COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
5A (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 3 giugno 1998


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La seduta comincia alle 9.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, Romano Prodi, sulla politica economica del Governo dopo l'avvio della terza fase dell'Unione economica e monetaria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, Romano Prodi, sulla politica economica del Governo dopo l'avvio della terza fase dell'Unione economica e monetaria.
Vorrei ringraziare il Presidente del Consiglio per aver accolto l'invito delle presidenze delle Commissioni bilancio della Camera e del Senato. Le due Commissioni, che hanno lavorato intensamente per raggiungere l'obiettivo dell'ingresso in Europa, hanno avvertito l'esigenza di riprendere questa nuova fase dell'impegno loro, del Governo e della legislatura con un incontro diretto con il Presidente del Consiglio, ascoltando le proposte programmatiche, le azioni di politica economica e sociale che il Governo sta portando avanti.
Credo che l'audizione sia particolarmente interessante. Non voglio sottrarre tempo alla discussione, che oltretutto è abbastanza limitato perché potremo lavorare insieme fin verso le ore 11, e do quindi subito la parola al Presidente del Consiglio per un'introduzione.
Successivamente i colleghi potranno rivolgere le domande. Potremo procedere con un primo giro di interventi da parte di un rappresentante per gruppo e poi continuare, compatibilmente con il tempo a disposizione e con l'esigenza di lasciare al Presidente del Consiglio uno spazio finale per la replica e la risposta alle domande. Invito i colleghi a porre i quesiti nell'arco di tre minuti, così potremmo esaudire nella misura maggiore possibile le richieste di intervento.
Rinnovando il mio ringraziamento, do ora la parola al Presidente del Consiglio dei ministri.

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Sono io che ringrazio voi. Il presidente Solaroli con un understatement ha detto che le Commissioni si sono impegnate: in realtà il lavoro di preparazione dell'ingresso dell'Italia in Europa è stato non solo accompagnato, ma anche guidato dalla vostra azione che ha avuto un'importanza determinante, per cui oggi sono qui in primo luogo per rivolgere il mio ringraziamento e quindi per rappresentare i problemi che avremo nel futuro.
In questa mia introduzione voglio essere molto breve, perché avevamo concordato con il presidente un dibattito vero, il più ampio possibile su questi temi. Quindi, vorrei richiamarmi soltanto ad alcuni fatti schematici, per poi discutere con voi e rispondere alle vostre domande.
L'obiettivo Europa non è mai stato solo finanziario: l'implicazione della moneta


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unica è a tutto tondo, con enormi conseguenze finanziarie, economiche e politiche. Si può discutere sull'opportunità o meno di aver realizzato la moneta unica prima di raggiungere altri obiettivi europei, ma questa è talmente forte come strumento di coesione da segnare un'Europa irreversibile.
L'obiettivo raggiunto ci permette come paese di guardare al futuro con maggiore serenità ma non con minore impegno, con maggiore serenità ma con la necessità di una coerenza non certo diminuita. Non dobbiamo dimenticare che la credibilità si conquista soltanto con la costanza, per cui dobbiamo tener ferma la rotta verso gli obiettivi di risanamento, obiettivi che voi avete confermato con l'approvazione del documento di programmazione economica e finanziaria. La stabilità delle politiche è essenziale, è un elemento decisivo agli occhi dell'Europa.
Tutto ciò significa agire per il risanamento definitivo del bilancio italiano, ma anche per un equilibrio dell'economia che non è mai stato raggiunto nel paese. In questa fase storica, come in ogni altra fase storica italiana, significa Mezzogiorno, significa soprattutto Mezzogiorno più occupazione. Si tratta di una priorità assoluta. Accanto a questo, bisogna proseguire e accelerare un processo di modernizzazione che per troppi anni è stato abbandonato. Nei termini più specifici ciò comporta maggiore ricerca, istruzione e innovazione tecnologica.
Questi sono i due pilastri che dobbiamo assicurare per il futuro. Il Governo ritiene che risanamento e sviluppo siano le due facce della stessa medaglia e che questi obiettivi siano tra loro complementari. Tra l'altro, il risanamento finanziario è stato l'unico strumento che ha permesso di aumentare l'offerta di capitale di rischio, di dare un orizzonte finanziario diverso da quello precedente, di accumulare le risorse necessarie al cambiamento di rotta che abbiamo delineato in modo schematico ma preciso. Questo sta già avvenendo: il calo dei tassi di interese sta liberando una quantità colossale di risorse, che vengono liberate verso i settori produttivi.
La situazione è chiarissima; giustamente per anni e anni ci siamo lamentati per quello che viene chiamato un crowding out, cioè il fenomeno per cui le risorse finanziarie venivano spiazzate dal settore produttivo al settore pubblico. Ora abbiamo il cammino inverso, una possibilità di accumulo di risorse dedicate al rinnovamento delle strutture produttive. I problemi della coerenza della politica economica, dei bassi tassi di interesse si inseriscono nel discorso del rilancio.
Abbiamo forti probabilità di avere un lungo periodo di sviluppo senza inflazione in Europa. Il quadro europeo è molto sano; esistono naturalmente alcuni rischi esterni. Abbiamo visto quello asiatico, a mio avviso complicato dagli esperimenti nucleari, i quali possono produrre come conseguenza uno spostamento di risorse verso spese militari, proprio in quei paesi che avevano intrapreso una via di sviluppo molto forte alimentando in modo abbastanza sensibile le nostre esportazioni. Questo cambia la situazione.
Un'altra incognita che peserebbe ancor più sull'Europa è la difficile situazione finanziaria della Russia e in generale, possiamo dire, dell'ex Unione sovietica: in queste settimane la Russia ha destato allarme, ma l'Ucraina ed altri paesi offrono elementi di preoccupazione. Su questo possiamo far poco, salvo sorvegliare insieme ai G8, agli altri paesi avanzati per avere un sistema economico internazionale controllato e per lo meno monitorato.
Se non si concretizzassero rischi di questo tipo, l'Europa si trova di fronte alla prospettiva di uno sviluppo sano, senza inflazione per un periodo di tempo lungo. Si potrebbe avere una situazione simile a quella verificatasi negli Stati Uniti d'America negli ultimi otto anni, che ha assorbito la disoccupazione. Facciamo tanti discorsi sulla mobilità, che certamente è importante, ma l'assorbimento della disoccupazione americana e britannica è legato soprattutto allo sviluppo continuato, che i


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primi anni ha assorbito in misura lieve, poi continuando ha comportato l'assorbimento della mano d'opera.
Debbo dire che sotto questo aspetto la situazione italiana presenta un quadro abbastanza interessante. Le imprese manifatturiere negli scorsi anni si sono fortemente razionalizzate e nel primo trimestre di quest'anno hanno dato luogo ad un riassorbimento di mano d'opera piccolo ma significativo: per la prima volta dopo molti anni il mercato del lavoro inizia a riprendersi. È chiaro che la continuità dello sviluppo consentirebbe una ripresa molto forte.
Si dice - questo richiamo mi viene fatto continuamente in tale contesto - che una abbassamento delle imposte sarebbe lo stimolo più forte allo sviluppo economico. Tutti sanno che tale abbassamento rappresenta uno stimolo ed è stato previsto nel DPEF, sia pure in misura contenuta. Due punti in tre anni non rappresentano una cifra favolosa, che possa appagare la fantasia, ma realisticamente è tutto quello che possiamo fare, in quanto una diminuzione più forte delle imposte turberebbe gli equilibri di bilancio che abbiamo posto alla base della nostra azione; non si tratta di una somma trascurabile, è già un'iniziativa concreta. Soprattutto può tenere abbastanza elevata la domanda interna che sarà uno degli elementi dello sviluppo: abbiamo fondato per molti anni il sostegno dell'economia sulle esportazioni; abbiamo un surplus della bilancia commerciale abbastanza consistente; è chiaro che nella fase successiva non possiamo non contare anche sullo sviluppo della domanda interna, dobbiamo equilibrare entrambe le situazioni.
Su questo tipo di sviluppo dobbiamo inserire la centralità del Mezzogiorno. In proposito voglio essere molto chiaro; in questi giorni ho fatto parecchi interventi pubblici in materia e mi fa piacere ribadire alcuni punti di fronte al Parlamento. Il Governo ormai ha elaborato, messo a punto in modo quasi completo - dico «quasi» perché alcuni aspetti sono da correggere - la strategia; d'ora in poi, secondo me, dobbiamo solo essere coerenti, applicare l'amministrazione e il governo quotidiano ad adempiere agli obiettivi che ci siamo proposti. Non è certo un fatto da poco, perché ci sono incrostazioni, problemi, lentezze drammatiche, ma il cammino mi sembra tracciato.
Quali sono gli obiettivi? In primo luogo occorre portare i costi del Mezzogiorno a livello concorrenziale con tutti gli altri paesi europei. I patti territoriali e i contratti d'area raggiungono questo obiettivo. L'Italia già si presenta nell'Unione monetaria con un rapporto di cambio a mio avviso tranquillizzante: l'obiettivo del mio Governo era di arrivare a 1000, siamo giunti a 990. Non è una differenza molto drammatica: siamo su questo cambio già da due anni e la bilancia commerciale dà una buona risposta. Abbiamo poi aggiunto ulteriori vantaggi per il Mezzogiorno, non in modo indefinito perché non possiamo andare contro le regole di Bruxelles, ma facendo sì che nelle zone speciali, con i contratti d'area e i patti territoriali, investire diventi concorrenziale.
Occorre un processo molto forte che coinvolga tutta la società italiana, per cui l'altro aspetto è stato quello di lavorare con le strutture produttive non solo, ma soprattutto del nord est per un patto di investimenti incisivi nel Mezzogiorno. La risposta in questi ultimi due mesi è molto buona; poi si dovrà concretizzare, ma si stanno firmando accordi con aziende che andranno nel sud. Naturalmente lo sviluppo del Meridione non può essere fondato soltanto sull'emigrazione di imprese del nord, ma non confondiamo le cattedrali nel deserto di vecchio tipo o lo spostamento delle grandi imprese con le piccole e le medie che vanno insieme nel Mezzogiorno, perché possono essere oggetto di imitazione, sono un fermento, scuoteranno immediatamente l'albero dell'imprenditorialità nel Mezzogiorno. Non si tratta di iniziative isolate, sono l'innesco di un'esplosione a catena che vogliamo realizzare.
Naturalmente questo processo esige una terza fase che non è ancora cominciata:


