V COMMISSIONE
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

SEDE REFERENTE


Seduta di giovedì 21 dicembre 2000


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La seduta comincia alle 10.15.

Esame in sede referente dei disegni di legge: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001) (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (7328-bis-B); Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2001 e bilancio pluriennale per il triennio 2001-2003 (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (7329-B).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame in sede referente dei disegni di legge: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)», già approvato dalla Camera e modificato dal Senato, e «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2001 e bilancio pluriennale per il triennio 2001-2003», già approvato dalla Camera e modificato dal Senato.
Ricordo che la Conferenza dei presidenti di gruppo riunitasi ieri, mercoledì 20 dicembre 2000, ha fissato il termine per la presentazione degli emendamenti ai provvedimenti al nostro esame presso la Commissione bilancio alle ore 13.30 della giornata odierna, stabilendo altresì che la Commissione debba concludere l'esame in sede referente dei disegni di legge entro le ore 19. Secondo quanto convenuto nel corso dell'ufficio di presidenza, svoltosi sempre nella giornata di mercoledì 20 dicembre 2000, conseguentemente, le votazioni sul conferimento del mandato ai relatori avranno luogo tra le ore 18.30 e le ore 19.
Do ora la parola al relatore per il disegno di legge finanziaria.

SALVATORE CHERCHI, Relatore per il disegno di legge finanziaria. Signor presidente, nel corso dell'esame del disegno di legge finanziaria al Senato sono state apportate numerose modifiche al testo approvato dalla Camera che, tuttavia, non hanno alterato l'impianto generale della legge. Sono state introdotte ampie e sostanziali integrazioni al provvedimento, di cui darò conto brevemente.
Per quanto riguarda il lato della spesa e delle misure fiscali agevolative, il testo approvato dal Senato contiene integrazioni per i lavoratori «incapienti» e prevede l'ampliamento delle misure precedentemente deliberate dalla Camera, finalizzate al maggior sostegno delle piccole e medie imprese, soprattutto di quelle localizzate nel Mezzogiorno.
Per ciò che concerne il bonus per i lavoratori «incapienti», è stata ampliata la platea di coloro che ne potranno beneficiare: l'estensione riguarda i lavoratori con contratto a tempo determinato, di durata inferiore ad un anno, che percepiscono 12 milioni; la detrazione varierà da 400 mila lire a 100 mila lire a decrescere per ogni milione di reddito, da 9,1 milioni a 12 milioni. I destinatari di questa misura sono 550 mila ed il costo previsto è pari a 45 miliardi nel 2001, a 85 miliardi nel 2002 e a 70 miliardi nel 2003.
Per quanto riguarda le misure finalizzate al sostegno alle piccole e medie imprese, sono state apportate le seguenti integrazioni: per i datori operanti nei settori per i quali l'aliquota per gli assegni al nucleo familiare sia inferiore a 0,8


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punti percentuali, si prevede un'ulteriore riduzione di 0,4 punti percentuali del costo del lavoro, fermo restando il limite complessivo di 0,8 punti percentuali per la riduzione dei contributi, a valere su altri contributi previdenziali ed assistenziali dovuti alla medesima gestione INPS per le prestazioni temporanee.
I colleghi ricorderanno che il testo originario della legge finanziaria prevedeva una riduzione dello 0,8 per cento degli oneri sociali per le imprese, soprattutto quelle artigiane, che risultavano non avere capienza sufficiente per scontare l'intera riduzione di 0,8 punti; la Camera aveva già provveduto ad integrare la riduzione per le imprese cosiddette incapienti di 0,2 punti percentuali, agendo su altre voci determinanti oneri sociali; il Senato ha poi elevato fino a 0,4 punti percentuali la riduzione integrativa per le imprese di minori dimensioni, come quelle artigiane, fermo restando il limite superiore dello 0,8 per cento. In buona sostanza, quindi, tutte le imprese, in un modo o nell'altro, finiranno per beneficiare della riduzione del costo del lavoro degli oneri sociali in misura pari allo 0,8 per cento.
È stato esteso ai giovani di età inferiore ai 32 anni che si iscrivono per la prima volta nell'anno 2001 alla gestione INPS relativa agli artigiani o ai commercianti lo sgravio triennale del 50 per cento dei contributi; si tratta di un'agevolazione che altrimenti sarebbe stata valida solo per i giovani che avessero intrapreso un'attività autonoma nel periodo che va dal 1o gennaio 1999 al 31 dicembre 2000. È la cosiddetta misura in favore delle imprese giovani, già introdotta nella legge finanziaria del 1998; si tratta dell'estensione temporale di una misura già esistente.
Per quanto riguarda i nuovi investimenti nelle aree svantaggiate, di particolare rilievo è la disposizione che consente l'applicazione del credito d'imposta per i nuovi investimenti ad un volume di investimenti che includono parzialmente anche gli ammortamenti. Si tratta di una misura limitata alle sole aree del Mezzogiorno. Inoltre, si prevede che, per quanto concerne il computo della DIT, il Ministero delle finanze possa determinare l'entità dell'applicazione in misura differenziata, in funzione del settore di attività e delle dimensioni dell'impresa, nonché della localizzazione; si prevede, cioè, la possibilità di adottare, con decreto del ministro delle finanze, una dual income tax in misura più favorevole per le imprese di minori dimensioni e per quelle localizzate nel sud. È inoltre anche possibile una differenziazione agevolata in funzione del settore di attività.
Il Senato ha poi reintrodotto il cosiddetto «forfettone» che riguarda l'applicazione di un'imposta sostitutiva globale alle imprese di minori dimensioni; la dimensione viene individuata, in questo caso, con riferimento al fatturato. Alla Camera avevamo dovuto sopprimere questa norma per esigenze di copertura finanziaria di altre disposizioni; il Senato ha reintrodotto tale agevolazione, portando però l'aliquota dell'imposta sostitutiva dal 10 al 15 per cento; contemporaneamente, sempre per esigenze di compensazione finanziaria, è stata elevata dall'1 al 10 per cento l'imposta sostitutiva dell'IRPEF per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo avviate dai giovani.
È stata differita di un anno la facoltà per gli imprenditori individuali di optare per l'esclusione del reddito d'impresa dall'IRPEF ed il suo assoggettamento separato all'IRPEF con un'aliquota pari a quella dell'IRPEG ed è stata anche aumentata la misura dell'acconto dell'IRPEG relativamente all'anno fiscale 2003. Pertanto, da un lato è stato reintrodotto il cosiddetto «forfettino», con un'aliquota maggiorata, e dall'altro è stato necessario adottare misure compensative, intervenendo con un regime fiscale meno favorevole in altre situazioni.
Sempre a titolo di compensazione delle misure che riguardano le piccole e medie imprese è stato deliberato l'aumento di 200 lire della giocata minima del Superenalotto.
Per quanto riguarda il comparto dell'energia, occorre rilevare che sono state apportate modificazioni alle disposizioni


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relative all'incentivazione del ricorso a carburanti cosiddetti ecologici; in modo particolare, queste modifiche hanno riguardato i progetti-pilota di utilizzo di prodotti quali il bioetanolo, l'etere etilterbutilico, gli additivi prodotti da biomasse, impiegati come carburanti da soli od in miscela con oli minerali, al fine di abbattere l'inquinamento e di verificare la loro idoneità, valutata sull'intero ciclo della vita, ad abbattere i principali agenti dinamici.
Considero poi positive le disposizioni riguardanti la riduzione dell'accisa per i carburanti utilizzati dai taxi, dai motoscafi adibiti a servizio pubblico di trasporto di persone e dalle autoambulanze.
Sempre per quanto riguarda le misure in campo energetico, occorre dar conto delle numerose disposizioni concernenti l'energia elettrica. Il Senato ha deliberato, in tema di energie alternative, l'estensione dei programmi di produzione di energie rinnovabili di responsabilità dell'Enea al comparto delle celle a combustibile. Devo dire, a tal riguardo, che l'estensione di questi programmi alle celle a combustibile avviene a carico dei fondi che la Camera aveva finalizzato per la produzione di energia elettrica dal cosiddetto solare termico ad alta temperatura. Per inciso noto che a me non sembra una buona politica quella di disperdere le risorse su un numero rilevante di progetti; alla fine, con le stesse risorse, si rischia, se non di pregiudicare, almeno di limitare fortemente la possibilità di condurre in porto esperienze significative, cioè dotate di una sufficiente massa critica di realizzazioni tale da poter valutare la traduzione in fatto industriale. Non proporrò modifiche al riguardo per ovvi motivi, ma a mio avviso sarebbe stato meglio limitare l'utilizzazione delle risorse ad obiettivi delimitati e tali da consentire al paese di valutare i benefici industriali.
E veniamo agli enti territoriali. È stato deliberato che i comuni comparteciperanno nel 2002 al gettito IRPEF riscosso per l'anno 2001 in misura pari al 4,5 per cento (si tratta di circa 9.700 miliardi di lire). Il gettito della compartecipazione è ripartito sulla base del gettito dell'imposta dovuta dai contribuenti, distribuito territorialmente in funzione del domicilio fiscale. I trasferimenti erariali sono ridotti per ciascun comune in misura pari al gettito spettante dalla compartecipazione.
Altre disposizioni riguardano il patto di stabilità interno. Per quanto riguarda gli interventi per affrontare le calamità naturali, occorre segnalare in modo particolare che è stato autorizzato un ulteriore limite di impegno di 80 miliardi annui a decorrere dal 2002, pari a risorse disponibili per circa 800 miliardi, per le alluvioni verificatesi nell'anno 2000, mentre per gli interventi nelle zone colpite dalle alluvioni dell'autunno scorso in Calabria sono previsti limiti di impegno per altri 20 miliardi di lire. Il Senato ha anche provveduto ad aumentare il fondo nazionale per la protezione civile: l'incremento complessivo delle risorse a disposizione del fondo è dunque di 870 miliardi nel triennio.
Di particolare rilievo sono poi le disposizioni finalizzate al rinnovo dei contratti della scuola. Nel complesso, il disegno di legge al nostro esame prevede risorse pari a 12.280 miliardi di lire nel triennio 2001-2003. Le risorse aggiuntive deliberate dal Senato per il comparto della scuola ai fini del rinnovo contrattuale sono pari a 3.550 miliardi, sempre nel triennio. In modo particolare, le risorse a disposizione risultano essere, sommando le diverse voci e le diverse finalità, 3.760 miliardi per il 2001, 4.160 miliardi per il 2002 e 4.360 miliardi per il 2003. Una buona parte di queste risorse dovrà essere assegnata alle autonomie introdotte dall'ordinamento.
Tra le altre misure di particolare significato approvate dal Senato sono da menzionare quelle già contenute nel decreto-legge 24 novembre 2000, n. 346, riguardanti interventi urgenti in materia di ammortizzatori sociali, di previdenza, di lavori socialmente utili e di formazione continua. Il Senato, che già aveva al proprio esame il disegno di legge di conversione del decreto-legge in questione, ha deliberato di trasferire gran parte di


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queste disposizioni nel disegno di legge finanziaria. Le misure più significative riguardano la stabilizzazione di circa 30 mila lavoratori impegnati in lavori socialmente utili: questi erano circa 120 mila nel 1999 e sono scesi a 82 mila nel corso di quest'anno. Nel prossimo anno l'obiettivo è quello di far scendere ulteriormente tale numero di 30 mila unità. La stabilizzazione sarà così suddivisa: 1.800 unità saranno assunte dal Ministero delle finanze a tempo determinato per 12 mesi con un contratto rinnovabile; 18 mila saranno assorbite dal comparto scuola attraverso contratti di affidamento di servizi a società miste; le restanti 10 mila unità saranno assorbite attraverso convenzioni con le regioni.
Altre disposizioni riguardano la proroga della data di presentazione della domanda di ammissione alla contribuzione volontaria per l'accesso al pensionamento anticipato dei lavoratori socialmente utili, fermo restando il possesso dei requisiti richiesti alla data del 31 dicembre 1999. Il percorso di stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili avverrà attraverso convenzioni stipulate tra le singole regioni e il Ministero del lavoro. Si prevede che le regioni realizzino un programma di stabilizzazione dei lavoratori in base al quale almeno il 30 per cento di questi sia stabilizzato entro il primo anno (cioè entro il 31 dicembre 2001). Le convenzioni possono essere rinnovabili a condizione che siano rispettati gli obiettivi di stabilizzazione stabiliti nei programmi annuali.
Per quanto riguarda le risorse, una quota pari al 50 per cento dell'assegno per l'attività e l'intero ammontare degli assegni familiari vengono erogati alle regioni che, a loro volta, attribuiscono tali risorse all'INPS per continuare l'erogazione; il rimanente 50 per cento viene comunque trasferito alle regioni per finanziare interventi di politica attiva del lavoro tendenti alla stabilizzazione dei lavoratori. In buona sostanza, il cento per cento continuerà a far capo al bilancio dello Stato.
In tema di disposizioni previdenziali, segnalo che la data dell'opzione per il passaggio dal sistema pensionistico retributivo a quello contributivo, previsto dalla riforma Dini-Pennacchi, viene posticipata dal 1o gennaio 2001 al 1o gennaio 2003. I soggetti interessati sono quei lavoratori che, vantando al momento dell'entrata in vigore della riforma 15 anni di anzianità contributiva, avrebbero potuto esercitare dopo cinque anni l'opzione per passare al sistema contributivo. Ebbene, è emerso che il passaggio al metodo contributivo è particolarmente premiante almeno per talune categorie di interessati: conseguentemente il Governo ha introdotto il posticipo al 2003 della data dell'opzione. A questo punto, occorre valutare se non sia preferibile rimeditare su tale disposizione al fine di rendere la stessa più selettiva, cioè tale da intercettare esclusivamente coloro che trarrebbero un improprio e rilevante vantaggio dall'opzione in favore del sistema contributivo. Nell'ipotesi che il Governo accedesse alla revisione di questa disposizione, occorrerebbe individuare anche la sede nella quale tradurre in legge la stessa modificazione, poiché ritengo sia opportuno che la Camera non modifichi ora la legge finanziaria. Tuttavia, ove si concordasse sulla necessità di modifica della disposizione che determina il differimento della data dell'opzione, occorrerebbe individuare - lo ripeto - il provvedimento con il quale determinare la stessa scelta. So che sull'argomento si registra particolare sensibilità in tutti i settori politici; pertanto propongo un'intesa finalizzata alla modificazione di questa disposizione ma non in sede di disegno di legge finanziaria.
Mi avvio alla conclusione sottolineando l'importante misura introdotta dal Senato relativa alla destinazione di una quota dei proventi a seguito dell'attribuzione delle licenze UMTS, pari a 50 miliardi, all'istituzione della carta di credito formativo per i giovani che compiano 18 anni di età nel corso dell'anno 2001. Tale carta di credito dà diritto all'acquisto di beni e servizi informatici (personal computer e corsi di formazione) per un ammontare pari a 10 milioni di lire nei cinque anni successivi alla data di emissione della


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carta di credito. Viene inoltre istituito un fondo di garanzia presso il Ministero del tesoro, destinato alla copertura dei rischi sui crediti erogati dalle banche per facilitare la diffusione delle tecnologie informatiche tra gli studenti. In sostanza, queste disposizioni e quelle riguardanti il commercio elettronico (alle quali non faccio riferimento per brevità di esposizione) sono finalizzate a favorire lo sviluppo della società per l'informazione.
Infine, debbo anche segnalare che il Senato ha deliberato nuove misure per le infrastrutture: si tratta, per lo più, di strade o di opere idriche. Si è fatto ricorso all'incremento delle disposizioni riguardanti i limiti di impegno o, talvolta, allo stanziamento puro e semplice di nuove risorse per il finanziamento di particolari opere infrastrutturali.
Altre disposizioni riguardano la spesa sanitaria e l'assistenza, ma si tratta di modificazioni non sostanziali del testo approvato dalla Camera.
Occorre infine ricordare l'ultimo articolo introdotto che riguarda la sostituzione della lira con l'euro, in modo particolare per ciò che concerne il periodo immediatamente antecedente alla data di emissione delle banconote e delle monete denominate in euro (1o gennaio 2002) e quello immediatamente successivo relativo al momento di cessazione del valore legale della lira.
In conclusione, signor presidente, il Senato ci propone un rafforzamento delle misure in favore delle imprese di minori dimensioni nel Mezzogiorno e un rafforzamento del pacchetto sull'energia e degli interventi a sostegno della società per l'informazione. Sono state cospicuamente incrementate le risorse destinate agli interventi per far fronte ai danni determinati dalle alluvioni dell'autunno di quest'anno. Ma la misura più rilevante riguarda soprattutto il comparto della scuola, con la previsione di un robusto incremento della dotazione finanziaria finalizzata al rinnovo dei contratti.
Personalmente, ritengo che, pur prestandosi il disegno di legge finanziaria trasmessoci dal Senato ad osservazioni, data l'estensione delle modificazioni introdotte, e ad iniziative emendative di un certo rilievo, il dovere primario del Parlamento sia comunque quello di assicurare che la legge finanziaria e la legge di bilancio siano pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale entro la fine dell'anno, in maniera che l'esercizio finanziario possa decorrere fin dal 1o gennaio 2001.
Cari colleghi, in questi giorni abbiamo assistito a dissertazioni e a critiche, anche fondate, sul carattere della legge finanziaria come è venuta ristrutturandosi; è mancata, però una constatazione che, a mio avviso, è basilare e cioè che, nonostante tutti i difetti degli strumenti che utilizziamo per le nostre decisioni di bilancio, è stato possibile mettere sotto controllo la finanza pubblica. Nelle analisi occorre partire innanzitutto dal dato di fatto: nel caso al nostro esame il dato di fatto è che questi strumenti, ampiamente imperfetti, criticabili e modificabili, nel corso dell'attuale legislatura hanno tuttavia portato ad un risultato conclusivo che è di stabilizzazione, di messa sotto controllo della finanza pubblica. Mi sento di poter affermare che i saldi di finanza pubblica sono rispettati, non ci sono disposizioni da «assalto alla diligenza», che possono recare pregiudizio grave alla finanza pubblica, come si evince spesso da critiche piuttosto frettolose. In effetti, la disposizione che fa riflettere maggiormente riguarda l'eliminazione dei ticket sanitari; quella disposizione, tuttavia, oltre ad essere coperta robustamente per il primo anno di applicazione, sposta i controlli sulla spesa sanitaria dal lato dell'offerta. Quindi, non si tratta di una eliminazione al buio dei ticket; è stato comunque previsto un «paracadute» (è una clausola di salvaguardia): laddove le singole regioni risultassero non all'altezza del controllo del loro volume di spesa sanitaria, occorrerà provvedere con misure tali da garantire che non si generino nuovi buchi nella spesa sanitaria.
Pertanto, propongo di non introdurre ulteriori modificazioni al disegno di legge finanziaria e quindi di approvare ciò che il Senato ci ha trasmesso, individuando


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semmai canali alternativi per correggere quelle disposizioni che si ritengono bisognose di integrazioni, in modo tale da evitare il ricorso all'esercizio provvisorio.

PRESIDENTE. Do ora la parola al relatore per il disegno di legge di bilancio.

