XII COMMISSIONE
AFFARI SOCIALI

INDAGINE CONOSCITIVA
SULLA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA


Seduta di giovedì 19 giugno 1997


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La seduta comincia alle 9.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che è stato richiesto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sia assicurato anche tramite la ripresa televisiva a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Audizione dei rappresentanti del Comitato nazionale di bioetica e dei rappresentanti dell'Istituto di bioetica dell'Università cattolica del Sacro Cuore.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla procreazione medicalmente assistita, l'audizione dei rappresentanti del Comitato nazionale di bioetica e dei rappresentanti dell'Istituto di bioetica dell'Università cattolica del Sacro Cuore, che saluto e ringrazio per la loro presenza.
Con la seduta odierna inizia una serie di audizioni nell'ambito di un'indagine conoscitiva che ha lo scopo di pervenire alla redazione di un testo legislativo sulla procreazione medicalmente assistita. Abbiamo già inviato - spero che sia pervenuto ai nostri ospiti - del materiale relativo all'avvio della nostra discussione sul quel testo. Abbiamo proceduto alla costituzione di un Comitato ristretto e quindi in questa fase abbiamo la necessità di effettuare una serie di audizioni con soggetti esterni al Parlamento che abbiano l'autorità e l'autorevolezza per fornirci un contributo.
Le varie posizioni ci sono note. Credo tuttavia che questo incontro sia molto utile per enucleare i temi sui quali i vari soggetti verranno invitati ad un confronto. Do senz'altro la parola ai nostri ospiti.

FRANCESCO D'AGOSTINO, Presidente del Comitato nazionale di bioetica. Ringrazio di cuore la Commissione per questo invito che mi consente di adempiere ad un dovere istituzionale del Comitato, quello di essere a contatto con le istituzioni del nostro paese per fornire orientamenti bioetici fondamentali in materie di rilevanza legislativa.
Il Comitato nazionale di bioetica ha affrontato il tema della fecondazione assistita fin dalla sua istituzione e, grazie a moltissimi mesi di lavoro, è giunto all'elaborazione di un documento sintetico che ormai è lontano nel tempo - è stato pubblicato il 17 giugno del 1994 - e che recava il titolo: «Parere del CNB sulle tecniche di procreazione assistita: sintesi e conclusioni». Il documento è molto breve ed immagino sia a disposizione di tutti voi: siamo eventualmente in grado di fornirvene altre copie.
Successivamente, nel febbraio del 1995, abbiamo deciso di pubblicare un ulteriore fascicolo, intitolato molto semplicemente «La fecondazione assistita», nel quale abbiamo raccolto i materiali fondamentali a partire dai quali il Comitato è giunto alle sintesi e alle conclusioni di cui ho detto un istante fa.
Dico subito che non mi sembra molto produttivo riesporre il contenuto di questo documento di tre anni fa, sia perché credo di poterlo considerare sufficientemente noto, sia perché posso anche ipotizzare che la riflessione di questi ultimi anni abbia


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consentito di fare qualche passo avanti sul tema della bioetica e della fecondazione assistita.
Dato che, per una sorta di correttezza metodologica, non voglio entrare in questioni strettamente politiche e normative (lo farò se qualcuno me lo chiederà), vorrei sottoporre alla vostra attenzione il fatto che, a mio avviso, si stanno determinando con sempre maggiore chiarezza due orientamenti bioetici fondamentali sul nostro argomento. La riflessione che da tanti anni è in corso su questo tema ci consente di affermare che la vera questione in gioco, molto probabilmente, è quella di scegliere tra l'uno e l'altro orientamento e soprattutto di mantenersi coerenti con i principi che si sono scelti.
Sto parlando di un paradigma che potremmo, molto rozzamente (ma in questi casi la brevità ci costringe ad essere rozzi), definire statunitense e forse, in modo un po' più lato, anglosassone, a fronte di un paradigma europeo. Ormai, date la ricchezza dei materiali a nostra disposizione e le numerose leggi approvate sia al di qua sia la di là dell'Atlantico in tema di fecondazione assistita, si può fondatamente avanzare l'ipotesi che ogni legislatore che voglia intervenire in materia debba scegliere l'uno o l'altro modello.
Quello che ho chiamato statunitense è fondamentalmente un modello che afferma che alla radice di qualunque atteggiamento normativo in tema di fecondazione assistita deve esserci la più accanita, rigorosa e lucida difesa del diritto alla procreazione come diritto che rientra nell'ambito della privacy. In altre parole, se il diritto alla procreazione è un diritto fondamentale della persona e se esso rientra nell'ambito di ciò che la dottrina anglosassone chiama privacy, ne segue che il buon legislatore ha un solo compito davanti a sé, quello di rendere effettiva la realizzazione di questo diritto.
Ciò spiega perché negli Stati Uniti ormai da vari anni si va consolidando una giurisprudenza (il discorso è complicato perché in una realtà federale come quella americana ogni singolo Stato ha una latissima autonomia in materia) nella quale, ad esempio, si dà assoluta validità in generale ai contratti aventi per oggetto il corpo, in particolare quelli di maternità surrogata, purché essi siano liberamente decisi dai contraenti.
In questa cornice, il principio assoluto secondo cui la privacy va rispettata sotto ogni profilo induce la giurisprudenza statunitense a non rilevare alcuna difficoltà di tipo giuridico nel dare valore ed effettività a contratti come questo.
Consideriamo invece l'altro paradigma, che altrettanto rozzamente chiamerei europeo o continentale. Preferirei parlare di paradigma europeo perché credo che l'attuale legislazione della Gran Bretagna faccia più riferimento ad esso che non a quello statunitense; ma come sapete la Gran Bretagna è al confine fra due mondi e si potrebbe discutere a lungo su questo.
Il paradigma europeo non dà alcun particolare rilievo al principio della privacy; dà invece rilievo - se vogliamo usare un testo importante qual è la Convenzione europea di bioetica recentissimamente approvata - ad altri principi: la protezione dell'essere umano nella sua dignità ed identità, il principio generale della preminenza dell'essere umano stesso, la necessità di proteggere la vita umana fin dal momento della fecondazione, la necessità di difendere il diritto di autodeterminazione della madre ed il rispetto dei diritti e degli interessi del figlio, riassunti nel diritto alla vita ed all'integrità fisica, psicologica ed esistenziale e nel diritto alla famiglia. Sono tutte affermazioni che andrebbero fra virgolette perché compaiono in diversi articoli della Convenzione europea di bioetica.
Questo che sto chiamando modello europeo mi pare assolutamente coerente - molto più del modello americano - con i principi fondamentali della Costituzione italiana - basti pensare all'esplicito richiamo alla dignità della persona - e mi sembra - cosa forse ancora più importante - che il modello europeo sia significativamente in qualche modo presente in tutte le legislazioni dei singoli Stati europei in materia di fecondazione assistita.


