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Seduta del 9/11/2000


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ALLEGATO

Resoconto stenografico del seminario pubblico, organizzato dalla Commissione a Palermo il 19 ottobre scorso, relativo all'indagine in corso sull'istituto del commissariamento.


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COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA
SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITÀ
ILLECITE AD ESSO CONNESSE

L'ISTITUTO DEL COMMISSARIAMENTO PER L'EMERGENZA RIFIUTI

Seminario pubblico

Palermo, 19 ottobre 2000

RESOCONTO STENOGRAFICO


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I N D I C E

Indirizzi di saluto:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Cristaldi Nicola, Presidente dell'Assemblea regionale siciliana
Mangano Alberto, Assessore ai rapporti istituzionali del Comune di Palermo

Prima sessione: Riflessioni sull'istituto del commissariamento: funzionamento ed efficacia:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Leanza Vincenzo, Presidente della regione Sicilia e commissario delegato all'emergenza rifiuti
Profili Renato, Prefetto di Palermo

Seconda sessione: Aspetti tecnici della gestione commissariale:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Angelini Aurelio, Presidente della commissione tecnico-scientifica di supporto al commissario delegato
Scialabba Nicolò, Sub-commissario per la raccolta differenziata

Terza sessione: Dibattito:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Battaglia Antonio (AN)
Busà Anacleto, Consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Falla Bartolomeo, Sindaco di Scicli (Ragusa)
Lo Curzio Giuseppe (CCD)
Marengo Lucio (AN)
Milone Mario, Assessore all'ambiente e territorio, protezione civile, rapporti con l'ateneo palermitano, della Provincia di Palermo
Murineddu Pietro Giovanni (DS-U)
Raddino Giuseppe, Direttore generale della Smari
Zaso Giuseppe, Capo della segreteria regionale di Legambiente

Quarta sessione: I risvolti criminali dell'emergenza:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Busacca Mario, Procuratore della Repubblica di Catania
Cusimano Salvatore, Inviato RAI di Palermo
Grasso Pietro, Procuratore distrettuale antimafia di Palermo

Tavola rotonda:
Colletti Antonino, Vicedirettore dell'Azienda foreste demaniali della regione siciliana
Cusimano Salvatore, Inviato RAI di Palermo
Patanè Giulio, Vicequestore di Catania
Piccirillo Giorgio, Comandante dei carabinieri della regione Sicilia
Toschi Giorgio, Capo di stato maggiore del comando regionale della Guardia di finanza della Sicilia
Venezia Giacomo, Direttore della divisione anticrimine della questura di Palermo
Venuti Giuseppe, Direttore marittimo di Catania
Zaccaria Giuseppe, Comandante in seconda della capitaneria di porto di Palermo


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L'ISTITUTO DEL COMMISSARIAMENTO PER L'EMERGENZA DEI RIFIUTI

Seminario pubblico.

Indirizzi di saluto.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Quello odierno è il seminario conclusivo di una serie che la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha dedicato all'istituto del commissariamento per l'emergenza dei rifiuti - i precedenti si sono svolti a Napoli, Bari e Reggio Calabria - allo scopo di vedere da vicino i problemi e interloquire direttamente con gli addetti ai lavori, per capire e approfondire i diversi aspetti e poter poi dare indicazioni al Parlamento e al Governo, per comprendere come l'istituto del commissariamento funziona, cosa si può proporre per migliorarlo e quali sono gli aspetti patologici da superare.
Prima di dare inizio ai nostri lavori desidero ringraziare, per l'ospitalità in questo stupendo palazzo, il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Nicola Cristaldi, al quale cedo la parola per un breve indirizzo di saluto. Seguirà l'indirizzo di saluto del rappresentante del Comune di Palermo, mentre è in arrivo anche il presidente della giunta regionale.

NICOLA CRISTALDI, Presidente dell'Assemblea regionale siciliana. Onorevole presidente, onorevoli parlamentari, autorità, signore e signori, porgo il saluto dell'Assemblea regionale siciliana e l'auspicio che il vostro lavoro aiuti anche questa nostra terra che per troppi anni è stata martoriata da una serie di fattori negativi, che non hanno certo contribuito a mostrare cos'è veramente la nostra Sicilia; molti i responsabili, non ultima la politica, a tutti i livelli.
Probabilmente molte delle azioni che avrebbero dovuto aiutare la crescita della Sicilia si sono trasformate in passato in elementi che non hanno costituito una svolta positiva per la nostra isola.
Oggi, presidente Scalia, come si può leggere anche sulla stampa, la nostra è una regione che cresce. Da questo punto di vista è bello apprendere che in questo ultimo semestre la nostra isola è balzata in testa fra le regioni del Mezzogiorno, mentre soltanto qualche anno fa facevamo a gara con la Calabria per l'ultimo o il penultimo posto. Oggi la Sicilia, anche grazie agli studi portati avanti dalla Fondazione Curella, ma anche da settori specifici del CNR, può assumere un ruolo guida fra le regioni del Mezzogiorno. È questa una condizione favorevole dettata da una logica e da una cultura nuove che stanno


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prendendo piede in Sicilia; in passato eravamo una regione che spendeva solo il 3 per cento dei fondi che l'Unione europea destinava alla nostra isola; da qualche anno la Sicilia spende in percentuale molto di più. Per la formazione professionale siamo oggi la prima regione in Europa; spendiamo il 100 per cento delle risorse destinate alla formazione professionale e finalmente non formiamo più solo estetisti e parrucchieri ma indirizziamo la formazione professionale verso i nuovi mestieri che servono in una società che cammina e produce. Oggi, per quanto riguarda i contributi dell'Unione europea, siamo ad una media costante di spesa pari al 35 per cento e per il 2000 penso che tra breve potremo annunciare che utilizzeremo almeno la metà dei fondi che l'Unione europea ci ha destinato, condizione che, come gli onorevoli parlamentari sanno bene, è necessaria per evitare che si perdano i finanziamenti per gli anni successivi.
In questo campo, onorevole presidente, l'ambiente è sicuramente la cosa più straordinaria che serve alla Sicilia. Accennavo proprio poco fa all'onorevole Marengo e ad altri parlamentari il tentativo della Sicilia di immaginare uno sviluppo industriale non soltanto intorno agli elettrodomestici o alle automobili; si può essere industriali, amiamo dire, i miei amici mi hanno sentito ripeterlo una miriade di volte, anche occupandosi di ambiente, di turismo e creando economia intorno alla fruizione dei beni artistici.
Porgo, dunque, il saluto dell'Assemblea regionale a questo seminario ed anche al presidente della regione, Vincenzo Leanza ma prima di restituire la parola, mi permetta, presidente Scalia, così come sono solito fare con un pizzico di invadenza che spero non appaia arroganza, sollevare una questione che è frutto di numerosi atti ispettivi presentati alla Assemblea regionale siciliana, rivolti al governo regionale ma anche in qualche maniera chiedendo ad esso un intervento presso il Governo nazionale per chiarire una situazione che ci sembra anomala.
Nel 1999 il ministro dell'interno pro tempore Jervolino Russo, con ordinanza n. 2983 del 31 maggio 1999, dichiarava lo stato d'emergenza in Sicilia per quanto riguarda il problema dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani e nominava il presidente della regione pro tempore commissario delegato per la predisposizione di un piano di interventi d'emergenza nel settore della gestione dei rifiuti. La stessa ordinanza prevedeva all'articolo 5, comma 6, che il commissario delegato avrebbe provveduto a vietare l'ingresso di rifiuti provenienti da altre regioni e dall'estero; la vigilanza sulla applicazione di tale divieto veniva affidata ai prefetti. Lo stato di emergenza in Sicilia è stato ulteriormente confermato dall'attuale ministro dell'interno, Bianco, con ordinanza n. 3048 del 31 marzo 2000. Tale ordinanza, invero, modifica l'articolo 5, comma 6, autorizzando, su richiesta del commissario delegato, l'importazione nel territorio della regione siciliana di rifiuti destinati ad essere riciclati e recuperati nel territorio regionale medesimo.
Perché, onorevole presidente ed onorevoli membri della Commissione parlamentare d'inchiesta, solleviamo la questione? Perché ci sembra una contraddizione. Se da una parte è stato dichiarato lo stato d'emergenza per quanto riguarda la raccolta di rifiuti in Sicilia,


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non comprendiamo come poi ci possano essere atti successivi che di fatto consentirebbero l'importazione di rifiuti da regioni diverse dalla Sicilia e addirittura dall'estero. Non tocca al presidente dell'Assemblea entrare nel merito della questione, è presente il capo del governo regionale e, come si dice, se la vedrà lui, ma a me compete far emergere questa contraddizione: se c'è un'emergenza, per la quale la qualità e la quantità degli impianti di raccolta e riciclaggio non sono sufficienti, bisogna intervenire per potenziarli; se viceversa l'emergenza non c'è, allora occorre una politica diversa. È contraddittorio adottare atti che sono il frutto dell'emergenza dichiarata dal ministro Jervolino Russo ed al tempo stesso avviare una procedura di collaborazione tra il governo regionale ed il Ministero dell'ambiente per creare le condizioni per l'importazione di rifiuti.
Noi siamo scottati, onorevole presidente; so quanto lavoro la Commissione d'inchiesta sta portando avanti ed esso sicuramente servirà al legislatore per creare condizioni nuove nel nostro paese e mi permetterò di trasmetterle, se me lo consentirà, gli atti ispettivi presentati sulla questione; so bene cos'è un atto ispettivo e che tutto ciò che è scritto in un atto ispettivo non sempre è vero, ma la grande quantità di atti ispettivi indica sicuramente l'esistenza di un problema. Le trasmetterò, se consente, come dicevo, questi atti ispettivi e credo che l'argomento potrà essere oggetto di una riflessione della Commissione.
Concludo, onorevole presidente, esprimendole anche la nostra stima personale e della politica siciliana per l'impegno profuso nel suo operato, e scusandomi, anche con gli altri membri della Commissione, se poi sarò costretto ad allontanarmi.
Grazie a tutti e buon lavoro.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Ringrazio il presidente Cristaldi per un saluto che lungi dall'essere rituale ha anzi posto immediatamente alla nostra attenzione una contraddizione. Al riguardo credo che daremo, sia io sia gli altri membri della Commissione presenti, una risposta immediata perché il problema sollevato, come gli altri che potremo rilevare dagli atti del sindacato ispettivo, faranno parte integrante del documento che la Commissione sta elaborando e che definirà nelle prossime settimane, tenendo conto di tutti gli aspetti evidenziati in questo nostro lavoro di approfondimento sull'istituto del commissariamento, di cui quello odierno è, come ho detto, l'ultimo seminario.

ALBERTO MANGANO, Assessore ai rapporti istituzionali del comune di Palermo. Porto il saluto del sindaco di Palermo a questo importante seminario che si svolge nella nostra città ed un ringraziamento al presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta, onorevole Scalia, per l'attenzione che ha sempre prestato alla nostra città ed alla nostra regione e per l'impegno che lo ha sempre contraddistinto in questo lavoro.
Quello di una riflessione sull'istituto del commissariamento all'interno dell'emergenza rifiuti è senz'altro un tema interessante e può riguardare due aspetti diversi ma in questo caso convergenti: l'istituto del commissariamento, cosa rappresenta nel nostro ordinamento,


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rispetto al sistema dei poteri, soprattutto degli enti locali, ma anche dello Stato centrale, e l'emergenza rifiuti; due pagine che trovano in questa situazione un punto di sintesi, ma richiedono e probabilmente pretendono riflessioni e risposte a problemi di livello e grado diverso, tant'è che ci troviamo a dover fronteggiare la questione rifiuti sempre in un'ottica di emergenza all'interno della quale finiamo per chiedere un'azione straordinaria di tipo amministrativo, rappresentata appunto dal commissario o dall'istituto del commissariamento.
Vi sono però degli elementi di positività, che credo vale la pena evidenziare, sia pure molto rapidamente: intanto il fatto che nel commissariamento cominci a farsi strada anche l'idea della rappresentatività della figura del commissario rispetto al sistema democratico; ed ecco che, come nel caso dell'emergenza rifiuti, il ruolo di commissario viene affidato a chi interpreta un ruolo istituzionale preciso, sia esso il presidente della regione, il sindaco di una grande città o il presidente di una provincia; insomma il tentativo di non separare un'importante funzione amministrativa dalle responsabilità politiche rispetto ai fenomeni che dobbiamo affrontare. È una tendenza che comincia a farsi strada, se è vero che - è notizia di ieri - nella situazione drammatica determinatasi per il maltempo nelle regioni nord occidentali del nostro paese il ministro dell'interno conferirà i poteri di commissario ai sindaci ed ai presidenti delle regioni investite da queste calamità.
Credo sia questo un punto importante su cui riflettere: non disgiungere poteri straordinari in termini di capacità d'intervento dalla responsabilità politica che poi attiene alla risposta da dare nel campo dell'emergenza rifiuti.
Io credo che la situazione di emergenza possa essere risolta solo se la figura del commissario è un po' quella di un volano; cioè se in un tempo, che non può essere eterno, perché altrimenti anche la figura del commissario finisce per ricadere nei vizi del passato, la macchina si mette in moto e funziona con gli ordinari strumenti dell'amministrazione. Questo, secondo me, il significato della straordinarietà: un tempo che serva a rimettere in moto le cose che per mille ragioni si erano fermate, un tempo che abbia un limite preciso, dopo il quale il compito di proseguire venga affidato alle vie ordinarie.
Troppo spesso si individua nel commissario il ruolo di colui che può fare a meno delle norme, delle regole. Io credo che questo approccio non sia né corretto né giusto, altrimenti a fronte di tanti interventi gestititi da commissari dovremmo ammettere che è necessario rivedere il nostro ordinamento legislativo, nel quale forse ci sono troppi lacci e lacciuoli. Siccome così non è, io credo che il ruolo del commissario non sia tanto nel derogare dalla legge, cosa che talvolta può risultare opportuno per mille ragioni, quanto quello di superare tutti gli intralci che la burocrazia oggi crea. Tante volte pensiamo che per risolvere un problema basterebbe derogare ad una norma, salvo poi scoprire che il parere di una Commissione o addirittura il semplice passaggio di un documento da un ufficio all'altro richiede settimane, per cui si pensa di sanare questo spreco di tempo dovuto alle procedure burocratiche derogando a chi sa


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quale norma, bypassando o non richiedendo più quel parere. Dobbiamo invece sempre più accentuare la semplificazione, come peraltro debbo dire si è fatto negli ultimi tempi dai diversi governi che si sono succeduti. Sempre più dobbiamo immaginare il ruolo del commissario - approfitto della presenza del prefetto di Palermo, sua eccellenza Profili - facendo tesoro dell'esperienza che in queste settimane ed in questi mesi abbiamo vissuto nella nostra città con l'iniziativa, che ora sta per partire, della Conferenza internazionale dell'ONU, nella quale le riunioni servivano appunto a superare gli intralci che la burocrazia ordinaria avrebbe certamente creato, non per colpa di alcuno, ma per colpa di tanti codici e codicilli, per i tempi che questi richiedono.
Sono convinto che una riflessione su questi temi possa aiutare la nostra regione a comprendere meglio come superare l'emergenza rifiuti, perché non ci scordiamo che la questione concreta è questa, e soprattutto vedere come innovare nella pubblica amministrazione, anche attraverso una figura che è sempre stata vista come un nemico della democrazia. La figura del commissario, infatti, è sempre stata intesa come colui che, da monarca, esautora gli organi democratici che la collettività si è data. Credo invece che in alcune circostanze questo possa essere uno strumento importante per raggiungere gli obiettivi.
Auguri di buon lavoro ed ancora un ringraziamento all'onorevole Scalia per l'impegno e la sua vicinanza alla nostra città ed alla nostra regione.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Ringrazio l'assessore Mangano per un intervento tanto breve quanto denso di osservazioni di merito sul tema che oggi ci occupa.

Prima sessione: Riflessioni sull'istituto del commissariamento: funzionamento ed efficacia.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Come ho già sottolineato, si concludono con quello odierno i seminari pubblici che la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha voluto dedicare alle situazioni d'emergenza in questo settore e - più in particolare - al tema dell'idoneità dello strumento commissariale per affrontare tali emergenze. Seguendo quella che potremmo chiamare la «anzianità emergenziale», i precedenti appuntamenti si sono svolti a Napoli, Bari e Reggio Calabria. È opportuno da subito mettere in evidenza una serie di elementi, anche per illustrare meglio l'andamento di questa giornata di lavori.
Innanzitutto, questi seminari saranno alla base di un documento che la Commissione predisporrà ed invierà alle Camere per una valutazione dello strumento commissariale per affrontare le emergenze nel ciclo dei rifiuti; per questo motivo, soprattutto nelle sessioni della mattina, abbiamo voluto invitare a parlare tutti gli «addetti ai lavori», cioè quanti sono impegnati, a vario titolo, nel superamento


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dell'emergenza, nonché coloro che debbono confrontarsi - dal punto di vista amministrativo e professionale - quotidianamente con tale situazione.
In secondo luogo, non possiamo dimenticare in quali particolari contesti si sono determinate queste emergenze. Nel febbraio 1999 - nel corso di un forum sulle ecomafie organizzato dalla Commissione a Napoli - evidenziai come, con l'allora recentissima dichiarazione d'emergenza per la Sicilia, tutte le regioni a tradizionale presenza mafiosa si trovavano commissariate per l'emergenza rifiuti. Una situazione che non poteva certo considerarsi dovuta al caso, esistendo cioè una evidente correlazione tra azione criminale e arretratezza anche nel ciclo dei rifiuti. E allora l'altro interrogativo che dobbiamo porci è se la gestione commissariale ha consentito (o sta consentendo) se non di estromettere la criminalità organizzata dal ciclo dei rifiuti almeno di ridurne significativamente la presenza.
A questo tema è dedicata in particolare la sessione pomeridiana di questo seminario, anche se - purtroppo - le audizioni svolte nei mesi scorsi in Commissione del procuratore della Repubblica di Palermo, Pietro Grasso, e dell'allora presidente della giunta regionale (nonché commissario delegato all'emergenza rifiuti) Angelo Capodicasa hanno offerto in materia un panorama poco rassicurante.
La Sicilia è in stato d'emergenza per il ciclo dei rifiuti urbani dal 22 gennaio 1999, esteso al ciclo dei rifiuti speciali ed alle bonifiche il 16 dicembre 1999; lo scorso 16 giugno lo stato d'emergenza è stato prorogato a tutto il giugno 2001. Commissario delegato dal Governo è il presidente della giunta regionale, il quale ha avviato il suo intervento trovandosi davanti un panorama così descritto dalla Commissione nella sua relazione sulla Sicilia, approvata nel settembre 1999: «Il commissariamento è solo il punto finale di una presa d'atto di una situazione insostenibile (...). È persino difficile per la Commissione offrire un numero certo di discariche (...). In questo quadro ben poco tranquillizzante, la situazione della raccolta differenziata è disastrosa». Altrettanto difficile appare la situazione nel settore dei rifiuti di origine industriale, come la Commissione ha avuto modo di constatare direttamente visitando alcuni impianti di smaltimento nella regione.
Sul tema dei rifiuti siciliani di origine industriale, anzi, la Commissione circa tre anni fa ha condotto un'indagine specifica, nata dalla lettura della Relazione sullo stato dell'ambiente pubblicata nel 1997 dal Ministero dell'ambiente. Da quel testo risultava - sulla base di informazioni fornite dalla regione e da tutte le regioni - che la totalità dei rifiuti pericolosi prodotti in questa regione venivano smaltiti fuori dalla Sicilia. Chiedemmo allora a tutte le capitanerie di porto informazioni in merito ai transiti di rifiuti, per sapere dove effettivamente venissero smaltiti. Ebbene, a fronte di una produzione stimata in oltre 100 mila tonnellate annue, riuscimmo a recuperare informazioni su poche migliaia di tonnellate di rifiuti. È vero che tra le molte incombenze delle capitanerie e delle autorità marittime quella delle registrazioni e dei controlli sui trasporti di rifiuti speciali e pericolosi non era allora ravvisata come una priorità. Anche grazie a quell'indagine e al confronto che ne seguì il corpo delle capitanerie di porto, come anche le autorità marittime, hanno mostrato poi una


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maggiore sensibilità a quella tematica. Per quanto concerne però l'esito specifico di quella vicenda, resta più che fondato il sospetto che molte decine di migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi vengano smaltite illegalmente nel territorio siciliano con grave danno per la salute e per l'ambiente.
Per quanto riguarda gli smaltimenti di rifiuti speciali in regione, la Commissione ha poi prestato grande attenzione al sistema di smaltimento nella Sicilia orientale, e in particolare ai distretti di Priolo, Siracusa ed Augusta. È emersa una situazione di generale irregolarità, con trattamenti di inertizzazione non effettuati, veri e propri smaltimenti effettuati illecitamente presso i centri di stoccaggio e discariche riempite assai oltre le volumetrie autorizzate. Insomma un sistema basato sulla continua violazione delle prescrizioni amministrative, che ha consentito così di smaltire anche notevoli quantitativi di quei rifiuti pericolosi di cui parlavo prima, che invece - ufficialmente - avrebbero dovuto prendere la strada dell'Italia continentale.
Rispetto ad altre regioni in stato di emergenza - e tornando ai rifiuti solidi urbani - sappiamo che la Sicilia ha optato per una gestione integrata del ciclo dei rifiuti; non vi è insomma l'idea che tutto si risolverà grazie ai termodistruttori o prolungando, in contrasto con la normativa, la possibilità di aprire nuove discariche: sono infatti previsti impianti di selezione della frazione secca da quella umida ed impianti di compostaggio, con a valle gli impianti di produzione del Cdr e i termodistruttori. Un modello sostanzialmente corretto, anche se resta incerto il destino dei materiali raccolti in maniera differenziata: l'impiantistica a questo dedicata anche in questa regione è insufficiente ed il Documento delle priorità degli interventi per l'emergenza rifiuti fa riferimento unicamente a centri di raccolta da istituire in base all'accordo in programma stipulato con il CONAI. Il rischio, insomma, è che tonnellate di materiale che potrebbero essere utilmente recuperate prendano la strada della termodistruzione o, peggio, della discarica.
Dalla dichiarazione dello stato d'emergenza sono trascorsi 20 mesi, ma si ha la sensazione che comunque il commissariamento di questa regione possa dare risposte più rapide rispetto a quanto abbiamo potuto constatare in Campania e in Puglia; va però a questo proposito ricordato che lo stato di emergenza della Sicilia (come quello della Calabria) ricade tutto sotto il cosiddetto «decreto Ronchi», mentre le altre due regioni che citavo prima hanno dovuto fare i conti anche con un mutato quadro normativo a livello nazionale. Così, il Documento delle priorità cui facevo riferimento prima, predisposto dall'ufficio del commissario nello scorso luglio, non dovrà essere modificato ed adeguato alla nuova normativa, come invece accaduto in Puglia e in Campania.
Non è questa la sede per entrare nel merito del Documento delle priorità, ma va evidenziato come sia uno strumento che recepisce lo spirito del «decreto Ronchi» e fissa le basi sulle quali costruire un sistema integrato nella gestione del ciclo dei rifiuti capace di superare e - in prospettiva - allontanare in maniera decisa i rischi di nuove emergenze nel settore; soprattutto, insistendo sulla raccolta differenziata della frazione organica, consentirà di raggiungere gli obiettivi


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imposti dall'ordinanza di commissariamento: 25 per cento entro il 2001, poi posticipato al 2002 dal Documento delle priorità. A mio avviso raggiungere questi obiettivi è tutt'altro che utopistico, come invece affermato a suo tempo in atti ufficiali dell'ufficio del commissario delegato.
Ma a questo punto si impone una riflessione, alla quale invito tutti i partecipanti a questo seminario: lo strumento del commissariamento è una extrema ratio, conferisce poteri straordinari per affrontare in maniera il più efficace possibile situazioni d'emergenza. Tuttavia gli interventi previsti avranno un loro avvio - nella migliore delle ipotesi - a quasi due anni di distanza dalla dichiarazione dello stato di emergenza, con un ritmo quindi addirittura più lento di quanto sarebbe auspicabile per una gestione ordinaria. Lo strumento commissariale, quindi, sta dando le risposte che erano attese e - soprattutto - nei tempi sperati?
È una domanda che rivolgo a tutti gli intervenuti, dai quali vorremmo anche sentire valutazioni in merito alla auspicata conclusione della fase di emergenza.
Per come la Commissione - anche avvalendosi dell'esperienza della precedente legislatura - ha seguito le vicende del commissariamento in Sicilia, abbiamo sviluppato una serie di elementi di valutazione, nei quali si intrecciano aspetti sociali, amministrativi ed anche legati all'azione della criminalità organizzata.
Si deve anzitutto ricordare che la situazione di partenza era contraddistinta da un ricorso esclusivo alla discarica quale forma di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, nonostante l'esistenza di un piano regionale, quello del 1989, che però è rimasto lettera morta: un quadro di grave arretratezza dal quale nessuno pensava fosse possibile uscire nell'arco di qualche mese, anche se il commissariamento della provincia di Milano comportò a suo tempo in pochi mesi il superamento di una situazione simile tramite una scelta di grande nettezza a favore della separazione tra le frazioni secca e umida, inviando quest'ultima alla produzione di compost. Una soluzione, questa, ripresa dal Documento delle priorità, che in pochi mesi dovrebbe garantire una ricerca meno affannosa di siti da adibire a discarica, oltre a dare - da subito - la sensazione ai cittadini - permettetemi di sottolineare questo punto - che qualcosa sta cambiando in maniera concreta. Il tutto senza tempi e costi di particolare entità e con vantaggi anche per la salute dei terreni agricoli e siciliani, oggetto di gravissimi sversamenti abusivi di rifiuti di ogni tipo.
La scelta del commissariamento, il conferimento di poteri eccezionali - talvolta al limite della stessa costituzionalità - ha una sua giustificazione nella necessità di agire in maniera tempestiva ed efficace; quando queste caratteristiche, tempestività ed efficacia, subiscono appannamenti, come - sia pure in misura meno marcata rispetto alle altre regioni in stato di emergenza - ci appare accada in Sicilia, si deve allora mettere in discussione anche lo strumento per capire meglio i punti di criticità ed evitare che si ceda all'impressione generalizzata di impotenza.
Credo tuttavia si debbano distinguere attentamente i due piani: da un lato l'efficacia dello strumento commissariale, dall'altro le


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capacità nel saperlo utilizzare. Se, insomma, il commissario delegato non utilizza adeguatamente i suoi poteri, anche in rapporto ai tempi previsti, per conseguire gli obiettivi fissati dall'ordinanza, non è possibile dare la colpa allo strumento, semmai occorre una maggiore attività di vigilanza da parte di chi, il Governo, concede forti deroghe rispetto al quadro normativo nazionale.
Ne ho già fatto accenno, ma voglio tornare ad insistere sul tema della raccolta differenziata, anche perché centrale in una moderna gestione dei rifiuti: gli uffici del commissariamento in Sicilia hanno visto in tale formula di raccolta non già il perno di quella gestione integrata dei rifiuti che dev'essere l'obiettivo, ma un elemento accessorio, come dimostrato dall'assenza di previsione di impianti di recupero. È senz'altro importante aver stipulato una convenzione con il CONAI, ma il rischio è che gli enti locali - a parte qualche caso isolato - possano recepire la raccolta differenziata come un inutile aggravio, senza significativi contributi di risorse da parte della gestione commissariale.
Altro tema di grande rilevanza riguarda le bonifiche dei siti inquinati, per le quali come Commissione sappiamo essere tuttora in corso il censimento, come mi confermava proprio adesso il prefetto di Siracusa che è sub-commissario in materia. Si tratta di un'attività di conoscenza che sembra procedere a rilento e che peraltro risente fortemente della mancata istituzione dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente. La creazione di tale istituto, e qui mi rivolgo all'onorevole Leanza nella sua qualità di presidente della Regione più che in quella di Commissario delegato, è quanto mai urgente. Presso l'Assemblea regionale siciliana sono stati presentati dal settembre 1995 al gennaio scorso sette progetti di legge aventi ad oggetto l'istituzione dell'ARPA : ebbene, nessuno di questi è stato mai discusso. Non sarà evidentemente la costituzione ed il funzionamento dell'ARPA siciliana la panacea dei mali che in Sicilia affliggono non solo il ciclo dei rifiuti ma anche altre tematiche ambientali; certo però sarà un contributo decisivo per una gestione amministrativa della materia efficiente ed organica.
Per tornare al tema delle bonifiche, credo di dover insistere su questo punto, perché è necessario far vedere ai cittadini che qualcosa si muove, che qualche intervento concreto viene condotto e bonificare una porzione di territorio, restituirla alla collettività, non è solo un intervento necessario dal punto di vista ambientale, sanitario ed economico, ma è anche un atto dal grande valore simbolico. Un'area bonificata sui cui realizzare - ad esempio - un distretto per le attività produttive o un'area con attrezzature sportive farà comprendere ai cittadini quanto guadagnano da una gestione corretta del territorio su cui abitano. E magari a qualcuno verrà anche la spinta per denunciare attività di smaltimento illecito.
Dobbiamo del resto ricordare che in questi anni di commissariamento non si è affatto arrestata l'azione della criminalità organizzata che - in forme varie - continua a dimostrare un enorme interesse per il ciclo dei rifiuti. I numeri dell'attività delle forze dell'ordine per il 1999 dimostrano in maniera chiara come il


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territorio siciliano sia tuttora soggetto ad un'aggressione criminale molto rilevante. Ma i numeri da soli non bastano ad illustrare la portata dell'azione criminale nel ciclo dei rifiuti.
Al già richiamato forum sulle ecomafie svolto a Napoli nel 1999 si era denunciato come le ecomafie non si accontentino più dei semplici smaltimenti abusivi, ma ormai puntino al controllo delle società, ad aggiudicarsi gli appalti di raccolta e trasporto, ed anche a quelli per la realizzazione degli impianti di trattamento e smaltimento. Siamo quindi di fronte ad una doppia emergenza: da una lato una sostanziale arretratezza nella gestione, dall'altro il rischio che il sistema criminale pretenda di governare l'uscita dall'attuale situazione di emergenza. Da questo punto di vista è determinante l'azione e la vigilanza delle amministrazioni pubbliche; di qui il mio richiamo e la mia sottolineatura della questione sull'istituzione e funzionamento dell'ARPA. Come Commissione stiamo studiando attentamente il fenomeno ed i dati in nostro possesso evidenziano la riorganizzazione societaria in corso, con fusioni, acquisizioni ed alleanze in fieri tese a mantenere ed a perfezionare il controllo su un settore che - è bene tenerlo sempre a mente - assicura di essere sicuramente redditizio nei decenni a venire, dal punto di vista della gestione sia lecita che illecita; questo è legato agli enormi quantitativi di rifiuti che si producono in tutto il paese.
Non è un caso se si assiste - intorno agli smaltimenti illeciti - a fenomeni quasi paradossali: clan in guerra per quanto riguarda il traffico di stupefacenti, il contrabbando o il controllo degli appalti, sono pronti a sotterrare l'ascia di guerra e a scambiarsi favori proprio nel ciclo dei rifiuti. Quando, ad esempio, una zona è sovraesposta, è sufficiente assicurare ad un altro clan una parte dei guadagni e ci si sposta di qualche chilometro con la certezza di non uscire dal business. I clan siciliani, che evidenziano sempre più caratteristiche di mafia imprenditrice, hanno sin dall'inizio degli anni novanta individuato nel ciclo dei rifiuti un settore economico di grande interesse, soprattutto per quanto riguarda gli appalti pubblici. La storia dell'impianto di compostaggio di Trapani o le vicende connesse al servizio di smaltimento a Palma di Montechiaro (temi sicuramente noti ai nostri interlocutori) sono solo due esempi di come il ciclo dei rifiuti venga considerato da Cosa nostra un settore d'impresa in grado di portare soldi alle casse criminali, grazie ai consolidati metodi di condizionamento dei pubblici appalti, alle minacce e all'assoggettamento di singoli imprenditori privati.
Non vado oltre questi brevi cenni su tale argomento, poiché proprio in questi giorni è in discussione presso la Commissione una relazione specifica sui traffici illeciti di rifiuti e le ecomafie che dedica una capitolo particolare a Cosa nostra e l'affare rifiuti; rimando quindi a quel documento, a quando sarà approvato. Inoltre, mi fa piacere annunciarvi che il prossimo 20 novembre, sempre qui a Palermo e sempre approfittando dell'ospitalità della Regione siciliana, si terrà, promosso insieme dalla nostra Commissione e dalla Commissione parlamentare antimafia, un forum nazionale sul tema «le rotte delle ecomafie», al quale naturalmente sono invitati tutti gli intervenuti qui oggi.