GIUSEPPE NIEDDA, Relatore per il disegno di legge di bilancio. Signor presidente, nel corso dell'esame del disegno di legge di bilancio da parte del Senato sono state introdotte alcune modifiche riguardanti, tra l'altro, i settori dell'istruzione, della difesa e dei lavori pubblici. Ricordo ai colleghi che, poiché il bilancio è predisposto a legislazione vigente, anche le modifiche eventualmente introdotte hanno un carattere tecnico e riguardano sostanzialmente stanziamenti per finalità non obbligatorie. È la legge finanziaria che, modificando la normativa sostanziale, determina sulle entrate e sulle spese del bilancio a legislazione vigente quelle variazioni che costituiscono la cosiddetta manovra.
Il disegno di legge di bilancio, così come presentato dal Governo, prevedeva, in termini di competenza e al netto delle regolazioni contabili e debitorie e dei rimborsi IVA, entrate finali per 695 mila miliardi, di cui 650 mila costituiti da entrate tributarie. La previsione relativa alle spese finali ammontava a circa 735 mila miliardi. Il saldo netto da finanziare era quindi pari a 41 mila miliardi, con un risparmio pubblico positivo (cioè la differenza tra entrate e uscite correnti) dell'ordine di 45 mila miliardi.
Il disegno di legge finanziaria, nel testo originario presentato dal Governo, aveva un carattere prevalentemente espansivo, dovuto sia agli interventi di riduzione del carico fiscale, sia alle misure a sostegno del reddito e dello sviluppo; esso comportava, rispetto al bilancio a legislazione vigente, una riduzione delle entrate di 19 mila miliardi e un aumento delle spese finali di 16 mila miliardi.
Nel corso dell'esame dei disegni di legge finanziaria e di bilancio da parte della Camera si è determinato un aumento delle entrate finali di circa 2 mila miliardi ed una diminuzione delle spese di circa 1000 miliardi.
Giova chiarire - già lo ha fatto per parte sua il collega Cherchi - che le variazioni introdotte al Senato hanno conservato l'equilibrio dei saldi. L'aumento delle entrate finali ha superato quello delle spese: pertanto il bilancio al nostro esame non è sostanzialmente difforme da quello che avevamo approvato in prima lettura.
Il bilancio di previsione per il 2001, come risulta dalla seconda nota di variazione, presenta un totale delle entrate finali pari a circa 680 mila miliardi (di cui il 90 per cento è rappresentato dalle entrate tributarie); le spese finali sono circa 750 mila miliardi; il risparmio pubblico, cioè la differenza tra le entrate e le spese correnti (quindi la capacità dello Stato di creare, se il saldo è positivo, ovvero di distruggere, se è negativo, le risorse), è aumentato a circa 17 mila miliardi. Il saldo netto da finanziare è di circa 74 mila miliardi, che è il limite fissato dall'articolo 1 della legge finanziaria. Pertanto, siamo nel corpus sostanziale che era stato predisposto dal Governo. Nel corso dell'esame presso la Camera le regolazioni contabili in entrata sono rimaste immutate, mentre le regolazioni contabili di spesa sono salite a circa 68 mila miliardi. Questi valori non hanno subito modifiche durante l'esame nell'altro ramo del Parlamento.
Sarebbe forse opportuno che il Governo chiarisse l'entità assunta da dette regolazioni; è possibile seguire la determinazione dei saldi di bilancio in rapporto alle misure contenute nella finanziaria, ma non è possibile fare altrettanto rispetto all'andamento effettivo del saldo totale del conto delle pubbliche amministrazioni, cioè dei grandi aggregati e degli equilibri generali, che è quello sui quali veniamo giudicati nel rispetto dei parametri di convergenza.
Chiariti questi due aspetti, che rappresentano un utile complemento alla comprensione,


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ribadisco che le modifiche non hanno recato pregiudizio agli equilibri della finanza pubblica.
Il bilancio dello Stato è caratterizzato da un notevole avanzo primario e da un saldo netto da finanziare in linea con gli obiettivi che ci siamo posti e che in questi cinque anni di legislatura abbiamo sostanzialmente rispettato, tra lo stupore degli increduli e dei distratti. La solidità del risanamento ha aperto le possibilità per effettuare una manovra estensiva, che sia attenta sia all'equità sociale sia all'esigenza della competitività e dello sviluppo. Questa legge di bilancio ha dunque una struttura forte e un testo fin troppo vasto (circa 150 articoli): la valutazione è lasciata al Parlamento, organo sovrano per giudicare l'ampiezza della manovra. Il disegno di legge di bilancio apre un dibattito tra le forze politiche e tra gli appassionati della materia; anche nel dibattito più recente di questi giorni sono state prospettate innovazioni, in particolare quella di attribuire al bilancio il carattere di legge sostanziale e non più formale, abolendo la finanziaria in questa misura che si autodilata nel passaggio tra le Camere. Il problema è soprattutto nei limiti della legge finanziaria, che si collegano alla ridotta capacità del Parlamento di innovare la legislazione in tempi brevi ed apprezzabili. Occorrerebbe fare in modo che i collegati diventassero effettivamente il mezzo con il quale si definisce la normativa di settore, ma i colleghi hanno verificato come l'approvazione di un collegato svincolato dalla finanziaria richieda circa un anno di lavoro parlamentare. Occorre anche una riflessione sull'attitudine del Parlamento, se vogliamo che la legge di bilancio rappresenti un elemento più agile e meno pensante di quanto non sia nella tradizione italiana. Rassegno dunque all'attenzione dei colleghi che vorranno intervenire questa legge di bilancio, che rappresenta la più grande manovra di redistribuzione del reddito attuata nella storia d'Italia. Credo che anche i colleghi di questo fine di XIII legislatura siano orgogliosi di appartenente ad un Parlamento che ha concesso ai credenti e agli scettici la possibilità di intervenire in modo così netto sull'andamento della nostra economia. Benefici reali, non supposti, né promessi che incidono fortemente sulla nostra economia.

PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

ALBERTO GIORGETTI. I tempi concessi ai parlamentari della Camera per poter valutare le modifiche introdotte dal Senato sono francamente eccessivamente ristretti. Ci rendiamo conto della situazione, ma è altrettanto vero che non abbiamo la possibilità di condurre un'analisi approfondita del provvedimento. Mi limiterò dunque ad alcune riflessioni generali in relazione agli appelli formulati dai relatori Cherchi e Niedda in merito all'atteggiamento da tenere a fronte delle modifiche introdotte dal Senato.
Comprendo la necessità da parte della maggioranza di cercare di chiudere il provvedimento nei tempi più rapidi possibili per evitare l'esercizio provvisorio. Ritengo che questo appello avrebbe dovuto riguardare soprattutto i colleghi della maggioranza del Senato. Sia in Commissione sia in aula, infatti, la maggior parte degli emendamenti proveniva dalle fila della maggioranza. Il primo dato politico è sicuramente quello di un'incongruenza e di una situazione frammentata all'interno della maggioranza in merito all'atteggiamento da assumere. Si è cercato di intervenire con interventi settoriali e microsettoriali per potersi presentare alla campagna elettorale dicendo di aver realizzato qualcosa e di aver fornito risposte, anche se parziali e - a nostro modo di vedere - assolutamente inadeguate ad una soluzione degna di questo nome per quel che riguarda i saldi della finanza pubblica e il risanamento del bilancio dello Stato.
Gli interventi del Senato hanno portato il provvedimento dai 76 articoli del testo originario del Governo a 158 articoli. Se anche l'onorevole Niedda ha tenuto a


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precisare che dal punto di vista dei saldi complessivi non vi sono state modifiche, è altrettanto vero che sono stati introdotti interventi di rilievo che l'opposizione non può sottolineare. Lo faremo nei modi e nei tempi dovuti, anche se sappiamo che il tempo a nostra disposizione è relativo. Fermi restando gli emendamenti che il gruppo di Alleanza nazionale presenterà avremo occasione di svolgere un approfondito dibattito in aula; in quella sede sosterremo tutte le problematiche connesse alle variazioni.
Al Senato ha comunque tenuto un atteggiamento diverso dalla Camera, dove si erano modificate di circa 2 mila miliardi le entrare previste, ma si era seguito un percorso di diminuzione della spesa di circa 800 miliardi. Il Senato ha aumentato le spese correnti di 367 miliardi e le spese in conto capitale di 200 miliardi. È vero, abbiamo avuto il problema dell'alluvione. Ribadiamo, come abbiamo già sostenuto in sede di Commissione ambiente e lavori pubblici, che non possiamo pensare di affrontare il rischio delle alluvioni, sistematicamente, con una legislazione straordinaria legata ad interventi spot che non rientrano in un percorso complessivo. Riteniamo che questo tipo di interventi debba essere affrontato con una normativa adeguata e non attraverso interventi specifici del Governo.
Le leggi finanziarie e di bilancio debbono essere riviste, alla luce anche della constatazione di come sia stato stravolto dal Senato il lavoro responsabile e nel rispetto di tutte le posizioni concluso alla Camera. È un problema al quale dovremo fare fronte e so che è stato sottolineato dallo stesso presidente Fantozzi. Sono anch'io convinto dell'importanza di mantenere anche in prospettiva la possibilità per il Governo di condurre una politica che gli assegni la responsabilità di raggiungere gli obiettivi, nonché quella di farsi giudicare dai cittadini senza doversi sottoporre ogni volta ad uno stillicidio di interventi che non privilegiano alcuno e pongono solo problemi. Tutti questi aspetti sono stati egregiamente evidenziati dai competenti rilievi dei Servizi studi e bilancio della Camera; buona parte delle modifiche introdotte dal Senato pongono problemi legati alla copertura, alle quantificazioni, alla necessità di ulteriori interventi da parte del Governo per la precisazione delle stime per arrivare alla definizione delle coperture. Una serie di questioni che pongono un punto interrogativo. Come opposizione abbiamo la sensazione di trovarci di fronte ad una manovra che persegue un «effetto-annuncio» nei confronti del paese e sposta nel tempo i problemi legati alle coperture e ai saldi di finanza pubblica. In questa logica non siamo assolutamente tranquilli per il futuro.
Nel merito ritengo che gli interventi portati avanti al Senato vadano nel senso di una dispersione complessiva degli interventi. Concordo con l'onorevole Cherchi sul fatto che probabilmente sarebbe stato meglio rimanere nell'ambito di obiettivi qualificati e precisi, con stanziamenti ingenti e mirati a raggiungere miglioramenti nei settori di destinazione. Questo intervento dispersivo e microsettoriale con risorse esigue non è a mio avviso utile ad uno sviluppo adeguato del nostro sistema economico, ad un recupero della fiducia e alla ripresa dei consumi; non si tratta di segnali sufficientemente forti anche in relazione all'aumento del gettito di questi mesi, legato soprattutto all'aumento della pressione fiscale.
Sicuramente interessanti alcuni degli emendamenti accolti, alcuni dei quali presentati dall'opposizione. Rimane incertezza - questione che avevo già posto nel corso del mio intervento in sede di esame in prima lettura - circa l'atteggiamento del Governo e del Parlamento nei confronti degli strumenti messi a disposizione per le finanze e gli enti locali. Alcuni emendamenti dimostrano come vi sia da parte della maggioranza un atteggiamento schizofrenico, visto che si continua a modificare la situazione con interventi spot senza tenere presente un quadro organico di riferimento per potenziare le risorse degli enti locali e portarli ad una maggiore responsabilità, in una logica federalista. Ci si limita solo a cambiare le


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carte in tavola, senza migliorare i conti dello Stato ma rischiando invece di peggiorarli. Su questo fronte l'unico punto positivo è l'emendamento relativo all'imposta legata alle assicurazioni per province che prevede la restituzione di 400 miliardi entrati nelle casse dello Stato nei primi mesi del 1999. Si tratta di un ritorno in termini di risorse sicuramente utile. Rimane tuttavia un'incertezza di fondo, evidenziata ancora una volta in riferimento alle recenti alluvioni da tutte le regioni coinvolte da questo dramma. Al di là dei tentativi di dare nuove deleghe e nuovi poteri agli enti locali, in particolar modo alle regioni, manca una strategia organica per il personale e manca la possibilità di gestire le nuove attribuzioni con risorse adeguate. In tal senso anche la scelta di assumere, di fatto, 30 mila lavoratori socialmente utili dimostra ancora una volta come non vi sia da parte della maggioranza e del Governo un obiettivo chiaro per arrivare ad incrementare l'occupazione in modo virtuoso e non attraverso interventi assistenziali, che pesano sulle casse dello Stato e che giudichiamo negativamente.
Alla luce di queste considerazioni il nostro giudizio sulla manovra rimane negativo. Ci riserviamo di affrontare in aula, intervenendo sui nostri emendamenti, le problematiche che riteniamo più importanti.

GUIDO POSSA. Innanzitutto mi scuso con i relatori: pressato dalla necessità di presentare gli emendamenti e di leggere il testo della finanziaria, che è stato disponibile solo questa mattina, non ho potuto ascoltare le loro relazioni.
Il provvedimento contiene molte disposizioni interessanti e positive (devo dirlo per poter svolgere le mie successive considerazioni); per esempio la diminuzione di vari elementi di fiscalità ci trova assolutamente favorevoli, ma come questa anche altre disposizioni ordinamentali.
Le considerazioni negative sono sotto gli occhi di tutti. Questa finanziaria si è sviluppata extra legem o contra legem. Il Servizio del bilancio ha elaborato un dossier che contiene molte osservazioni che faccio mie. Segnalo, tra i problemi di quantificazione e copertura quello relativo ai redditi esteri per l'anno 2001. Il comma 2, articolo 3, contiene infatti una sottostima della quantificazione. Per quanto riguarda la previdenza ai giornalisti di cui all'articolo 76 temo che quell'intervento comporti alcuni aggravi di spesa per la possibile estensione della platea degli assistiti. Varie osservazioni riguardano l'articolo 78, in tema di interventi urgenti in materia di ammortizzatori sociali, di previdenza e di lavori socialmente utili. Al comma 5 si parla dell'ammissione alla contribuzione volontaria dei lavoratori socialmente utili; al comma 8 della riduzione dei requisiti di età anagrafica e contributiva come per le attività usuranti; al comma 19 dell'aumento della retribuzione della indennità ordinaria di disoccupazione; al comma 20 dell'eliminazione del divieto di cumulo tra trattamento di reversibilità e rendita ai superstiti dell'INAIL in caso di grave infortunio o morte; al comma 22 del trattamento speciale di disoccupazione per i lavoratori edili, dichiarato utile ai fini della pensione; al comma 32 dell'assunzione di 1.650 lavoratori socialmente utili, nell'ambito del progetto «catasto urbano». All'articolo 80 (disposizioni in materia di politiche sociali), al comma 20 registro un difetto di copertura a seguito dell'estensione agli stranieri titolari di carta di soggiorno dei diritti soggettivi in materia di servizi sociali. All'articolo 85 (riduzione dei ticket) ritengo non correttamente quantificato il comma 5, che elimina i ticket per i soggetti a rischio di malattie cancerose sotto i 45 anni. Infine, all'articolo 111 (contributo straordinario all'ENEA), laddove al comma 1 si prevede un programma di ricerca per lo sviluppo di celle a combustibile nell'ambito di un articolo dedicato al termodinamico solare, mi pare si introduca un intervento privo di copertura.
Altre considerazioni riguardano le modalità di intervento sulla legge finanziaria ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 468 del 1978, così come modificata dalla legge


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n. 208 del 1999, che vieta norme ordinamentali e organizzatorie, di cui questa finanziaria è piena. Ne cito qualcuna, ma sono davvero di più: i commi 22 e 23 dell'articolo 53 (regole di bilancio per le regioni, le province e i comuni); il comma 1 dell'articolo 54 (modifica delle tariffe e dei prezzi pubblici); i commi 5 e 6 dell'articolo 65 (semplificazione di procedure); i commi 2 (vaccinazione contro la tubercolosi e il tetano) e 3 (vaccinazione antitifica) dell'articolo 93 (ridefinizione di alcune misure di medicina preventiva); l'articolo 95 (disposizioni in materia di tutela sanitaria degli infortuni sul lavoro); l'articolo 99 (misure per la profilassi internazionali); i commi 4 e 5 (soppressione di un inciso della finanziaria 1999 e remunerazione dell'INAIL per i proventi della cartolarizzazione) dell'articolo 102 (cartolarizzazione dei crediti ed altre misure); il comma 2, lettera g) (sperimentazione della contabilità ambientale territoriale) dell'articolo 109 (interventi in materia di promozione dello sviluppo sostenibile); il comma 5 (aggiunta dei geologi ai laureati in ingegneria) dell'articolo 114 (disinquinamento, bonifica e ripristino ambientale); i commi 14 e 15 (autorizzazione ed assunzione a tempo determinato per gli enti pubblici di ricerca e gestione degli avanzi finanziari del Fondo sociale europeo) dell'articolo 118 (interventi in materia di formazione professionale); il comma 2 (proroga di validità della graduatoria di un concorso per ispettori di lavoro) dell'articolo 119 (potenziamento dell'attività ispettiva del Ministero del lavoro). Ribadisco che queste sono solo alcune delle norme ordinamentali di cui la finanziaria è infarcita.
Passiamo poi alle disposizioni microsettoriali: l'articolo 12 (trattamento fiscali degli avanzi di gestione del consorzio obbligatorio batterie al piombo esauste); l'articolo 40, dedicato a Campione d'Italia; l'articolo 55, a favore della provincia di Varese; i commi 24 e 25 (facilitazione all'acquisto della prima casa per il comune di Napoli) dell'articolo 80 (disposizioni in materia di politiche sociali); il comma 3 (naufragio della nave Kaider I Rades del 28 marzo 1997), dell'articolo 82; i commi 15 e 16 (parco delle Alpi Apuane) e 28 (Malpensa 2000) dell'articolo 114...

BRUNO SOLAROLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. Le garantisco che su alcuni il Governo è andato sotto!

GUIDO POSSA. ...il comma 27 (parco Molentargius-Saline) dell'articolo 114; l'articolo 115 sull'ente geopaleontologico di Pietraroia; i commi 1, 2, 3 (differimento di termini) e 4 (assegnazione risorse) dell'articolo 139; il comma 7, lettera f) (strada trasversale delle Serre in provincia di Vibo Valentia) e il comma 8 (strada Termoli-San Vittore) dell'articolo 144; i commi 12 (buonuscita dei dipendenti ENAV), 17 (contributo di 800 milioni annui per il CAI), 54 (area demaniale di piazza dell'Umanità a Chiavari), 73 (studio di fattibilità per la ferrovia Martiny-Aosta) e 77 (secondo accesso alla città di Amelia, conservazione foresta Dunarobba, conservazione campo di Fossoli) dell'articolo 145. Chiedo scusa per queste elencazioni ma volevo segnalare la sistematica violazione delle norme in materia di legge di bilancio.
Il comma 1 dell'articolo 11 della legge n. 468 prevede che la finanziaria debba essere presentata entro il 30 settembre. Una parte della finanziaria, o tutta? Un testo di 76 articoli o di 166? Gli emendamenti approvati in Commissione bilancio alla Camera e presentati dal Governo sono stati 48, quelli approvati dall'Assemblea della Camera sono stati 86, quelli approvati in Commissione bilancio del Senato sono stati 81 ai quali si aggiungono quelli approvati in aula al Senato. Un totale di oltre 200 emendamenti del Governo su temi importanti. L'80 per cento degli emendamenti approvati, inoltre, è stato presentato dalla maggioranza. Il sacrosanto diritto di presentare emendamenti vìola l'altrettanto sacrosanto diritto di conoscere il contenuto della finanziaria il 30 settembre. Cito a caso l'emendamento relativo ai ticket, che è stato presentato il 15 novembre in aula.