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Sappiamo che in Europa le legislazioni sul tema sono abbastanza diversificate e su alcuni punti veramente lontane tra di loro. Ma quello che è importante, a mio parere, e su cui vorrei richiamare la vostra attenzione, è che tutte le legislazioni europee fanno fondamentalmente riferimento non ad un diritto assoluto ed insindacabile alla procreazione ma alla fecondazione assistita quale prassi medica finalizzata alla tutela della salute, nella prospettiva secondo la quale la sterilità fondamentalmente va considerata come una patologia e la lotta contro di essa come una prassi terapeutica.
Perfino la legge spagnola in tema di bioetica e di fecondazione assistita, comunemente considerata la più libertaria tra le legislazioni europee, fa in definitiva riferimento alla necessità di considerare la fecondazione assistita come un rimedio ad una particolare patologia qual è la sterilità. Credo che si tratti di capire che questi due modelli non sono compatibili. Il modello della privacy proietta la fecondazione assistita al di là del campo della terapeuticità e fa del diritto ad essere fecondati artificialmente una scelta personale, insindacabile, «arbitraria» della persona, nei confronti della quale l'ordinamento giuridico non assume alcun atteggiamento di tipo valutativo.
Viceversa, il modello europeo, presupponendo che le pratiche di fecondazione assistita vadano assimilate a pratiche terapeutiche, pone a fondamento di tutte le ulteriori norme in materia un principio assolutamente diverso e che chiede coerenza. Faccio un esempio banalissimo, che tutti conosciamo: la fecondazione di una donna anziana dopo la menopausa, che nell'ottica della fecondazione assistita come diritto alla privacy non può che essere ritenuta lecita ed anzi meritevole di promozione da parte dell'ordinamento giuridico, se considerata invece in un'ottica secondo cui la sterilità è un patologia perde immediatamente ogni legittimazione perché - quali che siano le ideologie che si possono avere sulla riproduzione - non si può considerare malata una donna anziana per il solo fatto che ha perso la capacità procreativa.
A me sembra estremamente importante considerare che nell'attuale situazione culturale questi sono i due modelli conflittuali: quello della fecondazione assistita come riconducibile al principio della privacy e quello riconducibile alla tutela della salute della persona. Tante contrapposizioni che sentiamo continuamente ripetere (la più nota e banale è quella tra posizione cattolica e posizioni laiche) non corrispondono a mio avviso alla realtà culturale attuale. Oggi si tratta di scegliere tra un modello americano ed un modello europeo e, soprattutto, se si fa questa scelta, bisogna mantenersi coerenti con i suoi principi.
Una volta individuato il modello al quale si ritiene di dover aderire, occorre essere consapevoli che il principio scelto diventa cogente in ordine alla soluzione di tutta una serie di questioni pratiche ulteriori. L'incoerenza, in questo caso, sarebbe da biasimare perché non si tratterebbe solo di un vizio logico ma di una vera e propria colpa (la parola è un po' forte ma spero di essere compreso) di tipo bioetico.

ANGELO FIORI, Vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica. Affinché il mio intervento possa essere utile alla Commissione, occorre che mi spogli della mia posizione di vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica: vorrei parlare liberamente da medico e da docente di medicina legale, oltre che da ex membro della commissione istituita dal Ministero di grazia e giustizia che ha preparato il documento cui si è accennato nell'intervento del presidente D'Agostino.
L'informazione che mi permetto di fornirvi, dato che mi sono occupato a lungo del problema in questi ultimi anni, si può condensare in una piccola riflessione preliminare. L'Italia, avendo ritardato molto nel legiferare in materia, si trova in una posizione paradossalmente privilegiata. Infatti, non essendo partita molto in anticipo, come è successo alla Gran Bretagna, è spettatrice - purché sappia cogliere ciò


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che sta avvenendo - di una rivoluzione nel campo scientifico che è sotto gli occhi di tutti e che ha un tasso di velocità che si misura ormai in termini di mesi.
Questo significa che se l'impianto generale della legge che vorrete varare seguirà le indicazioni di un giurista come il professor D'Agostino - mentre io sono un medico - mi permetto di segnalare la necessità di usare la massima attenzione sull'area della fecondazione eterologa, che tra l'altro è uno dei motivi del conflitto. Non voglio insistere su questo tema bensì sugli aspetti tecnico-scientifici.
Oggi, tra la legge sulla privacy e i documenti che proibiscono i test predittivi di tipo genetico non collegati alla salute, ci troviamo di fronte a due fenomeni. Innanzitutto, l'avanzamento scientifico - che è ai suoi primi passi: bisogna dirlo, anche se i giornali continuano ad esaltarli - in tema di fecondazione omologa, che consente cioè anche all'uomo apparentemente sterile - grazie al prelievo di uno spermatide o di uno spermatozoo - di procreare senza bisogno di far ricorso alla fecondazione eterologa, fa intravedere che questo sarà il percorso di un futuro molto prossimo.
D'altra parte, però, c'è un problema anzitutto di principio e poi di natura scientifica sulla fecondazione eterologa. Quest'ultima - come è stato detto poc'anzi - non può essere considerata una terapia: è chiaro che se un uomo è sterile non sarà attraverso la fecondazione della moglie da parte di un'altra persona che sarà guarita la sua sterilità. Si tratterebbe di una finzione; ma non è questo il problema, visto che è una questione di principio che potrebbe facilmente essere superata. Invece c'è il problema dell'anonimato, che significa la non conoscenza da parte del futuro figlio non solo della propria derivazione genetica, ma anche di quello che sta scritto nel suo genoma e cioè di quello che oggi può risultare nei test predittivi. Questo non è più sostenibile: chiunque ha il diritto - anche se la cosa è molto delicata - di conoscere ciò che è scritto nel suo genoma.
Il marito che dà il suo consenso alla fecondazione eterologa deve essere informato su quanto oggi si può sapere. Pertanto, se informato sul serio, non potrà mai consentire la fecondazione eterologa senza che vengano effettuati i test genetici, che aumentano giornalmente di numero. Abbiamo già previsto nel progetto elaborato per il Ministero di grazia e giustizia che non sia sufficiente la visita generica di una persona (il donatore) per vedere se sia alto, basso, biondo o bruno; devono essere prese in considerazione le caratteristiche genetiche del donatore stesso, che però devono essere confrontate con quelle della ricevente.
Se poi, come quello stesso progetto prevedeva, lo stesso liquido seminale si dovesse distribuire fra cinque donne, queste ultime dovranno essere tutte sottoposte ai test genetici. Si instaura una catena che finisce nella selezione eugenetica: vi fornisco questa informazione, che però non costituisce una forzatura interpretativa. Sto parlando di ciò che sta avvenendo e che si collega perfino con la legge del 1996 sulla privacy (questo è però un aspetto marginale).
Per concludere penso che una legislazione futura che si ponga l'obiettivo della protezione del minore, che tenga conto dei suoi diritti e che sia europea, non potrà certamente dimenticare quello che hanno fatto i paesi che per ultimi hanno legiferato in materia. Mi riferisco alla Svizzera, che non consente assolutamente a nessuno di non essere informato sulla sua origine genetica; alla Svezia, che ha abolito l'anonimato; all'Austria, che ha fatto lo stesso; alla Germania. Insomma, i paesi d'Europa che sono arrivati per ultimi in questi dieci anni si sono collocati in questa posizione.
Questo è il punto dolente, che va letto alla luce delle conoscenze scientifiche che dieci anni fa non c'erano e che oggi invece ci sono.

ELIO SGRECCIA, Componente del Comitato nazionale di bioetica e direttore dell'Istituto di bioetica dell'Università cattolica del Sacro Cuore. Ringrazio vivamente il presidente e i componenti la Commissione