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Voglio riaffermare che dal lavoro svolto dalla Commissione è emersa la sempre maggiore penetrazione della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti, in particolare nei settori d'impresa meno impegnativi, vale a dire la raccolta e il trasporto rifiuti.
Da questo punto di vista, e mi rivolgo in particolare ai rappresentanti della magistratura e delle forze dell'ordine, credo si debbano effettuare controlli particolari, nelle aree a tradizionale presenza mafiosa, sulle società che ivi operano nel ciclo dei rifiuti. L'attuale certificazione antimafia non pare davvero più sufficiente, occorrono controlli più pervasivi che verifichino in maniera certa l'assetto proprietario delle singole società, la loro eventuale contiguità alla criminalità organizzata. È un incarico che credo dovrebbe ricadere in capo alle prefetture che - da questo punto di vista - dovrebbero affiancare organicamente le sezioni regionali dell'albo nazionale delle imprese che operano nel ciclo dei rifiuti.
Come ricordavo all'inizio di questo intervento, quello di oggi è l'ultimo appuntamento di un ciclo di seminari dedicato all'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti. Vorrei quindi inserire qualche riflessione di carattere più generale sul tema che qui discutiamo, riferendomi anzitutto alla normativa da cui il commissariamento trae origine, vale a dire la legge n. 225 del 1992.
Com'è noto, si tratta di uno strumento normativo di protezione civile, che se offre la possibilità di interventi più «agili» dal punto di vista delle autorizzazioni, certo presenta lati deboli. Se infatti è vero che la dichiarazione dello stato d'emergenza viene concertata tra gli enti territoriali e locali e lo Stato, è altresì vero che il commissariamento espropria di competenze gli enti stessi. E se è comprensibile uno strumento di protezione civile quando si tratta di trovare un sito dove far giungere domani la spazzatura raccolta in una grande città, mi chiedo e vi chiedo se è altrettanto pacifico l'uso di tale strumento quando si tratta di interventi di programmazione. È un'anomalia, resa ancora più evidente dall'affidamento dei poteri straordinari in materia a chi - il presidente della regione - è in definitiva responsabile della normale pianificazione nel ciclo dei rifiuti. E, in generale, restano in piedi molte delle difficoltà precedenti alla dichiarazione dello stato d'emergenza, con i comuni che spesso non accettano sul loro territorio gli impianti programmati e l'avvio di defatiganti trattative che neanche i poteri straordinari riescono a sbloccare, soprattutto quando carente è stato l'impegno per trovare il consenso delle popolazioni e degli enti locali e non si è dispiegata un'adeguata volontà politica delle decisioni. Nell'allungarsi dei tempi lo straordinario diviene ordinario producendo una graduale deresponsabilizzazione delle competenti autorità elettive. Inoltre, e questo è un altro elemento di riflessione, non sono previsti dalla legge strumenti di valutazione dell'attività del commissario delegato.
E allora la legge di protezione civile è davvero indicata allo scopo? O non è il caso di prevedere strumenti normativi ad hoc in materia di emergenza nel ciclo dei rifiuti? E, in tal caso, non sarebbe opportuno prevedere strumenti di verifica, onde evitare, ad esempio, che un'emergenza duri sei anni o oltre (com'è il caso di Campania e Puglia)? Sono tutte domande che ci siamo posti nel procedere di


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questi seminari e alle quali, concluso l'incontro odierno, tenteremo di rispondere nel documento conclusivo che la Commissione esaminerà nelle prossime settimane.
Credo che le persone che abbiamo invitato qui oggi saranno in grado di fornirci tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno per una valutazione il più completa possibile della situazione. In particolare l'interrogativo che tutti ci poniamo è sapere se si può pervenire ad una valutazione per la fine dell'emergenza. Sono quasi due anni che la Sicilia vive questa situazione, una durata che - alla luce di altre esperienze - era tutto sommato attesa. È tuttavia opportuno dare - ciascuno per il suo ruolo - il classico «colpo d'ala», e lavorare al massimo delle possibilità per avvicinare il più possibile il ritorno alla gestione ordinaria. È anche questo uno degli obiettivi di questo seminario: sentire la voce di tutti per dare una valutazione complessiva e avere suggerimenti perché non si assista anche in Sicilia alla nascita di una ordinaria straordinarietà e perché non solo lo stato d'emergenza possa essere superato ma venga al contempo avviato un moderno sistema integrato per la gestione dei rifiuti.
Mi scuso per la lunghezza dell'intervento. Prima ho ringraziato per l'ospitalità il presidente dell'Assemblea regionale; desidero estendere il ringraziamento al presidente della giunta regionale, Vincenzo Leanza, al quale do subito la parola.

VINCENZO LEANZA, Presidente della regione Sicilia e commissario delegato all'emergenza rifiuti. Desidero porgere al presidente Scalia, alla Commissione parlamentare, a tutte le autorità presenti e a tutti i partecipanti il saluto della regione siciliana, del suo governo e mio personale. Rivolgo inoltre un ringraziamento, presidente Scalia, per l'invito a partecipare all'appuntamento odierno. Lo dico non tanto per quello che dirò quanto per le considerazioni che ha svolto nella sua relazione, per l'ampia documentazione che ci è stata consegnata e per quello che sarà lo sviluppo di questo incontro, al quale purtroppo anch'io sarò costretto a non partecipare fino in fondo per la concomitanza dei lavori di assemblea, ma del quale spero di avere contenuti, che serviranno ad una ulteriore riflessione.
Vorrei esprimere un ringraziamento al presidente Cristaldi, che ha lasciato questo consesso perché deve aprire la seduta, per quello che ha detto e per il tema che ha posto e che io non voglio riprendere perché lo condivido per intero, nella sostanza e anche nel modo in cui lo ha posto. Sono presidente della regione e commissario delegato all'emergenza rifiuti da un paio di mesi, ma certo c'è una continuità non solo amministrativa ma anche di ordine costituzionale e c'è la condivisione di un percorso che si è seguito in una condizione molto difficile specificamente in questa regione.
Vorrei fare alcune considerazioni che in parte mi vengono dalla breve esperienza che ho svolto assieme al dottor Scialabba ma in parte sono il frutto di una serie di audizioni che ho svolto al fine di un'opera di alfabetizzazione del commissario rispetto ad un approccio che è difficile, tormentato e per certi versi pieno di


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asperità. Ho scritto queste considerazioni perché quando si affronta una materia difficile pronunciare un discorso a braccio può produrre qualche vuoto e qualche rappresentazione distorta.
Ad un anno dalla dichiarazione dello stato di emergenza nel settore dei rifiuti in Sicilia è certamente possibile fare un primo significativo bilancio della gestione commissariale, a seguito delle ordinanze di protezione civile, con le quali il Presidente della regione ed i prefetti delle province sono stati chiamati ad esercitare poteri eccezionali per il superamento dell'emergenza ed il ritorno ad una gestione ordinaria.
L'aspetto principale che va evidenziato è che una gestione straordinaria non deve necessariamente comportare una sostituzione degli organi ordinariamente competenti, ma comporta, in primo luogo, l'individuazione di un organo che diviene centro di riferimento delle iniziative da intraprendere per superare l'emergenza e, in secondo luogo, l'affidamento a questo organo dei poteri indispensabili per chiamare tutti a dare ogni possibile contributo.
È ben noto che sia il legislatore nazionale sia quello regionale hanno dettato norme per la semplificazione amministrativa, con l'obiettivo di prevedere procedure che consentano alle diverse amministrazioni di concordare una comune risposta alle esigenze sia pubbliche sia private.
Sotto tale profilo, le ordinanze di protezione civile consentono al Commissario straordinario di avvalersi di tutte le amministrazioni pubbliche chiamandole ad esprimersi sugli interventi predisposti da altri uffici, e di richiedere ad ogni amministrazione la ricerca della soluzione al fine di conseguire il superiore interesse della collettività. Il risultato di tale azione è quello che tutti i soggetti interessati, ognuno per la parte di propria competenza, per iniziativa del Commissario delegato, vengono chiamati a dare il proprio contributo per la realizzazione degli interventi che consentano una corretta gestione dei rifiuti.
Ritengo pertanto che lo strumento più efficace posto a disposizione della gestione commissariale sia quello di far diventare il problema della corretta gestione dei rifiuti un problema di tutte le amministrazioni pubbliche, senza espropriarle delle proprie competenze e prerogative in nome dell'emergenza.
Ribadisco che obiettivo di questo governo è favorire il coinvolgimento degli enti locali e delle loro associazioni nei processi decisionali, evitando che la gestione commissariale si sostituisca alle amministrazioni locali, ferma restando la responsabilità della gestione commissariale in ordine alle decisioni da assumere, anche a fronte di ritardi ed inefficienze.
Occorre evidenziare che la gestione commissariale, con l'approvazione del Documento delle priorità degli interventi per l'emergenza rifiuti in Sicilia, previa intesa con il ministro dell'ambiente, ha messo a disposizione della comunità isolana lo strumento di riferimento per le azioni da intraprendere, nel rispetto della normativa comunitaria in materia, consentendo di dare una accelerazione alle iniziative sia pubbliche sia private.
Tuttavia, la gestione commissariale, con il significativo contributo delle amministrazioni provinciali, non si è limitata alla pur fondamentale


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attività di programmazione. Infatti, sono state avviate le procedure per la realizzazione dei centri comunali di raccolta, al servizio della raccolta differenziata, è stato approvato un regolamento comunale tipo per la gestione dei rifiuti, al fine di dotare le amministrazioni locali di uno strumento indispensabile per operare nel rispetto dei principi indicati dal decreto legislativo n. 22 del 1997, è stata superata l'assenza del CONAI dalla Sicilia ed è stata assicurata ogni possibile collaborazione ai prefetti nel difficile settore della gestione delle discariche.
Allo stato, decine di progetti di centri comunali di raccolta sono già pervenuti ed altri continuano a pervenire giornalmente alla struttura commissariale, che ha già provveduto ad erogare i primi finanziamenti.
Inoltre, l'adozione del regolamento tipo non solo ha dato un ausilio, in particolare ai piccoli comuni, ma sta consentendo di superare ingiustificabili lentezze nell'adeguare i vecchi regolamenti alla normativa sopravvenuta.
Sul fronte della raccolta differenziata, va evidenziato il ruolo esercitato dalla gestione commissariale per creare un circolo virtuoso fra comuni, da un lato, e CONAI e consorzi di filiera, dall'altro. I comuni, infatti, non attivavano la raccolta differenziata per mancanza di centri di raccolta, i consorzi di filiera non organizzavano i centri di conferimento perché i comuni non provvedevano alla raccolta differenziata. La struttura commissariale, grazie ai poteri conferiti, ha operato sui due fronti, sbloccando la situazione con la firma di centinaia di convenzioni che stanno incanalando il flusso del materiale raccolto verso il riutilizzo, con la conseguenza di rendere necessari investimenti per sopperire alla debolezza del sistema delle imprese che ancora oggi è una caratteristica del nostro territorio.
Naturalmente, questo afflusso di risorse pubbliche e private per il recupero della frazione valorizzabile dei rifiuti deve inserirsi in un quadro generale caratterizzato da un'azione politica e amministrativa di contrasto efficace alla criminalità organizzata. La mafia è il principale nemico non solo delle nostre libertà civili e politiche, ma anche delle libertà economiche e del diritto al lavoro, ed il Governo regionale è impegnato a realizzare, in questo campo, anche avvalendosi delle indicazioni fornite dalle apposite commissioni istituite presso l'Assemblea regionale siciliana, le condizioni amministrative che garantiscano rigorosa trasparenza e imparzialità dell'amministrazione, ricercando la massima collaborazione e sinergia con gli organi statali preposti alla prevenzione ed alla repressione della mafia e delle altre forme di criminalità organizzata.
Nel prossimo futuro, fermo restando l'impegno per l'incremento della raccolta differenziata della frazione valorizzabile e per il compostaggio della frazione umida, dovremo realizzare gli impianti per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti, impianti indispensabili per il superamento della situazione di emergenza e per il ritorno alla gestione ordinaria.
A tale proposito, con pacatezza ma con fermezza, va ribadito che è inaccettabile la cancellazione per la Sicilia e per la Puglia del contributo per l'energia elettrica prodotta dai rifiuti, previsto dal provvedimento del comitato interministeriale n. 6 del 1992. Questa


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eliminazione determinerà il conseguente aumento dei costi a carico dei comuni, per il conferimento dei rifiuti agli impianti per la produzione di combustibile.
È certamente ingiusto che nel resto del paese la realizzazione degli impianti sia rimessa alle valutazioni sul rapporto costi-benefici da parte delle amministrazioni, mentre in Sicilia il conferimento dei rifiuti agli impianti per la produzione di CDR è previsto come obbligatorio per i comuni, ai sensi delle ordinanze di protezione civile.
Infine, considerato che per la Campania e la Calabria sono state mantenute le condizioni di cui al provvedimento CIP n. 6 del 1992, la cancellazione di tali previsioni per la Sicilia e la Puglia determina una ingiustificabile penalizzazione di una metà della popolazione meridionale rispetto all'altra metà.
Da quanto detto appare evidente che ogni livello istituzionale, dal comune al governo dello Stato, è chiamato ad esercitare il proprio ruolo per superare lo stato di emergenza e pervenire ad una gestione ordinaria, ma i ritardi e le omissioni degli uni non possono giustificare i ritardi e le omissioni degli altri. Soltanto facendo sino in fondo la propria parte, con tutti i mezzi allo stato disponibili, sarà possibile chiamare efficacemente ognuno alle proprie responsabilità.
Per questo, il presidente della regione, nel sottolineare la responsabilità di tutti, pone a se stessa l'obiettivo primario di realizzare ogni possibile iniziativa, nella consapevolezza che solo chi ha fatto sino in fondo il proprio dovere potrà essere credibile ad avere voce per conseguire il superamento dello stato di emergenza ed il ritorno alla gestione ordinaria.
Oltre a quanto è stato detto, presidente Scalia, il presidente della regione siciliana e, se mi consente, l'onorevole Leanza le sarà grato per tutti gli elementi o i suggerimenti che lei personalmente o la Commissione gli vorranno fornire, così come il presidente della regione è grato a tutte le alte autorità che hanno pertinenza e conoscenza per i suggerimenti che gli vorranno dare, sentendosi determinato nelle cose che ha detto ma anche bisognoso di supporti, di suggerimenti ed eventualmente anche di consigli. Non credo infatti che nella vita ci sia amministratore a qualunque livello che non abbia bisogno di tutto ciò, nella convinzione che la sinergia tra tutti i soggetti che possono influire è l'elemento di forza per superare l'emergenza e per eliminare i rischi di infiltrazione e gli altri inconvenienti di cui parlava il presidente Scalia. Ritengo che tale sinergia sia la condizione essenziale per svolgere un ruolo positivo nell'interesse della società e per sconfiggere chi questa società vuole tenere conculcata, oppressa e spesso a forte rischio.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Possiamo concludere la prima sessione di riflessioni sull'istituto del commissariamento con l'intervento del prefetto di Palermo, Renato Profili, che riassumerà anche la prevista relazione del prefetto di Catania.

RENATO PROFILI, Prefetto di Palermo. Signor presidente della Commissione parlamentare di inchiesta, signor presidente dell'assemblea,


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signor commissario regionale, signor presidente della regione, autorità, signore e signori, come è noto la situazione di emergenza rifiuti in Sicilia trae origine dalla mancata attuazione del famoso piano regionale del marzo 1989, peraltro ormai reso obsoleto per effetto dell'entrata in vigore del cosiddetto «decreto Ronchi» del febbraio 1997, il quale come strategia operativa ha introdotto il nuovo concetto di gestione dei rifiuti e la nuova esigenza di avviare il percorso della raccolta differenziata e quindi la trasformazione e il recupero dei rifiuti.
L'impianto operativo di questa operazione delineatasi con la famosa dichiarazione di emergenza del Consiglio dei ministri ai sensi della legge n. 225 del 1992 e le successive ordinanze di attuazione pone in capo al presidente della regione siciliana, nella qualità di commissario delegato all'emergenza rifiuti, l'attuazione di un piano per portare a regime la normativa Ronchi.
La prima ordinanza, la n. 2983 del 31 maggio 1999, come è noto, prevede all'articolo 5 che i prefetti debbano gestire l'emergenza, ed ovviamente i prefetti l'hanno sempre gestita nell'ottica di riferire al commissario, di essere in sintonia con le strategie dell'ufficio regionale del commissariato.
Fin dall'entrata in vigore dell'ordinanza n. 2983 con le sue integrazioni successive e l'ultima proroga, dai colleghi della Sicilia e da chi vi parla è stata avviata un'azione volta a garantire, entro i limiti possibili, una gestione dei rifiuti che continua ad essere impostata sullo smaltimento in discarica. Le discariche sono costituite in gran parte da impianti provvisori, attivati sempre con il meccanismo dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e, sulla base di richieste provenienti dai sindaci, i prefetti autorizzano le proroghe, verificando la sussistenza dei requisiti di sicurezza e di tutela ambientale.
L'organizzazione di questo meccanismo viene gestita dai prefetti che si avvalgono di figure professionali che si rinvengono nella provincia e che si ritrovano in un cosiddetto comitato tecnico che rappresenta un punto di riferimento sul piano squisitamente tecnico.
Su altro versante, invece, vengono svolte approfondite azioni di vigilanza e di controllo da parte delle province regionali nonché delle aziende sanitarie locali e del NOE, cioè del nucleo speciale dei carabinieri. Mi corre l'obbligo in questa occasione di ringraziare questi carabinieri, che non sono tanti, sono una semplice pattuglia, ma che nell'intero territorio della Sicilia stanno lavorando veramente bene perché ci danno la possibilità di fare molte valutazioni e di potere intervenire sui sindaci per raccomandare loro una maggiore attenzione.
Quanto al ricorso alle discariche provvisorie, preciso che a Palermo ve ne sono 22 e in tutta la Sicilia 166. Occorre tener conto che vi sono anche discariche non più in esercizio, da bonificare, e sono per l'esattezza 122.
Mi sia consentito di porre all'attenzione del governo e del parlamento della regione siciliana l'esigenza di valutare se non sia il caso che questo territorio massacrato venga riportato alla sua antica condizione. Quando ero nella precedente sede, sempre in Sicilia, mi sono posto il problema della bonifica complessiva di uno dei siti più


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massacrati non solo della Sicilia ma d'Italia. Il commissario regionale mi ha dato le prime risorse regionali e abbiamo cominciato un'azione di bonifica; però ora occorre procedere ad ulteriori interventi allo scopo di portare a totale completamento l'azione di bonifica. Il presidente Leanza, messinese, ricorderà che il sito si chiama Portella Arena, che era uno dei più belli d'Italia, corredato addirittura da giardini pieni di agrumeti e tale da accendere l'attenzione non solo dei semplici cittadini ma dell'intera opinione pubblica.
Il ricorso alle discariche provvisorie andrà comunque superato in tempi il più possibile rapidi, soprattutto quando si riuscirà a portare a regime la famosa raccolta differenziata. Il commissario regionale ha rappresentato le iniziative avviate, però io sostengo, da modesto servitore dello Stato, che quando andrà a regime la raccolta differenziata si potrà considerare risolta al 50 per cento l'emergenza in Sicilia. La raccolta differenziata è dunque la chiave di volta per risolvere il problema dei rifiuti.
Sulla questione specifica delle emergenze mi sia consentito evidenziare che chi vi parla insieme al comitato tecnico in prefettura ha stimolato una iniziativa rivolta ai sindaci di alcuni comuni di questa provincia per avviare progettazioni per la realizzazione di nuove discariche emergenziali, che sono state trasmesse all'ufficio del commissario delegato per l'emissione del necessario decreto di finanziamento.
Per quanto riguarda specificamente la provincia di Palermo, sono stati individuati, quali interventi necessari a fronteggiare l'emergenza, quelli relativi all'implementazione della terza vasca della discarica di Bellolampo (per i quali abbiamo ottenuto il finanziamento dal commissario regionale e stanno per iniziare i lavori) nonché alla realizzazione della quarta vasca della medesima discarica. Anche a questo proposito le cose stanno procedendo molto celermente, siamo impegnati con l'ufficio del commissario e speriamo di raggiungere in breve tempo il risultato sperato. La progettazione della quarta vasca della discarica di Bellolampo, che è un'operazione complessa, è stata curata da un gruppo di funzionari tecnici del genio civile e dell'AMIA.
Nella provincia di Palermo sono stati poi individuati, nell'ambito di progetti esecutivi già predisposti, altri due interventi relativi a nuove discariche da realizzare nel comune di Castellana Sicula e nel comune di Bolognetta.
Non posso non ricordare una vicenda che, sempre in tema di localizzazione di discariche, si è verificata in altra provincia della Sicilia e mi ha visto personalmente impegnato: è la vicenda che ha interessato il comune di Patti. Lì in una serie di situazioni di forte emergenza si era individuata, d'intesa con il sindaco di quel comune, un'area dove collocare una discarica, che ben inteso non era una discarica in senso tecnico ma qualcosa in più che andava verso l'attuazione del famoso piano regionale. Questa soluzione purtroppo ha trovato ostacoli di vario genere e la situazione si è bloccata.
La realizzazione di nuove discariche emergenziali nell'intero territorio siciliano è sicuramente l'obiettivo prioritario nella situazione attuale, unitamente all'obiettivo di un significativo e certamente risolutivo incremento della raccolta differenziata. Si tratta di azioni


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strettamente interconnesse, per le quali occorre il massimo coordinato impegno degli enti e dei soggetti istituzionali interessati in base alle competenze delineate dal nuovo quadro normativo.
Riteniamo che per una popolazione siciliana di circa 5 milioni di abitanti e con una produzione giornaliera di rifiuti pro capite stimata in 1,36 chilogrammi, allo stato attuale non si può non considerare l'esigenza di aprire altre discariche, perché quelle attualmente funzionanti e sparse qua e là nella regione sono già quasi totalmente esaurite. Diverso è invece il discorso per gli inerti, per i quali il prevalente orientamento è di adibire a siti di smaltimento cave esaurite o abbandonate. A Palermo in effetti è stata aperta a Terrasini una discarica di inerti di seconda categoria, tipo A. La situazione comunque non è tra le migliori.
Partendo da questa riflessione, che si riferisce all'inizio della situazione di emergenza ed in particolare all'ordinanza n. 2983, la cui realizzazione è partita dai primi giorni di giugno del 1999, mi sia consentito di delineare rapidamente alcune idee che traggo dalla mia esperienza. Non si può non guardare all'esigenza di ottenere dal legislatore una forte accentuazione sul meccanismo della repressione per quanto riguarda le responsabilità connesse a discariche abusive o a traffico clandestino di rifiuti, con particolare riferimento a depositi di rifiuti speciali. Bisogna rendersi conto che quando si riesce ad individuare, naturalmente con molti sforzi, i responsabili di questi comportamenti, una accentuazione della repressione rappresenta un antidoto che va nell'ottica della prevenzione.
Sulla bonifica dei siti massacrati dai rifiuti non si può non prendere immediate iniziative. La Sicilia è un territorio splendido, ha un territorio eccezionale ed è un peccato che vi siano territori massacrati.
Un cenno, infine, sulla massima attenzione. Le garantisco che i prefetti della Sicilia sono fortemente impegnati nell'azione di vigilanza, non solo sulla regolarità della gestione della discarica, ma soprattutto nel tentativo di impedire che ci siano penetrazioni della criminalità organizzata. E per la provincia di Palermo potrebbero essere effettuati in prospettiva, non appena verranno avviati i progetti del piano straordinario, tentativi di ghermire risorse importanti per la società civile, risorse che rappresentano un importante business per le consorterie criminali, mentre per l'apparato istituzionale sono soltanto il mezzo attraverso il quale rendere un servizio doveroso - sottolineo doveroso - per la collettività.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Ringrazio tutti gli intervenuti.

Seconda sessione: Aspetti tecnici della gestione commissariale.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Il tema della seconda sessione concerne gli «Aspetti tecnici della gestione commissariale». I relatori sono il dottor Nicolò Scialabba, sub-commissario per la raccolta differenziata, e il professor Aurelio Angelini, presidente della commissione tecnico-scientifica di supporto al commissario delegato.


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Do subito la parola al dottor Scialabba.

NICOLÒ SCIALABBA, Sub-commissario per la raccolta differenziata. Signore e signori, autorità, chi vi parla si è accostato da circa un anno alle problematiche connesse ai rifiuti e da poco più di due mesi ha avuto affidato il compito di sub-commissario per la raccolta differenziata.
La storia della raccolta differenziata in Italia nasce con il decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, ma in Sicilia negli anni ottanta nessuno, tranne forse alcuni sparuti gruppi di ambientalisti, pensava alla raccolta differenziata.
Il piano approvato con decreto del presidente della regione siciliana n. 35 del 1989, anche se prevedeva, per la fase a lungo termine, impiantistica a tecnologia complessa (impianti di incenerimento e compostaggio), altro non era, relativamente alla fase di medio-breve termine, se non un piano di discarica. Detto piano, peraltro, è rimasto pressoché totalmente inattuato.
Un comportamento, all'epoca, da parte di tutti, complessivamente poco rispettoso delle regole e dell'ambiente e poco operativo.
Non tocca, certo, a me esprimere giudizi sul punto, e tuttavia, bisogna pure dire, per amore di verità, che, essendo rimasto inattuato il piano del 1989, per ragioni contingibili ed urgenti, discariche spuntarono come funghi in tutti i comuni della Sicilia; e quando le cose vengono fatte in fretta - si sa - non sempre è possibile rispettare le regole di salvaguardia dell'ambiente ed in particolare quelle di salvaguardia della sottostante falda acquifera.
In definitiva in quegli anni il danno all'ambiente è stato enorme; basti pensare alle circa 80 discariche da bonificare nella sola provincia di Messina.
Il decreto legislativo n. 22 del 1997, meglio conosciuto come «decreto Ronchi», costituisce, normativamente, una rivoluzione copernicana per quanto riguarda il settore di che trattasi, in quanto afferma il principio di contenimento della produzione degli imballaggi ed al tempo stesso quello del riciclaggio e del riutilizzo dei rifiuti.
In esecuzione di detto decreto, se si eccettua una circolare dell'assessorato Territorio e Ambiente dalla regione sul versante del riciclaggio, i primi provvedimenti sono tutti successivi alla dichiarazione di emergenza dal parte del Consiglio dei ministri ed alla emanazione della ordinanza 2983 del 31 maggio 1999; e non credo di dovere aggiungere altro a quanto già riferito dal commissario delegato - presidente della regione siciliana, se non che tutto quello che è stato fatto fino ad ora dalla gestione commissariale, per quanto importante, costituisce solo la fase d'avvio del difficile e accidentato percorso per raggiungere gli obiettivi previsti dalla normativa vigente in materia.
Ora, attese le specifiche incombenze affidate al sub-commissario dall'articolo 3 dell'ordinanza, vale la pena di cogliere questa occasione per enucleare alcuni punti fermi previsti dalla normativa che aiutano a tracciare un programma, a breve-medio termine.
Un primo punto fermo è costituito dal fatto che gli obiettivi relativi alla raccolta differenziata si conseguono solo se ed a misura che si riesce a coinvolgere i cittadini-utenti e, conseguentemente, a


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misura che i rifiuti escono già selezionati dalle case, dai bar, dai ristoranti, dai mercati, dagli ospedali, dalle caserme, dalle comunità eccetera, rispettando in modo pedissequo le direttive dell'autorità comunale. La campagna di comunicazione, di prossimo avvio, sarà, quindi, mirata a sensibilizzare tutti gli utenti ma, in particolare, attraverso le scuole, tutti i giovani e soprattutto i giovanissimi che costituiscono un eccellente veicolo di ulteriore informazione. Se ciò non dovesse avvenire i risultati saranno sempre modesti ed i costi di gestione saranno sempre altissimi.
Un secondo punto fermo, che discende dal primo, è costituito dal fatto che nell'attività di comunicazione occorre parlare agli utenti con lealtà e correttezza. Ai cittadini verrà chiesta collaborazione perfettamente congrua rispetto agli strumenti esistenti ed ai risultati conseguibili. Se, infatti, ai cittadini si chiede di adoperarsi per selezionare i rifiuti e i rifiuti stessi, selezionati con sacrifici, finiscono in discarica, le autorità divengono non più credibili, neanche quando i rifiuti selezionati potranno andare al riciclaggio ed al riutilizzo.
Un terzo punto fermo è dato dal fatto che nella materia che ci occupa, contrariamente a quanto è accaduto finora, non si può procedere con improvvisazione e superficialità e che, in caso di gestione sia diretta sia indiretta, il comune o i comuni aggregati, mediante consorzi o società miste o altra forma di aggregazione, devono dotarsi di strumenti operativi (regolamenti, progetti integrati di raccolta differenziata eccetera) veramente adeguati alla normativa e alle più avanzate tecniche di attuazione. Non è pensabile, inoltre, che si possa operare mediante una gestione indiretta senza prevedere una interfaccia all'interno dell'apparato comunale che eserciti adeguati controlli finalizzati al rispetto della normativa e agli interessi generali collettivi.
In questo delicatissimo campo l'attività della gestione commissariale dovrà essere rispettosa dell'autonomia degli enti locali ma al tempo stesso ferma, intervenendo, in caso di comportamento deliberatamente omissivo e laddove previsto dall'ordinanza, anche sostitutivamente.
Un quarto punto fermo parte dalla considerazione che i comuni non sono più in grado di sostenere i costi altissimi della gestione dei servizi e dalla necessità di dare esecuzione all'obiettivo previsto dall'ordinanza di abbancare via via sempre meno rifiuti in discarica. Si interverrà al riguardo da un canto rendendo congrue le tariffe di conferimento in discarica rispetto ai costi di gestione, di ammortamento e di postgestione, e d'altro canto finanziando ai comuni, secondo precisi criteri ed in esecuzione di progetti per singoli ATO, tutte le spese in conto capitale comprese quelle relative alle attrezzature. Ciò appunto al fine per un verso di limitare l'abbancamento in discarica e per altro verso di incoraggiare la raccolta differenziata.
Un quinto punto fermo parte dalla considerazione che se è vero che per avviare l'attività di riciclaggio non occorre necessariamente completare la realizzazione di tutti i presidi di raccolta differenziata (ed è quello che in sostanza ha provveduto a fare la gestione commissariale nel precedente anno di attività, in attesa della predisposizione e dell'approvazione del piano), è ancora più vero che


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senza le attrezzature finalizzate dalla raccolta differenziata, senza gli impianti di compost e di valorizzazione, senza gli impianti in capo al sistema CONAI, la raccolta differenziata non si schioderà mai da percentuali ad una sola cifra; e senza gli impianti di trasferenza, di Crd e di termovalorizzazione a valle della raccolta differenziata, la percentuale di almeno il 50 per cento di tal quale continuerà ad essere abbancata in discarica.
Da ciò deriva che se si vuole dare attuazione a quanto previsto dalla normativa vigente e dall'ordinanza, in particolare occorre da subito avviare la realizzazione degli impianti previsti dal PIER.
L'ordinanza n. 2983 del 31 maggio 1999 è dotata di un budget di 457 miliardi; ma il PIER prevede una spesa di 798 miliardi per la realizzazione delle attrezzature, dei centri comunali di raccolta, degli impianti di compostaggio, di selezione e di valorizzazione, nonché per la realizzazione delle stazioni di trasferenza della frazione residuale.
Appunto per questo la struttura commissariale si accinge a chiedere la necessaria adeguata integrazione.
Ebbene se ai citati 798 miliardi si aggiungono quelli necessari alla realizzazione degli impianti di Cdr e termovalorizzazione, anche senza voler contare i fondi relativi ai presidi che devono essere realizzati dai consorzi di filiera, cioè i centri di raccolta, riciclaggio e riuso, ci si accorge che le risorse da spendere mediante pubblici appalti per gli interventi previsti dall'ordinanza non saranno meno di 2000 miliardi. E si sa, quando in un posto arriva del miele, arrivano anche le mosche.
Il tema quindi, se questo è il tema, signor presidente, è come ci si difende dai pericoli determinati dalla corruzione, dalla prevaricazione, dalle infiltrazioni malavitose e in particolare mafiose. Al riguardo mi piace citare il pensiero di Carlo Nordio, espresso in un saggio del 1997 intitolato Giustizia. Dice Nordio a conclusione del suo saggio: «La corruzione ha molti padri: l'avidità della natura umana, il disprezzo per il prossimo e soprattutto l'ottuso pregiudizio che l'interesse individuale possa essere svincolato da quello collettivo. Ma la madre è unica, ed è il legislatore; quanto più le leggi sono cavillose e contraddittorie, tanto più questa madre è fertile e procreativa. La corruzione - prosegue Nordio - ci sarà sempre: proprio per questo deve essere attenuata attraverso procedure amministrative rapide e chiare, con competenze individuate e controlli incisivi».
Condivido l'assunto di Nordio e dico che la buona gestione degli appalti parte appunto da una buona legge, ma non basta: le leggi son - dice il poeta - ma chi pon mano ad esse. Ho salutato con entusiasmo - credo assieme a pochi altri - l'avvento della legge regionale n. 10 del 1993. Il legislatore nel 1993 aveva emanato una legge eccezionalmente chiara e precisa con competenze individuate e controlli incisivi, ma essa di fatto non è stata mai compiutamente attuata e per di più, dopo appena otto mesi di vita, ha cominciato a subire i primi attacchi demolitori con il quinto comma dell'articolo 152 della legge regionale n. 25 del 1993 che consentiva di mantenere in circolazione progetti esecutivi in base alla legge n. 21 del 1985 e non adeguati, quindi, a quanto previsto dall'articolo 20 della legge n. 10 del 1993.