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L'articolo 72 della Costituzione prevede che ogni disegno di legge presentato alla Camera sia esaminato secondo le norme del suo regolamento da una Commissione e poi dall'Assemblea, che lo approva articolo per articolo per poi procedere alla votazione finale. Il fatto di aver introdotto importanti modifiche in sede di esame da parte dell'Assemblea del Senato ha impedito l'effettiva analisi dei contenuti da parte delle Commissioni. Come è possibile far venir meno l'esame della Commissione in finanziaria?
Altra violazione della legge n. 468 è quella relativa alle disposizioni di cui al comma 3, lettera a), dell'articolo 11, secondo il quale la legge finanziaria deve precisare le eventuali regolazioni contabili pregresse specificatamente indicate. Ebbene, al Senato, all'articolo 1, comma 1, è stata introdotta la frase: «nonché degli importi posti a carico del bilancio dello Stato ai sensi dell'articolo 68, comma 8»; tale aggiunta è motivata da esigenze di trasparenza. Non vi sono dubbi che si tratta di una regolazione debitoria, ma queste vanno indicate con precisione. Quanto costa questa operazione debitoria? Le altre sono tutte precisate mentre questa non è quantificata; ieri, tra le altre cose, ho anche telefonato alle Poste per avere informazioni e mi è stato detto che si può trattare di 40 come di 200 miliardi. Inoltre, se si trattasse di 200 miliardi cambierebbe l'accesso al mercato, che invece non è stato cambiato.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ROBERTO VILLETTI

GUIDO POSSA. Vi è poi la questione del prosciugamento della tabella A, di volume tale che può essere riassunto dai seguenti dati: nella legge finanziaria 1999, al netto delle regolazioni debitorie, erano disponibili 3.829 per l'attività legislativa dell'anno successivo; nella legge finanziaria 2000, al netto delle regolazioni debitorie, erano disponibili 3.400 miliardi; quest'anno, sempre al netto delle regolazioni debitorie, sono disponibili per il prossimo anno 871 miliardi.
Quanto alla tabella B, nella legge finanziaria per il 1999 erano disponibili 4.387 miliardi; nella legge finanziaria per il 2000, 4.477 miliardi; quest'anno, 1.877 miliardi. Non si possono utilizzare in questo modo le disponibilità!
Ho dimostrato per tabulas quale incredibile violazione delle norme di legge sia stata posta in essere per la redazione di questa finanziaria. Condivido nella sostanza la maggior parte di ciò che è stato fatto, ma non nella forma.
Vi è infine la questione delle regolazioni debitorie, uno dei punti meno chiari del bilancio. Sarei lieto che il rappresentante del Governo mi spiegasse perché nella legge finanziaria per il 1999 le regolazioni debitorie in tabella A assommassero a 14.553 miliardi, nella legge finanziaria per il 1998 a 12.750 miliardi, in quella per il 2000 a 12.568 miliardi e in quella per il 2001 ammontano invece a 8.070 miliardi, vale a dire 4 mila miliardi in meno rispetto alla media. Cosa è successo? Perché gli dei quest'anno sono così propizi da far sì che abbiamo meno regolazioni debitorie? Quest'anno i contributi alle regolazioni debitorie del Ministero del tesoro sono solo di 100 miliardi; nel 1999 erano di 8.805 miliardi; nel 2000, 6.211 miliardi. Una volta insegnavano che natura non facit saltus mentre possiamo osservare uno straordinario salto di continuità da 6.211 miliardi a 100 miliardi.
Devo dire, con molto dispiacere, che mi pare che un'esigenza di ordine politico, che tutti conosciamo, abbia portato la maggioranza e le stesse autorità che presiedono le Camere ad una interpretazione non estensiva, ma totalmente illegale delle norme procedurali per l'esame dei documenti finanziari. È una constatazione molto dolorosa quella della mancanza di rispetto delle leggi esplicite da parte di chiunque sia al potere, per la quale, peraltro, non vi sono sanzioni. Così facendo si degrada la qualità della nostra democrazia: simili comportamenti sono infatti più propri di una rissa che di una democrazia.


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GIANCARLO GIORGETTI. Riepilogare tutte le norme e violazioni perpetrate in termini formali nella legge di bilancio sarebbe interessante ma purtroppo sterile. Il collega Possa ha abbondantemente illustrato la questione e vorrei dunque soffermarmi su un tema che ci interessa particolarmente. Non siamo infatti riusciti a capire come venga risolto il passaggio delle competenze della legge Bassanini, in particolare con riferimento agli obblighi di copertura finanziaria. Si dice che si trasferiranno nel 2001 funzioni, al netto delle spese per il personale, per circa 9 mila miliardi; un articolo della finanziaria stabilisce che in relazione alle necessità che si porranno lo Stato stanzierà per il 2001 circa 550 miliardi, oltre 2 mila miliardi per il 2002 e circa 4 mila miliardi per il 2003. Il problema sta tra i 9 mila miliardi di funzioni trasferite e i 500 miliardi di trasferimenti, che dovrebbero essere coperti con le aliquote di compartecipazione al gettito dell'IRPEF stabilite per i comuni e le regioni. Poiché queste aliquote di compartecipazione non sono state fissate e non lo saranno se non entro il 30 novembre 2001, vorremmo capire come le regioni e gli enti locali potranno fare fronte alla differenza di costi tra i 9 mila miliardi di cui parla il Ministero del tesoro nel bollettino distribuito a tutti i parlamentari e i 500 miliardi per il 2001 di trasferimenti aggiuntivi. Questi costi non sono più nel bilancio dello Stato, ma saranno in quello degli enti locali. Come faranno gli enti locali a coprire queste spese? Una parte di esse potrà essere coperta con i trasferimenti supplementari e straordinari stabiliti dallo Stato, mentre la differenza dovrebbe esserlo con le famose aliquote di compartecipazione all'IRPEF. Purtroppo però, queste non sono state ancora determinate e non vorremmo che nell'ammontare delle risorse definite dallo Stato fossero contemplate ancora queste quote ideali che invece per il 2001 competerebbe agli enti locali. Solleverò la questione anche in aula e spero che il Governo riesca a rispondere alle mie domande.
Più in generale desidero sottolineare l'atteggiamento della Lega nord. Non ci scandalizziamo del comportamento del Senato e delle modifiche introdotte, che rientrano a nostro avviso nella logica parlamentare. Richiamiamo tuttavia l'attenzione dei colleghi, del relatore e del Governo su una misura introdotta di soppiatto con un subemendamento dell'opposizione che non può assolutamente essere accettata, intervenendo in materia pensionistica sulla legge Dini prima della verifica del 2001 nonostante i pronunciamenti contrari e le dichiarazioni pubbliche del Governo. All'articolo 69, in modo pudico, probabilmente per farla in barba ai parlamentari della sinistra che credo non possano accettare supinamente una norma simile, si elimina di fatto, fino al 1o gennaio 2003, la possibilità di pensionamenti con il sistema contributivo previsto dalla legge Dini per tutti coloro che avessero almeno 57 anni di età anagrafica.
Non sorprende il silenzio assoluto della CGIL-CISL-UIL ma quello di tutti coloro (in particolare della sinistra) che in passato avevano incitato le piazze alla sollevazione contro altri governi rispetto ad una misura che di fatto introduce un blocco pensionistico. Noi intendiamo sollevare questo problema pubblicamente perché riteniamo che non possa rimanere sotto silenzio il fatto che il Senato sia stato privato della possibilità di dibattere su un argomento così delicato e che alla Camera sia stata consentita una discussione molto limitata. Vogliamo soprattutto costringere in qualche modo il Governo e la sua maggioranza a pronunciarsi su una misura che oggettivamente danneggia una platea di interessati compresa, secondo la stima dell'INPS, tra le 600 mila e le 700 mila unità.
Ribadisco che sull'articolo 69, comma 6, ultimo capoverso, introdotto con un subemendamento del Governo nell'ultima tumultuosa notte di discussione al Senato, il gruppo della Lega Nord Padania non farà sconti di alcun tipo. Purtroppo non possiamo accedere alla richiesta di agevolare una rapida approvazione di questa norma e stiamo predisponendo il maggior


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numero possibile di emendamenti. Non ho alcuna difficoltà ad affermare che si può accettare tutto, ma non che si faccia di nascosto, nel silenzio e nell'omertà generale, ciò che si è dichiarato pubblicamente di non voler fare. Per questo motivo, preannuncio la presentazione da parte del mio gruppo di un numero cospicuo di emendamenti e richiamo l'attenzione del Governo, del relatore e della maggioranza sulla norma in questione.

TERESIO DELFINO. Signor presidente, comprendiamo la volontà di varare una legge finanziaria che risponda il più possibile alle attese rispetto alle quali non vi è stata una disponibilità nel corso della legislatura recuperando la situazione con un rush finale. Non possiamo peraltro che concordare con le valutazioni negative rappresentate dai colleghi che mi hanno preceduto (in particolare dagli onorevoli Possa e Giorgetti) per le modalità con cui il Governo e la maggioranza hanno gestito questa legge finanziaria.
Il provvedimento in esame è stato profondamente modificato dalla Camera, ulteriormente ampliato dal Senato ed ora, con spudoratezza, sentiamo dire che forse si poteva fare meglio e ancora di più!

SALVATORE CHERCHI, Relatore per il disegno di legge finanziaria. Per curiosità, quanti emendamenti avete presentato, onorevole Delfino? Dalle statistiche sugli emendamenti presentati dai singoli deputati risulta che lei gode di un record!

TERESIO DELFINO. Questo mi fa piacere: vuol dire che i miei emendamenti erano validi!
Riteniamo che la riscrittura della legge finanziaria da parte della Camera e del Senato abbia stravolto profondamente la possibilità di un confronto forte sul provvedimento. In termini generali, condividiamo ciò che è scritto ripetutamente nel documento predisposto dal Servizio bilancio della Camera. La non congruità delle coperture e la carenza, su molte modifiche, delle relazioni tecniche, perché non presentate o inadeguate, testimoniano che non ci si è attenuti alle decisioni assunte in sede di modifica della legge n. 468. Ciò determina un rinvio dell'applicazione piena dell'impostazione della legge di bilancio che ci eravamo impegnati a portare avanti. A questo riguardo, siamo d'accordo con le considerazioni svolte dal collega Possa, il quale ha parlato di legge finanziaria extra legem o contra legem.
Preannuncio fin da ora che presenteremo emendamenti su alcune norme sulle quali non siamo assolutamente d'accordo. La prima è quella introdotta dal Senato, sulla neutralità fiscale per tutte le operazioni delle Ferrovie dello Stato a decorrere dal 2000. Si tratta, a nostro avviso, di una norma inaccettabile in quanto la legge finanziaria dovrebbe essere applicata a decorrere dal 1o gennaio 2001.
Quanto alla materia previdenziale, siamo convinti che la norma contenuta nell'articolo 69, che dispone in merito all'opzione di cui alla legge n. 335, articolo 1, comma 23, per la liquidazione del trattamento pensionistico calcolato con il sistema contributivo rinviando al 1o gennaio 2003, sia profondamente iniqua e penalizzante. Lo Stato dimostra in tal modo la sua incapacità di onorare gli impegni assunti nei confronti di migliaia di persone che in quei dati hanno progettato la loro esistenza. Un'operazione di questo tipo non è giustificabile e, per noi, è assolutamente inaccettabile. Vorremmo inoltre che fossero chiariti i motivi di questo differimento, anche se a noi appare evidente che si vogliono evitare maggiori oneri. Non so tuttavia come questa misura possa essere motivata e giustificata politicamente dal Governo e dal centrosinistra, che si è sempre eretto a baluardo insuperabile rispetto alla cantilena, più o meno condivisibile, dei sindacati, i quali sostenevano che fino al 2001 non vi sarebbe stata nessuna verifica. In tal modo, invece, si incide su una platea molto rilevante ed è per questo che esprimiamo fortissime riserve sul punto in questione.
Esprimiamo riserve anche sul coinvolgimento degli enti locali in relazione ai lavori socialmente utili. La norma introdotta


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dal Senato aumenta la responsabilità della regione e degli enti locali nella gestione di questa materia. Ciò, a nostro avviso, è incongruente, perché chi fa pasticci è meglio che li risolva autonomamente, senza chiedere ad altri corresponsabilità secondo noi non dovute. Ribadisco i rilievi critici sugli emendamenti microsettoriali o localistici, fortemente contrastati dal Presidente della Camera ma sui quali vi è stata un'apertura da parte del Senato. Ho contato circa settanta microinterventi: affermare che ciò è poca cosa e che è scandalosamente elettoralistico significa usare un eufemismo per descrivere la capacità del centrosinistra di tradurre in realtà la sua impostazione di rigore e di rispetto delle norme che attengono alla gestione del bilancio.
Siamo quindi di fronte ad una legge finanziaria veramente omnibus, da assalto alla diligenza, che dimostra la disperazione di una maggioranza che, con tutte queste regalie, cerca qualche possibilità di recupero. Ma le notizie sulla crescita del prodotto interno lordo e dell'inflazione mettono pesantemente in dubbio la tenuta dei saldi finanziari, che dal punto di vista nominalistico vengono confermati dal provvedimento in esame ma, dovendo contare su un aumento del PIL inferiore a quello programmato, creeranno nuovi problemi a chi sarà chiamato a gestire il bilancio 2001 e quelli successivi.
In conclusione, vorrei invitare la presidenza della Commissione a valutare con attenzione un aspetto meramente formale che mi è stato segnalato dagli uffici e che secondo noi, avendo riflessi sui saldi, deve essere chiarito dal Governo. Mi riferisco all'articolo 41 del testo in discussione, riguardante il gioco del Lotto e dell'Enalotto, il quale stabilisce che la posta unitaria di partecipazione al concorso Enalotto è di 787 lire per colonna e di un euro per giocata minima a decorrere dal 1o gennaio 2002. Il testo sottoposto all'esame dell'Assemblea (che non lo ha modificato) e approvato dalla Commissione recita: «La posta unitaria di partecipazione al concorso pronostici Enalotto è di lire 737» (e non 787: quindi, ci sono 50 lire di differenza) «e di un euro per giocata minima a decorrere dal 1o gennaio 2003». Poiché su questa posta vi è un'incidenza finanziaria di 515 miliardi, vorrei sapere come mai in un atto ufficiale del Senato della Repubblica figura un emendamento con decorrenze e importi completamente differenti da quelli contenuti nel testo sottoposto all'esame della Camera. Pongo formalmente questo problema (e lo riproporrò anche in Assemblea) perché vorrei capire se la giocata è di 737 lire, come risulta dal resoconto della seduta del Senato del 14 dicembre 2000, e se la giocata minima di un euro decorre dal 1o gennaio 2003 o, come risulta dal testo in esame, dal 1o gennaio 2002. Chiediamo formalmente che il Governo fornisca chiarimenti su questo punto.
In conclusione, confermo il giudizio negativo del mio gruppo per le modalità con cui la maggioranza e il Governo hanno affrontato la discussione di questa legge finanziaria. Non voglio fare di ogni erba un fascio e pertanto ribadisco l'apprezzamento già espresso in sede di prima lettura su alcune parti, peraltro limitate, di questo amplissimo provvedimento. Ma le preoccupazioni che hanno portato il Governo ha sostenere, con l'appoggio della sua maggioranza, il provvedimento in esame non sono assolutamente condivisibili. Credo che qualche eminente esponente del Governo si sia giocata la faccia perché, dopo aver predicato per quattro anni una linea di rigore e aver portato avanti proposte che, pur non condivisibili nel merito, hanno consentito di raggiungere risultati importanti (come l'ingresso nell'euro), si è trovato improvvisamente a dover subire un'azione tutta politica e tutta impostata sul soddisfacimento di esigenze che nulla hanno a che fare con una politica economica puntuale e rigorosa.
Per queste ragioni, confermiamo il nostro convinto voto contrario sulla legge finanziaria in esame.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Teresio Delfino. La presidenza si riserva di verificare il problema da lei sollevato.


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SILVIO LIOTTA. Signor presidente, colleghi, non possiamo che confermare, alla luce del lavoro svolto dal Senato, il giudizio negativo già espresso nel merito sulla legge finanziaria in esame. Intendiamo sottolineare in modo molto critico (riservandoci di investire del problema, per i suoi riflessi costituzionali, il Presidente della Repubblica) alcune gravi violazioni delle norme di contabilità generale dello Stato ed alcuni interventi del Senato che modificano decisioni assunte dalla Camera sul piano procedurale.
Quanto alle questioni procedurali, osservo anzitutto che il Governo ha fin dall'inizio sottoposto al Presidente della Repubblica (che, come è noto, autorizza la presentazione dei disegni di legge governativi alle Camere) un provvedimento contenente norme che esulavano dalla materia propria della legge finanziaria. Ciò è stato dimostrato dalle richieste di stralcio che questa Commissione, pur in modo molto limitato, ha avanzato al Presidente della Camera. Nell'esprimere il parere sul contenuto della legge finanziaria, la Commissione non ha potuto esimersi dal rappresentare al Presidente della Camera che alcune norme erano, a suo giudizio, totalmente estranee al contenuto del provvedimento. Il Governo, quindi, ha sottoposto al Presidente della Repubblica un testo contenente norme che violavano la disciplina generale che regola la legge finanziaria e la gestione complessiva del bilancio dello Stato. In quella fase si volle affermare il principio dell'ammissibilità di tutte le norme (e, quindi, degli emendamenti che avrebbero potuto essere presentati) che, direttamente o indirettamente, fossero riconducibili, con una discrezionalità a 360 gradi, alle materie affrontate dalla legge finanziaria. Già allora, presidente, abbiamo evidenziato che ciò rappresentava una piena violazione della legge, perché la legge finanziaria deve essere utilizzata unicamente come sede in cui collocare le proiezioni finanziarie e le risorse necessarie per dare attuazione alle scelte strategiche contenute nel documento di programmazione economico-finanziaria.
Questo non è avvenuto. La maggioranza, su proposta del Governo (che addirittura insisteva affinché non vi fosse alcuno stralcio delle norme contenute nel testo iniziale), ha adottato surrettiziamente un principio che, di fatto, ha modificato la legge finanziaria originaria. Un Governo pienamente investito del suo ruolo istituzionale non può nascondersi dietro un parere espresso lo scorso anno dal Senato. Se intendeva presentare una legge finanziaria come quella in esame, avrebbe dovuto sottoporre all'attenzione della Camera una modifica delle leggi fondamentali che disciplinano l'esame della legge finanziaria. Siamo tornati alle leggi finanziarie della prima Repubblica, tanto deprecate da alcuni, che hanno caratterizzato gli anni ottanta. Il provvedimento oggi al nostro esame rappresenta, di fatto, un contenitore polivalente che non ha nulla a che vedere con lo spirito iniziale che la legge finanziaria aveva nel momento in cui è stata posta in essere, negli anni ottanta, quando si è preso atto della necessità di affrontare il dato patologico del debito pubblico.
Le sinistre hanno giudicato inopportuno l'intervento del ragioniere generale dello Stato Monorchio, ma egli ha fotografato la realtà di questa legge finanziaria, che non rispecchia nessuno dei canoni fondamentali e che, essendosi accentuati nel corso dell'iter parlamentare gli elementi negativi, ha perduto il suo scopo fondamentale e, quindi, potrebbe essere addirittura abolita.
Non solo. L'esame delle norme trasmesse dal Senato ci ha consentito di evidenziare tre aspetti fondamentali sul piano procedurale. Quanto al primo aspetto, non può passare sotto silenzio il fatto che, nonostante la Camera abbia deliberato di stralciare alcune norme perché estranee al contenuto proprio della legge finanziaria, il Senato abbia reintrodotto tali norme nel testo. Siamo di fronte ad un conflitto di carattere procedurale, in quanto vi sono due valutazioni diverse sull'estraneità di alcune norme al contenuto proprio della legge finanziaria. Per coerenza con i principi votati dall'Assemblea


