad elemosinare denaro per comprare determinati medicinali: di fronte a questi casi, destinati sicuramente a moltiplicarsi nei giorni prossimi, le regioni


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intendono intervenire con proprie decisioni in attesa di una disposizione generale del Ministero della sanità?

GIUSEPPE DEL BARONE. Caratterizzerò il mio intervento con un profilo medico, perché solo sviluppando una discussione prevalentemente tecnica si potrà giungere a conclusioni felici. Penso che l'atteggiamento assunto dall'assessore Saccomanno, in Puglia, abbia anticipato una decisione che, alla luce di sperimentazioni non ancora avviate e delle risposte che il Ministero della sanità, la Commissione oncologica e la CUF non hanno ancora fornito, può essere corale oppure no. Lasciamo stare, per un attimo, il pretore, perché se in questo settore fossero valide le regole sportive credo che dovrebbero essere squalificato per invasione di campo; a mio modo di vedere, infatti, in questo caso il pretore non c'entra assolutamente. C'è da chiedersi se la sentenza del pretore abbia valore con il concetto erga omnes o della soggettività. Ma poiché quello erga omnes non può esistere nel significato più assoluto, può accadere che nelle regioni non tutti vengano curati, ma solo le persone il cui ricorso sia stato accettato dal pretore.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PAOLO POLENTA

GIUSEPPE DEL BARONE. A me sembra che questa situazione sia tra le più paradossali del mondo.
Premesso, dunque, che come appartenente al gruppo del CCD parlo liberamente e che non me ne importa nulla delle ubicazioni politiche, dato che il mio amico Marco Cicala ha ritirato la disposizione, a mio avviso data impropriamente, per la somministrazione di somatostatina, e che la Lombardia passa come la regione che è in perenne tenzone con la Bindi, che ha in gran dispetto (ma sono fatti loro, vedremo come finirà), resta, semplicemente, l'esempio dell'assessore Saccomanno. Quindi, per poter consentire che la sperimentazione avvenga su basi solidamente scientifiche e non su emotività sociali o pseudosociali, perché spendere i soldi credo che sia poco simpatico sia per i poveri sia per i ricchi, mi chiedo se non sia meglio porre tutti quanti sullo stesso piano di partenza, di modo che poi, nell'eventuale somministrazione, non vi siano i buoni o i cattivi ma, semplicemente, gli ammalati. Alla luce di una sperimentazione per la quale la cura è valida, questi ultimi potrebbero disporre del prodotto, anche se a me sembra, stando a quanto abbiamo sentito dalla CUF, dalla Commissione oncologica e, forse, dallo stesso professor Di Bella, che questa sicurezza sul risultato non vi sia.
Dunque, creare l'oasi Puglia può essere una cosa simpatica, perché sembra che l'amico Saccomanno sia diventato il deus ex machina di una risoluzione impossibile e il buono della situazione. A mio avviso, invece, in questo caso non vi è bisogno di primogeniture né di essere buoni o cattivi, in quanto è invece necessario proiettare qualcosa che sia positivo nel senso concreto della parola.
Spero che l'assessore Saccomanno mi perdoni l'ultima domanda, perché è leggermente cattiva. Non dico che la somatostatina non si dovrà dare quando sarà valido il principio, perché se guarisse realmente ma costasse un miliardo, io direi di sì, però so che in questo momento l'azione della somatostatina è nel limbo delle cose che potrebbero essere e che, probabilmente, non saranno. Dunque, illustre assessore, quando nella sua regione vi sarà una ipertrofia violenta della spesa sanitaria, cosa faremo? Nel nome di questo anelito sociale verso la categoria dei malati che chiedono la sperimentazione, magari pensando che sia l'optimum, che, come insegna san Giovanni Bosco, è nemico del buono, non si corre il rischio che questa socialità diventi asocialità con la negatività verso il medico di base che, magari, ha prescritto la ranitidina semplicemente per attenuare l'azione contro un antinfiammatorio? Oppure cosa faremo, aumenteremo la benzina o qualche altro prodotto?
Vi sono cose che mi permetterei di ricordare in chiave scientifica, alla luce dei dubbi che vi sono sul cocktail o sulla sperimentazione Di Bella, e alla luce di


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una socialità che se è deve essere di tutti, quindi non ristretta solo alla Puglia, in quanto io, campano, mi sento, socialmente, ai primissimi posti di questa graduatoria.