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Tutto ciò ha vanificato di fatto l'ipotesi di procedure rapide e chiare in quanto i progetti, appunto perché non adeguati a quanto previsto dall'articolo 20 della legge regionale n. 10 del 1993, sono risultati di fatto non eseguibili. L'osservatorio regionale per l'accelerazione e la qualificazione della spesa pubblica ha documentalmente dimostrato che in Sicilia alla fine del 1997 su circa 5 mila procedure monitorate, relative a finanziamenti di opere pubbliche per l'importo complessivo di circa 13 mila miliardi di lire (una finanziaria di altri tempi), quasi la metà, per l'importo di circa 6 mila miliardi, risultavano inceppate o, peggio, neanche avviate; ed ha potuto constatare che l'ostacolo principale alla chiarezza ed alla rapidità delle procedure era costituito da progetti non adeguati e conseguenti perizie di variante. Parliamo di finanziamenti e relative procedure bloccati anche da decenni.
La situazione attuale non può dirsi purtroppo migliorata riguardo all'incertezza del quadro normativo; basti pensare alla vexata quaestio dell'applicabilità del nuovo regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 554. Oggi, rispetto al 1997, l'osservatorio regionale, che dal 1o gennaio 2000 opera alle dipendenze dell'autorità per la vigilanza sui lavori pubblici come sezione staccata dell'osservatorio nazionale, non dispone di dati confrontabili, ma si ha motivo di credere che il trend di procedure inceppate non sia certo diminuito. Da quanto precede non si può quindi escludere che anche le procedure relative agli appalti per gli impianti previsti dal PIER possano subire ritardi o, peggio, inceppamenti.
Al punto in cui stanno le cose si impone dunque l'emanazione di una legge di recepimento della normativa statale con possibili integrazioni dettate dalla peculiarità della Regione siciliana, anche al fine di rendere le procedure omogenee rispetto al resto d'Italia. Ma la legge, da sola, non basta, come non è bastata la legge n. 10 del 1993; dopo la buona legge, che consenta procedure rapide e chiare e competenze bene individuate, occorre una precisa volontà di attuazione della legge stessa mediante adeguati strumenti e controlli incisivi; controlli seri e costanti anche, e direi soprattutto, nei confronti di chi è chiamato ad effettuare i controlli. Tutto ciò sull'altare dell'efficacia, dell'efficienza e della economicità dell'azione amministrativa, ma anche al fine di attenuare - per dirla con Nordio - la propensione alla corruzione ed alle infiltrazioni malavitose.
Tornando al tema del seminario - ma credo che le due cose fossero certamente correlate e collegate - e, specificatamente, alle procedure per la realizzazione degli impianti previsti dal PIER, concludo dicendo che, rispetto a prima, oggi esistono i presupposti per dotare la Sicilia di un sistema di gestione dei rifiuti adeguato allo spirito del «decreto Ronchi» e non possono quindi essere invocati alibi da parte di alcuno. Siamo, per usare un termine aeronautico, ad un punto di non ritorno e non possiamo consentirci perplessità. Dobbiamo andare necessariamente avanti.
L'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti è uno strumento agile ed al tempo stesso pericoloso per le connesse discrezionalità, ma in definitiva consente di cogliere una occasione


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che, limitatamente al settore che ci occupa, non esito definire storica per il conseguimento degli obiettivi di tutela dell'ambiente e di miglioramento dei livelli occupazionali nella nostra regione.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Mi pare che da una fase di riflessioni più generali, con la relazione del dottor Scialabba siamo passati a fare i conti con aspetti estremamente concreti. Mentre ascoltavo la relazione pensavo che è vero che la farraginosità delle norme è criminogena, come ci ricordavano le citazioni di Nordio, ma è anche vero - e ce lo ha detto appunto Scialabba - che nelle casse dell'ufficio del commissariato, non in uno generico stanziamento della regione, ci sono 457 miliardi. Il PIER, quello che ricordavo prima come Documento delle priorità, è ormai un atto ufficiale essendo apparso, se non ricordo male, lo scorso mese di agosto in Gazzetta ufficiale; mi chiedo allora perché non si parta. Nell'ultima parte del suo intervento il dottor Scialabba mi è sembrato condividere questo interrogativo e scioglierlo positivamente, nel senso cioè che ci sono tutte le condizioni per partire. Vorrei che ne fossimo consapevoli.
Se ci sono le risorse finanziarie e lo strumento operativo, gli ampi poteri di deroga cui anche il dottor Scialabba faceva riferimento in conclusione del suo intervento avrebbero dovuto produrre già i bandi. Direi quindi che se c'è una volontà politica adeguata all'emergenza e ai problemi che dobbiamo affrontare e risolvere per superare la straordinarietà, se c'è tutto questo - mi pare che anche Scialabba concludesse positivamente - dobbiamo, come dire, essere già partiti.
Ascoltiamo ora la relazione del professor Aurelio Angelini, presidente della Commissione tecnico-scientifica di supporto al commissario delegato, commissione che credo, ma il nostro interlocutore potrà confermarlo, nelle diverse transizioni politiche intervenute, sia stata anche pars magna nella stesura del PIER.

AURELIO ANGELINI, Presidente della commissione tecnico-scientifica di supporto al commissario delegato. Signor presidente, onorevoli componenti la Commissione, autorità, gentile uditorio, è questa un'occasione molto importante per noi, non solo perché possiamo fare il punto della situazione di emergenza in Sicilia e sull'istituto del commissariamento ma anche perché possiamo discutere per la prima volta pubblicamente, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del cosiddetto Documento delle priorità che la Commissione scientifica da me presieduta ha approvato e di cui l'allora commissario delegato pro tempore, onorevole Capodicasa, ha disposto, previa intesa con il Ministero dell'ambiente, la pubblicazione.
Dal 4 agosto in Sicilia è quindi vigente un piano che cercherò ora sinteticamente di illustrare che ci può permettere nell'arco di 24 mesi - questo è il tempo che assegniamo - di uscire dall'emergenza rifiuti in Sicilia e poter restituire agli organi preposti le funzioni che attraverso il commissariamento sono state ad essi tolte.
Voglio dire che la redazione del Documento delle priorità è stata sofferta proprio perché ci sono state tante e forti resistenze al cambiamento, al passaggio da un sistema che individuava nel rifiuto


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qualcosa da smaltire in discarica ad una nuova impostazione, quella dettata dal cosiddetto «decreto Ronchi». Alla fine di questo percorso contrastato e difficile siamo riusciti ad elaborare un documento che ritengo possa rappresentare un punto di partenza intorno al quale costruire un piano più generale per dare alla Sicilia uno strumento, per quanto riguarda i rifiuti, adeguato alle necessità.
I motivi dell'emergenza in Sicilia possono essere ricordati attraverso due dati significativi. Dal febbraio 1997, cioè dalla pubblicazione del decreto legislativo Ronchi, ad oggi sono state autorizzate 408 discariche ex articolo 13, cioè un numero superiore a quello dei comuni siciliani. Inoltre l'ultimo dato relativo alla raccolta differenziata è pari allo 0,7 per cento, come dato globale della regione.
Questi dati ci fanno capire come siamo in rotta di collisione per quanto riguarda la tutela dell'ambiente ed il superamento della discarica come strumento per lo smaltimento dei rifiuti e allo stesso tempo come il sistema previsto dalle direttive europee e dal decreto legislativo Ronchi non sia stato per niente attuato.
Oggi abbiamo però le condizioni, attraverso questo piano e attraverso le risorse finanziarie immediatamente spendibili, di poter dotare la Sicilia di un sistema all'avanguardia di impianti al servizio della raccolta differenziata e per la valorizzazione, attraverso il Cdr, del rifiuto non recuperabile. A differenza infatti di altre regioni, che hanno raggiunto percentuali più elevate ma sono passate attraverso sistemi e tecnologie che negli anni si sono evoluti, per cui ora molte di queste regioni lavorano con impianti obsoleti, noi possiamo partire da una condizione di «privilegio», a condizione però che si passi dalla pianificazione degli interventi di emergenza alla loro realizzazione. Oggi, dicevo, ci sono tutti gli strumenti e ci sono le risorse; è necessario quindi in tempi rapidi passare alla fase della realizzazione.
Del resto sappiamo che per realizzare gli impianti più complessi relativi alla produzione del Cdr sono sufficienti sette mesi dalla realizzazione della gara di appalto; per gli altri impianti, di compostaggio, di selezione, eccetera, sono invece necessari da tre a sei mesi; realisticamente se la regione siciliana, il commissario delegato, così come oggi ha avuto modo di dire nel suo intervento, sono impegnati per la realizzazione del Documento delle priorità, nell'arco di nove mesi, dieci al massimo, potremmo avere in Sicilia tutta l'impiantistica necessaria al servizio sia della raccolta differenziata sia della produzione di Cdr.
Il Documento delle priorità, dicevo, punta ad alcuni elementi fondamentali, primo fra tutti la raccolta differenziata. Noi pensiamo sia possibile raggiungere nella nostra regione la separazione e la valorizzazione di almeno il 50 per cento dei rifiuti. Pensiamo che questo obiettivo si possa realizzare nell'arco dei cinque anni; riteniamo che nell'arco di due anni si possa raggiungere un obiettivo pari almeno al 25 per cento, accompagnato, sempre nei prossimi due anni, dalla trasformazione del 50 per cento dei rifiuti in Cdr, il che ci potrebbe permettere in maniera sostanziale di uscire dall'emergenza.
Se consideriamo che il PIER prevede anche le volumetrie per le discariche controllate, sia per il periodo di emergenza sia per la fase


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a regime, e vi sono le risorse per poter passare alla realizzazione di questo tipo di impianti, possiamo prevedere che nell'arco di un periodo che, come dicevo, abbiamo definito in 24 mesi, la Sicilia possa concretamente uscire dall'emergenza.
Siamo partiti da un'analisi della impiantistica attuale del tutto carente, siamo partiti da una valutazione che quei pochi impianti esistenti in Sicilia erano comunque inadeguati a questo tipo di obiettivo ed abbiamo individuato, attraverso una serie di valutazioni e di parametrazioni, gli ambiti territoriali ottimali di massima per quanto riguarda gli impianti di produzione del Cdr e gli impianti necessari per questi primi due anni. Cioè, insieme alla pubblicazione del Documento delle priorità, abbiamo avuto quella, in ordinanza, dei siti nei quali realizzare tali impianti. Questo ci permette da una parte di essere operativi e dall'altra di individuare i presidi dettagliatamente indicati nei quali verranno realizzati gli impianti.
Abbiamo quindi provveduto a questa prima operazione che ci può permettere, attraverso la realizzazione degli impianti, di affrontare in maniera strutturale la carenza finora riscontrata. È chiaro che particolare rilevanza deve avere la raccolta differenziata, che però deve essere incentivata e deve vedere coinvolti innanzitutto i comuni, a partire da una cosa molto semplice e cioè cambiare i contratti di servizio che continuano ad essere fatti, non secondo il decreto legislativo Ronchi ma in base alla vecchia concezione di rifiuto da smaltire. Basta pensare che le amministrazioni comunali che fanno raccolta differenziata, lo prevedono come servizio aggiuntivo e non come parte del sistema di raccolta dei rifiuti.
Ci sono ancora forti resistenze da parte delle amministrazioni comunali per cambiare i contratti, prorogando all'infinito le situazioni di fatto preesistenti. È necessario invece voltare pagina. È necessaria un'iniziativa adeguata per far sì che i comuni cambino registro in ordine all'organizzazione del servizio della raccolta dei rifiuti. Ma vi è anche un altro elemento molto importante, che io definisco strutturale, in ordine al problema della raccolta differenziata e cioè che noi abbiamo oggi condizioni, per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti, in quasi tutte le province di grande privilegio. Le discariche ex articolo 13 non prevedono ad oggi, ma l'ultima ordinanza finalmente fa chiarezza, nello stabilire la tariffa, i costi di realizzazione. Fra l'altro le stesse discariche ex articolo 13 che dovrebbero essere realizzate con norme tecniche di tutela dell'ambiente, non sono esonerate perché sono discariche d'emergenza; la tariffa di conferimento in discarica dovrebbe prevedere il costo di gestione e quello post mortem. Così non è con il risultato paradossale che i comuni del comprensorio di Palermo che scaricano a Bellolampo, tra trasporto e costo di conferimento in discarica (Bellolampo è una delle poche discariche che applica una tariffa considerando questi costi), spende più di 500 lire al chilogrammo di rifiuto, a fronte del comune di Catania che paga 29 lire al chilogrammo in una discarica ex articolo 13.
Capite bene che in una condizione di questo genere e lì dove ci sono le discariche ex articolo 13 che funzionano con questo sistema, la raccolta differenziata non partirà mai, in quanto il costo è estremamente basso, anche se bisogna dire che il costo che


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pagheremo in termini di bonifica di queste aree per la Sicilia sarà enorme. Ricordavo prima 408 discariche ex articolo 13 dal febbraio 1997 ed almeno un migliaio nei venti anni precedenti. Sarà necessaria in Sicilia una grande operazione di bonifica che costerà ai siciliani diverse migliaia di miliardi, risorse di cui la Sicilia oggi non dispone, ma che in qualche modo bisognerà attivare se non vogliamo che tra dieci o venti anni gli effetti di inquinamento della falda in questi siti siano devastanti per quella situazione di emergenza idrica sempre strisciante nella nostra regione e che diventerebbe cronica per effetto dell'inquinamento delle falde.
Credo sia necessaria un'iniziativa in questa direzione e mettere al più presto all'ordine del giorno la questione della bonifica delle discariche, la chiusura di quelle realizzate attraverso l'articolo 13 e la realizzazione di impianti per lo smaltimento dei rifiuti che rispondano a norme di garanzia per quanto riguarda la tutela dell'ambiente. Credo sia anche necessario avviare, a partire da subito, così come prevede l'ordinanza, in tutte le discariche in esercizio in Sicilia il sistema della tariffa che comprende la quota di realizzazione e di gestione per i trenta anni successivi alla chiusura della discarica.
Si tratta di un'iniziativa che bisognerà, in ottemperanza alla ordinanza, realizzare rapidamente se vogliamo limitare i danni e disporre anche di risorse per cominciare i primi interventi di bonifica. Credo però sia anche opportuno, dal punto di vista della gestione delle attuali discariche, sottoporre le discariche ex articolo 13 ad alcuni minimi interventi per limitare i danni una volta conclusa l'attività degli impianti stessi e per porli sotto controllo. La gran parte di queste discariche realizzate attraverso l'articolo 13 sono prive di recinzione e di controlli.
Credo sia questa una delle questioni importanti da affrontare se vogliamo che le discariche ex articolo 13 diventino luoghi naturali nei quali chiunque può giungere e scaricare ciò che vuole. Spesso da parte delle forze dell'ordine si va in giro alla ricerca di discariche abusive nelle quali vengono smaltiti rifiuti pericolosi; in tante realtà le discariche ex articolo 13 rappresentano il punto di debolezza del sistema perché non sono controllate e quando si fanno i controlli ci accorgiamo della quantità di rifiuti pericolosi che in tante di queste discariche finiscono.
Credo sia necessaria una politica di raccordo e di controllo del territorio, di messa in sicurezza come una delle precondizioni per salvaguardare il territorio stesso. In questi mesi vi è stata una cooperazione positiva con i prefetti e le province, così come all'interno della struttura commissariale, che ha permesso e permetterà, se ci sarà la volontà politica, di realizzare quelle scelte che nel Documento delle priorità sono state individuate. Abbiamo pensato ad un sistema estremamente semplice e flessibile e cioè dotare ogni provincia degli impianti che consentano la lavorazione dell'umido che dovrà essere raccolto in modo differenziato (noi proponiamo il sistema della raccolta porta a porta) e destinato agli impianti di compostaggio per produrre compost di qualità, insieme alla raccolta ed alla valorizzazione dei materiali, in forma sia multimateriale che monomateriale.


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La raccolta porta a porta con la sottrazione della frazione umida ci può permettere di lavorare anche attraverso il multimateriale. Noi diamo l'indicazione della esclusione del vetro dal multimateriale per motivi di sicurezza e di valorizzazione del vetro stesso.
Nel contempo, al servizio di questa attività, oltre agli impianti di compostaggio, prevediamo impianti di selezione e stazioni di trasferenza per evitare che i comuni spostino i rifiuti per distanze insopportabili (vi sono comuni nella provincia di Palermo che ogni giorno fanno fare 100-120 chilometri ai propri mezzi per conferire i rifiuti in discarica). La realizzazione degli impianti di trasferenza è quindi fondamentale per ridurre al massimo questi spostamenti, con evidenti benefici per la mobilità e la sicurezza delle strade.
Abbiamo inoltre previsto la realizzazione in tutto il territorio di una serie di presidi, rappresentati dalle isole ecologiche, dai centri comunali di raccolta e da quant'altro che sono fondamentali per potenziare la raccolta differenziata, che deve contare, appunto, su questi presidi nelle strade e deve essere incentivata attraverso il rapporto diretto tra operatori e cittadini, cioè il cosiddetto porta a porta. In Sicilia questo è possibile; abbiamo stimato che per un servizio porta a porta generalizzato in tutta la regione sono sufficienti 7 mila operatori; in una regione nella quale ci sono 80 mila lavoratori socialmente utili credo che una scelta politica in questa direzione potrebbe essere assunta con un doppio beneficio, da una parte l'introduzione nel nuovo ciclo dei rifiuti figure non più assistite e dall'altra un salto di qualità alla raccolta differenziata attraverso proprio il porta a porta; basta considerare i dati dei comuni che realizzano questo tipo di servizio per vedere come le percentuali schizzino immediatamente sopra il 20-25 per cento. È chiaro che tutto questo va organizzato in maniera accurata e bisogna fare anche buoni conti economici per evitare poi situazioni di diseconomia del sistema.
Altro presidio importante da noi previsto sono gli impianti di Cdr. Le strutture da noi previste consistono innanzitutto in un impianto di preselezione del rifiuto tal quale in modo da produrre Cdr di qualità e quindi indirizzato verso il mercato del sistema industriale della nostra regione. Abbiamo previsto nove impianti, che a differenza degli altri (compost, selezione e trasferenza) che sono dimensionati nell'ambito delle province, sono correlati a numero degli abitanti in quanto è necessario creare un rapporto ottimale e le nove province siciliane hanno differenze di popolazione molto elevate, tali da non permettere la distribuzione di un impianto per ogni provincia. In alcune province, quelle più grandi, come Palermo e Catania, avremo due impianti di Cdr, mentre in altre, quelle più piccole, come Ragusa, Siracusa, Enna e Caltanissetta, abbiamo previsto un impianto per due province accorpate.
Abbiamo infine indicato come scelta prevalente per quanto attiene l'utilizzo del Cdr il sistema industriale siciliano. La nostra regione ha nove impianti di cementerie, ha almeno quattro grossi impianti ENEL per la produzione di energia ed una serie di potenzialità di assorbimento del Cdr. In una regione con questo tipo di presenze industriali, che già di per sé determinano condizioni di inquinamento assai gravi per una regione che certo non si può


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definire industriale ma che presenta livelli di inquinamento da grande regione industriale, non è pensabile, quanto meno in prima battuta, ma credo sia comunque possibile escludere una tale ipotesi, che si facciano impianti dedicati nel senso di costruiti appositamente per utilizzare il Cdr.
La strada da seguire, secondo noi, è l'utilizzo del Cdr nel sistema industriale siciliano. Si avrebbe in questo modo un doppio beneficio, quello di non immettere altri inquinanti in atmosfera e quello di sostituire i combustibili attualmente utilizzati nelle centrali ENEL o nelle cementerie. Ci siamo permessi di dare questa indicazione, che qui vogliamo riconfermare, anche alla luce del fatto che in queste settimane vi è stata disponibilità da parte delle cementerie e dell'ENEL, da ultimo anche da parte dell'ENI, a farsi carico e ad entrare all'interno del sistema di utilizzo del Cdr.
Voglio da ultimo segnalare la questione delle cosiddette isole minori. Nel Documento delle priorità, per quanto riguarda le isole minori della Sicilia, che sono numerose e tutte con una fortissima vocazione turistica, abbiamo indicato un piano ancora più particolareggiato in quanto vogliamo fare di queste isole luoghi ad alta iniziativa nel campo del recupero e riciclaggio, proprio perché si prestano strutturalmente e perché è lì che dobbiamo fare il massimo sforzo per coniugare a tutela dell'ambiente e valorizzazione delle risorse del territorio. Insieme all'ENEA e con il contributo del commissariato, del dottor Scialabba, stiamo arrivando in questi giorni ad una serie di progetti esecutivi per realizzare gli impianti e le strutture necessarie, con la speranza che prima che inizi la prossima stagione turistica in queste zone ci siano tutte le premesse per non trovarsi poi in piena estate, proprio nel momento in cui maggiore è l'afflusso turistico, in condizioni di emergenza ambientale, così come purtroppo ogni volta abbiamo dovuto constatare.
Mi auguro che in questa direzione, da parte del commissariato, vi sia il massimo sostegno proprio perché vogliamo fare del progetto isole minori il punto di inizio di una strategia da generalizzare poi a tutta la regione. Siamo cioè nelle condizioni, oggi e domani, di partire (perché vi sono le risorse e gli strumenti di pianificazione e vogliamo fare delle isole minori le realtà in cui partire immediatamente con il nuovo sistema tracciato dal Documento delle priorità). Ci auguriamo che su questa strada tutte le energie del commissariato e dei prefetti trovino la giusta sinergia proprio perché pensiamo di esportare l'esperienza delle isole minori, utilizzandola come laboratorio ma anche come momento per dare un segnale al paese ed alla regione che qualcosa si muove.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Con le due relazioni ascoltate, credo si sia completato il quadro della situazione siciliana. Possiamo quindi passare alla terza sessione dedicata al dibattito.

Terza sessione: Dibattito.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Apriamo il dibattito con gli interventi di alcuni membri della Commissione.


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LUCIO MARENGO. Signor presidente, signor prefetto, autorità, mentre ascoltavo i vari interventi, mi sono chiesto cosa avrebbe capito di questo dibattito un cittadino comune di questa città che si fosse trovato per caso ad ascoltarci. Qui si affronta un argomento serio e al tempo stesso drammatico ed allora il primo rammarico che esprimo è purtroppo per l'assenza di interlocutori. Non si può andare ad un convegno, intervenire e poi andarsene via. Non è possibile, non stiamo raccontando barzellette. La Commissione d'inchiesta si è mossa da Roma ed ha scelto di organizzare questo seminario proprio qui a Palermo; la Commissione ha una competenza specifica su questa problematica, che purtroppo non vede coinvolta solo la Sicilia ma tutto il nostro paese. Parliamo, dicevo, di cose serie. Il professor Angelini ha fatto delle accuse indirette al comune, ha parlato di inadempienze dei comuni, ma qui non ci sono né comuni, né province, né regioni che possano controbattere. Sarebbe stato interessante conoscere anche le opinioni degli altri.
Parliamo di una emergenza, che non terminerà mai; nessuno si illuda. Signor prefetto, tre anni fa sono stato in Danimarca ed allora stavano costruendo un ponte lungo 16 chilometri per unire quel paese alla Svezia; quest'anno, circa un mese fa, vi sono tornato, nell'ambito di una missione della Commissione in nord Europa, e quel ponte è già percorribile. In Italia si parla da quarant'anni di un ponte sullo stretto di Messina, che dovrebbe essere lungo tre chilometri, ma non lo si realizza e questo non perché non ci siano le possibilità tecniche, ma perché evidentemente qualcuno ha interesse che non si faccia. Siamo nelle stesse condizioni che vi sono per i rifiuti. Il gioco delle tre scimmie; non si parla, non si sente e non si vede.
Cos'è venuto fuori da tutto il nostro lavoro e soprattutto dalle audizioni che abbiamo svolto? L'assenza di controlli e l'impossibilità delle istituzioni ad esercitare la doverosa e necessaria azione di controllo. Abbiamo verificato, ad esempio, che in un paesino del Friuli c'erano sette discariche, ma solo tre carabinieri del NOE in tutto il Friuli. Questo significa prenderci in giro, ma noi non siamo disponibili a farci prendere in giro.
Quelle citate dal professor Angelini sono sacrosante verità, ma lei davvero pensa di riuscire a realizzarle nel tempo che ha indicato? Ci crede veramente? Teoricamente ciò che dice è giustissimo, ma la realtà è diversa. La prima cosa da fare è il monitoraggio delle discariche; un monitoraggio serio, utilizzando anche il mezzo aereo. Non si è parlato con molta puntualità dei rifiuti industriali, né di questo ente regionale di controllo che non è stato ancora istituito. Perché non si vuole esercitare questa azione di controllo? Perché non si vogliono potenziare o addirittura attribuire alle istituzioni i mezzi necessari? Io mi rammarico, generale Piccirillo perché lei non è messo in condizioni di esercitare questo controllo; è questo che bisogna dire al Ministero dell'ambiente, non chiacchiere. Le leggi non servono se poi non si sa come applicarle o come farle applicare! Ognuno qui fa quello che vuole. La Sicilia è una discarica a cielo aperto, e questo non è un fatto di oggi. Il problema dell'inquinamento delle falde è siciliano ma anche di tutta l'Italia. Non si immagina cosa abbiamo trovato in Lombardia, dove hanno spaccato le montagne per metterci rifiuti tossici e pericolosi. Tutto questo lo abbiamo visto di


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persona. Nel nord Europa, dove siamo stati, molti di questi problemi invece sono stati risolti perché hanno avuto ed hanno la volontà di farlo, non solo le capacità (che abbiamo anche noi e forse anche più di loro). Ciò che ci manca è la volontà politica ed oggi qui sono assenti il potere politico, i comuni, le province, la regione ed io mi rammarico di ciò perché non ho interlocutori; le cose che ci avete detto le sappiamo, le abbiamo ascoltate nelle audizioni che abbiamo svolto di magistrati, prefetti ed esperti del settore, ma poi cosa succede? Niente.
La nostra è una Commissione d'inchiesta, avremmo potuto convocare i sindaci a Roma e audirli in quella sede o farci mandare una relazione scritta. Che necessità c'era di venire qui? Lo scopo era quello di un incontro nel quale si facesse il punto della situazione, si studiassero e si avanzassero le proposte necessarie per tentare di risolvere il problema. Occorre però la volontà politica perché i carabinieri o la capitaneria di porto sono organi di controllo che applicano le leggi che fanno i politici quando hanno interesse a risolvere un problema, ma quando questo interesse non c'è, i problemi non si risolvono. E perché? Per il denaro, certo; sapete meglio di me quale business ci sia dietro il rifiuto, quali altissimi guadagni vi siano, per cui o decidiamo una volta per sempre di mettere mano innanzitutto al monitoraggio, anche aereo perché è proprio dall'alto, utilizzando mezzi aerei che si possono individuare questi siti illegali e perseguire i responsabili. Più volte è emersa in Commissione la collusione tra potere politico e criminalità, collusione tra i funzionari delle ASL che non fanno ciò che dovrebbero e l'impunità di chi agisce nella illegalità. Vogliamo forse negarlo? No, è sempre questo che emerge perché laddove c'è chi viola la legge c'è sempre chi non vede, chi è d'accordo nel non vedere, chi è d'accordo sui lauti guadagni. Tutto il resto, i discorsi e le teorie, che pure abbiamo fatto, non servono.
Ecco perché in Commissione d'inchiesta dirò le cose come stanno e soprattutto invierò agli amici dei comuni, delle provincie e della regione le espressioni del mio rammarico per non vederli qui. Non si può parlare e andarsene via. A chi hanno parlato? Abbiamo forse bisogno di sentire le parole di qualcuno? Possiamo anche farne a meno. Abbiamo bisogno di capire di chi siano le responsabilità, se sono del prefetto, del presidente della regione, del sindaco o del presidente della provincia, ma è questo che deve emergere nelle riunioni. Parlarci addosso, parlare tra di noi non serve, non ne abbiamo bisogno, siamo politici consumati; o ci mettiamo d'accordo tutti insieme per tentare di risolvere il problema o altrimenti ci prendiamo in giro e i problemi resteranno irrisolti oggi come venti anni fa, né si potrà risolverli tra cinque anni se non si avrà a monte la collaborazione di un potere politico che quei problemi voglia risolverli; altrimenti si spende il denaro in consulenze e studi scientifici, che resteranno però sulla carta ed il problema drammatico dei rifiuti continuerà a far morire tanta gente perché l'inquinamento delle falde e quant'altro deriva dallo stoccaggio illegittimo e sconsiderato dei rifiuti colpisce l'umanità intera, la Sicilia e tutto il paese.


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MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Grazie, collega Marengo. Credo vi debba essere una qualche clemenza di giudizio nei confronti dei nostri ospiti perché, ad esempio, il presidente della giunta e il presidente dell'assemblea regionali avevano fatto presente che si sarebbero poi dovuti assentare per altri impegni, come è spesso inevitabile.

