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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame della relazione conclusiva.
ELVIO RUFFINO. La proposta di relazione è convincente ed incisiva e fa luce sull'accaduto, anche al di là di quanto accertato dalla magistratura. Compito di questa Commissione non è emettere sentenze, ma accertare la verità a beneficio del Parlamento, a cui rivolgiamo la nostra relazione, e del popolo italiano. Però non posso dimenticare che l'istituzione di questa Commissione fu decisa anche a seguito dell'assoluzione dei piloti del Prowler, che fu subito ed unanimemente giudicata non corrispondente all'effettivo accertamento delle responsabilità.
PIETRO MITOLO. Signor presidente, egregi colleghi, non mi dilungherò perché già il collega Franz si è espresso a nome del gruppo e dopo di me prenderà la parola il collega Marino, vicepresidente, delegato a rappresentare il nostro punto di vista.
piloti responsabili della tragedia e nelle commissioni d'inchiesta tecniche: anche noi abbiamo constatato determinati elementi che ci portano a concludere che la responsabilità precisa discende dalla violazione delle norme emanate che presiedevano all'attività di addestramento e di volo. Quindi, la responsabilità diretta del pilota e del navigatore è incontestabile. Ci spiace dover rilevare che però a questa valutazione non si è adeguato il tribunale americano; le leggi americane sono quelle che sono e non ci è possibile appellarci, per cui, in sostanza, questa tragedia rimane senza una condanna precisa di chi si è reso colpevole.
MARCO BOATO. L'episodio del Falsarego è di molti anni prima.
PIETRO MITOLO. D'accordo, tant'è che andava considerato assieme ad altri fatti. D'altronde, il colonello Durigon, che non era lì da dieci anni, aveva ereditato una situazione di fatto in cui si è mosso secondo i suoi doveri stabiliti dai comandi superiori. È vero che si è poi arrivati, con la commissione Tricarico-Prueher, a modificare profondamente le norme, ma tutto questo è avvenuto perché lo Stato maggiore italiano è stato evidentemente sollecitato dai vari responsabili della catena di comando. Ci si è resi conto che vi erano delle lacune e che era tempo di muoversi per colmarle. Ma fintanto che il colonnello Durigon esplicava la sua attività, tali norme non c'erano, per cui non si può dire che non le abbia fatte rispettare. Se ne assuma quindi la responsabilità chi le ha violate, perché lui - ripeto - non poteva esserne al corrente, né poteva controllare ogni volo.
presso il tribunale militare di Padova e quello di Bari. Tuttavia alla Commissione sembra che il colonnello Durigon abbia assunto un atteggiamento rinunciatario e di eccessiva passività nei confronti dei militari americani presenti nella sua base». Da che cosa lo si deduce? Noi non lo abbiamo appurato. Nessuno di noi è stato in grado, quando abbiamo ascoltato il colonnello Durigon, di contestargli alcunché.
MARCO BOATO. La sfortuna non c'entra niente.
GIUSEPPE DETOMAS. Fu deliberatamente staccato il dispositivo di sicurezza che doveva fermare l'impianto e la fune traente segò la fune portante.
PIETRO MITOLO. Comunque, è una funivia infelice, perché è la seconda tragedia che succede. Quando è stata ricostruita, nessuno si è preoccupato di valutare l'importanza che aveva il tracciato, così come era stato scelto nel primo impianto, nonostante anche allora si verificassero voli a bassa quota, per cui era possibile temere un incidente come quello capitato successivamente. Solo adesso che la funivia ha due tronconi e che è stata liberata la parte di attraversamento, non è più possibile temere un incidente. Ma allora, quando le varie autorità ed enti locali, quando la provincia e la regione si prestavano a fornire copiosi contributi per
la ricostruzione e per far fronte alle richieste di sostegno da parte dei proprietari e dei comuni, che per motivi turistici volevano che il ripristino della funivia fosse il più veloce possibile, si sarebbe dovuto valutare meglio se il tipo di costruzione che veniva realizzato poteva causare tragedie come quella che, purtroppo, in seguito si è verificata.
GIOVANNI MARINO. Signor presidente, colleghi, ho attentamente esaminato la relazione ed ho molto riflettuto su alcune considerazioni del relatore, onorevole Olivieri, che certo ci ha presentato un documento frutto di uno studio sicuramente attento.
vi è stata un'assoluzione ma questi signori sono stati destituiti dal corpo dei marines, una sanzione non di poco conto, infamante. L'assoluzione del pilota e del navigatore non ha alcuna giustificazione, però non possiamo fare nulla contro quella decisione, possiamo solo prendere atto del verdetto. Ma non affermiamo che il fatto che costoro sono stati radiati dal corpo dei marines dimostra che si è voluto fare sul serio! Il verdetto della corte americana ha destato sconcerto e stupore non solo tra le popolazioni del Trentino, direttamente colpite, ma tra tutti gli italiani.
comportato denunce di danni a persone o cose. Solo in 34 di questi casi è stato possibile identificare l'aereo. Il dato finale delle 73 proteste, con conseguenti accertamenti da parte dell'Aeronautica, è stato l'emissione di un solo provvedimento disciplinare nei confronti dell'equipaggio; sono stati accertati diversi casi in cui si sono verificate situazioni molto simili a quelle che hanno occasionato la tragedia del Cermis: nel 1987 è stata colpita la funivia del Falzarego e vi sono stati diversi feriti (per fortuna la cabina era ferma alla partenza); altri casi si sono verificati (...). Vi è stato poi il sorvolo di Torbole, del giugno 1997, ad opera di un aereo italiano».
a capire quale messaggio possa essere interpretato come una cartolina d'auguri inviata per conoscenza! Se un messaggio ha dei destinatari, questi devono avere un loro ruolo particolare, altrimenti a cosa serve? Quindi, una certa confusione c'era nelle norme e nelle disposizioni che dovevano essere applicate dai soggetti cui erano indirizzate.
dovere di non fermarci ai soli comandi militari, ai piloti, eccetera, ma di far presente e di far capire che, se fossero stati adottati tempestivamente taluni provvedimenti, la tragedia del Cermis non si sarebbe verificata. Questo dobbiamo dirlo con forza.