TIZIANA VALPIANA. Contrariamente al collega Del Barone, io sono invece molto contenta che si sia finalmente arrivati ad un incontro di tipo politico anziché tecnico-scientifico. Infatti, i due incontri che abbiamo avuto, quello di ieri con il professor Di Bella e quello di oggi con i rappresentanti della Commissione oncologica nazionale e della Commissione unica del farmaco, sono stati estremamente interessanti, ma hanno rischiato, a mio avviso, di portarci fuori da ciò che noi siamo chiamati qui a discutere e, eventualmente, a decidere. Noi dobbiamo dare una risposta non tanto sulla libertà di scelta terapeutica, che credo sia un principio sacrosanto sul quale cercherò poi di tornare, quanto sulla necessità, se il Parlamento ed il Governo saranno disponibili, di porre a carico del Servizio sanitario nazionale la distribuzione di questi farmaci. Ciò significa, da un lato, accollarsi una spesa dalla quale il gruppo a cui appartengo, rifondazione comunista, ha sempre voluto prescindere quando si è parlato di sanità; dall'altro, significa anche valutare, rispetto all'opinione pubblica, l'implicita ammissione di efficacia di questa metodologia nel caso in cui sia posta a carico del Servizio sanitario nazionale.
Devo dire che sono sempre parimenti molto incuriosita e molto insospettita dalle emergenze dettate dai media, perché spesso, quando si impadroniscono di un tema, vogliono implicitamente sottolineare il ritardo delle istituzioni nell'affrontarlo: a proposito della procreazione medicalmente assistita, per esempio, su cui stiamo lavorando da molto tempo, viene continuamente ribadito che le istituzioni non stanno facendo nulla e che ancora non si è arrivati ad una decisione.
Vorrei, quindi, che decidessimo tutti con serenità, al di là della spinta emergenziale della vox populi, e che dessimo non una valutazione di tipo scientifico sulla validità o meno del metodo, perché ciò non ci compete nella maniera più assoluta, ma una risposta di tipo politico sul quando, come e perché il Servizio sanitario nazionale debba o non debba farsi carico di questo onere.
Faccio un esempio: il padre di una mia amica, con un carcinoma alla prostata e già prenotato per un intervento chirurgico, è andato da un guaritore in Messico e quando è tornato il carcinoma era sparito. Ma il Servizio sanitario nazionale non può pagare viaggi di questo tipo per tutti quelli che hanno un carcinoma alla prostata. Dunque, dobbiamo fare delle scelte, le quali non possono che essere basate su dati evidenti e scientifici.
La mia domanda agli assessori alla sanità attiene, quindi, più ai tempi che ai modi. La loro fretta di prendere una decisione spinti dall'opinione pubblica mi fa insospettire, e mi insospettisce anche il modo in cui le forze politiche stanno cercando di cavalcare questa vicenda, che non è né di destra né di sinistra; si tratta, infatti, di prendere semplicemente atto della necessità della scienza ufficiale di essere più aperta rispetto alle novità, considerato che, finora, ha sempre dimostrato di essere oscurantista, chiusa e diffidente rispetto alle novità stesse.

CARMELO PORCU. Su questo anche la destra è d'accordo.

TIZIANA VALPIANA. Allora, mi tocca smentire un'altra volta il collega Del Barone, che ieri, in un articolo, che peraltro ho molto condiviso, diceva di ritenere di essere stato forse il primo ad occuparsi in Commissione del metodo Di Bella. Io ho cominciato a farlo nel 1994, su indicazione del dottor Norsa, di Verona, che ufficialmente segue il metodo Di Bella, e di alcuni pazienti che avevano avuto problemi di questo tipo.

GIUSEPPE DEL BARONE. Ti cedo immediatamente la primogenitura!

