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Seduta del 13/7/2000


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ALLEGATO

Resoconto stenografico del seminario pubblico, organizzato dalla Commissione a Reggio Calabria il 1o giugno scorso, relativo all'indagine in corso sull'istituto del commissariamento


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COMMISSIONE D'INCHIESTA
SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITÀ
ILLECITE AD ESSO CONNESSE

L'ISTITUTO DEL COMMISSARIAMENTO PER L'EMERGENZA RIFIUTI
Seminario pubblico

REGGIO CALABRIA, 1o GIUGNO 2000

RESOCONTO STENOGRAFICO


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INDICE

Indirizzi di saluto: Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Barillà Angelo, Assessore regionale all'industria ed attività produttive del comune di Reggio Calabria

Prima sessione: Riflessioni sull'istituto del commissariamento: funzionamento ed efficacia:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Catanese Antonio, Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria
Curcio Francesco, Responsabile del settore della Polizia forestale per la Calabria
Gallitto Vincenzo, Prefetto di Catanzaro
Reale Italo, Sub-Commissario delegato per l'emergenza rifiuti
Specchia Giuseppe, Vicepresidente della Commissione parlamentare d'inchiesta

Seconda sessione: Il supporto tecnico alla gestione commissariale:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Basile Domenico, Componente della commissione tecnico-scientifica di supporto al Commissario delegato
Mirelli Michele, Componente della commissione tecnico-scientifica di supporto al Commissario delegato
Regasto Saverio, Presidente della commissione tecnico-scientifica di supporto al Commissario delegato

Terza sessione: Dibattito:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Alessio Aldo, Sindaco di Gioia Tauro
Barillà Angelo, Assessore regionale all'industria e attività produttive del comune di Reggio Calabria
Cangemi Silvio, Assessore all'ambiente della provincia di Reggio Calabria
Ferrigno Carlo, Prefetto di Reggio Calabria
Italiano Filippo, Assessore all'ambiente del comune di Rosarno
Longo Ortenzio, Assessore all'ambiente del comune di Cosenza
Saccomanno Giacomo, Presidente dei centri di azione giuridica di Legambiente della Calabria e componente dell'ufficio di presidenza nazionale

Quarta sessione: I risvolti criminali dell'emergenza:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Cisterna Alberto, Sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria
Pilieci Franco, Consigliere regionale, segretario di presidenza del consiglio

Tavola rotonda:
Borghini Emilio, Comandante della regione dei Carabinieri, Calabria
Cardile Angelo, Comandante della regione della Guardia di finanza, Calabria
Marazzita Rocco, Questore di Reggio Calabria
Pollichieni Paolo, Cronista della Gazzetta del Sud

Conclusioni:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta


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L'ISTITUTO DEL COMMISSARIAMENTO PER L'EMERGENZA DEI RIFIUTI
Seminario pubblico

Indirizzi di saluto

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Desidero innanzitutto ricordare a tutti i presenti che l'odierno seminario pubblico si svolge nell'ambito dell'indagine disposta dalla Commissione d'inchiesta sull'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti, che riguarda le quattro maggiori regioni dell'Italia meridionale. Ricordo che due analoghi seminari si sono già svolti a Napoli e a Bari e che dopo quello di oggi a Reggio Calabria ne avrà luogo un altro in Sicilia, in modo da pervenire a conclusioni sull'efficacia dell'istituto in questione tramite un documento per il Parlamento.
Do la parola all'assessore Barillà, che desidera rivolgere il saluto del sindaco a questo nostro seminario.