PIETRO GIOVANNI MURINEDDU. Caro presidente Scalia, non sono convinto che questo incontro sia inutile. Infatti, sono rimasto profondamente colpito sia dalle parole del dottor Scialabba sia dalle considerazioni svolte dal dottor Profili e dal professor Angelini. Anche quando crediamo di sapere tutto ci accorgiamo invece che nelle nostre conoscenze ci sono lacune che vanno colmate, e sono lacune che riguardano le informazioni, i fatti e anche gli indirizzi politici che devono maturare in tutti noi che abbiamo importanti livelli di responsabilità.
Quindi non credo che questo incontro sia inutile. Credo anzi che lo sforzo compiuto dal presidente della Commissione e da chi lo ha assecondato in questo progetto abbia prodotto alla fine effetti e ricadute positivi. Detto questo, non si deve naturalmente minimizzare il fatto che la presenza dei responsabili politici locali avrebbe dovuto caratterizzarsi per un maggiore impegno sulla materia.
Particolarmente felice credo sia stata la scelta di una sede come questa. Infatti, se è vero che il problema dei rifiuti è comune all'intero territorio nazionale, così come è presente anche nella mia Sardegna in un modo che non può essere minimizzato (ne ho dato nota alla Commissione due anni fa), è più comune nella Sicilia. Se dunque si riesce ad incidere in una qualche misura nella regione siciliana, sicuramente se ne verrà a capo in misura maggiore nelle altre regioni italiane, dove i problemi non sono così gravi, almeno stando alle comunicazioni prodotte e alle testimonianze rese in Commissione.
Indubbiamente il problema dell'inquinamento dell'aria, dell'acqua e dei suoli rappresenta uno stato di emergenza che non può essere trascurato. Infatti, al di là degli effetti negativi sulle persone, ci sono poi effetti sulla struttura sociale e sul controllo del territorio sotto il profilo politico ed anche militare, perché ciò rende possibile l'armonizzazione della convivenza delle popolazioni che insistono in determinate aree.
È stato giustamente sottolineato il fatto che le complicità malavitose si sommano talvolta all'indifferenza della classe politica. Questo non è un problema di oggi, ma appartiene alla storia del nostro paese e dico che secondo me è incontestabile. Quando si parla di commissariamento - e il presidente ha fatto bene a metterlo in evidenza - vi sono però interrogativi ai quali bisogna rispondere, perché il commissariamento è una risposta di emergenza dello Stato ad una situazione di quasi ingovernabilità ed incontrollabilità degli eventi. Ho comunque intravisto nelle considerazioni del presidente Scalia anche la preoccupazione che laddove non si intervenga in modo adeguato sul piano legislativo l'azione di controllo degli stessi commissari ne risulta fortemente indebolita. Infatti i piani sui quali occorre intervenire, a mio giudizio, sono quello legislativo, quello


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delle interconnessioni istituzionali (che esistono) e quello dell'esercizio dei controlli. Relativamente al problema legislativo voglio accennare ad una questione della quale è al corrente l'onorevole Scalia. In Commissione agricoltura e nella Commissione per le questioni regionali siamo stati chiamati a discutere su un provvedimento concernente la tutela delle aree protette, cioè delle aree nelle quali insistono produzioni di alta qualità. Secondo la direttiva comunitaria bisognava impedire qualsiasi intervento o qualsiasi impianto di riciclaggio dei rifiuti. Purtroppo su questo provvedimento da tutti auspicato (non c'era forza politica che non consentisse sulla necessità di portare a definizione tale iniziativa) abbiamo avuto l'opposizione della Commissione affari costituzionali, e non si riesce a sbloccarne l'iter perché sulla materia si sono innestati conflitti tra Stato e regioni. Alla Commissione affari costituzionali, dove i giuristi spaccano il capello in quattro, non si è riusciti a definire una linea che consentisse allo Stato di elaborare una legge-quadro per far sì che i flussi finanziari dell'Unione europea, anche in armonia con le disposizioni del «decreto Ronchi», giungessero nelle singole regioni. Non so quando usciremo da questa situazione; certo è che quando si tratta di individuare gli inghippi che non permettono alla legislazione di produrre l'efficienza necessaria per andare incontro a fenomeni come questi, la situazione si deteriora fino al punto da creare una forte immobilità.
Non credo che in tutte le regioni italiane la mafia e comunque la malavita organizzata abbia inquinato anche l'ambiente sociale oltre che quello economico; ci sono regioni nelle quali una penetrazione così forte ancora non si registra, però i danni ci sono lo stesso. Allora l'incuria, l'incompetenza e le scelte scriteriate dei siti che sono state fatte dai comuni, dalle regioni e dalle province spesso fanno più danno delle complicazioni che nascono dalla presenza della malavita organizzata. Quindi a mio giudizio non si deve tener conto solo della presenza della mafia e trascurare altre zone dove questo pericolo non c'è. Sono invece convinto che laddove c'è l'incuria degli amministratori la mafia arriva, si radica e si somma con altre attività criminose. Questa è la ragione per la quale a mio giudizio bisogna vigilare attentamente perché fin dall'inizio vengano colpiti duramente - e sotto tutti i profili, anche quello penale - gli amministratori che per inerzia o per complicità sospetta non adempiano il loro dovere.
Non voglio aggiungere altro, cari amici. Ritengo comunque che i contenuti di questo incontro non potranno non giungere alle persone assenti e con alte responsabilità politiche. Il materiale prodotto certamente raggiungerà anche loro e, se avranno la sensibilità necessaria, rifletteranno sull'opportunità di essere sui problemi, il che è senz'altro più importante che essere presenti in una riunione come questa. In questo senso auspico che la situazione vada evolvendo per il meglio, perché la nostra Commissione ci ha prodotto materiale sufficiente per indurre la classe politica - prima di tutto quella nazionale - ad accelerare l'iter dei provvedimenti di legge attraverso i quali comuni, province e regioni possano meglio operare.

GIUSEPPE LO CURZIO. Cercherò di essere breve, signore e signori, sia perché l'ora è tarda sia perché vorrei porre alcuni quesiti,


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prima agli amministratori e poi agli autorevoli magistrati qui presenti.
L'amico Massimo Scalia, di cui condivido il pensiero e - lasciatemelo dire - la dedizione come periegeta nel nostro paese ed anche in Europa alla ricerca di un nuovo corso amministrativo, giuridico ed anche politico che occorre dare ai lavori della Commissione. Lo ringrazio per la sua relazione e desidero puntualizzare alcune questioni che competono a noi membri della Commissione parlamentare.
Cari colleghi parlamentari, non ci si può limitare a dire che questo è l'ultimo seminario dopo quelli di Napoli, Bari e Reggio Calabria e che, conclusa la legislatura, possiamo sentirci tranquilli e sereni di aver posto un grave problema. Apprezzo molto le considerazioni svolte dall'amico Scalia nella sua relazione, anche per l'amore che tutti noi portiamo per il nostro paese, per il bacino del Mediterraneo ed in particolare per la Sicilia che non è la regione dove finisce il paese ma il punto in cui iniziano l'Italia e l'Europa, ma dico che così non va. Occorre che la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti abbia il potere di incidere che è stato attribuito alla Commissione parlamentare antimafia, che le sue funzioni passino da quelle di una Commissione speciale d'indagine a quelle di una Commissione che deve incidere fortemente nel controllo degli enti locali, e cioè comuni, province e regioni. Non dico che bisogna arrestare tutti, ma che occorre attivare una procedura che incuta timore ai ladri di potere (chissà se ce n'è qualcuno in questa sala? Non lo credo nella maniera più assoluta!) che si nascondono dietro i comuni, dietro le province, dietro le regioni.
Amico Scalia, tu hai il grande merito di aver portato all'attenzione dell'Italia e dell'Europa - non certo come periegeta, che gira intorno, ma come chi si pone i problemi - questi delicati problemi, facendo riflettere i vari governi, retti da coalizioni sia di destra sia di sinistra. Non è però possibile continuare a dire «tutto va bene, madama la marchesa», chiudendo così il discorso. Caritas incipit a me, e io desidero muovere le mie critiche. Bene abbiamo fatto a porci il problema, ma non è possibile che io, parlamentare componente la Commissione rifiuti e segretario della Commissione, nella mia provincia di Siracusa debba assistere all'anomalia dell'assenza totale degli amministratori locali, a cominciare da quelli provinciali. Vorrei capire qual è il rapporto tra la funzione dell'ispettorato sanità e l'iniziativa connessa con gli uffici di igiene e profilassi. Vorrei sapere qual è la funzione di certe scatole vuote che non hanno alcun significato. Nella provincia di Siracusa, in una frazione, non in un comune, che si chiama Villa Smunto, insistono undici discariche, ed io per scelta ho voluto fare parte di questa Commissione. Ho portato i sindaci di quel territorio al presidente Massimo Scalia, ho richiamato l'attenzione della magistratura la quale è quasi latitante in questo senso (qualche magistrato chiarisca se dico la verità o dico sciocchezze). Mi assumo la responsabilità di affermare che undici discariche, di cui alcune con rifiuti tossici e nocivi, insistono nel territorio di Villa Smunto nel comune di Melilli, e a valle ci sono sorgenti che approvvigionano di acqua comuni come Augusta, Brucoli e la plaga del Mediterraneo.


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Che cosa fa la Commissione parlamentare di fronte a questa situazione? Prende atto, rende dichiarazioni, compie atti di buona volontà! Anche l'inferno è pieno di atti di buona volontà, però rimane sempre l'inferno! Non è possibile consentire che certi mafiosi del luogo continuino nel loro lavoro. Mio caro amico, ti do una mano in quello che hai detto, pur non condividendo le iperuraniche concezioni annunciate da Angelini, che ha svolto un ottimo lavoro, tra l'altro insieme abbiamo contribuito alla ricchezza di questo centrosinistra (non mi pento certo delle scelte compiute in passato), ma non è possibile assistere politicamente, culturalmente e - lasciatemelo dire - legislativamente ad una situazione in cui, con la magistratura assente, tutto continua come prima, in una concezione lampedusiana, dove tutto si muove, tutto gira, ma tutto rimane come prima, con una regione - e non me ne voglia il mio amico presidente Scalia, che è venuto qui a comunicarci il suo pensiero e non certo, come qualcuno diceva, a darci la sua lezioncina - in cui occorre prendere le necessarie ed urgenti iniziative.
Eppure dobbiamo constatare che un sindaco ha inviato un suo delegato e non è intervenuto direttamente, anche se è un collega con cui abbiamo fatto esperienze e mi auguro di farne altre nell'interesse del paese e di questa regione, ad un seminario organizzato dalla Commissione rifiuti che è venuta a dibattere sull'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti assieme ai rappresentanti dei comuni, province e regione.
Voglio portarvi un'altra esperienza. Sapete chi ha realizzato gli inceneritori a Siracusa? L'ISAB. Lor signori sanno che io sono un critico e che i miei consensi sono più di protesta che di disponibilità. L'ISAB è una delle cinque raffinerie europee che operano nella mia terra di Siracusa, dove il sacro, l'antico, l'archeologia, la cultura, si mescolano con la raffinazione della ESSO, dell'Enichem, della Condea (sono i tedeschi che vengono a calarsi in questa realtà), della ERG e della ISAB, sono cinque grandi industrie di raffinazione che hanno realizzato un impianto basato sul criterio degli inceneritori e dei termodistruttori traendo energia vera da oli esausti per venderla in concorrenza con l'ENEL a paesi limitrofi.
Facevo poc'anzi a sua eccellenza il prefetto due considerazioni laconiche. Una l'ho riferita qui sulle funzioni della Commissione parlamentare e l'altra è la seguente. Perché non consentire a questa regione, con una iniziativa legislativa che ha tutti i poteri regionali, di realizzare in nove province - non c'è Bellolampo che tenga - inceneritori e termodistruttori per dare respiro ecologico e culturale a questa terra di Sicilia?
Sono stato con lei, presidente, a visitare il ponte di 15 chilometri che unisce i due paesi scandinavi e mi sono domandato come mai non si realizza quello sullo Stretto di Messina. È evidente che qui ci sono interessi precisi, al di là delle concezioni dei verdi, che ne impediscono la realizzazione ma c'è probabilmente anche una situazione ambientalista che lo rifiuta. In Germania abbiamo visitato una miniera a 700 metri di profondità nelle viscere della terra, con una larghezza perimetrale di 15 chilometri, una miniera di salgemma, come quella che abbiamo a quattro passi da noi o a Caltanissetta, per realizzare un deposito di rifiuti, per murarli. La costruzione che


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abbiamo visto è veramente importante, qualificante, anche per sostenere un sottosuolo che sta crollando. Nello stesso tempo si realizza un grande deposito di rifiuti e si consolida un suolo che presenta qualche problema. Su questo argomento non posso intrattenermi perché il presidente, multa in paucis, in sette pagine ha detto tutto. Devo però dire chiaramente che in materie come questa si deve invitare il Governo a non guardare in faccia nessuno, a chiamare alle proprie responsabilità anche i magistrati dalla mia provincia che - e chi ha orecchie per intendere intenda - sono venuti a relazionare dicendo che si sarebbe fatto presto ma tutto è rimasto come prima. Vi sono undici discariche in un piccolo bacino di non so quanti metri quadrati: comune di Melilli, frazione di Villa Smunto!
Un ultimo quesito prima di concludere. Ho avuto modo di leggere la relazione che il presidente Scalia ha predisposto sugli incontri svolti a Napoli, a Bari e a Reggio Calabria, in cui sono contenuti concreti inviti per il ministro dei lavori pubblici, il ministro del territorio e dell'ambiente, il ministro dell'ecologia, il ministro delle Comunità economiche europee. Vorrei che le iniziative parlamentari che abbiamo assunto venissero inviate a tutte le province e ai comuni capoluogo, ma vorrei soprattutto che il vertice del paese sia stimolato affinché si ponga subito mano ad una iniziativa legislativa (non c'è Berlusconi che tenga su questo argomento!) in grado di conferire prima di tutto a questa Commissione poteri organici ed in particolare al Governo il potere di iniziare una battaglia che non consenta a mafia, intrighi, affari, comuni, province, parte della regione di frapporre ostacoli e poi di venire qui a dire che tutto va bene. Mi assumo la responsabilità, prima di tutto con l'orgoglio di siciliano e poi come modestissimo parlamentare transeunte (può darsi che non torni più ma se tornerò continuerò nella mia battaglia di pungolo), di affermare a gran voce che occorre trovare soluzioni per questa nostra regione.
Chiudendo il mio intervento voglio rileggere alcune righe della relazione predisposta dal presidente Scalia: «Per quanto riguarda gli smaltimenti di rifiuti speciali in regione, la Commissione ha poi prestato grande attenzione al sistema di smaltimento nella Sicilia orientale, e in particolare ai distretti di Priolo, Siracusa ed Augusta», in un'area cioè dove la gente muore di inquinamento ed è impotente ad arrestare una situazione che incide sul suo organismo ogni giorno di più. Non è possibile poi transigere sul problema della defiscalizzazione, che noi come molte altre forze politiche, compresi i verdi, abbiamo chiesto per quella zona, per i territori di Siracusa, di Milazzo e di Gela! Una volta che un provvedimento del genere è stato concesso per una situazione analoga nella Valle d'Aosta e nel Friuli-Venezia Giulia, non è possibile negare le stesse provvidenze a comuni che danno allo Stato 80 mila miliardi l'anno di imposta di fabbricazione - altro che finanziaria! - e dallo Stato non hanno di ritorno una lira! Mi vergogno a dirlo, ma la Siracusa-Catania l'abbiamo fatta noi fino al territorio di Catania, mentre dalla parte di Augusta fino a Catania non si è mosso nessuno anche se sono stati stanziati 350 miliardi! Quindi il «curriu» siciliano lo abbiamo in corpo noi, cari rappresentanti delle amministrazioni, della magistratura e degli ordinamenti militari!


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Concludendo, l'impegno che si assume la nostra Commissione è pertanto duplice: innanzitutto di formulare iniziative perché i suoi poteri siano più pregnanti e in secondo luogo di stimolare gli enti locali, i comuni, le province e la stessa regione a dare un assetto operativo in concomitanza con le belle iniziative annunciate dal professor Angelini.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Riprendendo alcuni accenni fatti dai miei colleghi, vorrei ricordare che i poteri della Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti sono stabiliti dalla legge istitutiva della Commissione. Per quello che mi riguarda personalmente, sentendomi in qualche modo figlio di Montesquieu, ritengo opportuno che ci sia una separazione tra potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario. In questo ambito ci muoviamo, sicuramente efficienti, come ci viene riconosciuto da molti. Quanto all'efficacia, che è un obiettivo molto più ambizioso, non è a me come presidente della Commissione né ai colleghi verificarla in altro modo se non constatando che con la nostra azione riusciamo ad aiutare il nostro paese a superare una condizione di arretratezza che per quello che riguarda il pianeta rifiuti lo tiene ancora lontano dall'Europa.
Do ora la parola ad alcuni invitati che me l'hanno richiesta, invitando tutti a contenere al massimo la durata dei propri interventi.

GIUSEPPE ZASO, Capo della segreteria regionale di Legambiente. Signori, buongiorno, cercherò di essere telegrafico, riservandomi di fornire alla Commissione elementi documentali in modo che rimanga traccia del nostro operato e della nostra attenzione su queste vicende. Tra l'altro tali documenti formeranno una sorta di libro bianco delle regioni commissariate in Italia, che speriamo di formalizzare a novembre perché la situazione - è inutile sottolinearlo - è drammatica.
Condividendo in pieno i contenuti della relazione svolta dal presidente, nel rispondere ad alcuni quesiti che egli ha posto cercherò di fornire il contributo della nostra associazione ambientalista al problema affrontato nel seminario.
Preciso che la nostra associazione non si è mai preoccupata di sporcarsi le mani - e proprio il caso di dirlo in questa materia - quando i vari prefetti ci hanno chiamato a far parte del comitato che si occupa del problema dell'emergenza rifiuti. Quello è anche un osservatorio delle cose che si agitano nella provincia di Palermo ma che purtroppo sono comuni all'intera realtà regionale, un osservatorio che ci mette in grado di verificare le diverse situazioni e di fornire il nostro contributo.
Il presidente ci chiede se questa emergenza sta aggredendo il problema del ciclo perverso tra traffico di rifiuti e organizzazioni mafiose. La risposta è semplice. C'è la fondata preoccupazione - da una serie di segnali che ci arrivano - che ci sia una sorta di ingrottamento, di raffinata mimetizzazione di alcuni cicli, che passano attraverso una serie di questioni economiche (società che si fondono, che si trasformano).
Il presidente ci chiede inoltre se, visto che dalla dichiarazione di emergenza sono trascorsi venti mesi, si vede qualche segno di


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cambiamento. Come è stato osservato, si registra una dicotomia tra vari enti che dovrebbero tutti convergere ad obiettivi comuni: gli enti locali, che sono stati accusati di essere uno dei pilastri della mancata realizzazione del piano del 1989, i sindaci e le comunità locali, cui in questo senso spetta una parte delle pesanti responsabilità. Io ho le idee chiare e ritengo che tutto il sistema non funzioni e che l'intero intervento emergenziale in questa sorte di palude stia crollando. Possiamo disporre degli studi tecnico-scientifici di pregio elaborati dal professor Angelini, ma questi sembrano essere staccati dai provvedimenti concreti. Uno per tutti: non abbiamo ancora un testo unico per quanto attiene ai reati ambientali, che sarebbe assolutamente necessario soprattutto per avere un quadro normativo chiaro per poter aggredire il problema. Credo che l'emanazione a livello nazionale di un testo unico in questa materia sia uno dei passi inevitabili da compiere: sarebbe utile per gestire la normalità, ma è assolutamente indispensabile in condizioni di emergenza.
È inoltre indispensabile avere in Sicilia l'agenzia regionale per la protezione ambientale, perché il bailamme di interpretazioni crea quella necessaria confusione che fa sì che tutto sia confuso e che le competenze vengano frammentate e spezzettate, in maniera che la competenza sia di tutti e di nessuno. Francamente quando dobbiamo andare a leggere certe norme ci troviamo a sostenere una fatica di Sisifo. L'agenzia regionale, è chiaro, non è la panacea ma deve essere uno strumento immediatamente reso disponibile, cosa che non è stata fatta né dai governi precedenti né da quello attuale.
Il presidente ci ha chiesto se lo strumento commissariale sta dando le risposte attese. No, purtroppo, almeno fino a questo momento. Anzi abbiamo la fondata convinzione che lo strumento commissariale dia una sorta di alibi per bloccare gli interventi normali.
Concludendo vorrei riaffermare l'impegno di Legambiente su questa materia che è vista come questione nazionale, sulla quale continueremo a produrre i rapporti annuali che conoscete.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Oltre che di un testo unico dobbiamo lamentare la mancanza nel codice penale della fattispecie del delitto contro l'ambiente. Potremo fare il testo unico quando avremo una legge che prevede questo, ma purtroppo, nonostante il forte impegno della Commissione d'inchiesta in questo senso, i provvedimenti che introducono questa previsione giacciono al Senato ed anzi la situazione è così inaccettabile che l'ufficio di presidenza della Commissione parlamentare rifiuti ha chiesto un incontro al Presidente della Repubblica per sottolineare che è inammissibile che l'Italia sia l'unico paese europeo a non avere nel suo codice penale i delitti contro l'ambiente. Dico questo non perché riteniamo che vi possa essere una soluzione penalistica o giudiziaria di questa emergenza, ma perché consideriamo questa misura un segno semplice di civiltà e di modernità oltre che un elemento di deterrenza.

GIUSEPPE RADDINO, Direttore generale della Smari. La Smari è una società che opera nel campo dello smaltimento dei rifiuti


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industriali e dunque non si occupa di rifiuti urbani. Ero venuto qui esclusivamente per ascoltare, ma dopo gli autorevoli interventi del presidente della Commissione e degli altri oratori ho sentito una spinta forte a farmi avanti. Quindi intervengo a braccio, senza aver preparato nulla.
Voglio dire subito che tutti conosciamo la verve e la capacità dialettica dell'onorevole Lo Curzio, però non è possibile criminalizzare tutte le aziende. La Smari è una società pulita, di cui si conoscono fatti ed antefatti, che ha cercato di avere dalla regione siciliana un'autorizzazione (che ha ottenuto dopo dieci anni di viaggi ininterrotti) per una discarica di seconda categoria B. Gestisce attualmente una discarica di seconda categoria A, che è stata la prima discarica di tale natura in Sicilia, ed è stata tale per sette anni. Quindi la Smari è una società ampiamente conosciuta.
La Smari ha chiesto l'autorizzazione nel territorio di Melilli, dove l'onorevole Lo Curzio dice che vi sono undici discariche. Sapete da chi sono state attivate queste undici discariche? Sette sono state attivate dal comune di Melilli ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982 e un'altra ai sensi dell'articolo 13 del «decreto Ronchi»; le altre tre sono discariche per rifiuti speciali, di proprietà di privati. Badate bene che mi riferisco a rifiuti speciali, non a rifiuti tossici e nocivi, mentre qui si insiste ancora nel dire che queste sono discariche per rifiuti tossici e nocivi. Non è affatto vero: è assolutamente documentabile che si tratta solo di rifiuti speciali, da 2B, ma con la vecchia classificazione e non con la nuova!
Vorrei soffermarmi sull'articolo 4 dell'ordinanza del ministro dell'interno 21 luglio 2000, n. 3072, che impedisce a ditte private, qualsiasi esse siano, di assumere iniziative se non in collaborazione con gli enti pubblici, cioè quegli enti che non hanno saputo gestire i rifiuti urbani in Sicilia, quegli enti che hanno creato l'emergenza. Dovete sapere che in Sicilia esiste attualmente il monopolio in questo settore, perché vi è una sola discarica per rifiuti speciali. La mia è pronta e costruita ai sensi dell'articolo 27 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e regolarmente approvata, ma non può entrare in esercizio perché qualcuno ha inteso agitare lo spauracchio di bambini che muoiono e di gravi danni all'ambiente, come se alle discariche - che qui oggi ho sentito sono state rivalutate - potesse essere attribuita la responsabilità di tutto ciò. Invece non è così perché, come si sa, la zona di Lentini è la più colpita, mentre non è colpita la zona di Melilli o Villa Smunto citata dal senatore Lo Curzio.
In questo momento la Smari è costretta a portare i rifiuti industriali che produce in Calabria ad Ascoli Piceno, con i costi di trasporto che voi sapete; tutto questo perché si è creata un'emergenza di rifiuti industriali e speciali che è ancora più grave rispetto a quella dei rifiuti urbani perché se ne disconosce la realtà. Fra cinque anni ci troveremo a parlare nello stesso modo in cui parliamo oggi dei rifiuti urbani. Se non si approvano queste discariche controllate, ditemi voi dove si debbono portare i rifiuti. Ecco che nascono le discariche abusive; questa è la situazione in Sicilia. Delle discariche abusive si occupa solo la magistratura e le forze dell'ordine ma alla fine, cosa succede? Sono queste che producono il danno ambientale ed i danni alla salute, non quelle che vengono realizzate secondo


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principi e tecniche oggi all'avanguardia. Vieni a vedere, Lo Curzio, la discarica costruita dalla Smari. Perché si lascia il monopolio ad una sola ditta, perché non si approvano altre discariche? Meno male che c'è questa discarica, che qualcosa fa, ma ce ne sono altre che occorre approvare.
Un'ultima considerazione: ci si è mai chiesti perché queste discariche sono localizzate non nel territorio di Villa Smunto, perché in realtà non sono in questo territorio ma disseminate tra Melilli e Priolo? Melilli è il comune più esteso e noi che abbiamo fatto la valutazione d'impatto ambientale sappiamo che è un territorio che si presta bene. La nostra discarica è in una cava, in una zona ampiamente degradata che sarà restituita all'ambiente e quindi opererà nel senso delle leggi e dei decreti. Vi ringrazio.

ANTONIO BATTAGLIA. Signor presidente, onorevoli colleghi della Commissione parlamentare d'inchiesta, autorità e partecipanti al convegno, ho ascoltato con particolare attenzione quanto è emerso dal dibattito, soprattutto le relazioni del presidente, del dottor Angelini e del dottor Scialabba, nonché tutte le altre considerazioni emerse evidenziando quanto sia importante e grave il problema dei rifiuti anche oltre i confini della Sicilia, ma soprattutto nell'isola.
Quello dei rifiuti è davvero un problema delicato di questa terra, anche perché la Sicilia tutta è una discarica a cielo aperto. Il problema non riguarda solo i rifiuti urbani o quelli speciali, la nostra terra è massacrata dalla presenza di materiali di scarto, siano essi materassi, frigoriferi o altro, abbandonati in mezzo alle strade, realizzando così una vera e propria discarica pubblica a cielo aperto che coinvolge tutto il territorio siciliano. I comuni dicono che la responsabilità fuori dal perimetro urbano è delle province; queste ultime sostengono che la responsabilità è oggi dei commissari nominati per risolvere il problema; la Regione siciliana ha organizzato un piano per regolarizzare, pianificare e regolamentare il territorio siciliano individuando dei siti appositi, nelle more la mafia si organizza per gestire la fase successiva magari assicurandosi una presenza, come ha già fatto, all'interno delle industrie del nord, per cui magari tra qualche mese o qualche giorno le ritroveremo presenti in Sicilia, ben lavate come in una lavabiancheria, a gestire il punto Cdr nella zona di Termini Imerese, di Carini o nelle altre province dell'isola.
Bisogna allora cominciare a capire come intervenire, quale deve essere il ruolo dello Stato, anche attraverso questa Commissione d'inchiesta, che credo debba attenzionare la situazione, cercando di puntare alla gestione di queste realtà che si andranno a realizzare sul territorio siciliano con il controllo in atto gestito dalle prefetture che non possono e non debbono mollare il controllo del territorio e l'attenzione alla gestione e utilizzo dei rifiuti urbani e non, speciali, tossici, eccetera, perché quanto meno se ne abbia la consapevolezza. Io ho colto favorevolmente quanto sua eccellenza il prefetto ha scritto al comune dicendo: fermi tutti, le discariche le facciamo noi, è una materia che dobbiamo trattare noi. I comuni sono massacrati e pressati dai propri concittadini, dalla gente che non riesce più a vivere. Purtroppo, caro Aurelio Angelini, tu vuoi risolvere il problema


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attraverso il porta a porta, attraverso l'utilizzo degli LSU e attraverso sistemi che hanno una loro logica ma non riscontrano; sistemi che non possono trovare spazio all'interno di quella che è l'organizzazione della pubblica amministrazione. Immagina un po' - te lo chiedo e lo chiedo a chi ha esperienza di amministrazione - 40 mila articolisti o 8 mila LSU, loro che sono con giacca e cravatta ed hanno percepito uno stipendio, anche se magro, girare ora per le strade delle città della nostra Sicilia a raccogliere l'immondizia porta a porta. Mi chiedo e vorrei capire come domani dovremo pagare questa gente che in questo momento vive in regime di precariato, quando dovrebbero entrare all'interno dell'organico della pubblica amministrazione. Sarebbe un ulteriore aggravio della situazione.
Quello delle discariche è un problema importante e avrei voluto parlarne subito. C'è un problema di costi. Si è parlato di 500 lire. Mi rendo conto che la soluzione proposta è anche strategica perché se interveniamo rispetto ai comuni che oggi pagano l'immondizia 120 lire al chilo e costringiamo tutti quelli che oggi scaricano in discarica ex articolo 13 a pagare 500 lire al chilo, in quel momento ci sarà una sommossa generale che spingerà per la realizzazione del piano discariche della Sicilia, per una pianificazione dell'intervento rispetto ad un problema che è reale e concreto, che è «l'oro nero» che interessa non solo il cittadino che si trova a pagare l'aumento della tassa per la raccolta dei rifiuti anche del 100 o 200 per cento, ma tutto il paese. Io ho rappresentato il Parlamento italiano a Budapest e quando mi sono trovato a parlare di criminalità organizzata come componente della Commissione giustizia, ho parlato di ecomafia e dell'investimento che la mafia in questo momento sta facendo sul territorio, organizzandosi per andare a gestire i punti Cdr. Mi dispiace dissentire dal collega Lo Curzio quando parla di realizzare in Sicilia inceneritori o termodistruttori, perché questo significherebbe mortificare e taglieggiare questa terra che ha una vocazione prettamente turistica con la presenza di questi impianti.
Dobbiamo andare al di là, la scienza va avanti e ci deve mettere in condizioni di affrontare il problema nella tutela dell'ambiente e soprattutto la continuità della vita non solo noi ma anche ai nostri figli.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Forse sarebbe anche opportuno che ci ascoltassimo. Mi pare che per la Regione siciliana valga lo strumento pubblicato in Gazzetta ufficiale, qui ricordato sinteticamente come PIER. In quel Documento delle priorità - lo diceva prima il professor Angelini - il problema della termovalorizzazione viene risolto ricorrendo agli impianti delle cementerie e dell'ENEL. Ascoltiamo dunque e non configuriamo scenari oltretutto esterni a quelle che sono le scelte della Regione Sicilia.
Quanto al costo di conferimento in discarica, sono rimasto stupito delle 500 lire al chilo perché francamente, compreso il trasporto, il costo medio per la municipalità è in Italia intorno alle 150 lire al chilo. Per cui spero che se quel piano procede anche in Sicilia si arrivi a convergere verso questo livello di spesa.