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per questo invito. Anch'io faccio parte del Comitato nazionale di bioetica, dove ho sempre documentato la posizione che adesso riassumerò in poco tempo, ma che nella pubblicazione che vi forniremo è riportata per esteso.
Il nostro punto di partenza si avvicina molto al modello europeo cui si è ora riferito il professor D'Agostino come alto principio ispiratore. La convenzione europea, nelle sue applicazioni, conosce qualche contraddizione rispetto al principio che enuncia. Noi partiamo dall'affermazione della dignità della persona umana (il cosiddetto personalismo ontologico), la quale va riconosciuta non soltanto nell'esercizio della soggettività: non è persona solo chi può esercitare la sua libertà ma ogni soggetto della specie umana, il quale ha dignità oggettivamente identica a quella degli altri, sia esso embrione o adulto. Questa dignità va rispettata per quello che è e non semplicemente per quello che riesce a fare, a comunicare o ad esprimere come atto libero.
A partire da questa dignità oggettiva della persona umana, da riconoscere fin dal momento della fecondazione e fino alla morte naturale in maniera non differenziata, in tema di procreazione artificiale sosteniamo tre posizioni abbastanza conosciute ed anche facili da spiegare. Dirò poi come queste tre posizioni possano essere confrontate nel momento del passaggio al diritto, poiché si sa che l'etica non può essere travasata per intero nella legge.
Partendo dalla posizione etica, siamo fermamente attestati sul dovere del rispetto dell'embrione umano e quindi contrari a tutte le pratiche di procreazione artificiale che comportano la perdita, la sperimentazione o il congelamento degli embrioni umani. Si sa che la fecondazione in vitro extracorporea è celebre per questa manomissione di embrioni. Tutti ricordano il dibattito sulla distruzione degli embrioni congelati in Inghilterra, dibattito che si ripeterà alla prossima scadenza (forse quest'estate, quando un'altra «tornata» di embrioni arriverà al quinquennio). Ma il problema esiste anche dove il dibattito non c'è: nei laboratori italiani si attuano i congelamenti. Ricordo benissimo quando uno dei nostri centri più attivi dichiarava di avere più di mille embrioni congelati. È una realtà chiara ed agghiacciante, che per la prima volta si affaccia alla storia: esseri umani sono ibernati e sepolti lì, senza sapere per quale motivo.
Devo aggiungere che lo spreco di embrioni esiste anche in altre tecniche apparentemente meno visibili come responsabili di questi massacri; anche le tecniche di inseminazione artificiale non danno i risultati che dà la fecondazione naturale: c'è un'alta differenza in percentuale per cui in quel campo occorre individuare lo spreco di fecondazioni che non giungono in porto, vale a dire la provocazione di aborti in itinere dovuti anche alle tecniche di inseminazione o di GIFT.
La nostra impostazione ha quindi alcuni corollari. Innanzitutto, la proibizione della creazione di embrioni non destinati all'impianto; in secondo luogo, la necessità di tener conto delle perdite che possono verificarsi durante il processo di impianto e prima della nascita.
La seconda posizione che teniamo a mettere in evidenza è il principio famiglia, come lo chiamiamo noi. Riteniamo che le fecondazioni eterologhe siano inammissibili, oltre che per le ragioni scientifico-mediche enunciate dal professor Fiori, anche per lo scompaginamento delle relazioni fondamentali del nascituro: la paternità e la maternità, la consaguineità, la parentela sono relazioni inerenti ad ogni persona umana, primordiali, che vengono scompaginate dalla fecondazione eterologa.
Analogamente, la procreazione mediante la «madre surrogata» o mediante l'affitto di utero costituisce un ampliamento della relazione familiare che scompagina i legami parentali, a parte le ragioni di commerciabilità che ad essa ineriscono. L'unità della famiglia, affermata anche dalla nostra Costituzione, è fondata sul diritto di ogni genitore e di ogni coniuge di diventare padre e madre attraverso la persona dell'altro: è un punto nodale dell'unità della famiglia. Se si spezza questa unità dando ad un altro che sta al


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di fuori della coniugalità il diritto e la capacità di diventare padre o madre attraverso uno dei due escludendo l'altro si crea un grimaldello che fa saltare uno dei nodi fondamentali della civiltà, oltre che della nostra posizione morale intorno alla famiglia.
L'altro principio, condiviso non solo da noi dell'Istituto di bioetica dell'Università cattolica del Sacro Cuore, ma anche dal mondo cattolico e dal magistero, ha una sua fondazione razionale, che teniamo a proporre in ogni caso e con tutto il suo spessore. Mi riferisco al rispetto dell'atto coniugale, della sua fisionomia personalistica. Riteniamo quindi che la procreazione veramente umana sia quella che risulta da una donazione reciproca espressa attraverso l'atto coniugale degli sposi. Invece, tutte le tecniche di procreazione artificiale che sostituiscono questo atto e lo affidano all'esercizio della tecnica ed all'intromissione di altri elementi costituiscono uno snaturamento della procreazione umana, una perdita dell'aspetto personalistico della stessa.
Da questi principi naturalmente discende che tutte le tecniche di procreazione artificiale che sostituiscono l'atto coniugale (magari con l'aggravante della provenienza eterologa dei gameti o, aggravante ancora maggiore, della perdita di embrioni) derogano ad un parametro di piena umanità e liceità della procreazione.
È chiaro che, conoscendo le posizioni che si confrontano oggi nella cultura bioetica di questo periodo, riteniamo che almeno due punti siano irrinunciabili: quello che riguarda l'embrione umano in tutto il suo spessore, evitando la sua dispersione (bisogna quindi fecondare quell'embrione che verrà poi realmente avviato alla vita e consentire ad esso preliminarmente di nascere; ciò si riassume nel rispetto più scrupoloso di ogni embrione come persona umana) e quello che concerne la famiglia, tutelato dalla Costituzione, escludendo la fecondazione eterologa.
Non pensiamo che nel dibattito etico-giuridico la nostra posizione possa essere pienamente accolta, anche se ce lo auguriamo, ma ci aspettiamo che almeno possano essere tutelati questi due principi, evitando la dispersione programmata di embrioni umani e la procreazione eterologa. Su questi due aspetti noi affermiamo che non solo è in questione la fede cattolica ma anche la ragionevolezza ed i valori stessi della nostra Costituzione.

MARIA LUISA DI PIETRO, Ricercatrice dell'Istituto di bioetica dell'Università cattolica del Sacro Cuore. Premesso che, su incarico di monsignor Sgreccia, studio dal 1986 la fecondazione artificiale, vorrei fare alcune annotazioni che non riguardano problemi di diritto o etici, già trattati, per portare la vostra attenzione su varie questioni di natura medica e relative alle complicanze di tipo fisico e psicologico che recenti studi di follow up stanno mettendo in evidenza per quanto riguarda la fecondazione artificiale.
Il principio, giustamente sottolineato dal professor D'Agostino, che nel mondo europeo guida la legislazione in materia di fecondazione artificiale, cioè quello della tutela della salute (che consiste nell'affrontare la sterilità come patologia e studiare i modi per superarla), causa molte volte patologie maggiori di quelle che si vorrebbero superare. La donna in particolare e la coppia in generale si trovano completamente inermi di fronte alle proposte che vengono avanzate ed ai supplizi che vengono inferti; d'altra parte, l'embrione è ancora più inerme, tanto che qualche autore ha sostenuto che l'embrione umano, in seguito all'utilizzo di queste tecniche, sta diventando lo schiavo del duemila, che non potrà ribellarsi perché purtroppo non ha voce.
A proposito dei problemi che colpiscono la donna, essi sono di natura fisica e derivano dai danni provocati dalla iperstimolazione ovarica. Sapete che in ogni ciclo di procedura di FIVET o di GIFT la donna viene stimolata per avere più uova a disposizione, in modo da aumentare l'efficacia della tecnica. Questa iperstimolazione, se attentamente monitorizzata, può non provocare danni; ma oggi, nella frenesia di