TIZIANA VALPIANA. Ricordo all'assessore Braghetto che nel novembre 1996 la USL di Legnago ha dato gratuitamente la somatostatina ad una signora, peraltro poi deceduta...


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ILES BRAGHETTO, Assessore alla sanità della regione Veneto. Senza le delibere regionali!

TIZIANA VALPIANA. Esatto. Rivendico questa primogenitura perché né il collega Conti, che all'epoca era sottosegretario alla sanità, né il ministro della sanità, onorevole Costa, hanno mai dato una risposta sul metodo Di Bella, nonostante la gente vi facesse ampiamente ricorso anche allora. Dunque, che cosa li ha folgorati sulla via di Damasco?

ROCCO CACCAVARI. La Bindi!

GIACOMO BAIAMONTE. Dopo aver ascoltato questa mattina la comunità scientifica, che è stata molto chiara (d'altra parte, in qualità di medico, non potevo non condividerne le posizioni), comincio a ritenere che in questo momento nel nostro paese ci troviamo in un'impasse molto difficile. È stato detto che si procederà soltanto ad una ricerca osservazionale e non randomizzata perché non c'è il tempo, non è possibile. Quindi è una ricerca anomala sotto certi punti di vista e non può essere presa in piena considerazione.
Detto questo, esprimo le mie congratulazioni ai signori assessori per la decisione politica che hanno preso per poter fronteggiare la situazione dei mass media e dei pretori, che arbitrariamente hanno assunto decisioni che non dovevano assolutamente assumere; ma tant'è, oggi avviene anche questo in Italia. Ripeto, vi faccio le congratulazioni perché siete stati unanimi e vi siete messi perfettamente d'accordo su una questione che bisogna risolvere, perché i cittadini fanno pressione.
Non mi vorrei trovare nelle vostre condizioni (mi riferisco ai pretori di prima) se un giorno alcuni giudici amministrativi della Corte dei conti vi dovessero fare dei rilievi. Questo è quello che succede nel nostro paese. È vergognoso, signori miei. Come possiamo accettare una cosa di questo genere? La collega Valpiana è andata molto oltre, riferendosi agli anni passati; io chiedo perché una tale decisione non sia stata assunta razionalmente nel mese di luglio, prima di far scoppiare un caso del genere.

FABIO DI CAPUA. Non posso nascondere un certo sconcerto alla fine di questa «due giorni» di audizioni che ci hanno consentito di acquisire una serie di elementi conoscitivi, di prese di posizione. Lo sconcerto deriva soprattutto dalla conferma sostanziale che questa vicenda ha assunto toni sicuramente più elevati in questi ultimi tempi essendosi fortemente connotata politicamente (credo che ciò non possa essere assolutamente smentito) per posizioni ufficialmente rese, per gli schieramenti dei mass media, i quali hanno assunto posizioni diversificate a seconda delle loro collocazioni, per gli atteggiamenti e le posizioni di molti uomini politici, per le iniziative adottate dalle regioni. Non a caso, alcune regioni amministrate dalla destra, particolarmente attente e sensibili, si sono rivelate dei veri e propri sponsor del metodo. Anzi, l'assessore del Veneto mi consenta di dargli atto di un equilibrio rigoroso (frutto probabilmente di una saggezza, di un rigore scientifico che la medicina veneta dimostra da moltissimi anni) nell'essersi un po' dissociato da un coro piuttosto improduttivo.
Lo sconcerto mi è stato confermato da alcune dichiarazioni rese dal professor Di Bella in questa sede. Non so se molti colleghi abbiano letto il testo del suo intervento svolto qui ieri, in cui sono emerse almeno un paio di situazioni secondo me abbastanza raccapriccianti. Una è quella di una ipotizzata alternativa, rappresentata dal suo metodo, alla terapia chirurgica per patologie in cui quasi esclusivamente la chirurgia ha un ruolo terapeutico efficace. Si è parlato di chirurgia della mammella in termini diabolici e devastanti, ignorando che la scuola oncologica italiana ha perfezionato delle metodiche di quadrantectomia, di chirurgia conservativa apprezzate e riconosciute nel mondo, metodiche che da tempo hanno ormai superato questo problema con altissime percentuali di sopravvivenza. Queste affermazioni del professor Di Bella


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relative ad un suo metodo alternativo alla chirurgia della mammella sono devastanti come segnale politico e scientifico. Rimango estremamente perplesso riguardo alla loro validità scientifica. Basterebbe questo esempio per capire che siamo di fronte ad un bluff colossale...