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BARTOLOMEO FALLA, Sindaco di Scicli (Ragusa). Mi sono sentito sollecitato ad intervenire per dimostrare che è presente almeno un sindaco. Ho ricevuto l'invito e mi sono sentito in dovere, vista l'emergenza in cui ci troviamo, di venire ad ascoltare. Sono sindaco da due anni di un paese di 25 mila abitanti in una provincia che di abitanti ne ha 300 mila; ho vissuto il periodo del commissariamento, finora poco più di due anni, e non ritengo che niente sia cambiato. Ma è molto complesso ciò che dobbiamo fare; non mi sento fiducioso per i risultati previsti e per i tempi in cui sono previsti. Dirò subito perché.
La comunicazione per i centri comunali di raccolta l'abbiamo ricevuta a marzo. Siamo stati tra i più veloci a fare il progetto, ma è già arrivata la richiesta di documenti di integrazione. Questo è per noi un segno infausto. Sono sindaco, ripeto, da due anni, ma quando cominciano ad arrivare le richieste di documenti di integrazione, ormai ho paura, perché penso che i tempi diventeranno lunghissimi; questo è il mio primo timore. Ce ne stiamo costruendo uno alla buona noi ora per la questione dei frigoriferi e lavabiancheria; intanto ne realizziamo uno noi. Ho questo timore.
Per quanto riguarda la raccolta differenziata, alcuni anni fa era completamente una finta. Ero consigliere comunale e non si riusciva a capire dove andasse a finire il materiale differenziato. Con grande difficoltà ora cominciano a partire, sono stati autorizzati, i riciclatori; cominciano a formarsi, con i consorzi di filiera, i primi documenti; quest'anno cominciamo la raccolta; al primo anno arriviamo al 4-5 per cento, ma almeno sappiamo dove vanno a finire. Raccogliamo separato e questo è un risultato.
Con la discarica ci siamo trovati nei guai. Perché? È successo che alcuni anni fa il mio comune ha creduto al «decreto Ronchi» e quindi ha fatto un progetto di discarica controllata; ha cominciato a costruirla ma diversi comuni vicini, forse facendo i furbi, non hanno fatto il lavoro che avrebbero dovuto fare e, a questo punto, con la situazione commissariata, saremo costretti a ricevere rifiuti; questo comporta dei problemi nei territori. C'è qualcuno che non ha operato come doveva, ma c'è certamente un risultato, che non sono stati attivati altri articoli 13; tre comuni che avevano l'articolo 13 non lo stanno facendo più, si va quindi comunque sulle discariche controllate anche se poi noi, che abbiamo avuto l'attivazione della controllata da sei mesi, attendiamo ancora l'autorizzazione definitiva; speriamo che l'autorizzazione arrivi; la situazione di incertezza certo non aiuta.
Ho un'impressione che voglio qui rappresentare. Qui ci sono persone che sono venute ad ascoltare quale sia l'impressione dei territori periferici ed io ho l'impressione che chi lavora nelle discariche consideri la discarica stessa - questa è la pressione che arriva negli enti locali - il sistema più comodo per gestire i rifiuti solidi urbani. La pressione che arriva ai comuni è questa. A voi in fondo conviene questa - si dice - avete i cassonetti, gli autocompattatori, portate qui i rifiuti. Ritengo che questo sia un grande rischio, perché è il sistema più comodo. La mia esortazione è quindi questa: il pubblico non deve finanziare l'ampliamento delle discariche controllate; se lo paghino i comuni o i consorzi dei comuni; finanziate


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invece i sistemi alternativi, la raccolta differenziata o il compostaggio. Su questo ritengo che tra il centro che comunque, in situazione di commissariamento, ha elaborato il documento e la periferia forse non ci sono stati sufficienti contatti perché l'anno scorso, credendo alle stazioni di compostaggio, abbiamo presentato un progetto allora al Ministero dell'ambiente; siamo stati inseriti in una graduatoria, non siamo stati finanziati. Ora però è stato localizzato in provincia un centro di compostaggio, ma nessuno ha tenuto conto che un comune aveva fatto una proposta per conto proprio, credendoci, perché senza il compostaggio non raggiungeremo mai numeri a due cifre. Ne siamo persuasi. Ecco quindi la distanza tra periferia e centro, perché quella prova l'avevamo fatta, il progetto lo abbiamo ancora, abbiamo la sede e tutto il resto.
Per quanto riguarda i costi, sono arrivate due sollecitazioni. Si è chiesto a quali costi sono state attivate le discariche e se è prevista la gestione post mortem. Io ho visto una prima sollecitazione credo tre mesi fa; un'altra è arrivata ai primi di ottobre. Fino a quando saranno attivate e consentite discariche tipo articolo 13, ce ne sono parecchie, ancora una o due nella nostra provincia, quando i costi sono 40 o 30 lire, la differenziata non partirà mai. Bisogna considerare il costo, altrimenti non andremo mai avanti. Da noi costerà 130-140 lire; faremo i conti e cercheremo di capire, con riferimento al compostaggio, quanto ci costerà e dove andrà a finire. Chi ci propone il documento per partire ci deve aiutare in questo, così pure per il Cdr; dobbiamo sapere, se sosteniamo dei costi, dove andrà a finire e chi lo consuma perché non accada quanto si verifica in altri posti d'Italia dove il Cdr è ammassato, nessuno lo vuole ed anzi vogliono essere pagati per consumarlo. Questo è ciò che succede nella nostra estrema periferia. Quindi né ottimisti né pessimisti, qualcosa onestamente è cambiato, bisogna dirlo, ma ho molti timori e molto c'è ancora da fare.

MARIO MILONE, Assessore all'ambiente e territorio, protezione civile, rapporti con l'ateneo palermitano, della provincia di Palermo. Anch'io ero venuto per assistere al convegno ed ho preso buona nota degli interventi svolti. Sono stato costretto ad intervenire, ma al tempo stesso ne sono felice, anche per fugare alcuni dubbi emersi sulla presunta latitanza o assenza degli enti locali. Prima di me è intervenuto il sindaco di Scicli; da parte mia debbo dire che la provincia di Palermo intanto è qui presente non solo attraverso la mia persona ma anche con autorevoli esponenti della prima commissione ambiente; la provincia inoltre ha mantenuto il suo ruolo che - ricordo innanzitutto a me stesso - è di coordinamento e programmazione della gestione della raccolta differenziata dei rifiuti. Proprio questo seminario di oggi segue una iniziativa forte che si è assunta la provincia di Palermo - l'unica o comunque tra le poche province ad avere adottato tale iniziativa, cioè esercitare il suo ruolo di coordinamento fino in fondo.
Il dottor Scialabba con il quale negli ultimi tempi ci vediamo molto spesso, ricorderà come proprio la provincia si sia assunta l'iniziativa di convocare tutti gli 82 comuni della provincia di Palermo per fare il punto della situazione sulla raccolta differenziata. Ebbene,


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non a caso abbiamo indetto la riunione in una scuola di Palermo. Il dottor Scialabba ricordava che bisogna investire sui giovani e sugli studenti. Su questo ci siamo trovati d'accordo nel senso di ritenere che gli studenti e i giovani siano il miglior veicolo dell'informazione e della divulgazione della cultura ambientalista. Noi come provincia abbiamo scommesso sui giovani. In che modo e in quale misura? Abbiamo iniziato da tempo, non dalla settimana scorsa, una campagna di educazione ambientale in tutte le scuole e continueremo su questa strada che riteniamo la migliore per giungere nelle case dei singoli cittadini, nelle nostre case.
Abbiamo cercato insieme con i comuni e con la gestione sub-commissariale, di individuare dei percorsi per portare avanti l'iniziativa e giungere a risultati. Ho ascoltato interventi pessimistici ed altri ottimistici; noi, con il dotto Scialabba, ci siamo dichiarati moderatamente ottimisti. Perché moderatamente? Certo, se dovessi prendere per buona o dare comunque per scontato la relazione del professor Angelini che parla di un 25 per cento di raccolta differenziata in due anni e 50 per cento in cinque anni, forse sarei un po' più cauto nel fare queste affermazioni. Vorrei capire soprattutto attraverso quali elementi la commissione abbia potuto pervenire ad una previsione così ottimistica. Mi esprimo in questo senso perché proprio la settimana scorsa abbiamo fatto il punto della situazione sulla raccolta differenziata; abbiamo dei dati sicuramente incontrovertibili; abbiamo interrogato comune per comune e devo dire che numeri a due cifre ne abbiamo pochissimi, dottor Scialabba, forse non raggiungono neppure le dita di una mano.
Abbiamo cercato anche di individuare insieme le motivazioni e capire quali logiche perverse ci siano dietro questi insuccessi. Abbiamo plaudito insieme ad alcuni comuni che hanno superato le due cifre. Ricordo a me stesso il comune di Roccapalumba che ha raggiunto un picco dell'11 per cento e quello di Villabate che ha raggiunto il 16 per cento. Ma allora, cosa occorre fare? Il professor Angelini parlava di incentivazione della raccolta differenziata. Ebbene, anche in questo campo - vorrei tranquillizzare i parlamentari e le autorità presenti - la provincia di Palermo si è fatta parte diligente, ha adottato alcune iniziative, quale un progetto pilota che ha coinvolto tre comuni con una serie di incentivazioni, che effettivamente hanno portato ai dei risultati positivi.
Ecco ciò che la provincia di Palermo ha cercato di fare in questi mesi - ahimè, debbo dire, da quando ho assunto la delega di assessore all'ambiente posso essere considerato responsabile - creando un tavolo, non direi di concertazione ma di lavoro, con la gestione sub-commissariale ed i comuni, offrendo alle amministrazioni comunali un supporto logistico, funzionale e tecnico da parte dell'amministrazione provinciale. La provincia mette a disposizione i suoi strumenti ed i suoi uffici come supporto a tutti quei comuni che abbiano interesse a risolvere questo annosissimo problema.
Uno dei punti che abbiamo individuato in queste riunioni con i comuni della provincia è la mancanza e spesso la difficoltà di reperire aree per i centri comunali di raccolta. È per questo che anche in questo campo la provincia si è mossa e proprio in questi giorni sono partite dal mio ufficio una serie di convocazioni mirate


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ai sindaci della provincia; questa volta convocazioni non generiche ma mirate all'individuazione delle aree per i centri comunali di raccolta. Abbiamo dato tempi ben precisi. Il dottor Scialabba parlava giustamente di esercizio del potere sostitutivo nel caso di amministrazioni inadempienti; sino ad ora non abbiamo esercitato questo potere, lo abbiamo evitato, abbiamo cercato di seguire il criterio della massima collaborazione, dei suggerimenti e dei consigli, ma dobbiamo ricordare a tutte le amministrazioni - mi spiace sia presente solo il sindaco di Scicli - che scaduti i termini, saremo costretti ad intervenire, la provincia ed il sub-commissario per quelli che sono rispettivamente i loro ruoli.
Nonostante i dati non siano eccessivamente confortanti, abbiamo comunque riscontrato un trend positivo nella raccolta differenziata dei rifiuti. Certo siamo lontani dai picchi auspicati e previsti dalla commissione Angelini, ma siamo ottimisti, soprattutto fiduciosi nella misura in cui continueremo a tenere aperto il tavolo di lavoro che abbiamo istituito insieme con i comuni e la gestione sub-commissariale.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. L'ultimo intervento della mattinata sarà quello di Anacleto Busà, tecnico consulente della Commissione, il quale ha svolto, su nostro incarico, diversi sopralluoghi in particolare nella Sicilia orientale ed anzi uno di questi sopralluoghi è stato anche occasione dell'utilizzo dei poteri dell'autorità giudiziaria che ha la Commissione d'inchiesta.

ANACLETO BUSÀ, Consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Cercherò di non prendere troppo tempo, ma alcune puntualizzazioni si rendono necessarie. Vorrei innanzitutto ricondurre il discorso su un piano più tecnico. Vi sono state infatti affermazioni tecnicamente poco corrette e questo non per colpa di chi gestisce determinati sistemi industriali ma probabilmente per una leggerezza da parte di qualche assessorato che sinora ha emanato autorizzazioni non completamente in linea con il «decreto Ronchi».
Per sgombrare il campo da qualsiasi dubbio vorrei quindi riferirmi al discorso che svolgeva poco fa il signor Raddino a proposito della discarica SMARI a Siracusa. Premesso che la Commissione di Siracusa conosce tutto; abbiamo fatto ben sette visite nell'area di Siracusa, conosciamo perfettamente il sistema industriale, come funziona e quante discariche ci sono; probabilmente sappiamo poco degli interramenti abusivi, ma la situazione dal nostro punto di vista è sufficientemente chiara.
Non è vero che non ci sono discariche per rifiuti speciali pericolosi, come li definisce oggi il «decreto Ronchi», perché se è vero che alcune discariche usufruiscono ancora di vecchie autorizzazioni ex Dpr 915, quindi genericamente per rifiuti speciali, chiaramente non dedicate a rifiuti speciali tossici e nocivi, oggi la norma, con un nuovo criterio classificatorio, permette di autorizzare discariche anche per rifiuti pericolosi e gran parte dei rifiuti che in passato sono stati conferiti ad Augusta, Siracusa, erano allora pericolosi secondo la nuova norma.


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Facciamo un esempio. I fanghi di alchilazione della raffineria Esso di Augusta e della Condea sono pericolosi in quanto corrosivi; quindi oggi non possono andare in discarica di rifiuti speciali, come invece era prima; vanno in una discarica, autorizzata da poco dall'assessorato, previa inertizzazione; che poi questa venga fatta in maniera direi quasi virtuale, è altra questione che pure bisognerebbe considerare in modo più approfondito; sul punto c'è comunque una relazione della Commissione, che chi vuole può andarsi a leggere e che contiene elementi sufficienti per capire come funziona il sistema a Siracusa.
Il senatore Lo Curzio è stato attaccato - io non sono un politico, sono un tecnico e voglio rimanere tale - perché forse lo si è ascoltato in maniera poco attenta. Io credo che il senatore volesse sollevare un problema che esiste: a Siracusa c'è una concentrazione di discariche che quanto meno fa riflettere. Nessuno però si è chiesto il perché. Non posso entrare in un dettaglio che riguarda poi il sistema autorizzatorio, ma nessuno si è chiesto finora come mai non sia stato privilegiato un sistema di trattamento, di inertizzazione vera dei rifiuti industriali. Uso questo aggettivo perché abbiamo verificato - potremmo fare anche nomi e cognomi - che tutto l'apparato esistente assicura un trattamento virtuale, per il quale il rifiuto viene inertizzato diluendolo con la sabbia, cioè con un inerte, e poi va in discarica con il beneplacito di chi dovrebbe controllare.
Di qui l'esigenza, dicevo, di riportare il discorso ad una questione squisitamente tecnica. Molto c'è da fare e quello che avrei voluto sentire, anche dal professor Angelini, era un riferimento al piano per i rifiuti industriali. È vero che i comuni e la regione normano su un piano che riguarda la privativa dei comuni e quindi l'aspetto rifiuti urbani è sicuramente privilegiato in un piano di smaltimento, ma un piano di smaltimento regionale deve far riferimento anche al sistema industriale, sia come produttore di rifiuti sia come smaltitore di rifiuti.
Da questo punto di vista, invece, è molto carente; anche il piano del 1989, caro Angelini, tu lo sai benissimo, era assai carente ma almeno prevedeva delle piattaforme di trattamento. Oggi invece non sappiamo nulla della fine che fanno i rifiuti industriali siciliani, anzi come ha detto il presidente abbiamo cominciato a capire qualcosa e cioè che vi sono degli interramenti, che una parte dei rifiuti forse va fuori, ma soprattutto mancano i controlli ai porti. Questo purtroppo bisogna dirlo e lo abbiamo verificato. Tutto ciò che sto dicendo è ampiamente documentato negli atti della Commissione, non sto inventando nulla, dico soltanto che il sistema industriale siciliano dovrebbe essere considerato con più attenzione, innanzitutto perché - questo lo lamento come cittadino - non vedo una imprenditoria attenta a tirar fuori energia, magari con progetti di project financing, misto pubblico-privato, che darebbero sicuramente linfa anche all'occupazione; ma questo discorso non mi riguarda perché non sono un politico; manca, dicevo, questa sensibilità anche da parte dell'imprenditoria siracusana per esempio, ad investire in questo settore.
Da cosa dipende questo? Probabilmente da una scarsa sensibilità ai controlli. Finora si è permesso tutto e il contrario di tutto non solo


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a Siracusa, anche a Milazzo e a Gela; anche su questo abbiamo documenti che lo dimostrano. Allora, se da una parte c'è un sistema industriale che non viene favorito da piattaforme di smaltimento corretto dei rifiuti, va anche lamentato, e questo riguarda anche il piano rifiuti della regione Sicilia, che il censimento del 13 maggio 1989 sui siti contaminati non è ancora realizzato. La Sicilia è tra le ultime regioni, insieme a qualche altra, ad esempio il Lazio ed anche la Calabria, a non aver mai attivato il censimento dei siti industriali contaminati o quanto meno dei siti contaminati, che oggi sono anche siti industriali contaminati alla luce del comma 2 dell'articolo 1 e dell'articolo 17, che estende il censimento anche alle aree industriali operative.
La Sicilia sconta molti ritardi in questo settore. Dovremmo assolutamente dare priorità a questi argomenti perché il problema dell'isola non è solo quello dei rifiuti solidi urbani, anzi direi che questo è quasi marginale rispetto ai rifiuti industriali che vengono prodotti e che grande danno producono all'ambiente.
Infine, non è stato fatto riferimento al discorso degli ospedalieri. Mi sembra veramente strano che i rifiuti ospedalieri della Sicilia debbano essere smaltiti in Sardegna, almeno così risulta dagli atti. Questo mi sembra davvero eccessivo.
Il consiglio che vorrei dare, se posso permettermi, alla struttura del commissariamento è quello di cominciare a ricondurre il discorso non solo alla problematica dei rifiuti solidi urbani ma anche a quello dei rifiuti industriali e delle bonifiche perché i 400 siti di bonifica cui faceva riferimento Angelini sono di rifiuti urbani non industriali. Perché non andiamo a vedere quanti sono quelli industriali e dove sono? A questa carenza va posto rimedio.
Il mio consiglio, quindi, se posso, è di insistere sui rifiuti ospedalieri, di cui sappiamo ben poco e sulle bonifiche. Ma prima di aver fatto il censimento non si può fare la bonifica, per cui questo è un discorso da affrontare prioritariamente perché i danni inferti all'ambiente dai rifiuti della zona industriale di Siracusa, tutti pericolosi, sono grandi per il territorio di quella città ma anche per quello di qualche altra provincia che li ospita, come si dice, alla chetichella; intendo riferirmi agli smaltimenti ed interramenti abusivi. Ci sono altre province interessate, che credo possano essere facilmente intuite.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Sia pure con un leggero ritardo, possiamo concludere qui la prima parte dei nostri lavori, che saranno ripresi alle 13,45 precise.

I lavori del seminario, sospesi alle 14.55, sono ripresi alle 13.45.

Quarta sessione: I risvolti criminali dell'emergenza.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Questa parte del seminario sarà coordinata da Salvatore Cusimano, inviato RAI di Palermo, che ringrazio.

CUSIMANO SALVATORE, Inviato Rai di Palermo. Direi di iniziare subito con le due relazioni previste.


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MARIO BUSACCA, Procuratore della Repubblica di Catania. I vecchi avvocati che prendevano la parola per ultimi solevano dire: i miei colleghi hanno mietuto, a me non resta che raspollare, cioè raccogliere le spighe lasciate per caso da altri. In effetti ben poco di nuovo e di interessante mi resta da dire e capita in questi casi che ciò che è nuovo non è interessante e ciò che è interessante non è nuovo. Comunque il mio intervento sarà brevissimo e un poco a volo d'uccello.
È stato già ricordato che la legge fondamentale in materia di rifiuti è il decreto legislativo meglio noto come «decreto Ronchi», che avrebbe dovuto recepire le direttive comunitarie risalenti agli anni 1991-1994; decreto più volte modificato, e quindi di non facile applicazione, tanto più che non hanno avuto pratica attuazione i decreti ministeriali di carattere tecnico, il che è stato cagione di un caos legislativo nel quale ciascuno, nell'intento di salvaguardare le aspettative della collettività, intraprendeva nell'interesse pubblico sentieri interpretativi non sempre pervi, tant'è che la Corte di Cassazione - che dapprima aveva largheggiato - dovette intervenire avvertendo i giudici non essere loro compito supplire alle carenze normative creando nuove fattispecie penali.
La verità è che invano si era sperato che il legislatore, conscio degli inconvenienti da più parti denunziati, consentisse migliore e più incisiva possibilità di repressione del dilagante fenomeno delle discariche abusive e del traffico clandestino dei rifiuti, anche perché nelle regioni meridionali maggiormente poteva spiegarsi (e talvolta si è dispiegata) l'interferenza mafiosa, sia pilotando gli appalti in corso di gara, sia dissuadendo dal parteciparvi i potenziali concorrenti, sia infine monopolizzando le aree appetibili e dimezzando il prezzo dei trasporti, con risultati economici da altri concorrenti non raggiungibili.
Un controllo del territorio - efficace e sistematico - in questa attività di repressione è imprescindibile presupposto perché si conseguano gli scopi che la legge si prefigge e cioè eliminare o quanto meno ridurre l'inquinamento ambientale che assume aspetti e proporzioni sempre più allarmanti ed avvertiti dalla collettività.
Ma la repressione si presenta disagevole e spesso velleitaria perché le pene comminate, anche se più gravose che per il passato, sono tali da non consentire l'uso di strumenti processuali appropriati.
I reati sono infatti configurati quali contravvenzioni e quindi è precluso l'uso di alcuni mezzi di indagine quali le intercettazioni telefoniche e ambientali nonché l'accertamento dei flussi telematici o di altri tipi di comunicazione; inoltre non possono essere adottate misure cautelari personali né è previsto in alcun caso l'arresto in flagranza. E dunque, anche se viene intercettato un carico di rifiuti, l'investigazione rimane ancorata a quell'episodio in quanto il soggetto colto sul fatto ha tutto il tempo di crearsi alibi ed allertare i correi che compongono la catena che dal produttore conduce allo smaltitore finale.
Né è configurabile il reato associativo dato che questo non è previsto quando l'oggetto del sodalizio criminoso è la consumazione di fatti costituenti contravvenzioni anziché delitti. È auspicabile in conseguenza de iure condendo che sia comminata la reclusione e la


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multa per le violazioni alla tutela ambientale in modo che la risposta al crimine sia più incisiva e dissuasiva. Altrimenti la repressione, occasionale e aleatoria, continuerà ad interessare gli anelli più deboli e più esposti della catena, mentre coloro i quali traggono il maggiore lucro sfuggiranno alle sanzioni anche perché, come si è detto, non potendo ricorrere a misure investigative e repressive più adeguate, risulterà difficoltoso all'inquirente elaborare strategie di più ampio respiro che facciano cadere nella rete della giustizia, non tanto i soggetti i quali occasionalmente effettuano il trasporto (spesso diseredati in cerca di un qualche lavoro ancorché scarsamente remunerativo), ma i grandi speculatori che provocano danni ecologici incommensurabili.
A nessuno sfugge che coloro i quali di fatto detengono il controllo del territorio sono in grado di conoscere i luoghi ove abusivamente la discarica è possibile senza prevedibili verifiche degli organi di sorveglianza, anche se si tratta di rifiuti speciali che, invece di essere trasportati in luoghi lontani a ciò deputati per l'interramento o per l'incenerimento, vengono depositati ed occultati altrove (spesso seppelliti sotto altri rifiuti) con risparmio dei costi e vantaggio indebito rispetto alle aziende che agiscono in piena legalità. Non solo si commette un crimine, ma si turbano anche le regole della libera concorrenza che è principio fondamentale di una sana economia.
E non va sottaciuto che alle difficoltà investigative si aggiunge anche il fatto che le varie forze di polizia non hanno ancora acquisito mentalità e mezzi tecnici adeguati per combattere il fenomeno - qualcuno (maliziosamente) addebita ciò alla mancanza di interesse quando non vi sia possibilità di far tintinnare le manette - mentre sarebbe necessario formare degli organismi specializzati che operino alle dirette dipendenze delle procure.
L'unico organismo di tal fatta, costituito qualche anno fa, è il Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri che è però formato da pochissime unità costrette a vagare per l'isola affannate a contemperare le esigenze dell'autorità giudiziaria delegante con l'espletamento dei compiti istituzionali che discendono da loro collegamento con il Ministero dell'ambiente.
Altro organismo è il Corpo forestale che ha carattere e competenza regionale, dipende dall'assessorato agricoltura e foreste, ha scarsa autonomia nell'attività di polizia giudiziaria e non sempre, è imbarazzante dirlo, è premiato il suo zelo quando vengono per colpevoli acquiescenze toccati soggetti di estrazione politica, quali gli amministratori degli enti locali non sempre - non voglio assolutamente generalizzare - tenaci nel tutelare la propria onestà da insidie esterne. A Catania opera un distaccamento di appena due sottufficiali e quattro guardie al servizio di un vasto territorio che va dalla foce del Simeto alle pendici dell'Etna. Di supporto però agisce alle dipendenze della Procura di Catania - e quindi con garanzia di piena indipendenza - una aliquota del Corpo forestale; si tratta di una aggregazione ai sensi dell'articolo 5, secondo comma, delle disposizioni attuative del codice di procedura penale, che consente che alla sezione di polizia giudiziaria che dipende direttamente dalla Procura siano aggregati altri organismi, provenienti da altre amministrazioni, al di fuori dei Carabinieri, della Guardia di finanza e della Polizia.


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Vi è quindi questa aliquota che è aggregata alla nostra sezione e di fa apprezzare per impegno, capacità professionale e spirito di indipendenza.
Va comunque detto che, nonostante le prospettate difficoltà nell'investigare i fenomeni di illegalità ambientale diffusa, la procura distrettuale di Catania ha sperimentato tecniche avanzate di telerilevamento aerospaziale per la ricerca e l'individuazione, all'interno di discariche autorizzate, di alterazioni ambientali connesse alla presenza di oggetti metallici (fusti), tombati sino alla profondità di 6 metri rispetto al piano di campagna, contenenti, secondo le acquisizioni investigative, sostanze altamente inquinanti, che spesso danneggiano le falde acquifere in maniera allarmante.
È utile sottolineare che tali metodiche costituiscono nell'ambito regionale un unicum investigativo e che anche in ambito nazionale solo di rado il telerilevamento aerospaziale è stato utilizzato per la ricerca di alterazioni ambientali finalizzate alla scoperta di siti interrati inquinanti.
Infatti fino ad oggi generalmente il telerilevamento aereo è servito per la classificazione delle discariche, come quelle scoperte (Palla e Catena 1988), per l'individuazione di discariche incontrollate mediante dati da satellite (Lo Guercio 1992) e per la caratterizzazione del diverso comportamento termico dei rifiuti (Zilioli 1992).
Il telerilevamento è stato effettuato a mezzo di sensore di apparecchiatura Dedalus montato su aeromobile della Guardia di finanza, che in ora notturna ha effettuato tre passaggi sull'area da controllare.
I dati ottenuti sono stati sottoposti, mediante l'ausilio di consulente tecnico nominato dal pubblico ministero inquirente, a particolari tecniche di elaborazione le quali sfruttano, in estrema sintesi, la differente risposta spettrale dei siti osservati e la loro topologia rispetto al contorno, divenendo così concreta la possibilità di identificare aspetti anomali del suolo fra i diversi elementi che compongono la scena osservata e di operare una differenziazione tipologica fra questi ultimi.
Le accennate tecniche di elaborazione dei segnali telerilevati hanno consentito nel caso in esame di circoscrivere nell'ambito della discarica sei siti sospetti da utilizzare per l'attivazione di ulteriori approfondimenti.
Inoltre, mediante il ricorso ad ulteriori metodiche tecniche, affidate a docente universitario di prospezioni geofisiche e ad impresa specializzata, che ha utilizzato per le indagini di campagna una stazione «Geonics EM31» con risoluzione ottimale sino ad una profondità di sei metri, sono state effettuate ricerche geofisiche, le quali si sono sviluppate in un rilievo elettromagnetico mediante tecniche di misura EM che mi viene difficile spiegare con linguaggio accessibile ai non esperti non avendo cognizioni scientifiche, misura questa molto sensibile alla presenza di corpi metallici.
Per ogni sito è stato così creato un campo dei valori dei parametri elettromagnetici organizzato per mappe ad isolinee, utilizzandosi nelle relative tavole scale cromatiche a tonalità più intensa in funzione dell'ampiezza delle anomalie.


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Sulla base dei risultati ottenuti mediante l'interpretazione dei dati forniti dalle indagini geofisiche si è infine proceduto alle operazioni di scavo per verificare se le anomalie rilevate dalla campagna geofisica fossero in realtà causate da oggetti metallici (fusti) contenenti sostanze inquinanti. L'esito di tali ulteriori operazioni ha dato risultati parzialmente positivi.
È evidente dunque che, per quanto riguarda il mio ufficio, non manca l'attenzione al fenomeno, che spesso ha carattere di vera e propria emergenza, tant'è che si cerca l'affinamento di ogni tecnica di indagine, al di là delle rassegnate difficoltà, per tutelare questo bene prezioso che è l'ambiente, cui molti sciaguratamente attentano.
Passando ad altro aspetto del problema, avverto subito che non sta a me illustrare partitamente l'attuale situazione, spettando ciò agli organi amministrativi e non consentendolo peraltro la brevità dello spazio riservatomi. Certo nel passato vi è stata grave incuria nella salvaguardia del territorio che non era guardato dalla collettività come bene di tutti.
Nessuno gradiva le discariche; queste erano a cielo aperto, la loro gestione era possibile mediante autorizzazioni precarie sostenute da provvedimenti contingibili e urgenti che si protraevano anche per decenni. Da ciò processi e spesso condanne ai sindaci i cui provvedimenti erano disapplicati perché ritenuti illegittimi dai giudici penali; ma la giurisprudenza non è stata costante in questa direzione e la problematica rimane tuttora alquanto confusa. Si attribuisce alla magistratura questa funzione di supplenza quando interessa, in altri momenti si parla di interferenza e di invadenza.
La constatazione della improduttività dell'attribuzione alla competenza sindacale della disciplina riguardante le discariche ha fatto sì che il Ministero dell'interno abbia deciso di dare una svolta sensibile e (sperabilmente) conclusiva alla vicenda annosa nominando commissario straordinario il presidente della regione e subcommissari i prefetti.
Le difficoltà certamente permangono in quanto spesso gli organi governativi puntualizzano gli obiettivi da raggiungere ma non forniscono gli strumenti e le risorse economiche per raggiungerli. L'aver sottratto ai privati l'individuazione e la gestione delle discariche dovrebbe almeno assicurare l'obiettivo di nominare il fenomeno della frammentazione e dello sfruttamento economico derivante dal pagamento di spropositati canoni di affitto a speculatori. E perciò dovrebbe, a mio avviso, essere maggiormente usato, ovviamente con avvedutezza e valutazione tecnica rigorosa, lo strumento della requisizione (delle discariche esistenti), che di primo acchito appare conforme all'esigenza di carattere pubblico di dare attuazione a direttive politico-amministrative con provvedimenti anche ablativi che non dovrebbero essere facilmente censurabili in sede giurisdizionale.
Il controllo dei prefetti dovrebbe in sostanza aumentare le possibilità che finalmente i siti vengano scelti secondo criteri che valutino l'impatto ambientale e nel rispetto delle falde acquifere (incidenter tantum, in molte zone della provincia di Catania l'acqua non è potabile!). È pertanto necessario che la scelta del sito sia preceduta da studio geologico «serio» e non si arrivi a fenomeni quale quello ravvisabile nella discarica di Catania con montagne di


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rifiuti compattate alte fino a 18 metri e prospicienti vie di grande comunicazione con pericolo di smottamento in caso di episodi tellurici o alluvionali.
Se le regole verranno puntualmente osservate e non eluse, sarà scoraggiato l'interesse della criminalità organizzata che è sempre pronta, con previgenza davvero invidiabile, a scoprire anticipatamente ogni campo economico in cui la speculazione porta a sostanziosi arricchimenti più o meno (ma solo apparentemente) leciti.
Dalla mafia dei giardini gradatamente si è infatti passati allo sfruttamento del boom edilizio, quindi agli appalti delle opere pubbliche, al traffico degli stupefacenti, al contrabbando e così via. Frequenti anche i casi in cui la malavita è risultata implicata nell'illecita aggiudicazione di appalti per la raccolta e la discarica dei rifiuti solidi urbani.
Vi è stata, tanto per esemplificare, condanna per l'appalto al comune di Belpasso (turbativa d'asta, corruzione, abusi, intimidazioni) di amministratori e di associati del potente clan del Malpassotu; è tuttora vigente il sequestro (se ne è chiesta la confisca) della discarica di Misterbianco, gestita da Proto Salvatore e altri, dal valore di diversi miliardi, un vero modello dal punto di vista tecnico, ma costruita con capitali e metodi mafiosi, secondo le risultanze investigative che hanno posto in evidenza collusioni e connessioni con elementi di spicco dei clan mafiosi.
Ma molte altre indagini sono in corso presso il mio ufficio - ovvie ragioni di riservatezza mi impediscono comprensibilmente di fornire dettagli - riguardanti infiltrazioni mafiose (specie di bande e clan collegati con Cosa nostra) nell'ambito dell'aggiudicazione degli appalti che riguardano la materia in discorso.
Il metodo, come si è detto all'inizio, è sempre lo stesso: accaparramento di aree, astrattamente idonee alla bisogna, acquistate con liquidità di sospetta matrice criminale, partecipazione alle gare scoraggiando i potenziali concorrenti o facendo presentare offerte anomale o incongrue, sostegni occulti di ordine finanziario o con voti di scambio ai politici di riferimento, corruzione dei funzionari preposti alla gestione del procedimento amministrativo, elusione dei controlli in sede topica eccetera.
È del tutto naturale che tutto questo non potrà avvenire - o è difficile che avvenga - allorché i provvedimenti e le direttive governative saranno attuati senza remore di ordine normativo e pratico, con disposizioni (e rispettive responsabilità) chiare che tolgano spazio alle acrobazie dialettiche e alle furbesche elusioni.
La bonifica del territorio - e così concludo - potrà avvenire non solo in senso ambientalistico ma anche sul piano della lotta alla criminalità di ogni genere, se queste normative avranno pratica applicazione.