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avere più cellule uovo, si verificano situazioni in cui la donna viene stimolata a produrre fino a 15-17 uova contemporaneamente. Ciò significa che, se confrontiamo tutto questo con la situazione normale di un'ovulazione per ogni ciclo, ci troviamo di fronte ad un evento abnorme. Si corre anche il rischio di provocare nella donna la cosiddetta sindrome da iperstimolazione ovarica, che può colpire in forma lieve, moderata o anche severa, fino a causare la morte della donna medesima.
Inoltre, studi di follow up stanno mettendo in evidenza - ma in questo campo occorre attendere altri risultati - il rapporto tra stimolazione ovarica ed aumentata incidenza di tumore ovarico. A questo bisogna aggiungere i danni tecnici provocati dall'esecuzione della pratica in sé ed inoltre i problemi legati ad una non attenta valutazione dei momenti in cui - ad esempio nell'ambito della FIVET o delle procedure GIFT - trasferire le uova o gli embrioni.
Se ci chiediamo perché la FIVET fa registrare percentuali così basse, la risposta è molto semplice: si crea una situazione particolare nel rapporto tra lo sviluppo dell'endometrio uterino e quello ovarico (e quindi il reperimento delle uova), per cui gli embrioni vengono trasferiti quando la donna non è ancora fisiologicamente «disposta» a riceverli e quindi vengono abortiti. È un'abortività che non si conteggia, perché viene definita «preclinica» e c'è l'usanza di dire che ciò che non si vede praticamente non accade.
Queste coppie non vengono informate su quello che verrà fatto loro né su quello che verrà fatto ai loro embrioni; ciò provoca spesso ricadute psicologiche molto gravi. Ci siamo trovati a fare consulenza a coppie disperate per essere passate attraverso questa procedura e soprattutto per la discrepanza che si era creata tra la loro attesa - anche fomentata da ciò che i mass media propongono soltanto nel positivo, cioè nei risultati - e gli stessi risultati ottenuti quando, dopo essere stati «ripuliti» di tutto ciò che avevano, non avevano avuto il figlio tanto sperato.
In secondo luogo, vi sono problemi relativi all'altro soggetto in causa. Quelli concernenti la perdita sono stati già sottolineati dal professor Sgreccia; io vorrei puntualizzarne altri. Anzitutto, vi è una pratica molto diffusa, quella della riduzione embrionale. C'è la prassi di trasferire tre, quattro o cinque embrioni contemporaneamente; molti sperano che non attecchiscano tutti, ma ciò accade e quindi si registra un'aumentata incidenza di gravidanze trigemellari, quadrigemellari, quinquegemellari, fino alla presenza di otto gemelli contemporaneamente. Ciò viene considerato nel mondo medico una situazione non proponibile: è una gravidanza che non può andare avanti. Si è allora pensato di ridurre queste gravidanze, cioè di uccidere una parte degli embrioni, vale a dire alcune delle vite che prima sono state così strenuamente ricercate, in una sorta di allegria schizofrenica per cui da una parte si cerca la vita e dall'altra la si sopprime.
Esistono molti studi in questo campo e si sono tenuti anche diversi congressi sul modo in cui si devono ridurre gli embrioni. Circolano video sull'introduzione di cateteri a livello cardiaco e sull'inoculazione di sostanze saline per bloccare questi piccoli cuori, che muoiono per arresto cardiaco.
Un altro problema è relativo alla prosecuzione della gravidanza. Studi di follow up hanno messo in evidenza che le tecniche di fecondazione artificiale causano un aumento della prematurità, del basso peso alla nascita e della mortalità perinatale. Se non si riesce a sottolineare - almeno in base allo studio dei risultati - l'aumentata incidenza o meno delle malformazioni genetiche in genere (anche perché gli embrioni individuati come malformati vengono eliminati prima di nascere), non si possono nascondere i risultati relativi ad un'aumentata prematurità e ad una più rilevante percentuale di nascite a basso peso. Ciò ricrea problemi che la medicina aveva in parte eliminato: si era riusciti ad arginare la prematurità ed il basso peso, mentre ora siamo di fronte a patologie che stanno


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incrementando grazie alle tecniche di fecondazione artificiale.
Per quanto riguarda i problemi genetici, studi di follow up stanno valutando i risultati delle più recenti tecniche di micromanipolazione, cioè di iniezione diretta di materiale spermatico nella cellula uovo. Si sta verificando che l'incremento delle patologie genetiche è legato soprattutto alla volontà di forzare la natura e di dare per forza ad un uomo, anche se geneticamente sterile, la possibilità di avere un figlio; insomma, si verifica il passaggio di queste patologie anche al figlio così ottenuto.
Dal punto di vista medico esiste un'altro problema. Il professor Fiori ha accennato alla fecondazione eterologa e all'anonimato. Noi medici ci troveremo un domani a dover chiedere al paziente: sua madre ha avuto il diabete, l'ipertensione arteriosa? E suo padre? Questo poveraccio non saprà come è nato e dirà ugualmente «sì» o «no». Il diabete e l'ipertensione sono patologie facilmente curabili; ma se ci troveremo di fronte alla necessità di individuare una patologia ereditaria particolare, per cui si dovrà effettuare l'indagine anche sui genitori, questi ultimi non saranno tali nel vero senso della parola. Non sapremo chi siano i veri genitori e quindi si creeranno molte difficoltà a carico del mondo sanitario; per non parlare poi dei problemi psicologici che graveranno un domani su questi bambini.
Monsignor Sgreccia accennava alle difficoltà dei bambini nati con la maternità surrogata o di quelli che hanno un padre genetico che non è il padre sociale. Ognuno di noi ha costruito la propria certezza e la propria identità sulla sicurezza di essere figlio di qualcuno, di persone specifiche. Già oggi spesso è molto difficile per i bambini adottati accettare questa situazione; ma l'adozione è un fatto sociale. In questo caso invece creiamo apposta bambini che avranno problemi.
Un'ultima notazione che mi torna sempre in mente è la seguente. Come sarà l'allocazione delle risorse una volta che la fecondazione artificiale diventerà un fatto accettato e che dovrà essere eseguito nelle strutture pubbliche? Quanto siamo disposti a stornare, in uno Stato che ha problemi sotto questo profilo, per pratiche simili, sottraendolo a tutti i pazienti che hanno bisogno di terapie costose e a lungo termine? Credo che il nostro compito principale sia anzitutto quello di proteggere e curare coloro che ci sono e poi eventualmente pensare anche ad altro.
Ritengo quindi che anche il problema economico vada considerato. Quanto meno si spenderebbe se si facesse una vera prevenzione della sterilità, una diagnosi ed una terapia delle situazioni patologiche?

PRESIDENTE. Mi pare che le vostre posizioni siano molto chiare. Invito i colleghi che vorranno porre domande ai nostri ospiti ad essere stringati per permettere loro di rispondere sul merito delle questioni e a tutti noi di far tesoro dei diversi punti di vista.

PAOLO POLENTA. Vorrei rivolgere una domanda rapidissima, augurandomi che la risposta sia semplice. Mi riferisco all'intervento del professor Fiori che, riguardo alla fecondazione eterologa, ha sollevato una questione fondamentale, cioè quella del diritto alla conoscenza del proprio DNA da parte del futuro soggetto. Si tratta di un diritto fondamentale che, credo, nessuno possa disconoscere. Come è possibile, ammesso che venga accettata la fecondazione eterologa, conciliare questo diritto fondamentale alla conoscenza con un diritto altrettanto importante qual è quello della riservatezza dei dati?

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Partendo dal principio americano della privacy, vorrei sapere dal professor D'Agostino perché per la clonazione Clinton abbia assunto una posizione diversificata, in quanto credo che nella concezione statunitense la clonazione dovrebbe rientrare in quel concetto.
Vorrei poi rivolgere al professor Fiori una domanda più o meno identica a quella del collega Polenta: nel caso della fecondazione eterologa è possibile, dal punto di vista psicologico, un'analogia con l'adozione


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comune, considerato che per quest'ultima non vi è il diritto all'informazione?
Da monsignor Sgreccia vorrei sapere se possa essere considerata donazione anche quella fatta al di fuori dell'atto coniugale, dal momento che qualunque tipo di relazione può essere equiparata a quest'ultimo.
Alla professoressa Di Pietro chiedo se l'aumento dei casi di prematurità e di basso peso alla nascita sia dovuto a motivi di ordine scientifico. Perché dovrebbero esservi più malformazioni? Sappiamo che nei primi tre mesi di gravidanza gli aborti sono soprattutto dovuti alle trisomie, in quanto vi è una specie di selezione dell'organismo materno nei confronti del malformato. Quindi, non si capisce perché dovrebbero essere in aumento i malformati, a parte il fatto che, come ha detto la dottoressa Di Pietro, vi sono anche gli aborti per malformazioni cromosomiche.

DINO SCANTAMBURLO. Innanzitutto, desidero ringraziare in nostri ospiti per il rilevante contributo offerto ai nostri lavori dal Comitato nazionale di bioetica attraverso lo studio ed il documento che ha prodotto.
Rispetto al primo dei due modelli citati, il professor D'Agostino ha parlato di una scelta personale, quasi insindacabile per la maternità, al di là di una normativa che fissi dei principi. Ma nel caso nostro una norma, pure nel rispetto della scelta personale di coscienza, che in questa come in altre materie è alla fine prevalente, è ritenuta necessaria, forse urgente?
Mentre da una parte importanti principi di bioetica sono condivisibili o condivisi, dall'altra vi è chi osserva che la scienza va comunque avanti e che la tecnica sperimenta. In questi due ambiti si pone il problema della legislazione. Vorrei quindi sapere da monsignor Sgreccia quanto il legislatore debba tener conto del primo e del secondo aspetto.

MARIA BURANI PROCACCINI. Rivolgo una domanda tecnico-scientifica alla dottoressa Di Pietro a proposito delle patologie genetiche. Mi risulta, ma potrei avere conoscenze limitate, che venga attuato uno screening quando avviene la fecondazione, cioè quando i due gameti si incontrano. Però mi risulta anche che di giorno in giorno si scoprono nuove patologie genetiche, per cui mi chiedo fino a che punto questo screening possa dare tranquillità e fino a che punto, invece, resti fuori tutta una serie di preoccupanti patologie di cui non abbiamo piena contezza.