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che il Mezzogiorno sia appetibile agli investimenti stranieri. Siamo arrivati a questo punto, non possiamo dire di avere cominciato una catena virtuosa. In Italia da trent'anni non abbiamo un investimento straniero grosso, quello che io chiamo green field; ci sono tanti acquisti di imprese, ma sono un'altra cosa. Finché non siamo entrati in questa catena virtuosa, non possiamo dire di avere vinto.
Capite perché è sempre presente nel profondo del mio animo un minimo di paura rispetto all'Asia: il Mezzogiorno è la porta dell'Asia. Ormai il commercio dell'Europa è orientato per metà ad est e per metà ad ovest, il mondo è cambiato, si sta svegliando. Così come in seguito alla scoperta dell'America - l'abbiamo studiato sui libri di testo - il Mezzogiorno fu spiazzato e i porti del nord trionfarono, in questo momento Suez e Gibilterra stanno pompando merci, per cui una localizzazione che prima era periferica diventa interessante. Il motivo, accanto alla liberalizzazione e alla nuova regolamentazione, è legato al grande sviluppo non atteso dei porti italiani. Nel 1989 quelli del nord Europa controllavano il 75 per cento dei traffici dell'Europa continentale, quelli mediterranei il 25 per cento; adesso le percentuali sono rispettivamente del 66 e del 33 per cento. In pochi anni si è verificato un bel cambiamento! Sta succedendo qualcosa che può riportare il Mezzogiorno in una posizione di centralità.
Accanto alle convenienze economiche, vi è quindi un ruolo geografico. Bisogna riprendere un ruolo verso i Balcani; penso al corridoio numero 8, che dall'Albania va verso il Mar Nero e verso la Turchia per riportare la Puglia in una condizione di centralità. Lo svolgimento della fiera del Levante in questi giorni a Tirana non rispondeva ad un disegno isolato. Per altro verso, lo sviluppo del Mediterraneo presenta dei problemi - le questioni della pace, del Medio oriente, dell'Algeria ritardano - ma è in fermento rispetto ad alcuni paesi che hanno cominciato ad avere tassi di sviluppo interessanti.
L'Italia, ora che è ferma in Europa, può esercitare un ruolo regionale economico di grande interesse. Se il Mezzogiorno non sarà presente in questa articolazione, è difficile sostenere che gli incentivi e la convenienza dei costi avranno effetti immediati. Occorre anche questa visione politica. Potremo ritornare su questo punto, perché tutto poi si articola in sotto problemi che hanno un interesse enorme (la lingua italiana, i problemi del Mediterraneo), ma non voglio deviare dal discorso principale.
Naturalmente dobbiamo considerare alcuni aspetti del Mezzogiorno: le dotazioni infrastrutturali, i processi formativi, i trasferimenti di sapere, le condizioni di sicurezza e qualità nella convivenza civile, oltre al costo e alla flessibilità del lavoro che prima ho richiamato, agli incentivi finanziari, ai sostegni alle iniziative sane.
Ecco il quadro, che ha una filosofia molto forte. L'ho esposto trattando capitoli separati tra loro, ma avete capito che non vi è più nessun finanziamento che non vada alle imprese: sono loro che assumono, che creano lavoro. Si ha l'impressione, non provata, che, chiusa la Cassa per il Mezzogiorno e questi grandi rivoli, per due o tre anni il Mezzogiorno ha sofferto molto ...

ROMUALDO COVIELLO, Presidente della 5a Commissione del Senato. Anche più: per cinque anni vi è stato un ribasso degli investimenti al sud.

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Nei primi anni c'era ancora una specie di coda; da tre anni a questa parte la situazione è di «secco» completo. Adesso si percepisce un senso di ripresa su basi completamente diverse. È in atto un grosso cambiamento politico, con un Mezzogiorno che risponde con l'incremento delle imprese (aumentano già da un anno), con un rilevantissimo aumento delle esportazioni, che è un fatto straordinario. Dai dati riportati nell'ultima relazione della Banca d'Italia risulta un 41 per cento di aumento delle intenzioni di investimento (ho esaminato bene


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questi dati: è stato tolto il decile superiore ed inferiore per eliminare tutte le irregolarità; la curva degli investimenti rimane al 41 per cento). L'indagine svolta dall'associazione degli industriali della Puglia dà risultati analoghi.
Sostengo che c'è la possibilità di cambiare veramente musica. Abbiamo solo la necessità di essere coerenti, di fare buona amministrazione, di insistere nella direzione presa, di indirizzare le risorse verso i settori produttivi. Un quarto delle imprese del Mezzogiorno quest'anno intende raddoppiare la capacità produttiva; è un dato veramente nuovo. Dobbiamo sempre usare il condizionale quando parliamo di dati che hanno un'anzianità di sei mesi o di un anno, perché non danno ancora l'idea di un cambiamento reale, ma non possiamo non cogliere il senso di novità, la sensazione di potercela fare con una politica sana.
Naturalmente le infrastrutture, i processi formativi, le condizioni di sicurezza sono aspetti essenziali che devono accompagnare questo grande cambiamento (si ritorna al discorso sulle risorse umane). Soprattutto quello della sicurezza è un problema serio: ogni patto territoriale e contratto d'area deve essere accompagnato da un cambiamento nella dotazione delle infrastrutture di tipo sociale e attinenti alla sicurezza; altrimenti l'obiettivo non viene raggiunto.
Il contorno dà la sensazione che qualcosa si muove, le condizioni interne di cambiamento delle convenienze sono state poste, ci sono le basi per un rilancio. Quando insisto sul contorno, evidentemente faccio una scommessa, così come era in parte quella dei tassi di interesse: se razionalmente si ragiona sul futuro, si pongono le basi perché gli obiettivi vengano raggiunti, si dà la spinta perché ci si arrivi. Tuttavia, non è indifferente l'essere rientrati nel giro dei porti. Gioia Tauro è il più grosso porto di transhipment del Mediterraneo ed è nato ieri. La Ever Green è andata a Taranto con un investimento che non ha precedenti nei porti italiani da parte di un'impresa straniera; ho visto con molto favore questa iniziativa - qualcuno sosteneva invece la necessità di rafforzare Gioia Tauro - perché abbiamo bisogno di costruire una rete di porti come nel mare del nord (Taranto, Brindisi, Napoli, Salerno, Cagliari) per poter diventare robusti. Napoli, sia pure nei limiti dati da un porto che si era ormai ridotto a nulla, sta andando fortissimo, ma non ha danneggiato Salerno, il cui porto a sua volta è cresciuto; si aiutano l'uno con l'altro. Dobbiamo allora dare forza ulteriore per fare del Mezzogiorno la porta dell'Europa verso l'est; questo è il nostro obiettivo. Allora veramente i nostri incentivi attaccano, diventano infettivi, producono un rinnovamento totale.
Gli indicatori (crescita della domanda interna, esportazioni, produzione industriale) ci fanno pensare che questo sia possibile. Dobbiamo darci dentro, lavorando soprattutto sulle leggi che funzionano (la legge n. 488 sta lavorando in fretta, con tempi accelerati).
Questo pone sulle spalle del Governo forti responsabilità. Leggendo quanto affermato dai responsabili dell'agenzia di sviluppo del Galles, che hanno partecipato ad una audizione svoltasi in Parlamento, comprendiamo che la vera differenza fra Galles e Mezzogiorno non è data dai costi - anzi - ma dal fatto che in quel paese decidono in una settimana, mentre qui ci vuole un anno. Questo è il mio rimorso, la sfida che insieme dobbiamo vincere, aiutandoci a semplificare i regolamenti, a svolgere un lavoro di semplificazione, perché siamo vicini a poter cominciare questo cammino virtuoso, che noi stessi ostacoliamo con la lentezza delle nostre decisioni. Gli stessi contratti d'area e patti territoriali sono stati portati avanti piuttosto lentamente. È veramente una fatica procedere attraverso tutte le regole locali e centrali; abbiamo una legislazione che urta, elementi di frammentazione enormi. Credo che superare tale situazione sia decisivo perché un imprenditore, quando prende una decisione circa un investimento, lo vuole realizzare subito.
Dobbiamo continuare nella direzione intrapresa. Abbiamo una legislazione


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quasi completa; quando dico «quasi», alludo ad alcuni perfezionamenti da attuare. Più entro nell'analisi, più trovo importante il problema della riemersione che ha una dimensione enorme. Siamo partiti con l'idea che non si potesse far finta di niente, ma la riemersione delle imprese è un fatto straordinariamente importante perché le aziende sommerse non possono mai crescere, creano problemi. Su questa strada dobbiamo lavorare: ci sono tanti cammini laterali, ma l'obiettivo è tracciato.
Per la prima volta abbiamo l'occasione di cominciare a far sì che il Mezzogiorno avvii uno sviluppo autopropulsivo. D'altra parte, non sarebbe una novità: l'Abruzzo l'ha intrapreso; le stesse Marche trent'anni fa erano completamente al di fuori dallo sviluppo industriale. Quando si innesca il discorso dei distretti industriali - se volete, i contratti d'area e i patti territoriali rappresentano uno sforzo razionalistico - si cerca di creare lo stesso tipo di convenienze, di fertilizzazioni che sono state nell'Italia del nord est. Credo sia assai probabile che tali iniziative abbiano successo.
Ecco perché mi trovate ottimista - non di maniera, ma avendo compiuto riflessioni e letture della realtà - e molto determinato a procedere nella politica intrapresa, a non cambiarla per dar anche in questo un messaggio di stabilità e di coerenza, naturalmente con tutti i problemi connessi alle azioni ancora incompiute che vi ho elencato nella mia breve comunicazione.

PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente del Consiglio per la sua introduzione. Do quindi la parola ai colleghi perché svolgano i loro interventi.

ETTORE PERETTI. Spero che il Presidente del Consiglio non sia superstizioso, perché oggi occupa un posto molto periglioso per la politica italiana.

PRESIDENTE. In questa sala abbiamo esaminato ed approvato parecchie leggi finanziarie e documenti di programmazione economico-finanziaria: evidentemente dipende da chi si siede su quella poltrona.

ETTORE PERETTI. Il mio sarà un intervento brevissimo, anzi telegrafico. La politica economica è vincolata in positivo e in negativo dal parametro del 3 per cento stabilito dal Trattato di Maastricht. Visto che il problema è rappresentato dagli investimenti per il sud e dall'occupazione, si potrebbe trasformare la spesa corrente in spesa in conto capitale, cioè in investimenti, il che però contribuisce a segnare una maggiore distanza tra la politica del Governo e l'opposizione.
Oggi il parametro di Maastricht è costituito dal rapporto deficit della pubblica amministrazione-prodotto interno lordo: secondo lei ha senso escludere dal calcolo di questo parametro la spesa in conto capitale, per liberare risorse da destinare ad investimenti mirati, specie nel Mezzogiorno, in misura maggiore rispetto all'attuale, una volta entrata a regime la moneta unica?

GIUSEPPE VEGAS. Le suggestioni scaturite dall'intervento del Presidente del Consiglio sono tante che risulta difficile contenere il numero delle domande.
Nel DPEF la crisi del nord-est veniva considerata sostanzialmente ininfluente mentre oggi il Presidente Prodi dichiara che si produrranno degli effetti: è possibile avere una stima o, meglio, non si doveva usare più prudenza nella redazione del DPEF?
La politica dello sviluppo deve essere associata al rigore o perlomeno il rigore deve essere funzionale allo sviluppo; tuttavia da fonti autorevoli abbiamo avuto una conferma, ossia che nei prossimi dieci anni dovremmo ottenere un surplus primario del 5,5 per cento. Mi domando: il calo dell'imposizione, che secondo il Governo è moderato, è tale da garantire lo sviluppo oppure dovremmo intraprendere una strada diversa, cioè provare una massiccia dose di diminuzione della pressione fiscale al fine di contenere la spesa corrente? Dico questo perché abbiamo


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constatato che ciò non è stato possibile perlomeno nell'ultimo anno, posto che la spesa corrente dei settori più sensibili è aumentata. E se non si agirà con una sorta di variabile esogena, imposta dalla diminuzione delle tasse, sarà difficile ottenere risultati sul versante della spesa.
Riguardo alla questione del Mezzogiorno che ha costituito l'oggetto di recenti interessamenti da parte della Commissione bilancio del Senato, il Governo ha posto l'accento sui benefici effetti dei patti territoriali e dei contratti d'area, ma questi strumenti non costano troppo al contribuente? Per ogni nuovo posto di lavoro il contribuente sostiene un onere troppo elevato, perciò chiedo se non sia più economico procedere con misure di carattere generalizzato. Il gemellaggio di imprese del nord-est con quelle del Mezzogiorno o la clonazione di imprese meridionali, sono gocce nel deserto, oltre tutto troppo onerose rispetto a quanto si otterrebbe con interventi di carattere generalizzato.
Un'ulteriore questione concerne la sicurezza del territorio, che è la condizione indispensabile per lo sviluppo del Mezzogiorno. Per quale motivo, mi domando, il Governo sostiene la politica della sicurezza e contemporaneamente attua, attraverso direttive del Ministero dell'interno, destrutturazioni di importanti comparti dei servizi?