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in materia di stralcio, la Camera dovrebbe respingere gli emendamenti approvati dal Senato ripristinando, sul piano procedurale, il giudizio di estraneità che la Commissione ha proposto al Presidente della Camera, che quest'ultimo ha sottoposto all'Assemblea e che la stessa ha accolto. Per dovere di coerenza istituzionale non potremo esimerci dal sollevare in aula questo problema, che è delicatissimo ed investe i rapporti costituzionali tra la Camera ed il Senato.
Sul piano della violazione delle norme generali che regolano la contabilità dello Stato, sono stati ripresentati emendamenti che il Presidente della Camera aveva dichiarato inammissibili perché violavano le norme che regolano la legge finanziaria e perché si riferivano a norme i cui effetti decorrevano dal 1o gennaio 2000.
Vengo ora al terzo aspetto. Nel corso di questa legislatura non vi è stato interesse da parte delle Presidenze delle Camere ad adottare gli stessi criteri per la valutazione dell'ammissibilità degli emendamenti. Alcuni emendamenti sono stati dichiarati inammissibili dal presidente di questa Commissione sulla base dei criteri che la stessa si è data e sono stati invece ritenuti ammissibili dal presidente della Commissione bilancio dell'altro ramo del Parlamento. Questo è un altro aspetto delicatissimo che non possiamo non evidenziare.
Riteniamo pertanto che sul piano procedurale questa legge finanziaria non rispecchi i criteri della legge di base e che sia stata adottata in spregio degli stessi. Si sarebbe potuta modificare la sua natura trasformandola in un provvedimento diverso; la si poteva addirittura abolire e, modificando l'articolo 81 della Costituzione, fare in modo che la legge di bilancio non fosse più una legge formale. Oggi, di fatto, attraverso il meccanismo della legge finanziaria omnibus si è legalizzato il fatto che il bilancio non è più una legge formale. Solo su un piano metodologico ed operativo si può ancora affermare che la legge di bilancio è una legge formale; ma poi ad essa viene affiancata una legge finanziaria omnibus che scarica tutti i suoi effetti sul bilancio.
Sono sempre stato molto moderato nei miei giudizi e continuo ad esserlo, presidente, ma, entrando nel merito, devo dire che questa legge finanziaria, per la varietà dei suoi contenuti e per la spolverata di zucchero a velo su una torta che non esiste, rappresenta, sul piano politico ed operativo, un grande imbroglio per il paese. Le opposizioni non hanno potuto esprimere il loro punto di vista attraverso la televisione pubblica e le altre televisioni perché sono state vincolate dalla par condicio; lo hanno potuto fare solamente all'interno delle proprie manifestazioni o con interventi svolti in occasione di tribune politiche.
Il primo elemento che avremmo voluto sottoporre all'attenzione dei cittadini è che si è parlato molto del bonus fiscale e molto poco del malus fiscale, cioè di ciò che è stato tolto loro in più rispetto alla tanta sbandierata pressione tributaria del nostro paese, che è solamente virtuale. Spiegheremo con esempi concreti perché la pressione tributaria effettiva supera di più di dieci punti la pressione fiscale; ne ho preparati una cinquantina, ma ne citerò solo uno, che è il più semplice da percepire. Avevate la possibilità di restituire un bonus fiscale complessivo di 37.500 miliardi. Ciò che è stato tolto in più rispetto alla pressione fiscale da voi dichiarata negli ultimi tre anni è stato un malus fiscale che ha sfilato dalle tasche dei cittadini italiani 42.294 miliardi in più, cioè l'8,1 per cento in più. Nei primi nove mesi del 2000, rispetto allo stesso periodo del 1999, si è registrato un malus fiscale di 22.091 miliardi in più, cioè il 5, 95 per cento in più. Le previsioni 2001 recano 74.670 miliardi in più rispetto alle previsioni del 2000, con un incremento del 12,2 per cento. Il malus complessivo ammonta ad oltre 139.000 miliardi, con un incremento medio dell'8,75 per cento. Vi invito a ricordare questo dato, che ritroveremo in seguito.
Si è sbandierato che per la prima volta vi è una restituzione diretta ai cittadini di un bonus che ammonta a 350 mila lire,


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ma abbiamo avuto molta poca disponibilità di tempo per precisare quanto segue. Incrociando i dati Istat con gli aumenti in vigore dei prezzi controllati (abbiamo preso questi dati il giorno stesso che il Senato ha convertito in legge il decreto fiscale), rispetto a quelle 350 mila lire le sole voci relative ai prezzi controllati delle tariffe elettriche, del gas, della nettezza urbana, dell'acqua, delle spese per la scuola, del canone Rai, dei trasporti e comunicazioni e dei medicinali hanno avuto rispettivamente i seguenti incrementi dei prezzi controllati: le tariffe elettriche dell'8,1 per cento, il gas del 10,9 per cento, la nettezza urbana del 5,1 per cento, l'acqua del 3,7 per cento, le spese per la scuola del 2,6 per cento, il canone Rai del 2,6 per cento, i trasporti e le comunicazioni del 2,4 per cento e i medicinali del 2,8 per cento. Ciò comporta che il vostro bonus fiscale è stato vanificato da un aumento delle tariffe amministrate per un importo di 374 mila miliardi: ai cittadini non è stato detto che si davano loro 350 mila lire e si autorizzava un incremento di tariffe per 374 mila lire.
Quanto alla famiglia, l'impostazione del provvedimento è rimasta immutata dopo l'esame da parte del Senato. In questa sede abbiamo cercato di spostare tutti gli interventi dal singolo contribuente alla famiglia intesa come società naturale fondata sul matrimonio. Gli emendamenti presentati da alcuni gruppi (mi riferisco a quelli della Lega, di Alleanza nazionale, del CDU e ai nostri) miravano ad introdurre nell'ordinamento come destinatario del credito d'imposta non il singolo contribuente ma la famiglia in quanto, ripeto, società naturale fondata sul matrimonio. Voi avete respinto questa linea e avete confermato un'impostazione diversa; affermate che noi abbiamo un concetto individualista dell'economia, ma i concetti più individualisti sono proprio quelli contenuti in questa legge finanziaria. Avevate a vostra disposizione una massa finanziaria per risolvere alcuni problemi che nel vostro programma rappresentavano delle pietre miliari ma ai quali non avete dato alcuna risposta con le leggi finanziarie degli ultimi cinque anni. Avete utilizzato i 32.164 miliardi di cui disponevate per offrire un paniere di interventi molti dei quali esauriscono il loro effetto nell'esercizio finanziario 2001, come se la vita della nostra Repubblica dovesse iniziare dal 2002.
Sarà senza dubbio necessario ripartire da zero e rivedere alcuni aspetti fondamentali per dare al bilancio una nuova impostazione che privilegi la famiglia e comporti una riconsiderazione del welfare. A questo riguardo, siamo stati presentati come coloro che vogliono affossare il welfare: vi porterò alcuni dati tratti da una pubblicazione della Ragioneria generale dello Stato sulle pensioni integrate al minimo che smentiscono tutti gli interventi che il ministro Visco ha fatto in materia di pensioni minime. Sapete quanto sono stato rispettoso del ministro Visco all'epoca in cui era ministro delle finanze: sarebbe stato più opportuno, secondo me, che non si fosse spostato da quel dicastero.
Un altro tema importante è quello della scuola, dove si assiste al gioco delle parti. Il ministro della pubblica istruzione ha partecipato ad alcuni convegni, tra i quali vi è anche un convegno nazionale sui temi della scuola organizzato dal CCD. Un nostro emendamento in materia è stato regolarmente respinto: credo che la forza di un Governo si debba misurare anche sulla capacità dello stesso di ricevere i contributi positivi da parte dell'opposizione. Non è sintomo di debolezza recepire una proposta nuova o integrativa rispetto alle proprie. Sul tema della scuola voglio fare riferimento al problema del bonus scolastico e alla possibilità di scegliere liberamente, senza condizionamenti di sorta, tra scuola pubblica e scuola privata.
Sul problema della scuola non siete stati in grado di dare una risposta concreta. Il nostro gruppo ha presentato appena 69 emendamenti ...

GIUSEPPE NIEDDA, Relatore per il disegno di legge di bilancio. Questo vi fa onore!


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SILVIO LIOTTA. La ringrazio, onorevole Niedda. Apprezzo sempre molto le sue considerazioni.
Uno dei nostri emendamenti riguardava i docenti. Abbiamo calcolato le risorse aggiuntive (rispetto a quelle previste dalla legge finanziaria) necessarie per aumentare lo stipendio del solo personale docente. Siamo stati derisi: il nostro emendamento è stato considerato populista ed elettoralistico e quindi è stato respinto. Il contratto integrativo per il personale docente stipulato in questi giorni fa riferimento ad una quantificazione finanziaria identica a quella da noi proposta per aumentare lo stipendio del personale docente.
Per quanto riguarda la lotta alla povertà e le pensioni integrate al minimo, abbiamo avuto una ridda di cifre che ha suscitato curiosità: essendo un «secchione» per la mia formazione professionale, vorrei leggervi alcuni dati. Un ministro del tesoro che ritiene di avanzare proposte senza fare riferimento alle cifre contenute nelle pubblicazioni del suo dicastero (anche se si tratta di pubblicazioni che fanno riferimento ad un periodo in cui egli non era ministro del tesoro) dovrebbe avere l'amabilità di non fornire numeri in libertà e di mettere a disposizione le nuove pubblicazioni con i nuovi dati.
Non voglio ripetere le parole dell'onorevole Bono, perché ritengo che nei confronti di qualsiasi governo della Repubblica, proprio per il ruolo istituzionale che l'esecutivo rappresenta, occorra essere rispettosi; tuttavia, concordo con l'onorevole Bono quando dice che il ministro Visco ha dato i numeri. Sì, questa volta egli ha dato dei numeri che si possono giocare al lotto!
Sul piano delle pensioni integrate al minimo, è vero, c'è stata una sarabanda di numeri e di cifre che non fa onore certamente a noi che rappresentiamo le istituzioni; questi numeri hanno creato nell'opinione pubblica una confusione generale rispetto a quello che poi ha operato il Parlamento. Molti ritengono che dal 2001 in poi tutti riceveranno le 350 mila lire: già qui si verificherà la prima grossa delusione! Se si pensa che tutte le pensioni integrate al minimo siano state toccate dai provvedimenti che noi abbiamo adottato, si incorre in un grosso errore. Complessivamente l'INPS eroga 14.202.036 pensioni; il numero totale delle pensioni integrate al minimo è di 5.422.519. Questi dati parlano da soli.
È inutile poi che vi stia a ricordare qual è il significato delle pensioni integrate al minimo. Lo Stato italiano ha ritenuto che un cittadino, che abbia un trattamento pensionistico superiore a 9.321.447 lire all'anno, sia al di sopra della soglia di povertà; tutti coloro che sono al di sotto di 9.321.447 lire all'anno sono al di sotto della soglia di povertà!
E allora, che cosa è stato fatto? È stata operata una serie di interventi. Il primo è stato quello del Governo nel momento in cui ha presentato la legge finanziaria, dettando norme relative a 426 mila persone e intervenendo sulle maggiorazioni sociali percepite dagli integrati al minimo. Sapete tutti che tra gli integrati al minimo vi è una categoria particolare di gente sfortunata che, non possedendo alcuni requisiti, ha bisogno di aiuto. Quelle maggiorazioni sociali già esistenti sono state integrate di 20 mila lire, di 80 mila lire e 100 mila lire con riferimento alle fasce d'età. Altre 590 mila persone (sempre sulla base del testo originario presentato dal Governo) avrebbero ricevuto un incremento mensile di 45 mila lire; un'altra fattispecie di 515 mila persone avrebbe ricevuto un incremento mensile di 25 mila lire o di 40 mila lire (a seconda dei casi stabiliti). Queste disposizioni sono state spacciate allora sui titoli dei giornali come un vero e proprio aumento delle pensioni sociali da parte del Governo! Ma così non è.
Sorge poi un altro problema: se i pensionati al minimo sono solamente un milione e mezzo, vuol dire che abbiamo vinto la lotta alla povertà nel nostro paese e che non esistono più famiglie povere! Ma non è così ed il problema viene affrontato nuovamente dal Governo e dalla sua maggioranza. Vi sono state due tesi contrapposte: quella di coloro che


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ritenevano di intervenire con una proposta che, rapportata all'anno, potesse rappresentare la prosecuzione delle 350 mila lire inserite nel decreto fiscale di fine anno e quella di coloro che hanno proposto invece, nelle possibilità che venisse ridisegnato tutto il welfare (cosa che non si può fare certamente alla vigilia di una campagna elettorale, perché potrebbe essere inteso come una captatio benevolentiae nei confronti degli elettori)...

GIUSEPPE NIEDDA, Relatore per il disegno di legge di bilancio. Peraltro, sempre lecita!

SILVIO LIOTTA. Non lo nego! Ma allora sono lecite tutte le captatio benevolentiae, da qualunque parte provengano!

TERESIO DELFINO. Lecite purché non irresponsabili!

SILVIO LIOTTA. E allora che cosa ha fatto il Governo? Ha presentato una sua proposta in aula (ed i dati sono tratti dalle relazioni tecniche allegate agli emendamenti dello stesso Governo), secondo la quale 1 milione e 300 mila persone riceveranno un incremento di 300 mila lire annue, pari a 25 mila lire mensili. Pertanto, complessivamente possiamo dire che 2.986 pensionati riceveranno un aumento medio mensile lordo di lire 30 mila (cioè 390 mila lire l'anno, considerando anche la tredicesima), mentre 2.436.519 pensionati non riceveranno alcun aumento!
È una mistificazione dire che tutte le pensioni minime sono state toccate: così non è! Questa è la realtà dei conti e dei dati sui quali non ci possono essere dubbi, perché si tratta di cifre che discendono, per differenza, dalle cose che sono state fatte da voi con i successivi interventi e perché si tratta di numeri forniti dall'INPS e convalidati dalla ragioneria generale dello Stato. Del resto, questo incremento al minimo è a carico dello Stato, mentre invece la quota del contributo è a carico dell'INPS. Se la massa dei contributi che io ho raccolto nel corso della mia vita non mi consente di raggiungere il minimo di 9.321 lire, lo Stato che interviene mi fa la previsione integrata al minimo.
Sono situazioni che non dovrebbero verificarsi, a prescindere da chi governa il nostro paese.
Per ciò che attiene alla spesa sanitaria, ritengo che gli interventi previsti pongano delicati problemi di copertura, tenuto conto degli effetti indotti dalla prevista abolizione dei ticket sanitari. Ho cercato di valutare l'effettiva portata dell'introduzione dei ticket in riferimento alla spesa farmaceutica: ebbene, se non fossero stati introdotti i ticket, la spesa farmaceutica avrebbe avuto un incremento di più del 15 per cento. Le norme introdotte in materia nella legge finanziaria al nostro esame (e che fanno riferimento al medico di famiglia, che deve diventare l'operatore virtuoso) mi lasciano molto perplesso perché, pur in presenza del ticket - e non è un mistero -, il numero complessivo delle prescrizioni poste in essere dai medici di famiglia è andato progressivamente aumentando; se non vi è stato lo sforamento è perché oggi, cessando il brevetto per alcune specialità, si è verificata la possibilità per altre case farmaceutiche - con un nome meno altisonante - di produrre la stessa molecola e calmierare il mercato. E allora la copertura prevista è inesistente, perché basata per più di 2.400 miliardi su questo procedimento virtuoso che non solo dovrebbe essere autocoprente ma addirittura dovrebbe recare delle entrate per lo Stato. Tant'è che lo Stato, prendendo atto di questo fatto positivo, integra tale copertura per la differenza, differenza che è stata indicata utilizzando una serie di voci, tra cui quella che fa riferimento alla rinegoziazione dei mutui e che oggi è al centro dell'attenzione del dibattito politico tra maggioranza ed opposizione. Infatti, una norma generale di riconsiderazione e di rinegoziazione dei mutui comporterebbe per le banche un onere che è stato stimato tra i 12 mila e i 25 mila miliardi.


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È vero che la norma è stata coperta per il 2001, ma sul piano del garbo istituzionale non si lascia al futuro Governo (qualunque esso sia) un'eredità così pesante. Personalmente, ho sempre sostenuto - e me ne dovete dare atto - che i conti pubblici della comunità nazionale non appartengono né al Governo né all'opposizione, ma all'intera comunità nazionale. Tutti dobbiamo avere cura di questi, perché ciò rappresenta il valore fondamentale di equilibrio su cui si regge la pacifica convivenza nel nostro paese. Una situazione di conti pubblici allo sbando determina di per sé una grande conflittualità sociale che tutti insieme, ognuno per la sua parte in questi anni, abbiamo concorso a far superare al nostro paese.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
AUGUSTO FANTOZZI

SILVIO LIOTTA. Non mi soffermerò, per ragioni di tempo, sul problema delle aree depresse e degli investimenti fatti al riguardo: evitiamo di deprimerci! Tuttavia, devo fornirvi alcuni dati sul divario nord-sud. O la Svimez raccoglie una congrega di incompetenti e di inaffidabili (e allora il Governo si faccia carico di modificare la legge con la quale viene finanziata la Svimez e arrivi alla sua liquidazione coatta, perché essa fornisce agli studiosi dell'economia meridionale dati che non hanno alcuna valenza) oppure il problema dipende dal Governo che deve correggere le cifre che per lo stesso periodo ha fornito recentemente attraverso il dipartimento presieduto dal dottor Barca.
I dati contenuti nell'introduzione al Rapporto sul Mezzogiorno del 2000 ufficialmente presentato dalla Svimez alla presenza dei ministri competenti sono di natura completamente diversa. Una differenza non insignificante, ma di 4-6 punti percentuali. È impensabile che dal momento in cui la svimez ha fornito i dati ad oggi nel giro di tre mesi, l'economia del Mezzoggiorno rispetto a quella del resto del paese abbia compiuto un salto tale; ciò sarebbe stato possibile solo con un incremento del PIL nel Mezzogiorno del 5-7 per cento. È questa un'altra anomalia che va chiarita. Se la Svimez ha fornito dati non rispondenti al vero è giusto che cessi le sue funzioni. Altrimenti si può pensare che il dipartimento diretto dal dottor Barca ha predisposto dati finalizzati a dare un messaggio rassicurante all'opinione pubblica, ma non reali. Mi viene da pensare che sia così quando in una risposta del ministro Visco all'onorevole Berlusconi pubblicata da Il sole 24 ore, nella quale erano evidenziati i problemi del sud, si legge che il problema del divario nord sud è quasi scomparso.
Citerò solo i dati relativi ai tassi di disoccupazione: centro nord, 6,5 per cento, Mezzogiorno, 22 per cento; Campania, Calabria e Sicilia, tra il 23,7 e il 28 per cento. Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 19 per cento nel centro nord, al 56,6 per cento nel Mezzogiorno; il tasso di disoccupazione femminile al centro nord, 9,7 per cento, Mezzogiorno, 31,3 per cento. Gli occupati: in aumento al centro nord di 257 mila unità, nel Mezzogiorno di 90 mila unità; flussi migratori verso il centro nord (sui quali nessuno ha speso una parola): nel 1998, 77 mila, nel 1999, 79 mila. Quindi anche nel nord, considerato oggi al massimo dello sviluppo, le possibilità di un incremento dell'occupazione sono limitate. Altro è il discorso se parliamo di flussi migratori per categorie, anche dall'estero.
Il divario rimane tale, dunque, ma mentre prima c'era la possibilità per la gente del sud di trovare risposte all'interno del paese, oggi tale risposta è molto limitata. Concordo sul fatto che la gente deve poter lavorare nell'ambito della propria regione, perché gli spostamenti determinano ulteriori problemi all'economia del paese.
Infine vi è il problema della differenza fra la pressione tributaria che definisco virtuale e quella effettiva. Sono un umile allievo dell'insigne professor Fantozzi e vorrei sottoporre alla Commissione un esempio: piccolo imprenditore artigiano


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commerciante, del quale posso fornire il nome, la cui azienda ha avuto ricavi per un miliardo 200 milioni, costi per il personale di circa 500 milioni e per altro (materie prime, luce, eccetera) di 600 milioni e un utile complessivo di 100 milioni. Su tale utile questo imprenditore paga 32 milioni 600 mila lire di Irpef, 500 mila lire di addizionale regionale, 16 milioni 756 mila lire di contributi sociali per l'Inps (che porterà in detrazione il prossimo anno), ai quali deve aggiungere il 4,25 per cento di Irap sui 500 milioni di spese per il personale. Su un utile di 100 milioni rimane nelle sue tasche un reddito disponibile di 24 milioni 644 mila lire. La pressione tributaria virtuale, dunque, ammonta al 43 per cento, quella effettiva al 75 per cento. Come viene calmierata questa situazione? Metà dei ricavi viene portata in nero: questa è la realtà. La pressione tributaria effettiva è così diversa da quella dichiarata ufficialmente, che provoca la nascita del sommerso; le manovre sul sommerso non avranno alcun risultato se non si modificano gli elementi di base che generano la necessità, per l'imprenditore, di ricorrere al sommerso.
Il Governo del centrosinistra era partito con grandi progetti ambiziosi. Ad alcuni di questi avevo creduto anch'io, nel corso di questi anni. Avete deluso non solo me, ma anche gli italiani.

