X COMMISSIONE
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

INDAGINE CONOSCITIVA
SUL SETTORE DELL'ENERGIA


Seduta di martedì 27 maggio 1997


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La seduta comincia alle 11.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità dei lavori venga assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'ENEL Spa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul settore dell'energia, l'audizione di rappresentanti dell'ENEL Spa.
L'odierna seduta è la prima che svolgiamo nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul settore dell'energia deliberata da questa Commissione previo assenso del Presidente della Camera dei deputati, il quale ha indicato come data di conclusione il prossimo mese di luglio; dunque dovremo concludere i nostri lavori entro il 31 luglio.
Ricordo che il Presidente della Camera dei deputati, con lettera dello scorso 4 febbraio, ha comunicato che essendo stata disposta la redazione del resoconto stenografico per i lavori della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, data la limitata dotazione dell'organico dei funzionari stenografi, la stampa dei resoconti delle audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva potrà subire ritardi che l'impegno dei funzionari stenografi - ai quali va il nostro ringraziamento - consentirà comunque di limitare.
Per l'ENEL sono presenti il dottor Enrico Testa, presidente, il dottor Franco Tatò, amministratore delegato, il dottor Claudio Poggi, direttore generale, il dottor Gianfranco La Porta, relazioni istituzionali, il dottor Mario Barozzi, assistente dell'amministratore delegato, ed il dottor Pierluigi Celli, direttore del personale.
Ricordo infine che la documentazione predisposta dall'ENEL sarà distribuita ai commissari ed allegata al resoconto stenografico della seduta odierna.
Do la parola al dottor Testa, presidente dell'Ente.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Ritengo che oggetto dell'audizione sia l'accordo intercorso tra ENEL ed ENI; tuttavia siamo disponibili ad affrontare qualsiasi altra questione. Se lei è d'accordo, signor presidente, organizzeremmo l'audizione con l'illustrazione del quadro d'insieme (i diversi prospetti sono pubblicati in allegato) e dei motivi posti a base dell'accordo da parte del dottor Tatò. Ad essa potrebbero seguire le domande dei membri della Commissione, ferma restando la disponibilità a rispondere a tutte le domande che rivolgerete.
Se non ha obiezioni, passerei la parola al dottor Tatò, amministratore delegato.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Al fine di comprendere gli obiettivi che intendiamo raggiungere con l'accordo ENI-ENEL, si deve riandare al 1962. L'ENEL è stata costituita, com'è noto, nel dicembre del 1962, all'epoca della nazionalizzazione, con l'obiettivo di elettrificare il paese, obiettivo che è stato raggiunto.
Dal prospetto relativo al processo di elettrificazione si evince che, dal 1963 al 1996, la popolazione non servita


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dall'elettrificazione passa da un milione 700 mila abitanti a centomila, che noi stimiamo essere i nomadi, i pastori delle montagne più lontane. Nel medesimo prospetto è indicato il numero di chilometri di linee elettriche realizzate in quegli anni.
Tra il 1963 e il 1996 l'ENEL ha realizzato investimenti per 277 mila miliardi, con un picco raggiunto nel 1991 con 11 mila 700 miliardi; dopo di che il livello è precipitato per quello che chiamiamo effetto Tangentopoli. Quest'ultimo, infatti, ha portato ad una riduzione del costo dei nostri investimenti pari a circa il 30 per cento, ma si tratta di una caduta di prezzo, non di quantità. Ovviamente Tangentopoli ha prodotto anche un rallentamento nell'approvazione degli investimenti per i cambiamenti legislativi introdotti, che hanno inciso sugli appalti. Ultimamente abbiamo anche registrato difficoltà nell'approvazione degli investimenti o nella loro realizzazione in conseguenza dell'opposizione a tutti i livelli, in particolare a quello locale, alla realizzazione degli impianti. Anzi, questa è la maggior difficoltà che incontriamo.
Nel 1996 si sono registrati investimenti per 7.347 miliardi, con una diminuzione dell'1,5 per cento rispetto al 1995 che non è conseguenza di tagli effettuati dall'anno 1996, dato che i nostri investimenti sono pianificati a lungo termine. Dunque, migliore utilizzo della leva prezzo da un lato, e ritardi nelle autorizzazioni, non dipendenti da noi, dall'altro.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO CARLI

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Se si procede alla sovrapposizione della curva degli investimenti a quella dei consumi, si constata che l'ENEL ha investito troppo. Ciò è abbastanza evidente perché fin dal 1975 la curva dell'incremento dei consumi scende e gli investimenti dell'ENEL salgono. Siamo alla conclusione di un ciclo in cui è evidente che abbiamo investito abbastanza: questa è una delle conclusioni da trarre.
È stato completato il processo di elettrificazione del paese, ossia uno degli obiettivi principali della privatizzazione, tant'è che l'energia elettrica è disponibile dappertutto. A questo punto l'ENEL deve, in un certo senso, guardare al suo interno, riposizionarsi e ripensare al suo futuro, perché se riproponesse le modalità seguite finora si posizionerebbe economicamente in modo sbagliato, danneggiando la competitività del paese perché aumenterebbe il costo della produzione e della distribuzione dell'energia elettrica.
L'Ente elettrico, che era arrivato a perdere 2.500 miliardi, a seguito della trasformazione in società per azioni ha ottenuto dei profitti consistenti, anche se contemporaneamente è iniziato lo «smagrimento» dell'organizzazione, con pensionamento di dipendenti e conseguente ristrutturazione allo scopo di pareggiare il rapporto costi-ricavi.
In questa situazione si inseriscono i cambiamenti del quadro normativo che hanno inizio nel 1994-1995 e diventano acuti nel 1996. I principali cambiamenti riguardano la direttiva europea che indica la necessità della liberalizzazione del mercato elettrico. Si può discutere se la liberalizzazione ci sarà nel 1997 o nel 1998 e come avverrà, cioè quanta percentuale di mercato verrà resa disponibile per i cosiddetti utenti eleggibili, credo però che si debba considerare, nello sviluppare i nostri piani prospettici, che è un dato di fatto.
A questo dovremmo aggiungere il documento ClÃ, non quello De Paoli-Carpi, per il semplicissimo motivo che il primo è più conservatore in termini di liberalizzazione. È un documento che mantiene l'ENEL nella sua unitarietà, non tenta di suddividerlo ulteriormente; non lo ristruttura, ma prevede, in applicazione della direttiva europea, una segmentazione dell'azienda nelle tre attività principali della distribuzione, della trasmissione e della produzione e, soprattutto, la societarizzazione della attività di produzione entro il maggio 1998.


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Il documento Clà è il minimo che ci poteva capitare, quindi dobbiamo considerarlo un elemento di fatto delle nostre previsioni. A questo dobbiamo aggiungere la lettera che l'azionista ha inviato al consiglio di amministrazione, all'inizio della nostra attività, nel luglio 1996, nella quale si sottolinea che il nostro compito è valorizzare e privatizzare. Il nostro commento è che noi valorizziamo e prepariamo l'azienda, ma alla privatizzazione dovrà provvedere l'azionista che ha le azioni; è lui che dovrà venderle.
Abbiamo dunque provveduto a riorganizzare l'impresa che ci è stata consegnata. Questo è l'ENEL che il presidente Testa ed io abbiamo trovato nel luglio del 1996, cioè un'azienda unica completamente accorpata, con un numero incredibile di livelli gerarchici e di funzioni distribuiti sul territorio, in 8 aziende. Vi era una testa pesante e complessa articolata in 8 imprese, quasi onnicomprensive, sul territorio nazionale. In applicazione delle tre direttive di cui ho detto precedentemente, questa è la nuova organizzazione: a partire da settembre-ottobre dello scorso anno sono cominciati gli studi, le analisi, le riorganizzazioni; l'azienda che ora trovate, che tendenzialmente ha circa 90 mila dipendenti (i dirigenti sono passati da 1.350 a 1.090 a fine d'anno), è organizzata come una corporate relativamente sottile, ancora in fase di «smagrimento», con compiti di indirizzo e di controllo.
I tre pilastri dell'attività elettrica nazionale sono produzione, trasmissione e distribuzione, articolati rispettivamente in 19, 8 e 14 direzioni territoriali, e a fianco le 6 attività di servizio, scorporate dall'attività precedente. Prima la distribuzione del personale delle strutture era proporzionale alla struttura gerarchica, indipendentemente dalla necessità della stessa; nella riorganizzazione, queste attività sono state strutturate unitariamente, come aziende capaci di fornire un servizio alle tre divisioni operative, come se fossero aziende indipendenti che se ne servono in una logica di outsourcing. Questo per dare la possibilità anche a queste attività, che sono estremamente pesanti dal punto di vista sia degli investimenti sia del personale impegnato, dotate anche di strutture di elevata competenza tecnica, di servire in maniera economica l'impresa, o le tre divisioni, e anche di rivolgersi all'esterno offrendo i loro servizi.
In questo periodo abbiamo riassegnato 1.171 incarichi manageriali; ciò per dimostrarvi che non è stato un periodo di tranquillità interna nell'azienda. Ciò è avvenuto tutto sommato senza grandi scosse e senza problemi sindacali; non abbiamo avuto un'ora di sciopero per questo scopo. Gli scioperi, se sono avvenuti, sono stati causati dal documento Carpi, dallo «spezzatino» e da altre questioni, ma non abbiamo avuto problemi sindacali seri nella nostra ristrutturazione aziendale, effettuata in accordo con le organizzazioni sindacali.
Il nuovo assetto territoriale è stato realizzato con i criteri esposti: abbiamo praticamente chiuso gli 8 compartimenti e i 22 distretti e abbiamo creato 41 direzioni territoriali, sacrificando 2 livelli gerarchici e avvicinandoci al territorio. Ovviamente queste direzioni territoriali hanno poteri molto superiori: praticamente abbiamo trasferito a livello delle 41 direzioni i poteri che prima erano degli 8 compartimenti, con un accrescimento di responsabilità operativa a livello territoriale.
La struttura delle zone - circa 140 - non è stata toccata; è questa la struttura che interfaccia direttamente la clientela. Abbiamo toccato le funzioni di sostegno, di pianificazione e di amministrazione, non quelle operative dirette, che hanno impatto sulla fornitura di energie elettrica. I criteri in base ai quali sono state valutate le dimensioni delle direzioni e dello staff ad esse assegnato sono riportati nell'ultima riga del prospetto relativo alla riorganizzazione dell'assetto territoriale.
A questo punto, ci siamo domandati quale sarà lo scenario più probabile, sulla base di quanto abbiamo detto, nell'anno 2003: le nostre previsioni sono per una continua frenata dei consumi elettrici. Tale frenata è tipica non solo dell'Italia ma di tutti i paesi industrializzati, in questo momento. Si è concluso il processo di


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elettrificazione e quindi non beneficiamo più dell'incremento di fatturato derivante da un aumento consistente degli utenti; nel contempo, possiamo dire che per la prima volta le previsioni sono per un incremento dei consumi elettrici nel futuro inferiore all'incremento del PIL, mentre finora mediamente è stato superiore fino allo 0,8 per cento.
Il secondo scenario è quello conseguente alla liberalizzazione del mercato: abbiamo preso come ipotesi quella dell'applicazione della direttiva europea, vale a dire di una liberalizzazione del 30 per cento del mercato nel 2003. Come potete vedere nel relativo prospetto, la quota ENEL diminuisce dall'attuale 66 al 40 per cento; la quota dei cosiddetti autoproduttori (quelli privati) passa dal 16 al 20 per cento; quella delle municipalizzate scende dal 4 al 3 per cento, perché anche loro perdono proporzionalmente il 30 per cento di utenti eleggibili; le importazioni, che oggi sono pari al 14 per cento, passano al 7 per cento, in quanto scadono alcuni contratti take or pay, sottoscritti dall'Ente elettrico all'epoca della rinuncia al nucleare (l'Italia ha rinunciato a produrre l'energia nucleare ma l'importa dalla Francia; questa è la situazione). Ovviamente noi pensiamo che il restante 7 per cento vada sul mercato libero, cioè che qualche trader o qualche broker comperi energia a basso prezzo dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia o dalla Francia e la immetta sul mercato dei consumatori eleggibili. A questo punto, quando diciamo che l'ENEL passa dal 66 al 40 per cento, la domanda che sorge è la seguente: che cosa facciamo degli impianti di produzione se all'Ente non è concesso di servire il mercato libero? Ovviamente all'ENEL non può, come società per azioni, essere direttamente concesso di servire il mercato libero, perché altrimenti avremmo un finanziamento da parte delle bollette, degli eventuali profitti dell'attività sul mercato libero, in concorrenza con dei privati che dovessero immettersi sul mercato; non vi sono segni, in questo momento, di privati che mettono mano al portafoglio per investire nel mercato, ma comunque, se lo facessero, avrebbero chiaramente uno svantaggio nei confronti di una società che realizza profitti in condizioni di monopolio sugli utenti vincolati e scarica una parte di tali profitti per crearsi una situazione di privilegio sul mercato libero. Questo può avvenire soltanto con una chiara distinzione, anche societaria, per continuare a servire questa parte di mercato che oggi noi serviamo.
Va inoltre ricordato che la capacità di produzione dei cosiddetti autoproduttori, nel periodo considerato, aumenta dai 3.500 megawatt circa di oggi agli 8.000 che sono stati approvati sulla base del provvedimento CIP n. 6 (recentemente fermato, ma 8.000 megawatt sono stati approvati e quindi entreranno in produzione). Si tratta di una produzione che viene venduta dai produttori privati nella sua totalità all'ENEL; il produttore privato vende la totalità della produzione che non utilizza per scopi interni e la vende senza riguardo alle necessità del mercato, che in un certo senso vengono trattate dall'ENEL, che deve fermare o attivare impianti a seconda dell'aumento o della diminuzione della richiesta sulla rete. Il privato rifornisce e basta. L'ENEL paga l'energia che compra dai privati, i quali possono quindi produrre in condizioni ottimali di efficienza (oltre 7.000 ore di funzionamento degli impianti, dedicando l'attenzione esclusivamente alla gestione dei costi) e ottengono per questo un prezzo sovvenzionato, che copre tutto il costo dell'impianto nei primi otto anni e sovvenziona la produzione per ulteriori quindici anni. È ovvio che nessuno dei cosiddetti imprenditori privati ha la tentazione di servire con questi impianti il mercato libero, nel quale deve contrattare prezzi e quantità volta per volta, quando può comodamente rifornire un cliente solvibile come l'ENEL, ottenendo oltre tutto, come compenso di questo rischio eccezionale, un prezzo assolutamente premiante. È questa una situazione che, per chi viene dai mercati competitivi, appare abbastanza stravagante: dove c'è più rischio dovrebbe esserci più profitto, invece abbiamo una situazione in cui, in assenza di rischio, ci sono profitti


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eccezionali. Non sta a noi giudicare queste situazioni, ma dobbiamo prendere atto che, parlando per esempio di caduta degli investimenti dell'ENEL, la produzione elettrica viene fatta dai produttori privati, indipendenti. I prossimi 5.000 megawatt immessi sul mercato sono forniti da produttori indipendenti e non dall'ENEL; non si può dunque chiedere all'Ente di continuare ad investire nello stesso modo, anche perché i consumi stanno diminuendo.
Scusate se mi sono dilungato, ma ritengo abbastanza importante che sia chiaro il quadro di riferimento in termini assolutamente obiettivi.
La considerazione finale è che se la nostra produzione e la nostra distribuzione devono passare dal 66 al 40 per cento, se il dovere degli amministratori è quello di valorizzare l'azienda e di mantenere il rapporto costi-ricavi ad un livello accettabile per l'azionista, bisogna ridurre le risorse in maniera proporzionale.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE NERIO NESI

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Se non dovessimo farlo per questo motivo, dovremmo farlo per mantenere la competitività del paese a livello internazionale.
Nel prospetto relativo allo scenario al 2003 in ordine al recupero di efficienza, vediamo i dati di un batch marking eseguito dalla McKinsey da cui si evince che, per gigawatt installato, l'ENEL utilizza 260 persone a fronte di una media negli Stati Uniti di 75; nella distribuzione l'ENEL spende 100 lire per cliente mentre la Spagna 71. È chiaro che questo, agli occhi dell'authority che deve stabilire le tariffe, porrà all'ENEL degli obiettivi di miglioramento dell'efficienza e quindi di riduzione del personale, nonché di ristrutturazione per portare il costo dell'energia elettrica per il paese ad un livello competitivo con quello degli altri paesi.
Il riassunto di quanto abbiamo detto viene mostrato nel prospetto relativo all'influenza dello scenario sull'ENEL: il processo di elettrificazione è stato completato; per i prossimi anni è previsto il rallentamento della crescita; la riduzione delle quote di mercato è una conseguenza dell'applicazione della direttiva europea; la pressione della concorrenza internazionale non mancherà di farsi sentire. La conseguenza dovrebbe essere riduzione degli investimenti, minore occupazione, dismissione degli impianti. Vi ricordo che la riduzione degli investimenti riguarderebbe anche investimenti che vengono effettuati dai privati, che devono ancora immettere in rete 5.000 megawatt.
L'accordo ENI-ENEL si inserisce in questa prospettiva: si istituisce il mercato libero, crescono gli autoproduttori, che però riforniscono l'energia sovvenzionata al mercato vincolato; l'ENEL, per non dismettere i propri impianti vendendo al migliore offerente oppure per non essere costretto a svenderli ai privati, che poi faranno dei sovraprofitti rifornendo il mercato libero, decide di utilizzare la sua capacità in una società separata, nella quale si trovi in minoranza, per rifornire di energia elettrica, possibilmente a basso costo (quindi al termine di un processo di miglioramento tecnologico), i cosiddetti utenti eleggibili.
Se noi dovessimo dismettere gli impianti, avremmo un costo per la collettività sotto forma di stranded investment che vengono restituiti nel processo di privatizzazione o di right off, di investimenti che ovviamente graverebbero sul bilancio dell'ENEL e di conseguenza sui profitti e sulle tasse che noi paghiamo allo Stato. La valorizzazione è la costituzione di una joint venture per il mercato libero con altri partner nazionali e stranieri, il primo dei quali - perché faremo più di un accordo - è quello stretto recentemente con l'ENI. Con tale Ente abbiamo semplicemente firmato un memorandum of understanding, in base al quale cominciamo adesso a discutere i termini del business plan e del progetto societario.
Le condizioni contenute nel memorandum, che costituiranno gli elementi di riferimento da impegnare nel business plan, consistono nell'apporto dell'ENI di 2.500