CESARE RIZZI. Direi che la relazione del collega Olivieri è fatta bene, anche se potremmo parlarne per ore. A mio avviso, è vero, se si fosse tenuto conto delle segnalazioni venute da più parti e se fossero state adottate le misure necessarie, che questa tragedia si sarebbe potuta evitare. Sono stato tra i primi a dare tutta la colpa ai piloti, che a mio parere erano due pazzi, e ricordo che per questo qualcuno in Commissione mi guardava in maniera un po' strana, ma nella relazione leggo: «La Commissione, pur nel rispetto dei pronunciamenti della Corte americana, non può non tener conto dei molteplici indizi raccolti, quali: la riunione tenuta due giorni dopo la tragedia dal maggiore generale Ryan, comandante del secondo stormo aereo dei Marines, nella quale ha rimproverato i piloti dei Prowlers, riferendo della fama, che si erano fatti, di non rispettare le regole e di amare il volo radente, e annunciando l'avvio di inchieste interne». Mi chiedo per quale motivo non si sia intervenuti prima nei confronti di questi due piloti, dal momento che le caratteristiche del volo dell'incidente sembra facciano pensare piuttosto ad un «volo premio»! Ho detto subito che questa era una tragedia annunciata, come peraltro ha verificato la relazione. È agghiacciante quanto è emerso ultimamente a proposito della manovra spericolata dei piloti negli istanti immediatamente precedenti all'impatto: mi riferisco alla frase pronunciata dal navigatore, il quale, pochi istanti prima del passaggio sul Cermis, gridò «obiettivo in vista». Dunque, si trattava di due piloti che per me erano due pazzi, tant'è vero che gli Stati Uniti li hanno radiati dai Marines. Questa è una pena piuttosto pesante per gli Stati Uniti, però per me non basta. La verità è che quei due piloti non era la prima volta che compivano una manovra così spericolata: l'avevano fatta più volte, fino a quando quel giorno hanno centrato in pieno la funivia del Cermis. Diciamolo chiaramente: non era la prima volta che facevano voli a bassa quota, tanto è vero che il parroco di Molina di Fiemme ha dichiarato che gli era già capitato di vedere questi aerei entrare nella valle e volare a meno di 30 metri. Siamo chiari: volare a 30 metri e a 300 all'ora è un fatto gravissimo, per cui ciò che rimprovero al Governo è di non aver fatto niente. Nessuno ha detto niente e si è lasciato che due pazzi ne facessero di tutti i colori!
Credo che per la giustizia italiana avrebbero meritato di peggio. Su questa tragedia si potrebbe parlare per ore intere, perché la responsabilità è un po' di tutti, ma non me la sento di condannare altre persone.
GIUSEPPE DETOMAS. Ringrazio l'onorevole Olivieri per la relazione che in larga misura condivido, i collaboratori e gli Uffici per l'assistenza che ci hanno dato.
l'unanimità e condivisa da tutti: sarebbe la soluzione migliore per il Parlamento, per la comunità che è stata segnata da questo evento e per le vittime della tragedia, che sicuramente meritano una risposta diversa, in termini di giustizia e di accertamento della verità, rispetto a quella dei tribunali americani e, purtroppo, dei nostri tribunali.
PRESIDENTE. Dichiaro conclusa la discussione generale e rinvio il seguito dell'esame alla prossima seduta convocata per stasera.
La seduta termina alle 11.35.
Ricordo che nella seduta di del 31 gennaio scorso è stata aperta la discussione generale sulla proposta di relazione.
Cedo subito la parola all'onorevole Ruffino.
Sulla costituzione della Commissione d'inchiesta non ci fu unanimità. Io ho avuto il compito di relatore delle varie proposte avanzate e ricordo bene le perplessità diffuse che vi erano al momento della sua istituzione e le posizioni che le varie forze politiche assunsero: il Polo si astenne, mentre la Lega sostenne con forza questa esigenza. Mi pare che oggi i risultati confermino largamente la giustezza della posizione di chi volle questa inchiesta.
La relazione, che giudico in modo molto positivo, la responsabilità dell'equipaggio è risultata chiara ed indiscutibile e va fatta risalire al suo comportamento scellerato, però occorre distinguere le responsabilità dirette e immediate dalle valutazioni di contesto. La relazione, infatti, ricostruisce un quadro molto definito anche delle condizioni generali nelle quali è potuto avvenire il grave atto di indisciplina.
La ricostruzione della situazione e delle manchevolezze della catena di comando statunitense è un ulteriore pregio di questa relazione, per la quale dobbiamo ringraziare il collega Olivieri e i consulenti della Commissione che hanno collaborato con lui.