DOMENICO GRAMAZIO. Questo non l'hanno detto, lo dici tu!

FABIO DI CAPUA. Lo dico io; se permetti, Gramazio, lo dico come chirurgo, per aver fatto questo lavoro!
Lo stesso professor Di Bella ha affermato l'estrema difficoltà dell'allestimento dei suoi cocktail, tanto che quasi sconsigliava che venissero messe in atto preparazioni galeniche in periferia con l'associazione dei vari prodotti, invitando contestualmente a considerare lui come riferimento nella gestione dei cocktail da somministrare. Ciò dimostra che l'acquisizione dei prodotti anche a titolo gratuito nelle varie regioni non risolve il problema, perché poi comporta l'allestimento di un composto particolarmente delicato e complesso nelle sue procedure, che vanificherebbe anche il risultato, ammesso che questo risultato ci sia. È un po' come mettere le mani avanti per gli eventuali insuccessi che da questi studi di osservazione potrebbero emergere. Lo sconcerto - lo dico in maniera molto obiettiva e serena - è notevole di fronte a simili considerazioni.
Messo da parte questo argomento, entro nel merito del problema degli assessori. L'assessore Saccomano mi consentirà queste riflessioni, che cercherò di porre in maniera estremamente garbata.
La concessione gratuita di un farmaco è sostanzialmente il riconoscimento formale della sua validità. Credo che questo sia un principio al quale gli uomini di governo, gli uomini che amministrano devono rifarsi, perché in quel momento assumono la piena responsabilità che non può essere pilotata e motivata da sommosse, da sollecitazioni di piazza, da fatti sociali mediati dalla stampa, dall'opinione pubblica e dagli operatori del settore. Ognuno deve assumersi la piena responsabilità di quello che fa.
Ebbene, autorizzare il rimborso, l'erogazione gratuita di questi farmaci significa sancirne la validità, nel rispetto dei risultati di riscontri oggettivi scientificamente provati. La regione Puglia, secondo me, ha contribuito irresponsabilmente ad accentuare quel clima di confusione che si è determinato nelle scorse settimane. Si tratta di un'iniziativa che poteva benissimo risparmiarsi assumendo posizioni assolutamente in linea con quelle che tutte le altre regioni responsabilmente hanno assunto. Perdonatemi, la regione non è più un'oasi. La nostra regione è stata gettata nel ridicolo per questo tipo di iniziative. Le sponsorizzazioni dei viaggi della speranza possono essere comprensibili in altri ambienti, ma non da parte di chi governa ed amministra regioni ed istituzioni e deve farlo con alto senso di responsabilità.

DOMENICO GRAMAZIO. Va incontro alle esigenze della gente!

FABIO DI CAPUA. Ma non è un'esigenza della gente! Non dobbiamo dire chiacchiere! Non si può autorizzare un farmaco costosissimo dicendo che tanto male non fa! Questa è una cosa che sorprende e indigna!

PRESIDENTE. La pregherei di arrivare alla conclusione.

FABIO DI CAPUA. Sto concludendo. Vorrei che l'autorizzazione al rimborso di un farmaco venisse concessa qualora gli assessori condividano che rappresenta una sorta di formalizzazione ufficiale della sua validità, con un'assunzione precisa di responsabilità. Così pure, l'ingresso negli studi osservazionali che si sono previsti deve presupporre necessariamente un filtro preselettivo, affinché possano essere ammessi a questo tipo di osservazione pazienti che ne abbiano i requisiti; altrimenti non faremmo altro che trasferire in quegli studi il trattamento gratuito già erogato dalle regioni. Capisco la coerenza di questa posizione, ma ritengo che continui ad essere sbagliata, pericolosa, in contrapposizione con quella assunta, secondo


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me con senso di responsabilità, anche da altre regioni. Su questo vorrei che si pronunciasse una parola chiara ed assolutamente definitiva.