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megawatt, pari a 12 centrali indirizzate prevalentemente al consumo, con l'eccezione di tre, anch'esse finanziate con il CIP n. 6, perché forniscono energia all'ENEL con sovvenzione statale.
L'ENEL apporterà 2.500 megawatt come l'ENI; non abbiamo ancora scelto gli impianti, anche se c'è un vincolo, cioè che la costituenda azienda sia specializzata nella produzione di energia a basso costo con cicli combinati a metano. Naturalmente la trasformazione costa ed il motivo per il quale l'ENI accetta la nostra proposta è che, in mancanza di un intervento professionale sulle sue centrali, sopporterà oneri sempre più rilevanti - perché il costo dell'energia elettrica è destinato ad aumentare nei prossimi anni - oppure dovrà realizzare investimenti cospicui, in proprio, per il rinnovamento degli impianti.
Dato che la produzione di energia elettrica non è il core business dell'ENI, l'Ente ha deciso di accettare la proposta e di rivolgersi al mercato, quello vero. L'intenzione nostra e dell'ENI è di quotare la società al più presto possibile sui mercati internazionali, possibilmente a New York, non in Italia; quindi, raccogliere il massimo possibile di cassa, rinnovare gli impianti, aumentare la capacità produttiva e, appena possibile, cioè alla liberalizzazione del mercato, rifornire il mercato libero a costi decrescenti per essere competitivi. In altri termini, essere il primo organismo che opera sul mercato libero.
Finché il mercato non verrà liberalizzato, le centrali dell'ENEL continueranno a rifornire noi, cioè l'ENEL comprerà l'energia da queste centrali e l'ENI utilizzerà l'energia che già oggi produce. Lo stesso vale per il calore, utilizzato dagli impianti dell'Enichem.
Questo è lo schema dell'accordo, che verrà discusso in termini di business plan dai due team nelle prossime settimane; per l'estate speriamo di avere il progetto societario completato, con l'indicazione degli impianti da apportare e con i valori in gioco, unitamente al progetto di quotazione in borsa e della raccolta sul mercato per il rinnovo degli impianti. Grazie.

PAOLO RAFFAELLI. Le agenzie di stampa di ieri hanno annunciato un incremento dell'11 per cento circa dell'utile rispetto al 1995. Mi riferisco ad un articolo del quotidiano Il Tempo nel quale si legge che, nel contesto dell'indebitamento rilevante dell'ENEL, la redditività è stimata al 5 per cento. Questo risultato è sufficiente per la quotazione in borsa e per il finanziamento della prevedibile e radicale istituzione dell'ENEL, in un regime di liberalizzazione come è quello previsto dalla direttiva comunitaria?
La parte di esposizione che suscita più curiosità ed interrogativi è quella relativa alle risorse disponibili per finanziare un progetto che ha una sua suggestione.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Risorse disponibili per finanziare quale progetto? Il progetto è finanziato dalla borsa, non da noi.

PAOLO RAFFAELLI. Alla prima domanda, credo che verrà fornita una risposta in seguito.
Quanto al resto, ieri si è svolta l'interessante audizione di Van Miert sulle telecomunicazioni, voluta dalla Commissione trasporti, il quale ha reso dichiarazioni significative e rilevanti rispetto alla liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni. Poiché è evidente l'interesse dell'ENEL per questo comparto, vi chiedo che tipo di orientamento abbiate per l'analoga liberalizzazione nel campo dell'energia.
Si è parlato di un decremento dei consumi elettrici all'interno di un discorso che implica iniziative di diversificazione, così come si è parlato della necessità e della scelta di evitare dismissioni forzose di impianti; e nell'illustrazione odierna sono contenuti elementi significativi, dato che si fa riferimento ad una nuova struttura di ingegneria e di costruzioni: sarebbe utile avere qualche elemento aggiuntivo in proposito.
Partite interessanti sembrano essere quelle della termovalorizzazione e dell'uso plurimo delle acque: cosa farete in questo campo, tenendo presente che avete risorse ed esperienze rilevanti?


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Notizie di queste ore parlano di una presa di posizione del segretario della CGIL a sostegno del decreto Ronchi sulla valorizzazione dei rifiuti, che è una posizione per certi versi inedita, così come altre agenzie si riferiscono ad uno studio della Pirelli per la produzione di combustibile di scarto per le centrali italiane. Che elementi di conoscenza potete dare alla nostra Commissione per avere un quadro complessivo del mutare dei caratteri e del modo di intervento dell'Ente che rappresentate?
Entrando nel dettaglio di quanto tratteggiato, a quale modello di integrazione tra ENEL ed altri soggetti produttori nei settori innovativi, in regime di liberalizzazione, si pensa? Ciò in presenza del cambiamento del quadro complessivo degli incentivi e dei favori - utilizzo un termine che, in alcuni casi, vostri rappresentanti hanno usato - o dei privilegi forniti a singoli soggetti, i quali avevano le spalle coperte in ordine alla vendita dell'energia prodotta.
Infine, avete fatto riferimento alla joint venture ENEL-ENI: all'interno della integrazione e della compartecipazione, quale dimensione di impresa e quale massa critica immaginate sul mercato europeo liberalizzato nell'immediato futuro? Vi chiedo un giudizio politico oltre che industriale.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Le questioni da lei sollevate, onorevole Raffaelli, meriterebbero una seconda presentazione perché investono le prospettive del piano industriale dell'azienda.
Risponderò succintamente ad alcuni quesiti rivolti, ripartendo da un punto fondamentale delle dichiarazioni dell'amministratore delegato, ossia che il quadro complessivo che mette insieme saturazione del mercato, investimenti consistenti realizzati per legge dagli autoproduttori privati e apertura della concorrenza pone di fronte all'ENEL uno scenario fortemente recessivo. Se mi è consentito portare a testimone una persona assente, leggerei una parte delle dichiarazioni di Falck, il quale è presente nel mercato dell'energia. Egli, a proposito dell'accordo ENEL-ENI, sostiene che: «In prospettiva l'ENEL dovrebbe chiudere o dismettere quasi un terzo delle centrali. Facendo confluire questa attività nella joint venture con l'ENI, la società dribbla l'eventualità di costose chiusure o di svendite, diminuisce i costi e ha energia a prezzi più bassi». Nessuno meglio di Falck poteva fotografare la situazione, con una differenza, però, che noi vogliamo evitare quanto sembra auspicabile per il dottor Falck. Diversamente non avremmo altra possibilità che gestire uno scenario fortemente recessivo.
Le risposte da dare in presenza di uno scenario caratterizzato dalla recessione riguardano la creazione di società ENEL per il mercato libero, senza dare per perduto il 30 per cento del mercato che verrà aperto e la diversificazione delle nostre attività. All'interno dell'ENEL abbiamo trovato asset importantissimi, con superinvestimenti realizzati in aree attorno al core business dell'Ente, troppo costosi se destinati solo a supportare quest'ultimo, interessanti se collocati nella prospettiva di nuovi mercati. Il caso delle telecomunicazioni è uno di questi; l'ENEL ha continuato, dalla nazionalizzazione in avanti, ad attuare rilevanti investimenti nel settore delle telecomunicazioni anche nel momento in cui, a nostro parere, non ce ne sarebbe stato bisogno, perché i servizi di telefonia pubblica e privata erano sufficienti. L'impatto di questi costi sul bilancio dell'ENEL è di circa 600 miliardi annui, per gli oneri di gestione, e di 250 miliardi per gli investimenti.
In relazione a quanto affermato da Van Miert, non ci siamo inventati nulla: questa è la realtà di tutte le compagnie europee e americane. La RWE, la più grande compagnia elettrica tedesca, è presente nel settore della telefonia, così come l'azienda elettrica spagnola e le grandi utilities americane stanno differenziando nel settore della telefonia. Perfino EDF ha ipotizzato di esaminare attentamente il mercato per entrarvi, con le stesse caratteristiche dell'operazione ENEL-ENI. È ovvio che dobbiamo separare societariamente un business del genere e trovare i capitali al


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di fuori di quelli che l'ENEL trae dalla sua attività di monopolista elettrico.
Giustamente lei ha ricordato altre possibili operazioni del genere alle quali guardiamo con attenzione, come quelle da effettuare nel settore della termocombustione. Abbiamo individuato una dozzina di siti che hanno impianti dismessi o nei quali vi è possibilità di conversione oppure di allocare nuovi impianti da mettere al servizio della termodistruzione dei rifiuti, come previsto e reso obbligatorio dal decreto Ronchi.
Il vantaggio per le comunità sarebbe enorme, perché si tratta di siti infrastrutturati dal punto di vista industriale, della logistica e dell'allacciamento delle reti e normalmente si tratta di interventi che possono portare a miglioramenti ambientali, perché sostituiscono la vecchia potenza con sistemi di abbattimento molto sviluppati; l'interesse di ENEL è di perseguire una nuova attività che in Europa già svolgono tutte le maggiori compagnie elettriche.
Per quanto riguarda l'acqua, il discorso è più complicato, perché l'ENEL ha una competenza ed una capacità di gestione derivante dall'aver realizzato il settore idroelettrico del paese, che è uno dei più importanti del mondo. Se il settore elettrico è maturo, il comparto idroelettrico è ipermaturo, nel senso che si ritiene che nel nostro paese sia stato sfruttato potenziale idroelettrico per una percentuale superiore all'80 per cento; rimangono talune situazioni marginali e difficili da gestire per ragioni ambientali oltre che competitive perché legate agli usi industriali, agricoli, alla potabilità e via dicendo. Questa grande capacità ingegneristica e di gestione potrebbe essere utilmente riversata nel settore che si delinea con la riforma degli acquedotti pubblici e con la legge Merli. Il quadro d'insieme è stato prospettato ai ministeri competenti, con i quali si sono sviluppate collaborazioni ottime, dato che le nostre strutture tecniche hanno brillantemente risolto il problema della depurazione dell'area del Sarno - lungamente discusso in sede parlamentare negli anni scorsi -, dove una nostra società ha rivisto tutto il sistema, presentando il progetto al Ministero dell'ambiente che l'ha recepito.
Un'altra direzione di marcia - e concludo, lasciando poi la parola al dottor Tatò per quanto riguarda le questioni più tecniche che lei ha sollevato - concerne la dimensione internazionale della nostra attività, sulla quale spendo due rapidissime parole. Il mercato internazionale, soprattutto in America Latina ma anche in altre aree del mondo, è in crescita; non è vero, al contrario di quanto mi è capitato di leggere in qualche articolo di giornale o in qualche interrogazione, che noi abbiamo smantellato il dipartimento internazionale, che peraltro non c'era: c'era un ufficio internazionale che fatturava circa 20-30 miliardi all'anno per consulenze; non gestivamo nulla da nessuna parte. Si tratta quindi di una cifra assolutamente irrisoria - ve ne renderete conto - per un'azienda di queste dimensioni.
Per il momento abbiamo riaffidato la missione internazionale al grande settore dell'ingegneria dell'ENEL; stiamo ancora ragionando su come strutturare meglio questo settore e non è affatto escluso che arriveremo rapidamente alla costituzione di una società esplicitamente dedicata all'attività internazionale.
Abbiamo fortemente investito in risorse umane, tanto che abbiamo preso presso l'ENEL il precedente amministratore delegato della SAIPEM, un'azienda che ha l'80 per cento del suo fatturato all'estero, vale a dire l'ingegner Nanotti, e stiamo partecipando a tutte le gare cui è possibile partecipare in tutte le parti del mondo, con l'intenzione e la speranza di vincerle. Naturalmente non è semplice, anche perché, da qualche conto che abbiamo effettuato, emerge che il costo di un'ora di ingegneria dell'ENEL, per la struttura retributiva, supera le 100 mila lire, a fronte di un costo per ora di ingegneria della SAIPEM o della SNAM, per non parlare delle società di ingegneria che ormai si sono multinazionalizzate e che utilizzano ingegneri indiani o pakistani - che, vi assicuro, sono bravissimi - di 65-70 mila lire. Non si fa più nulla per


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accordi politici o perché ci chiamiamo ENEL; tutti i paesi indicono gare in cui vogliono prezzi bassi e risorse finanziarie, che noi non abbiamo a disposizione. È questa l'altra questione. Leggerete per esempio della partecipazione di EDF o di altre grandi compagnie in operazioni di privatizzazione nei paesi dell'est, in Argentina e così via; si tratta di operazioni che si aggirano intorno ai 1.500-2.000 miliardi e oltre, che non portano contenuto industriale, perché si acquisisce sostanzialmente un'attività già esistente, che si tratta al massimo di ristrutturare un po'; non portano lavoro italiano, perché i dipendenti sono tutti là (anzi normalmente chi si reca là deve poi ristrutturare e mandar via metà dei dipendenti per rendere il business un po' interessante), ma esigono da parte dell'ENEL esborsi nell'ordine di migliaia di miliardi di lire.
Il consiglio di amministrazione - il presidente e l'amministratore delegato - ritengono che, in una situazione per la quale l'ENEL ha un debito superiore al patrimonio netto (l'indebitamento totale raggiunge la cifra di 34 mila miliardi), come indebitamento totale, sarebbe onestamente una politica non coerente con la missione che ci è stata data e nemmeno utile per l'azienda procedere ad investimenti di migliaia di miliardi all'estero, aumentando fortemente l'indebitamento dell'Ente con una redditività molto lontana nel tempo.
È questo il motivo per cui non ci vedete presenti in questo vasto mercato delle privatizzazioni, mentre invece siamo presenti, con molto vigore e con molta forza, sperando di «andare in buca», come si dice, nel mercato dell'ingegneria e della costruzione di nuovi impianti, vale a dire dove c'è da portare lavoro e valore aggiunto tipici dell'ENEL.

PRESIDENTE. Poiché sono ancora molti i colleghi iscritti a parlare, prego i nostri ospiti di essere sintetici nelle risposte.

GAETANO RASI. Risposte inerenti al tema.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Rispondo alle domande che mi vengono poste.

PAOLO RAFFAELLI. Mi sembra che l'argomento dell'audizione fosse senza limiti, ma non so se con questo si prevedesse soltanto una rottura dei limiti su un versante. Credo sia interessante per la Commissione che la rottura dei limiti sia sul versante industriale.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Quanto alla prima domanda posta - vale a dire se la redditività attuale dell'ENEL, tenuto conto dell'indebitamento, sia sufficiente per la privatizzazione - l'indebitamento dell'ENEL è importante e la previsione è in diminuzione. Sapete che le prevatizzazioni o le quotazioni in borsa si fanno scontando il futuro di un'azienda, non la sua situazione presente. La politica impostata di diversificazione attraverso il mercato - cioè senza aumentare l'indebitamento, anzi continuando a ridurlo valorizzando le risorse, portandole fuori e portando dentro cassa - fa prevedere un incremento di redditività come conseguenza della riduzione dell'indebitamento. Questa è la situazione.
Oggi come oggi, secondo la nostra valutazione, l'Ente potrebbe essere sicuramente privatizzato; si tratta di una decisione dell'azionista, che deve decidere quanto vuole ottenere dalle sue azioni. L'ENEL è un'azienda solida, patrimonialmente a posto, con prospettive di sviluppo, pur in un mercato maturo e recessivo e, se si riescono ad attuare una serie di progetti che il presidente vi ha elencato, sicuramente di grande interesse per il mercato. La decisione non sta a noi; il nostro compito è quello di valorizzare l'azienda e di prepararla per la privatizzazione, secondo le direttive governative.

PAOLO RAFFAELLI. E la massa critica?

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. La massa critica dipende dal progetto politico del paese. A nostro avviso, la rinuncia ad un'azienda


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delle dimensioni del cash flow dell'ENEL, che in Europa sarebbe la seconda, indipendentemente dal fatto di avere o meno un'azienda di produzione (sto parlando del complesso dell'azienda come ente di distribuzione) sarebbe una rinuncia ad una posizione di eccellenza a favore di non si sa bene cosa, probabilmente di interessi locali. Pur essendo disciplinato esecutore di quelle che saranno le decisioni dei nostri azionisti, il management dell'ENEL è abbastanza solidale nel dire che l'Ente dovrebbe rimanere così com'è. Questa è la massa critica. Così com'è non vuol dire che abbia tutta la produzione secondo il quadro evolutivo che abbiamo fatto vedere: stiamo parlando della distribuzione sul territorio nazionale, anche perché con la tariffa unica distribuzioni diverse ci sembrano abbastanza irrealistiche, desideri senza molto costrutto. Si tratta sicuramente di aziende con minori capacità di sviluppo rispetto ad un'azienda che ha 36 mila miliardi di fatturato.

