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Seduta del 28/2/2001


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Audizione di Umberto Biasin, presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Umberto Biasin, presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione. Al nostro interlocutore chiediamo quindi di intervenire in particolare sulle problematiche concernenti le autorizzazioni allo stoccaggio degli oli usati.

UMBERTO BIASIN, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Grazie, signor presidente e signori commissari. Lascio alla Commissione una documentazione storica sul decreto ministeriale n. 392 del 1996, di cui non parlerò se non su domanda specifica, e vorrei leggere un breve appunto che metterò a disposizione dei commissari.
Le caratteristiche dei depositi destinati allo stoccaggio di oli usati derivanti dalla attività di raccolta sono indicate dal decreto ministeriale n. 392 del 1996. Sin dall'inizio tali norme tecniche furono considerate di difficile attuazione per l'inutile complessità, i costi esorbitanti e la scarsa efficacia, in relazione ai costi, dal punto di vista ambientale. Infatti tale decreto è stato oggetto di una ordinanza di sospensione del TAR del Lazio, che ha così accolto il ricorso operato dalle maggiori compagnie petrolifere italiane. Inoltre, alcune regioni ritengono addirittura non applicabile lo stesso decreto. Gli stessi Ministeri dell'industria e dell'ambiente, riconoscendo la validità di quanto sopra detto, stanno lavorando per modificare la norma stessa.
Per illustrare appena un po' meglio il punto, basti dire che sono contenute norme tecniche di indicazione dell'altezza dei muri dei bacini di contenimento, assolutamente assurde ed anti-ingegneristiche perché prevedono muri dell'altezza di 4, 5, 6 metri, quando si sa benissimo che a quell'altezza non c'è zampillo ma, al massimo, un percolamento del prodotto all'interno del serbatoio, in caso di rottura. Statisticamente, inoltre, la rottura avviene sempre nelle parti basse, dove l'acqua eventuale si miscela con lo zolfo, e non nelle parti alte dei serbatoi.
Il decreto ministeriale n. 392 del 1996 indicava in due anni il tempo massimo di adeguamento che le autorità competenti avrebbero potuto concedere per adeguare i depositi a tale normativa. Tale periodo fu prorogato successivamente di un ulteriore anno. A causa delle incertezze derivanti dalle diverse interpretazioni, gli operatori (con esclusione di alcune poche eccezioni) non hanno utilizzato il periodo di adeguamento per le modifiche necessarie al proprio deposito per non effettuare investimenti che poi potessero rivelarsi sbagliati, in quanto non sufficienti al raggiungimento di eventuali nuove richieste di caratteristiche tecniche o sovradimensionati, con conseguente cattivo utilizzo delle risorse finanziarie aziendali. In qualche caso abbiamo anche avuto difficoltà di autorizzazione: capite bene che muri di 8-10 metri hanno un impatto ambientale assolutamente abnorme e quindi in alcuni casi nell'ambito delle stesse istituzioni c'è stato contrasto nell'applicazione delle norme.
Il problema sembra in via di soluzione con le ultime proposte di modifica legislativa. Nel caso ciò non avvenga per fine legislatura, la rete dei raccoglitori si verrebbe a trovare in una situazione di stallo in quanto non sono state emanate né nuove norme tecniche, né proroghe di adeguamento. Pertanto incombe il problema di poter trovare la maggior parte dei depositi adibiti all'attività di raccolta degli oli non adeguati e quindi non abilitati alla attività per cui sono stati messi in esercizio. La situazione potrebbe portare al blocco della raccolta degli oli usati nella maggior parte del territorio nazionale con incalcolabili danni al territorio, oltre ovviamente a mettere in crisi l'esistenza dei circa mille posti di lavoro


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indotti da tale attività o, in alternativa a quanto sopra, continuare ad operare nella illegalità quali smaltitori abusivi.
Per quanto detto, riteniamo di assoluta importanza trovare al più presto una soluzione che consenta di avere quella certezza normativa necessaria ad operare tutti gli investimenti che dovranno essere fatti allo scopo di mantenere gli standard qualitativi necessari allo svolgimento di compiti così importanti per l'interesse nazionale.
Grazie dell'attenzione.