PRESIDENTE. Passiamo alle repliche degli assessori.

ANTONIO SAIA. Vorrei intervenire anch'io, presidente.

PRESIDENTE. Mi spiace, collega Saia, ma la presidente ha già chiuso da tempo le iscrizioni a parlare.

ANTONIO SAIA. Non capisco perché si cambino le regole.

DOMENICO GRAMAZIO. Cambiano i presidenti, cambiano le regole!

PRESIDENTE. No, io non faccio che eseguire gli ordini ricevuti! È stata stilata una lista di iscrizioni a parlare, che si è chiusa parecchio tempo fa. Comunque, se si tratta soltanto di un flash, do la parola all'onorevole Saia.

ANTONIO SAIA. Ovviamente, condivido molte delle cose che sono state dette, anche dal collega Di Capua, nel senso che la somatostatina non può diventare prescrivibile per tutti. Valutino le regioni, poiché vi è stato un ritardo delle forze politiche, fino ad oggi, a farsi carico di questo problema, se si possa fare una distinzione: coloro che già sono in trattamento con il sistema Di Bella, quindi già rappresentano una base sulla quale iniziare uno studio, qualora accettino di far parte di tale studio potrebbero usufruire della dispensazione gratuita dei farmaci da parte delle ASL; invece, coloro che intendono iniziare devono necessariamente passare attraverso una selezione severa, per impedire che pazienti che potrebbero essere curati ben diversamente si servano di quel metodo. Valutino le regioni - lo ripeto -, se questa potrebbe essere una via di mediazione.

ILES BRAGHETTO, Assessore alla sanità della regione Veneto. Vorrei ricordare, solo per inciso, che nella nostra lettera al ministro era contenuta anche l'osservazione riguardo al rapporto con la magistratura. Devo dire che, poi, non abbiamo avuto il tempo di discuterne, perché la questione che potremmo definire assistenziale ha prevalso, però nella lettera inviata al ministro Bindi chiedevamo anche di avviare un chiarimento con il ministro di grazia e giustizia sull'anomalia di questi comportamenti. È una riflessione che andrà sicuramente ripresa.
Per rispondere alle domande dico, innanzitutto, che credo che le regioni abbiano valutato l'eccezionalità della vicenda, perché se fossimo in situazioni normali si potrebbe esprimere un giudizio negativo o, comunque, parlare di un percorso anomalo. I problemi che subito si sono posti sono stati due: uno è stato quello di evitare che emergesse un giudizio di negatività sulle terapie esistenti; l'altro è stato quello derivante dalla preoccupazione di allentare la pressione sociale, di sgonfiare, in qualche modo, il caso e di portare razionalità.
Certamente, il nodo positivo rimane quello del modo in cui affrontare la sperimentazione ed a me pare che la proposta delle regioni già costituisca un punto di equilibrio importante. Io, ora, la interpreto al di là della forma, quindi dico qualcosa di più di quanto vi è scritto, ma, nella sostanza, tenendo presente la pressione sociale, la proposta è questa: diamo l'opportunità, nel rispetto di protocolli clinici, definiti in collaborazione con Di Bella, che chiunque rientri in quei protocolli possa, a domanda, partecipare allo studio osservazionale. Il limite deve essere dato non dal numero delle persone che partecipano ma dal protocollo clinico. Ovviamente, nulla vieta che contestualmente allo studio osservazionale si avvii la cosiddetta sperimentazione randomizzata. Questa è la posizione vera delle regioni.
Se nell'arco della prossima settimana fosse presa una decisione nella direzione che noi indichiamo, anche comportamenti anomali (uso questo termine, ma tra noi il rapporto è molto chiaro) della regione Puglia e della regione Lombardia cadrebbero, perché la preoccupazione che le ha


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spinte verrebbe risolta dalla proposta dello studio osservazionale, nei termini che ho indicato. Questa è, alla radice, la proposta delle regioni che, se anche non rispetta un percorso scientificamente accettabile o normale, riesce comunque a dare in maniera equilibrata risposta alla maggior parte dei problemi pressanti che abbiamo in questo momento.