Il giudizio positivo non esclude che possano essere introdotti miglioramenti e correzioni, come già anticipato da molti colleghi che pure hanno condiviso il mio giudizio positivo. Ciò ci potrà consentire di giungere ad un'approvazione possibilmente unanime, al di là delle differenze politiche, per il particolare ruolo che svolgiamo in questa Commissione che deve esprimere un giudizio prescindendo dalla collocazione politica.
Francamente credo che sia opportuno che lo stesso relatore formuli gli emendamenti a completamento del lavoro già svolto, proprio per motivi di continuità, di competenza e di equilibrio. In particolare, concordo con chi ha rilevato che debba essere approfondita la valutazione sulla catena di comando italiana: la mancanza di determinazione rilevata nell'operato del colonnello Durigon ha come origine una particolare scelta personale o corrisponde ad una più generale mancanza di determinazione di tutta o di parte della catena di comando? Questo è un interrogativo che mi pare lecito porsi. Inoltre, sulla base degli accertamenti svolti, credo che possiamo dire che sembra più vera l'ipotesi che l'atteggiamento del colonnello Durigon non fosse isolato, ma che vi fosse nella catena di comando italiana qualche snodo non chiaro in rapporto alla responsabilità, come dimostrato anche dall'episodio dell'ordine diffuso per conoscenza e quindi non cogente.
Non ho avuto la sensazione di un'attività decisa di messa in guardia e di controllo severo sull'attività addestrativa, nonostante le carenze dell'azione dell'aeronautica statunitense fossero significative e potessero essere rilevate da occhi esperti; nonostante si fossero verificati fatti gravi come quello del Falzarego e vi fossero denunce dei cittadini che avrebbero dovuto imporre la massima allerta e l'avvio almeno di un'azione per giungere a nuovi accordi e a nuove procedure, un'attività questa intervenuta solo dopo la tragedia.
Ho avuto personalmente l'impressione che i rapporti con le forze armate alleate fossero tenuti con particolare prudenza, contando su intese bilaterali ma senza esprimere la necessaria assunzione di responsabilità e dunque la determinazione nel controllo della sicurezza dei voli.
A queste valutazioni devo aggiungere che mi pare evidente che vi fosse contestualmente nelle forze politiche e negli organi di Governo una sottovalutazione della necessità di affrontare il problema, probabilmente considerandolo assorbito dalla scelta generale di conferma delle alleanze politiche e militari del nostro paese. Alla luce del lavoro che abbiamo svolto, possiamo dire che non è così, perché una cosa è la scelta politica di far parte delle alleanze e altra cosa è come stare all'interno di queste alleanze e come garantire il diritto dei cittadini alla sicurezza.
Dicendo questo riprendo quanto affermato nel corso della sua audizione dall'allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Marco Minniti, che non si è sottratto al tema dandone una motivazione storica ma sottolineando anche i ritardi e la concreta opera intrapresa dal Governo in carica per voltare pagina.
I nuovi accordi intervenuti, la nuova determinazione dimostrata, sono senz'altro la dimostrazione che il nostro paese vuole voltare pagina e fare in modo che quanto è accaduto non possa ripetersi in futuro. Ma perché non ci siano ritorni indietro o arretramenti su questa linea, penso sia decisivo il nostro lavoro e il fatto che questa Commissione lo concluda con una relazione ricca e documentata, in cui non solo le responsabilità siano definite a carico di chi materialmente si è reso colpevole di gravissime indiscipline, ma anche le omissioni, le carenze normative, le debolezze e le eccessive prudenze politiche siano segnalate ed analizzate.
Dopo aver letto e valutato la proposta di relazione, che potrà essere migliorata, ho la convinzione che stiamo effettivamente raggiungendo questo obiettivo.
Indubbiamente quello svolto da questa Commissione è stato un lavoro accurato, serio, responsabile, che ci ha consentito di raccogliere un'infinità di elementi per poter esprimere un giudizio con scienza e coscienza. Non siamo andati molto oltre quanto è emerso nel processo agli sciagurati
Mi soffermerò su una parte della relazione che riguarda la catena di comando italiana. Mi pare un po' tirato per i capelli il giudizio che ho sentito esprimere nei confronti del colonnello Durigon. Dalla relazione emerge che egli, l'unico citato, potrebbe essere considerato corresponsabile perché avrebbe mancato a non ben precisati doveri in particolare nel rispetto delle norme di protocollo e ingaggio che presiedevano al suo incarico di comandante della base di Aviano. A me ciò non risulta in primo luogo dall'interrogatorio del colonnello, ma neppure dai documenti, nel senso che nessuno ha dichiaratamente sollevato il problema e il colonnello Durigon è stato prosciolto da ogni addebito. Quindi si fa riferimento a fatti ipotetici. Il comandante dell'aeroporto di Aviano, nei suoi rapporti con il 31o stormo, applicava le norme previste dagli accordi internazionali. Non era tenuto a controllare ogni volo di addestramento e, alla fine dei voli, i piloti non si presentavano da lui a fare rapporto; nemmeno gli arrivavano documenti; non ha mai esaminato le scatole nere o le riprese dei voli e tantomeno quelle della sciagura, anzi è stato lui che per primo si è precipitato, senza essere stato avvertito, verso il Prowler al rientro dalla missione per cercare di ottenere quanti più documenti fosse possibile, poiché si è reso conto immediatamente della gravità del fatto.