MASSIMO OSTILLIO. Ciò che ci incuriosisce maggiormente, almeno che colpisce la mia attenzione sul versante industriale di questa discussa alleanza ENI-ENEL, sono in buona sostanza gli obiettivi che si vogliono raggiungere e che hanno informato quest'iniziativa. A ben vedere, appare che l'ENEL - questa mi sembra una considerazione importante - da oggetto di privatizzazione dell'iniziativa diventi soggetto di privatizzazione, anche se per una limitata parte del suo core business. Posto che per tale operazione non si riscontrino problemi da parte dell'authority sull'energia, secondo me è opportuno stabilire delle regole per poter capire meglio il significato di queste operazioni, che possono riguardare sia la metodica dell'immissione sul mercato delle azioni, sia il discorso del personale, sia la definizione del valore degli impianti che vengono conferiti alla società. Mi sembra un punto importante.
Mi pare peraltro di capire che l'energia che verrà prodotta sarà immessa sul mercato a normativa vigente, e quindi con la stessa norma che vale per gli autoproduttori.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Non è possibile. Esiste una legge.

MASSIMO OSTILLIO. Ma voi l'immettete con la legge sugli autoproduttori.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Noi faremo un'operazione di questo genere: in una prima fase ricompreremo ai nostri attuali prezzi, che sono largamente inferiori a quelli del CIP n. 6; in una seconda fase, appena si creerà il mercato libero, quelle centrali andranno sul mercato libero e quindi il prezzo sarà fatto dal mercato, che ci viene imposto dalla direttiva europea. Non abbiamo alcuna intenzione e non pensiamo neppure lontanamente di percepire dalla produzione elettrica di quelle centrali le cifre del CIP n. 6, che peraltro è ormai fermo e chiuso; si tratterebbe altrimenti di una speculazione.

MASSIMO OSTILLIO. L'iniziativa è indubbiamente apprezzabile, se non altro per il fatto che si è dimostrata una certa dinamicità da parte del top management dell'ENEL. Lascia perplessi il fatto che si introduca l'ENI nel core business dell'ENEL, con una contropartita che, da quanto ho visto e letto, non mi sembra al momento rilevante; credo che tutto sia vocato sui vantaggi nei costi del combustibile.
Sarebbe inoltre opportuno conoscere nel dettaglio i tempi di attuazione dell'intera operazione ENI-ENEL e quanto sia plausibile prevedere relativamente all'operazione finanziaria per la collocazione in borsa delle azioni della nuova società. Infatti, tale informativa credo sia estremamente opportuna per valutare la correlazione con la futura privatizzazione dell'ENEL; c'è quindi una connessione.
Se mi è consentito allargare un po' il tema dell'incontro di oggi, ho visto un prospetto relativo alla struttura attualmente vigente in ENEL, una struttura sostanzialmente matriciale; mi chiedo e vi chiedo come si inseriscano i processi di


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societarizzazione delle singole parti dell'azienda in questa struttura a matrice. Ho il pallino delle attività di relazioni esterne: mi pare che siano scomparsi - è una cosa che dico fra parentesi - i rapporti istituzionali, per intenderci i rapporti con il territorio, che per una certa parte di tempo hanno creato quell'idoneo cuscinetto nelle attività dell'ENEL rispetto all'impatto sul territorio. In particolare sulla SIN, cioè la struttura di ingegneria, nutro qualche perplessità: infatti, da quanto ho letto e ho visto, mi sembra che il processo di riorganizzazione della SIN sia forse orientato più ad attribuire responsabilità e ruoli agli attuali dirigenti che non invece a creare una struttura nuova ed efficace per guadagnare posizioni di rilievo in un mercato che è fortemente competitivo. È una mia perplessità.
Mi chiedo se realmente il destino finale di questo processo sia di creare un organismo funzionale alla missione data: se la risposta è positiva, come mi auguro, sarà certamente necessario razionalizzare la riorganizzazione ricorrendo a suggerimenti e a direttive da parte di tutti coloro che possono apportare esperienze a questo processo. Chiedo in particolare quale sia il piano degli investimenti e la modifica delle procedure operative.
Infine, per quanto riguarda le problematiche ambientali, segnatamente il problema dell'inquinamento elettromagnetico, si è recentemente svolto un convegno del Codacons: cosa si sta facendo per riuscire prima di tutto ad avere certezze scientifiche su questo tipo di dati? Quali eventuali operazioni che possano evitare il problema dell'inquinamento elettromagnetico per il futuro avete in cantiere?
Per carità di patria tralascio un tema ripreso anche recentemente da un'interrogazione parlamentare del senatore Russo Spena. Credo che in futuro il top management, segnatamente il dottor Celli, dovrà prestare maggiore attenzione alle modalità di selezione e di reclutamento della classe dirigente dell'ENEL.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Mi scusi, onorevole Ostillio, il fatto che sia stata presentata un'interrogazione da una persona non significa che le cose scritte in tale interrogazione corrispondano a questa persona. Fra l'altro, alcuni dati contenuti in tale interrogazione sono assolutamente sbagliati; non è infatti vero che ci siamo liberati di 700 dirigenti, i numeri sono molto più piccoli. Credo fosse auspicabile da parte nostra anche una certa operazione di rinnovamento e di ringiovanimento della struttura ENEL. Il dottor Celli vi potrà dire esattamente l'età media dei dirigenti dell'Ente che noi abbiamo trovato.

PIERLUIGI CELLI, Direttore del personale dell'ENEL Spa. L'età media era di 58 anni, con 500 dirigenti tra i 60 e i 65 anni.

PRESIDENTE. Deve rispondere lei, presidente Testa.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Chiedevo un'informazione. Non posso?

PRESIDENTE. No.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Allora ripeto: una media di 58 anni, con 500 dirigenti tra i 60 e i 65 anni. Vi assicuro che la selezione del personale non è responsabilità del presidente, anche se quest'ultimo condivide al cento per cento le decisioni prese dal dottor Tatò, nella sua funzione di amministratore delegato, e dal dottor Celli, nella sua funzione di responsabile del personale. C'è una piena intesa da parte del management su quello che si deve fare, fermo restando che sono possibili da parte nostra errori, revisioni, migliori valutazioni delle singole persone, come è normale che sia. Risponderei alla domanda sull'elettromagnetismo, lasciando le rimanenti risposte al dottor Tatò.
Premesso che rispettiamo la legge, esiste un decreto del Presidente della Repubblica dell'ottobre 1992 che disciplina la questione dei campi elettromagnetici. Posso dirvi che solo nel dicembre del 1996, cioè sei mesi fa, la Germania ha approvato una normativa analoga: in tutta Europa


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siamo in due, noi ed la Germania, ad avere una disciplina. L'ha approvata quattro anni dopo di noi ed è identica alla nostra, anzi in qualche punto è persino più debole. Quando il Parlamento, i ministeri, emaneranno un'altra norma noi l'adotteremo. Sul piano scientifico posso solo dirvi che esiste una grandissima incertezza sull'esistenza di possibili conseguenze dei campi elettromagnetici. Incertezza da parte di tutti, compresi quelli che sostengono l'esistenza di qualche conseguenza. Per esempio, in un recente rapporto, alcuni settori dell'Istituto superiore di sanità sostengono di non essere in grado di stabilire se vi sia una precisa relazione causa-effetto e se un'eventuale modifica della normativa sarebbe in grado di migliorare la situazione. Sarei lieto se la Commissione parlamentare ed i ministeri competenti approfondissero la questione, perché - ripeto - noi possiamo e dobbiamo solo rispettare la legge, compreso il piano di risanamento, dal momento che vi erano alcune situazioni in contrasto con la normativa del 1992. Sottolineo che solo noi e la Germania in Europa abbiamo una normativa sui campi elettromagnetici.

MASSIMO OSTILLIO. Avete in cantiere qualche ricerca in argomento?

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Studiamo attentamente tutte le ricerche compiute in materia.
Vorrei segnalare un aspetto al presidente della Commissione: in Italia ci sono tre grandi organismi dediti alla ricerca scientifica, ossia l'Istituto superiore di sanità, il CNR e l'ISPESL. È necessario che qualcuno decida chi opera e chi certifica i dati per conto del Governo, perché i tre istituti si contraddicono continuamente; anzi, all'interno dello stesso istituto settori diversi sostengono tesi completamente diverse, il che rende difficile all'operatore capire qual è - diciamo - la verità di legge e quale l'opinione scientifica di questo o di quel ricercatore. Noi monitoriamo tutte le ricerche compiute oltre a svolgere studi insieme con il CNR e l'Istituto superiore di sanità, per quello che possiamo fare.

PRESIDENTE. Vorrei pregare i colleghi di essere concisi nel porre le domande, tenuto conto del rilevante numero di commissari che hanno chiesto di intervenire.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Si è sostenuto che l'organizzazione dell'ENEL è matriciale: non è vero, non è così, mi dispiace. È una organizzazione di outsourcing in servizio. Non ci sono responsabilità incrociate, ci sono responsabilità giuridiche univoche, come se fossero società separate, ossia tutti gli elementi (visualizzati nei prospetti) possono essere societarizzati separatamente. Sono potenziali società separate, quindi non c'è matricialità di alcun genere. I rapporti sono rapporti di mercato, nel senso cioè che si chiede l'offerta per tutte le altre prestazioni richieste, comprese le informatiche.
Abbiamo chiuso la direzione separata per i rapporti con il territorio e siamo felici di averlo fatto. I rapporti con il territorio devono essere tenuti dai manager responsabili, nel senso che la responsabilità è stata attribuita ai responsabili delle 41 direzioni operative sul territorio e in particolare alle 14 direzioni della distribuzione che hanno la responsabilità politica di interfacciare le regioni. Nelle regioni - e sono poche - nelle quali non c'è una direzione politica di interfaccia esistono delle delegazioni che hanno assunto questa attività. In altre parole, i rapporti con le autorità politiche territoriali vengono tenuti da chi ha anche la responsabilità di implementare eventuali impegni ed eventuali decisioni per evitare quelle contraddizioni - situazione che abbiamo trovato - tra le possibilità di realizzazione e gli impegni assunti dall'azienda, in una linea gerarchica completamente separata dalle responsabilità operative.
Concludo con le osservazioni sull'organizzazione. La struttura ingegneristica è la vecchia DCO con incorpamento, diciamo così, della precedente direzione per le attività internazionali, che è stata trasformata


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nella struttura commerciale della nostra società di ingegneria. Quest'ultima sta attualmente ristrutturandosi e la struttura organizzativa non è ancora definitiva; essa sta strutturandosi su due progetti particolari. Il primo progetto è quello relativo all'acqua, nazionale e internazionale, che fa perno sull'ISMES, noto istituto che si occupa di problemi idroelettrici; ha una struttura societaria che potrebbe essere completamente separata (ma non è stato ancora deciso, comunque). Il secondo è il progetto ingegneria con attività nazionali e internazionali, che è stato dotato di una sua direzione commerciale per interfacciare la clientela. Posso anche anticiparvi che in questo momento stiamo partecipando a tutte le gare di livello internazionale che vengono bandite.
Come diceva il presidente, si tratta di gare dalle quali è possibile far scaturire un'attività di carattere industriale che crei e sostenga l'occupazione della nostra struttura. Abbiamo affidato questa direzione ad una persona esperta di business internazionali, in quanto all'interno dell'ENEL di business internazionali non se ne erano mai fatti, dato che per ragioni di concessione l'azienda all'estero poteva svolgere solo attività di consulenza. Ciò fino al 16 dicembre, data in cui abbiamo modificato lo statuto e, quindi, attraverso una società separata, è stato possibile svolgere anche attività industriali.
Per quanto concerne i tempi dell'operazione ENEL-ENI, abbiamo previsto per l'estate - salvo inconvenienti - la definizione degli elementi del business plan; come conseguenza di questo si stabilirà la tempistica. L'ingresso in borsa dovrebbe coincidere più o meno con la liberalizzazione del mercato se possibile, perché è molto difficile la quotazione in borsa di un'azienda il cui fatturato è costituito dagli acquisti dei propri azionisti. Quindi la struttura, finché il mercato non sarà liberalizzato, sarà una struttura impropria. Dobbiamo ancora decidere se la società partirà prima o quando il mercato sarà liberalizzato, quando cioè vi sarà una decisione definitiva. Questo è ancora oggetto di discussione tra i soci.
Per l'ammissione in borsa delle aziende in Italia esistono regole e la Consob. La valutazione degli impianti spetterà ovviamente a un'autorità indipendente, non a noi, che verrà nominata di comune accordo.

ALBERTO ACIERNO. Vorrei affrontare tre problematiche distinte e separate rispetto a quello che l'ENEL e il suo management stanno facendo, partendo dalla diversificazione delle attività dell'ENEL. Relativamente a quello che ho sentito più volte ripetere sul mandato di valorizzazione dell'ENEL, vorrei capire se valorizzazione significa anche distogliere l'interesse primario dell'ENEL, che è quello della energia elettrica; lo chiedo perché ho sentito parlare di telefonia, informatica e di ingegneria oltre a tanti altri settori industriali che non mi pare siano l'oggetto preminente dell'attività dell'ENEL.
Distogliere l'attenzione dall'energia elettrica non fa rischiare all'ENEL di deprezzarsi rispetto alla privatizzazione di un'azienda che deve produrre e distribuire energia elettrica sul mercato privatistico? Tra l'altro, c'è un dato anomalo perché rispetto alla previsione dei famosi 37 mila miliardi, ed al patto per il lavoro, da investire nel prossimo quinquennio, risulta che nel 1997 non sono stati investiti circa 1.800 miliardi. Questa è l'anomalia rispetto a situazioni come per esempio taluni impianti siciliani che, per nascita, conosco bene. Parecchie centrali entro il 2002 - lo sappiamo per certo - o verranno sistemate oppure, in ottemperanza alle normative europee, dovranno essere chiuse, ciò che sarebbe drammatico. Ad oggi non c'è alcun segnale di investimento per l'ammodernamento e la ristrutturazione di questi impianti, pur sapendo che la loro morte è già sancita: il 2002. Per la centrale di San Filippo del Mela, per fare un esempio, nel Golfo di Milazzo, vi è un investimento di circa 600 miliardi, sostenuto da tutte le autorizzazioni del caso, senza nessuna avvisaglia che si realizzerà.
Parlando di privatizzazione, cosa pensate di fare nell'accordo con l'ENI, dato che il Parlamento sta affrontando in


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questi giorni i criteri della privatizzazione? Si è partiti dall'ipotesi Carpi ma vi sono parecchie risoluzioni presentate in Parlamento, alcune delle quali non condividono affatto l'impostazione del piano Carpi. C'è il rischio - vorrei soltanto dei chiarimenti da parte della dirigenza - che questo primo accordo ENEL-ENI, al quale - si legge sulla stampa - pare sia già interessata la General Electric, possa essere l'embrione di una frammentazione dell'ENEL, per cui vi è la possibilità che l'ipotesi Carpi, che non condivido personalmente, possa realizzarsi.
Vorrei un chiarimento anche su un altro punto. Rispetto alle direttive europee sulla liberalizzazione del mercato, sappiamo che già oggi l'ENEL non controlla il 34 per cento del mercato, nel senso che il 34 per cento di mercato non dipende dall'ENEL. Ho visto nei prospetti illustrati che vi è una previsione pari al 30 per cento di mercato da liberalizzare: perciò mi piacerebbe capire se abbiate pensato alla possibilità dell'azionariato diffuso, che potrebbe essere un'ipotesi percorribile.
Terzo e ultimo argomento: la ristrutturazione. Proprio perché ci si appresta a privatizzare l'ENEL, mi piacerebbe sapere secondo quali criteri si sta ristrutturando un'azienda posto che ancora non si sa come diventerà e come verrà privatizzata. Sicuramente c'è da operare una separazione tra la gestione industriale e quella finanziaria. Diverso è quanto si sta facendo riguardo alla redistribuzione dell'azienda sul territorio. Ci sono degli esempi che fanno sorgere il sospetto che si perseguano direttive più politiche che non imprenditoriali. Mi riferisco al fatto che in Calabria non c'è più una direzione di promozione termoelettrica, mentre c'è sia a Brindisi, sia a Napoli, dove il termoelettrico non si fa. Mi riferisco per esempio al fatto che la direzione di produzione idroelettrica di Parma controlli gli impianti di Cagliari; non riesco a capire quale connessione ci possa essere tra Cagliari, che si trova in Sardegna, quindi in un'isola, e Parma; non riesco soprattutto a capire secondo quali principi - visto che il Parlamento ancora non si è pronunciato sul modo in cui l'azienda andrà privatizzata e quindi ristrutturata a seguito della privatizzazione - si sia pensato di ridisegnare l'Ente.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Per quel che riguarda la diversificazione e il pericolo di distogliere l'attenzione, direi che questo pericolo non esiste, per il semplicissimo fatto che quelle che sono state identificate come attività di diversificazione sono sempre state fatte dall'ENEL. Praticamente quindi non stiamo facendo altro che enucleare e proseguire attività che già c'erano. Faccio l'esempio della telefonia, perché è il più semplice: se non fa telefonia un'azienda che investe 2.000 miliardi nel giro di 7-8 anni nella telefonia, che gestisce un sistema radiomobile che copre il 90 per cento del paese, con 540 postazioni, che impiega 1.900 persone a gestire i suoi impianti telefonici, le linee, i ponti radio e così via, non so chi la faccia. A questo punto, enucleare queste attività, attribuirle ad un manager competente al quale affidare il compito di fare la telefonia e, se si liberalizza il mercato, mettere a disposizione del mercato stesso queste capacità continuando a servire l'ENEL in maniera economica, mi sembra una decisione logica dal punto di vista manageriale, che non rappresenta il distoglimento di alcuna attenzione e neppure di risorse. Infatti, il processo di liberalizzazione mette a disposizione risorse finanziarie del mercato (stiamo per svolgere e ampliare questa attività), risorse che altrimenti l'ENEL dovrebbe sborsare essa stessa, come è avvenuto in passato. Il nostro progetto di telefonia per esempio abbassa il livello di investimento nel settore rispetto a quello operato dall'ENEL mediamente negli ultimi dieci anni. In realtà stiamo non distruggendo, ma creando risorse per il core business, separandoci societariamente dai business che non sono tipicamente elettrici. Non dimentichiamo inoltre che quello elettrico è un business recessivo: se l'azienda non trova la possibilità di diversificarsi, non so come farà a garantire occupazione e


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sviluppo. Direi che la diversificazione è una necessità economica.
Alcune osservazioni sugli investimenti che sono stati criticati, come a San Filippo del Mela piuttosto che in Calabria e così via: a San Filippo del Mela in questo momento stiamo lavorando, non è stato abbandonato; vi è un progetto di revamping che stiamo conducendo. Abbiamo in previsione un nuovo investimento in Sicilia, regione totalmente autosufficiente, che anzi esporta energia elettrica verso il continente. Non vedo quindi problemi.