MICHELE SACCOMANNO, Assessore alla sanità della regione Puglia. Risponderò certamente alle domande che mi sono state rivolte, ma intendo partire da quest'ultima osservazione. Quanto detto un minuto fa dall'assessore Braghetto nei medesimi termini era stato proposto, a chiarimento, dal sottoscritto, dopo averne discusso con Cosentino e con Braghetto stesso, alla presenza del ministro. Invece, alla presenza del ministro, nella conferenza degli assessori, non vi è stata un'approvazione generale e si sono, quindi, prodotti il dissenso della Puglia e della Lombardia, la quale ha assunto una deliberazione che, al contrario, non vi sarebbe stata se fosse stato accolto quanto ha appena detto Braghetto. È in questo senso, infatti, che noi avevamo interpretato la proposta ma questa, riportata in quella sede, ha creato un certo sconcerto, magari per una serie di validissime motivazioni. Noi l'avevamo discussa di più, il ministro di meno; sta di fatto che in quella occasione il ministro ha fermato l'attenzione sui numeri e non sul tipo di percorso per poter consentire che tutti coloro che ne avessero avuto indicazione professionale, non dal singolo medico ma da chi il ministero avesse deciso di individuare - questa è stata allora la mia frase, onorevole Di Capua - potessero partecipare. Il ministro ha detto di no.
Non solo. Nessuno, onorevole Del Barone, ha avuto voglia di primogenitura. Prima di arrivare al passo attuale - e consentitemi di dire che non vi saremmo arrivati se non avessimo spinto così pesantemente - prima di arrivare alle sentenze del pretore, avevo chiesto che ne parlassimo insieme. Senza tanto scandalo, la Puglia aveva pregato che, prima che venissero emanate le sentenze da parte dei pretori, la conferenza degli assessori adottasse un atteggiamento univoco di risposta e di proposta e, la mattina seguente a questa mia proposta, l'assessore Braghetto già aveva inviato una prima lettera, e sette giorni dopo ne ha inviata un'altra. Il tutto, però, poi si è verificato dopo che determinati atteggiamenti si erano spinti un po' più in là. Si poneva, infatti, la necessità di rispondere ai trecento ricorsi - non i due o tre che interessano il collega Braghetto - che erano stati presentati al pretore e che determinavano certamente delle disparità per persone che possono non capire, non essendo, come voi o come me, dei medici. Questo è stato il percorso che si è adottato, senza alcuna voglia, onorevole Del Barone, di avere primogeniture, ma con il desiderio di porci tutti uguali al nastro di partenza. Il problema è proprio questo, ossia porre tutti sulla stessa linea di partenza; lo volevamo talmente da tentare l'individuazione di un determinato percorso. Ma quando questo, per una serie di situazioni che non intendo criticare perché non appartiene al mio ruolo istituzionale, non si è verificato, dopo la prima sentenza del pretore abbiamo assunto la deliberazione a tutti nota. Che cosa succederà se il risultato fosse negativo e se dopo aver avviato il processo si registrasse l'ipertrofia della spesa? Assicuro che conti alla mano non è possibile l'ipertrofia della spesa, specie se verranno rispettati i percorsi indicati nella deliberazione, secondo la quale l'erogazione non avviene su prescrizione del singolo medico ma a seguito di validazione da parte dell'ospedale.
Personalmente non sono mai intervenuto sulla cura Di Bella; per il ruolo che svolgo in una regione particolare come la Puglia, alla notizia che il morbo di Cooley è stato guarito con questi farmaci sono stato assalito dal terrore. Non mi sono mai sognato di dire che il metodo Di Bella è risolutore. Possiamo essere anche ipocriti, ma è ipocrisia pura consentire a mille persone di avere qualcosa e negarla ad altrettante oppure rifiutare una risposta di tipo organizzativo. Ho messo quelle persone in condizione di provare il farmaco,