Noi anzitutto dobbiamo occuparci degli eventi e, per quanto attiene alle valutazioni su precedenti azioni e sull'attività di addestramento, non ci sono prove precise che possano far convergere sulla catena di comando italiana chissà quali responsabilità. Anche l'episodio del Falzarego, che risale a molti anni prima, contribuì a fare in modo che lo Stato maggiore dell'aeronautica emanasse e richiamasse le circolari dell'aprile del 1997 che imponevano l'aumento della quota di volo.
Quanto riporta la relazione in proposito è contraddittorio, a mio giudizio: «Riguardo alla catena di comando italiana, la Commissione condivide le conclusioni cui sono pervenute le autorità giudiziarie militari, che non hanno ravvisato responsabilità penali di sorta a carico della medesima e, più precisamente, a carico del comandante della base di Aviano, colonnello Orfeo Durigon, e del responsabile del COA/COM di Martina Franca, tenente colonnello Celestino Carratù, indagati nell'ambito dei procedimenti penali svoltisi, rispettivamente,
A mio avviso vi è la ricerca di un responsabile per scaricare la responsabilità sulla forza armata anziché sulle forze politiche che in questi ultimi periodi hanno guidato il Governo. La responsabilità è più dei vari Governi che delle forze armate. È facile scaricare su queste ultime ciò che, viceversa, compete alle forze di maggioranza e al Governo. Sappiamo, anche se non eravamo al Governo - per la verità non ci siamo mai stati - a quali Governi e a quali forze politiche si riferisse lo stesso collega Ruffino allorché ha accennato ad una valutazione di carattere politico.
Tutto ciò ci porta a concludere che la chiamata di correo del colonnello Durigon è una forzatura, tant'è che nella relazione stessa si legge: «È pur vero che gli accordi internazionali non li attribuivano penetranti capacità di controllo e poteri operativi di inibizione dei voli (...)». E vi pare poco? E vogliamo accusarlo di essere stato passivo? Se aveva compiti e doveri, non poteva che rispondere nell'ambito dei medesimi. Nella relazione affermiamo che non aveva penetranti capacità di controllo e poteri operativi di inibizione dei voli, ma aggiungiamo anche che «tuttavia egli aveva pur sempre l'obbligo, in base agli accordi, di segnalare ai propri omologhi statunitensi la necessità di rispettare le disposizioni vigenti sui voli a bassa quota nella zona in cui si è verificato il sinistro (...)». Rispetto a tutto il complesso dei suoi compiti, a me sembra che questa sia, in sostanza, la cosa più normale ed elementare. Risulta agli atti, infatti, che siano state consegnate le carte geografiche, ma se nessuno glielo comunicava, come faceva il colonnello Durigon a sapere che non venivano usate durante i voli? Come faceva ad accorgersi che quei piloti non seguivano le più elementari norme di cautela e di sicurezza?
Apprezzo il lavoro, l'impegno e la serietà del collega Olivieri, ma nel suo lavoro ho l'impressione che vi sia non tanto una sorta di partigianeria, che potrebbe sembrare una diminutio senza consistenza, quanto il tentativo di addossare responsabilità all'aeronautica italiana, quasi cresca i suoi piloti sviluppando in loro un sentimento goliardico e di spericolatezza nelle operazioni di volo (esercitazioni a bassa quota, passare sotto i ponti, eccetera). A mio avviso, ciò poteva avvenire e può essere avvenuto nei tempi eroici dell'aviazione, ma sicuramente adesso non è neanche immaginabile.
Mi preme invece sottolineare la responsabilità, anche indiretta, riconducibile a quella funivia, che è nata sfortunata. Tutti ricordano, infatti, che il primo disastro della funivia del Cermis fu dovuto, addirittura, al colpo di frusta delle funi, che si incrociarono e che spezzarono la fune traente...
Ricapitolando quindi le mie osservazioni sul punto specifico, rifiuto che nel documento possa apparire una qualsiasi forma di riprovazione e di condanna non solo nei confronti del comandante Durigon ma della forza armata, che in questo campo si è comportata secondo quanto era previsto e prescritto dalle norme. Che poi queste ultime fossero superate e che successivamente ci si sia adeguati - il che purtroppo è avvenuto per effetto della tragedia - attiene ad un altro giudizio. Ma mentre vigevano certi principi e certe disposizioni, non si può dire che qualcuno della forza armata abbia mancato al proprio dovere. Subordiniamo pertanto l'approvazione del documento in esame alla cancellazione dei rilievi mossi, a mio avviso spesso anche in forma pesantemente offensiva, nei confronti dell'arma aerea.
La relazione si compone di sei parti e l'ultima è riservata alle conclusioni. Debbo dire subito che esse sono da me condivise solo in parte, perché mi sembra che vadano integrate e arricchite con altre osservazioni, considerazioni e proposte (alcuni rilievi li abbiamo già ascoltati dai colleghi del mio e di altri gruppi). Ho motivo di ritenere che qui siamo tutti animati dallo stesso intento, cioè quello di pervenire a conclusioni che possano davvero considerarsi valide in relazione, soprattutto, all'abbondante materiale raccolto dalla Commissione (preziosissimo quello dei magistrati di Trento, di Padova e di Bari), che ci consente valutazioni chiare e precise.