ALBERTO ACIERNO. Mi piacerebbe che, magari in altra sede, documentasse gli investimenti a San Filippo del Mela, perché a ieri non risultano.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. I lavori sono in corso.

ALBERTO ACIERNO. La Sicilia - lo sappiamo tutti - produce più energia di quella che consuma. Le posso fare i nomi di aziende che stanno chiudendo gli impianti nell'area industriale di Carini e di Palermo e che li stanno trasferendo al nord per le continue interruzioni di corrente, che l'ENEL non riesce a fornire in modo continuativo. Una cosa è produrre, un'altra cosa è produrre bene e distribuire bene.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Si tratta di un problema di distribuzione. Se vuole le rispondo sulla distribuzione in Sicilia, che da questo punto di vista è la regione peggio servita.

ALBERTO ACIERNO. Che investimenti state facendo?

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. La causa è una decisione di carattere regionale. La Sicilia a suo tempo ha anche finanziato in maniera molto costosa per i contribuenti l'elettrificazione del territorio, privilegiando quello rurale. Non abbiamo ottenuto permessi per l'alta tensione; abbiamo elettrificato la Sicilia in bassa tensione. È un problema tecnico: la bassa tensione ha interruzioni molto più frequenti. Stiamo sviluppando in questo momento dei progetti importanti di ridisegno della rete elettrica, e presenteremo le proposte nelle prossime settimane al nostro interno, per verificare come implementarla. La Sicilia produce molta energia elettrica che viene esportata, ma - ripeto - la distribuisce male nel territorio. L'azienda non è priva di problemi; ci sono, e noi siamo lì per questo, li stiamo identificando e cercheremo di risolverli, ma non possiamo risolverli tutti insieme.
Quanto alla Calabria, questa regione non ha mai avuto una direzione di produzione termoelettrica, e non l'avrà; ha un solo impianto termoelettrico. L'unicità di impianto è dovuta al fatto che la Calabria ha rinunciato ad un impianto a Gioia Tauro, altrimenti ne avrebbe due e probabilmente avrebbe una direzione termoelettrica.
Per ciò che concerne la ristrutturazione, questa è stata fatta seguendo gli indirizzi impartiti dai documenti governativi e dalle previsioni circa l'applicazione delle direttive europee, in particolare della segretazione contabile delle attività di distribuzione, trasmissione e produzione. Abbiamo fatto semplicemente questo. Riteniamo che qualunque sia l'assetto che il Parlamento vorrà dare al mercato elettrico, esso non avrà conseguenze rilevanti sulla struttura dell'ENEL così come l'abbiamo definita. Potrà avere conseguenze rilevanti sulle dimensioni dell'Ente qualora le decisioni del Parlamento dovessero condurre ad un ridimensionamento delle sue attività; ma questo non ha nulla a che fare con la struttura. Noi abbiamo una direzione di distribuzione su tutto il territorio nazionale; se il Parlamento decide di spezzare l'ENEL in 14 aziende, bisognerà spezzare anche la distribuzione in 14: noi desideriamo mantenerla unitaria.
Credo di aver risposto a tutte le domande.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Era stata posta una domanda a


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proposito dell'azionariato e sul processo di privatizzazione...

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Riguardava il mercato libero, ma si tratta di una domanda che deve essere rivolta agli azionisti. Il mercato libero è una decisione del Parlamento in applicazione della direttiva europea, non è una decisione dell'ENEL; l'Ente si adatta alla situazione. L'accordo ENI-ENEL è il tentativo di salvare degli impianti: vorrei proporre una meditazione sul motivo per cui nessuno investe per il mercato libero, sapendo che sicuramente verrà. Noi lo facciamo perché non desideriamo che il mercato libero venga solo servito speculativamente con importazioni di energia dall'estero, togliendo occupazione al paese.

MAURIZIO MIGLIAVACCA. Premesso che secondo me l'intesa tra ENI-ENEL è coerente tanto con la prospettiva di liberalizzazione del mercato quanto con una valorizzazione dell'ENEL, vorrei porre una domanda su un punto che non solo è delicato, ma che interessa la grande maggioranza degli utenti.
I vantaggi rispetto al mercato libero mi sembrano evidenti: l'ENEL - insieme all'ENI -, se le informazioni in mio possesso sono giuste, si posiziona sul mercato libero con una società che ha una capacità di copertura di un terzo circa di quella che, a regime, ha il mercato libero. Si mette così nelle condizioni di produrre energia elettrica a costi competitivi (si parla di meno di 70 lire al chilowattora) con meccanismi di finanziamento che fanno ricorso alla borsa e ai mercati finanziari. Tutto questo mi pare si inscriva in una logica di incrementazione e di vantaggi, tanto per il mercato degli utenti quanto per l'ENEL. Il punto è il futuro mercato vincolato, vale a dire il 70 per cento, che significa la totalità degli utenti civili oltre ad una fetta molto importante, anche dal punto di vista economico e produttivo, cioè le piccole e le medie imprese, che invece continueranno ad insistere sul mercato vincolato.
La domanda è questa, anche se comprendo che avremo bisogno di molto tempo: come pensa l'ENEL di attrezzarsi per una politica, per una strategia che punti ad una riduzione dei costi e delle tariffe sul mercato unico, sul mercato vincolato? Si può rispondere affermando che ci sarà un effetto di trascinamento, cioè che la comparazione avrà anche questo effetto; immagino che le azioni di razionalizzazione e di contenimento dei costi in generale vadano in questa direzione, però - ed è questo il punto - forse si deve ragionare anche su un vero e proprio piano industriale, di investimenti, che punti ad un ammodernamento, compatibilmente con i vincoli finanziari, e ad una maggiore efficienza produttiva. Sotto il profilo dei costi, si deve anche considerare il parco centrali dell'ENEL, che lo metta in grado di produrre benefici rispetto non solo al mercato libero, ma anche a quello vincolato.
In questa prospettiva di liberalizzazione, come si intendono affrontare alcune code che vengono dalla storia dell'ENEL nel nostro paese? Mi riferisco in modo particolare al nucleare e all'eventuale decommissioning della centrale di Caorso; è chiaro, infatti, che in una prospettiva di liberalizzazione tali questioni andranno affrontate e chiarite in una fase precedente.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. La questione che lei pone è giustissima; ovviamente la riduzione dei costi tariffari deriva da due fattori: in primo luogo, da azioni interne, che possono essere compiute dall'ENEL, di miglioramento complessivo dell'efficienza e dell'economicità della questione; in secondo luogo, da investimenti che si possono effettuare per migliorare i rendimenti. Vi faccio presente che ci sono alcune leggende, che ho potuto verificare guardando i numeri, per esempio che l'ENEL abbia un parco elettrico molto vecchio. Non è vero: si tratta di un parco con un'età media di 16-18 anni, mentre il parco termoelettrico normalmente ha una vita utile di circa 30-40 anni. I rendimenti termoelettrici dell'ENEL sono i migliori in Europa, fatto


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comprensibile perché avendo l'Ente una vocazione termoelettrica fortissima ha investito nel settore molto di più di quanto abbiano fatto gli altri. Sono dati che posso mostrarvi in qualsiasi momento. Quindi, spazi di miglioramento di rendimento non ce ne sono moltissimi. Alcune centrali dell'ENEL sono nuovissime: il prossimo anno immetteremo sulla rete circa 40 miliardi di chilowattora, il 20 per cento dell'attuale produzione dell'Ente, provenienti da Brindisi e da Montalto di Castro, due impianti nuovi di zecca. Questo non significa che siano economici: infatti, i tempi di realizzazione, anche togliendo la questione nucleare, hanno comportato costi particolarmente alti.
Vi segnalo ora un elemento decisivo: la struttura tariffaria. Paradossalmente oggi l'ENEL non ha alcun interesse - questo non vuol dire che non lo faccia, lo fa lo stesso, come dimostra per esempio la vicenda Sardegna - a fare investimenti per migliorare i rendimenti e risparmiare combustibile. Infatti, il meccanismo della cassa conguagli e del sovrapprezzo termico è un meccanismo di rimborso a piè di lista; non sono favorevole a questa situazione, anche se mette al riparo l'ENEL da tante cose, e mi auguro che la struttura tariffaria futura cui l'autorità lavora sia invece fortemente stimolante nei confronti dell'efficienza complessiva del sistema ENEL. Naturalmente siamo consapevoli che non possiamo riversare i benefici solo sul mercato libero e che occorre fare questo ragionamento anche sul mercato obbligatorio. La Commissione e l'autorità si troveranno davanti a problemi molto grandi, come quello dei cosiddetti stranded investment; certamente il mercato elettrico non si riforma in ventiquattr'ore, sarà un processo da cui dobbiamo uscire gradualmente in un arco di tempo ragionevolmente lungo, perché si tratta di cambiare molte cose.
Per quanto riguarda Caorso, dovremmo procedere alla cosiddetta messa in custodia di tipo passivo sulla base delle indicazioni fornite dal Governo. Questa situazione è stata ottenuta in alcune centrali ma non a Caorso, per la presenza del combustibile all'interno della centrale. Raggiungere la situazione di sicurezza passiva significa poter portar via il combustibile da qualche parte: il combustibile mai usato può essere venduto; quello usato, irradiato, non può essere venduto. Si possono fare due cose, o riprocessarlo in un impianto di riprocessamento all'estero, come abbiamo fatto finora per certe quantità di combustibile, oppure stoccarlo a secco, come si dice, in un impianto che in Italia non c'è e che andrebbe costruito.
Qualsiasi discussione sul futuro di Caorso non ha soluzione - poi, potremo discutere dell'eventuale decommissioning incompleta della centrale -, né senso se non sciogliamo il nodo di dove mettere il combustibile ed il materiale derivante da un'eventuale attività, parziale o totale, di decommissioning. Oggi non esiste soluzione ed anche l'ipotesi di trasferire all'estero una certa quantità di combustibile è molto osteggiata (ci sono stati blocchi stradali, eccetera), per cui siamo in attesa di indicazioni sul da farsi. Ripeto, è fondamentale il problema dell'individuazione di un sito in Italia.

GAETANO RASI. La discussione, a mio avviso, avrebbe dovuto essere più incentrata sulla società prevista dal memorandum d'intesa del 5 maggio tra ENEL e ENI; invece è stata allargata al problema della ristrutturazione elettrica italiana, il che inevitabilmente può dar luogo ad un ampliamento che, in definitiva, non soddisferà nessuno. Visto che siamo su questa strada ed è giusto che si affrontino i problemi, vorrei incominciare con il porre il tema dell'azionista, così come l'ha chiamato il dottor Tatò.
Chi è l'azionista dell'ENEL? È lo Stato, attraverso il Ministero del tesoro. Qual è l'attività dell'ENEL? Lo sappiamo tutti: fornire un servizio pubblico di energia elettrica in regime di concessione. Allora, tenendo presenti questi due elementi, la domanda che si pone credo sia abbastanza logica. Quando l'amministratore delegato e il presidente fanno riferimento all'azionista, si rendono pienamente conto - l'interrogativo è retorico, non vuole essere


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ovviamente offensivo di persone notoriamente dotate di fosforo e professionalità sperimentate - che non è la stessa cosa che far riferimento ad un azionista privato, il quale usa il proprio investimento in relazione ad una convenienza che si confronta sul libero mercato nazionale e internazionale. È una premessa che investe i massimi sistemi, ma che - a mio avviso - è molto importante proprio perché ci troviamo di fronte a due manager i quali hanno come azionista di riferimento totale lo Stato e, come attività, un'attività in concessione monopolistica che dà luogo a flussi assicurati, ma anche all'impegno a fornire il mercato, tutto quello restante delle imprese e della società civile, di energia elettrica.
Su quanto appena detto sarei molto contento se il dottor Tatò, anche per alcune recenti vicende di stampa, potesse esprimere il suo pensiero dal quale la Commissione poi potrà trarre qualche conclusione. Riteniamo infatti che il Parlamento abbia il dovere, attraverso la Commissione, di esprimere un indirizzo di politica industriale e di politica energetica, per cui un manager o dei manager di imprese, le quali svolgono pubblico servizio, devono sì rispondere al Governo, ma il Governo risponde al Parlamento, che ha una sovranità diretta per la proprietà e diretta per il pubblico servizio che viene svolto.
Veniamo ora al problema del memorandum di intesa del 5 maggio 1997 fra le due società ENEL-ENI, una a totale proprietà dello Stato, l'altra a grande maggioranza, per ora ancora, di proprietà dello Stato. Mi sembra di aver colto dai comunicati ufficiali che, dopo una fase esplorativa che dovrebbe durare tutto il 1997, si dovrebbe arrivare alla costituzione nel 1998 - prego il presidente e l'amministratore delegato di darmi conferma se è così - ad una società congiunta, alla quale cedere centrali attualmente di proprietà della società ENEL per la produzione di elettricità. Ripeto alcune domande che sono già state poste, mentre altre forse sono nuove.
Primo punto: come verrà finanziata la società congiunta? Secondo: come verrà gestita e da chi e come verrà controllata? Terzo: quali impianti verranno conferiti? Con quale procedura verranno posti sul mercato gli eventuali titoli azionari? Affinché questa risposta possa essere finalizzata in maniera più concreta, chiedo se non si ritenga che tale intento non costituisca un disegno per sottrarre al mercato aziende produttrici di energia elettrica da cedere a privati, per essere gestite in un regime che in realtà non è più di concorrenza. Mi domando altresì se, in conseguenza della costituzione di questa società congiunta, non si concretizzi in sostanza l'ampliamento dell'attuale regime di monopolio, in contrasto con la politica di liberalizzazione in corso e con le direttive europee. Su questo argomento ci è stato detto che in realtà si vuole costituire, tramite queste società, il mercato, anche perché nessuno - ed è stato ripetutamente sostenuto oggi, ma anche in altra sede dal dottor Tatò - in questo momento mostra di voler fare o di avere intenzione di fare investimenti nel campo della produzione dell'energia elettrica da immettere in un futuro mercato concorrenziale.
Chiedo inoltre se gli azionisti dell'ENEL, e in particolare il Tesoro, siano informati delle intenzioni e del programma di predisporre un sostanziale impedimento al libero mercato elettrico nazionale che deriverebbe proprio dalla costituzione di una società di questa consistenza e dimensioni. Ancora: se gli azionisti dell'ENI, e in particolare il Tesoro - ma mi sembra che questa domanda debba essere posta non all'ENEL ma all'ENI, e quindi la pongo solo come completamento - sono informati che si prepara un'ulteriore integrazione verticale del sistema gas considerato che la SNAM, società del gruppo ENI, viene ad essere fornitrice di una società, quale quella prevista, che sarà la proprietaria di impianti di generazione elettrica a ciclo combinato a gas.
Se l'ENEL vende i suoi migliori impianti - perché nel costituire questa società è inimmaginabile il conferimento degli impianti migliori - gli utenti del futuro


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mercato vincolato potrebbero sopportare costi più alti per la fornitura di energia elettrica, a meno che non si vada a dire al socio e poi al mercato che si sono conferite le centrali meno aggiornate. Il valore di mercato di ulteriori dismissioni, dopo questa che verrebbe fatta, non ridurrà il valore dell'ENEL e quindi la possibilità di mettere sul mercato i relativi titoli? L'iniziativa ENEL-ENI non precostituisce una struttura di impresa tale da condizionare oggettivamente il processo di recepimento delle direttive europee per l'elettricità, ciò prima ancora che le direttive europee siano oggetto di discussione per il recepimento adeguato al nostro ordinamento ed alle esigenze della nostra economia? In poche parole, se questo viene fatto prima che avvenga il recepimento, il futuro mercato sarà aperto e nel medesimo tempo chiuso, stabilendo un forte potere di interdizione nei confronti di altri soggetti. Da ultimo - e concludo, presidente - non si ritiene necessario, nel caso di dismissioni, ricorrere ad asta pubblica dal momento che si tratta di imprese, di centrali e attrezzature che sono di proprietà dello Stato?