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Non ho capito.

GIUSEPPE VEGAS. Perché il Governo da una parte tende a rendere più sicuri i territori del Mezzogiorno e dall'altra, con direttive del ministro dell'interno, destruttura, per esempio, l'Arma dei carabinieri e i servizi di sicurezza?
L'ultima questione riguarda la nuova agenzia per lo sviluppo. La mia parte politica sostiene che non vi è tanto bisogno di nuove strutture, quanto di rendere più elastica l'utilizzazione delle risorse, attraverso il fondo di rotazione e di dare più spazio al mercato. Esistono preoccupazioni circa la dotazione finanziaria dell'agenzia, perciò gradiremmo una parola chiarificatrice da parte del Governo in ordine alla ventilata ipotesi di utilizzare le cosiddette plusvalenze dell'alienazione Telecom. Grazie.

SILVIO LIOTTA. Signor Presidente, sono tra coloro che nel 1995 contribuirono all'eliminazione dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno ed all'avvio dell'intervento ordinario per le zone depresse del paese. Gradirei avere precisazioni sulla coesione economica e sociale, con particolare riferimento al Mezzogiorno la cui disoccupazione ha registrato nel 1995 uno scarto medio del 6 per cento rispetto al 2 per cento del 1970. Lei si è riferito ad un periodo intermedio facendo riferimento ai contratti d'area e ai patti territoriali; il senatore Vegas si è riferito ai gemellaggi tra le imprese del nord-est e quelle del sud. Da parte mia ricordo che nella legge n. 341 del 1995 fu inserito l'articolo 8 che sancisce lo strumento dei patti territoriali; detto questo, mi soffermo sulla convenienza economica del Mezzogiorno, sulla sua appetibilità: infrastrutture, formazione, sicurezza, flessibilità del lavoro, pubblica amministrazione.
Considerato che la legge n. 341 prevedeva la cabina di regia, che ha prodotto pochi frutti, mi chiedo se la nuova agenzia per lo sviluppo, che si pensa di introdurre per aiutare lo sviluppo autopropulsivo del Mezzogiorno, non sia destinata alla stessa sorte. Signor Presidente, chiedo se il Governo intenda fornire qualche anticipazione relativamente allo sviluppo di questa agenzia.

RAFFAELE VALENSISE. Desidero richiamare l'attenzione del Presidente del Consiglio su una tematica che è stata accennata e che deve essere affrontata con energia e tempestività: mi riferisco al Mezzogiorno ed all'unico fenomeno positivo realizzatosi contro la volontà degli uomini o i progetti a suo tempo elaborati, ossia il porto di Gioia Tauro, costruito in funzione di un fantomatico quinto centro siderurgico che non poté essere realizzato perché i mercati dell'acciaio - come si doveva o si poteva sapere - erano in calo.


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La Camera, nella seduta del 21 dicembre 1995, approvò un ordine del giorno che impegnava il Governo ad accelerare i tempi per creare nell'area portuale di Gioia Tauro una zona franca, fuori dalla linea doganale, per facilitare il transhipment e richiamare aziende capaci di creare occupazione con la trasformazione dei manufatti. La superficie destinata al centro siderurgico è enorme, sono centinaia e centinaia di ettari di terreno che il Presidente del Consiglio conosce per averli visitati. Le ripropongo la domanda che le rivolsi all'atto dell'insediamento del suo Governo, Presidente Prodi: perché il Governo non rompe lacci e lacciuoli e, sulla base di oggettive necessità, non crea alle spalle di Gioia Tauro una zona franca ad integrazione e potenziamento dello sviluppo? Il che potrebbe produrre ricadute immediate sull'occupazione e valorizzerebbe la nuova modalità di trasporto che impegna le grandi navi porta-containers.
La seconda domanda è connessa alla prima. Fin dall'insediamento del suo Governo, onorevole Presidente del Consiglio, ci facemmo carico di attirare l'attenzione sulla necessità di creare alle spalle di Gioia Tauro le infrastrutture indispensabili a reggere modalità di trasporto diverse perché, una volta scaricate, le merci vengano trasbordate su gomma e su ferro. Ma alle spalle del porto di Gioia Tauro vi è il deserto dal punto di tali infrastrutture viarie e ferroviarie! E la realizzazione di queste infrastrutture può essere determinante per completare l'esplosione che per ora è limitata alle banchine del porto di Gioia Tauro.
Le chiedo scusa se non sono stato presente alla visita da lei svolta a Reggio Calabria, ma non ho ricevuto l'invito. Se fossi stato invitato, queste domande gliele avrei rivolte sul posto, interpretando sentimenti e aspettative diffuse nei ceti imprenditoriali, nella popolazione della provincia di Reggio Calabria e dell'intera Calabria.

GIORGIO PASETTO. Desideriamo dare atto al Presidente del Consiglio dello sforzo compiuto e dei risultati ottenuti sul terreno della convergenza e dell'ingresso in Europa. Ad Amsterdam i paesi europei hanno focalizzato nello sviluppo e nell'occupazione le questioni centrali dell'Europa; il Presidente Prodi questa mattina ha dichiarato che in Italia lo sviluppo e l'occupazione attengono soprattutto alle aree meridionali, secondo noi invece esiste anche il problema di funzionamento della pubblica amministrazione e dei servizi nel nord del paese.
Con una risoluzione articolata è stato approvato, con largo anticipo, il DPEF, che ha riscosso il consenso anche delle forze sociali e delle organizzazioni sindacali. Il ministro Ciampi ha dichiarato che si è passati da una finanziaria di quantità ad una di qualità e che si va verso scelte strategiche; perciò le domando: è possibile anticipare i tempi di presentazione della finanziaria e del collegato, ai fini di una discussione più serena?
Per quanto riguarda la velocità della spesa, lei ha correttamente collocato la questione del Mezzogiorno all'interno della compatibilità macroeconomica internazionale; restano aperte però le problematiche legate alle risorse impegnate ed all'impatto prodotto sull'occupazione, con riferimento ai contratti d'area ed ai patti territoriali. Credo sia arrivato il momento di fare una verifica sul campo di questi strumenti, specialmente per le ricadute occupazionali: non è il caso di stabilire una sorta di monitoraggio delle risorse, d'intesa con le regioni e gli enti locali, che nonostante le difficoltà incontrate restano dei punti di riferimento per gli interventi e le azioni nell'area meridionale? È necessario avviare un monitoraggio delle risorse attivate a livello nazionale e dai fondi strutturali per capire il grado di attuazione e la loro efficacia sul versante dell'occupazione.
La questione meridionale è caratterizzata da tempi drammatici, specie in relazione all'occupazione femminile e giovanile, perciò è necessario intervenire rapidamente. Concordo sull'infrastrutturazione, sui gemellaggi e quant'altro, ma insisto su un modello di sviluppo che tenga conto delle vocazioni naturali, non


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solo della collocazione geografica del Mezzogiorno, infatti durante le audizioni svolte dalla Commissione, la professoressa Padoa Schioppa ha ipotizzato una sorta di bonus per i giovani e per le imprese che creano lavoro.
Sarebbe utile avere qualche precisazione anche sulla situazione di sofferenze in cui versano le banche meridionali, che incidono sul costo del denaro, il cui livello è più alto rispetto alla media del paese, specie del nord. In ordine all'esposizione di crediti, si è parlato della cartolarizzazione del credito complessivo, ma non si sa a che punto sia il Governo.
Infine, resta aperto il problema dell'agenzia, su cui staziona parecchia nebbia.

PRESIDENTE. Presidente del Consiglio, a lei la parola per la prima replica.

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Onorevole Peretti, il problema da lei citato ritorna a ondate: perché all'interno del deficit vengono trattate in modo diverso le risorse destinate agli investimenti rispetto alle altre? È una questione interessante, ma dobbiamo stare alle regole che abbiamo adottato e, nell'ambito di queste, dobbiamo indirizzare la spesa verso gli investimenti. Non possiamo non dare un messaggio di serietà e coerenza nella stabilità finanziaria. Sono convinto che le risorse liberate dalla nascita dell'euro siano state sottostimate. Se non accadranno fatti imprevisti, vi sarà la liberalizzazione di risorse dato che ci muoveremo su un'area economica più ampia; il cammino verso lo spostamento delle risorse, verso una maggiore quantità di risorse è stato preparato dalle decisioni assunte. Non credo possano mutare i criteri di misurazione che sono stati scelti - buoni o cattivi che siano - e che seguiamo, anche se è chiaro che nella nostra testa tendiamo a spostare gli investimenti.
Onorevole Peretti, quando in Europa vi sarà stabilità queste discussioni verranno riprese, perché la moneta unica fatalmente ci spinge verso decisioni unitarie di politica economica; sarà uno strumento forte per l'armonizzazione delle decisioni e la riconsiderazione dei parametri. L'Italia deve muoversi insieme con gli altri paesi, non possiamo e non dobbiamo minimamente discostarci dalla strategia europea.
Onorevole Vegas, se dovessi elaborare oggi il DPEF, lo farei identico, perché le cose non sono cambiate. Ho ritenuto opportuno elencare gli elementi di preoccupazione che, per ora, non implicano tassi di crescita inferiori a quelli indicati nel DPEF, né portano a variazioni; mi sembrava giusto ed opportuno esprimere la mia preoccupazione perché la crisi non si è ancora risolta. Ripeto, se dovessi predisporre oggi il DPEF, lo farei uguale; in esso era stato indicato lo 0,3-0,4 per cento di correzione per il fenomeno asiatico e oggi non vi sono ulteriori ragioni per apportare correzioni. Ho aggiunto una preoccupazione per la Russia che non riesco ancora a tradurre in cifre; in effetti, si è trattato più di un invito a tener presente un problema che non una traduzione in linee di politica economica, che faremo se sarà necessario. Vi assicuro che ho presente la situazione perché i cambiamenti continui, le correzioni settimanali della politica, l'innalzamento del tasso di sconto, il suo raddoppio o più che raddoppio in un colpo solo, sono dati che denotano un'incertezza della politica davvero preoccupante. Ripeto, non li abbiamo ancora tradotti in azioni: spero che non debbano essere tradotti in azione politica nuova.
Lei, onorevole Vegas, ha toccato il tema della curva di Laffer, per tradurlo in un'unica espressione, cioè diminuire le imposte per far scattare all'insù il sistema. Il più delle volte questo non è servito; il più delle volte ha creato drammi nel bilancio pubblico e siamo dovuti correre ai ripari prima che intervenissero gli effetti virtuosi previsti. La diminuzione progressiva delle imposte, mese per mese, tarata e verificata, è più efficace: per questo ho detto, in tutta onestà, che in tre anni una diminuzione di due punti non è da poco; certo non è neanche una rivoluzione