Mi preme anzitutto ricordare come nella delibera con la quale è stata istituita la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle responsabilità relative alla tragedia del Cermis si faccia presente che il suo compito è quello di far piena luce sugli avvenimenti, sulle cause e sulle responsabilità ad ogni livello (sottolineo «ad ogni livello»), accertare l'adeguatezza delle norme che disciplinano i voli di addestramento militare in Italia, verificare le procedure ed i sistemi di controllo di tale attività di volo (articolo 1 della deliberazione costitutiva).
Domando al relatore: le conclusioni che sono state inserite nella proposta di relazione ci portano realmente a dire che ci siamo spinti fino all'accertamento delle responsabilità ad ogni livello, oppure che ci siamo improvvisamente fermati su considerazioni, che possono essere accettabili o meno, ma che comunque non vanno oltre determinati limiti?
Signori, la tragedia del Cermis purtroppo era annunciata; vi erano stati avvertimenti, segnali, campanelli d'allarme e bisognava provvedere adeguatamente. È importante ciò che si è fatto subito dopo la tragedia del 3 febbraio 1998, però è più importante accertare quello che non si è fatto prima e che pur bisognava fare. Questo è il punto essenziale su cui noi siamo chiamati a dare una risposta molto precisa.
Nella vicenda sono emersi più problemi: quello della riserva di giurisdizione, quello dei rapporti tra i militari italiani e i militari alleati e delle norme che disciplinavano tali rapporti; la decisione della corte marziale americana; il Trattato di Londra e le clausole relative alla riserva di giurisdizione, eccetera.
Ci sono alcuni punti certi che io voglio brevemente almeno in parte riassumere: non c'è dubbio sulla responsabilità dell'equipaggio dell'aereo americano, ed è per questo che il verdetto della corte americana ha destato grande sconcerto. Non consoliamoci, collega Olivieri, col dire che
Questi aspetti della vicenda sono emersi in maniera molto chiara e la magistratura italiana che se ne è occupata sotto il profilo delle responsabilità penali - e qui ha ragione il mio carissimo amico onorevole Mitolo - ha scagionato totalmente il colonnello Durigon e non mi risulta che nei suoi confronti sia stata adottata una sanzione disciplinare. Dal processo e dagli accertamenti che abbiamo fatto, ciò non emerge e allora ha ragione Mitolo quando dice «Andiamoci piano prima di colpire una persona che si è mossa nell'ambito di norme, infelici e insufficienti, che non gli consentivano di andare oltre».
Le autorità giudiziarie italiane, per superare il problema della riserva di giurisdizione, hanno cercato di affacciare un'ipotesi come quella prevista dall'articolo 432 del codice penale (attentato alla sicurezza dei trasporti), oppure all'articolo 117 del codice penale militare di pace (omessa esecuzione di incarico). Queste ipotesi sono state completamente abbandonate. Ciò dimostra quanto difficile sia stata l'opera di coloro che si sono occupati della vicenda.
Il problema della riserva di giurisdizione prevista dal Trattato di Londra, collega Olivieri, è il primo rilievo che occorre fare alle autorità politiche italiane. Si dice che noi ce ne siamo avvalsi in più occasioni, ma ciò non vuol dire niente. Lo stesso relatore, nella sua esposizione, ha fatto alcune considerazioni circa la rielaborazione di questa parte del Trattato. Bene ha detto il collega Ruffino quando, con molto garbo, ha fatto presente che emerge una sottovalutazione dell'aspetto politico della vicenda e noi dobbiamo essere chiari e dobbiamo concentrare la nostra attenzione non sulle figure minori ma su chi aveva le maggiori responsabilità.
La Turchia e la Germania hanno rinegoziato le clausole del Trattato di Londra relative alla riserva di giurisdizione appunto perché venivano considerate inadeguate ed insufficienti. I nostri Governi non hanno fatto niente; non si sono attivati per nessun motivo e avrebbero potuto e dovuto farlo.
Non dimentichiamo le continue segnalazioni e il fatto che la tragedia è stata certamente determinata dal comportamento dell'equipaggio dell'aereo americano che ha violato tutte le norme di sicurezza previste per i voli a bassa quota (velocità e altezza) e lo ha fatto non una ma più volte, come emerge chiaramente dagli atti.
A pagina 21 della proposta di relazione si legge che «L'audizione dei rappresentanti delle comunità locali, sindaco di Cavalese e presidente della provincia autonoma di Trento, e di quelli della società civile, comitato 3 febbraio per la giustizia, ha permesso di avere un'impressione diretta di quale fosse l'impatto dei voli militari sulle popolazioni e di conoscere le azioni da tempo intraprese da parte delle amministrazioni locali per segnalare gli abusi che si verificavano, con grave disagio e preoccupazione della popolazione, e per sollecitare gli interventi della autorità centrali». Cosa hanno fatto le autorità centrali il cui intervento era stato sollecitato?
A pagina 24 si legge: «solo nei tre mesi precedenti il fatto», che risale al febbraio del 1998 «449 missioni a bassa quota sul territorio nazionale, di cui 46 americane; di queste, 84 (27 americane) hanno interessato la provincia di Trento». E ancora: «circa l'impatto dei voli a bassa quota sulle popolazioni locali, si sono accertate 73 proteste formali, da parte di vari organi o persone, 13 delle quali hanno
A pagina 30 c'è un punto ancora più importante laddove si legge che «Il sindaco di Cavalese ha rilevato quanto segue: i voli militari nella Val di Fiemme hanno creato una situazione di profonda insicurezza e paura tra gli abitanti, tuttavia alle frequenti lamentele si rispondeva che i voli erano regolari. La questione è dunque di natura politica, in quanto lo Stato italiano ha permesso che un'attività addestrativa, pericolosa e fastidiosa, si svolgesse in un territorio particolarmente delicato quale è quello delle valli alpine: è lo Stato che stabilisce le regole. Il comune ha fatto quanto in suo potere per sensibilizzare gli organi competenti. Vengono, quindi, presentate varie denunce relative a vari episodi verificatisi dal 1981 ad oggi».