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Per quanto riguarda il problema dell'azionista, non voglio entrare in questioni di carattere filosofico; noi l'abbiamo ben presente, anzi lo conosciamo, l'azionista è il Tesoro sentito il parere del Ministero dell'industria. Lavoriamo in questo modo e penso che si debba supporre che tutti gli atti, i quali non siano semplicemente di normale amministrazione dell'azienda, siano concordati con il nostro azionista ed eseguiti in esecuzione della sua volontà. Se ci sono critiche di principio o di impostazione, noi forniamo chiarimenti e l'azionista è totalmente corresponsabile di quello che noi facciamo.
Abbiamo anche ben presente l'atto di concessione, sottoscritto dall'ENEL, che ci obbliga a non distogliere risorse dal servizio elettrico. A parte ogni considerazione sulle risorse - che dovremo distogliere in quanto ne avremo troppe - la liberalizzazione del mercato, sottraendo il 30 per cento del mercato all'ENEL, ci porrà in una situazione di sovracapacità e quindi dovremo gestire il problema di cosa fare di questa sovracapacità. Dovremo decidere se svenderla, in quanto non più utile a chi voglia approfittarne - o una legge deciderà se favorire qualcuno - oppure, come ci ha detto l'azionista, e noi tendiamo ad eseguire la sua volontà, se valorizzare l'impresa.
Secondo noi la la valorizzazione dell'impresa passa attraverso la sua diversificazione; riteniamo di avere le capacità professionali per condurla senza mettere in pericolo l'esecuzione dell'attività principale dell'azienda. L'accordo ENEL-ENI, e vengo alle ultime domande poste, avviene esclusivamente perché si liberalizza il mercato. Non sappiamo ancora se nei nostri accordi porremo come condizione che esso inizierà a liberalizzazione avvenuta o prima; vedremo anche le condizioni globali, ma se non ci fosse la liberalizzazione del mercato l'accordo non avrebbe alcun senso.
Come verrà finanziato? Attraverso le borse internazionali, cioè l'azienda verrà quotata. Come verrà gestita? Verrà gestita liberamente, cioè non ci saranno patti di sindacato tra ENEL-ENI e questi ultimi andranno in minoranza, ossia pensiamo di mantenere circa il 20 per cento alla fine di questo processo. Quindi ci saranno dei risparmiatori, dei fondi, dei proprietari dell'impresa che decideranno come l'impresa dovrà essere gestita. L'impresa non ha, nella sua costituzione, un vincolo, cioè potrà operare anche sui mercati internazionali, sarà indipendente e opererà a suo rischio. Quali impianti verranno apportati? Sicuramente tutte le centrali attualmente in possesso dell'ENI e gli impianti equivalenti da parte dell'ENEL che, avendone moltissimi, si riserva di indicarli in base a considerazioni di carattere economico e territoriale; è opportuno infatti che l'impresa abbia una distribuzione ottimale sul territorio nazionale dei suoi impianti di produzione. Gli impianti di produzione dell'ENI sono prevalentemente sui siti delle aziende Enichem, quindi non


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necessariamente ottimali come distribuzione geografica. Noi pensiamo di trovare un compromesso utile, apportando degli impianti che possono produrre energia nelle regioni che altrimenti non sarebbero rifornite.

GAETANO RASI. La produzione dell'energia elettrica da questa nuova società rientrerà nel 30 per cento del mercato libero o nel 40 per cento del mercato dell'ENEL?

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Rientrerà nel 30 per cento del mercato libero e coprirà circa un terzo delle necessità di tale mercato; quindi, al massimo un 10 per cento potenziale. Bisogna infatti riuscire a venderlo.
La procedura sarà prevista dalla Consob, e probabilmente ci sarà un'offerta pubblica, come avviene quando si quotano le aziende e si chiede ai sottoscrittori internazionali di sottoscriverne il capitale. Non riteniamo di sottrarre ai privati desiderosi di investire per il mercato libero, in quanto in questo momento non ce ne sono. La nostra ipotesi - ma potrebbe trattarsi solo di una malignità - è che i privati aspettino proprio una legge per acquistare a condizioni di favore gli impianti dell'ENEL.
Ampliamento del monopolio? Non direi. Il monopolio si restringe, l'ENEL passa in minoranza in questa società. Possiamo anche prevedere di vendere tutto, non è questo il problema; direi che si tratta di un incoraggiamento al libero mercato. Qualcuno ora deve farsi avanti e fare concorrenza a questa società, perché il 20 per cento della capacità del mercato libero è ancora disponibile, non viene bloccato dalle attività di questa società. Pensiamo inoltre che questo avverrà nel tempo, non essendo una cosa che si possa fare domani; stiamo parlando di un'attività estesa su qualche anno.
Quali impianti? Non abbiamo ancora deciso. Non saranno sicuramente i migliori, per il fatto che devono essere trasformati in impianti a ciclo combinato (devono avere questa potenzialità). Ovviamente andrebbero dismessi se non partecipassimo a quest'attività. Faremo comunque tutte le verifiche del caso affinché non vengano sottratti impianti particolarmente validi per il rifornimento.

GAETANO RASI. Quindi procederete a nuovi investimenti con fondi ENEL?

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. No, con fondi della borsa. Noi apportiamo gli impianti come sono, andiamo in borsa e, con ciò che raccogliamo sul mercato, rinnoviamo gli impianti. L'ENEL ricava dalla vendita delle sue azioni, eventualmente, ma non immette cassa.

GAETANO RASI. Voi trasferite un vostro obiettivo alla nuova società?

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Sì, non portiamo cassa. L'investimento viene fatto dagli investitori che partecipano a questa venture.

GAETANO RASI. È un impegno per la nuova società, perchè se non lo fate con i vostri soldi lo fate con quelli degli azionisti, e pertanto...

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Ma noi dovremmo dismettere, perché non abbiamo più mercato. Se il 30 per cento del mercato viene liberalizzato, non lo rifornisce più l'ENEL, quindi l'Ente deve dismettere gli impianti. A questo punto, noi pensiamo di mettere questo impianto a disposizione di una società a cui partecipano anche i privati, a prezzi di mercato, a prezzi di borsa. Con la cassa non facciamo semplicemente del profitto sull'impianto, ma contribuiamo a creare lavoro, a rifare l'impianto.

GAETANO RASI. Questo è un argomento da approfondire.

PRESIDENTE. Non diamo vita ad un dialogo, per cortesia.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. La nostra intenzione è questa. Ovviamente tutto ciò avviene sotto


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la vigilanza dell'authority, che deve vigilare affinché non vengano danneggiati gli utenti vincolati.
Quanto all'eventuale riduzione di valore dell'ENEL, direi il contrario, nel senso che se questa azienda funziona dovrebbe avere un suo valore; e noi di tale azienda abbiamo una parte di proprietà. Per la parte che non è di nostra proprietà abbiamo ricevuto cassa. Si può sempre discutere sull'adeguatezza dei valori, ovviamente, però direi che quello che si sta facendo sia per noi sia per l'ENI, che ha lo stesso problema, è trovare il prezzo giusto. Secondo noi il prezzo giusto, oltre alla stima del valore in occasione della messa in borsa, è il prezzo che il mercato è diposto a pagare per un certo progetto.
Quanto ad eventuali condizioni nel recepimento della direttiva, non riteniamo di metterla in pericolo, anzi aspettiamo che venga resa esecutiva per poter proseguire con questo progetto; in un certo senso esso è condizionato al fatto che si applichi la direttiva europea, perché in caso contrario il progetto non ha alcun senso e quindi non verrà neanche realizzato.

GUIDO POSSA. Moltissimo è stato già chiarito e quindi mi limiterò ad alcune considerazioni marginali.
L'altro giorno mi sono recato a trovare mia madre in via Nievo a Milano e ho visto tutte le scale squinternate dai lavori; ho chiesto notizie e mi è stato risposto che si trattava della posa dei cavi in fibra ottica per la Telecom e l'ENEL dal canto suo ha un valore enorme, perché accede ad ogni famiglia con le sue linee elettriche (parlo non del telefono, ma della possibilità di accostare un minuscolo cavo a fibre ottiche alle linee che portano energia elettrica, arrivando così in tutte le case). Questo accesso, ripeto, ha un valore enorme.
Oltre alla valorizzazione nel campo delle telecomunicazioni e di quanto già fatto nell'ambito della telefonia, c'è in animo di venire incontro anche all'istanza fondamentale, rivolta al top management dell'ENEL al momento del suo insediamento, da parte del Ministero del tesoro e di quello dell'industria? Valorizzate al massimo l'azienda anche da questo punto di vista?
Ancora: siamo in un periodo di austerità, che temo durerà a lungo; abbiamo tanti problemi da risolvere e solo l'austerità potrà farceli risolvere. Uno dei modi per lenire il carico dell'austerità - e qui il dottor Tatò è un maestro di «color che sanno» - è di fare il possibile per organizzare al meglio le risorse. Mi rivolgo al management: perché non bruciare più carbone di quanto non si stia facendo e di quanto non si sia fatto nel passato?

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Naturalmente noi guardiamo a tutte le possibili valorizzazioni del patrimonio di cui disponiamo. Diciamo che la valorizzazione di quell'ultimo tratto cui lei si riferisce è particolarmente difficoltosa; non è così semplice infatti usare la rete di bassa tensione esistente, vale a dire quella che arriva fino a casa dell'utente, per metterci di fianco altre cose. Non sempre in passato si è avuta la preveggenza di prevedere forme di cunicoli intelligenti o guide in cui potessero passare più cavi. Certo, c'è molta ricerca su questo aspetto; si sa per esempio che si può trasferire un'informazione anche sulle linee elettriche, utilizzando le cosiddette onde convogliate, ma la qualità e la velocità di questa informazione è oggi molto bassa, per cui possono servire per stoccare dati di massa, ma non per prestare servizi di qualità, come si aspetta l'utente per servizi telefonici, televisivi e così via. Comunque, guardiamo con attenzione e, se sarà possibile utilizzare in qualche modo l'asset che abbiamo, perché no?
Per quanto riguarda il carbone, quello bruciato oggi dall'ENEL si aggira sui 10 milioni di tonnellate e viene bruciato in impianti che hanno subìto gli ultimi aggiornamenti tecnologici dal punto di vista ambientale o stanno per subirli. Sono, quindi, dotati di desolforatori e denitrificatori. Ritengo personalmente irragionevole l'obiezione posta allo sviluppo del carbone in questi impianti; senza realizzare nuovi impianti si potrebbero bruciare maggiori quantità di carbone in quelli


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esistenti, per esempio a Brindisi, dove invece per moltissimi motivi abbiamo dovuto accettare l'ipotesi che una parte di quella centrale, costruita per funzionare a carbone, dotata di un nastro trasportatore del carbone, di desolforatori e di denitrificatori, venga fatta funzionare a metano. Il metano è competitivo con il carbone quando viene bruciato in impianti dedicati al metano, con rendimenti molto alti, ma bruciare il metano in una centrale a carbone equivale a mettere della benzina super in un motore diesel: rappresenta indubbiamente uno spreco. Tenete conto che un chilowattora prodotto con il metano in una centrale di quel tipo costa a noi, e quindi agli utenti, circa 35 lire in più rispetto all'equivalente di un chilowattora prodotto con il carbone.

VALENTINO MANZONI. L'aver accennato a Brindisi mi indurrebbe a discutere molto di questo argomento, ma in questa sede mi limito a dire al presidente dell'ENEL che il Governo sta disattendendo puntualmente tutti gli impegni assunti in sede di definizione della vertenza energetica, che è durata quindici anni; impegni assunti come contropartita e a titolo di risarcimento per il grosso sacrificio fatto dalla città di Brindisi - un piccolo ed angusto territorio - nell'ospitare ben 4.000 megawatt di potenza energetica. È questo un argomento che va trattato in altra sede e quindi mi limito, con riferimento all'argomento in discussione, ad alcune osservazioni, attenendomi strettamente al tema, senza divagare (anche perché giovedì sono in discussione le risoluzioni che riguardano il problema elettrico, e in quell'occasione si potrà parlare di tutto l'assetto e della riorganizzazione dell'ENEL).
Il dottor Tatò, nel delineare i vari passaggi della riorganizzazione del settore elettrico, a un certo punto ha detto che l'Ente deve pensare a riposizionarsi per il futuro. Questo accordo evidentemente rientra in questa volontà di riposizionamento dell'ENEL per il futuro. L'accordo pone alcuni problemi, già sollevati dall'onorevole Rasi, sui quali voglio ritornare perché non mi sembra di aver avuto risposte soddisfacenti ed esaurienti.
Il dottor Testa, presidente dell'ENEL, il 27 novembre 1996 ha partecipato ad un convegno organizzato dall'associazione degli industriali sul tema «50 anni di UNAPACE: dalla ricostruzione alla riforma del sistema elettrico». Parlando dell'ENEL e delle possibilità di riorganizzazione dello stesso, si è espresso più o meno in questi termini: «Ci sono due modi opposti di affrontare il problema della ristrutturazione del sistema elettrico italiano. C'è un modo che ha a che fare con il cannibalismo: vediamo come ci possiamo spartire le spoglie di questo o di quell'altro. Chi riuscirà a prendere un pezzo più grande, chi prenderà un pezzo più piccolo; il risultato complessivo non può che essere, secondo me, un impoverimento del sistema industriale italiano e dell'efficienza del sistema elettrico».
Sono d'accordo con lei. Più avanti passa ad illustrare l'operazione più confacente alle esigenze dei consumatori e conclude: «Non possiamo pianificare il mercato: possiamo regolarlo, stimolarlo, incentivarlo, favorirlo, ma non pianificarlo». Il memorandum d'intesa tra ENEL ed ENI configura e prefigura un importante operatore del costituendo mercato libero - che dovrà avviarsi di qui a qualche tempo -, posto che il 30 per cento del mercato globale sarà destinato ai grandi clienti industriali, dal momento che il mercato vincolato è per gli utenti di dimensioni più modeste. Se i dati sono esatti, siamo di fronte alla costituzione di una società che disporrà di una potenza dell'ordine di 5 mila megawatt (2.500 apportate dall'ENI e altrettante dall'ENEL) per una produzione di energia elettrica di circa 30 miliardi di chilowattora annui.
È stato ricordato poc'anzi che Brindisi, insieme con Caorso, produce 40 miliardi di chilowatt all'anno, sufficienti a soddisfare il fabbisogno...

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Sufficienti a soddisfare il 20 per cento del fabbisogno nazionale.


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VALENTINO MANZONI. D'accordo, il 20 per cento del fabbisogno nazionale. Mi pongo però una domanda: la costituzione di questa società, per la posizione di mercato che occuperà, non costituisce un'operazione di cannibalismo? Date le sue dimensioni, la società non limiterà l'accesso ad altri soggetti? La creazione di questo rilevante operatore non contraddice le linee guida del documento Carpi, secondo il quale occorre incoraggiare la concorrenza e la formazione di più soggetti operanti nel settore, in una parola di più produttori? Se questo accordo viene consentito all'ENI e all'ENEL, perché altrettanto non dovrebbe essere permesso ad altri grossi operatori? E se questo accade, il pluralismo nel settore della produzione dove va a finire? E la concorrenza? Gradirei avere delle risposte.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. In relazione alle dimensioni rispondo che la società, che prevediamo di costituire, è in grado di esaudire al massimo il 30 per cento del futuro mercato libero (sempre se sarà capace di vendere energia elettrica). Speriamo, con la futura rete europea, di vendere qualcosa anche all'estero, ma stanti le dimensioni previste la costituenda società produrrà quanto due centrali già esistenti, quella di Montalto di Castro e di Brindisi, che da sole forniscono la stessa quantità di chilowattora, ossia 30 miliardi. Questo è interessante per comprendere gli ordini di grandezza.

VALENTINO MANZONI. Forse non capisco i meccanismi, ma in un mercato limitato può verificarsi questa situazione? Non è ancora il potenziale dell'intero mercato.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. In Italia serviranno 15 mila megawatt per servire il mercato libero; prendendo anche i 2.500 megawatt dell'ENI, si arriverà a 5 mila.
Passo al cannibalismo. Ho fatto riferimento ad una situazione che ho avvertito nell'aria, tant'è che ho usato le parole di Falck. Per un certo numero di operatori l'ENEL doveva liberarsi del 30 per cento della sua produzione, era costretta a vendere; e quando si è costretti a dismettere, i prezzi diminuiscono. Il rischio era di procedere alla rinazionalizzazione al contrario; nel 1963 per le centrali acquistate abbiamo pagato ai privati un prezzo superiore, dopo trent'anni le rivendiamo ad un prezzo dimezzato. Con l'operazione che ci accingiamo a compiere mettiamo insieme un progetto industriale, la società acquista valore e si procede anche ad un'integrazione con un rifornitore di combustibile. Attenzione, però, non si approfitterà della posizione perché i prezzi del combustibile saranno disciplinati dal regolatore (non si pensi che l'ENI praticherà uno sconto sottobanco). Ripeto, si fa un'integrazione importante e si crea un soggetto per il mercato libero italiano e straniero; è un'operazione completamente diversa rispetto alle altre, tant'è che nessun produttore indipendente - come ricordava il dottor Tatò - sta investendo per il mercato libero. Forse ci si aspettava di appropriarsi di qualcosa; il ministro Bersani dice: «ogni boccone a misura di bocca».
Era chiaro fin dall'inizio - specie per chi ha seguito il dibattito - che ENEL non avrebbe potuto fare il mercato libero così com'era, tant'è che eravamo già stati invitati a costituire una società separata. In sostanza, per la creazione di questa società sono stati apportati impianti da parte nostra e dell'ENI.
Poiché per gli operatori indipendenti la maggior parte del fatturato deriva non da un'attività imprenditoriale, ma dall'obbligo dell'ENEL di acquistare chilowattora ad una tariffa fissata dallo Stato, mi domando se non sia il caso che tali operatori, per partecipare al mercato libero, costituiscano una società separata, per evitare incroci tra sussidi avuti dal mercato obbligatorio e da quello libero.