GIACOMO BAIAMONTE. Vorrei sapere dai nostri ospiti come vedano, dal punto di vista bioetico, il rapporto tra la fecondazione eterologa programmata e le adozioni.

GIUSEPPE FIORONI. A proposito della procreazione medicalmente assistita, vorrei conoscere la posizione del Comitato di bioetica su un argomento che, a mio parere, è direttamente interconnesso, in quanto non vi è solo il problema della clonazione, e, più specificamente, della clonazione umana, ma anche altri che molti di noi avvertono provenendo da esperienze diverse: mi riferisco all'intervento di manipolazione genetica e all'intervento di bioingegneria, che afferiscono alla vita e alla morte, alla programmazione e alla selezione del tipo di vita. In questo contesto, qual è la posizione, dal punto di vista etico, di monsignor Sgreccia? Questi problemi sono stati affrontati all'interno del Comitato di bioetica? Come vi ponete rispetto alla clonazione umana e anche ad esperimenti che in tal senso sono stati compiuti, per motivazioni diverse, sugli animali e sui vegetali? Rivolgo queste domande tenendo presente il dibattito sulla stampa e la domanda rivolta prima dall'onorevole Scantamburlo, il quale ha ricordato che vi è chi dice che la ricerca non si può bloccare e che comunque deve andare avanti.

GIUSEPPE PALUMBO. Vorrei dire, anzitutto, che a me non sembra che vi siano prove sufficienti a giustificare certi allarmismi della dottoressa Di Pietro (per esempio sul ciclo ovarico). Voglio poi ricordare quanto pochi giorni fa ha detto a


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Vancouver il padre della riproduzione assistita all'inizio della sua relazione: «L'etica non è la legge e la legge non è l'etica». Sembrerebbe una forzatura ma è invece un'osservazione molto importante, soprattutto per noi che dobbiamo legiferare su questa materia.
A proposito della fecondazione eterologa, sulla quale si può essere più o meno d'accordo, il collega Fiori ha svolto delle puntualizzazioni scientifiche molto esatte. Sono d'accordo con lui però credo che le conoscenze acquisite al riguardo debbano essere ben catalogate ed inserite in una banca dati controllata ma alla quale sia possibile accedere. Sappiamo che la scienza va avanti e che oltre alla fecondazione eterologa vi sono tecniche che riescono a realizzare gravidanze, nell'ambito di un uomo e una donna, inimmaginabili fino a qualche anno fa (mi riferisco a quelle considerate impossibili nei casi in cui il maschio era ritenuto sterile a tutti gli effetti). A queste gravidanze si ricollegano, però, gli eventuali rischi cui accennava la dottoressa Di Pietro («eventuali» in quanto ancora non provati): si ritiene, per esempio, che l'aumento dei casi di malformazione sia dovuto alla mancanza della selezione naturale nella scelta dei gameti (maschile e femminile) che devono unirsi tra loro.
Per quanto riguarda l'allocazione delle risorse, se consideriamo la sterilità come una patologia da trattare, conseguemente, con la terapia adatta, è ovvio come anche in questo caso si ponga il problema del reperimento dei fondi necessari. Vorrei adesso soffermarmi un attimo sulla diagnosi preimpianto, che oggi si comincia a praticare e a proposito della quale alcune ricerche internazionali hanno provato che un'altissima percentuale di embrioni realizzati in laboratorio (circa il 60 per cento) presenta alterazioni cromosomiche tali da non renderli adatti, successivamente, all'impianto e, conseguentemente, all'inizio di una gravidanza. Premesso che oggi non si impiantano più sette o sei embrioni ma quattro o cinque al massimo, e di questi ne attecchiscono due o uno, vorrei conoscere la posizione dei nostri ospiti sulla diagnosi preimpianto che oggi può essere attuata.

CARMELO PORCU. Anzitutto mi scuso, signor presidente, per non aver potuto assistere alla prima parte dell'audizione dei nostri ospiti perché impegnato in altre Commissioni. Comunque, consulterò gli atti con molta attenzione.
Sappiamo qual è stato l'approccio tradizionale dell'uomo al problema della sterilità e conosciamo, anche dalla Bibbia e dal Nuovo Testamento, in che termini egli si è posto, nei vari periodi storici, di fronte alla sua difficoltà a procreare. Vorrei quindi sapere in che modo quest'ultima si estrinsechi oggi nella società attuale e quali effetti abbia nelle dinamiche sociali. Sottolineo anche il paradosso che esiste nelle società evolute dove, mentre da un lato si ricorre a strumenti sempre più moderni e sofisticati per superare la sterilità e le difficoltà a procreare, dall'altro vi è una sorta di fuga dalla maternità e dalla procreazione stessa. Dunque, da questo punto di vista, cos'è che sta avvenendo nel profondo della società?

AUGUSTO BATTAGLIA. È stato detto poc'anzi che la legge non è l'etica ed io aggiungerei che non è nemmeno la scienza. Credo, quindi, che il nostro compito sia quello di individuare una soluzione legislativa che si collochi nel giusto equilibrio tra l'etica e la scienza e le esigenze reciproche. Ma la difficoltà sta nel fatto che ci troviamo di fronte ad una ricerca in rapidissima evoluzione, come dimostrano le sperimentazioni di cui si legge spesso (proprio due o tre giorni fa, per esempio, è stato annunciato un ulteriore risultato che aprirebbe nuove possibilità in questo campo). Noi possiamo anche prevedere una legge che in qualche modo delimiti il campo ma deve essere comunque dinamica ed aperta perché potrebbe vivere diverse fasi, una sorta di sperimentazione, per cui resta il problema di chiarire il rapporto tra ciò che noi definiremmo sul piano legislativo, quindi il possibile campo di applicazione delle norme, e ciò che invece può favorire la prosecuzione di una ricerca che rischia


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di non poter ulteriormente evolversi se rigidamente incasellata nelle norme che definiamo.
Dobbiamo dunque pensare ad un meccanismo procedurale che risolva il problema, altrimenti rischiamo di avere un'applicazione di norme entro leggi delimitate più o meno rigide e una scienza che procede invece in maniera clandestina o, comunque, al di fuori di esse. Ritengo che i due problemi siano tra loro collegati, per cui chiedo in che modo sia possibile sviluppare questo rapporto e come prevedere qualcosa che garantisca che non si blocchi l'evoluzione della scienza e, allo stesso tempo, che la sperimentazione non percorra strade illecite.