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ma è realistica per gli obiettivi da raggiungere. Le assicuro di aver sempre l'occhio su questi conti: sarebbe altamente popolare per il sottoscritto dire che la diminuzione è il triplo di quella prevista, ma ritengo che l'attuale sia compatibile con i nostri obiettivi e capace di svegliare energie.
Patti territoriali e contratti d'area, un tema estremamente importante. Perché credo nei patti territoriali - dopo spiegherò anche le riserve che ho - e non nello sviluppo indifferenziato? Perché dobbiamo riprodurre l'imprenditorialità ad imitazione, che deve concentrarsi in determinate aree? Se il patto territoriale e il contratto d'area sono infrastrutturati bene, abbiamo un elevato numero di imprese da collocare e possiamo creare le infrastrutture indispensabili: vorrei che ogni patto territoriale e contratto d'area, o perlomeno i più grandi, fosse accompagnato dalla costituzione di una scuola tecnica superiore; queste sono le regole che incentivano lo sviluppo. Questa domanda si lega a quelle di altri, sulla necessità di semplificare questi strumenti, che sono eccessivamente complicati. Bisogna sveltirli, renderne più rapida la conclusione e l'attuazione, il che mi preoccupa, però è una scelta straordinaria, fondamentale: è stata fatta, andiamo avanti. Semplifichiamo, dato che la scelta è giusta, ha funzionato in tutta Italia, ha svegliato le energie imprenditoriali e costa meno, perché consente di articolare in una zona sola la strategia delle infrastrutture. Il rischio della burocratizzazione c'è, lo avverto, insieme dobbiamo lavorare per una semplificazione perché può far raggiungere i risultati migliori sotto l'aspetto della sicurezza.
Nessuno vuole destrutturare l'Arma dei carabinieri, è uno dei pilastri della nostra sicurezza: figuriamoci! Non vorrei che vi fosse concorrenza nel senso che se si parla bene dei carabinieri si riceve automaticamente un vantaggio politico; vi assicuro che non si può lavorare per la sicurezza del paese senza il potenziamento dell'Arma dei carabinieri o della polizia. Non facciamo giochi politici, perché è un argomento serio; sulla sicurezza si gioca il futuro del Mezzogiorno, vi assicuro che cercherò di non strumentalizzarlo e vi chiedo di fare altrettanto, perché è terribilmente importante.
Oggi la situazione è cambiata ma per anni all'estero sono giunte soltanto notizie riguardanti la criminalità nel Mezzogiorno, perfino il Giappone mi ha chiesto di garantire la sicurezza. La sicurezza è assolutamente fondamentale per gli investimenti stranieri e dobbiamo procedere con la massima unità.
Per quanto riguarda l'agenzia per lo sviluppo non ho mai pensato alle plusvalenze Telecom. A parte il fatto che non concepisco i trasferimenti «targati», è una concezione vecchia dello Stato, che secondo me non va bene. In questo caso non vedo cosa c'entrino le plusvalenze Telecom con il Mezzogiorno: si tratta di capire quali risorse destinare al Mezzogiorno. Non abbiamo nessuna targa. Il tema dell'agenzia è stato ripreso anche dall'onorevole Liotta. Ci sono state polemiche, com'è ovvio, quando si parla di semplificare le infinite strutture esistenti con obiettivi di una semplicità estrema.
Al Mezzogiorno dedichiamo nuove risorse, una nuova politica molto semplificata; non abbiamo alcuno strumento di propaganda o di pubblicità (la chiami come vuole), un modo per far sapere che cosa succede, una via di unificazione delle conoscenze. Non abbiamo nessuno che va in giro per il mondo a dire che il Mezzogiorno esiste! È un fatto che ci brontoliamo fra di noi da quarant'anni! Ma nessuno è mai andato a dire all'esterno che esiste il Mezzogiorno! Nessuno ha parlato delle sue prospettive e delle sue risorse! Capite allora che per me l'agenzia di sviluppo è, al 90 per cento, proprio questo: promozione, presenza forte ed unitaria verso l'estero, un discorso organico, i nostri obiettivi industriali, il turismo, l'istruzione, i costi e i confronti. Poi, per una parte che ritengo minoritaria, l'agenzia è partecipazione ai capitali di rischio, investimenti finanziari, che però si possono reperire da altre


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fonti, come l'IRI e le società finanziarie. Invece, non esiste ancora una agenzia che dica che ci siamo!
Spesso mi trovo a fare discorsi sulla porta dell'Asia, come mi è capitato di fare ieri sera con il direttore del quotidiano Il Popolo. Gli ho spiegato che, senza che noi facessimo niente, i cinesi sono andati a Napoli per fissare la loro base di container. Diamo un quadro certo! Io la vedo così l'agenzia; può darsi anche che non si riesca a realizzarla in questo modo! Dopo tre mesi di dibattito sull'agenzia sto capendo poco anch'io! Cerchiamo però di semplificare le cose il più possibile e di avere le idee chiare su che cosa vogliamo che sia l'agenzia...

ROMUALDO COVIELLO, Presidente della 5a Commissione del Senato. La Commissione bilancio del Senato già due mesi fa ha presentato una risoluzione di indirizzo al Governo. Quindi, le idee chiare almeno la Commissione bilancio del Senato le ha!

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Mi riferivo al tipo di dibattito che si è sviluppato. Credo che voi conveniate sul fatto che un imprenditore, per esempio canadese, che vuole insediarsi nel Mezzogiorno non ha a disposizione un interlocutore per la conoscenza dei problemi di quelle zone. È ora che il nostro paese provveda in tal senso!
Comincia l'euro. L'Europa è una scatola unica. Vogliamo o no che il Mezzogiorno sia una parte attiva di questa scatola unica? Allora, dobbiamo farlo conoscere all'estero. Questo è ciò che io intendo con l'agenzia. È chiaro che in un dibattito parlamentare bisogna andare al cuore dei problemi e semplificarli il più possibile. Questo è il primo grande compito dell'agenzia. Segue poi un compito di partecipazione, insostituibile, mentre gli altri invece possono anche essere sostituiti.
Con l'onorevole Liotta non posso che essere d'accordo sulla complicazione che si è avuta sui patti territoriali. Non cambiamo la legislazione! Semplifichiamo, semplifichiamo, semplifichiamo! Spieghiamo, dimostriamo e agiamo con le imprese. Mi rendo conto che quello che dico ha un suo peso sui lavori socialmente utili e comporta una serie di correzioni. Infatti, lavorare tramite le imprese ha comunque conseguenze politiche; ecco perché ritengo che si tratti di scelte importanti.
L'onorevole Valensise ha parlato del porto di Gioia Tauro. Io non sono stato a Reggio Calabria (ci sono stati Visco e Ciampi) ma a Napoli: probabilmente le due immagini si sono sovrapposte perché comunque nello stesso giorno tutti e tre eravamo in visita nel Meridione. La Calabria, che è ancora la parte più depressa dell'Italia, può giovarsi molto di Gioia Tauro. Senza pensare ad aspetti miracolistici, Gioia Tauro può rappresentare un punto di partenza. Non è facile da risolvere il problema della zona franca perché ci sono regole europee da rispettare. Visco ci sta studiando sopra, ma il problema delle compatibilità europee è rilevante. È comunque importante che Gioia Tauro (o la sua costellazione vicina) abbia un entroterra di lavorazioni di un qualche tipo e che non sia solo un porto di passaggio: infatti, guai a creare un centro unico concentrato, perché non avrebbe senso. È inutile spostare la popolazione e creare ingorghi!
Per quanto riguarda le opere infrastrutturali di Gioia Tauro (penso alle ferrovie) sono d'accordo con l'onorevole Valensise, anche se per il prossimo futuro non sono previste strozzature. Ricordo che dal lato del Mediterraneo non ci sono problemi; dall'altro lato siamo riusciti a guadagnare una quota enorme rispetto agli altri porti europei concorrenti, che erano soprattutto Cipro, Malta e Algeciras. Ciò è stato possible anche per il vantaggio della continuità territoriale. In questi porti, la quasi totalità dei trasporti va da nave a nave (per ferrovia va solo il 3 per cento, ma noi pensiamo si possa arrivare fino al 10 per cento: non è una cifra enorme ma è comunque notevole). Per ora, con le nostre infrastrutture possiamo andare avanti, ma per un prossimo futuro


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dobbiamo attrezzarci perché anche con il modesto proseguimento via terra le infrastrutture devono essere rinnovate. Al momento sono solo due i treni bloccati al giorno; si arriverà a quattro, ma ha ragione l'onorevole Valensise quando dice che bisogna lavorare soprattutto per il futuro.
I tipi di sviluppo ferroviario nel Mezzogiorno vanno in questa direzione; sono solo sei le direttive con le quali si può investire in modo massiccio. In questo caso, importante è mobilitare anche la dorsale adriatica, che è la meno intasata. Sarebbe interessante partire da Gioia Tauro, passare verso l'Adriatico e salire al nord dall'altro lato: in questo modo si libera la dorsale tirrenica che è fortemente impegnata almeno fino a che il raddoppio Roma-Napoli non verrà realizzato. È importante che si assicuri uno sfogo verso l'Adriatico.
Certamente dobbiamo sfruttare il fatto di essere area continentale: i grandi porti si ritrovano anche nelle isole, ma per quella piccola quota che prosegue per ferrovia o su strada, tutto sommato non essere un'isola è un vantaggio. Questo è uno dei motivi per cui l'Ever Green si trasferisce a Taranto per sfruttare il trasporto su ferrovia.
Per quanto riguarda la zona franca, parlerò ancora con il ministro delle finanze. Abbiamo trovato difficoltà insormontabili nella legislazione internazionale, come è accaduto per tutte le zone franche che sono state proposte. È una storia lunga quella delle zone franche in Italia. Non siamo stati tempestivi, non le abbiamo fatte in precedenza, ora sono state bloccate e noi siamo rimasti fuori, così che non ne abbiamo neanche una. Pensate alle difficoltà della piccolissima zona franca finanziaria di Trieste, anche se ha una dimensione minima.
L'onorevole Pasetto chiede di anticipare i tempi della finanziaria. Credo che il problema della prossima finanziaria sia proprio quello di essere particolarmente curata, perché sarà una finanziaria di qualità. Non so se l'anticipazione dei tempi possa essere compatibile con questa esigenza. La prossima finanziaria, nella quale dobbiamo limare le procedure e i tempi di intervento, deve far funzionare il quotidiano della nostra azione; quindi incidere sulla velocità della spesa, come ha chiesto Pasetto, è un punto nero. Il Governo si impegna ad affrettare i tempi. Può essere anche utile il discorso sul monitoraggio, ma per ora il problema più grave sta nel blocco reciproco che i diversi interventi creano in tante situazioni e non nel non avere fluidificato la macchina amministrativa.
Sul problema del bonus devo dire che abbiamo scelto la via dell'abbassamento dei costi: l'obiettivo mi sembra raggiunto. Ritengo sia sbagliato cambiare politica proprio adesso. Ora bisogna attuare la politica scelta ed essere finalmente costanti: vedrete che i risultati arriveranno perché ci sono tutti gli elementi perché ciò si verifichi. L'importante è essere costanti.