PRESIDENTE. Vorrei porre alcune domande. Nell'accordo ENEL-ENI, che poteri, che funzioni e che possibilità di intervento avrà la General Electric?
In questo accordo ENEL-ENI sono stati già designati gli adviser? Chi sono?


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È vero che esiste già una lettera di intenti dell'ENEL con la Enron, lettera di cui mi è stato parlato l'altro giorno a Londra, in forza della quale si creerebbe una società mista ENEL-Enron per cedere centrali nell'Italia del nord?
Esiste un accordo con la Deutsche Telekom per una società mista per la telefonia mobile e fissa?
È vero che vi sono trattative in corso con la società Debis, del gruppo Mercedes, per il settore informatico?

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Funzioni della General Electric, nessuna: le funzioni della General Electric sono quelle indicate in una recente intervista dall'avvocato Fresco, vicepresidente della GE, il quale ha sostenuto che gli farebbe piacere collaborare. Non ci sono trattative. Conosciamo l'avvocato Fresco, sia io, sia Bernabè.
Non ci sono ancora adviser per l'operazione. Abbiamo un adviser interno che è la Vitale Borghesi, la quale ci sta aiutando nella definizione dei criteri per stabilire il valore degli impianti. Non è ancora un adviser per un'eventuale operazione di borsa.

PRESIDENTE. Vitale Borghesi?

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Sì, ma ci aiuta nella valorizzazione degli impianti, non per altro.

PRESIDENTE. Questo mi basta.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Una lettera con la Enron non esiste ancora, il che non vuol dire che non esisterà. È stato firmato un MOU, ossia un memorandum of understanding con Deutsche Telekom. È noto, l'abbiamo anche comunicato alla stampa.

PRESIDENTE. Mi scusi, con Enron non esiste ancora...?

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Non esiste ancora, però potrebbe esistere, in quanto abbiamo detto che proporremo altre eventuali venture del tipo di quella con l'ENI e una potrebbe essere questa. Con Deutsche Telekom è stato firmato un memorandum of understanding...

PRESIDENTE. È stato firmato?

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. È stato firmato tempo fa e comunicato ufficialmente alla stampa.
Trattative con Debis: ufficialmente non c'è nessuna trattativa. In questo momento è in corso un'esplorazione con varie società che si occupano di outsourcing, di servizi informatici, una delle quali è Debis, un'altra è EDS ed anche IBM ci ha fatto un'offerta molto concreta, non ancora quantificata.

PRESIDENTE. Questo mi basta.

SERGIO FUMAGALLI. Relativamente all'accordo ENI-ENEL avete affermato che per raccogliere capitale vi sareste rivolti alla borsa: è escluso il coinvolgimento di un partner ulteriore?
Per quanto riguarda l'approvvigionamento, di cui ha parlato poc'anzi il presidente, a livello mondiale si tende alla specializzazione nell'uso del gas: poiché l'ENI tratta questo combustibile, vorrei sapere qualcosa di più.
Con il processo di liberalizzazione e la conseguente privatizzazione si corre il rischio di compromettere la dimensione e la capacità operativa dell'ENEL; d'altra parte ci si preoccupa che il mercato italiano, in quanto tale, fatichi a sostenere una struttura societaria delle dimensioni dell'ENEL: è una preoccupazione fortemente avvertita che con il passare del tempo potrebbe portare a conseguenze difficilmente evitabili. In argomento il presidente Testa ha sviluppato un ragionamento sulla partecipazione a business internazionali, sostenendo che se da un lato vengono perseguite le occasioni legate essenzialmente all'engineering, dall'altro non vengano considerate le opportunità circa la partecipazione a privatizzazioni estere o a processi di gestioni integrate.


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ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Scusi l'interruzione, ma se ci viene chiesto di fare l'operator in contratti di outsourcing o analoghi, lo facciamo volentieri perché possediamo sia il lavoro sia la capacità idonea; il problema sorge quando per fare l'operator bisogna erogare 1.500 o 2 mila miliardi per acquisire l'asset. In questo caso, il contenuto di lavoro rispetto alle nostre capacità finanziarie è molto basso.

SERGIO FUMAGALLI. Il chiarimento è sempre utile, ma rispetto a tale opportunità la privatizzazione dell'ENEL potrebbe rappresentare uno strumento positivo per competere anche nelle situazioni in cui gli assetti dell'ENEL rendono poco perseguibile questa strada?
L'applicazione della direttiva europea, oltre a generare una spinta verso la liberalizzazione dei mercati nazionali, prefigura la costituzione di un mercato integrato europeo (a mio giudizio, bisogna dare anche questa interpretazione). Ciò significa che se in Italia si apre potenzialmente uno spazio del 30 per cento del mercato liberalizzato è ragionevole pensare che altrettanto si verifichi anche in altri stati europei; altrettanto ragionevole è pensare che si introducano meccanismi di autotutela rispetto a chi non dovesse applicare la liberalizzazione. Circa gli eventuali spazi e la possibilità di diventare un'azienda multinazionale nell'integrazione europea, la società ENI-ENEL può essere uno strumento operativo oppure non ha questa opportunità?

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Un processo di privatizzazione, nella misura in cui apportasse risorse finanziarie e riducesse l'indebitamento dell'ENEL, potrebbe migliorare le possibilità per l'azienda di prendere in considerazione eventuali investimenti a forte contenuto finanziario, non dico con prevalente contenuto finanziario, perché non vogliamo fare gli speculatori, ma svolgere soltanto il nostro lavoro.
L'ipotesi ENEL-ENI tende alla costituzione di un soggetto che possa operare all'estero, attraverso incroci, accordi, intese, eccetera. Lei ha sottolineato una preoccupazione comune a tutti, quella cioè che l'apertura del mercato europeo non avvenga dappertutto con le stesse regole. Mi insegna però che un conto è dire che il mercato è aperto, un altro è apportare gli strumenti indispensabili affinché sia effettivamente aperto. Non ritengo, per esempio, che i nostri amici francesi costituiranno una società separata per il mercato libero, cosa che costringerebbe a realizzare quella società, con relativi problemi, debiti e così via. Diciamo che noi italiani siamo particolarmente severi - a me fa piacere, e speriamo che questo migliori la competitività, nostra e del sistema - però farei attenzione a ciò che fanno gli altri in Europa.

GIUSEPPE MOLINARI. Questa Commissione ha approvato qualche mese fa la risoluzione Raffaelli ed altri n. 8-00010 del 22 gennaio 1997, che invitava i vertici dell'azienda a rivedere le sedi delle articolazioni territoriali e a ripristinare le direzioni nelle sei regioni che hanno quella maggiore dimensione, tenuto conto anche della legge Bassanini. Gli stessi criteri adottati non sempre rispondono ad una funzione tecnica (talora sono compensativi e concentrativi), e la delegazione di cui parlava il dottor Tatò è un organismo vuoto, senza alcuna capacità decisionale e di autonomia, per cui non assolve nemmeno quella funzione di cui parlava l'amministratore delegato, dottor Tatò.
In sostanza, vorrei conoscere il pensiero dei vertici sulla risoluzione cui ho accennato.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Devo essere molto sincero: nel passato, le ristrutturazioni effettuate in ENEL (ce ne sono state diverse) hanno colto solo una piccola percentuale degli obiettivi che si ponevano e, in alcuni casi, sono durate anni e anni; sono occorsi tre anni per una ristrutturazione. Ciò - per essere molto sincero - spinti dalla necessità di trattare queste ristrutturazioni con una


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serie di poteri, tutti legittimi - per carità - distribuiti nel territorio nazionale.
Non mi sfugge il significato della risoluzione, nei confronti della quale sono molto rispettoso; ritengo però che la ristrutturazione effettuata, che non ha significato politico né istituzionale (fra l'altro la legge Bassanini delega le funzioni di programmazione e così via, non i criteri di organizzazione di un'azienda, che sono tutt'altra cosa), debba restare strettamente nelle facoltà e nei poteri del management. Ciò non significa che quella sia La Bibbia dell'organizzazione dell'ENEL: la osserviamo, le organizzazioni devono continuamente modificarsi e sistemarsi per essere pronte a rispondere. Non ne farei un articolo di fede, per capirci, però il giorno in cui qualcuno mi dimostrerà che, in forza della ristrutturazione che abbiamo fatto, è diminuita la qualità del servizio prestato ai nostri utenti, mi sembrerà una critica molto pertinente. Sulla questione se debba esserci un distretto, un dipartimento, una delegazione, un centro, ci assumiamo la responsabilità dell'impopolarità.
Vi assicuro che solo in questo modo possono essere effettuate le ristrutturazioni, altrimenti la quantità di richieste che noi potremmo ricevere - per motivi di prestigio, occupazionali, di ufficio, di appalto e così via - renderebbero assolutamente impossibile l'operazione. Mi scuso, quindi, se non potremo dare seguito alla risoluzione della Commissione, ma riteniamo si tratti di due sfere di competenza e di autonomia non comunicanti, nel caso specifico.

EDO ROSSI. Nell'introduzione ho ascoltato alcuni passaggi - procedo per schemi, perché molte cose sono già state dette - tra i quali il seguente: in un certo modo vi è stato un apprezzamento rispetto all'intervenuta riduzione di personale nel settore dei dirigenti di 300-400 unità, se non ho capito male, avvenuta senza contrasti, in modo morbido. Quanto è costata all'ENEL in termini economici questa operazione? Può dirmi quanto l'ENEL ha versato economicamente per ogni dirigente per garantirsi questa operazione?
In secondo luogo, lei ha sostenuto che è in corso e che dovrà andare avanti un processo di dimagrimento dell'azienda e, di conseguenza, del personale. Per chi segue delle diete, per chi pratica delle cure dimagranti, i dietologi indicano dei limiti massimi oltre i quali non si può andare: lei ci può indicare quale sarà il limite a cui questo dimagrimento si fermerà (parlo dei dipendenti dell'azienda)? Quanto, in termini di surrogati finalizzati a questo scopo, sarà attuato in termini di appalti?
In terzo luogo, in questo processo di dimagrimento, quali sono le centrali che non faranno più parte del domani (uso questo termine per semplicità)? Rispetto ad alcune di queste - e mi scusi il clientelismo che intendo fare - sono intervenuti dei blocchi relativamente ad investimenti programmati di ambientalizzazione; ebbene, è noto che questi investimenti programmati di ambientalizzazione...

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Dove?

EDO ROSSI. Nel Mantovano. Questi blocchi rispondono a due tipi di esigenze: la prima è l'adeguamento degli impianti, la seconda è quella di rendere compatibili tali impianti con il territorio e con l'ambiente. Se si ferma questo processo, si può facilmente dedurre che questi sono impianti che non hanno particolari prospettive.
Infine, in questo processo, preso atto che il mercato internazionale offre sufficiente tranquillità dal punto di vista dell'approvvigionamento energetico, preso atto che l'energia ormai è disponibile su tutto il territorio nazionale, preso atto cioè delle considerazioni che lei faceva nella sua introduzione, come si colloca - in questa situazione, ripeto, di tranquillità, perché se fossimo in una situazione di emergenza o di crisi sarebbe un'altra questione - l'impostazione in termini di investimento di prospettiva circa le energie rinnovabili? Mi sembra, infatti, di aver capito che una forte ripresa in questo senso fa riferimento al progetto di termocombustione (i 12 siti che avete individuato


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sarebbero pronti per questo processo). Poiché è noto che il nostro interesse come gruppo non è quello di andare su questa strada, sarei curioso di sapere, in questo processo di riorganizzazione e di dimagrimento, quale spazio verrà lasciato alle fonti rinnovabili.
Prendo atto - ma è questione che riguarda questa Commissione e questo Parlamento - della sua dichiarazione secondo la quale, dottor Testa, lei non può, con grande dispiacere, attuare la risoluzione, la direttiva, la decisione adottata da questo Parlamento. È un problema che riguarda il Parlamento, non riguarda lei; il Parlamento deve verificare se sia sovrano e dove si fermi la sua sovranità. Abbiamo capito che la sovranità si ferma ai cancelli di un'azienda di proprietà dello Stato.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. La sua sovranità credo si fermi anche sulla soglia dei ministeri, nel senso che i ministeri hanno autonomia amministrativa.

PAOLA MANZINI. Forse bisognava precisare il dispositivo di quella risoluzione. La risoluzione votata dalla Commissione poneva una serie di criteri.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Posso avere il testo della risoluzione, per favore?

PRESIDENTE. Gliela leggo: «Anche in vista dell'ormai imminente recepimento delle direttive comunitarie in materia di energia elettrica ... ad assumere le iniziative necessarie affinché l'ENEL, Ente concessionario pubblico, proceda ad un'organizzazione territoriale del servizio che privilegi una vicinanza tra utenza e servizio, come peculiare punto di forza nei confronti della concorrenza, nel rispetto delle professionalità disponibili anche in sede locale ed in coerenza con il disegno regionalistico della Costituzione, dando contenuto alla dimensione regionale della struttura di distribuzione o, nei casi di regioni di grandi dimensioni, definendo un corretto fattore dimensionale delle strutture medesime, impegna il Governo ad assicurare la coerenza fra gli assetti organizzativi e strutturali dell'Ente e gli orientamenti del Governo sulle prospettive del settore».

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Le chiedo scusa, onorevole Rossi, la risoluzione è indirizzata non all'ENEL, come forse si poteva intendere, bensì al Governo; se quest'ultimo ci chiederà di applicare quei criteri, credo che non ci sarà nessuna difficoltà, perché a mio giudizio noi li stiamo già applicando. Grazie.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Quanto ai dirigenti usciti, in particolare ai 300 dirigenti di cui parliamo, l'esborso sarebbe di 80 miliardi; il risparmio previsto nei quattro anni che tali dirigenti avrebbero trascorso in azienda è di 450 miliardi. Si tratta in sostanza di un investimento di 80 miliardi per risparmiarne 450 in 4 anni per incentivazioni, per liquidazioni e via dicendo.
I dirigenti dell'ENEL sono molto cari. Ci sono i cosiddetti diritti acquisiti: se si facesse una legge che li modifica, saremmo molto favorevoli e faremmo un grande applauso. Il costo dei dirigenti dell'ENEL - ripeto - è pesantissimo.
Per ciò che riguarda la dieta, non metterei limiti alla provvidenza. Noi reingegnerizziamo i processi e, così facendo, cerchiamo di risparmiare facendo sempre bene il lavoro e garantendo la qualità. Non abbiamo neanche avanzato un'ipotesi di taglio: anche all'ipotesi che ho prospettato - se perdo il 30 per cento del mercato devo tagliare le risorse - non l'ho quantificato, perché il taglio delle risorse va fatto in base alla situazione reale, ad uno scenario credibile e in base alle possibilità di intervento e di ingegnerizzazione dei processi. Mi rifiuto di mobilitare l'organizzazione su slogan puramente riduttivi di questo genere; l'organizzazione deve concentrarsi per fare bene il suo mestiere, con il minimo di risorse possibile per garantire il miglior servizio al costo più contenuto. È il lavoro quotidiano del management.


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EDO ROSSI. Ho capito perché non hanno fatto sciopero!

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Guardi che nel 1996 erano 96 mila, in questo momento siamo scesi sotto i 90.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Onorevole, guardi che queste cose sono regolarmente scritte nella relazione della Corte dei conti al Parlamento. Non è una novità. È stata una novità per me quando sono diventato presidente dell'ENEL.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Quali centrali verranno dismesse? Questo dipenderà dall'assetto del mercato e dal merit order conseguente. Oggi abbiamo un piano di dismissioni, che è noto; alcune centrali sono vecchissime, e non conviene più rinnovarle, e c'è un piano, sui prossimi due-tre anni, di dismissione di circa 4 mila megawatt.
Il piano di dismissione di 4 mila megawatt, carissimi perché sono centrali inefficienti non più ricondizionate, non tiene conto del 30 per cento di mercato libero che verrà introdotto - ma non sappiamo quando, perché dipende dalle decisioni del Parlamento in ordine al recepimento della direttiva europea -. A quel punto ci porremo il problema delle centrali da interessare, in base anche ai criteri stabiliti dall'authority sui prezzi da pagare per l'energia generata. È un capitolo oscuro anche a noi; sappiamo che succederà, ma non sappiamo quali centrali verranno interessate, perché dipende dalle decisioni dell'authority e dalla liberalizzazione del mercato: naturalmente la temporalità della decisione produce conseguenze.
Blocchi di investimenti per l'ambientalizzazione non ce ne sono; in tutte le revisioni dei piani di investimento, gli investimenti di ambientalizzazione sono stati confermati, salvo quello da lei indicato rispetto al quale non so rispondere specificatamente perché non so se si tratti di una centrale in dismissione: dovrei verificare. Ad ogni modo, tra tutti gli investimenti, gli unici a non essere stati interessati sono quelli relativi all'ambientalizzazione.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda l'affare Nigeria, so che a Londra si dà per imminente la chiusura dell'arbitrato. Nel caso l'arbitrato non fosse positivo per l'ENEL, a quanto ammonterebbe la perdita per l'Ente? Questa perdita andrebbe a carico del bilancio dell'ENEL o, attraverso il sovrapprezzo termico, a carico degli utenti italiani?