Vado oltre la pagina 31, della quale parlerò alla fine di questo mio intervento perché mi pare ponga interrogativi molto importanti, e passo alle pagine 45 e 46 dove si legge che «In data 18 luglio 2000 la Commissione ha svolto l'audizione di Giorgio Fontana, già sindaco di Cavalese dal 1978 al 1990, il quale si è soffermato sui seguenti punti: il 14 ottobre 1981 alle ore 15 e 15, Fontana testimone oculare, un aereo da caccia transitò a non più di 100 metri dall'abitato della frazione Masi di Cavalese, passando sotto i cavi della funivia del Cermis. Su suggerimento della locale stazione dei Carabinieri, Fontana aveva inviato una protesta al V Comando territoriale di Padova, senza ricevere risposta. Due anni dopo, luglio 1983, era accaduto un episodio analogo».
A pagina 60 è riportato che «Le indagini della Procura della Repubblica di Trento hanno accertato, inoltre, numerosi analoghi precedenti.» - appare evidente il ripetersi di questi episodi che, come campanelli di allarme, avrebbero dovuto sensibilizzare tutti - «Nei soli tre mesi trascorsi prima dell'incidente del Cermis negli spazi aerei italiani erano state eseguite ben 499 missioni a bassa quota (di cui 46 statunitensi), di cui 84 sulla provincia di Trento (di queste 27 erano americane). Vi erano state 73 proteste e/o denunce formali da parte delle comunità interessate contro i voli a bassa quota: ben 11 tra queste missioni erano state eseguite dagli aerei rischierati per l'operazione Deliberate Guard (su un totale di 69 sortite addestrative di squadriglia) sebbene gli accordi italo-statunitensi a riguardo non prevedessero voli di addestramento per gli equipaggi di tali velivoli. In precedenza si erano create situazioni di rischio analoghe che poi hanno originato il sinistro della funivia del Cermis». In proposito, si fa riferimento a quella del 27 luglio 1987, a quella di Cortina d'Ampezzo dell'11 ottobre 1995 e ad altri episodi.
Dunque, segnalazioni continue e costanti innegabili perché riportate in atti dell'autorità giudiziaria, sicuramente super partes. Nell'esame dell'abbondante materiale raccolto ci siamo trovati ad occuparci di qualcosa di veramente strano, almeno per noi che viviamo nel mondo del diritto e che, quindi, siamo abituati ad un certo rigore mentale nella valutazione di determinati atti: mi riferisco al messaggio dello stato maggiore dell'aeronautica del 21 aprile 1997, di cui nella relazione si fa cenno nella parte relativa alle conclusioni, a proposito del quale vi è qualcosa di strano che andava e che va comunque chiarito, anche se mi sembra che dopo la tragedia del Cermis siano state adottate altre determinazioni per evitare che insorgessero equivoci. Per esempio: il messaggio aveva natura precettiva o meno? Personalmente, non riesco
Quanto riportato a pagina 31 della relazione è di importanza straordinaria e mette in rilievo, onorevole Olivieri, legami e responsabilità politiche dei Governi in carica, specialmente di quelli in carica prima del 3 febbraio 1998. Circa le segnalazioni - che sono state tante e abbondanti - non basta dire che non si poteva stabilire ad occhio nudo l'altezza e la velocità, perché poi ve ne sono state alcune molto precise. Ecco quanto detto, infatti, a pagina 31 della relazione, con riferimento all'audizione del presidente della provincia di Trento, dottor Lorenzo Dellai: «Su sollecitazione della provincia, la conferenza dei presidenti delle regioni e delle provincie autonome, il 5 febbraio 1998 venne approvato un ordine del giorno con il quale, oltre ad auspicare che l'inchiesta non fosse sottratta alla giurisdizione italiana e a chiedere al Governo di vietare voli a bassa quota, 'manifesta sconcerto e dolore per una strage che era prevedibile e prevenibile'». Domando a lei, onorevole Olivieri, e ai colleghi della Commissione: dobbiamo dare una risposta a questa affermazione così grave? Se la strage era prevedibile e prevenibile, chi doveva prevenirla? Lo chiedo all'autorità che avrebbe dovuto adottare le misure che non sono state adottate. «Prevedibile e prevenibile» è un'affermazione molto importante alla quale dobbiamo dare una risposta. Perché non si è adottata alcuna determinazione dinanzi alle segnalazioni e come è possibile che una tragedia prevedibile e prevenibile abbia lasciato del tutto indifferenti le autorità centrali dello Stato?