GIANCARLO PAGLIARINI. A proposito di Gioia Tauro e dei patti territoriali vorrei chiederle, quando va in giro, di avere l'onestà intellettuale di ricordare che questi sono stati provvedimenti concreti ed efficaci della lega nord, come ha riconosciuto ieri De Rita del CNEL; era un nostro provvedimento anche quello della cabina di regia che funzionerebbe bene se fosse diretto da professionisti indipendenti e non da burocrati in pensione.
Vorrei rivolgerle sei precise domande, Presidente Prodi. Lei dice, giustamente, che il sud deve essere appetibile agli investimenti stranieri (ovviamente il sud ed anche la Padania): vorrei un suo commento sullo studio dell'OCSE, presentato a Parigi a metà aprile, nel quale si è detto che su 46 Stati l'Italia, a livello di competitività internazionale, è al trentacinquesimo posto! Ho chiesto alla Farnesina questo studio, che ho letto su Il Sole 24 ore e che sembra sia una tragedia!
La seconda domanda riguarda il costo del lavoro: lei dice sempre che il costo del lavoro è competitivo. Le trattenute fiscali e le trattenute contributive sul costo del lavoro in Italia sono le più alte del


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mondo, non dell'Unione monetaria o dell'Unione euoropea, ma del mondo! Questo lo dice l'Associazione delle confindustrie in uno studio di recente pubblicato. È ovvio che con questa struttura del costo del lavoro gli stranieri non vengono in Italia e le aziende italiane scappano all'estero. Vorrei un suo commento su questo dato di fatto. Siamo convinti che senza cambiare la struttura del costo del lavoro non otterremo mai investimenti stranieri e continueremo ad assistere all'esodo delle aziende italiane. Vorrei un suo commento anche sul fatto che in Romania, su 5 mila nuove aziende, 4 mila sono italiane e quegli imprenditori pagano le tasse e i contributi sociali in quel paese.
La terza domanda riguarda la pressione fiscale reale. La pressione fiscale ufficiale nel nostro paese è circa il 45 per cento ma vi è anche un 20 per cento di economia sommersa e di nero. A dicembre, il consiglio nazionale dei dottori commercialisti - che non è né di destra né di sinistra né della lega - ha pubblicato uno studio nel quale si è dimostrato che la pressione fiscale vera in Italia è del 57 per cento (quindi, circa 12 punti in più della media europea). Questo dato si ricollega al discorso che facevo prima e cioè che non attiriamo gli investimenti e che le aziende scappano all'estero.
Per quanto riguarda il lavoro nero al sud - è questa la quarta domanda - lei ha accennato alla sua riemersione. In Transatlantico corre voce che addirittura pensate di dire che pagando il 25 per cento dei contributi sociali si legalizza tutto: a questo punto è ovvio che per esempio, chi lavora in nero da trentaquattro anni basta che paghi il 25 per cento, l'anno prossimo se ne va in pensione, prende la pensione e poi continua a lavorare in nero. Vorrei un suo commento, anzi una sua rassicurazione sul fatto che non avete in mente niente del genere!
Penultima domanda: Presidente Prodi, quale Europa ha in mente? All'inizio lei ha giustamente volato alto e ha parlato di Europa. Quando Chirac a Parigi ha fatto le bizze, ha detto che quella attuale è l'Europa degli Stati e quindi ritiene assolutamente logico che ogni Stato tuteli il suo interesse. Lei, Presidente Prodi, nel suo cervello e nel suo cuore ha in mente l'Europa degli Stati che ha in mente Chirac (e quindi uno in lotta contro l'altro con gli egoismi attuali) o ha in mente l'Europa dei Pagliarini, cioè quella dei popoli, delle regioni, per la quale a Bruxelles si approvano principi che sono il collante tra i popoli d'Europa e poi ognuno a casa sua li recepisce nel rispetto del suo modo di intendere la vita, le sue tradizioni e così via? In questo caso, quando avremo questa Europa benedetta - che io mi auguro - quali saranno i compiti amministrativi e politici degli attuali Stati in azione? Perché lo schema è: a Bruxelles si approva il principio e poi la Baviera, il Veneto, la Sicilia, la Catalogna a casa loro recepiscono il principio.
Ultima domanda: perché, secondo lei, l'Inghilterra, la Danimarca e la Svezia hanno scritto di non voler entrare nell'Unione monetaria? Perché la Grecia, pur avendo meno debiti e meno disoccupazione di noi, non è entrata nell'Unione Europea (cosa che potrà fare benissimo aumentando la pressione fiscale, ma non lo farà perché l'aumento della pressione fiscale blocca lo sviluppo)?

ROBERTO BARBIERI. Credo che effettivamente siano stati fatti consistenti passi in avanti per rendere il Mezzogiorno più attrattivo per gli investimenti nazionali e internazionali. Del resto, alcuni segnali oggettivi, al di là di quelle che possono essere le percezioni dell'inversione del meccanismo di tendenza, si registrano da dati provenienti dalla Banca d'Italia e dalla Confindustria; da questi dati si evince che una dinamica degli investimenti si è rimessa in moto.
Tuttavia, proprio per le straordinarie condizioni del Mezzogiorno, dal punto di vista della sua collocazione territoriale e per la potenziale enorme capacità di intercettare risorse finanziarie, bisogna compiere ulteriori passi in avanti per la


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creazione di un meccanismo di convenienza per attrarre investimenti e per intercettare risorse.
La prima domanda che rivolgo al presidente Prodi riguarda il fisco. Giustamente egli ha detto che la diminuzione della pressione fiscale anche sul reddito delle imprese deve avvenire progressivamente, con moderazione, perché deve tenere conto e salvaguardare le esigenze di entrate del bilancio pubblico. Ebbene, rispetto al problema specifico del Mezzogiorno (all'interno del quale per alcune aree vi sono minori oneri dal punto di vista fiscale), vorrei sapere se si ritenga possibile, visto che in effetti il gettito complessivo di tipo fiscale proveniente dalle imprese è poco rilevante, quasi insignificante e comunque su livelli molto bassi, ipotizzare coerentemente con la normativa comunitaria un regime che viene definito duale dal punto di vista del reddito di impresa che in qualche modo anticipi per il Mezzogiorno la strategia del Governo di abbassare la pressione fiscale sul reddito di impresa.
La seconda domanda riguarda il discorso dell'agenzia e i suoi tempi. A parte la risoluzione approvata dal Senato e citata poc'anzi dal presidente Coviello, anche nel documento di programmazione economico-finanziaria, elaborato dal Governo, viene riportato in maniera estremamente corretta l'obiettivo della creazione dell'agenzia, che poi non è altro che un soggetto di promozione per attrarre risorse nel Mezzogiorno, con un momento di coordinamento centrale che si incrocia con la creatività e con lo sviluppo locale. Credo si tratti di uno strumento importante, ovviamente non risolutivo dei problemi del Mezzogiorno. La domanda è: rispetto a tutti gli atti parlamentari che sono stati già compiuti, con quali tempi e con quali strumenti si pensa di poter varare questa agenzia (in particolare, mi chedo se resta valida la strada del decreto all'interno delle deleghe previste dalla legge Bassanini)?
La terza domanda è di carattere generale e riguarda la creazione di convenienze per attrarre investimenti nel Mezzogiorno. Credo che un altro dei problemi esistenti sia quello della presenza al sud dello Stato assistenziale: intendo dire che, in alcuni casi, politiche assistenziali, che questo Governo ha anche ereditato dal passato, creando tensioni sociali e un modo di gestione delle risorse non di mercato, possano rappresentare un'ostacolo allo sviluppo e alla attrazione di risorse. Pertanto, sia pure non in maniera diretta ed immediata, credo che la revisione dello Stato sociale nel Mezzogiorno, passando da politiche di assistenza a politiche più chiare di sostegno per coloro che sono fuori dal mercato del lavoro, possa essere un elemento coerente per la creazione di maggiori convenienze di investimento.
Condivido, infine, la necessità di sburocratizzare ulteriormente processi e procedure relative a norme che esistono, che sono valide, che servono ad attirare risorse e ad aiutare nello sviluppo chi è già presente. Se non ho capito male, mi sembra che il Presidente abbia detto che ciò può avvenire per via amministrativa o per via regolamentare. Personalmente credo invece che in alcuni casi sia necessaria una revisione di talune norme, perché l'impressione è che, nella giustezza dell'obiettivo, alcune di esse abbiano al loro interno meccanismi burocratici di eccessiva lentezza.

CARLO SCOGNAMIGLIO PASINI. Presidente, mi sembra di essere ritornati alla fase del debutto del Governo Prodi e in un certo senso credo proprio che sia così: all'inizio del suo Governo lei ha dato il via ad un ciclo che ora ha concluso con successo; adesso se ne sta aprendo una altro. Ricordo quando lei presentò il suo Governo e diede una indicazione di obiettivi molto prudente (forse in qualche caso fu troppo prudente, alla luce di quello che poi effettivamente si è svolto); ricordo l'indicazione dell'entità della manovra di correzione, fissata in 2-3 punti percentuali di PIL, mentre poi le cose sono andate diversamente e ciò accadde perché le vicende monetarie imposero una linea diversa e molto più radicale di quella


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prospettata all'inizio, con una correzione non di 2-3 punti percentuali ma di 6 punti. Insomma, le vicende monetarie hanno fatto sì che per raggiungere il traguardo, la conclusione del ciclo con successo, si dovessero poi prendere delle misure un po' sull'onda della necessità, dell'ultimo momento, quindi ricorrendo a quegli strumenti che si possono usare con immediatezza: mi riferisco essenzialmente al rallentamento degli investimenti, quindi delle spese controllabili, e all'aumento della pressione fiscale.
Ora un ciclo si è chiuso; le diamo tutti atto del risultato raggiunto dal Governo, che peraltro aveva suscitato dubbi e perplessità. Certo, non possiamo non accorgerci che in Parlamento e fuori del Parlamento vengono espresse delle riserve sul modo con cui si è raggiunto questo obiettivo. Adesso si apre un altro ciclo, nel quale il dato di fondo sta nel fatto che i paesi dell'Europa continentale (Germania, Francia e Italia) hanno una pressione fiscale di circa un terzo superiore a quella degli Stati Uniti e dell'Inghilterra, che li spiazza nella competizione internazionale come sede di investimenti, di sviluppo e quant'altro.
Ritengo possibile che, trascorse le elezioni tedesche, in Germania si ponga il problema del costo della struttura statale così com'è; se questo accadesse noi ci troveremmo in una situazione in un certo senso simile a quella del 1996-97, e cioè ad affrontare un'emergenza, un cambiamento radicale di rotta rispetto a quella prevista dalle sue dichiarazioni di oggi senza avere nulla pronto. Allora mi domando se il Governo non dovrebbe prendere in considerazione alcune misure di emergenza (alle quali darei il benvenuto) che comportino modifiche strutturali. E vengo alle tre questioni che volevo porre. Non chiedo che il Governo predisponga un piano straordinario di intervento sul welfare o sulle pensioni; chiedo però che tenga presente che il piano per le privatizzazioni, che procede, per la verità, molto a rilento, è vecchio ormai di otto anni. Mi domando se, di fronte a quello che sta accadendo e nella prospettiva di dover compiere importanti e radicali mutamenti della spesa, il Governo non sia disponibile a prendere in considerazione la privatizzazione immediata delle ferrovie dello Stato ed eventualmente dei servizi delle poste.
La seconda domanda riguarda le 35 ore. Abbiamo approvato il documento di programmazione economico-finanziaria con una prospettiva di sostanziale irrilevanza della riduzione dell'orario di lavoro, perché questa sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2001, e quindi al di fuori dell'orizzonte programmatico. La domanda che le rivolgo è la seguente: ritiene che questo orizzonte sia stabilizzato o ritiene invece che il provvedimento di riduzione dell'orario arriverà prima del 2001? In questo caso, quali conseguenze si avranno sul piano della manovra da condurre nel DPEF?
L'ultimo punto riguarda il Mezzogiorno e i provvedimenti per lo sviluppo. Condivido pienamente ciò che lei ha detto, forse anzi con troppa prudenza, e cioè che vi è una precondizione nella sicurezza. Ritengo che lei avrebbe potuto usare parole più esplicite e cioè dire che se non c'è una garanzia per il diritto alla vita e alla proprietà è del tutto impossibile che si determini qualsiasi forma di sviluppo economico. Trovo saggio quanto contenuto nel DPEF - e da lei ripetuto - e cioè che l'azione al sud va fatta anche con strumenti tipo fight unity, cioè con contratti d'area, con promozione ed informazione; tuttavia, ritengo che la situazione del sud sia tale da avere bisogno di qualche forte, visibile, chiaro, intelligibile segnale da parte del paese verso il meridione. Tutti sappiamo che questo segnale, da un punto di vista tecnologico, da un punto di vista di immagine e di impatto sulle infrastrutture, è realizzabile solo attraverso un'opera, e cioè la costruzione del ponte sullo stretto di Messina. Allora, vorrei conoscere la posizione del Governo rispetto a questo progetto.