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se lo devono assumere, perché nessuno ha impedito che lo facessero. In Puglia, prima dell'emanazione della delibera, la somatostatina veniva assunta solo da chi rubava o era in contatto con i contrabbandieri oppure da persone che riuscivano ad andare in Vaticano (Interruzione del deputato Di Capua). Non è la stessa cosa; non si può essere falsi!
Il discorso è diverso perché si parla di disponibilità di farmaci rientranti nella fascia H e la mia deliberazione non dice di utilizzarli per il metodo Di Bella. Sostengo che in Puglia abbiamo regolamentato i farmaci in fascia H fin dal febbraio 1997!

FABIO DI CAPUA. Il provvedimento è di ordine pubblico.

MICHELE SACCOMANNO, Assessore alla sanità della regione Puglia. Lei continua a non seguirmi. Non ho mai detto: «Datelo alle persone con la prescrizione Di Bella», stia attento. Un collega assessore, invece di emanare una deliberazione uguale alla mia, ha scritto «al fine di dare concrete risposte alle continue richieste da parte di assistiti affetti da tumore, di operatori sanitari, di associazioni eccetera, si precisa che questo assessorato, pur nel rispetto di quanto stabilito dal Ministero della sanità circa la necessità di effettuare la sperimentazione del protocollo Di Bella nei centri regionali che saranno individuati per la validazione scientifica della terapia in questione, ritiene che vengano prese in considerazione - e quindi evase - le richieste di rimborso spese, adeguatamente documentate, per l'acquisto dei farmaci da parte degli assistiti». Non è la regione Puglia, stia tranquillo! Nella delibera non solo non parlo del metodo Di Bella, ma sottolineo quali farmaci possono essere dati, raccomandandomi ai medici che dovrebbero rappresentare la parte sana e ragionevole. Se però si sceglierà di darlo ai malati terminali non ne faremo un dramma; così come se si vorrà attuare la continuità terapeutica - che è una difficoltà perché esistono altre leggi alle quali dobbiamo adeguarci - inviteremo a non andare a comprare i farmaci a Monaco, perché, se devono essere acquistati, è inutile mettere a rischio le famiglie, semmai sarò io ad essere ripreso dalla Corte dei conti. Può anche essere un cattivo esempio, ma sulla base di questa idea abbiamo emanato l'ordinanza. Le stesse cose sono successe a Pescara, ma non si è saputo nulla; nessuno si è accorto dell'esistenza di novanta casi trattati in ospedale! Nessuno ha chiesto niente! È successo anche a Rieti, come prova vi è un'interrogazione di un vostro collega del PDS, che posso produrre. Sono necessità di fronte alle quali ci siamo trovati ed a cui abbiamo cercato di dare risposta. Abbiamo avuto un'occasione istituzionale per bloccare le risposte pretorili e suggerire una via insieme con i colleghi Braghetto e Cosentino, che concordano. Ho solo una sottolineatura da fare, cioè che mi trovo in difficoltà a rifiutare il farmaco al malato terminale. Lo dico perché sarebbe l'unico malato escluso dal protocollo ed ho anche esortato il ministro a prevedere un'eccezione per i malati terminali in tempi brevi, perché se ciò avvenisse tra sei mesi per molti di loro potrebbe essere già troppo tardi.

LIONELLO CONSENTINO, Assessore alla sanità della regione Lazio. Devo dare una risposta all'onorevole Gramazio, il quale ha chiesto che cosa intende fare la regione Lazio di fronte alle prime ordinanze pretorili. (Interruzione dell'onorevole Gramazio). Non v'è dubbio che la regione Lazio intende ubbidire al pretore perché «al pretor non si comanda». Peraltro, sono convinto che se il pretore mi ordinasse di mettere a carico del Servizio sanitario nazionale il viaggio a Lourdes, lo farei. Il problema è sulla base di quale legge il pretore fa questo, il che rientra nella competenza del pretore e del Parlamento, non certo della regione.
Ritengo tuttavia che esista un principio, quello cioè che le prestazioni di non verificata efficacia non possono essere a carico del Servizio sanitario nazionale. Si tratta di un principio importante specie dopo aver scoperto a posteriori la tossicità di costosi e complessi prodotti farmaceutici introdotti senza verifica di efficacia.