PRESIDENTE. Poiché nei mesi scorsi avete avanzato una proposta mirante ad apportare alcune modifiche a determinati articoli del decreto Ronchi, le chiedo di riassumerle brevemente perché anche i colleghi ne abbiano contezza.

UMBERTO BIASIN, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Sì, anche se il riassunto non può essere brevissimo, perché non esiste soltanto il problema del decreto n. 392 ma anche altri, come per esempio quello della combustione o quello connesso al decreto ministeriale in materia di coincenerimento, che di fatto ci mette in grossa difficoltà rispetto all'Europa, perché prevede, come possibilità di smaltimento e riciclo degli oli usati, anche la combustione in appositi impianti. Queste norme sono state oggetto da parte nostra di innumerevoli proposte di modifica, l'ultima delle quali sembrava fosse stata recepita nella legge finanziaria, all'articolo 17. Poi l'articolo 17 è stato stralciato e adesso il provvedimento, che se non erro è il n. 7280...

PRESIDENTE. È all'esame della Camera.

UMBERTO BIASIN, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Sì, mi sembra sia stato approvato dal Senato ed è passato alla Camera in questi giorni.
Si pone il problema della armonizzazione con la legislazione europea e con l'altra legislazione ambientale. Le difficoltà che incontriamo sono di tipo operativo immediato e devono essere risolte con urgenza, perché il Consorzio si è attrezzato, come sapete, attraverso terzi per effettuare la raccolta. È importante ricordare che la raccolta ha un altissimo grado di efficienza. Nel settore siamo il primo paese in Europa fra i paesi industrializzati ed il quarto in assoluto, ma dopo paesi di antica tradizione ambientale, come la Svezia, la Norvegia e la Svizzera. Poi viene l'Italia, paese che ha una cultura ambientale giovane, perché la nostra cultura ambientale conta 15-16 anni, non di più. Abbiamo fatto passi da gigante, perché raccogliamo oltre 200 mila tonnellate di prodotto, cioè la quasi totalità dell'olio usato, dato che sfioriamo il 93 per cento del totale. Mandiamo al riciclo, con grande beneficio per la bilancia dei pagamenti ma soprattutto per l'ambiente - ci tengo a sottolinearlo -, il 93 per cento del rifiuto prodotto, che è estremamente dannoso. Come diciamo in ogni nostra comunicazione, infatti, il cambio d'olio di una sola autovettura, cinque litri, può impedire ogni forma di vita vegetale ed animale su una superficie d'acqua grande come un campo di calcio: la capacità di inquinamento dell'olio usato è micidiale.
È anche difficile recuperare l'olio, ma il legislatore ha avuto un'idea brillantissima, quando ha pensato alla costituzione del Consorzio, prevedendolo di natura privata ma con obiettivi istituzionali stabiliti per legge, sotto il controllo di cinque ministeri. Questo significa che lo Stato italiano provvede alla protezione del proprio ambiente senza alcuna spesa, perché le spese sono tutte sostenute dai consorziati, con grande livello di efficienza, perché l'iniziativa privata consente delle velocità che, come vediamo anche in questo caso, le norme istituzionali non sempre riescono ad avere, per tanti e tanti motivi (qui non si fa colpa a nessuno, ovviamente). Sicuramente l'iniziativa privata riesce a risolvere i problemi del privato cittadino che vuole svolgere queste


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operazioni per conto suo con una rapidità che altrimenti non riusciremmo ad avere.