MAURA COSSUTTA. Chiedo anch'io scusa perché non ho potuto ascoltare la relazione dall'inizio, però i nostri ospiti sono persone note, quindi credo che lo siano anche le posizioni che oggi hanno espresso. Pertanto, mi permetto di dare per consolidata la nostra reciproca conoscenza.
Vorrei porvi alcune domande ma soprattutto ragionare con voi, perché mi rendo conto della necessità di aprire un confronto di cui vi è tantissimo bisogno considerato lo spaesamento intellettuale ed emotivo rispetto alle scoperte scientifiche in atto. Credo che insieme si debba dare un senso alle scoperte, al loro significato ed alla loro utilizzazione per evitare il rischio di un inutile scontro ideologico che è ben lungi dalle mie intenzioni.
Ciò premesso, voglio subito sottolineare che condivido alcune riflessioni dei colleghi che mi hanno preceduto, perché ritengo che nessuno di noi possa restare neutrale rispetto a ciò che sta avvenendo nel campo delle scoperte scientifiche, sia per le loro conseguenze sia per le tecniche che potranno essere sperimentate in un inquietante, ipotetico scenario a venire: considerato che dopo il 2000 la popolazione prevalente sarà quella del terzo o del quarto mondo, vi è la forte preoccupazione che alla base di queste tecniche vi siano non tanto motivazioni di progresso, di risoluzione di alcune sofferenze umane, quanto interessi di tipo economico.
Credo, quindi, che alcune perplessità siano serie e condivisibili ma ritengo anche che sia obiettivamente necessario ed urgente individuare un terreno comune per una possibile legislazione. Penso che le discussioni e le scelte già attuate in Europa e in tutto il mondo siano avvenute su sollecitazioni di comitati per la bioetica di vario tipo. Ed è probabile - lo dico senza alcuna polemica - che anche in Italia il Comitato per la bioetica abbia incontrato difficoltà che hanno portato ad una contrapposizione di posizioni, con la conseguenza che anziché costruire un percorso semplice e più positivo si sono creati problemi (mi riferisco a defezioni autorevolissime) e, comunque, ferite che tutti paghiamo.
Dunque, su cosa possiamo e dobbiamo normare? Personalmente, sono per una cultura legislativa di tipo laico. Sono infatti convinta che tra chi è religioso e chi non lo è non sia possibile trovare un punto d'incontro sul piano del dogma, che è assoluto e che io in quanto tale rispetto, anche perché ritengo che sui principi non si possa e non si debba mediare. Credo invece che una condivisione sia possibile nel pensiero laico: tutti i legislatori che fanno riferimento alla cultura cattolica e che pure hanno acquisito una cultura laica hanno sempre utilizzato in modo attivo, mai passivo, anche i principi religiosi più rigorosi. A mio parere, la laicità dello Stato è il terreno più adeguato per garantire la libera scelta rispetto ai dogmi, ai principi di tipo religioso. Dunque, sul piano della laicità sono possibili i confronti tra diverse culture di riferimento e credo che la conquista più importante della cultura laica sia quella di aver costruito le basi non solo della civiltà ma delle reali regole di convivenza fra le persone. Quindi, anzitutto un riferimento alla cultura laica.
A me sembra, dunque, che su alcuni punti si possa normare, anche se non in modo organico e sistematico, perché ci riferiamo ad un campo in continua evoluzione. La legge deve risolvere alcuni problemi


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concreti ed evitare rischi altrettanto concreti. Si può quindi normare sulla regolamentazione dei centri, sulla sperimentazione, sulla questione gravissima del progetto genoma, quindi del rischio dell'eugenetica, nonché, per esempio, sul divieto del disconoscimento di paternità, su cui siamo tutti d'accordo.
La responsabilità dei legislatori, dei politici, dei comitati e delle associazioni è quella di costruire nella società un percorso di trasformazione culturale delle coscienze, il solo in grado di dare in tempi brevi una risposta a domande, preoccupazioni ed emozioni, e soprattutto quella di delineare un percorso che sia condiviso da culture che oggi, purtroppo, sembrano ancora molto lontane tra loro.

FRANCESCO D'AGOSTINO, Presidente del Comitato nazionale di bioetica. All'onorevole Cossutta, che ringrazio per l'amabilità con cui ha parlato della ferita che ha ricevuto il Comitato nazionale di bioetica, vorrei ricordare che il documento sulla procreazione assistita è stato approvato all'unanimità dal precedente Comitato, di cui facevano parte il professor Berlinguer, il professor Flamigni, la professoressa Rita Levi Montalcini, il professor Lecaldano. Quindi, qualunque sia il giudizio da dare sull'attuale Comitato, sulla fecondazione assistita il Comitato si era espresso all'unanimità, nel 1994, nella sua precedente composizione. Di ciò bisogna prenderne atto.
In particolare, mi piace sottolineare che il documento approvato all'unanimità ebbe due postille ulteriormente interpretative, una più restrittiva, una più aperturista. Credo che anche questa sia un'informazione utile, dal momento che per l'onorevole Cossutta era un Comitato «ferito» quello che si era pronunciato. Voglio quindi ribadire che è stato un Comitato «sano» questo che si è pronunciato sull'argomento. Oltre tutto, il documento sulla procreazione assistita di cui parlo fu approvato all'unanimità quando era presidente Ossicini, per cui non ne ho alcune merito.
Rita Levi Montalcini ha aderito alla postilla più restrittiva del documento. Ciò a dimostrazione del fatto, come sottolineavo all'inizio - l'onorevole Cossutta era forse assente - che il vero problema non è la contrapposizione tra cattolici e laici, perché la firma di Rita Levi Montalcini, sicuramente laica, è accanto a quella di monsignor Sgreccia, che senz'altro è un chierico.

ELIO SGRECCIA, Componente del Comitato nazionale di bioetica e direttore dell'Istituto di bioetica dell'Università cattolica del Sacro Cuore. Un chierico che tenta di ragionare!

FRANCESCO D'AGOSTINO, Presidente del Comitato nazionale di bioetica. Quando sento qualcuno riaprire il discorso sulla laicità, ripeto sempre che io sono assolutamente laico e che sfido chiunque a trovare, nelle cose buone o cattive, sciocche o intelligenti che dico, argomenti di tipo dogmatico. Posso dire delle sciocchezze, ma non ho mai pensato di nascondere i miei argomenti dietro riferimenti al magistero, al dogma o a Sacre scritture.
Concluso questo punto, passerei alle tante questioni che sono state sollevate iniziando da quelle poste dall'onorevole Palumbo, il quale ha detto, giustamente, che l'etica non è la legge e la legge non è l'etica. Allora, cos'è l'etica? L'etica è un'istanza di autoperfezionamento interiore. E che cos'è la legge? La legge può essere intesa in due modi assolutamente diversi: promozione della volontà individuale (il modello individualistico americano del diritto); tutela dei soggetti deboli (quello che definirei il modello europeo continentale). Credo, tornando a ciò che dicevo prima, che sia necessaria una scelta: se aderiamo all'idea che il diritto debba tutelare i soggetti deboli e che dopo si debbano promuovere tutte le volontà individuali meritevoli di tutela, si hanno già dei parametri molto nitidi per legiferare in tema di fecondazione assistita.
Rispondo ad altre questioni flash che mi sono state poste. Per quanto riguarda la posizione di Clinton sulla clonazione, mi


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risulta, dalle poche informazioni che ho, che l'atteggiamento del presidente Clinton e del comitato statunitense di bioetica ostile alla clonazione non contraddica il primato della privacy tipico della cultura anglosassone, perché la vera posta in gioco era se le ricerche sulla clonazione dovessero essere appoggiate da fondi federali. Manifestando sulla clonazione le perplessità etiche che conosciamo, in qualche modo si è ritenuto che nell'allocazione delle risorse non andasse privilegiato questo tipo di investimento. Non credo che negli Stati Uniti si sia posta la questione sulla liceità strettamente giuridico-penale delle sperimentazioni in materia.
È stato posto il problema del rapporto fra programmazione eterologa programmata e adozioni. Si tratta di temi immensi, per cui chiedo scusa della brevità della risposta: nell'adozione si cerca di dare una famiglia ad un bambino abbandonato o, comunque, privo di famiglia; nella fecondazione eterologa, invece, si vuole dare un figlio ad una coppia che è sterile. Quindi, dal punto di vista psicologico si tratta di due dinamiche non omologabili. Per questo è difficile che una coppia che si rivolge ad un centro di fecondazione assistita si convinca a chiedere un bambino in adozione, in quanto è significativamente diversa la prospettiva psicologica delle due ipotesi. Però, se diamo rimedio alla diversità psicologica che muove coloro che chiedono di adottare un bambino e coloro che si rivolgono ad un centro di fecondazione assistita, dobbiamo anche dare rilievo ad un problema molto sottile: se consideriamo che per una coppia o per una donna è tanto importante poter considerare il proprio figlio come figlio genetico, al punto da non volere un figlio adottivo, in quanto non figlio veramente genetico, ma un figlio che sia frutto dei propri gameti, comprendiamo molto bene uno degli aspetti della fecondazione eterologa: all'interno della coppia, uno dei due membri, in genere la donna, dà un assoluto rilievo alla procreazione genetica ma chiede al proprio partner di farsi surrogare, cioè di mettere tra parentesi quella realtà di procreazione genetica che per l'altro partner ha invece un'importanza assolutamente indiscutibile. Nella fecondazione eterologa c'è sicuramente una scissione dal punto di vista del rilievo che si dà al carattere genetico della procreazione. Questo spiega perché - ne abbiamo discusso molto nel Comitato di bioetica - all'interno della fecondazione eterologa vi sia sempre un partner più debole dell'altro: il partner che accetta di diventare genitore sociale, in genere il maschio - ma non esclusivamente -, è sicuramente in una situazione di maggiore fragilità psicologica dell'altro.
Per quanto riguarda le osservazioni dell'onorevole Battaglia, devo dire che il problema non è certo quello di porre limiti alla scienza. Guai se la legge lo facesse, perché la scienza è uno dei più grandi valori etici di cui l'umanità è in possesso. Il desiderio di conoscere è sempre buono in sé stesso o, se preferite, è sempre eticamete negativo il desiderio di non conoscere piuttosto che quello di conoscere. Il problema attiene alle tecniche che si adottano per aumentare la conoscenza. Allora, tanto per citare ancora una volta i famosi esempi banali che vengono sempre riportati, ricordo che i famosi esperimenti di medicina disumana che ponevano in essere i nazisti nei campi di concentramento erano aberranti non dal punto di vista delle cognizioni che si volevano acquisire ma dal punto di vista del metodo che si adottava, in quanto tragicamente disumano.
Quindi, non credo sia difficile elaborare una legge intelligente che, da una parte, riconfermi l'assoluta autonomia della scienza - oltre tutto, quest'ultima è un valore costituzionale, per cui non è neanche possibile immaginare che una legge possa porre limite alla ricerca scientifica -, dall'altra, sottoponga a controlli etici le modalità della ricerca scientifica stessa. Fondamentalmente, è questo il problema che si era posto Clinton: è giusto o meno finanziare con miliardi di dollari progetti inerenti alla clonazione che, dal punto di vista delle tecniche adottate, fanno nascere questioni così gravi?