PRESIDENTE. Prego i colleghi di contenere i tempi.


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MARIA CARAZZI. Presidente, abbiamo apprezzato un aspetto in particolare del suo intervento: il fatto che non si sia unito allo sport nazionale, che è quello di additare nel costo del lavoro la causa di tutte le difficoltà dell'economia del paese. Non lo ha fatto ma anzi di fronte alla Confindustria ha sottolineato il rallentamento, molto consistente, della crescita del CLUP ed ha fatto bene a farlo, mentre Fazio, nella sua considerazione finale, pur riconoscendolo, ha praticamente sorvolato su questo dato che, invece, è molto importante.
Si parla molto del costo del lavoro, mentre meno di aiuti alle imprese ed è nel quadro del riordino di questi aiuti che vanno riconsiderati anche gli effetti sull'occupazione. Altrimenti ogni lira spesa a sostegno del reddito, per l'occupazione, viene considerata da alcuni uno spreco, mentre ogni soldo destinato alle imprese sembrerebbe ben impiegato.
In questo riordino degli aiuti alle imprese rientra anche il discorso sull'agenzia. Riteniamo però molto riduttivo definire l'appetibilità del Mezzogiorno come punto centrale e lo spazio al mercato come unica carta da giocare. Tutto ciò rientra in una categoria, molto ambigua, che è quella dell'affidamento al privato di compiti che lo Stato, per così dire, dismette. Chiedo allora al Presidente Prodi fino a che punto può spingersi la disintermediazione dello Stato di fronte a problemi gravi come quello del divario di reddito, di crescita e di occupazione tra nord e sud. È ben riduttiva la possibilità, che ho sentito anche in questa sede, di vedere l'agenzia essenzialmente come un ente di marketing territoriale.
Credo dunque - e voglio sperare che anche il Presidente sia d'accordo su questo - che ci sia uno scarto molto forte tra l'entità del problema del divario e la strumentazione della contrattazione territoriale. Per superare questo scarto, che secondo noi i soggetti privati non possono colmare, c'è un ruolo dello Stato e dell'agenzia che non sia solo quello di additare l'appetibilità del Mezzogiorno?

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, è già stato detto, ma lo ribadisco, che malgrado gli scetticismi l'obiettivo, chiaramente fissato, della prima fase della politica economica del Governo, quello dell'euro e dell'ingresso nell'Unione europea, al di là dei mezzi decisivi assunti (a nostro giudizio, il blocco degli investimenti, l'aumento della pressione fiscale, le misure di ingegneria contabile poste in essere dalla tesoreria e quant'altro), è stato centrato. Gliene diamo atto, pur essendo la mia forza politica molto critica e preoccupata sul percorso seguito.
Per quanto riguarda la politica economica, siamo ora su un nuovo versante, la fase due, quello del lavoro e dello sviluppo. Ho detto che siamo ora in questa fase perché su questo terreno le azioni politiche ed economiche fin qui adottate hanno avuto un impatto modesto ai fini della crescita economica. Lei, infatti, riconoscerà che nel 1996-1997 l'incremento del PIL è stato molto limitato e che i provvedimenti economici adottati sono stati negativi per l'occupazione, stante l'aumento del tasso di disoccupazione sia nel 1996 che nel 1997 e la situazione praticamente stagnante per quanto riguarda il 1998.
A nostro avviso - ed a questo riguardo richiamo l'intervento del Presidente Scognamiglio - sull'occupazione è necessario un forte e radicale cambiamento, anche perché - ci sia consentito ricordarlo in questa sede - dal Colle il Presidente della Repubblica si è espresso ripetutamente in questi due anni sull'inadeguatezza dell'azione del Governo, sollecitando politiche più incisive. Incitamenti in questo senso vengono poi dal sindacato, dalla Confindustria e dall'opposizione, ma forti critiche sull'azione del Governo sono state espresse, Presidente, anche dalla sua maggioranza, nella quale sta crescendo l'insofferenza verso l'incapacità, malgrado la pazienza, la tenacia e la costanza, virtù da lei richiamate questa mattina, impiegate per creare condizioni nuove, in grado di dar vita finalmente a sbocchi occupazionali.


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Le chiedo allora se davanti a questi ampi, articolati, obiettivi e trasversali giudizi negativi sulle politiche per l'occupazione da lei richiamate in questa sede (cantieri socialmente utili, riforma del mercato del lavoro, semplificazione burocratica, avvio più incisivo degli investimenti, eccetera) non avverta la necessità di cambiare la natura degli interventi già promossi dal Governo, nel senso che per quanto riguarda le privatizzazioni - lo diceva il Presidente Scognamiglio - dobbiamo assolutamente fare un salto di qualità senza bloccare, ad esempio, la privatizzazione dell'ENEL.
Per quanto riguarda le procedure, abbiamo sentito pochi giorni fa il ministro Costa a proposito delle grandi infrastrutture e la sua risposta è stata per noi deludente. Egli ha detto di essere in pratica nell'impossibilità di spendere le risorse disponibili. Ma allora si agisca con provvedimenti straordinari, si ponga in essere un'azione decisa.
Per quanto concerne le politiche salariali di ingresso, noi siamo per la concertazione, signor Presidente del Consiglio, ma riteniamo che davanti alle problematiche, così drammatiche, dei ragazzi e dei giovani che sono nell'assoluta impossibilità di sviluppare una qualche attività lavorativa, siano necessarie una diversa dinamica delle politiche salariali di ingresso ed una flessibilità delle misure del mercato del lavoro rispetto alle piccole e medie imprese. Se queste ultime - come confermano nei vari incontri con le diverse forze politiche e quindi sicuramente anche con la Presidenza del Consiglio - usufruissero di questa flessibilità e di queste politiche salariali di ingresso vi sarebbero sicuramente giovamenti immediati.
L'ultimo appunto riguarda la strumentazione per incentivare gli insediamenti produttivi. Do atto che vi è stato un grande sforzo, ma trovo una profonda incoerenza, signor Presidente del Consiglio, rispetto anche a quella semplificazione che lei ha ribadito in questa sede. Questi strumenti di incentivazione non vanno nel senso della riduzione della pressione fiscale, ma soprattutto sono articolati in modo estremamente complicato (ce ne dia atto), come si è verificato, ad esempio, nel settore dell'edilizia, dove il Governo ha dovuto assumere immediatamente misure correttive delle norme precedentemente varate, che noi avevamo già detto essere assolutamente ingestibili. Vorrei allora che si cambiasse impostazione ovvero la testa di qualche ministro, perché non si possono complicare le cose per poi dover intervenire a semplificarle. Mi sembra che anche lei, Presidente, condivida pienamente questo orientamento e che quindi sia necessario adottare le necessarie misure.

ROBERTO VILLETTI. Rispetto alla situazione che si presenta, gli obiettivi indicati dal Presidente del Consiglio come priorità - sud, sviluppo, occupazione - trovano un limite nelle politiche restrittive di bilancio.
Il Presidente del Consiglio ha accennato alla possibilità che nel prossimo triennio vi sia una discesa dei tassi, nominali e reali, anche più favorevole di quella contenuta nel documento di programmazione economico-finanziaria. Del resto, il miracolo dell'entrata dell'Italia nella moneta unica europea è dipeso anche - come spesso ci hanno ricordato il ministro Ciampi e lo stesso Presidente del Consiglio - da questo andamento dei tassi.
Vorrei chiedere al Presidente Prodi come si potrà riuscire a conciliare lo sforzo per ridare efficienza e competitività all'apparato economico e finanziario con tutto un complesso di vincoli quali il rientro del debito e la riduzione del deficit. È vero infatti che si possono operare semplificazioni, accrescere la mobilità, l'elasticità e la flessibilità nel mercato del lavoro, ma il dato più rilevante è quello degli investimenti (penso agli investimenti pubblici nelle infrastrutture ed all'incentivazione di quelli privati). Che cosa si può fare allora per dare un'ulteriore spinta nella direzione degli investimenti?


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Il contenimento della spesa corrente al netto di quella sociale è all'osso. Le chiedo che cosa si possa fare per riuscire ad imprimere un'ulteriore spinta agli investimenti, anche rispetto alle previsioni che ci siamo dati, considerando che in presenza di politiche restrittive di bilancio la questione degli investimenti diventa la chiave fondamentale per raggiungere gli obiettivi che ci siamo proposti.

MASSIMO SCALIA. Prendiamo atto con soddisfazione che il Presidente propone un impegno per il Governo che da tempo, come è noto, richiediamo, sulla questione del lavoro e dell'occupazione nel sud pari almeno a quello che il Governo ha profuso per quel che ha riguardato la vicenda dell'inserimento nell'euromoneta.
È stato presentato ieri uno studio dell'università Bocconi che propone nella correlazione tasse-lavoro una programmazione di riduzione delle tasse più significativa di quella proposta dal Governo (un punto e mezzo in più); per il reperimento delle risorse suggerisce anche, però, un aumento della tassazione indiretta, segnalando che l'Italia è uno dei paesi in Europa in cui questa tassazone è al livello più basso. La prima domanda è quindi cosa ne pensino il Governo ed il Presidente del Consiglio di un'ipotesi del genere.
Seconda questione. Nella sua breve introduzione il Presidente ha parlato molto di impresa e di mercato, ma è riuscito a non nominare mai la parola ambiente ed allora adesso lo faccio io, ricordandogli a proposito di investimenti pubblici e dei nuovi strumenti di programmazione economica (che ho visto con piacere avere molti padri, tra cui anche il collega Pagliarini) che nell'approvazione del DPEF la difesa del suolo è stata posta come priorità di politica economica, non di politica ambientale, come grande infrastrutturazione. Del pari, sempre tra le priorità di politica economica sono state inserite quote riservate a progetti ad alta valenza ambientale. Vorremmo capire se il Governo manterrà questo patto.
A proposito poi di cabine di regia e di agenzie del sud, rispetto a progetti spesso non entusiasmanti, che non riescono ad ottenere finanziamenti a livello europeo, l'ipotesi di una task-force, in grado di fare da interfaccia e dare validità ai progetti, è stata avanzata da più parti ed anche da noi. Vorremmo capire che intenzioni abbia il Governo a questo riguardo.
A proposito di cose non dette e di coesione sociale, vorrei sapere se esista un ruolo per il terzo settore e, più in generale, per un mercato in cui conti più il valore d'uso che non quello di scambio nella strategia di sviluppo per il sud.
L'ultima domanda riguarda la velocità di spesa. Sappiamo tutti degli intralci burocratici, della scarsa capacità dell'amministrazione regionale ma anche centrale. In questa vicenda, però, c'è anche un altro protagonista. Non sono molto disposto a credere a quello che afferma il ministro Ciampi, ossia che siamo passati dal 7 al 38 per cento di fondi CUCS. In termini di impegno di spesa si può fare molto, ma mi sembra che il problema stia nel fatto che sono rimasti stretti i rubinetti dell'erogazione.
A proposito di spese c'è poi anche la questione di rendere davvero erogabili i soldi disponibili. Vorrei porre allora due domande sulle grandi infrastrutture del sud: in teoria dovrebbero essere già aperti i primi cantieri per 1.200 miliardi sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria, così almeno diceva oltre un mese fa il ministro Ciampi. Al riguardo non so niente, mentre vorrei saperne qualcosa. Vorrei sapere anche che fine abbiano fatto i circa 3.500 miliardi che nella finanziaria 1996 erano stati destinati proprio alle ferrovie del sud. Ciò sempre a proposito di grandi infrastrutturazioni e di quelle reti che sono poi necessarie per attivare investimenti ed altri strumenti economici in funzione della creazione di nuovi posti di lavoro.