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Da domani non possiamo addossare al Servizio sanitario nazionale qualunque tipo di prestazione, anche non validata. Ritengo che il principio debba essere riconosciuto da tutti, comprese le due regioni che si sono dissociate, pur comprendendo le considerazioni di ordine umanitario e sociale da esse addotte. Il nodo fondamentale è se siamo chiamati, sull'onda di una campagna di informazione, di un'iniziativa dei pretori o di quant'altro, a introdurre modifiche nell'ordinamento e nei comportamenti amministrativi tali da produrre effetti negativi e sconvolgenti sul sistema; la proposta delle regioni tenta di mantener fermo il principio perché proponiamo di giungere preliminarmente ad una definizione, rispetto alla quale i prossimi giorni risulteranno decisivi.
La nostra proposta non si rivolge né alla Commissione parlamentare, né al ministro Bindi bensì alla comunità scientifica e alla relativa Commissione, che devono valutare come fare; non è un problema di compromesso tra le forze politiche o tra i livelli istituzionali. Attendiamo la risposta della Commissione scientifica e suggeriamo che, in presenza di probabili difficoltà a svolgere uno studio randomizzato per questioni etiche, perché non vi sono risultanze significative sufficienti, non si avvii una sperimentazione cieca confrontando la validità della terapia tradizionale e di quella in discussione, oltretutto senza che gli interessati sappiano quale tipo di terapia va applicata. A questo livello delle conoscenze non possiamo permetterci di rischiare ulteriormente la vita dei malati; probabilmente, se non fosse per qualche caso di malato terminale, ma non è il nodo da affrontare in sede politica, uno studio randomizzato non sarebbe possibile secondo questi criteri. Se non sarà possibile, per cui si dovrà ricorrere ad uno studio osservazionale o a diversi studi osservazionali, è importante che, senza contenzioso, in questi giorni si definiscano in sede scientifica nazionale - non conta il parere delle regioni ma è importante la loro disponibilità a partecipare a questo lavoro - il tipo di patologie tumorali da sottoporre allo studio osservazionale e il protocollo terapeutico da utilizzare, perché solo se vi sarà quest'ultimo potrà avere più senso la decisione della Commissione scientifica sul tipo di studio osservazionale e si capirà meglio cosa fare. A quel punto, credo che potrà essere valutata - mi auguro con attenzione - la proposta, avanzata dalle regioni, di non partire limitando il numero in via preliminare, ma delimitando con chiarezza il tipo di studio osservazionale, le patologie e i protocolli da utilizzare, anche ristretti, qualora, sul piano scientifico, si ritenga di non dover andare oltre il comitato ristretto.
A conclusione del mio intervento, vi è una necessità che voglio sottolineare, cioè quella di trarre tutti una lezione da questa vicenda, perché a me arrivano, assieme alle ordinanze dei pretori, anche le segnalazioni di medici di medicina generale in merito a persone che, essendo passate da un metodo terapeutico tradizionale, con attese di vita statisticamente dimostrate, ad un sistema di non comprovata efficacia, cominciano a vedere quanto ciò può essere pericoloso. Quindi, da questo punto di vista, restituire la parola alla comunità scientifica, alla sperimentazione e alla verifica, facendo tutti un passo indietro, credo che sia una scelta di civiltà.

PRESIDENTE. Vi ringrazio molto, anche a nome del presidente Bolognesi. Credo che fra ieri e oggi la Commissione abbia acquisito un quadro estremamente completo della situazione. Seguiremo l'evolversi dei fatti e, forse, avremo occasione di incontrarci successivamente.

La seduta termina alle 14.40.


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ALLEGATO
(Tabelle consegnate dal professor Dino Amadori)


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