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ANGELO FIORI, Vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica. Vorrei anzitutto premettere una breve riflessione all'intervento dell'onorevole Battaglia, perché si connette direttamente a ciò che ho detto in premessa.
Soprattutto nel campo della genetica, che è la scienza dell'avvenire, la velocità delle conoscenze è di mesi non di anni, per cui come cittadino adesso non riuscirei ad immaginare una legge che, sull'esempio francese, non avesse un termine di almeno cinque anni. Non riuscirei nemmeno ad immaginare che non vi sia l'osservatorio che è stato previsto, a proposito del quale per me è essenziale che non siano presenti persone che possano causare un conflitto di interessi. Infatti, in questo momento troppi soggetti che praticano la fecondazione artificiale intervengono pesantemente su un problema a proposito del quale dovrebbero essere, a mio avviso, assolutamente estranei, semmai limitandosi a fornire delle informazioni. Se così non fosse, credo che questo osservatorio, nel caso che venga istituito, sarebbe già morto in partenza.
In merito al problema della riservatezza e all'analogia con l'adozione, aggiungerei anche il requisito della conoscenza, a proposito della quale vorrei esplicitare meglio quanto ho detto prima. Per il marito che accetta la fecondazione eterologa - a volte può essere la donna - si pone una questione che oggi in medicina è diventata primaria, quella del consenso informato, che non è certo disinformato, cioè reticente. Perché sia così, bisogna che a quell'uomo o a quella donna venga fornita la possibilità di giudicare il donatore: non deve conoscere la figura fisica del donatore ma le caratteristiche del suo seme, altrimenti il consenso non è realmente informato ma falsato da chi ha interesse a pilotare la fecondazione.
Passando ad un altro punto, a me sembra che secondo la legislazione europea, ormai la più avanzata, il minore dovrebbe avere il diritto di conoscere le proprie origini genetiche. Ciò non significa che al padre sociale sia consentito il disconoscimento della paternità, disconoscimento che invece è consentito al minore nel caso in cui il padre sociale sia un delinquente, un criminale.
Sul tema dell'adozione, ci risulta che i parecchia giudici minorili che abbiamo interpellato siano sovraccarichi di domande di minori adottati che vogliono conoscere il padre naturale. A questo proposito, una sentenza della Corte d'appello di Palermo ha riconosciuto il diritto del minore di conoscere il padre con la motivazione dell'interesse alla salute (articolo 32 della Costituzione). Quindi, premesso che per il minore è un diritto conoscere la propria appartenenza, come si può conciliare l'esigenza della conoscenza con quella della riservatezza? È chiaro che non devono essere messe in piazza le informazioni contenute nelle banche dati, ma non vorrei che dietro la riservatezza si nascondesse la mancanza di conoscenza. Oggi gli strumenti della conoscenza scientifica sono tali per cui tutti hanno diritto di avvalersene.
Mi chiedo anche come sia possibile che con il codice civile vigente dal 1975 sia ammissibile l'esistenza di due categorie di cittadini: quella che ha diritto, attraverso un procedimento civile, al disconoscimento o al riconoscimento di paternità; quella alla quale normalmente viene preclusa questa conoscenza. A mio avviso, ciò è incostituzionale. È questa la ragione principale che rende impossibile, con le conoscenze scientifiche di oggi, l'anonimato nella fecondazione eterologa. Sarebbe un'operazione antistorica inserire questa previsione; anzi, un'operazione antiscientifica e contraria al principio del consenso informato. Oltre tutto, stante la velocità delle conoscenze, non si dovrebbe emanare una legge che richieda anni e anni prima di essere modificata. Vi chiedo scusa perché questo è un mio parere personale, ma non potevo non esprimerlo.

ANTONIO SAIA. Chiedo scusa se intervengo nonostante abbia già preso la parola, per il mio gruppo, la collega Cossutta. Però sono sollecitato a farlo dall'intervento del professor D'Agostino, al quale vorrei dire che vi sono due o tre punti delle sue


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argomentazioni che non mi hanno convinto.
Anzitutto, credo che la scelta tra la procreazione diretta e l'adozione più che ad un fatto genetico risponda a una serie di altri fattori: soprattutto nella donna, per esempio, al rapporto importantissimo che si crea tra lei e il feto durante il periodo della gestazione, nonché al fatto che si tratta di un bambino che è lei a mettere alla luce; nel caso dell'adozione, invece, vi sono sempre dei rischi a cui si va incontro. Credo che siano questi i fattori fondamentali che muovono la scelta di uno dei coniugi. Non credo che si tratti di una scelta genetica. Poi è probabile...

PRESIDENTE. Onorevole Saia, la invito a rivolgere delle domande, altrimenti anche i colleghi che sono già intervenuti possono chiedere nuovamente la parola. Lei sa che non è questo il nostro modo di procedere, anche perché sono altre le sedi in cui sviluppare tra noi il dibattito su questi argomenti.

ANTONIO SAIA. Per quanto attiene alla libertà della scienza, credo anch'io che non si debbano mettere dei freni, però mi chiedo se sia etico lasciare che la scienza vada per conto suo, magari obbedendo solo a scelte di mercato. Non sarebbe invece più etico che fossero gli stati stessi ad assumerne il finanziamento, in modo che venga indirizzata soprattutto nella direzione più utile?
Ho anche molte perplessità sulle scelte del controllo eugenetico, perché sono esse che possono portare alle degenerazioni dei nazisti che sono state poc'anzi ricordate. Che cosa è buono? Per i nazisti era buona la razza ariana, domani per qualcun'altro potrebbe essere un'altra cosa ancora. Credo che in ogni gene umano vi sia il buono ed il cattivo e che siano altri fattori, per esempio le condizioni sociali, le abitudini, le privazioni, eccetera, a far prevalere in ogni uomo il bene e il male. Non penso che vi siano individui geneticamente buoni.

PRESIDENTE. Onorevole Saia, su queste questioni credo che il professor D'Agostino le risponderà in privato.