PIETRO GRASSO, Procuratore distrettuale antimafia di Palermo. Capisco che l'ora non è delle più adatte per intrattenere su argomenti del genere, quindi cercherò di fare uno sforzo per andare al cuore dei problemi.
Innanzitutto dobbiamo prendere atto che in Sicilia l'emergenza rifiuti continua ad essere un'emergenza, e ciò è stato anche codificato


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dal provvedimento che ha prorogato la precedente ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento della protezione civile, che appunto prevede che l'emergenza dovrà finire entro il 31 dicembre 2001. Occorre quindi prendere atto con le ottimistiche previsioni di questa ordinanza, che è comunque temporanea. L'ordinanza modifica la precedente e prevede una serie di prerogative e di interventi del presidente della regione siciliana come commissario delegato all'emergenza rifiuti. L'ordinanza è del 21 luglio 2000 ed è stata già pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 28 luglio e da questa data ci sono termini che cominciano a decorrere. Da quello che sappiamo, però, non mi pare che ci è stato quell'avvio, forse complice un avvicendamento dell'amministrazione (forse ci sono delle nomine da completare o qualcosa da rendere operativo), che ci si aspettava. Intanto vedo qui il presidente della regione siciliana, che saluto con piacere; è proprio lui il dominus dell'emergenza rifiuti, oltre che dell'emergenza idrica, in Sicilia, e quindi è colui che il ministro dell'ambiente ha indicato come colui che deve risolvere i problemi dell'emergenza rifiuti in Sicilia. Viene indicato anche come commissario delegato all'emergenza rifiuti. Non so se a sua volta può delegare altri; è un problema giuridico se delegatus delegare potest o non potest e lo lasceremo risolvere ai giuristi, però è necessario che si parta con un certo piglio perché le indagini che sono state svolte nell'ambito del mio ufficio confermano che si tratta di una situazione grave. Purtroppo noi interveniamo soltanto quando c'è la notizia di un reato, quando c'è da reprimere, quando c'è da cercare di sanare la situazione turbata da un comportamento criminale; però ci siamo resi conto quanto sia difficile intervenire in questo settore che è diventato il preferito da parte della criminalità organizzata. Ciò non perché dia profitti notevoli, ma perché tutto quello che cade sotto il controllo della criminalità fa parte del loro budget di interesse, e più volte abbiamo trovato amministrazioni pubbliche che forse non si sanno porre come un argine o un limite sotto il profilo dei controlli amministrativi nei confronti di certe società.
Abbiamo avuto esempi emblematici, ormai noti da tempo e che quindi cito senza approfondirli: per esempio le indagini sul comune di Pollina, dove si doveva realizzare un progetto di discarica e invece si continuava ad utilizzare una zona sottoposta a vincolo paesaggistico e quindi con tutto quello che consegue. La stessa situazione si è verificata a Trapani, a dimostrazione che diversificando le zone non cambiano i problemi. L'impresa De Bartolomeis, che aveva sostituito la precedente impresa, ha posto in essere un sistema di gestione che mette in risalto un'altra caratteristica, e cioè che molto spesso le ditte che si aggiudicano gli appalti non riescono a gestire pur avendo acquisito legittimamente il diritto di operare in quella attività. Questo perché quando la mafia non riesce ad inserire una propria impresa, comunque di fatto espropria quel lavoro e lo gestisce. Un ulteriore esempio di ciò lo abbiamo avuto in un'indagine su Palma di Montechiaro. Lì lo spaccato era assolutamente chiaro: vi erano state delle vicende nell'ambito della famiglia mafiosa di Palma di Montechiaro e la gestione di fatto della discarica seguiva i cambiamenti intervenuti nella famiglia mafiosa, cioè dapprima lavoravano i camion di un certo personaggio e successivamente, siccome nei loro affari


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interni aveva assunto la prevalenza un altro personaggio, si sono visti i camion di quest'altro, e così via nelle successioni e nelle alternanze. L'unica che non gestiva affatto quella discarica era la ditta aggiudicataria di quella attività.
La realtà con cui ci dobbiamo confrontare è dunque proprio questa. Vi è una difficoltà immensa nel riuscire ad imporre la legalità. Da quando sono alla procura di Palermo ho avuto il privilegio di essere non soltanto il procuratore della mafia ma il procuratore anche di tutte le altre violazioni e illegittimità che si possono svolgere sul territorio, essendo stati unificati gli uffici della procura presso il tribunale con quelli della procura presso la pretura, per cui noi adesso riusciamo a realizzare quello che era difficile realizzare prima, cioè una visione globale dei problemi che partono dalle singole violazioni, che magari sono soltanto sintomi o sensori di una realtà ben più complessa, alle indagini sulla mafia, su Cosa nostra, su appalti che poi vanno a ricollegarsi con quelle violazioni. Allora il quadro è molto più completo. Non solo, ma i mezzi per poter intervenire sono molto più efficaci. Ciò perché - e vengo all'aspetto che abbiamo da sempre denunciato e di cui si è fatta, si fa e si farà portavoce la Commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti - si registra l'inefficienza degli strumenti per combattere l'ecomafia. Infatti, soltanto con gli strumenti che abbiamo nella legislazione per la lotta alla criminalità organizzata riusciamo a condurre indagini che portano a risultati, che fanno scoprire un tessuto connettivo di infiltrazione nell'attività economica e quindi anche in quella dell'emergenza rifiuti.
Questo è indicativo perché nelle zone d'Italia dove è più difficile percepire la presenza di un fenomeno mafioso sul territorio in maniera così diffusa come nelle regioni del sud, non si può dire che ci sono elementi per poter reprimere questa realtà. Ci sono tanti aspetti che vengono alla nostra attenzione, che vanno dallo smaltimento dei rifiuti ospedalieri ai problemi dei cosiddetti sfasciacarrozze, i veicoli rottamati, a tutta una serie di altre attività (i rivenditori di batterie, per esempio) che non riusciamo a reprimere non certo con le sanzioni che abbiamo a disposizione ma con il sequestro dell'attività, cui consegue il dissequestro soltanto nel caso in cui si mettano in regola anche sotto il profilo dello smaltimento dei rifiuti. Si vede bene che questi mezzi sono inadeguati rispetto a quello che si può e che si deve fare. Abbiamo rilevato che la totalità è nell'illegalità: riuscire a ribaltare questo rapporto certo non è un compito che può svolgere la magistratura o l'attività repressiva della polizia municipale o di qualsiasi altro organo. Penso che occorra un sistema di controlli amministrativi o una rivoluzione culturale che convinca le persone che gestiscono questa attività che in questo modo si danneggia un patrimonio che è inestimabile e che è di tutti i cittadini.
Questa è dunque la realtà che abbiamo davanti e alla quale cerchiamo di far fronte con il massimo dell'impegno. Ho dedicato proprio un settore del mio ufficio alla repressione di questo tipo di reati, però devo ancora una volta sottolineare la carenza costante delle denunce susseguenti ai controlli amministrativi, l'inefficienza degli apparati di prevenzione e di controllo.


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Siamo abituati da sempre a svolgere un'attività sostitutiva (magari poi ci accusano di ingerirci troppo in faccende che non sono di nostra pertinenza), però credo che quando ci si trova di fronte a situazioni come quella rilevata ai Cantieri navali riuniti, con materiali pericolosi della salute pubblica ammassati in settori dei cantieri da anni e mai rimossi, dietro il magistrato scatta il cittadino che si domanda come sia possibile che anche da parte di società e di enti che in passato hanno operato col capitale pubblico si abbia un tale disprezzo della legge e della tutela della salute dei cittadini.
Un altro elemento di difficoltà deriva dalla complessità della normativa che produce la necessità di adeguarsi sempre alle norme di tutela relative alle trasformazioni delle situazioni di fatto connesse alle nuove tecnologie, al progresso scientifico. Questo progresso è incessante nella nostra epoca e i suoi effetti sull'ambiente sono notevoli; i controlli dovrebbero quindi adeguarsi alle nuove tecnologie che aprono nuove frontiere all'inquinamento ambientale.
Concludendo, nel nostro territorio è ormai diffuso il convincimento che la criminalità organizzata controlla e sfrutta a proprio vantaggio molte delle violazioni in materia ambientale, specie con riferimento ai fenomeni più gravi di abusivismo edilizio ed in particolare alla gestione delle discariche abusive e del traffico illecito di rifiuti. Avremo bisogno di strumenti che possono accertare questi reati; so che ci sono stati e che ci sono alcuni progetti da parte della Commissione parlamentare, che ha molto lavorato su questo piano. Penso che le attualità della politica e dell'attività legislativa non ci consentono di sperare in nulla, almeno in questa legislatura, perché purtroppo fra poco inizia la sessione di bilancio e poi chissà. Il futuro è un po' disperante, ma posso assicurare che noi continueremo negli sforzi che abbiamo fatto e facciamo per cercare di dare la massima collaborazione e in quello che riteniamo che sia un preciso dovere, non solo come magistrati ma anche come cittadini, di collaborare a mantenere il più possibile il nostro territorio pulito e lontano da quei disastri ambientali ai quali invece di recente assistiamo.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Sulla gravità dell'assenza di una legislazione penale ad hoc anche questa mattina dicevo ai nostri intervenuti che è nostra intenzione rappresentare tale gravità al Capo dello Stato al quale ho chiesto un incontro, nella speranza che si trovi il modo di approvare tutti i provvedimenti legislativi pendenti al Senato.
Come sapete dagli altri seminari che abbiamo tenuto, io non traggo conclusioni da questi appuntamenti che sono occasioni di incontro e di ascolto. Le conclusioni poi le trarrà la Commissione d'inchiesta nel documento specifico che presenterà sull'istituto del commissariamento.

Tavola rotonda.

SALVATORE CUSIMANO, Inviato Rai di Palermo. Iniziamo subito la tavola rotonda. Credo che l'esperienza delle forze dell'ordine che vivono sul territorio e che quindi con l'emergenza rifiuti hanno


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contatti quotidiani meno mediati, come del resto i procuratori, può essere di tesoro a tutti, anche a chi fa il mestiere di giornalista e quindi ha raccontato e racconta quello che succede, peraltro in un momento di grande attualità per questa regione, come sapete, perché oggi è una giornata cruciale anche per quanto riguarda una annosa questione che ci trasciniamo da decenni, l'abusivismo nella Valle dei templi, dove pare - della politica bisogna diffidare così come dei giornalisti - ci siano possibilità che la questione si risolva, sia pure in un senso che sarà opinabile (poi scatteranno tutte le considerazioni di tipo politico), ma comunque sembra una via d'uscita da un tunnel che ha impegnato voi e chi vi ha preceduto nel lavoro in quei territori.
Seguendo l'ordine dell'invito, do la parola al generale Piccirillo, con la preghiera generale di contenere gli interventi.

GIORGIO PICCIRILLO, Comandante dei carabinieri della regione Sicilia. Innanzitutto consentitemi di portare il saluto di tutti i carabinieri della Sicilia e di esprimere la mia riconoscenza soprattutto al presidente e ai membri della Commissione per l'attività meritoria che svolgono in tutte le regioni d'Italia ma soprattutto qui in Sicilia, in un contesto che assume una caratterizzazione particolare proprio per la collocazione di mafia imprenditrice che si è più volte sottolineata.
È un settore nel quale le forze di polizia sono state peraltro sempre impegnate in termini di emergenza, e quindi sostanzialmente per noi ha introdotto ben poco l'istituto del commissariamento, la cui finalità è di dare alla regione un servizio credibile e funzionale per lo smaltimento dei rifiuti, e di mettere a disposizione per questa esigenza strumenti straordinari.
Per quanto riguarda invece una aspettativa rilevata questa mattina, cioè che incidenza ha avuto sul rapporto tra smaltimento dei rifiuti e criminalità organizzata, devo dire che per noi forze di polizia non è stato uno strumento straordinario perché avrebbe potuto introdurre, per esempio, qualcosa come la definizione penale del reato ambientale di cui si è poc'anzi parlato, che poteva consentire una gestione dei controlli in termini di maggiore rigidità e di maggiore efficacia.
Ovviamente non per questo il commissariamento non ha avuto un'incidenza positiva sulla nostra attività, nel senso che, avendo puntualizzato determinate figure istituzionali, avendo attribuito a determinati livelli in ambito provinciale e regionale la competenza della gestione e della soluzione del problema, indubbiamente ha portato verso l'alto alcune capacità decisionali allontanandole dai centri decisionali periferici più esposti alle infiltrazioni mafiose e alle pressioni della criminalità organizzata. Quindi nel momento in cui andranno a regime i provvedimenti previsti dal piano delle priorità e tutti gli altri provvedimenti connessi nel riordino del decreto di emergenza, sicuramente ci sarà una ricaduta positiva anche per quello che riguarda la connessione con i fatti di criminalità organizzata. Per il momento, a meno di due anni dall'adozione dei provvedimenti, non si può dire che ci siano stati risultati concreti nell'avvio delle procedure previste. Quindi, per quello che concerne


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la nostra attività di controllo, purtroppo ci troviamo ancora a confrontarci con la realtà precedente, una situazione di voluta confusione in molte circostanze, presenze di discariche autorizzate pur in assenza dei requisiti, impianti non dimensionati per le esigenze da soddisfare e sicuramente infiltrazioni di criminalità organizzata di ogni genere.
Devo dire pertanto che per noi l'emergenza è tuttora in atto come in passato; anzi i provvedimenti previsti dall'istituto del commissariamento probabilmente prolungheranno nel tempo questa emergenza, nel senso che i finanziamenti previsti per la realizzazione dei nuovi impianti, delle nuove strutture, porteranno sicuramente ad un innovato interesse delle associazioni criminali e quindi alla necessità di essere ancora più attenti per evitare questo coinvolgimento.
Ovviamente non può essere soltanto un fatto di polizia. È stato già ribadito che ci sono altri organismi preposti a questa attività di controllo. Non sempre si può pensare che la polizia giudiziaria possa risolvere - come ha rilevato il procuratore Grasso - problemi di questo genere. Tra l'altro noi veniamo spesso a conoscenza di situazioni di questo genere attraverso indagini per altre attività connesse. La difficoltà ci deriva proprio dalla mancanza di strumenti idonei per poter addivenire in via preventiva a questo tipo di controllo.
Auspichiamo dunque, come è stato già osservato, che tutti gli organismi istituzionali incaricati a qualsivoglia maniera di funzioni di controllo vengano responsabilizzati nell'esecuzione di queste attività e che l'attività di controllo venga riportata a livelli di verifica e di omogeneizzazione per poter indirizzare opportunamente le attività di verifica stessa. Del resto, come dicevo, per le forze di polizia, ed in particolare per i carabinieri, la situazione non è mai stata meno importante di quello che può essere diventata dopo la decisione di istituire il commissario per l'emergenza rifiuti. I risultati per quanto ci riguarda - citerò poi alcuni dati relativi alla nostra attività - possono essere ritenuti soddisfacenti ed in parte aderenti alla realtà territoriale. Purtroppo però ci fermiamo di fronte ad una carenza che non è sempre delle forze di polizia e che in qualche modo andrebbe sostituita con responsabilità ben precise; che del resto ci sono, basta saperle fare attuare.
Per mantenermi nei tempi, vorrei soltanto fare riferimento alle caratteristiche delle attività di controllo condotte tra il 1999 e il 2000. Rapidamente, in Sicilia l'Arma si caratterizza attraverso la presenza di una sezione del Nucleo operativo ecologico su Palermo, che per il momento ha competenza su tutta la Sicilia. Però l'importanza che l'isola ha assunto nel contesto dell'emergenza rifiuti ha posto all'attenzione del comando generale l'ipotesi di istituire una seconda sezione a Catania, proprio per consentire di alleggerire quella che è oggi la competenza regionale nella Sicilia orientale. Sperando che i provvedimenti ordinativi siano consentiti a livello governativo, questa è sicuramente una misura che potrà migliorare ulteriormente i nostri risultati.
Per quanto riguarda l'attività svolta, segnalo che è stata condotta un'attività di controllo alle discariche per rifiuti solidi urbani e ai centri di raccolta e rottamazione dei veicoli dismessi. Incidentalmente


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vorrei sottolineare quello che ha precisato il procuratore Grasso: si è parlato soltanto di rifiuti solidi urbani questa mattina, ma i problemi gravi sono legati ai rifiuti di altro genere, cioè ai rifiuti ospedalieri, ai rifiuti industriali, alla rottamazione delle autovetture, alle acque reflue, a situazioni - di cui indicherò un esempio - in cui si verificano inquinamenti ambientali di estensione notevolissima e che purtroppo passano in secondo piano perché i rifiuti solidi urbani rappresentano un'emergenza di fatto dei centri abitati, della collettività.
Questa attività ha portato ad accertare che le discariche sono nella quasi totalità non rispondenti ai requisiti minimi previsti, e le ditte che spesso vi operano non risultano iscritte neanche all'albo degli smaltitori. I centri di raccolta di veicoli dismessi sorgono spesso in aree non compatibili con gli stessi strumenti urbanistici dei comuni interessati e quindi sono privi delle prescritte autorizzazioni. A riscontro di tali situazioni i siti controllati sono stati posti sotto sequestro su iniziativa del personale operante, quando è possibile farlo, come si diceva prima; mentre provvedimenti in tal senso sono stati richiesti all'autorità giudiziaria laddove, nel rispetto delle procedure, non risultava procedere autonomamente in questo modo.
Per quanto riguarda invece le altre tipologie di rifiuti (sanitari e industriali), vengono per la maggior parte smaltiti in impianti del nord Italia, almeno formalmente, non essendovi nell'isola sufficienti ed adeguati impianti di smaltimento. Sono stati condotti accertamenti e sono state svolte attività d'indagine nell'area di Palermo e di Catania, finalizzati alla verifica di modalità dello smaltimento dei rifiuti sanitari, emergendo in tal senso diverse irregolarità degne di tutela penale segnalate all'autorità giudiziaria e tuttora al vaglio di quest'ultima. Non più tardi di questa mattina sul litorale di Messina è stato rinvenuto un grande quantitativo di siringhe ed altro materiale di risulta ospedaliero, evidentemente buttato in mare anziché trattato come previsto.
Per quanto riguarda il controllo degli impianti di discariche, è stata rilevata la presenza di un numero insufficiente di società autorizzate alla gestione delle discariche nell'isola e il ricorso sempre più frequente all'associazione temporanea di imprese locali con grandi imprese del nord iscritte all'albo degli smaltitori, che però, una volta aggiudicata la gara, si tirano in disparte e lasciano ad operare sul territorio le ditte locali che quasi sempre non hanno le caratteristiche tecniche sufficienti per la gestione dell'attività stessa. Sono stati riscontrati casi concreti a Messina, Partanna, Ventimiglia di Sicilia, Gela e in altre località, con ditte settentrionali e locali, di cui non faccio il nome per ovvie ragioni. Lo stesso discorso vale per il ricorso ai noli a freddo dei macchinari impiegati nelle discariche stesse. Sono tutte attività che al momento consentono l'infiltrazione di attività criminali.
Per quanto concerne l'attività delle acque reflue, questo, come dicevo prima, è un problema che sta sorgendo in maniera sempre più prepotente in diverse province. È paradossale la vicenda al comune di Campobello di Mazzara dove l'impianto di depurazione realizzato da circa un ventennio non è mai entrato in esercizio, perché all'epoca non venne individuato un punto di scarico. Il risultato è che i reflui


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non depurati dell'abitato hanno dato vita ad una sorta di lago artificiale di liquame, che ha portato peraltro beneficio ai proprietari dei terreni inondati, i quali ricevono sussidi senza neanche dover coltivare il terreno.
Mi limito ad un riferimento velocissimo ai dati statistici dell'attività svolta, anche come dato di gratificazione per quello che si è fatto nel corso di questi due anni. In pratica nel 2000 la sezione di Palermo del Nucleo operativo ecologico e l'Arma territoriale hanno effettuato ben 529 ispezioni a fronte delle 469 del 1999 su aziende, opifici, laboratori, discariche, rottamazione veicoli, cave e strutture ospedaliere; sono state accertate 256 infrazioni a fronte delle 233 del 1999, sono state denunciate 252 persone a fronte delle 203 del 1999, sono state accertate 106 discariche abusive a fronte delle 57 del 1999, sono state sequestrate 89 discariche abusive a fronte delle 28 del 1999.
Non vado oltre per non annoiare. È sicuramente la dimostrazione che per le forze di polizia il problema rimane di evidente importanza e di assoluta urgenza. Probabilmente si tratta di aiutare le forze di polizia nella effettuazione di questi controlli. Io posso dire soltanto che, con l'incidenza diretta che ha avuto il commissariamento sulle prefetture, per esempio, c'è stata una ricaduta sulle forze dell'ordine di richieste di evasione, di accertamenti ed informative che hanno incrementato questa attività e l'esperienza acquisita nell'attività di polizia giudiziaria con le procure ci ha consentito di acquisire un patrimonio informativo che sicuramente produrrà nell'immediato futuro ulteriori consistenti risultati.

GIORGIO TOSCHI, Capo di stato maggiore del comando regionale della Guardia di finanza della Sicilia. Intervengo in sostituzione del generale Pitino, il quale si è dovuto allontanare da Palermo per altre inderogabili esigenze di servizio. È con immenso piacere che porgo il saluto del generale Pitino e mio personale al presidente Scalia, a tutte le autorità, alle gentili signore ed ai gentili signori intervenuti a questo seminario pubblico, cui partecipo per intrattenervi brevemente sull'attività della Guardia di finanza a tutela del patrimonio ambientale e per la lotta alle organizzazioni criminali.
Ci si chiede spesso, e ce lo chiedono anche gli operatori destinatari dei nostri controlli, perché la Guardia di finanza è intervenuta. A questo proposito ricordo, innanzitutto a me stesso, che la Guardia di finanza è organo di polizia dalla spiccata caratterizzazione economica, chiamata a svolgere una importante funzione nel settore ecologico, posto che le risorse ambientali costituiscono una componente tutt'altro che marginale della ricchezza del paese e la relativa tutela rappresenta, quindi, un aspetto imprenscindibile per una corretta politica economica.
In tale prospettiva, l'attività del Corpo nella difesa dell'ambiente discende direttamente dalla legge ordinativa del Corpo stesso, la legge n. 189 del 1959, che affida all'istituzione il compito di «vigilare, nei limiti stabiliti dalle singole leggi, sull'osservanza delle disposizioni d'interesse politico-economico»; ciò è previsto al secondo comma


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dell'articolo 1; si tratta quindi di un compito assolutamente prioritario, peraltro da ultimo ribadito anche nella legge n. 78 del 2000 concernente il riadeguamento dei compiti del Corpo.
È da menzionare, inoltre, il quarto comma dell'articolo 8 della legge n. 349 del 1986, istitutiva del Ministero dell'ambiente, il quale prevede che per la vigilanza, la prevenzione e la repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente, il ministro dell'ambiente si avvale del Nucleo operativo ecologico dei colleghi dell'Arma dei carabinieri, nonché del Corpo forestale dello Stato e degli appositi reparti della Guardia di finanza e delle forze di polizia.
La Guardia di finanza, come è noto a molti, non ha invece provveduto, per una scelta di politica ordinativa, alla creazione di reparti appositamente deputati al contrasto degli illeciti ambientali, pur prestando da sempre un'attenzione notevole alla tutela dell'ambiente attraverso un'azione di vigilanza incisiva e - credo e spero - anche costante e penetrante.
Dal punto di vista organizzativo, fermo restando l'obbligo di vigilanza generica demandato a tutti i reparti del Corpo nel contesto dell'attività istituzionale e malgrado la richiamata assenza di reparti specialistici, all'interno del Corpo i reparti maggiormente idonei ad assicurare una efficace azione di contrasto sono da individuare, come ha ricordato poco fa il dottor Busacca, sostanzialmente nelle sezioni aeree, nelle stazioni navali e, in misura minore anche se partecipano attivamente, nelle cosiddette compagnie mobili e soprattutto quelle di pronto impiego; mi riferisco sostanzialmente ai cosiddetti «baschi verdi», che svolgono istituzionalmente attività investigativa nel settore extratributario, dando origine ad un sistema integrato di controlli.
Il Corpo ha operato questa scelta di politica ordinativa e anziché creare un apposito reparto, come ha fatto l'Arma dei carabinieri, ha inteso far operare tutti i reparti del Corpo, del comparto aeronavale e quindi terrestre, in un sistema integrato di controlli. D'altro canto va evidenziato che l'attività a tutela dell'ambiente, di regola, si presta ad essere espletata in forma coordinata con la maggior parte degli altri servizi a cui il Corpo è istituzionalmente preposto; ad esempio, in occasione dei normali servizi di polizia tributaria presso complessi aziendali, la Guardia di finanza concorre alla vigilanza sul corretto adempimento degli obblighi previsti per le attività industriali cosiddette «a rischio di incidente rilevante», per le quali gli esercenti sono tenuti a trasmettere una notifica ed un rapporto di sicurezza ai Ministeri dell'ambiente e della sanità, nonché alla regione, nel caso in cui, per impianti corrispondenti alle caratteristiche previste dalla legge, determinate sostanze superino i valori di soglia stabiliti.
Analoga attività viene svolta nel quadro dei servizi in materia di accise, ex imposte di fabbricazione, durante i consueti controlli presso raffinerie e depositi di oli minerali. In ogni caso, nel corso di interventi di natura fiscale nei confronti di complessi aziendali che, pur non rilevando sotto il profilo del rischio di «incidente rilevante», svolgono attività industriali o artigianali che comportano rischi per l'ambiente (per la natura del processo produttivo, per la specificità delle lavorazioni e per il tipo dei beni prodotti), i reparti del Corpo procedono anche al controllo dell'osservanza delle vigenti disposizioni anti-inquinamento.


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Inoltre, particolare rilevanza assumono i controlli in materia di scarico di materiale inquinanti nell'ambiente e, più in generale, di smaltimento dei rifiuti. In tale ambito, al fine di accertare l'effettiva attività di smaltimento, vengono eseguiti altresì numerosi controlli incrociati (anche questi utili a fini fiscali) presso gli inceneritori utilizzati dagli operatori del settore.
In effetti, è stato più volte rilevato che interi carichi di rifiuti, cartolarmente destinati all'incenerimento, erano stati invece «dirottati» presso discariche abusive; quelle che noi chiamiamo in gergo fatturazioni per lavorazioni inesistenti sotto l'aspetto oggettivo ovvero soggettivo. Siffatte condotte illecite presentano a volte rilevanti risvolti fiscali connessi all'accertamento di carichi di rifiuti tossico-nocivi ritirati e poi di fatto mai smaltiti. In sostanza, dal riscontro delle operazioni fittizie di smaltimento emergono costi non sostenuti ancorché portati in deduzione dall'impresa produttrice dei rifiuti, nonché correlativamente, come prima accennavo, l'utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti aventi il duplice scopo di documentare il regolare conferimento dei rifiuti ad imprese autorizzate e di realizzare una cospicua evasione in materia di imposte dirette e quindi sul valore aggiunto.
Sempre nel settore dello smaltimento dei rifiuti l'azione di vigilanza viene esercitata dalla Guardia di finanza anche nel corso dei cosiddetti servizi anticontrabbando o nell'ambito delle attività operative volte all'attuazione dei cosiddetti CCT, piani coordinati di controllo del territorio, unitamente agli altri colleghi delle forze di polizia. Le pattuglie operanti prestano particolare attenzione ai trasporti di carichi di rifiuti tossico-nocivi che devono essere sempre scortati da appositi formulari di identificazione; quindi continuiamo a svolgere l'attività che era propria della Guardia di finanza in materia di controllo dei beni viaggianti su strada, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 627 del 1978.
La rilevante attività istituzionale esercitata dalla Guardia di finanza ha trovato un importante riconoscimento con la stipula, nell'ottobre 1997, di una intesa tra il Comando generale ed il WWF, con cui sono stati individuati numerosi punti di sinergia operativa e di principio nel settore della prevenzione e repressione dei reati in materia ambientale.
Le due istituzioni, dicevo, hanno convenuto nell'individuare punti di sinergia operativa e di principio nel settore della prevenzione e repressione dei reati in materia ambientale, nonché nel settore della operatività di protezione civile in senso lato in aree naturali, connessi ad illeciti di tipo economico e finanziario, con particolare riferimento a gravi violazioni nel settore degli inquinamenti e del traffico dei rifiuti.
L'impegno profuso dalla Guardia di finanza nell'attività di polizia ambientale è testimoniato dai rilevanti risultati di servizio conseguiti nel corso del 1999 e nei primi otto mesi del 2000, che abbiamo cercato di compendiare negli schemi di cui agli allegati A e B del materiale distribuito. Al riguardo tengo soprattutto a sottolineare, per il legittimo orgoglio che mi deriva dallo svolgere le funzioni di capo di stato maggiore di questo comando regionale, come nei periodi sopra indicati il Corpo abbia tenuto in grande evidenza questo


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settore, tanto da poter dimostrare come l'intervento regionale per quanto riguarda le violazioni riscontrate sia risultato pari a circa il 21 per cento del totale nazionale. Aggiungo che per determinati settori, ad esempio gli oli combustibili, i saponi, i solventi ed i diluenti per vernici, gli accertamenti sono stati fatti solo dai reparti siciliani della Guardia di finanza; ovviamente i dati si riferiscono ad attività operativa svolta dal Corpo e non anche da tutte le forze di polizia.
Recentemente, come ricordava il signor procuratore della Repubblica di Palermo, il dottor Grasso, il Corpo ha messo a segno due importanti operazioni nel campo dello smaltimento dei rifiuti solido urbani in zona Pollina ed in un'altra zona di particolare interesse siciliana, che è la parte occidentale del trapanese. Al termine di queste due operazioni, che abbiamo denominato ONIS II e TRASH, il procuratore aggiunto di Palermo, Guido Lo Forte, ebbe a dichiarare che «il modello di sviluppo mafioso determina danni gravissimi al territorio; dalle indagini ciò è emerso con chiarezza. Una consulenza tecnica ha dimostrato che questi fatti hanno determinato danni irreversibili come l'inquinamento delle falde acquifere e il rischio di crolli o frane. Tutto si è potuto verificare grazie alle relazioni esterne, collegate con gli amministratori locali, che Cosa nostra riesce ad intrattenere, in particolare con le zone delle Madonie, la cui cosca mafiosa rappresenta ancora una delle roccaforti più solide».
L'impegno del Corpo, come è noto, non si ferma ad un'attività di carattere squisitamente di polizia giudiziaria, con l'autorità giudiziaria, ma va oltre. Questa è ciò che noi chiamiamo una prospettiva, un nuovo orizzonte su cui ci stiamo avviando da circa un paio d'anni per effetto di una circolare e di un gruppo che sta operando in ambito del ministero. Mi riferisco alla direttiva del 20 febbraio 1998 con cui il ministro delle finanze ha affidato ad un gruppo di ispettori del SECIT l'incarico di condurre una «analisi delle implicazioni patrimoniali e tributarie della criminalità di tipo mafioso dei soggetti indagati, nonché dei comportamenti degli uffici finanziari».
In buona sostanza - e per concludere, avendo credo esaurito il tempo a disposizione - stiamo svolgendo una approfondita indagine, con un nucleo di appartenenti alla Guardia di finanza che opera nell'ambito del SECIT e per effetto di una apposita circolare emanata dal nostro comando generale recependo la già ricordata direttiva; stiamo svolgendo, dicevo, un'analisi delle implicazioni patrimoniali e tributarie nei confronti di soggetti caratterizzati in quanto operano in questo settore, nei confronti dei quali stiamo anche svolgendo un'attività di verifica fiscale generale che sta dando risultati che ritengo assolutamente confortanti.