DANIELE ROSCIA. La mia breve esperienza parlamentare mi ha insegnato che gli aspetti formali e procedurali non portano a nulla. L'articolo 81 della Costituzione c'è fin dall'inizio. Nei primi anni di vita repubblicana gli aspetti virtuosi sono stati mantenuti non per la sua presenza ma perché vi erano persone responsabili e virtuose, senza le quali i risultati ottenuti negli anni dello sviluppo economico non si sarebbero mai raggiunti.
Discutere le ragioni per cui un Governo che deve affrontare una campagna elettorale ha predisposto una finanziaria così assistenziale ed elettorale non mi entusiasma più di tanto. Ho assistito al dibattito in prima lettura alla Camera, con un'opposizione che ha presentato proposte tre volte superiori in termini di demagogia e populismo; ricordo alcuni passaggi: riduzione dell'Irpeg al sud, sostenuta e voluta dall'intera minoranza, anche da gruppi che avrebbero potuto almeno astenersi dal fare certe dichiarazioni, che hanno sempre pensato di difendere gli interessi del nord. Ricordo anche le mille lire della benzina alla Sicilia: queste erano le operazioni virtuose sostenute. Nel passaggio al Senato è successo quello che già si intuiva: il Governo, che non riesce a controllare la maggioranza variopinta, ha dovuto subire una serie di interventi che incrinano il percorso virtuoso intrapreso (lo definisco così, nonostante non mi piacciano personaggi come Amato o come quelli che per sette mesi hanno condiviso le responsabilità di Governo). Il risultato è molto deludente.
Oggi leggiamo sui giornali che l'Italia è stata surclassata dal Belgio in tema di risanamento dei conti pubblici. Certo è una grande ipoteca per i governi futuri. Non penso che questo Governo abbia voluto trasmettere un polpettone velenoso alla prossima maggioranza, che si presume sarà di centrodestra.
Vorrei ora far riflettere su alcune considerazioni demagogiche di alcuni colleghi. Il collega Giorgetti afferma che al Senato è stato approvato un emendamento che taglieggia le possibilità di coloro che hanno versato i contributi di avere una pensione consistente. Il grande problema pensionistico è quello della copertura con la fiscalità generale; il problema è stato rimandato al 2001 da questo Governo e non risolto, ma dovrà essere affrontato sulla base delle regole europee, che non sono quelle del CCD, di Forza Italia, dell'Ulivo o di chicchessia. Il problema è grave e va affrontato perché altrimenti non vi andranno di mezzo solo i pensionati che hanno bisogno dell'integrazione al minimo, ma tutti i cittadini italiani che dovranno coprire con nuove tasse un buco che aumenta sempre più.
Smettiamola di fare aperta demagogia perché in questo modo non solo danneggiamo la nostra parte politica, ma danneggiamo


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l'intera collettività. Ribadiamo in questo senso per l'ennesima volta l'insoddisfazione della nostra piccola parte politica ad un impianto di finanziaria fortemente annacquato che mi ricorda quella del 1992. Mi ricorda anche la stangata dell'allora ministro Amato, che dovette correggere un grande sbaglio introdotto in una finanziaria elettorale.
Di fronte a questo scenario non possiamo approvare questa finanziaria, elettoralistica ed assistenziale; una finanziaria che introdurrà un divario tra nord e sud. Sono stati fatti i rilievi che hanno un vecchio sapore di contrapposizione. Provengo dai territori del nord, dove la concretezza ha fatto legge al di là delle parole e delle grandi dichiarazioni di intenti. Quando sento dire dal collega Liotta che al nord non c'è immigrazione meridionale perché il nord non è in grado di recepire questa forza lavoro, mi pare di ascoltare una grande sciocchezza. A Brescia, in Lombardia, in tutte le regioni del nord c'è fortissima deficienza di manodopera qualificata. Allora, invece di fare le scuole umanistiche al sud, si incentivino le scuole scientifiche, si preveda una formazione adeguata al mercato del lavoro.
I nostri imprenditori delocalizzano le loro attività nei paesi dell'est e in quelli asiatici perché non trovano la manodopera, neanche quella di basso livello. In questo modo si incentiva anche l'immigrazione clandestina, perché gli imprenditori hanno difficoltà ad assumere personale.
I problemi sono tantissimi, ma non si risolvono con le proposte contenute in questa legge finanziaria, in cui si pensa di fare emergere il sommerso con incentivi che non sono altro che calmieratori del costo del lavoro. Bisogna pensare ad una politica radicale di riduzione degli oneri sociali, che non riguardi solamente le nuove attività. Le attività preesistenti, infatti, troveranno in questa concorrenza un fattore in più di riallocazione delle proprie ragioni di investimento. Certo, la riduzione delle entrate contributive deve essere collegata anche agli aspetti previdenziali. È inammissibile che una legge non tenga conto del grande differenziale del costo della vita in tutti gli aspetti retributivi e pensionistici. È assurdo che un insegnante guadagni 2 milioni e mezzo a Catania e a Brescia e 3 milioni e 300 mila lire a Trento perché ha l'integrazione provinciale! Non bisogna illudere la gente che si possono cambiare le cose senza fare sacrifici.
Mi trovo molto a disagio rispetto a coloro che speculano sulle vicende e sulle situazioni economiche di chi versa in una condizione di difficoltà. Forse non spetta a noi fare certi discorsi demagogici e pensare che le integrazioni al minimo sono misure inadeguate per chi (mi dispiace che non sia presente il collega Liotta) in passato ha condiviso una certa linea politica populista e demagogica, che ha portato a questo risultato. Se non vi fossero state certe forme di lassismo, se non si fossero varate leggi finanziarie in cui si coprivano con la lotta all'evasione 10-15-20 mila miliardi che poi non venivano mai incassati (era questo l'aspetto formale di copertura delle leggi finanziarie), non si sarebbe giunti a questo punto.
Devo dire che, sotto questo profilo, anche il ministro Visco ha fatto delle affermazioni fuori luogo. Non si può affermare che con la lotta all'evasione nel 2000 le entrate sono aumentate! La Guardia di finanza ogni anno sostiene di avere recuperato 30 mila o 50 mila miliardi, ma poi vengono incassati non più di 2-3 mila miliardi. È necessaria una seria riflessione sulla mancata riforma della pubblica amministrazione. Voi pensate che un funzionario dell'ufficio delle imposte dirette abbia la preparazione culturale e scientifica per affrontare in commissione tributaria professionisti che sanno di poter avere la meglio? Questi funzionari si presentano nelle commissioni tributarie con circolari delle direzioni delle entrate regionali che fanno ridere e non possono comunque difendere gli interessi delle casse pubbliche!
Dobbiamo essere più concreti e fare una riforma fiscale come quella che è stata realizzata in altri paesi, che tenga conto della capacità di esazione degli enti


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decentrati, quanto meno di quelli regionali. Solo in questo modo si produrranno gli effetti concreti di un'imposizione che tiene conto dell'effettiva capacità contributiva; altrimenti, avremo l'esempio, a cui ha accennato il collega Liotta, dell'imprenditore che denuncia 100 milioni ed è costretto a farne altrettanti in nero. Nessuno farebbe l'imprenditore trovandosi in tasca 2 milioni netti al mese con un imponibile di 100 milioni! Certo, questi sono dati statistici. Sappiamo benissimo che moltissimi imprenditori non guadagnano neppure 20 milioni all'anno.
In conclusione, voglio sottolineare che l'impianto di questa legge finanziaria è nato male ed è stato sicuramente peggiorato. Riconosco l'attenuante del concorso demagogico-elettoralistico di un'opposizione che ha colto questo passaggio solamente per fare propaganda. Non capisco, poi, perché si debba fare propaganda a ridosso di Natale, quando gli effetti si vedranno a gennaio: se la maggioranza raccoglierà consensi su questi aumenti, benissimo; se non saranno sufficienti, andranno a beneficio elettorale dell'opposizione. Bisogna essere insensati a presentarsi in Parlamento, all'indomani di una vittoria quasi sicura, annacquando ancora di più i contenuti economici della legge finanziaria: vuol dire darsi la zappa sui piedi! Il premier, per la verità, lo ha ricordato sui giornali, ma i gruppi, imperterriti, hanno continuato a mantenere questa posizione. Auspico che non vi sia un'ulteriore rilettura, perché questo significherebbe mettere la ciliegina sulla torta, e che alla prossima maggioranza sia data la possibilità di essere più realistica, perché non si vive solo delle elezioni del domani o del dopodomani. Si deve vivere coerentemente in questa Repubblica che tutti dicono di voler mettere in sesto ma, secondo me, vogliono tutti distruggere!

LIVIO PROIETTI. Signor presidente, sono rimasto esterrefatto di fronte al testo che è scaturito, dopo la doppia lettura di Camera e Senato, dal testo iniziale, sul quale la nostra parte politica aveva espresso vibranti proteste, ritenendo che non fosse incisivo e che fallisse il suo scopo di stimolare l'economia nazionale assecondando i processi economici virtuosi e cercando di contrastare i processi economici viziosi.
Dalla stesura iniziale siamo arrivati a questo volume di disposizioni affastellate senza alcuna logica economica, che tradiscono lo scopo stesso di una manovra finanziaria, che è quello di indicare, per l'anno successivo, il canovaccio delle manovre che il Governo intende compiere in materia finanziaria. Porterò alcuni esempi. Un emendamento introdotto all'articolo 88 novella l'articolo 5 della legge n. 266 del 1996, avente ad oggetto la rideterminazione con decreto ministeriale di numerosi profili relativi al programma nazionale di ricerche in Antartide. Si prevede che anche i soggetti incaricati dell'attuazione di tale programma nonché le strutture operative siano oggetto di rideterminazione. Evidentemente, senza nulla togliere al presentatore di questo emendamento, tre o quattro persone che, per una svista, erano rimaste fuori da tale rideterminazione dovevano essere ricomprese in questa benevola disposizione. Queste quattro persone saranno soddisfatte e il programma per l'Antartide potrà procedere!
Per quanto riguarda la materia sanitaria, vi sono interventi sacrosanti che avrebbero meritato un approfondimento diverso e che, a nostro avviso, dovrebbero essere inseriti in provvedimenti specifici (al limite, anche in un collegato) ma non rispondono a nessuno dei parametri a cui la legge finanziaria dovrebbe attenersi. Mi riferisco, per esempio, all'estensione ai soggetti affetti dal morbo di Hansen di alcuni benefici di cui godono i soggetti affetti dalla sindrome di Down. In questa marea di emendamenti, un numero cospicuo di emendamenti del Governo, rincorrendo o tentando di rincorrere le coperture, hanno dovuto «tagliuzzare» provvedimenti che, pur non provenendo dalla nostra parte politica, la Camera aveva aggiunto al testo originario. È il caso, ad esempio, di un emendamento, presentato dall'onorevole Saia, che aveva


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innovato in materia di ricovero nelle RSA e che è stato approvato dalla Camera ma poi eliminato dal Governo. Si trattava di un emendamento che comportava sicuramente degli oneri e che è stato eliminato perché si dovevano ricavare comunque delle somme per far fronte alla serie infinita di provvedimenti di natura localistica, assistenziale, particolare introdotti dal Senato. Non voglio attaccare il nostro bicameralismo perfetto, nei confronti del quale nutro peraltro profonde perplessità, ma devo dire che il Senato ha veramente passato il segno. Alcune disposizioni non meriterebbero, francamente, di essere confermate dalla Camera dei deputati; le contingenze del momento e le imminenti festività natalizie faranno sì, invece, che probabilmente il provvedimento non sarà emendato.
Il testo contiene anche una serie di norme ordinamentali: se sono quelle anticipate nei giorni scorsi dai resoconti e dai giornali sono francamente preoccupanti. Per esempio, nutro profonda preoccupazione (potrà risponderci in proposito il relatore) sulle innovazioni apportate in materia di poteri degli organismi istituzionali degli enti locali; mi preoccupa, in particolare un'innovazione in tema di competenze funzionali del sindaco e del consiglio comunale in materia di appalti e di lavori pubblici. Quando si innova in materie così delicate con un provvedimento come la finanziaria, che dovrebbe avere tutt'altro scopo e indirizzo, si commette probabilmente una leggerezza dal punto di vista legislativo. Tali disposizioni scompaiono infatti in un testo così ponderoso e arrivano «diluite» in periferia dove, prima di essere digerite ed applicate, rischiano di provocare una serie di incidenti di percorso.
Ciò andava evitato anche perché è ovvio che si tratta di provvedimenti non adeguatamente preceduti da una consultazione con le associazioni rappresentative degli enti locali (ANCI, UPI, Conferenza dei presidenti delle regioni), che abbiamo ascoltato durante la sessione di bilancio e che non mi pare avessero rappresentato sul punto una pressante esigenza di innovazione.
Quanto al giudizio complessivo su un testo praticamente inemendabile, tutti sapevamo che si trattava di una finanziaria «elettorale», cadendo a pochissimi mesi dalla scadenza naturale della legislatura. È ovvio che la maggioranza ed il Governo avevano il diritto-dovere di cercare di conquistare consensi, nei modi legittimi, anche forzando a volte i regolamenti e interpretando le norme di copertura in modo un po' estensivo. Fa il suo gioco una maggioranza che tenda, al termine di una legislatura, ad «incassare», adottando una serie di provvedimenti attesi da anni e che non si è potuto o voluto mettere in cantiere prima; anche se si tratta di provvedimenti che andranno gestiti dalla maggioranza e dal Governo della prossima legislatura.
Tutto questo è legittimo, così come lo è il contrasto da parte dell'opposizione, preoccupata che, con queste iniziative di ricerca di consenso da parte dell'elettorato, si provochi uno sbilancio nelle risorse dello Stato che rischia di avere ripercussioni nella prossima legislatura. Si è però a mio avviso passato il segno nel passaggio nelle due Camere dei provvedimenti finanziari, che prevede il vaglio delle due Commissioni competenti e di tutte le altre Commissioni, nelle varie letture nel corso delle quali tutti rincorrono provvedimenti che possano essere esibiti nel proprio collegio come conquiste. Negli ultimi anni ci eravamo tutti un po' autolimitati nella presentazione di emendamenti, nonostante ognuno di noi diffondesse le diverse proposte di modifica «nel territorio» per farsi benvolere dai propri elettori. Questa volta alle parole sono però seguiti i fatti perché molti di questi emendamenti rivolti a singoli collegi si sono tramutati in legge, creando una serie di gravi difficoltà nella gestione concreta del bilancio.
Difficilmente a mio avviso si sarebbe potuto fare di peggio. Siamo di fronte ad una finanziaria che oltre a fallire i suoi naturali obiettivi diventa difficilmente gestibile


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sotto il profilo delle coperture. Ricordo a tutti il monito del Presidente del Senato, che alla fine non potendone più...

BRUNO SOLAROLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. Aveva sempre il potere di dichiarare inammissibili gli emendamenti!

LIVIO PROIETTI. Ho infatti citato il Presidente del Senato, ma ha ragione il sottosegretario Solaroli perché in fondo egli non è riuscito ad arrestare la marea di emendamenti presentati, pur avendone il potere.
Esprimo dunque un giudizio fortemente negativo su questa manovra finanziaria ed auspico sia l'ultima volta che abbiamo a che fare con un provvedimento di oltre 150 articoli, che ha più che raddoppiato il suo contenuto nel corso dell'esame parlamentare.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, do la parola al sottosegretario Solaroli.