GIOVANNI IULIANO. Ho colto il segnale di pericolo inviato sulla mancata approvazione di queste norme a fine legislatura, che porrebbe tutto il sistema in condizione di illegalità, non avendo ottemperato alla normativa del decreto n. 392 e non essendoci ancora le modifiche sulla normativa richieste. Mi consenta di esprimere qualche perplessità, perché o le norme tecniche dettate dal decreto n. 392 erano sbagliate, e allora bisognerebbe sapere perché e chi ha emanato norme tecniche inapplicabili, oppure non lo erano, e allora bisognerebbe sapere chi le ha considerate di difficile attuazione, perché potrebbe esserci - lo capisco bene - anche un interesse diverso da parte dell'industria di avere norme tecniche più favorevoli che consentano un risparmio di risorse finanziarie. Non vorrei che alla fine si arrivasse, anche in sede di modifica, piuttosto che ad avere come obiettivo la sicurezza, l'efficienza e la scientificità di norme tecniche, ad una mediazione fra una richiesta dell'ambiente da una parte e quella dell'industria dall'altra, come purtroppo spesso avviene. Il cittadino vuole sapere quali sono le caratteristiche tecniche che diano la massima sicurezza possibile, naturalmente a costi accettabili, e come si sia arrivati a questo punto.

UMBERTO BIASIN, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Cercherò di essere il più chiaro possibile.
In parte ho già accennato a questo problema. Le caratteristiche dei prodotti sono fissate a livello europeo e vanno benissimo: sono state accettate in Italia sia dai Ministeri dell'ambiente e dell'industria sia dagli operatori scientifici, che nel tempo si sono adeguati. Però modificare un deposito nella sua struttura immobiliare significa spendere centinaia di milioni, spesso anche a scapito della qualità dei laboratori, delle apparecchiature di laboratorio. Se un operatore è costretto a spendere 300 milioni per costruire un muro di cemento armato alto 7 metri perché il suo serbatoio si sviluppa in altezza, è chiaro che poi va a trascurare cose che il Consorzio e anche la normativa ritengono molto più importanti, cioè la qualità del prodotto che viene raccolto, stoccato e mandato al riciclaggio.
Da questo deriva sostanzialmente la difficoltà di applicazione, perché essendo stato il provvedimento immediatamente contestato, ha creato una grande fase di incertezza. Personalmente, conosco solo tre operatori che si sono adeguati alla normativa del decreto n. 392 costruendo i muri, data anche la difficoltà di impatto ambientale, perché un muro di 7 metri ha un impatto notevole dal punto di vista estetico. Poiché i depositi non sono lontani dai centri abitati e da altre opere pubbliche, questo è l'aspetto più grave. La nostra richiesta verte sostanzialmente sull'abolizione di questo piccolo paragrafo: non va a toccare minimamente la qualità dei prodotti, perché il cittadino deve essere garantito.
Da questo punto di vista, l'unico aspetto che ancora sussiste rispetto alla normativa europea riguarda il PCB, che è un prodotto riconosciuto cancerogeno e che in Europa viene considerato pericoloso in concentrazioni superiori alle 50 parti per milione. In Italia, invece, il Ministero dell'ambiente vorrebbe che venisse riconosciuto come pericoloso al di sopra delle 25 parti per milione. Questo è l'unico aspetto ancora in profonda discussione: comprenderete, infatti, che questo altera la libera circolazione delle merci e mette in difficoltà il paese Italia. Se in Germania, infatti, viene prodotto un olio lubrificante nuovo con base riciclata contenente 50 parti di PCB per milione e questo viene importato in Italia, il Consorzio sarebbe obbligato, se dovesse rispettare la normativa italiana, a prendere il prodotto e a termodistruggerlo senza usarlo. Questo è uno degli aspetti che deve essere in qualche modo ancora chiarito.
D'altronde, da parte nostra è difficile pensare che riusciamo ad avere la forza di imporre al resto d'Europa, vista la qualità


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dei nostri impianti, delle nostre tecnologie, di adeguarsi al nostro limite di 25 parti per milione, come il Ministero dell'ambiente auspica. Innanzitutto perché abbiamo poca forza e poi perché questo sarebbe un approfittare della migliore qualità dei nostri impianti per danneggiare commercialmente il resto dell'Europa, che probabilmente non lo accetta; tutti i tentativi finora fatti sono miseramente falliti.