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Prima di cedere la parola al dottor Tatò, se il presidente consente vorrei fare una precisazione. Mi sono trovato nella straordinaria situazione, leggendo alcune dichiarazioni e qualche giornale, di veder addebitata a questa gestione la responsabilità del'affare Nigeria.

PRESIDENTE. Non da me.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. No, però mi consenta di precisare. Innanzitutto, il dottor Tatò, il sottoscritto e il consiglio di amministrazione si sono trovati davanti ad un contratto take or pay, lo prendi o lo paghi, con la Nigeria, firmato dai precedenti amministratori, con l'autorizzazione, anzi la sollecitazione - se così possiamo dire -, del Governo.
Seconda questione: ci siamo preoccupati di fare tutto quello che doveva essere fatto per dare mandato al contratto. La posizione politica di alcuni gruppi politici ha impedito la realizzazione del terminale di Monfalcone e 1.500 miliardi di investimento, con il quale il gas sarebbe stato collocato perfettamente e il contratto onorato. A questo punto l'Italia non ha disponibile un terminale, non per scelta dell'ENEL, ma per scelte operate da altri. L'altra possibilità, quella di Montalto di Castro, è stata fortemente scoraggiata da una serie di avvenimenti, di dichiarazioni e di prese di posizione anche di forze appartenenti a questo Governo e a questa maggioranza.
Adesso stiamo cercando di risolvere il problema; quali saranno le conseguenze di un arbitrato negativo o altro, vorrei che,


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con la cautela relativa al fatto che è in corso un arbitrato - e lei presidente conosce il diritto anglosassone e soprattutto gli anglosassoni, che sono molto puntigliosi e che danno valore persino alle cose dette oltre che a quelle scritte...

PRESIDENTE. Se questo può danneggiarvi, vi autorizzo a non rispondere.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. La ringrazio, forse è meglio non rispondere.

COSIMO FAGGIANO. Inizierò con una brevissima considerazione personale, ossia che bisogna dare atto della capacità dimostrata dal top management nella costruzione di una strategia aziendale, di una politica per l'Ente. Su di essa si può o meno convenire, ma comunque è importante per un ente pubblico perché testimonia la volontà di un management di affrontare la situazione in modo deciso e determinante.
Nello scenario relativo all'anno 2003 la quota dell'ENEL si riduce dal 66 al 40 per cento, ma sulla base di quali criteri sarà individuata la parte da dismettere? Normalmente si scelgono gli impianti più obsoleti, inefficienti, improduttivi. Poiché in questo si inserisce l'ipotesi di accordo ENEL-ENI, che elemento influirà sulla scelta delle dismissioni? Introduco due elementi provocatori: può trattarsi della improduttività e dell'inefficienza basate sul rimborso a piè di lista che vi sarà sul mercato libero? Oppure può essere una valutazione territoriale, rispetto alla collocazione degli impianti e alle problematiche che questi presentano? O ancora può incidere la dotazione di un patrimonio che metta la nuova società in grado di competere, a livello internazionale, così come ci avete prospettato?
Passo ora agli investimenti e alla diversificazione. Condivido la politica di diversificazione che l'ENEL si è data, perché ciò corrisponde agli obiettivi che l'azionista, come è stato chiamato, ha dato al management, ossia la valorizzazione del patrimonio anche rispetto alle nuove normative alle quali dovremo adeguarci. Ci sono alcuni settori della diversificazione particolarmente importanti e strategici per una politica industriale competitiva, come la telefonia. E una società come l'ENEL, che possiede una rete di distribuzione ed una presenza tanto capillare sull'intero territorio nazionale, ha l'obbligo di misurarsi con questo nuovo settore.
Per quanto riguarda gli investimenti, invece, rovescerei la domanda posta dal collega Migliavacca, perché credo che la necessità di intervenire riguardi non tanto gli impianti produttivi, quanto la rete distributiva e le infrastrutture del Mezzogiorno. Per esempio, nella provincia di Brindisi - anzi invito il presidente e l'amministratore delegato dell'ENEL a non fornire alibi per rimettere in discussione un accordo così faticosamente giunto alla fase attuativa - vi è uno stabilimento produttivo nuovo e moderno, la cui rete distributiva invece è totalmente insoddisfacente. Spesso queste reti creano condizioni ambientali di non vivibilità nei comuni, perché sono state realizzate secondo il vecchio criterio del «passare ovunque», magari imbrattando e deteriorando monumenti e beni culturali. Sulla fatiscenza delle reti, soprattutto del Mezzogiorno, credo che una risposta debba essere data anche in relazione agli investimenti.
Sempre legata alla diversificazione degli investimenti è anche la questione, che intendo rivolgere, circa il progetto acque: come si può inserire, nel piano di riordino delle acque, il grande settore ingegneria e produzione dell'ENEL, per concorrere allo sviluppo del Mezzogiorno, attraverso la realizzazione di una rete infrastrutturale idonea?

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Sinceramente non ho capito la domanda a proposito del mercato libero.

COSIMO FAGGIANO. Intendo dire che se affidassi a questa società gli impianti più vecchi, il costo di produzione potrebbe essere competitivo, tanto sarà rimborsato...


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FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. Sul mercato libero è altamente probabile che non vi sarà rimborso.

COSIMO FAGGIANO. Apposta ho detto di voler essere provocatorio.

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. A parte la provocazione, dobbiamo essere realisti. Rientra nella responsabilità dell'authority mantenere o meno la cassa conguagli; l'ENEL non c'entra, deve solo prenderne atto.
Sul mercato libero è altamente improbabile che vi sia una cassa conguaglio, sarebbe stravagante che un imprenditore, il quale rischia e deve negoziare sui prezzi, abbia il rimborso del combustibile. Lo si metterebbe nella condizione in cui oggi è l'ENEL, ossia di non poter calcolare la redditività di un investimento che fa consumare meno combustibile. Questa è la realtà. Riteniamo di poterlo escludere seguendo il buon senso, anche se abbiamo imparato che come è stato emanato il provvedimento CIP n. 6, così può esservi il CIP n. 7, che finanzia l'acquisto ad un prezzo bassissimo di centrali ENEL e rimborsa i combustibili. Non possiamo escludere questa eventualità.
Per quanto riguarda l'obsolescenza degli impianti dovrebbe intervenire, a livello nazionale, da parte dell'azienda che si occuperà del dispacciamento sul territorio, l'ufficializzazione del merit order, con il quale si classificano l'immissione degli impianti in rete. In altre parole, a differenza dei produttori privati che producono a tavoletta, per tutte le ore in cui riescono a farlo, noi per via della flessibilità di richiesta del sistema siamo obbligati a modulare il funzionamento degli impianti; ciò che avviene attraverso la diversificazione dei tempi di entrata in funzione delle centrali idro e termoelettriche.
L'entrata in funzione, come l'inserimento di energia acquistata a basso costo dall'estero, si fa in base ai costi di produzione dei diversi impianti, nelle differenti ore del giorno, per cui intervengono prima e sempre - a vantaggio degli utenti - gli impianti a costi inferiori. È chiaro che una volta definita la dimensione del mercato riservato all'ENEL - che serve il mercato vincolato -, su questo mercato insisteranno gli ottomila megawatt dei produttori privati; quindi, la riduzione per l'ENEL è superiore rispetto al 30 per cento di cui stiamo parlando. Ci saranno degli impianti che, per un certo periodo di tempo, non entreranno nel merit order e saranno gli impianti da dismettere: su questo si dovrà discutere.
L'operazione ENEL-ENI consiste nel salvare qualche impianto, tra tutti quelli considerati, a condizioni di mercato profittevoli per il nostro azionista, ossia lo Stato.
Per quanto riguarda l'intervento nel Mezzogiorno, dico subito che le condizioni della distribuzione sono problematiche, perché l'alimentazione elettrica nel sud è carente. Il Mezzogiorno non è autosufficiente in termini di generazione di energia elettrica. D'altra parte se pensate che non si è potuta costruire la centrale di Gioia Tauro, che è bloccata quella del Garigliano e che per la centrale di Brindisi sono stati impiegati dodici anni per riuscire ad arrivare a vederla a causa dell'opposizione locale, non si può accusare nessuno a Roma se il Mezzogiorno non è autosufficiente.
Il trasporto dell'energia elettrica dal settentrione al Mezzogiorno avviene attraverso due dorsali insufficienti e, dunque, il pericolo di black out e di interazioni superiori nel Mezzogiorno è costante. Autorizzazioni per triplicare la capacità di trasmissione non ne sono state date; a livello locale credo che i nostri ingegneri facciano tutto il possibile per garantire il servizio, ma le condizioni in cui lavorano sono semplicemente terrificanti.
Per il progetto acque, speriamo bene; l'applicazione della legge Galli sembra aver dato qualche frutto: siamo disponibili con rilevanti risorse tecniche e finanziarie perché è un grande progetto industriale, ma si tenga conto che si tratta di enti pubblici amministrati dalle regioni in modo assolutamente poco trasparente, dei quali


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si capisce poco, non si riesce a vedere i conti e non si sa bene chi se ne occupi. Vi fornisco solo due dati: l'acquedotto pugliese deve all'ENEL 85 miliardi; quello siciliano ce ne deve 47. Aspettiamo di vedere le acque.

RUGGERO RUGGERI. Abbiamo capito da tempo che la competizione di livello nazionale ed internazionale non è più un confronto tra gruppi di aziende o tra società, ma è un discorso sistemico, così come voi avrete considerato che nel nostro sistema industriale ormai si è affermata una caduta verticale del concetto di produzione e si è passati ad una società post-industriale, ancora da venire. Il fatto che non si produca più nella siderurgia, nella cantieristica, nella chimica e nelle raffinerie dà la misura della collocazione dei fattori della produzione, ossia dell'approvvigionamento dell'energia, di come tale problema deve essere impostato e risolto.
Nell'esposizione vi siete soffermati su un prospetto riguardante lo scenario al 2003 in ordine alla liberalizzazione del mercato, in cui l'ENEL passerebbe da una percentuale del 66 per cento, nel 1996, al 40 per cento nel 2003. Queste percentuali, però, sono scarti in termini percentuali, non in termini reali, dal momento che se produco 100 nel 1996 e le quote di mercato nel 2003 sono pari a 70, il 66 per cento di 100 ha un valore, il 40 per cento di 70 ne ha un altro. In termini reali c'è un crollo drastico...

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. È il 40 per cento del totale.

RUGGERO RUGGERI. Sì, ma è pur sempre in termini percentuali. I fabbisogni sono diversi.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. Quello a cui lei si riferisce è il 40 per cento di 100.

RUGGERO RUGGERI. Cento rappresenta il fabbisogno, ossia le quote di mercato.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. 100, però, crescerà un po'.

RUGGERO RUGGERI. Se però ci fosse una caduta dei consumi...

FRANCO TATÒ, Amministratore delegato dell'ENEL Spa. C'è una caduta degli incrementi dei consumi.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. C'è una caduta dei tassi di crescita. Siamo in un mercato maturo, senza più grande curva; l'anno scorso abbiamo avuto l'1 per cento di aumento.

RUGGERO RUGGERI. Questa è la domanda. O è la quota oppure sono le variazioni, non cambia: c'è un differenziale fra il calcolo percentuale e quello reale. Allora, la prospettiva è ancora più negativa, sotto questo profilo, per quanto riguarda lo sviluppo dell'ENEL e, visto che la missione è limitata alla valorizzazione e alla privatizzazione dell'Ente, i problemi sono ancora più gravi di quelli che appaiono sulla carta.

ENRICO TESTA, Presidente dell'ENEL Spa. La ringrazio, onorevole Ruggeri, perché lei è arrivato in conclusione, con l'ultima domanda, esattamente alla nostra premessa, in cui abbiamo cercato di dimostrare con qualche numero come il nostro mercato fosse tendenzialmente recessivo. Un mercato che cresce dell'1 per cento l'anno - voi mi insegnate, valgono le stesse regole dell'economia - è stabile o recessivo, minacciato dalla concorrenza, dalla perdita della quota del mercato libero e dalla crescita degli autoproduttori. Tutti i nuovi investimenti fatti in Italia, nei prossimi anni sono obbligati e già assegnati agli autoproduttori; quindi, quella strategia di diversificazione, di cui noi parliamo, è ancor più necessaria. Per questo noi ci arrovelliamo intorno alle telecomunicazioni, ai rifiuti e così via.
Avremo anche bisogno, se posso consegnarvi questo messaggio, di un sistema-paese che aiutasse questo progetto; io per esempio ritengo, anche per la mia vecchia


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cultura ambientalista e senza nessuna polemica politica, che sia stato un gravissimo errore non aver fatto quell'investimento di 1.500 miliardi a Monfalcone, che ci avrebbe consentito di disporre di un'altra fonte di rifornimento di gas, come ha affermato recentemente Bernabè.
Sono queste le cose che ci penalizzano moltissimo. L'onorevole Rossi ha dichiarato il suo disaccordo con la termocombustione; sono a disposizione per discuterne e ragionarne. Oltre tutto, è legge dello Stato; non vogliamo bruciare i rifiuti, vogliamo bruciare il combustibile che si può ottenere dai rifiuti, risparmiando combustibile che altrimenti importiamo. Questa lezione l'ho imparata vent'anni fa, quando ho cominciato a muovere i primi passi in campo ecologico e non capisco quale obiezione, una forza che ha una matrice ambientale, possa avere all'utilizzo di un combustibile anziché al collocamento in discarica, perché non si può riciclare tutto dei rifiuti ma sono delle frazioni.
Quanto al problema della competizione, per fortuna - se così vogliamo dire, ma non so se sia una fortuna o una sfortuna - la competizione europea, per quanto riguarda l'energia elettrica, ha dei limiti sulle linee di trasmissione; ci sono delle autostrade, ma non vi si può far transitare tutto, per cui sicuramente una gran parte della produzione dovrà restare in Italia. Quanta parte avrà l'ENEL è legata ad un fattore che voi avete potuto vedere, vale a dire il numero drammatico rappresentato da utenti per gigawatt installato (era in uno dei prospetti che vi abbiamo illustrato); 250 l'ENEL a fronte di una media - non sto parlando dei migliori - degli impianti americani.
Abbiamo di fronte a noi una ristrutturazione tipo quella cui altre industrie hanno proceduto 10 o 15 anni fa (il settore automobilistico, quello informatico e così via); se la sappiamo affrontare, possiamo venirne fuori bene; se non l'affrontiamo, ne pagheremo il prezzo in termini di rischio molto forte.

PRESIDENTE. Possiamo considerare conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'ENI Spa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul settore dell'energia, l'audizione dei rappresentanti dell'ENI Spa, nelle persone dell'ingegner Guglielmo Moscato, presidente dell'ENI, e del dottor Franco Bernabè, amministratore delegato dello stesso Ente. È presente anche la dottoressa Maria Pia Salini, che cura i rapporti istituzionali.
Desidero innanzitutto scusarmi con i nostri ospiti per il ritardo con cui diamo inizio all'audizione, ma i lavori del precedente incontro si sono protratti più del previsto.
Do la parla all'ingegner Moscato, presidente dell'ENI.

GUGLIELMO MOSCATO, Presidente dell'ENI Spa. Con il suo permesso, signor presidente, la passo al dottor Bernabè.