BRUNO SOLAROLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. Tralascio le considerazioni di ordine politico, ma desidero rivolgere in modo particolare all'onorevole Liotta alcune considerazioni. Innanzitutto non credo si possa affermare che i Governi di centrosinistra, in uno sforzo significativo e per un tratto anche comune, lascino in eredità alla prossima legislatura una situazione di conti allo sbando. Si deve anzi affermare il contrario. I Governi di centrosinistra hanno raccolto conti allo sbando, hanno avviato una politica di risanamento, che certamente non si è esaurita, ma che ha portato il paese ad un punto di nuova sostenibilità del bilancio dello Stato. Non a caso è venuto il riconoscimento europeo. Anche con questa finanziaria, considerati i quadri di sintesi e la discussione alla Camera e quella al Senato, notiamo fondamentalmente un miglioramento del saldo netto da finanziare. Qualcuno può obiettare che questi quadri di sintesi possono essere infedeli rispetto alle operazioni di verifica fatte a consuntivo, ma va rimarcato un dato: mentre nel passato questa era la norma, negli ultimi quattro anni la situazione ha mostrato coerenza tra dati di previsione e dati a consuntivo.
Vi è poi la questione del sud del paese. È chiaro che lo svantaggio permane. D'altra parte non si capirebbe lo sforzo rivolto al sud se non a fronte di un divario tuttora esistente. L'obiettivo è quello di cercare di colmare lo svantaggio e di determinare un'accelerazione dello sviluppo del sud più alto rispetto a quello medio del paese. Esistono tuttavia dati reali che non sono né della Svimez né dell'Istat. La crescita del movimento di impresa da quattro anni a questa parte, la crescita delle presenze turistiche, la crescita della quota esportata, la crescita degli investimenti privati e pubblici sono dati che non provengono né da Svimez né da Istat. Alcuni dati Svimez riguardano il calcolo del reddito complessivo e del reddito pro capite, ma in proposito occorre fare attenzione perché la nuova versione dei dati Istat, che mette in discussione quelli forniti dall'Istat stesso ed in parte anche dalla Svimez, sono costruiti sui nuovi criteri europei di calcolo, più raffinati, più collegati al territorio, che dimostrano che dal 1997 si registrerebbe un'inversione di tendenza. Siamo di fronte a nuovi criteri di valutazione che finora non sono stati utilizzati dalla Svimez, perché non poteva farlo, e che ha cominciato ad utilizzare l'Istat. A giorni avremo anche i nuovi calcoli relativi al 1998 e la possibilità di vedere se l'inversione di tendenza manifestatasi nel corso del 1997 sia confermata oppure no. Non si tratta di mettere sotto accusa la Svimez o di lodare l'Istat; si tratta di prendere atto che siamo di fronte a criteri nuovi, ora adottati dall'Istat, che mettono in discussione le valutazioni precedenti dell'Istat stesso.
È evidente che i contenuti di questa legge finanziaria vanno oltre i parametri che ci siamo dati. Si tratta di una


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constatazione ovvia. Vanno oltre quei criteri che abbiamo cercato negli anni scorsi di modificare per mettere in campo nuove dighe. Le responsabilità di ciò sono diffuse. Vi è una prima responsabilità del Governo per il testo proposto, per gli emendamenti presentati nel corso della discussione sia alla Camera, sia al Senato; vi è poi una responsabilità più ampia, giacché a nessuno possono sfuggire le questioni dei criteri di ammissibilità degli emendamenti e quella delle pressioni parlamentari, di maggioranza in primo luogo.
La riflessione cui pervenire è che con modifiche attraverso leggi ordinarie non siamo in grado di stabilire nessuna diga. Occorrono una svolta radicale e una modifica della norma costituzionale in modo tale da inquadrare precisamente la questione. Solo sulla base della norma costituzionale sapremo come dovrà essere il provvedimento, da approvare o respingere. È il ragionamento che fa anche il ragioniere generale dello Stato e che, nella sua impostazione generale, condivido. Tale obiettivo non si ottiene con modifiche ordinarie ma con un vincolo costituzionale, altrimenti i comportamenti saranno sempre tali da travalicare parametri e criteri definiti dalla legge ordinaria.
Le brutture di questa legge finanziaria sono tante e sull'argomento è aperto il dibattito. La domanda è se per la maggioranza fosse conveniente mantenere una legge finanziaria più asciutta, con alcune questioni rilevanti che dessero un messaggio forte oppure disarticolare la manovra in tanti interventi frastagliati. Ci sono posizioni diverse sulla questione. È chiaro che, ai fini del proprio collegio, per il deputato conviene anche l'emendamento sulla piccola questione; ma, rispetto all'immagine complessiva, ne sortisce un rafforzamento o un indebolimento? Se il Governo voleva evidenziare l'intervento sui ticket, sulla riduzione delle tasse o su altre grandi questioni aveva interesse a mantenere la finanziaria su questi grandi assi e non disarticolarla in un modo che alla fine ha suscitato polemiche e ha finito per rendere meno evidente l'impostazione dei documenti finanziari. Questo per dire che tutti ci siamo trovati in difficoltà; una difficoltà che nasce dai comportamenti che, lo ribadisco, non possono essere bloccati da leggi ordinarie. Ho voluto fare questa considerazione alla luce della mia esperienza e dello sforzo messo in campo in questi anni per giungere ad un nuovo terreno e nuove regole.
Non è vero, poi, che le tabelle siano state stravolte. La tabella A contiene disponibilità finanziarie di 900 miliardi per il 2001, 1.750 miliardi per il 2002 e 1.800 miliardi per il 2003. Con le regolazioni debitorie si arriva a 9 mila miliardi, ma per ora le tralascio perché hanno un destino ben preciso. Nella tabella B vi sono risorse pari a quasi 2 mila miliardi per anno, con limiti di impegno che, se moltiplicati per dieci (all'attuale tasso di interesse) danno luogo ad una quantità di risorse rilevante. Le modifiche alla tabella C e alla tabella D sono irrilevanti. È chiaro che vi è stata una pressione: avvicinandosi la scadenza elettorale e la chiusura della legislatura si è premuto per tramutare le risorse previste nelle tabelle A e B in impegni cogenti perché è chiaro che deputati e senatori sono consapevoli che un'appostazione in tabella richiede un atto legislativo di attuazione mentre la previsione in finanziaria comporta l'immediata attivazione e spendibilità delle risorse.
Per onorare il lavoro, come sempre puntuale e rigoroso, degli uffici, dirò che mi sono già impegnato ad attivare il Ministero delle finanze, che per il pomeriggio fornirà precisazioni ad una serie di rilievi tecnici contenuti nel dossier del Servizio bilancio dello Stato per la parte che riguarda le entrate. Mi limiterò pertanto ad intervenire sui rilievi formulati per quanto riguarda le spese. Alcune osservazioni contenute nel dossier sono virtuose, laddove per esempio si dice, con riferimento all'articolo 13, che vi è una sovrastima di minori entrate per 17 miliardi e, con riferimento all'articolo 41, che vi è una sottostima di minori entrate di 65 miliardi e che le risorse previste nell'articolato sono compensate (spese per la scuola) da un taglio in tabella maggiore


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a quanto previsto. Le osservazioni riferite al comma 10 dell'articolo 43 riguardano norme che accelerano il processo di dismissione dei beni della difesa e che dovrebbero determinare maggiori entrate. È chiaro che l'impegno avviene solo una volta conseguite tali entrate. Si è posto poi il problema dei comuni. Il testo però è rimasto quello della Camera, l'unica modifica è quella per cui gli enti che devono produrre gli attestati a dimostrazione sono quelli che superano i 60 mila abitanti, invece che i 50 mila. Riguardo al risparmio di 769 miliardi previsto a legislazione vigente per il rimborso alle province di operazioni fiscali, l'importo è stato ridotto a 462 miliardi in base alle stime ufficiali fornite dal Ministero delle finanze; di questo le province si lagneranno perché volevano per intero la somma inizialmente prevista. Il relatore e, con più enfasi, la Lega, hanno posto la questione dell'articolo 69 che proroga al 2003 la possibilità di opzione; tale previsione nasce da una difficoltà di gestione della norma. Al di là di ciò non si tratta di un intervento che punisce i lavoratori a reddito basso, medio-basso e medio-alto; nella convinzione comune (è questo un tratto della riforma parzialmente operata ed in parte ancora da fare) il sistema contributivo, di per sé, rende meno di quello retributivo...

SILVIO LIOTTA. C'era un accordo tra gentiluomini per cui della modifica della legge Dini si sarebbe parlato...

BRUNO SOLAROLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. Non lo metto in discussione. Nella prassi, oltre che concettualmente, il metodo contributivo consente di superare la «gobba» prevista nella spesa previdenziale. È chiaro che, togliendo la possibilità di opzione, si colpisce qualcuno. Si tratta però dei redditi altissimi, di coloro che 20-30 anni fa avevano redditi molto alti e che pagavano contributi elevati i quali, con il sistema retributivo hanno il vincolo del tetto alla pensione (132 milioni); in questo caso, togliendo loro la possibilità di optare per il contributivo, rimangono entro tale tetto. Si tratta dunque di una norma virtuosa agli effetti della riduzione dei conti.

SILVIO LIOTTA. Non discuto del merito, ho parlato di un accordo tra gentiluomini.

BRUNO SOLAROLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. Questo è un altro discorso. Non so come la questione sia nata al Senato, evidentemente nell'ambito di un rapporto tra maggioranza ed opposizione, perché non ho ascoltato in merito grandi dibattiti.
Vi sono poi altri interventi, come quello relativo ai lavori usuranti ed altri citati dall'onorevole Possa, che rientrano entro i limiti di spesa previsti. Per i lavori usuranti, per esempio, è prevista la spesa di 250 miliardi all'anno. Potrei continuare, avendo molte risposte da dare rispetto alle singole questioni sollevate, ma mi fermo qui.

PRESIDENTE. Sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 13.40, è ripresa alle 16.50.

PRESIDENTE. Avverto che sono stati presentati circa duemila emendamenti. Alla luce di quanto convenuto nel corso dell'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, svoltosi nella giornata di ieri, non essendo materialmente possibile predisporre in tempo utile i fascicoli degli emendamenti da esaminare, al termine dell'esame preliminare dei provvedimenti si procederà direttamente alle votazioni sulla proposta di conferimento del mandato ai relatori. Nel caso in cui essa risulti approvata, si intenderanno conseguentemente respinte ai fini dell'esame in Assemblea tutte le proposte emendative presentate.

NICOLA BONO. Signor presidente, mi consenta innanzitutto di esprimere il mio dissenso sul modo con il quale la Camera


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- e non la Commissione bilancio che ha subito le scelte altrui - ha organizzato i lavori in relazione alla seconda lettura del documento finanziario. Contesto la limitatezza dei tempi e contesto la difficoltà nell'esaminare un testo fotocopiato, con appunti scritti a mano, spesso incomprensibili. Personalmente, ho predisposto - devo dirlo con tutta onestà - un pacchetto di emendamenti per quel poco che sono riuscito a comprendere. Non è questo il modo di operare! Non è questo il modo di legiferare. Del resto, anche il relatore per la maggioranza questa mattina ha richiamato ad un più corretto modo di procedere: se ha trovato difficoltà il relatore Cherchi che, pur tuttavia, ha la possibilità di avvalersi non solo del supporto degli operatori della Commissione (che sarebbero comunque - e lo sono - anche a disposizione dell'opposizione), ma anche di quello del Governo, immagini, signor presidente, quali difficoltà possano incontrare i deputati di opposizione che tali supporti non hanno!
Questo è un modo non corretto di operare che la dice lunga sulla pessima produzione legislativa del nostro Parlamento. Ero giovane professionista quando, dovendo leggere le norme tributarie che si accavallavano di settimana in settimana, non riuscivo a capire come fosse possibile che un Parlamento - nel quale sedevano fior di intelligenze e di professionalità - varasse norme incomprensibili, intellegibili e assolutamente inapplicabili. Ora ho capito! Questo è un fatto grave, perché l'attuale legge finanziaria ci riporta al modo peggiore di legiferare che era in vigore durante la cosiddetta prima Repubblica. Abbiamo riproposto per intero quei percorsi.
Pertanto, stigmatizzo la scelta di lavorare in tale maniera. Noi avevamo previsto che questa finanziaria andasse a finire com'è andata; infatti, già nel modo con il quale essa era stata presentata dal Governo e durante la gestazione che aveva avuto qui alla Camera si intravedevano i prodromi di quello che sarebbe diventata. Tuttavia, il Senato ha fatto impallidire le più ciniche e corrosive previsioni che poteva fare l'opposizione: ha veramente superato se stesso ed ogni possibile corretta impostazione!
La legge finanziaria era stata predisposta dal Governo con 76 articoli, che erano diventati 126 alla fine dell'esame alla Camera. Oggi la finanziaria risulta composta, dopo l'intervento dell'altro ramo del Parlamento, da 152 articoli. Ma non è solo una questione di numeri. L'attuale legge finanziaria sarà iscritta sicuramente in vetta al guinness dei primati come il progetto di legge più incomprensibile e peggio confezionato della storia della nostra Repubblica!
Si è tentato di trovare una risposta ad ogni istanza di ciascun deputato e di ciascun senatore che è convinto di aver portato a casa qualcosa. Ma di chi è la responsabilità di questo modo di operare? Certamente, in primo luogo, del Governo, il quale ha compiuto la scelta di distribuire una piccola parte delle maggiori entrate dando poco e male a tutti, in una sorta di distribuzione graziosa delle risorse acquisite con la «rapina fiscale». In secondo luogo, la responsabilità di questa manovra è sicuramente anche della maggioranza, non solo perché ha consentito ai suoi componenti di presentare oltre 1500 emendamenti, ma anche perché li ha fatti approvare, mettendo in discussione la validità del lavoro del Governo, mortificandone il ruolo e determinando il totale travisamento dell'orientamento iniziale.
Se questo Governo avesse la capacità di nutrire un po' di dignità per se stesso, probabilmente avrebbe dovuto prendere atto di questa situazione e avrebbe dovuto dimettersi, perché è stata stravolta la finanziaria proposta da un Governo, che è appoggiato da una maggioranza che ha totalmente trasformato le impostazioni originarie del provvedimento. Invece, non solo il Governo non ha preso atto di questa situazione, ma addirittura ha assistito inerte e attonito all'attacco che è stato sferrato nei confronti del ragioniere Monorchio da parte di settori della maggioranza. D'altra parte, perché meravigliarsi di un Governo che non difende Monorchio, il quale viene accusato di


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comportamento infedele nel suo ruolo di principale tutore della correttezza dei conti pubblici, perchè osserva che questa finanziaria, così come è redatta, è sostanzialmente impresentabile? Si tratta dello stesso Governo il cui ministro del tesoro, più volte, ha alluso a corvi ed avvoltoi, facendo riferimento in maniera palese ad affermazioni rese nel pieno delle sue funzioni dal governatore Fazio, il quale, nel criticare le linee di indirizzo politico del Governo, veniva considerato il disturbatore del manovratore!
Questi fatti sono ormai acquisiti alla conoscenza degli italiani. Ma non ha molta strada da fare un Governo che non difende e soprattutto non ascolta i propri funzionari più affidabili e preparati proprio sul terreno del merito delle scelte di politica economica che devono essere adottate.
Per ultimo, la responsabilità di questa legge finanziaria non può che ricadere sui Presidenti del Parlamento: sia alla Camera (anche se in maniera meno devastante) sia al Senato, non sono stati applicati minimamente i criteri che avrebbero dovuto presiedere alla inammissibilità di pletore di emendamenti copiosamente presentati e voluti sia dal Governo sia dalla maggioranza e che non avevano i requisiti minimi per poter essere accolti, sia perché si trattava in larghissima parte di norme che non incidevano sui saldi, sia perché queste erano in palese violazione con le altre disposizioni contenute nelle leggi di contabilità (e penso, per esempio, all'eccessivo localismo di alcune norme che addirittura arrivano a prevedere la cessione di pezzi di piazza in determinati comuni del nostro paese). Sono fatti incredibili che non avevano mai trovato posto all'interno di una legge finanziaria!
Indubbiamente, bisogna essere davvero disperati per fare una legge del genere! Credo che la vera motivazione della disperazione della maggioranza sia quella di trovarsi a ridosso delle elezioni con ben pochi argomenti nel suo carniere per poter cambiare ciò che appare essere inevitabilmente l'orientamento della maggioranza del popolo italiano.
Ma non si tratta solo di un problema di disperazione; vi è soprattutto un problema di mancata capacità di gestire il paese soprattutto per quanto riguarda l'individuazione dei criteri con cui risolvere il nodo fondamentale che affligge il nostro sistema produttivo e che è quello della competitività. Su questo punto ci siamo più volte confrontati in Parlamento e abbiamo preso atto che la maggioranza non è in grado di comprendere fino in fondo le nostre argomentazioni, che sono - e rimangono - basate sulla convinzione che il nodo della competitività sia strettamente legato al nodo dei costi di produzione che crescono in maniera maggiore rispetto alle capacità di risposta del nostro sistema produttivo. Un elemento fondamentale su cui avrebbe dovuto insistere una finanziaria degna di questo nome, che si facesse carico della congiuntura nazionale ed internazionale che oggi interessa l'economia globalizzata, avrebbe dovuto essere quello del caro-petrolio come uno dei punti nodali attorno ai quali costruire una strategia in grado di restituire al paese il massimo possibile di competitività.
Questo non è avvenuto ed infatti il risultato del mancato accoglimento degli emendamenti proposti da Alleanza nazionale in ordine alla defiscalizzazione della benzina e alle accise sui prezzi petroliferi, sono l'aumento costante del tasso di inflazione, che si è attestato a novembre al 2,7 per cento, ed il rallentamento della crescita (in riferimento alle previsioni originarie del Governo) del nostro paese, che ormai si avvia ad un modesto 2,4-2,5 per cento massimo come saldo per l'anno 2000: si tratta cioè di uno 0,3-0,4 per cento in meno rispetto alle previsioni del Governo, pari a circa 6-8 mila miliardi, che però sostanzialmente sono stati già distribuiti con il decreto fiscale di fine anno.
Pertanto, quando il governatore Fazio, il ragioniere Monorchio e la stessa OCSE si richiamano al principio secondo il quale in questa finanziaria non si sono mantenute le più elementari norme di cautela, non possiamo certo dire che


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sbagliano! Infatti, con l'attuale manovra finanziaria si è distribuito, prima di conseguirlo, un bonus fiscale che era tutto da dimostrare che si sarebbe realizzato; tant'è che oggi, alla luce del fatto che siamo alla fine di dicembre e che quindi siamo in grado di prevedere in maniera quasi sicura il saldo del PIL di quest'anno, ci accorgiamo che le previsioni del Governo non erano e non sono attendibili.
La scelta virtuosa di contrastare l'inflazione e quindi di contenere i costi petroliferi non portava voti; per questo è stata respinta. Meglio fare ciò che ha fatto la maggioranza e cioè distribuire graziosamente ad una platea la più vasta possibile una quantità di risorse che assumevano una valenza sempre minore in ordine alle ricadute economiche, proprio perché più polverizzata è la platea, minore è l'effetto che se ne trae. D'altro canto, cosa ci si può aspettare da una maggioranza e da una coalizione che hanno una strana concezione del governo dell'economia? La sinistra è tradizionalmente cicala al tempo delle vacche grasse e formica (costretta) al tempo delle vacche magre! Non riesce cioè a comprendere che il governo dell'economia è esattamente il contrario del lasciarsi galleggiare sull'andamento del flussi economici: significa cercare di governare i flussi economici facendo la formica al tempo delle vacche grasse per poi avere le risorse necessarie ad affrontare il tempo delle vacche magre.
Ma questa concezione è lontana anni luce dalla sinistra, che ha dimostrato un'incapacità di governo che è diventata addirittura proverbiale per quanto riguarda le politiche del riequilibrio territoriale. In questa finanziaria c'è tutto il condensato del fallimento delle politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno, a partire dal fallimento della programmazione concertata, dal fallimento, ancora peggiore, della società Sviluppo Italia (che rappresenta una delle migliori «patacche» che potevano essere elaborate dall'attuale maggioranza di Governo come soluzione per i problemi del sud), dallo svuotamento sostanziale delle legge n. 448 (che proprio perché è l'unica legge che ha funzionato, non essendo dotata di risorse sufficienti viene svuotata dei suoi contenuti), fino alla scelta di destinare minori risorse alle aree depresse.
Ebbene si cerca di mascherare tutto questo attraverso l'effetto-annuncio. È dei giorni scorsi una nota diffusa dal dipartimento per le politiche del riequilibrio del Ministero del tesoro, avallata da una dichiarazione del ministro Visco, il quale annuncia effetti speciali per quanto riguarda le politiche del riequilibrio territoriale, coniugando sempre i verbi al futuro, dicendo che i ritardi del passato sono finalmente dietro le spalle e sostenendo che la macchina per il riequilibrio territoriale è decollata. Ma di questi annunci noi leggiamo sulla stampa da oltre cinque anni, senza avere alcun effetto concreto.
La verità è che la sinistra, per quanto riguarda le politiche territoriali, è rimasta alle logiche arcaiche teorizzate dal Keynes che presuppongono, come unica strategia del riequilibrio territoriale, le politiche basate sugli incentivi. Sarebbe come dire che il sud si trova a morire perché soffocato dall'eccesso di incentivo e, contestualmente, dalla totale mancanza di politiche di contesto. Ed è nelle politiche di contesto la prova dell'incapacità della sinistra di gestire i problemi del riequilibrio. Infatti, insieme alle politiche di incentivo che anche in questa finanziaria vengono con «generosità» (lo dico tra virgolette) introdotte - mentre, di fatto, per le aree depresse il complessivo stanziamento viene ridotto di 6 mila miliardi rispetto alle previsioni originarie - ci troviamo praticamente di fronte ad una serie di norme varate da questo Governo che sono finalizzate a rendere sempre più difficile il contesto nel quale si dovrebbero calare poi le politiche di sviluppo; basti pensare alle varie norme che hanno determinato, per quanto riguarda la rigidità del lavoro, le questioni dei contingentamenti relativi alla flessibilità contrattuale oppure l'assunzione obbligatoria degli invalidi oppure ancora la norma sull'estensione