Sempre nella relazione si legge: «Riguardo all'attività svolta dalla provincia anteriormente alla tragedia del Cermis, sono di particolare importanza alcuni documenti: l'ordine del giorno del consiglio provinciale di Trento del 9 luglio 1996, con il quale si manifestava la preoccupazione per alcuni incidenti causati da aerei militari e si chiedevano provvedimenti per evitarli nel futuro». Ci troviamo quindi non più dinanzi alla segnalazione del cittadino anonimo, dell'uomo della strada o del parroco, ma dinanzi a segnalazioni che provengono da organi particolarmente qualificati, di notevole rilevanza istituzionale: l'ordine del giorno del consiglio provinciale di Trento del 9 luglio 1996, con il quale si manifestava la preoccupazione per alcuni incidenti causati da aerei militari e si chiedevano provvedimenti per evitarli nel futuro, e una successiva lettera del presidente della provincia pro tempore al ministro della difesa, che faceva riferimento a tale ordine del giorno. A questo punto, credo che il Governo avrebbe dovuto attivarsi, prendere provvedimenti, vedere cosa accadeva nel Trentino, che cos'erano questi voli a bassa quota, che pericoli creavano alle popolazioni. Ma tutto tace. Anzi, vi è una fredda risposta burocratica che, forse, serve a dimostrare come a Roma non si siano resi conto o non si siano voluti rendere conto della gravità della situazione.
In merito a quella lettera del presidente della provincia, nella relazione si legge: «Il ministro della difesa rispose assicurando l'impegno del Governo ad emanare apposite regole per disciplinare l'attività di volo a bassa quota. La provincia ha quindi fatto proprie le lamentele dei cittadini, riportandole a livello di Governo».
Se nelle conclusioni non facciamo riferimento a questa pagina importante della proposta di relazione, cioè a questi episodi, a questi avvertimenti, a questi campanelli d'allarme, al grido angoscioso di questa zona del Trentino, a mio avviso non possiamo dire di aver fatto il nostro dovere. Dobbiamo avere la serenità di affermarle queste cose. Per accertare responsabilità ad ogni livello, in base a quanto detto all'articolo 1 della delibera istitutiva della Commissione, abbiamo il
A conclusione del mio intervento, invito il relatore a rivedere la parte relativa alle sue conclusioni. Siamo mossi da intendimenti costruttivi ma anche dalla ferma volontà di trarre le giuste conseguenze dalle premesse contenute nella relazione e di dire pane al pane e vino al vino. Avere coraggio è certamente nostro dovere.
Un altro punto da sottolineare è che questi piloti volavano con carte di volo americane, non italiane. Le cose sono cambiate dopo la tragedia, quando tutti gli aerei sono stati dotati di carte italiane. A mio avviso, ciò significa che qualche piccolo errore è stato fatto.
Avendo a che fare con due piloti del genere, che secondo me erano molto conosciuti sia dai Marines, sia dalla NATO, sia dai comandanti che si sono succeduti, mi chiedo per quale motivo si sia continuato a lasciarli volare, nonostante non fosse la prima volta che compivano voli a bassa quota. Diciamolo fuori dai denti: questi giocavano alla roulette russa, perché se non riuscivano a passare sotto la funivia l'avrebbero centrata. La frase «obiettivo in vista» è indicativa dei soggetti con cui si aveva a che fare.
In conclusione, vorrei dire che se è giusto condannare lo Stato, che ha sottovalutato tutte le segnalazioni che venivano da più parti, vanno anche condannati questi due piloti, che sono stati sì radiati, ma anche graziati dalla giustizia americana.
Condanno solo questi due piloti e chi li ha fatti volare, chi ha continuato a puntare su di loro, chi non ha capito di avere a che fare con due pazzi che giocavano fin dal primo giorno facendo voli a bassa quota. Ricordo che fin dall'inizio ho detto che questa gente stava giocando come, d'altro canto, si desume dalla relazione: stavano giocando e purtroppo ci hanno rimesso la vita venti persone.
L'unico addebito da ascrivere al Governo e ai generali che si sono succeduti è che nessuno è intervenuto prima per far sì che questi piloti venissero privati dei voli sui Prowlers, evitando così una tragedia. A volte succede che la sottovalutazione di certi problemi porti ad una tragedia.
Desidero intervenire per fare una sorta di replica rispetto agli interventi dei colleghi. In particolare, mi preme sottolineare un aspetto che i colleghi Marino e Mitolo hanno evidenziato con forza: anche io ritengo che cercare ad ogni costo un capro espiatorio e trovarlo nel colonnello Durigon sia una forzatura. Se vi sono delle responsabilità, esse sono più generali. Dalle audizioni che abbiamo svolto è emerso il clima di soggezione cui ha fatto riferimento, ad esempio, il procuratore della Repubblica di Trento, ed una conferma indiretta di tale clima di soggezione psicologica, derivante anche da un'oggettiva situazione tecnologica e addestrativa inferiore rispetto ai colleghi americani, è venuta nel corso dei colloqui informali avuti nel corso della missione ad Aviano, parlando con i nostri militari. Credo sia onesto darne atto nella relazione.
Non mi piace e non credo sia giusto fare un processo alle Forze armate e credo che la preoccupazione dei colleghi Mitolo e Marino sia infondata: non vogliamo processare le Forze armate e tantomeno l'Aeronautica militare; nello stesso tempo non vogliamo fare un processo alla classe politica che fin qui ha avuto la responsabilità di quel settore particolare, però credo sia giusto rilevare le manchevolezze che ci sono state, se ci sono state: in questo caso mi riferisco alla soggezione che si percepiva, ma che è difficile da accertare in base ad elementi oggettivi. Su questo ritengo che responsabilità siano da ascrivere da un lato alle nostre Forze armate, dall'altro ai responsabili dell'aeroporto di Aviano, e dall'altro ancora alle forze politiche. Però, ripeto, questo non è un atto di accusa nei confronti delle forze politiche, né delle Forze armate: è solo un elemento su cui riflettere. Da questo punto di vista gli esiti della commissione Tricarico-Prueher ci confortano, perché se si è ritenuto necessario rinegoziare o rivedere alcune procedure sulla disciplina dei voli e sull'uso delle basi sul territorio italiano, è evidente che sono stati riscontrati elementi che andavano integrati e rivisti.