FRANCO BERNABÈ, Amministratore delegato dell'ENI Spa. Ringrazio il presidente e gli onorevoli membri della Commissione per l'opportunità di riferire sull'accordo ENI-ENEL che, per ora, è allo stato di lettera di intenti, ma si svilupperà nel corso dei prossimi mesi.
Credo sia utile per i membri della Commissione avere un quadro generale prima di entrare nella specificità del rapporto, del quale i rappresentanti dell'ENEL avranno lungamente parlato, per capire i motivi strategici che ci hanno indotto a sviluppare questa alleanza e le modalità con cui l'industria internazionale si sta orientando ad operare nel settore.
Come loro sanno, l'industria energetica internazionale sta vivendo un momento di trasformazione che investe soprattutto il comparto elettrico. Ci sono quattro fattori all'origine di tale processo: il primo è collegato al processo di apertura e liberalizzazione dei mercati, che sta traendo nuovo impulso dalla direttiva CEE secondo la quale è prevista l'apertura obbligatoria di quote di mercato da riservare agli


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operatori sul mercato libero. Il secondo è rappresentato dai processi di privatizzazione che stanno creando nuovi operatori nell'elettricità, i quali abbandonano gli schemi di comportamento tipici dei vecchi operatori di servizi di pubblica utilità (si tratta di operatori con caratteristiche imprenditoriali, molto orientati alla crescita e proiettati sull'estero).
Due fattori specifici riguardano l'industria del gas, ossia la forte innovazione tecnologica sviluppatasi soprattutto nel comparto delle turbine a gas, e la crescente difficoltà dell'industria nucleare in tutti i paesi OCSE, scaturente da problemi ambientali legati al trattamento del combustibile spento (ossia i residui radioattivi) e al decommitioning delle centrali, cioè all'eliminazione delle centrali fuori esercizio.
Questi fenomeni stanno ridisegnando l'assetto del comparto con un processo che ha tre caratteristiche: l'aumento del numero degli operatori; una maggiore proiezione internazionale, nel senso che gli operatori, abituati ad operare sul mercato interno protetto, ora diventano soggetti internazionali tesi a conquistare all'estero quote di mercato, favoriti dai processi di liberalizzazione ed infine, terza caratteristica, la ricerca da parte di molti operatori elettrici di alleanze nel gas per garantirsi sicurezza di forniture e competitività nei prezzi di approvvigionamento.
I processi di trasformazione che stanno investendo l'industria elettrica interessano pesantemente il settore del gas; cresce il consumo anche a seguito della liberalizzazione dell'utilizzo del gas negli impianti termoelettrici, perché come si sa per molto tempo una direttiva europea ha vietato l'uso del gas negli impianti di produzione elettrica (divieto recentemente abolito).
Inoltre, aumenta l'esigenza di diversificare le forniture per far crescere il grado di sicurezza del servizio; il gas non è disponibile in quantità rilevante in Europa continentale, ragion per cui quest'ultima è debitrice di gas nel confronti di due grandi fornitori come la Russia e l'Algeria. Per molti operatori elettrici, i quali hanno deciso di entrare nel settore del gas o di costituire alleanze, si è posto il problema di diversificare ulteriormente gli approvvigionamenti, aumentando il numero dei fornitori esterni, dagli attuali due a molti di più: è entrata stabilmente nel novero dei fornitori la Norvegia, mentre la Nigeria inizierà tra tre anni; alla stessa stregua si pongono Trinidad e Tobago i quali stanno sviluppando l'industria del GNL a favore del mercato dei paesi OCSE.
Da ultimo, aumenta il costo dei nuovi progetti infrastrutturali per la crescente distanza delle fonti di approvvigionamento dai mercati.
Il mercato deve conciliare due esigenze contraddittorie, da un lato il maggior costo e la maggior complessità dei progetti, dall'altro la competitività dei prezzi sul mercato finale. La risposta che il mercato sta dando alla conciliazione di queste esigenze è la crescente integrazione tra gli operatori elettrici e quelli del gas, che assume forme diverse. Direi che vi sono tre tipologie di integrazione tra le due industrie, seguite a livello internazionale. La prima è la diversificazione nel gas di industrie elettriche o viceversa: è il caso della ENRON, società americana nata come società del gas che all'inizio degli anni ottanta si è diversificata nell'elettricità, con rilevanti investimenti sviluppati in quasi tutto il mondo; un altro esempio è rappresentato dalla British Gas che verso la fine degli anni ottanta ha creato una propria entità, la British Gas Power Generation, che ha realizzato join venture in dieci paesi oltre ad iniziative di produzione di elettricità.
La seconda tipologia di accordi è quella delle alleanze strategiche fra imprese del gas e imprese elettriche: queste si sono sviluppate soprattutto in Europa, e l'esempio più importante è costituito dalla stipula di un accordo strategico tra ELF ed EDF (ELF è la società francese di petrolio e di gas, EDF è l'ENEL francese) per lo sviluppo congiunto della generazione a gas, che consente a EDF di avere un quadro di riferimento molto più preciso sulle prospettive dell'industria del gas. Un accordo analogo è stato sottoscritto in Spagna fra Repsol Gas Natural e Iberdrola, il secondo


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produttore elettrico spagnolo; un altro accordo di questo tipo è stato raggiunto in Norvegia tra Statoil e Norskhydro: non ho citato tutti gli accordi realizzati, ma questi sono i tre più importanti. In Europa si stanno diffondendo accordi strategici, che portano alla creazione di nuove strutture societarie, tra società del gas e società elettriche.
Vi è una terza tipologia di accordi, che è invece un approccio caso per caso, con specifiche alleanze per diversi paesi. Molti Stati, in seguito all'apertura del mercato elettrico, hanno deciso di sviluppare le nuove centrali con tender internazionali; in sostanza, la nuova generazione viene «messa a gara»: viene pubblicato un bando pubblico, aperto a livello internazionale, cui tutti possono partecipare; normalmente partecipano consorzi che raggruppano società del gas e società elettriche in modo da fornire un servizio congiunto, ma ovviamente si aggiudica la gara chi offre il prezzo del chilowattora inferiore. Esempi recenti si sono avuti in Turchia, paese che usa questo sistema per la nuova generazione di elettricità; la Tunisia sta facendo allo stesso modo. Si realizzano alleanze occasionali fra operatori elettrici e operatori del gas, che hanno come finalità specifica la realizzazione di una centrale con la fornitura del gas in un determinato sito.
L'ENI è da tempo alla ricerca di un alleato strategico, proprio perché intende operare a livello internazionale nei progetti gas ed elettricità, che ormai sono l'esempio più dinamico di sviluppo del business. Come dicevo prima, sia lo sviluppo tecnologico (e quindi la diffusione e il miglioramento tecnologico nelle centrali a ciclo combinato), sia le nuove modalità con cui vengono svolte le gare per la fornitura di energia elettrica, favoriscono questi accordi e noi da tempo abbiamo cercato delle alleanze strategiche. Finora, salvo l'accordo con l'ENEL, di cui dirò più avanti, non abbiamo sviluppato alleanze strategiche con nessuno, anche se abbiamo avuto occasionalmente rapporti con una pluralità di operatori. Abbiamo partecipato a gare in Turchia e in Tunisia, ci siamo alleati di volta in volta con varie società elettriche, abbiamo avuto contatti con diverse imprese europee ed internazionali per un accordo strategico di lungo periodo, al di là delle occasioni specifiche di gare per singole centrali elettriche; non abbiamo però trovato finora un partner che rispondesse interamente ai requisiti che noi desideriamo, vale a dire dimostrata efficienza come operatore elettrico, dimensioni idonee ad operare a livello internazionale e competitività sul piano dei costi.
È questo il quadro di riferimento di natura strategica che sottende tutto il processo in corso in questo momento.
Un problema più specifico riguarda la situazione impiantistica dell'ENI in Italia: l'Ente possiede nel nostro paese un sistema di produzione di energia elettrica che ha bisogno di forti interventi di ristrutturazione. Abbiamo 21 centrali termoelettriche, per un totale di 2.300 megawatt di potenza installata; queste centrali sono asservite per 1.200 megawatt alle esigenze della nostra industria chimica (Enichem), per 1.000 megawatt a quelle della raffinazione e per un centinaio di megawatt circa a quelle del trasporto di gas. Sono localizzate in larga misura al nord, nei grandi impianti petrolchimici e di raffinazione, ma ci sono centrali anche al sud e nelle isole.
Si tratta di centrali relativamente vecchie: la maggior parte sono state costruite negli anni cinquanta e sessanta; le caldaie hanno mediamente dai 25 ai 30 anni e richiedono di essere progressivamente sostituite, non solo per l'età, ma soprattutto perché hanno dei rendimenti - come vedremo - molto bassi e dei costi molto elevati. Sono tutte centrali termoelettriche: l'ENI non beneficia delle rendite idroelettriche, lasciate ai produttori - in particolare a quelli chimici - all'epoca della nazionalizzazione dell'industria elettrica e che oggi sono tutte in capo alla Montedison, anche se la maggior parte degli impianti chimici della Montedison è all'interno del nostro sistema.
Il nostro sistema di produzione elettrico è sostanzialmente bilanciato;


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produciamo 11 terawattora e ne acquistiamo 4; consumiamo circa 12 di questi 15 terawattora, 8 nei nostri impianti e 3 in impianti che abbiamo ceduto a terzi o che fanno parte di joint venture con terzi, e poi cediamo alla rete 3,5 terawattora. Praticamente, vi è un bilanciamento - ripeto - tra quanto cediamo e quanto acquistiamo dalla rete.
Abbiamo previsto interventi per rinnovare il rilevante parco impiantistico di cui disponiamo e per ridurre i costi del nostro sistema produttivo, adottando le più efficienti e moderne tecnologie a ciclo combinato. Voi sapete che l'ultima generazione di turbine a gas e quindi di impianti a ciclo combinato hanno dei rendimenti intorno al 60 per cento, vale a dire molto elevati. Abbiamo predisposto un piano che, giusto per darvi alcuni dati di raffronto, dovrebbe portare l'efficienza delle nostre caldaie, che attualmente è addirittura inferiore al 40 per cento, a circa il 56 per cento, con investimenti unitari che, nel caso di caldaia ad olio di tipo tradizionale e anche avanzato, sono di circa 2 miliardi a megawatt, mentre invece nei nuovi cicli combinati sono di circa 900 milioni a megawatt, con costi di produzione che, nelle centrali ad olio tradizionali, sono di circa 92 lire a chilowattora e che, con i nuovi processi, dovrebbero scendere a 65 lire.
Il rinnovo di questo parco impiantistico comporterebbe per noi investimenti per circa 2.500 miliardi e ci procurerebbe notevoli benefici in termini di costo, assorbendo però una notevole quantità di capitale investito, con dei rendimenti relativamente bassi. Dal punto di vista aziendale, quindi, ci si pone il problema di destinare ingentissime risorse finanziarie ad un'attività che ha rendimenti relativamente bassi, anche se con un vantaggio notevole in termini di riduzione dei costi di produzione. Sottrarremmo però risorse alle nostre attività principali, quella di esplorazione e di produzione di petrolio e di gas, che hanno evidentemente ritorni più elevati, ed avremmo inoltre problemi di gestione del sistema elettrico, che richiede competenze specifiche che noi non abbiamo, non essendo l'ENI un operatore elettrico. Per questo motivo abbiamo deciso di accelerare la ricerca di un partner; ci ha spinti l'esigenza di rinnovare completamente il nostro parco impiantistico e di collaborare con un operatore che sappia gestire con efficienza i sistemi elettrici.
Ricapitolando quanto detto finora, direi che due sono le motivazioni principali: la prima è lo sviluppo internazionale di questa attività, che vede una crescente concentrazione fra operatori del gas e operatori elettrici. La seconda è la necessità di procedere al rinnovo impiantistico del nostro sistema con grandi investimenti e un forte assorbimento di risorse finanziarie da destinare utilmente a scopi più consoni con la nostra vocazione petrolifera e gassifera.
Nella ricerca di un partner si incontrano difficoltà; abbiamo iniziato cercando alleanze e accordi strategici con operatori dell'impiantistica, per ottenere vantaggi in termini di costi e di efficienza, il che però comportava problemi di esercizio degli impianti stessi. In generale abbiamo ritenuto che un legame troppo stretto con gli impiantisti determinasse contrasti di interesse nel lungo periodo. Volevamo un operatore elettrico e perciò ci siamo rivolti a partner europei, i quali, come ho detto prima, sono fortemente impegnati a livello nazionale, cioè ogni paese cerca di creare dei national champion, ossia degli operatori leader sul piano nazionale che abbiano capacità e forza di muoversi a livello internazionale. In Francia l'accordo ELF & ELF è stato fortemente voluto dal governo francese, lo stesso sta facendo la Spagna ed altri governi europei. Da parte dei partner europei abbiamo riscontrato una scarsa disponibilità, perché si è preferito saldare alleanze all'interno dello Stato in vista di proiezioni esterne.
Abbiamo discusso con taluni privati italiani, ma le dimensioni non erano adeguate né al nostro fabbisogno di investimento, che è rilevantissimo, né alla capacità di gestire un parco impiantistico così complesso. È stato difficile trovare un'alternativa all'ENEL che, peraltro, ha estese e riconosciute competenze nel campo della gestione elettrica; pur avendo esigenze di


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ottimizzazione di impianti in siti e in aree contigue, l'ENEL ha dichiarato la propria intenzione di rilanciare l'attività in termini di efficienza, di competitività e di costi e di proiezione internazionale.
Ritengo valga la pena citare un esempio circa l'ottimizzazione congiunta di un sito, quello di Porto Marghera, dove sia noi, sia l'ENEL abbiamo una centrale. Abbiamo un progetto per una nuova centrale, che sostituisca quella vecchia da 170 megawatt che ha un rendimento del 52 per cento ed un costo di 900 milioni per megawatt installato. L'ENEL ha un gruppo esistente di 160 megawatt, che ha rendimenti del 39 per cento e che deve essere ristrutturato. Un progetto ottimizzato congiunto prevede la costituzione di una centrale di 430 megawatt con un rendimento del 57 per cento e un costo di poco più di 600 milioni a megawatt installato: l'ottimizzazione congiunta di un sistema impiantistico consente di ridurre fortemente le spese di investimento e di migliorare notevolmente l'efficienza. Dal punto di vista dell'economia del paese ha senso la ricerca di queste ottimizzazioni impiantistiche perché comportano non solo benefici per il consumatore finale, che pagherà di meno l'energia elettrica, ma anche per i due soci che spendono meno nella realizzazione delle centrali.
Questo tipo di considerazione ha permesso a noi di arrivare alla determinazione di studiare congiuntamente una forma di accordo che consentisse la realizzazione di una società congiunta; non credo di dovermi soffermare sull'accordo perché l'ENEL ne avrà parlato diffusamente. Prima di concludere, però, vorrei sottolineare due elementi che secondo noi costituiscono le caratteristiche essenziali della società.
La società deve essere fortemente orientata all'efficienza e alla minimizzazione dei costi, perché l'obiettivo primario è la fornitura di energia elettrica a costi competitivi. Devo dire che abbiamo dovuto chiudere degli stabilimenti nel passato, eliminando attività industriali, perché l'energia elettrica veniva prodotta a costi fuori mercato. In Germania, in Inghilterra e in Francia vi sono dei competitori che hanno energia elettrica a costi fortemente più bassi dei nostri; ritengo che l'eliminazione di uno stabilimento e l'uscita da un'attività perché non si è fatto tutto il necessario per rendere l'energia elettrica competitiva, in termini di costi, con il prezzo pagato dai nostri competitors a livello europeo, è ingiusta nei confronti di chi subisce le conseguenze della crisi aziendale per carenza di competitività e rappresenta un'inefficienza per il paese che vede distruggere riserve industriali da valorizzare.
Tra l'altro, purtroppo, questo si è verificato nelle aree più deboli del paese, tant'è che si sono avute penalizzazioni enormi in Calabria, in Sardegna e in zone dove si sarebbe potuto operare in modo tale da fornire elettricità a costi più competitivi. Non so cosa abbia detto Tatò, ma credo che per il rilancio della competitività del paese uno degli elementi fondamentali sia rappresentato proprio dalla disponibilità di energia elettrica a basso costo.
Una società orientata all'efficienza, dunque; un management tra i due soci che gestisca la società in maniera efficiente; rapporti con i partner a condizioni di mercato e forte proiezione internazionale. Dobbiamo confrontarci a livello internazionale con opportunità straordinarie: ci sono grandi progetti che stanno partendo, che vedono l'integrazione tra gas ed elettricità, che possono dare un notevole contributo al rilancio di interi settori industriali, come il termo-elettrico-meccanico che in Italia purtroppo ha subìto le vicissitudini a tutti note.
Il mondo si sta sviluppando dinamicamente e un soggetto italiano capace di recepire questa sfida di sviluppo a livello internazionale e di tradurla in nuove opportunità di lavoro e occupazione, penso sia di grande beneficio per il paese.
Naturalmente l'intervento di rinnovo impiantistico di questa società, con le dimensioni previste, ha effetti rilevanti anche sul sistema industriale interno. Nel business plan si prevedono circa 5.000 miliardi di investimenti che andranno, in larga misura, a vantaggio dell'industria termoelettrica nazionale e dei due grandi


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operatori, localizzati rispettivamente a Firenze e a Genova, vista la necessità di un rilancio delle commesse.
Vantaggi dovrebbero scaturire anche sul piano ambientale: abbiamo stimato che al termine del ciclo di ristrutturazione del sistema impiantistico si abbatteranno le emissioni di 20 milioni di tonnellate di CO2. Quindi, si tratta di una, per quanto modesta, significativa riduzione a livello mondiale dell'effetto serra, oltre ad un beneficio per la bilancia dei pagamenti: l'aumento dell'efficienza dei rendimenti determina infatti una riduzione dei fabbisogni complessivi di idrocarburi, a parità di consumi di elettricità.
In definitiva questa intesa è finalizzata non solo a migliorare per noi le condizioni di costo, ma soprattutto a dotare il paese di un nuovo soggetto imprenditoriale, in grado di competere a livello internazionale, di ridurre i costi dell'energia (non solo per noi ma anche per tutti gli altri che vorranno utilizzare le strutture produttive di questa società) e di rilanciare l'occupazione e la produzione in settori particolarmente rilevanti per l'industria nazionale.
Ringrazio i commissari per l'attenzione.

PRESIDENTE. Sono io che vi ringrazio per l'esposizione resa, che sarà oggetto di grande attenzione e anche di discussione; alla luce della rilevanza delle questioni trattate nella relazione sarà opportuno rivederci in Commissione per dar vita ad un dibattito, come è avvenuto per il caso Enichem. In quell'occasione abbiamo trattato tutta una serie di tematiche non strettamente collegate all'argomento centrale, mentre nel caso vostro ci soffermeremo su questo.
In considerazione dell'imminente inizio della seduta dell'Assemblea, credo di interpretare il pensiero dell'intera Commissione rinviando ad altra seduta il seguito dell'audizione dei rappresentanti dell'ENI.

La seduta termina alle 14.45.