ELIO SGRECCIA, Componente del Comitato nazionale di bioetica e direttore dell'Istituto di bioetica dell'Università cattolica del Sacro Cuore. Tralasciando i temi sui quali hanno già replicato il professor D'Agostino e il professor Fiori, mi limiterò a rispondere a tre domande, lasciando alla collega Di Pietro le questioni che hanno un rilievo tecnico.
Ci è stato chiesto se la donazione di gameti nell'ambito della procreazione artificiale non sia la stessa cosa della donazione di sé attraverso l'atto coniugale. Credo che non ci si debba sforzare molto per capire che si tratta di due atti diversi: il primo obbedisce alla meccanicità dell'operazione compiuta da altra persona (i gameti sono messi insieme da un operatore che non è il coniuge, per cui non ha ragioni di affettività ma di tecnicità); l'atto coniugale è invece l'espressione della donazione della totalità della persona, non di un suo elemento biologico separato ma di tutta se stessa, cioè del suo fisico e del suo spirito. Tra questi due fatti vi è quindi una differenza abissale, almeno per noi personalisti: uno obbedisce al meccanicismo, l'altro alla relazionalità delle persone.
In merito alla manipolazione genetica e alla selezione - oggetto di un'altra domanda -, il biologo laico Testart, anticattolico e tra i primi a praticare la fecondazione artificiale in Francia, sostiene che quest'ultima è oggi il meccanismo più temibile per l'assegnazione eugenistica: tra la scelta del donatore e la diagnosi preimpianto e prenatale vi è una sequenza di atti selettivi che consentono di fare oggi ciò che è stato tentato, senza riuscirci perché mancavano gli strumenti, ai tempi dell'eugenismo nazista. Quindi, su questo punto l'allarme eugenico è estremamente importante. Per alcuni è la ragione fondamentale del rifiuto dell'artificialità, dell'intervento del meccanicismo nei processi di procreazione artificiale.
L'onorevole Porcu ha posto il paradosso del fatto che mentre da una parte si


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soffre per la sterilità, dall'altra vi sono mille prodotti chimici, strumenti meccanici e politiche volti alla sterilizzazione dei popoli del terzo mondo (quest'ultima realtà non va dimenticata ma sottolineata). La sterilità resta senz'altro una sofferenza, un male anche al di fuori di ciò che è scritto nella Bibbia, ma non vi si può porre rimedio tramite quello che noi riteniamo essere un male peggiore. La sterilità deve essere prevenuta sia ricercandone le cause, che sono sono dovute a comportamenti individuali, all'ambiente in cui si vive, al clima, al genere di vita, sia con terapie dirette. In merito a queste ultime, vi sono differenze molto importanti: nel caso che le tube siano occluse, per esempio, il ricorso alla microchirurgia è una terapia; la FIVET, invece, non è una terapia ma un bypassare un organismo che resta comunque affetto da patologia. Dobbiamo privilegiare le ricerche che mirano a restituire all'organismo umano la sua funzionalità, stando invece molto attenti a ciò che si fa in maniera surrogatoria tramite le pratiche di procreazione artificiale.

MARIA LUISA DI PIETRO, Ricercatrice dell'Istituto di bioetica dell'Università cattolica del Sacro Cuore. Voglio anzitutto rispondere all'onorevole Palumbo. Io non ho detto che vi è una sicurezza di rapporto tra stimolazione ovarica e ciclo ovarico ma che vi sono studi di follow-up che si stanno occupando dell'argomento. Quindi, un eventuale osservatorio dovrebbe tener presenti i rapporti tra interventi da una parte ed eventuali conseguenze dall'altra.
Per quanto riguarda l'osservazione dell'onorevole Lucchese a proposito di un aumento dei casi di prematurità e di basso peso alla nascita, credo che ciò sia anzitutto legato ad una incrementata incidenza di gemellarità alla quale solitamente, per natura, non eravamo abituati. È vero che adesso vi sono delle direttive, anche da parte dell'associazione medica mondiale, affinché non siano trasferiti più di tre embrioni contemporaneamente, proprio per evitare il problema della gemellarità, ma è anche vero che nella sola Italia vi sono diversi ospedali in cui sono ricoverate donne che vengono sottoposte alla riduzione embrionale, a proposito della quale, comunque, va detto che vi sarà sempre un motivo per cui la donna che ne aspetta tre ne vorrà solo uno anche se gli altri embrioni sono compatibili con la prosecuzione della gravidanza, così come la donna che ne aspetta due ne vorrà ugualmente uno. Questi temi sono stati ampiamente affrontati anche su riviste internazionali. Quindi nel momento in cui si introduce una prassi, vi sarà sempre un motivo per non volerne tre, due o magari nessuno.
Per quanto riguarda il problema dell'aumentata incidenza di malformazioni, credo che all'onorevole Lucchese abbia risposto l'onorevole Palumbo, che ringrazio. Indubbiamente, vi è un'aumentata incidenza di malformazioni che non arrivano all'evidenza della diagnostica prenatale postimpiantatoria o non arrivano all'evidenza alla nascita in quanto vengono eliminate prima con la diagnosi preimpianto. Personalmente, quest'ultima non la considererei una conquista ma una sconfitta se gli embrioni di individui umani sono selezionati in questo modo. È vero che si dice che anche in natura coloro che sono portatori di una qualche patologia cromosomica grave non andranno avanti, ma credo che il mestiere del medico non sia quello di pareggiare i conti con la natura ma, anzitutto, quello di vedere di raddrizzare ciò che in natura non va bene. Infatti, se da una parte si combatte per cercare di ridurre l'abortività spontanea, la cosiddetta sindrome dell'aborto ripetuto, spontaneo, è assurdo che dall'altra parte si cerchi di pareggiare i conti aumentando l'abortività spontanea (peraltro tra virgolette, perché dipende dalla tecnica).
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Burani in merito allo screening del donatore, credo che non sarà sufficiente neanche se fosse attuato per individuare tutte le patologie genetiche, perché ne saranno sempre scoperte delle altre. Inoltre: va bene lo screening sul donatore, ma la donna? Non devo valutare se essa è portatrice di patologie genetiche? E non una sola donna, perché se utilizzo lo stesso


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sperma per cinque donne, devo ripetere per tutte la stessa batteria di esami. E cosa devo fare se poi, per caso, una qualche patologia che non avevo previsto si manifesta al momento della fecondazione e della ricombinazione dei patrimoni genetici?
Quindi, nel momento in cui si innesca una mentalità di tipo eugenistico non si sa dove si va a finire. Per esempio, chi dovrà pagare tutti questi esami, che costano molto più di centomila lire?
Per quanto riguarda il problema ICSI ed eterologa, è indubbio che utilizzare la ICSI, cioè la tecnica di inserimento della testa dello spermatozoo direttamente all'interno del citoplasma dell'uovo consente di superare alcuni casi gravi di sterilità maschile, per cui porterebbe a non ricorrere alla fecondazione eterologa. Però non elimina il problema, per esempio, della manipolazione, che avviene comunque, di questa vita nascente. Inoltre, noi conosciamo le ICSI che hanno avuto successo ma non quante ne sono state provate prima di arrivare a quel successo. Purtroppo, questi dati non ci vengono forniti.
Gli studi pubblicati su riviste internazionali stanno cercando di valutare se vi sia un'aumentata incidenza di malformazioni indotte proprio dalla ICSI, non tanto per quanto attiene al fatto tecnico in sé quanto per ciò che riguarda il voler superare a tutti i costi una barriera, quella di una sterilità maschile, che per altri versi non era superabile e che, nel caso che lo sia, potrebbe poi comportare la presenza, nell'embrione eventualmente ottenuto, della stessa patologia.
Auguro buon lavoro a questa Commissione perché la materia che deve affrontare è delicatissima. Spero che vi interroghiate veramente su questi problemi di vitale importanza. In questo caso, infatti, non si tratta di una legge di carattere finanziario ma di una normativa che riguarda i problemi della vita e della famiglia, per cui è in gioco una posta veramente alta.

PRESIDENTE. Credo che l'incontro odierno sia stato di grande utilità, anche se i temi affrontati sono talmente vasti che vi sarebbe stato forse bisogno di più tempo per approfondirli, in particolare per quanto riguarda i limiti che una legge che regoli la procreazione medicalmente assistita deve avere (limiti non alla scienza ma alla sua applicazione, limiti riguardanti la clonazione e le manipolazioni genetiche, per esempio). Credo che vi saranno altre occasioni di incontro e comunque sin d'ora vorrei tranquillizzarvi sul fatto che abbiamo superato la fase di contrapposizione tra il punto di vista laico e quello cattolico: siamo alla ricerca di un'etica condivisa, di cui sentiamo tutta la responsabilità, dottoressa Di Pietro, per scrivere finalmente delle regole che siano in linea con quelle degli altri paesi.

La seduta termina alle 11.10.