GIACOMO VENEZIA, Direttore della divisione anticrimine della questura di Palermo. Buonasera a tutti. Porgo il saluto mio personale e quello del dottor Pappalardo al presidente ed ai componenti della Commissione, nonché a tutti i convenuti e passo subito ad trattare il tema.
Nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa, l'emergenza rifiuti costituisce terreno di coltura dell'ambiente che rappresenta un affare molto redditizio ed una delle principali cause di degrado ambientale.


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È orami noto ed acquisito, in atti giudiziari e delle Commissioni parlamentari d'inchiesta, che la raccolta e lo smaltimento clandestino dei rifiuti, sia urbani che di origine industriale, rappresenta uno dei settori di primario interesse per la criminalità organizzata, perché assicura altissimi profitti, a fronte di costi modesti e di rischi limitati. Infatti la strategia di queste organizzazioni tende sempre più a coniugare i propri interessi illegali con i settori leciti più disparati per diversificare i campi d'investimento e d'introito ed occultare sempre meglio i beni derivanti dal sistema illegale. In tale contesto, l'infiltrazione della malavita nelle varie fasi relative al ciclo dei rifiuti rappresenta un allarme reale.
Queste organizzazioni, che fanno del controllo del territorio il concetto base della loro struttura, si sono inserite in tutti i vari momenti: dalla raccolta dei rifiuti attraverso il condizionamento degli appalti, al trasporto ed allo stoccaggio in discariche abusive; per capire la portata di tale fenomeno e dei suoi interessi connessi occorre pensare che i profitti di queste attività illecite possono essere paragonati ai fatturati dei grandi paesi industrializzati.
L'illecita attività condotta nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti sia urbani che di origine industriale, costituisce, per queste organizzazioni, un nuovo settore di interesse anche in relazione a possibili attività di riciclaggio del denaro ed alla acquisizione, apparentemente legale, di nuovi settori economici. In tal modo l'emergenza rifiuti ha funzionato da vero e proprio stimolo per la nuova criminalità organizzata, che sotto «il pelo dell'acqua» è diventata imprenditrice.
In questi ultimi decenni, in un progressivo crescendo, tali organizzazioni hanno mutato la loro fisionomia passando da tipologie comportamentali tipicamente rurali a vere e proprie strategie d'impresa; in modo strisciante sono riuscite ad insinuarsi nella trama economica del paese.
Nel settore dello smaltimento dei rifiuti, tale excursus repentino ha varie ragioni pratiche che poggiano su deficit strutturali. I rifiuti, secondo le normative vigenti, andrebbero raccolti in modo «intelligente», dopo di che, una volta avviati al processo di selezione, riciclati o reimpiegati; solo una minima parte, cioè quella non adatta al reinserimento nel circuito industriale, andrebbe smaltita in discarica. In realtà tutto questo non accade. Si ricicla, infatti, solo la minima parte del totale prodotto, con il risultato di privilegiare il sistema delle discariche. In tale contesto le carenze infrastrutturali degli impianti di smaltimento, tipiche, ad esempio, di talune aree del Mezzogiorno, hanno finito di fatto per rappresentare le condizioni più favorevoli per l'azione della criminalità organizzata.
In questo particolare quadro, gli appalti indetti dagli enti pubblici locali si sono rivelati un autentico affare. Laddove numerose amministrazioni locali, mediante le previste gare, hanno affidato la gestione dello smaltimento dei loro rifiuti a ditte private, sono state accertate numerose violazioni penali e di carattere amministrativo nonché collegamenti con varie consorterie malavitose.
Queste organizzazioni, quasi sempre di stampo mafioso, hanno ben chiaro il concetto di «controllo del territorio» (un concetto che noi forze di polizia usiamo spesso) e, soprattutto nel meridione


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d'Italia, agiscono con la forza intimidatrice facendo sentire la loro influenza in seno alle pubbliche amministrazioni. Tale influenza trova riscontro nelle cosiddette aree a rischio - Calabria, Campania, Sicilia, Puglia e Basilicata - dove, talvolta, è alla base dello scioglimento di consigli comunali.
In queste regioni, ove non vi è, come detto, un'adeguata «capacità di smaltimento» (per mancanza di impianti), viene registrato, altresì, un costante flusso di rifiuti provenienti da altre zone del territorio nazionale, che in loco, trovano il loro punto d'arrivo dando vita a veri e propri casi di emergenza ambientale e sanitaria.
I dati emersi da uno studio commissionato dal Ministero dell'ambiente, al fine di monitorare le dimensioni del fenomeno, descrivono una realtà dove già agli inizi degli anni novanta in quelle cinque regioni si concentra, su base nazionale, solo il 18 per cento degli impianti di smaltimento autorizzati, a fronte del 61 per cento di quelli non autorizzati.
La Campania è la regione maggiormente esposta ai fenomeni di criminalità ambientale con livelli di illiceità che oscillano tra il 75 per cento e l'80 per cento. Rappresenta l'area ove è ubicato il maggior numero di impianti illegali e dove le attività illecite connesse allo smaltimento dei rifiuti hanno assunto contorni sempre più preoccupanti.
Alcune indagini giudiziarie hanno evidenziato che le organizzazioni criminali hanno esteso il loro raggio d'azione anche ad alcuni traffici internazionali, tra i quali quello dei rottami ferrosi contaminati radioattivamente provenienti dai paesi dell'est e quello dello smaltimento illegale dei rifiuti radioattivi provenienti da altri paesi ed interrati abusivamente in altre zone del Mezzogiorno.
Da un punto di vista investigativo, nella provincia di Palermo, ha operato dal giugno 1997 - in seno all'allora centro interprovinciale Criminalpol le cui competenze dallo scioglimento sono passate alle sezioni specializzate della squadra mobile sulla criminalità organizzata - un'unità specializzata che ha svolto una costante attività informativa ed investigativa. Tale unità condusse nel 1995 una interessante indagine, conseguente a dichiarazioni di un collaboratore di giustizia trapanese, che indicò in un palermitano il gestore di una grossa operazione di smaltimento clandestino di rifiuti tossici presso una cava abusiva sita in Montanaro (Torino) e segnalò l'interesse di tale palermitano - già nel 1991 - ad utilizzare grosse cave di tufo abbandonate, situate fra Trapani e Marsala, per lo scarico di materiale proveniente soprattutto dall'estero. Furono arrestate sette persone.
Nel 1996 venne condotta un'ulteriore indagine, successivamente archiviata, relativa a presunte irregolarità commesse nell'ambito della procedura di esproprio di un terreno destinato a discarica di rifiuti solidi urbani, presso il comune di Campofelice di Roccella. Altre operazioni di polizia giudiziaria sono già note. Altre risultanze investigative sono tuttora in corso sull'occultamento di rifiuti tossici presso comuni della provincia.


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Approfondimenti d'indagine riguardano, inoltre, il riciclaggio di scorie radioattive provenienti dai paesi dell'est Europa che vedrebbe effettuare alcune transazioni in Sicilia con la compiacenza se non con attiva intermediazione di alcune società siciliane.
Da quanto sopra esposto è lo stesso livello della minaccia che impone di superare l'approccio meramente occasionale ed episodico al crimine ambientale per ricondurre gli interventi di settore nel quadro di una integrata e diversificata attività di salvaguardia dell'ambiente e contemporanea tutela della sicurezza pubblica.
In questa ottica appare opportuno e fondamentale che tutte le informazioni necessarie ad una coordinata, quotidiana e diffusa opera di prevenzione vengano convogliate verso le autorità di pubblica sicurezza. Ciò renderà possibile individuare le direttrici per una rinnovata azione di contrasto che sappia coniugare visione strategica unitaria del fenomeno, efficienza e capacità d'intervento specializzato nei diversificati settori di rilievo per l'ambiente. Per conseguire queste finalità occorrerà perfezionare il coordinamento informativo ed operativo tra le varie strutture di polizia interessate.
Questo presuppone, preliminarmente, un completo e costante monitoraggio delle imprese ritenute «a rischio», o perché svolgono attività di smaltimento dei rifiuti, o perché producono o impiegano sostanze tossiche di difficile smaltimento, così da potere avviare una accorta pianificazione e programmazione degli interventi di controllo e di verifica ad impianti e ad attività sensibili sul piano ambientale.
Naturalmente le aggressioni al territorio e le devastazioni dell'ambiente non sono gli unici danni arrecati dallo sviluppo di attività illecite legate al ciclo dei rifiuti. Sono da considerare le infiltrazioni mafiose negli enti locali, grazie alle quali la mafia riesce ad imporre le sue scelte in campo urbanistico e nell'assegnazione degli appalti, riuscendo ad ottenere, corrompendo uomini politici ed amministratori pubblici, autorizzazioni illegittime per il controllo delle attività di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti.
Al riguardo occorre che venga promossa una particolare sensibilizzazione degli operatori di tutte le forze di polizia affinché, anche nel corso degli ordinari servizi di prevenzione e controllo del territorio ovvero di controllo sui flussi stradali, ferroviari, marittimi ed aerei, venga assicurata una continuativa azione di tutela dell'ambiente, così come devono essere sfruttati i margini investigativi che vanno oltre l'illecito ambientale e che coinvolgono contesti più ampi (quali la corruzione, la criminalità economica, il traffico internazionale di sostanze pericolose, eccetera).
A questo proposito da più parti si è proposto che alcuni dei reati in materia di rifiuti, dall'attuale regime contravvenzionale, vengano evoluti in delitti specifici per consentire, a livello di previsione edittale, l'adozione di efficaci mezzi invasivi, quali le intercettazioni ambientali, quelle telefoniche e, in alcuni casi, la mutuazione degli strumenti già sperimentati in altre materie quali gli acquisti simulati e le consegne controllate, attività investigativa che oggi già si svolge per quanto riguarda gli stupefacenti. L'intercettazione telefonica o ambientale si rivela, infatti, un indispensabile strumento investigativo per chiarire le complesse condotte che stanno dietro le illecite movimentazioni di rifiuti ed è idonea a costituire una prova


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processuale inattaccabile. Gli operatori disonesti che devono smaltire i rifiuti da un capo all'altro del paese, spesso in tempi strettissimi per sfuggire ai controlli, devono necessariamente servirsi di mezzi tecnici per la comunicazione.
È stata anche proposta la previsione di un articolo, tipo 416-quater del codice penale, specifico per questi gravi tipi di reati, che sia sussidiario alle già vigenti ipotesi dell'articolo 416-bis del codice penale.
Attualmente le strategie investigative d'intervento ritenute più appropriate per disarticolare presunti sodalizi criminali sono fondamentalmente tese a dimostrare l'esistenza di un rapporto associativo collegato alla perpetrazione di delitti quali la falsità ideologica, la truffa aggravata e il danneggiamento aggravato; reati, questi, che si incontrano nel percorso investigativo sul fenomeno in argomento.
I momenti della raccolta organica dei dati e del conseguente monitoraggio del fenomeno non possono non essere supportati dall'esperimento delle più tradizionali attività tipiche ed atipiche d'indagine, le sole, oggi, che possono garantire un risultato apprezzabile, se collocate in adeguati impianti repressivi.

GIULIO PATANÈ, Vicequestore di Catania. Desidero innanzitutto porgere il mio saluto personale e quello del questore di Catania, che per ragioni contingenti legate all'assenza del prefetto non è potuto intervenire. Mi scuso se quanto dirò sarà in parte ripetitivo di quanto già ascoltato, sia sotto l'aspetto tecnico sia sotto quello normativo, perché di fatto le carenze sono quelle che tutti i colleghi hanno individuato rispetto all'emergenza sotto gli aspetti, ripeto, normativo e delle metodiche, ma soprattutto sotto l'aspetto delle infiltrazioni dell'associazione mafiosa che di fatto ha preso e gestisce il grande affare dei rifiuti.
Lo smaltimento dei rifiuti ha da sempre rappresentato uno dei problemi più rilevanti sotto l'aspetto sociale ed ambientale. Tale problematica nel meridione e, in particolare nella nostra isola, ha raggiunto connotazioni allarmanti, laddove ha costituito il contesto ideale per lo sviluppo di interessi illegali legati appunto, alla gestione e allo smaltimento di prodotti.
Non vi è dubbio, infatti, che i territori afflitti dalla piaga della criminalità organizzata, debbono necessariamente subire tale nefasta presenza e considerare tale dato negativo quale elemento inficiante del proprio sviluppo economico. In ogni caso già dai primi anni novanta la criminalità di stampo mafioso e comunque le organizzazioni criminali di una certa valenza hanno sicuramente scoperto il grande affare dei rifiuti e, ritenendolo egualmente vantaggioso al pari dei traffici usuali in cui tali organizzazioni sono impegnate (traffico di armi e di stupefacenti, estorsioni ed usura), si sono inserite facilmente in tale settore che, tra l'altro, offre minori esposizioni al rischio di essere individuati e, comunque, è soggetto a sanzioni che nello specifico sono di fatto irrisorie.
Laddove le regole sono evanescenti perché rese tali dalla mancanza di controlli mirati e specialistici; ove le sanzioni compendiano per lo più reati contravvenzionali; ove vi è enorme difficoltà ad individuare rimedi consistenti ed immediati, poiché in presenza di


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emergenza sociale; ove l'emergenza conoscitiva ed informativa trova estrema difficoltà a diventare emergenza processuale, non vi è dubbio che nuovi e vecchi predatori fanno di tutto ciò terreno di facile conquista.
Lo stato di emergenza, tra l'altro, che affligge la nostra regione già da alcuni anni, e cui solo nei tempi attuali si sta cercando di porre rimedio, attraverso la gestione commissariale, ha reso più facile l'insorgenza di vere e proprie devianze in tale settore.
Da una breve disamina effettuata si può facilmente affermare che tutte le province della Sicilia orientale sono di fatto congestionate già di per sé per lo smaltimento quotidiano dei rifiuti solidi urbani, la cui modalità di gestione usuale è, peraltro, lo smaltimento in discarica. Tale modalità è stata individuata anche per lo smaltimento di rifiuti speciali e pericolosi. Unica provincia in cui risultano in atto operanti ben 73 discariche, oltre a due ditte che si occupano dello smaltimento dei rifiuti speciali, è Messina, mentre nelle altre province risultano operare un numero ben ridotto di discariche di rifiuti solidi urbani, cinque a Ragusa, meno di una decina ad Enna. La provincia di Siracusa ha di fatto in attività ben dodici discariche di rifiuti solidi urbani, tre di discariche relative alla categoria A e cinque alla categoria B. Anche la provincia di Catania ha un numero esiguo di discariche perché di recente ne sono state dichiarate chiuse ben cinque per inidoneità delle stesse. Per lo più tali impianti sono gestiti prevalentemente da terzi ed in maniera esclusiva da privati ove si tratta di smaltimento e raccolta di rifiuti speciali. Spesso le ditte che hanno in gestione le discariche si occupano anche del trasporto. In talune province, come ad esempio a Siracusa, sono poche le ditte operanti nel settore e comunque agiscono in regime di monopolio.
La capienza ridotta degli impianti di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e di rifiuti speciali, gli alti costi previsti per il trasporto e lo smaltimento degli stessi, ha fatto sì che proliferasse il fenomeno delle discariche abusive e, comunque, l'utilizzo delle discariche attive abilitate per lo smaltimento dei rifiuti non ad esse attinenti. Per tali motivi le organizzazioni criminali si sarebbero inserite in tale settore per l'alta redditività che lo stesso offre, creando per l'occasione nuove imprese specializzate nello smaltimento che, attraverso una facciata di apparente legalità, utilizzando anche prestanomi, sono in grado di aggiudicarsi gli appalti relativi. Si assiste anche all'inserimento dell'organizzazione delinquenziale nelle aziende già esistenti, in cui i titolari sono costretti, con i metodi di sempre, a cederne di fatto la gestione.
Gli ingenti guadagni che tale settore offre alle organizzazioni delinquenziali sono realizzabili con le seguenti modalità: in alcuni casi, grazie anche alla connivenza di alcuni amministratori di enti locali, agiscono in regime di monopolio nella gestione dell'appalto dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani; le imprese, peraltro, approfittando di una mancanza reale di controllo, tramite una predisposta falsa certificazione, di fatto trattano i rifiuti speciali e tossici nocivi alla stessa stregua dei rifiuti solidi urbani, utilizzando le discariche abusive, lucrando, di fatto la notevole differenza di prezzo prevista per le diverse tipologie; spesso tali ditte smaltiscono, in maniera conforme alla normativa, dei rifiuti solidi urbani fuori


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dalla Sicilia e dalla Calabria, in appositi impianti regolarmente autorizzati e ciò al solo scopo di poter trasportare, nei viaggi di ritorno, notevoli quantità di rifiuti a rischio per lo smaltimento abusivo.
Tali affermazioni sono chiaramente il frutto di un riscontro informativo che, solo in alcuni casi, ha fornito lo spunto per un'attività processuale che in atto esiste al vaglio della competente autorità giudiziaria per quanto riguarda infiltrazioni di organizzazioni criminali nella gestione dei rifiuti solidi urbani. Tali attività processuali, originate da investigazioni messe in atto dalle squadre mobili e dalla DIGOS delle questure di Messina e Siracusa, allo stato sono coperte dal segreto istruttorio. Altre attività investigative risultano essere effettuate anche da altri organismi, quali la DIA; attività peraltro volte a dimostrare soprattutto connessioni sanzionabili per il reato previsto e punito dall'articolo 416-bis del codice penale che vedono coinvolte alcune ditte operanti nelle province di Catania, Messina ed Enna, società riconducibili direttamente o indirettamente ad organizzazioni criminali presenti in quelle province.
Alla luce di quanto sopra riferito, nell'assicurare un sempre maggiore impegno per quanto attiene alle risorse operative e investigative della polizia di Stato, appare opportuno richiamare l'attenzione sulla inefficienza normativa che disciplina tale delicata problematica, al fine di porre un freno al dilagare del fenomeno sopra evidenziato che, tra l'altro, costituisce un grave e concreto pericolo per l'ambiente e la salute pubblica. Sanzioni per lo più inefficaci e comunque ricadenti nel reato contravvenzionale con l'effetto di scarsa deterrenza rispetto alla volontà criminale. Di estrema difficoltà la dimostrazione processuale della connivenza dei titolari delle imprese con l'organizzazione criminale esistente nel territorio, ai fini di colpire entrambi per il reato più grave previsto dall'articolo 416-bis. Diversi i controlli previsti (ASL, provincia, polizia municipale, eccetera), ma di fatto pochi e carenti nello specifico, per una mancanza anche di specializzazione dei controllori e, comunque, per l'assenza di un vero e proprio coordinamento degli stessi.
È auspicabile, pertanto, che vi sia un circuito di osmosi informativa tra i vari organismi preposti ad arginare tale fenomenologia criminale, riservando un posto di primo piano agli organismi specialisti esistenti, quali il NOE ed i nuclei speciali appartenenti alla Guardia di finanza e al Corpo forestale, possibilmente rafforzati nel numero e potenziati da strumenti tecnici e mezzi tecnologicamente all'avanguardia, tali da poter monitorare, in ogni sua fase, tutto il ciclo dello smaltimento dei rifiuti, le attinenze in ogni settore delle ditte appaltatrici, la valenza dei luoghi destinati allo smaltimento, l'adeguatezza del riscontro finanziario alle forniture contrattuali ed infine, rendere attuabile l'individuazione dei flussi finanziari che sono di fatto all'origine degli interessi della criminalità organizzata presente in tale settore.

GIUSEPPE VENUTI, Direttore marittimo di Catania. Dico subito che siccome come capitanerie di porto trattiamo una materia limitata


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all'ambiente marittimo ed al mare territoriale non voglio tediare oltre chi ci ascolta e mi limiterò pertanto a parlare soltanto dell'ambiente che controlliamo, vale a dire il trasporto marittimo dei rifiuti, premesso che il quadro normativo relativo all'emergenza rifiuti è stato già ampiamente trattato da chi mi ha preceduto.
Il trasporto dei rifiuti pericolosi è soggetto esclusivamente alle procedure amministrative per l'imbarco e lo sbarco dettate dal decreto ministeriale 4 maggio 1995, ferma restando l'osservanza delle norme tecniche particolari. Il trasporto dei rifiuti non pericolosi è disciplinato invece dall'articolo 4 e seguenti del decreto ministeriale 31 ottobre 1991. Il trasporto degli stessi è pertanto soggetto ad autorizzazione da parte dell'autorità marittima del porto di imbarco, tramite presentazione di apposita istanza.
All'istanza dovranno essere allegati: una dichiarazione di non pericolosità, sottoscritta ai termini di legge, una copia del formulario di identificazione dei rifiuti di cui all'articolo 15 del decreto legislativo n. 22 del 1997, ormai conosciuto come «decreto Ronchi», tenuto conto che il vigente codice IMDG considera le materie solide pericolose trasportate alle rinfusa in veicoli stradali, carri ferroviari, container e cisterne portabili come imballate in colli e si ritiene che il trasporto di rifiuti non pericolosi possa essere effettuato alla rinfusa, anche sui mezzi sopracitati. È il caso di precisare che il trasporto su autoveicoli può essere effettuato solo a condizione che la nave sia munita dell'attestazione e che le caratteristiche dei veicoli impiegati siano conformi a quanto indicato nella stessa.
Tutto ciò premesso, passo a riassumere ciò che accade nell'ambito della direzione marittima di Catania. I porti più interessati sono Milazzo e Messina; il primo solo in piccola parte perché vi affluiscono soltanto i rifiuti speciali provenienti dal presidio ospedaliero di Lipari e dai presidi medici delle altre isole, nonché i rifiuti solidi provenienti dalle navi, assimilati ai rifiuti solidi urbani. Menzione più rilevante merita la capitaneria di porto di Messina, cioè lo stretto di Messina; questa capitaneria è maggiormente interessata alla problematica e recentemente ha indetto una conferenza dei servizi allo scopo di esaminare le modalità di espletamento del servizio di trasporto di merci pericolose e rifiuti pericolosi nello stretto. Preliminarmente è stata riscontrata la non omogenea e puntuale applicazione delle clausole inserite nelle autorizzazioni rilasciate alle navi traghetto operanti nello stretto da parte dei comandanti delle navi per quanto attiene la disciplina dei rifiuti pericolosi che sono assimilati dal decreto legislativo n. 22 del 1997 alle merci pericolose.
Il numero delle segnalazioni dei mezzi con rifiuti pericolosi risulta infatti incompatibile con le previsioni di tale tipo di traffico desumibile dalle attività di smaltimento di rifiuti pericolosi in transito tra Sicilia e continente. I comandanti delle navi traghetto manifestano difficoltà incontrate nell'attuazione delle prescrizioni imposte dalle autorizzazioni, discendenti dalla mancata conoscenza del carico a bordo degli autoveicoli trasportati; ciò in quanto né in sede di rilascio del biglietto di imbarco, né in sede di operazioni di imbarco dei mezzi vengono fornite dagli autotrasportatori informazioni sulla natura del carico e, in particolare nel caso di rifiuti, del tipo trasportato.


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È stata sollecitata l'attenzione dei comandanti sulla necessità che per tutti i veicoli recanti l'identificazione del trasporto dei rifiuti attraverso l'apposita segnaletica (lettera R sul fondo giallo), il bordo provveda ad acquisire copia del formulario di identificazione del rifiuto. Relativamente agli autoveicoli non immediatamente riconoscibili quali destinati al trasporto di merci pericolose i comandanti devono acquisire informazioni circa la natura del carico tramite i servizi di biglietteria o altri servizi all'uopo apprestati dalle società armatrici. Dette informazioni dovranno essere disponibili sia per le dirette verifiche che i comandanti intendessero autonomamente effettuare sia per il personale della capitaneria incaricato dei controlli sull'osservanza delle disposizioni in questione.
I comandanti hanno assicurato la piena adesione alle direttive impartite. Alla luce di queste considerazioni la capitaneria di porto di Messina, in occasione di ricezione di istanze tendenti ad ottenere l'autorizzazione per l'imbarco ed il trasporto sulle navi di veicoli stradali e/o ferroviari contenenti merci e rifiuti pericolosi, autorizza l'imbarco ed il trasporto nei limiti ed alle condizioni delle attestazioni di idoneità al trasporto rilasciate dal Registro italiano navale (RINA), nonché con le seguenti prescrizioni: condizioni meteomarine favorevoli; la nave deve essere dotata dei mezzi di protezione individuali e dei presidi medico-sanitari prescritti; le operazioni di imbarco debbono avvenire sotto il controllo del personale della capitaneria di porto, oltre ad ulteriori condizioni specifiche per diminuire il grado di pericolosità nelle operazioni di imbarco.
Al fine di incrementare il servizio di vigilanza sul trasporto di merci e rifiuti pericolosi è stata istituita una pattuglia composta da militari, con il compito di ispezionare a campione le navi traghetto in servizio sullo stretto, al fine di verificare l'osservanza della normativa sul trasporto stesso.
Aggiungo qualche considerazione conclusiva. La crisi ecologica ha imposto alle capitanerie di porto un ruolo determinante nel monitorare i cambiamenti e pubblicare i dati relativi alla qualità dell'ambiente ed all'uso delle risorse, attuando una politica di prevenzione. Siffatte esigenze, imposte dalle leggi di mercato e da una agguerrita politica di scambi, necessitano di essere guidate da severe norme internazionali, che devono essere applicate dalla maggior parte degli Stati, con criteri uniformi che bandiscano accomodamenti di tipo protezionistico. A tale proposito il mare, quale ambito privilegiato che più di ogni altro sin dall'antichità è il protagonista per eccellenza del trasporto, costituisce il banco di prova di ogni seria politica mirante alla intermodalità del traffico nel rispetto dell'intero ecosistema. Sicché le norme sul trasporto marittimo assumono una valenza tale da rappresentare un punto di riferimento determinante sia per la disciplina degli altri segmenti del trasporto sia per la tutela dell'ambiente.
La prevenzione del danno ambientale rappresenta quindi l'unica strada percorribile per assicurare una concreta difesa dell'ambiente. A tal fine le misure da predisporre con urgenza e con la più larga partecipazione degli Stati possono così essere sintetizzate: monitoraggio continuo ed in tempi reali del traffico delle merci pericolose dall'imbarco allo sbarco; individuazione di rotte che assicurino in


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caso di sinistri il minor nocumento possibile alle popolazioni rivierasche; sorveglianza più incisiva dei bacini ristretti ad alto volume di traffico, come il Mediterraneo; individuazione di norme più severe sulla costruzione degli scafi e la qualificazione degli equipaggi; revisione del principio di riserva delle norme nazionali in materia di navigazione domestica, che rende inapplicabili le convenzioni internazionali (ad esempio, la nave italiana che effettua viaggi da Trieste a Cagliari non è soggetta alla normativa internazionale, mentre lo è quella che effettua il percorso Livorno-Corsica); installazione di reti di controllo del traffico nei porti ed in prossimità degli stessi, congiuntamente alla realizzazione di aree e strutture portuali in grado di consentire l'intermodalità del trasporto e lo svolgimento, in condizioni di sicurezza, delle operazioni di imbarco, sbarco e movimentazione di merci pericolose.
Solo attuando tali misure, che si incentrano su una globale rivisitazione dei principi che reggono i rapporti tra gli Stati, è possibile che il trasporto e la difesa dell'ambiente procedano di pari passo sulla strada del progresso e del futuro dell'umanità, il cui tracciato impone una visione non più antropocentrica ma biocentrica dello sviluppo.