PRESIDENTE. Colleghi, avevamo preso l'impegno con il Presidente del Consiglio di concludere la seduta odierna alle 11. Purtroppo mancano solo pochi minuti a


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quell'ora e dobbiamo dare al Presidente Prodi il tempo di rispondere alle domande. Io ho ancora cinque richieste di intervento, ma credo di aver dato a tutti i gruppi - ovviamente considerando gli interventi di deputati e senatori - la possibilità di intervenire. Propongo pertanto di chiudere a questo punto la fase delle domande, scusandomi con coloro che non sono riusciti a prendere la parola perché, purtroppo, il tempo a nostra disposizione è quello che dicevo e non possiamo disattendere un impegno. Ciò, tenendo conto, che il Presidente Prodi ha a sua volta impegni a livello di Consiglio dei ministri.
Do pertanto la parola al Presidente Prodi.

ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. L'onorevole Pagliarini ha fatto un discorso generale: attenzione, lo studio cui egli ha alluso non è dell'OCSE, ma si tratta di confronti qualitativi. Lo studio OCSE sul confronto tra i costi del lavoro, che è recentissimo, contiene delle conclusioni sull'Italia estremamente lusinghiere. Badate che esso non tiene conto dei discorsi che avevamo fatto in merito alle questioni delle infrastrutture e della sicurezza. Peraltro, quello tra i costi per unità di prodotto è l'unico confronto serio.
Pagliarini ha osservato che molte imprese vanno in Romania. A questa osservazione rispondo con molta semplicità che non ho alcuna intenzione di fare concorrenza alle imprese che vanno in Romania od in Tailandia, perché è ovvio che i paesi che hanno un costo del lavoro venti volte inferiore al nostro siano concorrenziali. Se però vogliamo essere un paese ad alto livello di qualità della vita e di reddito, dobbiamo avere produzioni con alto valore aggiunto. Dunque, che in Romania vadano le produzioni di abbigliamento standard o di tomaie credo sia utile e necessario, nonché conseguenza della divisione del lavoro. Non voglio invece che le produzioni vadano negli altri paesi europei; voglio essere concorrenziale con i paesi OCSE.
Ripeto allora che l'analisi richiamata - che spero esca ufficialmente; peraltro ho visto le bozze che erano già definitive - dato pari a 100 il costo del lavoro per unità di prodotto degli Stati Uniti (paese interessante), che è il più basso, vede a 100 quello della Spagna e a 101 quello dell'Italia, mentre per altri paesi europei, compresa la Gran Bretagna, si sale a livelli elevatissimi.
All'interno si hanno poi le anomalie che venivano segnalate, cioè il fatto che abbiamo una percentuale di costi indiretti e di costi sociali - chiamiamoli così - molto elevata. Il totale del costo del lavoro, però, è basso, perché abbiamo stipendi bassi. Nella nostra strategia futura dobbiamo trasferire i costi in modo che nello stipendio entri una parte maggiore, ma il discorso della concorrenza va fatto con riferimento al costo totale e, considerando quest'ultimo, l'Italia è collocata in modo da poter fare concorrenza.
Con il Mezzogiorno abbiamo un debito sotto l'aspetto degli aiuti all'occupazione che deriva anche dalla concorrenzialità che abbiamo in questo momento per quanto riguarda i costi. Ripeto che ciò non significa capacità effettiva di concorrenza se non teniamo conto dei problemi della sicurezza, delle infrastrutture e della semplificazione burocratica, di cui abbiamo parlato precedentemente.
Per questo dobbiamo collocarci tutti in questa direzione, perché il sacrificio sui costi lo abbiamo fatto e mi sembra importante, altrimenti, onestamente, se non fossimo stati competitivi non avremmo potuto dare speranza al Mezzogiorno. Infatti, piaccia o non piaccia - e qui rispondo all'onorevole Carazzi - non è che lo Stato si ritiri, ma l'espansione delle imprese e dei posti di lavoro produttivi (che sono la gran parte dei costi di lavoro) non è compito dello Stato stesso. Quest'ultimo deve incentivare ed aiutarle, ma le assunzioni vengono fatte dalle imprese e questa è una linea di governo da cui credo che oggettivamente non si possa prescindere.
Abbiamo creato le convenienze e ciò è molto importante, anche perché a queste


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convenienze si è dato vita per effetto, secondo me molto chiaro, della concertazione, in cui si sono unite le forze sociali le quali hanno valutato quali fossero i limiti e le possibilità del paese.
Voglio che l'Italia faccia concorrenza in modo serio - perché abbiamo bisogno di nuovi posti di lavoro - agli altri paesi europei ed evidentemente non mi curo di fare concorrenza ai paesi che hanno un bassissimo costo del lavoro, perché non sono il nostro riferimento, perché non è la nostra strada.
Sulla riemersione la fatica che stiamo facendo è proprio quella di creare un serio equilibrio tra passato e futuro e avere garanzie forti che l'impresa non si immerga di nuovo, altrimenti è chiaro che la riemersione, che ha la funzione di creare imprese sane, non serve a niente.
Quella che io vedo è un'Europa che cambia molto la natura dello Stato nazionale - ci vorrebbe un'intera seduta per parlarne - come già sta avvenendo ad ogni Consiglio europeo cambia qualche pezzo della natura dello Stato nazionale. Il futuro non è così semplice, nemmeno nella visione di Chirac. Quando Italia e Belgio, favorevoli all'allargamento, si uniscono in favore di una mozione per la quale non si può procedere all'allargamento senza un cambiamento della Costituzione europea, altrimenti i veti degli Stati nazionali bloccano qualsiasi evoluzione dell'Europa, ciò vuol dire che almeno Francia, Italia e Belgio sono orientati verso una forte evoluzione dello Stato nazionale.
L'euro cambia la natura dello Stato nazionale, perché non avere più la sovranità sulla moneta modifica una delle funzioni fondamentali dello Stato nazionale. Attenzione, abbiamo cominciato un cammino - ci vorranno una, due o tre generazioni - di completa riorganizzazione delle strutture statuali. Il ruolo dell'Europa, degli Stati nazionali e delle regioni è cambiato completamente. Non è questa la sede, ma sarebbe estremamente interessante verificare - ed io lo sto vedendo personalmente - come cambiano in breve periodo di tempo gli strumenti elementari di politica economica. Sotto questo aspetto è stata compiuta una scelta importantissima.
Evidentemente i compiti degli Stati e delle nazioni stanno diminuendo molto più in fretta di quanto pensi la gente comune.
Regno Unito, Svezia e Danimarca non sono entrate nell'euro perché non hanno voluto. Non credo, comunque, che la Gran Bretagna rimarrà fuori per molto, considerato che i problemi all'interno di quel paese stanno già cambiando. D'altronde, stare fuori dall'euro e conservare la city di Londra è una questione di non facile soluzione.
La Grecia, invece, aveva il problema dell'inflazione che non riusciva a ridurre in tempo senza compiere grossi sforzi. Ne abbiamo parlato a lungo anche con il primo ministro greco, che ha scelto una via più lunga. La Grecia non ha una dimensione economica grandissima e quindi può entrare anche in ritardo senza portare problemi e turbamenti. Per l'Italia la situazione sarebbe diversa: come abbiamo visto con Schengen, è una fatica terribile entrare in ritardo, perché poi si creano nuove condizioni e barriere più elevate. A mio avviso, era impossibile rinviare.
Onorevole Barbieri, sul versante fiscale qualche aggiustamento si può ancora fare, anche se l'argomento che lei adduce può essere addotto a contrariis: abbiamo visto che ci sono pagamenti così bassi in un settore al quale non diamo molti aiuti per cui essi calano ulteriormente. Però, in linea di massima - non escludo altre analisi - ritengo che la struttura dei costi sia stata già definita e che gli elementi di movimento siano abbastanza piccoli. Quando risponderò all'onorevole Delfino farò un esempio sulle imposte e sulla capacità di movimento che abbiamo.
Barbieri parla anche di sburocratizzare ulteriormente. Il mio messaggio molto forte è quello di aiutarci a vicenda. È verissimo che molto spesso abbiamo complicato le cose, ma quante volte le norme sono state complicate dal Parlamento? Quante volte abbiamo delegificato e il