LUCIO MARENGO. Rispetto al problema dello smaltimento degli oli usati, in particolare quelli delle auto, mi chiedo se, come avviene per la plastica, le società produttrici paghino o meno qualcosa per lo smaltimento o eventualmente per il riciclo. Nella relazione che abbiamo ascoltato, molto interessante, non ho sentito parlare di costi. Chi li sopporta? Il singolo possessore? Ad esempio, che costi sopporta il benzinaio nella cessione degli oli usati dalle auto? Che controlli ci sono al riguardo per evitare che questi oli vengano gettati in campagna, con tutti i prevedibili danni ambientali cui anche il nostro interlocutore ha accennato?
Il nostro interlocutore ha detto che non ci sono oneri economici per lo Stato; vorrei allora capire come il Consorzio faccia fronte alle spese operative e se vi sono aspetti su cui da parte nostra si possa intervenire per contribuire alla soluzione del problema.

UMBERTO BIASIN, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. I costi del Consorzio sono essenzialmente quelli della raccolta ed essi sono sbilanciati rispetto ai ricavi. Il Consorzio vive della vendita del prodotto raccolto alle raffinerie; sopporta un costo di circa 204 lire per chilo raccolto e ne ricava circa 72 lire; il delta, pari a circa 38 miliardi, viene pagato da coloro che immettono al consumo gli oli lubrificanti, cioè da coloro che inquinano.
Il concetto sposato in Europa e immediatamente sposato anche in Italia fu quello del «chi inquina, paga»; quindi le società produttrici di olio lubrificante pagano un contributo obbligatorio che va a copertura dei costi del Consorzio, che è un ente senza scopo di lucro e chiude i suoi bilanci rigorosamente a zero. Attualmente il contributo è pari a 88 lire al chilo. La raccolta è completamente gratuita, salvo il caso di inquinamento da PCB, con riferimento al quale la legge impone, entro determinati limiti temporali, la distruzione del prodotto.
Il costo viene sopportato dal detentore perché si immagina che poiché il PCB non c'è, qualcuno ce lo abbia messo; c'è cioè la presunzione di colpa del detentore che deve sopportare i costi della termodistruzione, che sono piuttosto elevati; superano, infatti, le 500 lire al chilo. In questi forni la temperatura supera i 1300-1400 gradi, in modo da avere la massima garanzia rispetto alla dispersione in aria; non c'è produzione di diossina né di altri composti tossico-nocivi. Cerchiamo di utilizzare prioritariamente, come prescrive la legge, prodotti non rigenerabili. Il 90 cento del raccolto va alle raffinerie per la produzione di basi lubrificanti nuove, con un notevolissimo risparmio per il paese (in pratica, in tre anni, si evita l'importazione di un milione di tonnellate di greggio, il che non è poca cosa); solo il 10 per cento restante risulta non idoneo, soprattutto per il contenuto di prodotti che possono essere tossico-nocivi come il cloro, lo zolfo ed i metalli pesanti; questa parte deve essere mandata alla combustione e noi la mandiamo sempre e soltanto, rigorosamente, ai cementifici, impianti industriali in cui la temperatura di combustione del clinker è di 1400 gradi, per cui abbiamo la garanzia - siamo anche attrezzati per i controlli, che possiamo fare autonomamente, come Consorzio - che non vi sia inquinamento in atmosfera.
Lascio infine, come preannunciato, una documentazione relativa alle autorizzazioni per lo stoccaggio ed il deposito degli oli usati.


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PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il presidente Biasin per il contributo fornito.

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