GIUSEPPE ZACCARIA, Comandante in seconda della capitaneria di porto di Palermo. Porto il saluto dell'ammiraglio Scarpati, il quale non ha potuto essere presente. Il mio intervento sarà di semplice completamento di quello svolto dal comandante Venuti in relazione a quelli che sono i compiti e le attività della capitaneria di porto di Palermo in particolare e dalla direzione marittima sempre di Palermo.
La nostra è un'attività che riguarda essenzialmente il controllo della costa e del mare, sotto l'aspetto tecnico-amministrativo e di polizia giudiziaria. Come premessa, debbo dire che i problemi sociali ed ambientali connessi alla produzione ed allo smaltimento dei rifiuti hanno raggiunto negli ultimi anni livelli crescenti di allarme, stante l'aumento esponenziale sia in campo civile che industriale della produzione di rifiuti prodotti, connessa, altresì, alla bassa percentuale di rifiuti riciclati o anche solo smaltiti correttamente. Il prezzo che l'intera collettività ha pagato e paga in termini di dissesto del territorio, di costi economici e sociali, di rischio sanitario ed ambientale e di pubblica sicurezza sono, purtroppo, divenuti cronaca quotidiana. A ciò si aggiunga che la criminalità organizzata ha ampliato i propri orizzonti assumendo un ruolo diretto nell'esercizio delle attività d'impresa nel settore della gestione dei rifiuti.
Si pone, quindi, come necessario, oggi più che mai, uno sforzo comune di tutti gli operatori del settore (pubblica amministrazione, magistratura, organi di polizia giudiziaria e cittadini) per tentare di risolvere quest'emergenza quotidiana. Ancor più se si considera che in questo contesto il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, segna una tappa storica dell'evoluzione della disciplina di settore, poiché spezza la logica dell'emergenza che aveva caratterizzato l'azione dei pubblici poteri ed affronta la questione della gestione dei rifiuti con una precisa strategia organica d'intervento, non più incentrata sulla fase di smaltimento, ma sulla prevenzione del fenomeno, sul recupero


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dei rifiuti attraverso apposite tecnologie, nonché sulla responsabilizzazione dei soggetti pubblici e privati. Nel suo dettato normativo tale decreto richiama a vario titolo la competenza del Corpo delle capitanerie di porto la cui attività si estende essenzialmente, come ho detto, sul controllo e di polizia giudiziaria tecnico-amministrativa della costa e del mare.
Per quanto riguarda i compiti del corpo della capitaneria di Palermo circa il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti in mare, l'articolo 18, comma 2, punto p-bis), prevedendo l'autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti nelle acque marine in conformità alle disposizioni stabilite dalle norme comunitarie e dalle convenzioni internazionali vigenti in materia, chiarisce che tale atto amministrativo è rilasciato dal ministro dell'ambiente, sentito il ministro delle politiche agricole, su proposta dell'autorità marittima nella cui zona di competenza si trova il porto più vicino al luogo dove deve essere effettuato lo smaltimento ovvero si trova il porto da cui parte la nave con il carico di rifiuti da smaltire. Ed è questa l'unica funzione di gestione diretta riservata allo Stato, nel riparto di competenze previste dal decreto legislativo n. 22 del 1997, a cui generalmente è riservata una funzione di indirizzo e coordinamento.
In materia di trasporto marittimo dei rifiuti, il sopracitato decreto richiama in maniera implicita la competenza delle capitanerie di porto, innestandosi su una preesistente normativa nazionale ed internazionale. In tal senso sono numerosi i casi di interconnessione tra il decreto in parola e la preesistente normativa di settore nel campo dei rifiuti, prodotti a bordo delle navi o semplicemente trasportati. Infatti il «decreto Ronchi», nelle more dell'emanazione di specifiche norme regolamentari e tecniche, assimila i rifiuti pericolosi alle merci pericolose, prevedendo all'uopo una precisa autorizzazione per l'imbarco e lo sbarco. Per il trasporto di rifiuti via mare si applica quindi la medesima disciplina del trasporto marittimo di merci pericolose. Peraltro, lo stesso «decreto Ronchi» incide sulla stessa definizione di rifiuti pericolosi, abrogando esplicitamente, all'articolo 56, il decreto del Presidente della Repubblica del 10 settembre 1982, n. 15.
Ne consegue che l'elencazione dei rifiuti considerati pericolosi si ricava dall'esame delle seguenti normative: decreto del Presidente della Repubblica del 9 maggio 1968, n. 1008, che prevede 9 classi di identificazione; decreto legislativo del 5 febbraio 1997, n. 22 (cosiddetto «decreto Ronchi»), che elenca i rifiuti pericolosi nell'allegato D. Ovviamente sarà diversa la disciplina del trasporto marittimo a seconda che il rifiuto sia considerato pericoloso o meno.
Per i rifiuti pericolosi si applicano due decreti ministeriali. Il primo, del 31 ottobre 1991, n. 459, avente per oggetto: «Trasporto marittimo di merci pericolose in colli», consente la possibilità di trasportare merci pericolose classificate dall'International Maritime Good Dangerous Code (IMDG), secondo le norme di imballaggio e stivaggio previste dallo stesso. In tali casi chi intende imbarcare rifiuti deve presentare domanda al capo del compartimento marittimo nella cui circoscrizione è ubicato il porto d'imbarco. Tale domanda deve essere corredata da una dichiarazione in duplice esemplare, di cui una in lingua inglese, nella quale i rifiuti sono indicati con


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riferimento alla classificazione di pericolosità. Inoltre, nella dichiarazione deve risultare che i rifiuti sono imballati, contrassegnati ed etichettati correttamente.
Il secondo decreto del 4 maggio 1995, recante «Procedure per il rilascio dell'autorizzazione all'imbarco e trasporto marittimo o del nullaosta nello sbarco delle merci pericolose», stabilisce, come anche riportato nell'articolo 4 dell'ordinanza n. 70 del 1997 della capitaneria di porto di Palermo, che l'armatore o il raccomandatario marittimo della nave, con almeno 48 ore di anticipo sul giorno d'arrivo della stessa deve presentare istanza in duplice copia, di cui una in bollo all'Autorità marittima con allegata una copia del manifesto di carico della merce pericolosa in transito, nel quale deve essere riportato, tra l'altro, il nome tecnico della merce, il numero ONU, il codice IMDG, il numero dei colli, eccetera. Copia del manifesto di carico deve essere consegnata al chimico del porto. L'autorità marittima ricevuta la documentazione di cui sopra, oltre a quella attestante sia l'idoneità della nave che del veicolo al trasporto di merci pericolose, concede l'autorizzazione all'imbarco o il nulla-osta allo sbarco.
Invece, per i rifiuti non pericolosi si applica - se trasportati in colli - il decreto ministeriale n. 459 del 1991, in base al quale chi intende imbarcare o sbarcare rifiuti deve presentare domanda all'autorità marittima. La procedura è analoga a quella vista per i rifiuti pericolosi. Occorre in più presentare una specifica dichiarazione di un chimico iscritto all'albo professionale che attesti la non pericolosità dei rifiuti oltre il rispetto delle condizioni previste per il trasporto, imballaggio ed etichettatura. È necessaria inoltre copia del formulario d'identificazione dei rifiuti di cui all'articolo 15 del «decreto Ronchi» (ecco un'altra novità). Se, invece, sono trasportati alla rinfusa si applica il decreto ministeriale del 22 luglio 1991, che disciplina il trasporto alla rinfusa di merci non pericolose. L'ente tecnico rilascia una dichiarazione di rispondenza nel caso venga richiesto il trasporto delle materie elencate nelle appendici A oppure C. Viene rilasciata, invece, un'attestazione di idoneità nel caso in cui venga richiesto il trasporto di materie elencate nell'appendice B. L'autorità marittima, sulla base di tale documentazione allegata all'istanza, rilascia la prevista autorizzazione.
Per quanto riguarda le convenzioni internazionali, se il «decreto Ronchi», come già visto, ha regolamentato in modo nuovo l'approccio della società industrializzata con la problematica dei rifiuti, le normative internazionali avevano già dettato discipline specifiche di tutela dai rifiuti versati in mare. E ciò, anche per quanto riguarda la gestione dei rifiuti prodotti a bordo delle navi. In particolare la convenzione internazionale Marpol 73/78 aveva già disciplinato l'attività di smaltimento di tale tipo di rifiuti in ben tre annessi, dedicati ognuno ad una particolare categoria di rifiuto. Il primo di tali annessi, prevede il divieto assoluto di discarica di prodotti oleosi derivanti dal lavaggio delle cisterne adibite al carico, ad eccezione delle acque provenienti da una cisterna del carico lavata con il greggio, risciacquata con acqua ed il cui contenuto oleoso non superi le 15 ppm. Tali prodotti vengono tenuti a bordo, anche per motivi di stabilità della nave, in appositi impianti, la cui gestione e


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costruzione è stata affidata in Italia, dalla legge 28 febbraio 1992, n. 220, ad un apposito consorzio obbligatorio, che si occupa, altresì, del riciclaggio e del trattamento delle morchie e delle acque di zavorra. Gli altri due annessi trattano rispettivamente delle acque di scarico delle navi (l'annesso IV) intendendosi per tali le acque provenienti da wc, lavabi e condotte di scarico nei locali riservati a cure mediche, acque di drenaggio provenienti dagli spazi utilizzati per il trasporto di animali viventi o infine altre acque di rifiuto qualora siano mescolate alle precedenti; e dei rifiuti delle navi (annesso V) intendendosi come tali qualunque specie di viveri, di rifiuti domestici ed operativi ad eccezione del pesce fresco, che si formano durante l'uso normale della nave. In entrambi i casi i paesi firmatari di tale convenzione si sono impegnati a provvedere all'installazione nei porti di impianti idonei a smaltire questo tipo di rifiuti.
Per adeguarsi alla normativa internazionale sui rifiuti e coordinarla con il «decreto Ronchi», la capitaneria di porto di Palermo ha emesso una specifica ordinanza, la n. 138 del 1997, che detta norme per la prevenzione dell'inquinamento causato dai rifiuti originati dalle navi italiane e straniere che navighino o stazionino nelle acque territoriali ed interne del circondario marittimo di Palermo, nonché quelle che siano ormeggiate in porti o sorgitori delle stesso circondario. L'ordinanza prevede, in accordo con la Marpol 73/78, in primo luogo, il divieto per le navi di procedere alla discarica in mare e nelle aree demaniali marittime di giurisdizione di rifiuti di qualunque natura e secondariamente il divieto di procedere alla loro eliminazione mediante incenerimento. Le navi, al contrario, potranno procedere al trattamento dei rifiuti, al fine di ridurne il volume, mediante compattatore o frantumatore, a patto che tali impianti siano riconosciuti ufficialmente idonei dal RINA per le navi italiane e dall'amministrazione di bandiera per quelle straniere.
Le navi, ai sensi dell'articolo 6 dell'ordinanza, devono conferire i rifiuti entro 24 ore dal loro arrivo in porto o in rada, se sono trascorse meno di 24 ore dall'ultimo documentato conferimento, ed immediatamente dopo l'arrivo, se tale conferimento è posteriore alle 24 ore. Tale raccolta a bordo dovrà essere effettuata in modo differenziato suddividendo i rifiuti per tipologie individuate dalla stessa ordinanza (plastica, metalli, carta, vetro, rifiuti alimentari, batterie esaurite, batterie al piombo, rifiuti provenienti da strutture sanitarie, rifiuti pericolosi) e le relative operazioni di conferimento dovranno essere registrate. Il servizio di raccolta, ai sensi dell'articolo 11 dell'ordinanza, è affidato in gestione ad una ditta specializzata la quale utilizza mezzi nautici ed attrezzature dotate di accorgimenti ed arredi idonei ad impedire che, anche accidentalmente, i rifiuti finiscano in mare, o che possano esserci durante la sosta del mezzo in banchina esalazioni pericolose.
Un altro aspetto che viene curato dall'Autorità marittima nell'attività di tutela ambientale legata in senso più ampio ai rifiuti è quello di verificare il rispetto della normativa europea in materia di raccolta degli oli usati. Il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, ha dato attuazione infatti ad alcune direttive CEE relative, appunto, all'eliminazione degli oli usati. Tale normativa vieta, nell'articolo 3, qualunque scarico di tali oli nelle acque interne, marine e nelle


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canalizzazioni. Tali sostanze devono essere obbligatoriamente conferite, tramite apposita ditta concessionaria, al Consorzio nazionale oli usati, riportando in appositi registri le operazioni ed i quantitativi degli oli ceduti ed eliminati. Anche la capitaneria di porto di Palermo, con apposita ordinanza, la n. 6 del 1995, ha regolamentato tale attività di raccolta degli oli esausti prodotti a bordo di navi e natanti nazionali. Lo smaltimento deve avvenire utilizzando gli appositi contenitori, posizionati in ben 11 postazioni all'interno dell'ambito portuale, mentre è cura della ditta incaricata mantenere in efficienza i contenitori, assicurarne lo svuotamento con frequente periodicità, nonché effettuare svuotamenti straordinari a richiesta della stessa capitaneria di porto.
Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti sul demanio marittimo, il «decreto Ronchi» nel prevedere figure nuove di illeciti, non ha abrogato quelle figure di illecito che si concretizzano sulle aree demaniali, tenendo altresì conto che lo stesso decreto legislativo qualifica, all'articolo 7, punto d), i rifiuti giacenti su area demaniale marittima come rifiuti urbani. Il comando generale ha istituito dei nuclei difesa ambiente, purtroppo sono gli stessi che fanno anche la polizia demaniale, finalizzati alla particolare azione di controllo a tutela del mare e dell'ambiente più completo. L'esperienza maturata durante i controlli sulla costa del compartimento marittimo di Palermo - da Finale di Pollina a Balestrate compreso - ci porta ad affermare che le fattispecie di abusivismi realizzati più di frequente sono essenzialmente due, entrambe previste dall'articolo 14: l'abbandono dei rifiuti ed il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo, mentre è meno frequente riscontrare le altre due ipotesi previste dalla normativa, cioè a dire quella del deposito temporaneo e della realizzazione di una discarica abusiva.
Con il termine «abbandono di rifiuti», s'intende un'azione isolata operata in via autonoma senza alcun nesso di collegamento sistematico ripetitivo con altre azioni analoghe. Al contrario, con il concetto di «deposito incontrollato di rifiuti» s'intende sempre un'azione isolata, ma più impegnativa rispetto al semplice atto unico dell'abbandono e che è caratterizzata dalla presenza di rifiuti in un sito con pericolo per l'ambiente e dunque senza gli accorgimenti idonei al rito; tale attività comunque non ha ancora un nesso di collegamento sistematico ripetitivo in presenza del quale si ravviserebbe la realizzazione di discariche abusive. Infatti secondo la Corte di Cassazione (sentenza n.12753 del 28 dicembre 1994) la realizzazione di una «discarica abusiva» consiste nella destinazione ed allestimento a discarica di una data area con l'effettuazione di norma, delle opere a tal fine occorrenti: spianamento del terreno impiegato, apertura dei relativi accessi, sistemazione, perimetrazione, recinzione. Inoltre è necessaria anche l'attivazione di un'organizzazione di persone, cose e/o macchine diretta al funzionamento della discarica.
Il legislatore ha, poi, disciplinato in modo differenziato l'abbandono ed il deposito incontrollato di rifiuti, prevedendo sanzioni diverse a seconda che la fattispecie sia posta in essere dal privato cittadino o da titolari di enti o imprese, con riferimento, quindi, non al soggetto che materialmente compie l'atto, ma in riferimento all'imputabilità dello stesso. Nel primo caso la sanzione sarà solo


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amministrativa, mentre viene giudicato certamente più lesivo del bene giuridico «ambiente», e quindi sanzionato penalmente l'abbandono dei rifiuti compiuto da parte di un'impresa. All'atto della scoperta su area demaniale di una zona interessata da una delle ipotesi previste dal «decreto Ronchi», la capitaneria di porto, in qualità di organo di polizia giudiziaria, provvede innanzitutto a redigere apposita notizia di reato da inviare all'autorità giudiziaria per quelle ipotesi previste appunto come fattispecie penali e a redigere negli altri casi apposito verbale amministrativo che verrà trasmesso alla provincia, ente individuato competente, ai sensi dell'articolo 55, ai fini dell'erogazione delle sanzioni amministrative, tranne che per le ipotesi di cui all'articolo 50 comma 1 (abbandono o deposito incontrollato) la cui competenza è del comune.
Oltre a ciò la polizia giudiziaria conserva un potere di ordine immediato affinché le conseguenze antigiuridiche di quel comportamento vengano immediatamente rimosse. In altre parole, nell'immediatezza e flagranza del fatto, l'organo di vigilanza può comunque intimare legittimamente al soggetto responsabile l'immediata rimozione ed asporto dei rifiuti che stava in quel momento abbandonando o comunque depositando in modo incontrollato. La mancata osservanza di detto ordine integra senza dubbio la contravvenzione di cui all'articolo 650 del codice penale. Infine, contestualmente alle comunicazioni per l'irrogazione delle sanzioni siano esse penali che amministrative, occorre, con atto separato, informare il sindaco del luogo ove è ubicato il sito interessato dai rifiuti, che emetterà apposita ordinanza di rimozione a carico del contravventore in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali e personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. Infatti l'articolo 14 del decreto prevede l'obbligo a carico del soggetto autore del fatto di procedere alla rimozione, all'avvio al recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dei luoghi. In tal senso il sindaco dispone con l'ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
Vi è da aggiungere che in caso di omessa ottemperanza per l'ordinanza è prevista una sanzione penale dall'articolo 50, comma 2 (arresto fino ad un anno) per chi non esegue quanto stabilito in detta ordinanza ed inoltre con la sentenza di condanna (sia ordinaria che di patteggiamento) il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato all'esecuzione di quanto stabilito dall'ordinanza.
Tale potere di ordinanza non contrasta, peraltro, con la competenza della capitaneria di porto in materia di occupazione abusiva del demanio marittimo ex articolo 54 CN la quale ha l'obbligo sempre di ingiungere il contravventore di rimettere le cose in pristino stato. I due poteri (del sindaco e del comandante della capitaneria di porto) infatti, in quanto operanti su piani di interesse e per finalità diversi, possono venire a trovarsi in posizione concorrente, il che non significa che l'uno debba risultare eliso dall'altro (o a questo


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subordinato), ma che, rimanendo entrambi legittimamente esercitabili, sussiste la sola necessità di un loro coordinamento in sede esecutiva.
Per quanto riguarda l'attività della capitaneria di porto di Palermo nella tutela dell'ambiente, i risultati ottenuti nel periodo 1999 - settembre 2000 sono sicuramente soddisfacenti: controlli sul demanio 1364, denunce 95; ispezioni navi 163, controlli attività raccolta oli usati 62 e controlli attività raccolta batterie esauste 46. Ma al di là dei dati relativi ai controlli e denuncie fatte, più significativo può rilevarsi l'esame di uno «spaccato» dimostrativo del degrado di una parte del litorale palermitano che va da S. Erasmo ad Acqua dei Corsari, circa 7 chilometri, dove alcuni decenni fa venne aperta una piccola zona per la discarica pubblica da parte del comune di Palermo poi sfociata in una discarica abusiva lungo tutta la fascia in esame in una quantità di rifiuti provenienti dalla demolizione di costruzioni edilizie ma anche di ogni altro tipo di materiale, anche industriale, tale da ampliare il litorale in alcuni punti anche di circa 300 metri verso il mare ed elevandolo ad un'altezza anche di oltre 10 metri, con il conseguente gravissimo danno ambientale. Se una delle cause di tale scempio è da ricondursi alla carenza dei controlli, la causa più importante, a parere dello scrivente, e non è una scusante, è stata la mancanza di una politica ambientale che mirasse a tutelare la costa ed il patrimonio naturale, prevedendone la destinazione e gli strumenti amministrativi e finanziari per la loro realizzazione.
Oggi è una zona che, la beffa ed il danno, non è pienamente utilizzabile perché manca a mare una scogliera di massi che, se fosse stata fatta all'epoca, come base di sostegno della discarica, avrebbe reso più sicuro l'uso e la sua utilizzazione per scopi pubblici o di interesse collettivo. Gli interventi del personale della capitaneria di porto di Palermo, in modo incisivo hanno evitato l'ulteriore deturpamento di tale litorale, limitando le azioni di abusivismo certamente gestite dalla malavita palermitana, talvolta con grave pericolo per l'incolumità del personale operante. La maggiore attenzione alla tutela ambientale della costa da parte anche degli enti locali, successivamente ha portato in modo evidente una inversione di tendenza con la diminuzione delle discariche abusive; oggi resta comunque il problema del recupero che si potrà avere solo con la realizzazione di un piano da redigere di concerto con gli enti locali e regionali, nel quale venga previsto, tra l'altro, anche la destinazione all'uso.
La previsione nel «piano» oltre che del risanamento anche della utilizzazione da dare alla costa è importante perché non si può prescindere dalle opere esistenti. Infatti il litorale in esame è attraversato in due punti - località «Sperone» e località «Acqua dei Corsari» - dagli oleodotti dei rispettivi depositi combustibili, dell'AGIP e della ESSO che utilizzano le tubazioni per rifornirsi dal mare con le navi. Purtroppo in tempi diversi, in passato tali oleodotti sono stati causa di sversamenti accidentali di carburanti che se non hanno inquinato il mare per il pronto intervento del personale della capitaneria di porto e di quello dei depositi costieri, che hanno fatto intervenire subito ditte specializzate per il disinquinamento, non così


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è stato per la spiaggia, disinquinata dopo lunghe operazioni di disinquinamento. Tali eventi potrebbero però ripetersi perché accidentali e non prevedibili.
Vengo alle conclusioni. Spero di aver dato un contributo di chiarezza sui compiti delle Capitanerie di porto in merito allo smaltimento dei rifiuti alla luce della nuova normativa «decreto Ronchi» con un'analisi comparata di quella già esistente nazionale e delle convenzioni internazionali che riguardano la navigazione marittima riportando notizie tecniche su uno spaccato della situazione del litorale palermitano. Si è voluto ampliare così la capacità di comunicazione tra la pubblica amministrazione, gli operatori degli enti locali ed i privati interessati allo smaltimento dei rifiuti per evitare di rendere immune l'ecomafia.
Infine, e non è retorica, il Corpo delle capitanerie di porto, sempre sensibile alla tutela della costa e del mare, si pone, a conferma del suo impegno, come punto di riferimento del Ministero dell'ambiente, della regione e degli enti locali, con cui già collabora per l'esercizio dei controlli con i suoi uomini e mezzi, di concerto ove necessario con le altre forze di polizia, come già è stato fatto spesso in passato. Dobbiamo però essere messi in condizioni di farlo, aumentando il numero di uomini e mezzi, fermo restando che se l'azione di polizia certamente è un deterrente all'abusivismo, è necessario sviluppare una cultura della tutela dell'ambiente.

ANTONINO COLLETTI, Vicedirettore dell'Azienda foreste demaniali della regione siciliana. Sono l'ispettore regionale tecnico del Corpo forestale regionale e nella qualità di vicedirettore dell'Azienda foreste demaniali della regione siciliana, responsabile dei servizi tecnici ed amministrativi della stessa struttura, ricoprendo anche le qualifiche di ufficiale di polizia giudiziaria ed agente di pubblica sicurezza. Provengo dai ruoli del Corpo forestale dello Stato, transitato nel Corpo forestale della regione siciliana nel 1972 anno della sua costituzione.
Prima di dare alcune essenziali notizie sul tema specifico e sulle iniziative intraprese, voglio brevemente soffermarmi sulle peculiarità del Corpo forestale della regione siciliana e sull'attività che lo stesso svolge nell'ambito del settore forestale nell'isola.
Il Corpo forestale della regione siciliana nasce con legge regionale n. 24 del 1972, grazie alla facoltà concessa dallo statuto sull'autonomia regionale. Al Corpo forestale della regione siciliana vengono attribuite, sul territorio regionale, le stesse competenze e qualifiche giurisdizionali esercitate dal Corpo forestale dello Stato in tema di tutela forestale ed ambientale derivante da convenzioni internazionali, regolamenti comunitari, leggi nazionali o regionali.
Compito specifico del Corpo forestale è la tutela dell'ambiente naturale con particolare riguardo al patrimonio boschivo ed ai terreni sottoposti a vincolo idrogeologico. Lo stesso concorre inoltre all'organizzazione della protezione civile ed alla tutela della sicurezza pubblica.
Il Corpo forestale è un corpo tecnico con funzioni di polizia; ai dirigenti ed ai sottufficiali compete la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria e di agenti di pubblica sicurezza, alle guardie forestali


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competono le qualifiche di agente di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza. Fa parte del Corpo forestale anche personale esclusivamente tecnico: assistenti tecnici forestali, agenti tecnici forestali cui sono affidati compiti di protezione, realizzazione degli interventi forestali ed altri servizi ausiliari con esclusione di ogni mansione di polizia.
Il Corpo forestale della regione siciliana conta attualmente su di una forza di quasi 100 unità fra dirigenti (85) e dirigenti superiori (13), ad essi si aggiungono 238 sottufficiali ed 873 guardie. È già stato bandito un concorso con il quale si provvederà all'assunzione di ulteriori 352 guardie forestali per il completamento dell'organico. Il personale tecnico ausiliario, assistenti ed agenti tecnici ammonta a circa 750 unità.
La formazione del «personale in divisa» viene demandata alle scuole del Corpo forestale della regione siciliana, dotate di una struttura logistica e propedeutica idonea alla formazione di personale qualificato che possa operare in sintonia con le prerogative istituzionali del Corpo forestale della regione siciliana tra le quali emergono per importanza l'osservanza delle norme in materia forestale e di tutela dell'ambiente in generale.
L'amministrazione forestale in Sicilia giuridicamente dipende dall'assessorato regionale agricoltura e foreste ed è costituita, oltre che dagli uffici centrali e periferici, dalla direzione regionale delle foreste e dall'azienda foreste demaniali della regione siciliana.
Le azioni del Corpo forestale si esplicano sul territorio regionale tramite gli ispettorati dipartimentali delle foreste, uffici periferici presenti in ogni capoluogo di provincia ai quali è preposto un dirigente superiore forestale che riveste la qualifica di ispettore regionale delle foreste. Agli ispettorati fanno capo, in numero vario a seconda della provincia, gli 88 comandi dei distaccamenti forestali, retti da sottufficiali, che svolgono una capillare vigilanza sulla giurisdizione territoriale ad essi assegnata. Presso gli ispettorati sono inoltre costituiti i centri operativi provinciali, ai quali compete la guida delle azioni di prevenzione, di polizia e di spegnimento degli incendi boschivi.
Sono stati inoltre istituiti anche reparti speciali quali il nucleo operativo regionale (NOR) ed i nuclei operativi provinciali ai quali sono affidati particolari servizi armati di tutela, scorta e pubblica sicurezza. Presso alcune procure della Repubblica sono stati distaccati nuclei di polizia giudiziaria che, al servizio della autorità giudiziaria, sono impegnati in indagini per la repressione dei reati contro l'ambiente. In corso di organizzazione infine il nucleo ippomontato, avrà il compito della vigilanza e tutela nelle aree di particolare pregio naturalistico.
L'attività del personale forestale, come precedentemente detto, si svolge prevalentemente nelle aree boscate, nelle aree protette e negli ambiti territoriali sottoposti a vincolo idrogeologico.
Riferisco ora, molto sinteticamente, alcuni dati sul territorio siciliano nel quale maggiormente si esplica l'attività del Corpo forestale della regione siciliana.


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Da un ultimo inventario (1996) le formazioni forestali siciliane risultano pari a 283 mila. Le superfici boscate più vaste si sviluppano nelle provincie di Messina, Palermo e Catania in cui insiste quasi il 70 per cento delle formazioni forestali siciliane.
Di tali formazioni, 152 mila ettari appartengono al demanio forestale regionale e vengono gestiti direttamente dall'Azienda foreste demaniali, ad essi vanno sommati altri 19 mila ettari di terreni privati o di altri enti pubblici, anch'essi gestiti dall'azienda foreste, si arriva così ad un totale complessivo di superficie gestita direttamente dall'amministrazione forestale pari a 171 mila ettari.
La regione siciliana con la legge n. 98 del 1981 ha voluto istituire un regime di protezione particolare per le aree ad alta valenza naturalistica. Si è così arrivati alla istituzione di 3 grandi parchi naturali ed alla individuazione di 77 riserve naturali delle quali 55 già istituite.
L'azienda foreste rientra nel novero degli enti gestori delle riserve ed ha già ricevuto in affidamento 31 riserve naturali, tra queste pur se prevalgono le riserve ricche di aree boscate non ne mancano altre con caratteri particolari quali l'ambiente costiero dello Zingaro, le zone umide di Vendicari e le isole minori come ad esempio Salina, Stromboli, Filicudi, Alicudi e Linosa. L'azione di vigilanza e tutela nelle riserve gestite dall'azienda foreste è di competenza esclusiva del Corpo forestale.
All'amministrazione degli enti parco dei Nebrodi, Etna e Madonie il Corpo forestale partecipa tramite l'ispettore dipartimentale competente per territorio che è membro di diritto del comitato tecnico esecutivo dell'ente parco stesso.
Per gli enti parco, così come previsto per le riserve affidate ad altri enti gestori quali province regionali od associazioni ambientaliste, la legge prevede la costituzione di un proprio nucleo di vigilanza ma nelle more che questo si realizzi il Corpo forestale rimane addetto anche alla vigilanza dei parchi naturali regionali e delle rimanenti riserve.
Il Corpo forestale in Sicilia ha competenza esclusiva per l'applicazione della normativa sul vincolo idrogeologico derivante da regio decreto legge 3267 del 1923. Il territorio sottoposto a vincolo idrogeologico si estende per 1.190.378 ettari, pari al 42 per cento del territorio siciliano. Soggette al vincolo sono, più delle altre, la provincia di Messina con il 75 per cento del suo territorio, seguono la provincia di Palermo e di Enna, rispettivamente con il 63 per cento ed il 54 per cento del territorio vincolato.
Per quanto riguarda la problematica rifiuti, sottolineo che il lavoro del forestale si svolge prevalentemente quindi nelle aree boscate e rurali, le quali sono oggetto di continue aggressioni che, per la vastità del territorio interessato, risultano di difficile prevenzione.
Tra gli illeciti che più di frequente si consumano in tali ambiti territoriali sono senz'altro da annoverare le discariche abusive, che, ahimè, stanno diventando una caratteristica del paesaggio nelle aree interne della Sicilia e nelle periferie dei centri urbani.


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Tale fenomeno sta assumendo una dimensione tale da meritare la massima attenzione da parte delle istituzioni preposte, anche per l'interesse che ad esse rivolge la criminalità organizzata, cosa che meglio di me conoscono i presenti a questo tavolo.
Permettetemi di dare a questo punto al problema rifiuti una lettura da tecnico forestale, lettura che non sempre è possibile dare tenuto conto della portata della problematica legati alla questione che stiamo trattando. E per fare ciò consentitemi una semplificazione che spero possa aiutarmi ad esprimere il concetto.
La realtà locale non favorisce il contenimento degli abusi legati al problema rifiuti in quanto anche per chi vuole operare nella legalità, disfarsi di alcuni rifiuti diventa molto difficile se non impossibile.
Tantissimi comuni siciliani sono privi di discariche autorizzate ed il ruolo attribuito dalle vigenti norme alle province regionali purtroppo non è stato svolto con l'incisività sperata. Pertanto in tali circostanze disfarsi di una lavabiancheria o di un materasso può diventare un problema, la soluzione del quale, molto spesso, è l'abbandono furtivo ai margini del bosco più vicino al centro abitato o nel vallone più facilmente raggiungibile dalla propria abitazione.
La carenza di discariche idonee a ricevere i materiali di risulta provenienti da scavi e demolizioni costringe molto spesso a soluzioni di ripiego quali ad esempio l'abbandono degli sfabbricidi e delle terre di risulta negli alvei fluviali o nelle scarpate più nascoste. Accade così, non di rado, che si arrivi alla saturazione della capacità di accumulo del sito con l'innesco di gravi dissesti idrogeologici.
L'occlusione di fossi o valloncelli con la conseguente modifica delle condizioni di equilibrio della rete idrografica può causare incipienti fenomeni di dissesto che in un territorio idrogeologicamente fragile come quello siciliano possono provocare gravi forme di instabilità con le conseguenze che anche recenti fatti di cronaca hanno tragicamente testimoniato.
Un altro aspetto legato all'abbandono dei rifiuti in aree naturali è la tossicità provocata dagli stessi anche a seguito di processi di fermentazione. Tale tossicità molto di frequente si inserisce nel precario equilibrio dell'ecosistema naturale con gravi conseguenze sulla vita di diversi organismi più o meno evoluti. Al riguardo mi sovviene una moria, che alcuni anni or sono, ha interessato quasi completamente l'ittofauna del lago San Giovanni di Naro. A distanza di anni ancora non si è ricostituita.
Passeggiando per i boschi non è infrequente incontrare carcasse di uccelli, anche di grande taglia, o di mammiferi uccisi dall'abbandono irresponsabile di rifiuti. Quante epidemie interessano intere mandrie per l'inquinamento dei corsi d'acqua dovute a queste discariche di rifiuti!
Un altro aspetto che per noi forestali è particolarmente rilevante è quello del gravissimo pericolo di incendi che rappresentano le discariche abusive dei rifiuti. Non è infrequente che incendi inizino proprio dai cumuli di rifiuti, tenuto conto che da sempre tali cumuli rappresentano in caso di incendi una delle sezioni di maggiore


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difficoltà legata anche alla capacità dei rifiuti di alimentare per tempi molto lunghi il fuoco o di farlo covare subdolamente per diversi giorni.
Per concludere ritengo utile ricordare l'impegno del Corpo forestale sulla problematica dei rifiuti che può sintetizzarsi con il numero degli abusi contestati che nell'anno 2000 sono stati 136 con sanzioni amministrative, mentre per 98 di esse si è resa necessaria la denuncia all'autorità giudiziaria.

SALVATORE CUSIMANO, Inviato RAI di Palermo. Ringrazio tutti per avere avuto la pazienza di ascoltarci. Le indicazioni che provengono dagli organi di polizia e dai magistrati coincidono, quindi credo che nessuno possa avere alibi.
Si è parlato con molta chiarezza di mancanza di strumenti e di mancanza di coordinamento. Allora invocare, come ha fatto il procuratore Grasso, una rivoluzione culturale è qualcosa che dobbiamo fare tutti ogni giorno come cittadini, però credo che bisogna fornire strumenti a chi deve operare sul territorio perché si possa invertire la tendenza che ha portato al disastro ambientale in Sicilia, distruggendo l'economia della regione e costringendola a camminare così lentamente come cammina oggi. Spero che i nostri figli e i nostri nipoti possano vivere in condizioni migliori.
Grazie a tutti e buon lavoro.

Il seminario termina alle 17.

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