Negli interventi dei colleghi vi sono stati alcuni riferimenti, anche velati o non espliciti, ad una sorta di corresponsabilità degli enti locali che non sarebbero intervenuti con sufficiente forza per far cambiare la normativa o la prassi che regolavano i voli a bassa quota in Trentino. Su questo credo si debba assolutamente fare chiarezza. Quello che potevano fare gli enti locali lo hanno fatto e hanno protestato quando occorreva, ovviamente nelle forme proprie di un ente locale. Credo che da questo punto di vista nessuno possa dire nulla sull'operato dei comuni, dei sindaci, del consiglio provinciale, dell'istituzione provinciale che si è mossa con uno degli atti più importanti di cui dispone, cioè la mozione. Credo che la Commissione possa condividere questo punto, anche perché - ripeto - quando occorreva, le segnalazioni sono state fatte.
Un altro rilievo è stato fatto sull'operato della magistratura che avrebbe agito in maniera poco incisiva in occasione dell'accertamento delle responsabilità, un rilievo questo assolutamente infondato, nel senso che la magistratura inquirente ha svolto un lavoro prezioso, anche per la Commissione, accurato e approfondito. Inoltre, l'ostacolo dell'interpretazione degli accordi di Londra ha rappresentato un elemento oggettivo che ha imposto la soluzione dell'archiviazione per carenza di giurisdizione.
Per quanto riguarda la parte relativa alle proposte, sottolineo la questione emersa nel corso dell'incontro che abbiamo avuto questo fine settimana, in occasione del terzo anniversario della tragedia, con i parenti delle vittime: credo che meritino una valutazione seria gli strumenti, gli accorgimenti e le soluzioni per garantire una maggiore sicurezza di impianti come quelli del Cermis che, come sottolineava prima il collega Mitolo, hanno qualche imprecisione, magari dal punto di vista tecnico. Occorrerà, per esempio, che la legge imponga le segnalazioni, anche visive, degli ostacoli rappresentati dalle funi, dai loro sostegni o dai tralicci, proprio perché possono rappresentare un pericolo, non tanto per gli aerei, che, naturalmente, non potrebbero volare a quelle quote, ma per gli elicotteri e per gli incidenti e gli errori umani dei piloti di aerei. In merito, credo debba essere fatta una riflessione tecnica, considerando anche l'impatto ambientale di questo tipo di accorgimenti tecnici.
Quanto al rilievo del collega Mitolo sulla responsabilità degli enti locali e di quelli che avevano la potestà di autorizzare la costruzione della funivia, ricordo che il primo disastro del Cermis, quello del 1976, è ascrivibile non al fatto che fosse un impianto sfortunato ma all'errore umano, all'imprudenza e alla negligenza dei responsabili della funivia, che hanno disattivato i sistemi di sicurezza, con ciò causando la rottura della fune portante da parte di quella trainante. All'epoca non era ipotizzabile un impianto come quello costruito recentemente, in occasione del secondo disastro del Cermis. La soluzione attualmente adottata per collegare le piste del Cermis con il paese di Cavalese, all'epoca non era ipotizzabile perché tecnologicamente non si era in grado di realizzare un impianto di un certo tipo. Dunque, per ricostruire un impianto di risalita che collegasse il paese di Cavalese con la montagna del Cermis, era evidente che quella era l'unica soluzione. Evidentemente, nessuno immaginava un disastro come quello verificatosi, perché assolutamente imprevedibile.
Credo che una riflessione meriti anche la proposta relativa alle modifiche dei criteri di indennizzo, in quanto non è pensabile intervenire, come abbiamo fatto adesso, con leggi ad hoc per sanare evidenti ingiustizie derivanti dall'assoluta insufficienza dei criteri di indennizzo per i parenti delle vittime. Ritengo opportuno rivedere tali criteri, ipotizzando anche forme di responsabilità diversa rispetto a quelle adesso regolamentate dal codice. Per quanto riguarda la tragedia del Cermis, ci siamo trovati di fronte al problema non solo dell'indennizzo ai parenti delle vittime ma anche di una località che, essendo turistica e vivendo quindi d'immagine, prescinde e va oltre il dato oggettivo dei danni materiali. Si tratta di un danno di difficile prova dal punto di vista giudiziario, ma esiste ed è quantificabile, in quanto la campagna per la promozione di un certo marchio e di una certa località costa. Tenerne conto, quindi, potrebbe essere un utile criterio per determinare i cosiddetti danni da lucro cessante. Credo che anche questo punto meriti una riflessione della Commissione, in modo da offrirla al Parlamento nel caso in cui ritenga opportuno modificare la disciplina dei risarcimenti e degli indennizzi per i disastri di questo tipo.
Considerato che la Commissione ha lavorato bene e con un buon metodo, ritengo che vi siano tutte le premesse per arrivare ad una relazione approvata al