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Parlamento, nella sua sovranità, ha rilegificato? Secondo me dobbiamo fare un approfondimento su questo tema, perché a volte queste cose succedono anche senza volerlo, per mancanza di tradizione di raccordi in materia. Potrei fare un lungo elenco di casi in cui negli ultimi mesi abbiamo delegificato e il Parlamento, ripeto, nella sua sovranità, ha rilegificato. Forse in alcuni casi si potrebbe valutare insieme la necessità di semplificazione e delegificazione, che tocca tutti gli aspetti della vita economica (i permessi e le procedure che togliete e poi tornano: è una specie di fatica di Sisifo). Propongo di avviare insieme questo lavoro che è decisivo per il futuro.
Il senatore Scognamiglio ha detto che si sta aprendo un nuovo ciclo e che il Governo all'inizio del primo è stato molto prudente e poi si è mosso. Ognuno ha il suo passo ed io non voglio mai fare promesse di risultato se non ne sono sicuro. Quando ho detto che i mutui per la casa sarebbero scesi al 5 per cento vi è stata una reazione prima di ridicolizzazione e poi di curiosità. Perché l'ho detto? Perché si era messa in moto una macchina. Secondo me, se facciamo quattro semplici operazioni, anche la macchina del Mezzogiorno si mette in moto, sta già partendo. È vero, Delfino, che abbiamo avuto una crescita scarsa negli scorsi anni, ma nonostante le manovre durissime si sta risvegliando. È per questo che dico che abbiamo la chiave in mano.
Evidentemente per l'euro il Governo è stato molto aiutato dal fatto che vi era un paese unito ed io chiedo la stessa unità sul Mezzogiorno, perché l'Italia non può raggiungere questi obiettivi se si divide. Sotto questo aspetto il nostro è un paese particolare. Ho impiegato questi mesi per cercare su tali temi l'unità con gli enti locali, col Parlamento, con i sindacati e con la Confindustria. Avete visto quante tensioni ci sono state, ma mi sembra che ora si vada verso l'unità sulla visione del Mezzogiorno. Con questa unità i risultati li avremo, perché i dati economici ci sono. Il mio linguaggio non è mai drammatico né evocativo, perché sono nato in pianura, però voglio sottolineare che la via è questa e che ce la possiamo veramente fare.
Circa le privatizzazioni il piano procede, ma le ferrovie e le poste sono due settori rispetto ai quali anche i paesi che hanno più privatizzato, come la Gran Bretagna, hanno avuto grossi problemi. Quindi, bisogna riflettere molto. A mio avviso, occorre andare avanti sui piani già predisposti e affrontare la questione delle privatizzazioni nel settore immobiliare, che è la mano morta e ha raggiunto dimensioni impressionanti, e negli enti locali. Si tratta dei settori più fruttuosi, sui quali comunque possiamo aprire un dibattito, anche perché le ultime esperienze estere possono darci qualche idea nuova in materia.
Sulle 35 ore quello che è scritto nel DPEF non cambia, non vi sono stati elementi nuovi. Ripeto: l'accordo sulle 35 ore e il disegno Treu sono tali da salvaguardare i problemi che lei, senatore, si pone.
Dobbiamo, invece, lavorare insieme sulla garanzia della sicurezza, perché la questione del Mezzogiorno coinvolge prima di tutto un accordo sulla sicurezza. Senza questa garanzia, al primo incidente la gente scappa di nuovo dal Mezzogiorno. Quando, svolgendo il mio precedente mestiere, cercavo di capire perché non si investisse nel Mezzogiorno, la risposta era di una banalità estrema. Mi rivolgevo alle persone che investivano, agli ingegneri - e non a chi ratificava le decisioni - i quali (americani e giapponesi) mi dicevano: «Ho tante incertezze nella scelta di un paese nuovo. Se sbaglio la tecnologia e il mercato mi danno botte, ma in fondo me la cavo. Se sbaglio perché vi sono problemi di sicurezza esterni ciò è imperdonabile, perché tanti paesi mi garantivano la sicurezza». Questo è un discorso che mi angosciava quando svolgevo indagini per verificare perché grandi imprese americane investissero in Spagna e in Irlanda anziché in Italia. Dobbiamo unirci nella battaglia sulla sicurezza.
A proposito del ponte sullo stretto, non ci sono elementi nuovi e non ho all'ordine del giorno i progetti definitivi. Come loro


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sanno, la questione ha sempre urtato con problemi di sicurezza e di costi-benefici. D'altra parte l'esperienza dello slittamento dei costi del tunnel della Manica ha reso molto più prudenti gli investitori internazionali in questi grandi progetti.
Onorevole Delfino, sono d'accordissimo sulla crescita scarsa per altri due anni, però il vero problema che avevamo con l'euro era quello di entrarvi senza uccidere il paese. Questo era il dramma, ma noi ci siamo riusciti, però ovviamente qualche freno è stato messo. Quando si fa una politica restrittiva dopo anni di politica espansiva, inevitabilmente vi sono alcune conseguenze. Però ora siamo di nuovo in ripresa e con l'abbassamento degli interessi possiamo raggiungere un equilibrio, perché è come se ogni anno fossero entrati 50 mila miliardi in più. Questa, in fondo, è la chiave degli equilibri nuovi che si sono creati ed è per ciò che io comincio a credere che siamo nella via giusta.
Il forte radicale segnale sull'occupazione è quello che le ho detto e soprattutto, Delfino, non trovo una politica diversa. Allora insistiamo su questa politica, proviamoci finalmente in modo determinato e unitario! I costi sono competitivi, la capacità produttiva del nord non c'è in altre regioni; addirittura le imprese non trovano operai. È una di quelle congiunture che capitano ogni tanto nella vita: diamoci dentro; poi, punto per punto, interverremo con dei perfezionamenti.
Invece, sulle infrastrutture mi si chiede se esista qualche norma straordinaria. Mi sono stancato delle norme straordinarie! Quando varammo il decreto «sblocca cantieri», sembrava che avessimo rotto ogni ostacolo. Invece, i controlli sono tornati da ogni lato. Dobbiamo scegliere lo sblocco in via ordinaria, cioè semplificare. Il bypass non serve, perché o siamo tutti convinti che dobbiamo semplificare oppure la realtà riporta le complicazioni precedenti. Il decreto «salva cantieri» era fatto bene, era giusto e convincente, però poi sono tornati gli stessi tipi di controllo laterale che c'erano prima.
Riprendo l'appello sulla delegificazione, sul lavoro che il Governo e il Parlamento devono svolgere insieme per la semplificazione, altrimenti non riusciremo a cavare i piedi da una situazione del genere. Casualmente ciò coincide con i processi di liberalizzazione che dobbiamo attuare e che, oltre al commercio, dobbiamo estendere ad altri settori.
Richiamo qui un caso al quale vi prego di dare un'occhiata: abbiamo una struttura di libere professioni individuale e frammentata. Ho visto casi in cui sono entrati in Italia grandi studi professionali, che fanno strage. Attenzione: dobbiamo cambiare la nostra struttura prima che gli stranieri ci abbiano preso anche questo pezzo di mercato. Ciò vale non solo per le professioni, ma anche per i pubblici servizi. Stiamo attenti affinché il processo di cambiamento istituzionale nella vita economica sia rapidissimo, perché siamo a rischio. Quello che abbiamo fatto nel commercio o che è avvenuto nell'industria manifatturiera, che si è dovuta riformare perché la concorrenza ha «picchiato», lo dobbiamo fare nel settore del credito e nelle professioni. Si tratta di un problema che chiedo al Parlamento di esaminare nella sua dimensione che può essere terribile. Pensate agli studi di architettura: ci sono grandi lavori che possono essere affidati solo a studi complessi e noi ne abbiamo pochissimi. Ci stiamo indebolendo nella progettazione, nella professione legale, in quella dei consulenti economici. Pagliarini può testimoniare come stia venendo fuori la concorrenza estera in settori prima completamente isolati. Allora dobbiamo procedere a cambiamenti legislativi, altrimenti i giovani andranno a lavorare solo all'estero. Questo è uno degli elementi non indifferenti per il Mezzogiorno.
Onorevole Villetti, è difficile che in futuro vi sia una discesa molto forte dei tassi, che si è già verificata. Vi saranno ulteriori aggiustamenti e comunque dovremo adeguare i tassi del Mezzogiorno con quelli del nord, perché vi è ancora una differenza in alcuni casi giustificata dal diverso livello di rischio ma in altri


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dovuta solo alla minore concorrenza e alla minore operatività delle banche del Mezzogiorno rispetto a quelle del nord.
L'onorevole Scalia ha toccato l'eterna questione del gravare meno sulle imposte dirette e più su quelle indirette. A parte il fatto che si è già intervenuti in tal senso con la trasformazione dell'IVA, bisogna andare adagio perché ciò incide direttamente sull'inflazione. Certamente negli ultimi anni vi è una tendenza a diminuire le imposte dirette e ad aumentare quelle indirette. È questa una stella polare che tengo sempre presente, però si tratta di trasformazioni che devono avvenire con una certa lentezza e accuratezza.
Non ho pronunciato la parola ambiente, perché non ho pronunciato il nome di alcun settore, per non entrare in problemi così specifici. Comunque, confermo assolutamente le priorità che lei ha indicato a proposito dei progetti ad alta valenza ambientale.
I lavori per la Salerno-Reggio Calabria sono cominciati in sei o sette cantieri. Gli altri seguono con rapidità. I fondi sono stati reperiti. Anche qui i ritardi sono dovuti proprio ai discorsi che abbiamo fatto prima. Ciò che mi fa più rabbia è che alcune infrastrutture sono ferme per mancanza di mezzi, ma buona parte è ferma per il blocco legislativo e amministrativo di cui abbiamo parlato. Ancora una volta vi rivolgo un appello in proposito.
Non è una speranza astratta; il quadro ragionevole della situazione ci fa pensare che si possa andare in questa direzione. Chiedo l'aiuto e impegno il Governo sui capitoli mancanti: semplificazione, accelerazione delle infrastrutture, un'ulteriore attenzione ai problemi della sicurezza e dell'ordine pubblico. Occorre affrontare anche certi aspetti di flessibilità e di funzionamento del mercato. Il costo del lavoro (inferiore per i giovani, le entrate che vengono incentivate), il costo del capitale, che nel Mezzogiorno è fino al 70 per cento inferiore a quello del nord (nelle aree dei patti territoriali e dei contratti d'area), il costo del lavoro che nei primi cinque anni è sensibilmente inferiore a quello del nord, già concorrenziale (il 25 per cento il primo anno e poi cala): sono queste tutte misure che da un lato danno grossi vantaggi, ma dall'altro è chiaro che si deve mandare alle imprese il messaggio che poi arriverà un momento in cui questi vantaggi caleranno, perché l'impresa deve correre sulle sue gambe.
È questo il tipo di provvedimenti che sono stati messi in gioco. Ripeto che credo siano sufficienti perché si possa cominciare una gara per il Mezzogiorno, soprattutto che svegli, che metta a profitto le energie meridionali, che adesso ci sono, anche per motivi non buoni, perché i giovani hanno avuto meno opportunità di emigrare per la carriera; un tempo la classe dirigente del sud aveva carriere alternative, veniva a Roma; negli ultimi tempi ha avuto minori possibilità di questo tipo. Se volete, ha sofferto ancora di più, ma c'è una classe giovanile nel Mezzogiorno che, secondo me, è qualitativamente molto più forte di quella che c'era solo 20 o 30 anni fa. C'è un sacco di gente che ha voglia di rischiare, di sperimentare. È andato non dico in disuso ma è calata l'intensità del desiderio del lavoro nel settore fisso, pubblico. C'è una qualità umana che, secondo me, può permettere questo.
Voi mi chiedete lo stesso impegno che ho messo sull'euro nel Mezzogiorno; io non solo mi impegno, ma proprio ve lo assicuro. Io chiedo a voi la stessa solidarietà e lo stesso senso di obiettivo di unità nazionale rispetto al Mezzogiorno che abbiamo avuto insieme sull'euro. Questo secondo me è un serio patto per far finalmente decollare questo problema.

PRESIDENTE. Vorrei ringraziare il presidente Prodi e vorrei garantirgli che la sensibilità su questa nuova fase di impegno, per quanto riguarda il rilancio dello sviluppo del paese e dell'occupazione, è diffusissima. Credo che siamo già entrati tutti nella logica di una interlocuzione positiva. Poi, certo, vi sono sempre i rapporti tra maggioranza ed opposizione, ma detto questo, vorrei ricordare al Presidente


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Prodi che nella risoluzione parlamentare con cui abbiamo espresso il parere favorevole sul documento di programmazione economico-finanziaria abbiamo introdotto una richiesta, che è quella di avere una relazione che accompagni la trimestrale di cassa e faccia il punto dello stato di attuazione delle varie iniziative. Questo serve al Parlamento per comprendere e quindi anche per collocarsi meglio in una posizione di apporto positivo e costruttivo.
Vorrei ringraziare anche il presidente Coviello e tutti i presenti, scusandomi con quanti non sono potuti intervenire; sarà per un'altra volta, perché un'altra volta credo che vi sarà.

La seduta termina alle 11.25.