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delle RSU e tutte le limitazioni che ancora esistono al corretto utilizzo del part time e del lavoro interinale.
Vorrei poi sottolineare come la lotta alla disoccupazione, a cui tanto viene fatto riferimento con enfasi in tutti gli interventi del Governo e della maggioranza, non abbia prodotto effetti nel Mezzogiorno d'Italia e si sia tradotta al nord in una serie di sostituzioni di lavori a tempo indeterminato con lavori precarizzati, perché spesso il lavoro interinale sostituisce ciò che era stabile. Siamo di fronte ad una maggioranza che fa della propaganda uno strumento di lotta politica: basti pensare al minimo vitale che viene confermato a livello sperimentale invece di essere realizzato concretamente come risposta vera all'emergenza delle nuove povertà oppure alla falsa abolizione dei ticket sui medicinali e sulla diagnostica (falsa perché si limita a nove mesi: essendo una norma notoriamente senza copertura, il 31 marzo del 2002 sarà ripristinata di corsa). L'unica nota - si fa per dire - positiva è che, rispetto all'emendamento proposto alla Camera, vi è stato un ripensamento da parte dello Stato il quale - bontà sua! - ha ritenuto di rinviare alla Conferenza Stato-regioni la scelta sulla riproposizione dei ticket o su altre politiche per recuperare il mancato raggiungimento degli obiettivi di risparmio previsti dalla norma stessa. Pertanto, sostanzialmente pagheranno le regioni, ma questo non lo si dice in maniera brutale!
Infine, abbiamo riscontrato, anche al Senato, una mortificazione delle aspettative della regione Sicilia in ordine alla defiscalizzazione della benzina e quindi alle politiche di rilancio economico e produttivo.
Signor presidente, onorevoli colleghi, questa è l'ultima finanziaria della sinistra di Governo...

PRESIDENTE. In questa legislatura!

NICOLA BONO. L'aggiunta l'ha fatta lei! A mio avviso, è l'ultima finanziaria della sinistra di Governo, che è costata all'Italia non meno di 300 mila miliardi in termini di mancata crescita del PIL e - come dice il governatore della Banca d'Italia, Fazio - almeno 1.400 mila posti di lavoro non realizzati; cosa che si sarebbe potuta fare con una politica economica volta al raggiungimento di una maggiore crescita e al sostegno reale alle attività produttive. È quindi l'ultima finanziaria di una coalizione di Governo che non ha governato male in Italia, ma ha semplicemente governato contro gli interessi del paese; ci auguriamo vivamente che gli italiani al più presto, con il loro voto, mettano questa coalizione in condizioni di non nuocere ulteriormente, chiamando al Governo la Casa delle libertà, al fine di inaugurare una nuova stagione di crescita, di sviluppo, di lavoro e di vera giustizia sociale, nel rispetto della dignità dell'uomo e dei principi della solidarietà nei confronti dei più deboli e dei più bisognosi.

PIETRO ARMANI. Scorrendo il Sole 24 ore di questa mattina, abbiamo appreso due notizie: la prima è che, attualizzando l'andamento del terzo trimestre di quest'anno, il 2000 si dovrebbe chiudere un una crescita del PIL del 2,5 per cento, a fronte di una previsione del Governo iniziale del 2,8, rettificata al 2,7 per cento.
Pertanto, il 2000 doveva essere l'anno della grande ripresa del nostro paese, ma sostanzialmente chiuderemo con una crescita del PIL inferiore alle previsioni ed anche inferiore alla crescita del PIL di altri paesi d'Europa che, peraltro, non arrancano in condizioni migliori delle nostre: penso alla Germania che, per lo stesso periodo, prevede una crescita del 2,9 per cento; per non parlare della Francia, che prevede una crescita del PIL del 3,1 per cento.
Quindi, di fronte ad una crescita del PIL inferiore alle previsioni - lo ripeto - e a quella dei principali nostri partner europei, rischiamo di avere un'amara sorpresa per 2001 e soprattutto per il 2002 per quanto riguarda le restituzioni fiscali previste nell'arco di questo periodo. Infatti, è vero che la crescita delle entrate,


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anziché essere derivata dalla lotta all'evasione è derivata essenzialmente dalla riforma Visco, che tassa il lordo anziché il netto, ma è anche vero che se il lordo cresce meno del previsto evidentemente c'è meno carne da mangiare per tutti. Pertanto, ancorché non si preveda la deduzione dal lordo di tutti i costi (come dovrebbe essere giusto anche per rispettare il mantenimento del tasso di competitività del nostro paese), il fatto che il lordo cresca meno del previsto porterà certamente a disponibilità fiscali inferiori.
Di fronte a questa situazione, la maggioranza ed il Governo ballano sulla tolda del Titanic, mentre la nave rischia di affondare, e noi passiamo da una finanziaria di 76 articoli, proposta dal Governo, ad una finanziaria di 152 articoli, così come è stata proposta dal Senato. Si tratta di un documento corposo, impegnativo, che rappresenta la conseguenza dell'incoscienza con la quale Governo e maggioranza si sono collocati in questa temperie politica. Ricordo che fino a molti mesi fa, quando iniziò la sua ultima vicenda politica, il presidente Amato temeva proprio il ciclo elettoralistico della spesa pubblica. Ci furono dichiarazioni molto precise da parte di Amato, che ha rappresentato proprio l'orchestratore di questo ciclo elettoralistico della spesa pubblica, nonostante le sue affermazioni. Poiché il presidente Amato è notoriamente famoso per non mantenere le promesse che fa o per emanare provvedimenti che vanno contro l'interesse del paese (basterebbe ricordare soltanto la tassazione straordinaria di una domenica sui conti correnti bancari effettuata nel 1992), non c'è da stupirsi che egli qualche mese fa dicesse che si rischiava di avviare un ciclo elettoralistico della spesa pubblica mentre adesso è il grande vecchio di questo stesso ciclo.
Ebbene, ciò che giustamente il collega Bono ha ricordato, è che accanto alla responsabilità del Governo e della maggioranza che lo sostiene c'è una precisa responsabilità dei Presidenti delle due Camere. La legge n. 208 del 1999 era stata approvata in uno spirito bipartisan dalla maggioranza e dall'opposizione ed aveva rappresentato il primo tentativo per razionalizzare quel collegato omnibus, rispetto al quale noi tutti ci siamo trovati in difficoltà. Ebbene la legge n. 208 doveva modificare questa situazione in uno spirito bipartisan, ma io ricordo le motivazioni che il Presidente Violante ha presentato all'Assemblea per giustificare l'inserimento di norme regolamentari, ordinamentali e localistiche nella legge finanziaria; norme che hanno poi giustificato il passaggio da 76 a 126 articoli in prima lettura, e che prevedevano la soddisfazione di questa o quella esigenza di carattere elettorale di questo o quel deputato.
E allora, come si può chiedere all'opposizione di atteggiarsi in posizione bipartisan sulla legge elettorale, sulla legge costituzionale, sul decentramento amministrativo (ex federalismo), se una riforma bipartisan tipica, approvata da maggioranza ed opposizione (come la legge n. 208 del 1999), è stata violata dal Governo e dalla sua maggioranza e addirittura dai Presidenti delle due Camere? E questo nonostante il presidente Amato avesse parlato del rischio di avviarci verso un ciclo elettoralistico della spesa pubblica.
Ciò dimostra che qualunque riforma istituzionale (e la legge n. 208 lo era) diventa carta straccia di fronte al cosiddetto primato della politica. Tuttavia, dobbiamo dire che il primato della politica è una nobile arte; quando non ci sono valori ma c'è solo la difesa del potere, il primato della politica è veramente una cosa scandalosa.
Perché è fallita la legge n. 208? Perché l'attuale finanziaria recepisce norme regolamentari e localistiche assurde. Il comma 54 dell'articolo 145 recita: «l'area demaniale di circa 56.200 metri quadrati insistente su Piazza dell'Umanità nel comune di Chiavari è ceduta al comune di Chiavari ad un prezzo complessivo di 300 milioni». Questa è la dimostrazione evidente della violazione della legge n. 208, e mi stupisco che il Presidente Mancino che, come il Presidente Violante, avrebbe dovuto


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difendere i principi contenuti in questa legge, abbia consentito l'inserimento di norme localistiche come quella che ho appena citato.
Stasera siamo di fronte ad una legge finanziaria che non contiene nulla di veramente nuovo, ad eccezione di alcune disposizioni, come per esempio l'articolo 78 sui lavori socialmente utili, totalmente innovativo rispetto al testo originario del provvedimento. È un articolo, se non sbaglio, composto di 32 commi e lungo 15 pagine! È una cosa assolutamente insostenibile, perché in realtà le coperture finanziarie di alcuni di questi commi sono del tutto discutibili.
Non è che noi non vogliamo trovare una sistemazione ai lavoratori socialmente utili, 250 mila persone inserite in un ruolo diabolico; tuttavia, io credo che si poteva trovare una soluzione più semplice e fare in modo che la domanda e l'offerta di lavoro si incontrassero liberamente sul mercato. Al contrario, grazie all'articolo 78, si verifica un meccanismo di «ruolizzazione» parziale, totale, a tempo determinato o indeterminato di queste 250 mila persone; di fatto però poi questo meccanismo si scarica sulle regioni. Infatti, la logica dell'articolo 78 è che lo Stato, per un primo periodo - tanto per fare la mossa, come si dice - dà i soldi e poi dopo, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato...! Alla fine le regioni dovranno trovare il modo di formare tutte queste persone, perché il problema drammatico sta proprio nel fatto che la maggior parte dei 250 mila lavoratori socialmente utili è senza arte né parte e non è quindi reinseribile in un mercato del lavoro flessibile e globalizzato che, purtroppo - e dico purtroppo perché non sono un idealizzatore della globalizzazione tout court -, sarà la realtà dei prossimi anni. Ecco il guasto compiuto dal Senato! Personalmente mi auguro che qualche emendamento venga approvato, anche per far lavorare giustamente l'altro ramo del Parlamento nel periodo natalizio, perché questo mi sembra il minimo che si possa far pagare al Senato di fronte alla portata dell'articolo 78! E mi rivolgo anche al sottosegretario Giarda, responsabile anch'egli della valanga di emendamenti apportati nel corso dell'esame dell'altro ramo del Parlamento! Caro sottosegretario, onori ed oneri!

PIERO DINO GIARDA, Sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. Non mi sottraggo!

PIETRO ARMANI. Lei, onorevole Giarda, addirittura ha detto che ha fatto meglio il Senato della Camera, cosa che io assolutamente escludo! Pertanto, mi auguro che anche lei possa tornare a lavorare sotto Natale!

MARIO MASIERO. Signor presidente, condivido pienamente alcune delle problematiche sollevate dall'onorevole Armani. Sicuramente, quella al nostro esame è una finanziaria che non ha nulla o poco di innovativo, anche se è giusto comunque sottolineare alcune questioni che sono state poste e che sono di indubbio interesse.
Innanzitutto, la riduzione dell'IRPEG è una misura abbastanza insignificante per poter determinare quel salto di qualità sugli investimenti e quindi sulla capacità delle imprese di avere a disposizione capitali dai propri redditi da investire nell'espansione della produzione e quindi del mercato-lavoro. È vero che vi è una trascurabile riduzione dell'IRPEG, ma è anche vero che i comuni stanno intervenendo con forza nell'incremento dell'imposta dell'ICI; pertanto, tutta una serie di aumenti delle tariffe finiscono per annullare, e quindi per rendere ininfluente, questa leggera riduzione fiscale.
L'articolo 6 contiene sicuramente una misura interessante, che è quella del credito di imposta di 800 mila lire mensili per i nuovi assunti a tempo indeterminato, con una aggiunta di 400 mila lire per le aree-obiettivo 1; nutro però dei dubbi sulla capacità del Tesoro di finanziare nel tempo questa iniziativa.
Un altro punto che ritengo corretto evidenziare riguarda l'articolo 13 che modifica


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il regime fiscale per le persone fisiche che intraprendono attività artistica professionale; tale disposizione consente la possibilità per i due anni successivi dall'inizio dell'attività di avere un'imposta del 10 per cento. Ciò che mi lascia perplesso è il limite del beneficio, che è contenuto nei 60 milioni l'anno di prestazioni o nei 120 milioni di attività varia; se i ricavi superano del 50 per cento gli importi massimi fissati si ha la cessazione del regime agevolato. Mi sembra una cosa folle! È come se andassimo ad incentivare il sommerso. Infatti, se un'attività riesce a trovare una nicchia di mercato corretta ed ha un ricavo di 95 milioni, anziché di 60, che cosa succede? L'imprenditore, preoccupato di perdere i benefici sui 60 milioni, potrebbe cercare di realizzare al nero gli altri 35 milioni! Pertanto, si verifica il contrario di ciò che si dovrebbe realizzare: anziché premiare la capacità imprenditoriale, la penalizziamo fortemente.
Infine, nell'ambito dei lavori che noi chiamiamo socialmente utili (personalmente io li definisco «socialmente futili»), rischiamo di fatto un contenzioso spaventoso che poi dovrà essere gestito dalle regioni; pertanto, anziché avere un progetto innovativo e dare segnali forti al mercato, con questa finanziaria creiamo pannicelli caldi che non servono a nulla.
Come Casa delle libertà, noi diciamo che a fronte di alcune misure di stampo elettoralistico, si dimentica invece il bisogno del paese di quell'innovazione necessaria per uscire da situazioni che impediscono di fatto la crescita della nostra economia.

VALENTINO MANZONI. Signor presidente, il mio intervento riguarderà il comma 8 dell'articolo 156 della legge finanziaria (ex articolo 79 del testo originario discusso dalla Camera).
La Camera dei deputati, con un sussulto di dignità e sensibilità, ma anche con senso di rispetto per il pubblico denaro, aveva soppresso una disposizione introdotta in calce all'articolo 79 della legge finanziaria, che riguarda il processo di accelerazione delle procedure liquidatorie dell'EFIM. Tale disposizione rappresentava una sorta di premio-indulto nei confronti di ex amministratori dell'EFIM, di ex commissari straordinari e di commissari straordinari in carica. Il Senato ha reintrodotto la disposizione in questione con una nuova formulazione, che appare corretta ma, ad un attento esame, svela chiaramente intenti assolutori nei confronti di chi ha disamministrato. Il relatore ricorderà la lunga discussione che si svolse in Assemblea; alla fine, la Camera, con un sussulto di dignità e sensibilità, cancellò quella disposizione.
Il comma 8 dell'articolo 156 recita: «In applicazione dell'articolo 5, comma 1, del decreto-legge 19 dicembre 1992, n. 487, convertito con modificazioni, i crediti e debiti dell'EFIM e delle società elencate nei commi 1 e 2» (si tratta delle società interamente controllate dall'EFIM) «nei confronti dell'amministrazione dello Stato sono estinti». Rimaniamo nell'ambito di applicazione dell'articolo 5 della legge n. 487 del 1992, espressamente richiamata. Senonché, tale articolo non crea posizioni debitorie in capo all'EFIM e alle società controllate nei confronti dello Stato, ma crea posizioni esclusivamente debitorie dell'EFIM nei confronti dello Stato. Si tratta di un finanziamento di ben 9 mila miliardi, che avrebbe dovuto gestire il commissario liquidatore per pagare (come si legge testualmente nell'articolo 5 del decreto-legge citato) i debiti dell'EFIM e delle società interamente controllate.
È di tutta evidenza, signor presidente, che cancellandosi questa posizione debitoria dell'EFIM nei confronti dello Stato viene meno la ragione dell'accertamento circa l'utilizzo dell'importo in questione. Come è noto, oltre alle azioni giudiziarie di carattere penale e civile in corso nei confronti di chi ha disamministrato (non si sa, infatti, dove siano andati a finire i 9 mila miliardi, come siano stati gestiti, se siano stati effettivamente pagati i debiti dell'EFIM e delle società controllate), la Camera ha votato all'unanimità a favore dell'istituzione di una Commissione d'inchiesta. L'approvazione del suddetto comma, comportando l'estinzione della


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posizione debitoria dell'EFIM, fa venire meno le ragioni dell'accertamento dell'utilizzo del credito in questione.
Non capisco come il Senato abbia potuto introdurre una norma che la Camera aveva respinto per ragioni di pudore, di stile e di dignità. Con questa norma, signor presidente, si incoraggiano le dissipazioni del pubblico denaro e si incoraggia chi gestisce gli enti pubblici a sperperare e dilapidare il pubblico denaro, perché si ingenera in costoro la convinzione che, prima o poi, arriverà la manna salvifica che cancellerà danni e responsabilità. Per queste ragioni, chiedo che la Camera, con lo stesso sussulto di sensibilità che ha avuto in precedenza, elimini una norma che non fa onore al Parlamento.

MARIO MASIERO. Signor presidente, voglio ricordare che nel 1994 (all'epoca facevo parte del Senato) il professor Predieri assicurò che con i ricavi che prevedeva di ottenere dalla liquidazione delle aziende EFIM avrebbe tranquillamente coperto la posizione debitoria della stessa EFIM e che vi sarebbe stato un avanzo. Da allora, ogni volta che ebbi occasione di porre il problema al professor Predieri, ho trovato un muro di gomma: non si è più saputo niente. Credo quindi che, per una questione di dignità del ruolo del Parlamento, sia opportuno sopprimere il comma 8 dell'articolo 156.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali e do la parola al sottosegretario Giarda per la replica.

PIERO DINO GIARDA, Sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. Il dibattito e il testo della legge finanziaria mi ricordano uno dei film sui quali ho costruito la mia educazione giovanile, Ombre rosse, in cui si vedono le diligenze che portano la gente sulle strade del West e sollevano molta polvere: e in queste masse di polvere, naturalmente, non si vede più la sostanza dei fenomeni, ma solo il turbinio, il pulviscolo!
In questa legge finanziaria c'è una sostanza e, appiccicata, tanta polvere: questo, evidentemente, non si può negare. Forse, però, è utile ricordare che dentro questo provvedimento c'è un'importante sostanza di politica economica. Credo di non fare torto alla memoria di tutti i deputati presenti se ricordo che forse è la prima volta da molti anni che in una legge finanziaria sono costruite azioni che gli economisti chiamano di politica economica. Tendo ad escludere dalle azioni di politica economica quelle per le quali questo Governo ha lavorato per quattro anni, cioè le azioni dirette al risanamento dei conti pubblici, che di per sé non sono necessariamente definibili come azioni di politica economica in senso tradizionale. Questa legge finanziaria invece incorpora azioni di politica economica, cioè azioni che esprimono una politica di bilancio, che operano sui parametri del sistema tributario (quelli definiti in senso tradizionale), sulle aliquote, sulle basi imponibili, sulle detrazioni, sulle esenzioni dei principali tributi del nostro ordinamento e sui parametri della spesa pubblica (l'acquisto di beni e servizi, le spese per il personale, la spesa per investimenti, escludendo, come è noto, la spesa per le pensioni).
Bisogna ricordare che cosa aveva proposto il Governo e che cosa è cambiato nei due turbolenti viaggi della diligenza della legge finanziaria. Gli elementi chiave della legge finanziaria sono due articoli, con un contorno. In primo luogo, vi è l'articolo 2, riguardante la diminuzione del prelievo fiscale sulle famiglie attraverso la riduzione delle aliquote dell'IRPEF, che inizialmente valeva, nel 2001, circa 13 mila miliardi, aumentabili a regime. Su questa azione fondamentale del Governo il Parlamento, nel passaggio del provvedimento tra Camera e Senato, ha fatto poco o nulla, perché l'aumento si è accentuato per effetto di due interventi, quello relativo ai cosiddetti incapienti (cioè l'estensione dei benefici a categorie escluse dal disegno di legge originario del Governo) e l'approvazione di alcuni emendamenti che estendevano i cosiddetti benefici


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alla famiglia. Il valore globale di tale azione è di circa 1.000 miliardi. Il beneficio originario che il Governo aveva proposto per le famiglie, cioè, è aumentato di circa 1.000 miliardi.
La seconda linea di azione (che secondo me non appartiene alle linee di azione fondamentali) è la riduzione del prelievo tributario sulle imprese attraverso due strumenti tradizionali: la riduzione delle aliquote dell'IRPEG e l'attribuzione di una quota non imponibile dell'IRAP. Il terzo elemento era l'accelerazione dei rimborsi di imposta con elevazione del limite dei rimborsi dai 500 milioni attuali a 5 miliardi. Anche su questa seconda parte (riduzione delle aliquote IRPEG, attribuzione di una quota non imponibile dell'IRAP e accelerazione dei rimborsi di imposta) il Parlamento è intervenuto, alla Camera, in modo relativamente marginale, riducendo il limite di 5 miliardi ad 1 miliardo. Si tratta di un'operazione certamente rilevante ma non totalmente stravolgente del disegno di legge originario. Su questa parte il Senato non è sostanzialmente intervenuto.
Il terzo capitolo è la riduzione del prelievo sull'attività di impresa attraverso strumenti non generali ma selettivi. Gli strumenti selettivi della proposta originaria del Governo erano la possibilità per le società di persone o le imprese individuali di essere tassate in base al reddito distribuito e non a quello prodotto (la cosiddetta opzione IRPEF-IRPEG), la tassazione agevolata delle nuove iniziative imprenditoriali, la tassazione forfettaria del reddito di impresa minore, la riduzione dei contributi sociali e, da ultimo, gli incentivi per la nuova occupazione. Sono cinque misure tutte dirette a ridurre il prelievo sulle imprese attraverso provvedimenti di natura selettiva e non generale. Su questo blocco di interventi sono stati maggiori gli interventi da parte sia della Camera sia del Senato. Tuttavia, se andassimo a vedere in termini quantitativi che cosa è cambiato globalmente in questo blocco di interventi, si dovrebbe affermare che gli interventi del Parlamento hanno avuto effetti modesti o marginali. Sono stati soppressi e reintrodotti articoli al Senato, sostanzialmente è stata aumentata dal Parlamento la riduzione dei contributi sociali rispetto alla proposta originaria del Governo ma, grosso modo, questi cinque provvedimenti ed interventi selettivi sul reddito di impresa hanno avuto effetti sostanzialmente marginali.
La seconda azione di politica economica importante del provvedimento in esame riguarda gli incentivi agli investimenti nel Mezzogiorno. È la prima volta che vengono introdotte nella legislazione, dopo le leggi originarie di detassazione dei profitti di impresa degli anni cinquanta, misure generalizzate di sostegno agli investimenti nelle zone più povere del paese. Si tratta, naturalmente, di un'azione che appartiene alla tradizione conservatrice della politica economica, quella consistente nel dare crediti di imposta laddove vi è la crescita, di una proposizione di politica economica che Pareto ed Einaudi avrebbero fatto propria; se la si valuta secondo gli schemi tradizionali della politica economica, è certamente paradossale che venga espressa da un Governo di centro-sinistra. Un credito di imposta pari al volume degli investimenti netti effettuati dalle imprese operanti nel Mezzogiorno: quindi, non più interventi selettivi su singole proposte delle imprese ma un credito d'imposta generalizzato a chiunque investa in queste aree. È una misura che potrebbe essere sottoscritta da chi privilegia l'efficienza rispetto alla solidarietà, la crescita rispetto alla ridistribuzione.
L'ultimo aspetto qualificante della legge finanziaria è il programma di sostegno della spesa per investimenti, sia sul territorio nazionale che per le calamità nazionali, per una cifra globale di nuove autorizzazioni di spesa molto rilevante, che ancora oggi è difficile da valutare nella sua esattezza contabile. Si tratta peraltro certamente di una cifra superiore ai 70-80 mila miliardi.
Ritengo che questi provvedimenti, tuttora presenti nella legge finanziaria, definiscano una strategia di politica economica che, per quanto consentito dai vincoli


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finanziari, è una strategia chiara, importante, precisa e definita. Su queste linee gli aspetti correttivi introdotti dal Parlamento sono stati modesti e, in qualche caso, migliorativi, come nel caso degli incentivi all'occupazione, rispetto ai quali la Camera ha eliminato alcuni degli inconvenienti determinati dal provvedimento. Il Senato, da parte sua, ha aumentato l'importo delle spese di investimento per le quali è concedibile il credito d'imposta, aumentandolo in misura pari al 10 per cento degli ammortamenti. Come ricorderete, alla Camera si è molto discusso se passare dall'investimento netto all'investimento lordo; al Senato si è passati all'investimento netto aumentato più il 10 per cento dell'ammortamento, aggiungendo quindi una onerosità pari a circa 500 miliardi.
Tutta questa parte della legge finanziaria, quella che secondo il Governo avrebbe definito la linea di politica economica, è rimasta sostanzialmente inalterata, con qualche miglioramento e qualche piccola correzione. Questa è la diligenza. Poi c'è la polvere, che è certamente un problema.
Un problema di fondo, che penso dovranno affrontare anche i futuri governi, è l'esistenza delle cosiddette politiche del lavoro. Il professor Armani sa che la questione se l'occupazione possa o meno essere aumentata con gli interventi di mercato del lavoro piuttosto che con il sostegno della domanda aggregata è una delle questioni più controverse della politica economica. È controverso se l'esistenza stessa di un Ministero del lavoro si giustifichi in una società moderna: avendoli visti all'opera, a volte viene da dubitare che meritino di esistere! Questo è un problema molto importante e dibattuto.
È stata sollevata la questione se le tasse siano state ridotte troppo o troppo poco e se ciò sia avvenuto nella direzione giusta. Credo che, a volte, l'opposizione si esprime in modo un po' contraddittorio; ridurre le tasse è il sogno di tutte le persone che governano, ma ci sono i vincoli finanziari. La questione se una maggiore riduzione delle tasse possa stimolare la crescita non può essere risolta in via ideologica ma va inquadrata nel contesto di un sistema. Noi abbiamo ridotto le tasse troppo o troppo poco: tutti sanno che anche all'interno del Governo vi sono stati punti di vista un po' diversi. Alla fine, è stata presa una decisione che, probabilmente, è quella più adeguata e più compatibile con il mantenimento di certi equilibri finanziari e politici.
Tra le misure importanti contenute nella legge finanziaria non ho menzionato l'abolizione dei ticket sanitari. Per il 2001 è stato abolito il ticket sulla spesa farmaceutica; per il 2002 l'abolizione dei ticket è, in un certo senso, vera ma condizionata ad eventi che devono verificarsi, quali la riduzione della spesa sanitaria. Quindi, anche se i ticket saranno formalmente aboliti per intero a partire dal 2002, l'efficacia di questo provvedimento è subordinata al verificarsi di certi avvenimenti che si spera possano avvenire ma non sono ancora certi.
Vi è poi una questione di metodo rispetto alla legge finanziaria. Sono un po' dispiaciuto per come si presenta, per certi aspetti, la legge finanziaria; bisogna tenere conto che abbiamo trasferito nel testo una parte rilevante delle tabelle (sia la tabella A sia la tabella B). Questo dal punto di vista quantitativo. Un po' dispiace che la legge finanziaria assuma il ruolo di «leggina» di spesa; tuttavia, molte di queste «leggine» di spesa si sarebbero comunque fatte. Chi partecipa ai comitati pareri vede il carattere veramente strampalato di molte decisioni parlamentari su microlegislazioni, il cui merito credo non cambi sia che siano dentro sia che siano fuori della legge di bilancio. Oggi, per esempio, ho partecipato ad un comitato pareri per dare 100 milioni all'anno ad un oscuro istituto localizzato non si sa dove: è veramente un paradosso. Tuttavia, ciò avviene e il paradosso rimane sia che queste norme stiano dentro sia che stiano fuori della legge di bilancio. Sarebbe bello se la sessione di bilancio fosse più consolidata attorno a linee di politica economica


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del tipo di quelle che mi sono permesso di riassumere all'inizio del mio intervento.
È difficile dire se si sia comportata peggio la Camera o il Senato. Credo che l'aspetto importante, su cui una riforma del processo dovrebbe operare, è quello di impedire la rateazione delle decisioni del Governo. L'emendabilità parlamentare, a mio avviso, non è negativa; ma è certamente molto difficile e a volte «indigeribile» il fatto che il Governo stesso sia il principale agente dell'allargamento delle dimensioni quantitative della legge finanziaria. Credo che sia questa la patologia, e non il fatto che un parlamentare o un gruppo parlamentare, in occasione della sessione di bilancio, cerchino di far passare il finanziamento di una strada, che probabilmente sarebbe stata finanziata ugualmente con una «leggina» che avrebbe navigato tra Camera e Senato, tra Commissioni di merito e Commissione bilancio per un paio d'anni e poi, alla fine, sarebbe approdata all'esito conclusivo!
Credo che la patologia del processo di bilancio sia l'emendabilità, non quella tecnico-correttiva, ma quella aggiuntiva da parte del Governo. Si potrebbe chiedere al Governo di rendere chiare le proprie intenzioni fin dal 30 settembre: non c'è ragione di presentare una legge finanziaria con 72 articoli se il Governo ha bisogno di 120 articoli. Se gli articoli devono essere 120, che siano tali dal 30 settembre! Penso che questo sia il vero elemento cardine che rende disordinato lo svolgimento dei lavori nella sessione parlamentare di bilancio, più che l'emendabilità parlamentare in senso stretto. È noto che una parte rilevante degli emendamenti viene presentata dai sottosegretari «in ombra», cioè dai parlamentari della maggioranza o dell'opposizione che operano per conto dei ministeri. Questa è la vera patologia. Molti degli emendamenti sono così tecnici e circostanziati che non potrebbero scaturire dal dibattito politico; essi nascono all'interno dei ministeri e sono presentati da gruppi di maggioranza e di opposizione sollecitati dalle strutture ministeriali e dagli stessi ministri. Credo che una parte rilevantissima degli emendamenti approvati nel corso del dibattito sia alla Camera sia al Senato abbia una pura paternità ministeriale.
Tutto ciò appartiene alla patologia, ha a che fare con il fatto che i parlamentari della maggioranza e dell'opposizione si prestano ad interferire con le decisioni dei ministri che operano al di fuori della collegialità. Questi sono gli aspetti che dovrebbero essere corretti e rivisti. Sono tra coloro che pensano che il processo di bilancio non debba essere riscritto ma che bisogna introdurre delle prassi (anche senza riforme costituzionali) che impediscano gli aspetti degenerativi del lavoro. La legge che è stata approvata è una legge buona, può essere emendata ma non deve essere riscritta; bisogna però trovare strumenti per evitare la degenerazione dei processi. Questo può essere fatto se la Camera, il Senato o il Governo definiscono delle prassi che vincolano, non per via di legge ma sul piano operativo, gli interventi aggiuntivi nel processo di bilancio.
Avendo difeso l'operato del Governo per la sua sostanza, ritengo che questa legge finanziaria, per gli aspetti che ho descritto, sia un'ottima legge finanziaria. Forse sarebbe utile che maggioranza ed opposizione si concentrassero sugli aspetti fondamentali più che sulla polvere che si solleva attorno alla diligenza in viaggio!

BENITO PAOLONE. Ma chi la solleva questa polvere?

PRESIDENTE. Ritengo opportuno, a conclusione del dibattito svoltosi, svolgere alcune brevi considerazioni conclusive.
La Commissione ha lavorato bene in questi anni. Concordo con il sottosegretario Giarda sul fatto che le norme possono funzionare bene, ma a certe condizioni, che non si sono verificate nel corso delle prime due esperienze vissute di applicazione della legge n. 208 del 1999. Tant'è che un minimo di insoddisfazione resta in noi per il modo in cui le norme stesse sono state applicate. A mio avviso si sconta il fatto che il documento


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di programmazione economica e finanziaria lo scorso anno fu redatto, per ragioni di tempo, prima dell'effettiva entrata in vigore della legge n. 208 e dunque si è verificato uno scollegamento netto tra il documento di programmazione e la finanziaria.
Quest'anno ciò non è accaduto. È avvenuto però un altro fenomeno: trattandosi dell'ultima finanziaria della legislatura non sono stati presentati provvedimenti collegati. Per di più si tratta dell'ultima finanziaria prima delle elezioni. Ne è risultato da un lato quello che è stato chiamato «l'assalto alla diligenza» e dall'altro la necessità, in qualche caso anche per il Governo, di inserire in finanziaria provvedimenti e misure che probabilmente in altre condizioni sarebbero state introdotte nei collegati. Ciò può essere criticato, ma di fatto parti salienti di alcuni provvedimenti collegati, inserite nella finanziaria dal Senato, sono state ritenute fondamentali e meritevoli di essere approvate e di entrare in vigore il 1o gennaio 2001.
Non devo difendere i Presidenti delle Camere dalle critiche che sono state mosse loro, perché a mio avviso non ce n'è bisogno. Probabilmente sarà necessario tornare ad una interpretazione molto più restrittiva che consenta di alleggerire la finanziaria di tutti quei provvedimenti che vanno più opportunamente inseriti nei collegati.
La mia preoccupazione, in aggiunta a quella del sottosegretario Giarda, non riguarda tanto gli emendamenti presentati dal Governo; deriva piuttosto dall'impatto di tutti questi emendamenti sulla qualità della legislazione. Tale pratica produce infatti testi legislativi di qualità sicuramente meno che sufficiente. Sono contrario alla tesi di coloro che propongono di abolire il DPEF, che invece rappresenta il momento centrale delle scelte di politica economica del paese; le modifiche dell'articolo 81 della Costituzione sono auspicabili ma, sottosegretario Giarda, dobbiamo avere il coraggio di dirlo: darsi regole comportamentali è molto bello ma rischia poi di portare a contraddizioni nella pratica. La mia sensazione è che occorra intervenire sui regolamenti della Camera e del Senato e sulle regole comportamentali lasciando per ultimo l'intervento sull'articolo 81 della Costituzione, sì auspicabile, ma che probabilmente allontana nel tempo l'efficacia di norme che viceversa richiedono di entrare in vigore fin dalla prossima legge finanziaria.
Desidero segnare un ultimo punto a mio avviso importante, a sottolineatura delle linee generali di politica economica che questa finanziaria presenta e che sono state evidenziate dal sottosegretario Giarda. Ho ricevuto un'elaborazione del CNEL, istituto di rango costituzionale, sui numeri della finanziaria presentata dal Governo e poi licenziata dalla Camera (con una riserva relativa al testo finale), nella quale si sottolinea che, per la prima volta nella storia del paese, l'ammontare della spesa trasferita al sistema delle autonomie supera l'ammontare della spesa delle amministrazioni centrali. È una considerazione che vale la pena rammentare, specie in un momento in cui è particolarmente sentita l'esigenza di sussidiarietà e di autonomia delle amministrazioni locali. Occorre riflettere su questo perché si tratta di un altro piccolo ma non trascurabile segnale della tensione con cui questa finanziaria ha considerato il problema.
Non mi resta che ringraziare tutti i presenti per aver partecipato ai lavori e gli uffici che come sempre, anche in presenza, di più di 1.800 emendamenti, sono riusciti ad ordinarli in così breve tempo. In vista della votazione che avremo tra poco desidero sottolineare che allo stato attuale gli emendamenti della maggioranza si contano sulle dita di due mani...

NICOLA BONO. Anche la maggioranza ha presentato emendamenti? Incredibile!

PRESIDENTE. Sono meno di dieci, tutti gli altri sono dell'opposizione.
Ricordo che, come d'intesa con i gruppi, procederò, dopo una breve sospensione, a porre in votazione i mandati ai relatori a riferire in Assemblea.


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Non essendovi altre richieste di intervento, sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 18, è ripresa alle 18,30.

PRESIDENTE. Prima di precedere alle deliberazioni sulla proposta di conferimento del mandato al relatore sul disegno di legge finanziaria, ribadisco che, in caso di approvazione di quest'ultima, tutti gli emendamenti ed articoli aggiuntivi presentati dovranno considerarsi respinti ai fini della loro ripresentazione in Assemblea.
Pongo in votazione la proposta di dare mandato al relatore Cherchi a riferire favorevolmente in Assemblea sul testo del disegno di legge finanziaria per il 2001, nel testo approvato dal Senato.
(È approvata).

Avverto che chiederò a nome della Commissione l'autorizzazione a riferire oralmente in Assemblea.
Mi riservo di convocare il comitato dei nove.
Avverte che, su intesa unanime dei rappresentanti dei gruppi, gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi testé respinti debbono intendersi tutti ripresentati ai fini dell'esame in Assemblea, salva le valutazioni circa la rispettiva riferibilità ed ammissibilità da parte del Presidente della Camera.
Pongo in votazione la proposta di dare mandato al relatore Niedda a riferire favorevolmente in Assemblea sul disegno di legge recante il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2001 ed il bilancio pluriennale per il triennio 2001-2003 (cui non sono stati presentati emendamenti) nel testo approvato dal Senato.

(È approvata).

Avverto che chiederò a nome della Commissione l'autorizzazione a riferire oralmente in Assemblea.
Avverto infine che i deputati Possa, Bono, Giancarlo Giorgetti, Teresio Delfino e Peretti hanno comunicato che svolgeranno la funzione di relatori di minoranza in Assemblea sui provvedimenti in titolo, a nome dei rispettivi gruppi di appartenenza.

La seduta termina alle 18.40.