ANGELO BARILLÀ, Assessore regionale all'industria ed attività produttive del comune di Reggio Calabria. Porto il saluto dell'amministrazione comunale della città di Reggio Calabria agli autorevoli partecipanti e promotori di questa iniziativa.
L'impegno della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e del suo onorevole presidente Massimo Scalia per realizzare qui, a Reggio Calabria, una verifica sull'attività dell'istituto del commissariamento è quanto mai opportuno; ci dà infatti l'occasione per attuare una verifica seria, serena, critica, per qualche aspetto anche, se necessario, impietosa dell'attività che ha caratterizzato il percorso avviato nel settembre del 1997, ma anche per ragionare sulle prospettive, per capire come superare la fase di incertezza e di stallo, che sarebbe pericoloso prorogare di fronte alle scadenze, alle impellenze e alle necessità, in un momento in cui, invece, devono essere raccolti i risultati del lavoro prodotto in Calabria.
È vero, l'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti è un'estrema ratio, un male necessario nato dalla presa di coscienza collettiva delle istituzioni, degli operatori nei vari settori e delle forze dell'ordine circa l'insostenibilità di una situazione che vedeva la Calabria distinguersi negativamente all'interno di una situazione di emergenza che riguardava anche altre regioni meridionali.
Credo che tra i tanti compiti che l'istituto del commissariamento ha e che l'emergenza deve avere vi debba essere un obiettivo principale, cioè quello del superamento del commissariamento stesso. Bisogna lavorare perché la situazione di emergenza venga superata, facendo in modo che lo strumento del commissariamento, pur necessario, pur importante, non sia eterno. Su questo dobbiamo ragionare per capire come accelerare le condizioni perché la normalità nella gestione dei rifiuti e il ruolo che le istituzioni debbono avere nel nostro paese e, in particolare nelle regioni meridionali, possano dispiegarsi in tutto il loro attivismo. Ma nel fare questo bilancio credo che sarebbe ingeneroso non tener conto da dove è partita l'emergenza, da dove è partito l'istituto del commissariamento. Ciò per qualsiasi giudizio sull'attività che vi è stata, con i suoi successi e i suoi limiti.


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Voglio ricordare che come amministrazione abbiamo collaborato fortemente in questi anni affinché il lavoro dell'istituto del commissariamento potesse conseguire risultati importanti. Non abbiamo aspettato che ci venissero indicate delle strade, in quanto siamo stati noi promotori, nel nostro comune e nella nostra realtà, di proposte e di una pianificazione che molte volte è entrata in sintonia con quella del Commissario ed ha prodotto risultati significativi.
Se facciamo l'analisi della situazione ci accorgiamo che, nel momento in cui veniva insediato il Commissario, in Calabria il 90 per cento delle discariche pubbliche era fuori regola (in proposito ci sono rapporti precisi delle forze dell'ordine) e che i fiumi venivano utilizzati come discariche abusive. Il famigerato articolo 12, che doveva servire per gestire una breve fase di emergenza, veniva utilizzato normalmente. Gli impianti di Rende, Rossano e Reggio Calabria o erano inidonei, con gravi ripercussioni sulla salute pubblica, o in ritardo di costruzione, per cui risultavano superati già prima di entrare in funzione. Ma la cosa più angosciante riguardava il traffico illegale dei rifiuti, che faceva della Calabria una sorta di Eldorado, una terra senza sceriffi e senza controlli, dove ognuno poteva operare al di là di qualsiasi legge, dove mancava persino una normativa che proibisse, in questo territorio, lo smaltimento di rifiuti provenienti da altre regioni. Tutto ciò ha portato a disfunzioni di ogni genere e al cementarsi, attorno alla questione dei rifiuti, di interessi corposi da parte di trafficanti senza scrupoli e di pezzi di Stato su cui gravava il sospetto della corruzione. Su questi temi in Calabria ci sono state numerose inchieste, perché la situazione aveva contorni inquietanti, visto che qui le ecomafie trovavano il loro terreno.
Voglio quindi sottolineare l'importanza di essere finalmente riusciti, in Calabria, grazie ai poteri straordinari, ad arrivare ad un piano regionale dei rifiuti. Un piano può essere soggetto ad ogni discussione, un piano non è come le tavole della legge, per cui può essere migliorato e cambiato, ma intanto rappresenta un punto di certezza da cui partire, rispetto al quale relazionarsi per costruire una discussione democratica su un terreno visibile dove le regole siano ben chiare. E certo molto hanno significato gli impianti avviati e l'essere riusciti a superare la prima fase dell'emergenza, passando dalla situazione esplosiva determinatasi dopo la chiusura della discarica di Pietrastorta, a quella in cui è stato attivato un nuovo impianto (Sambatello è stato attivato, a Fiumara vi è una discarica consortile). Ci sono, dunque, le condizioni o le precondizioni perché possa dispiegarsi un nuovo sistema di programmazione in ottemperanza al «decreto Ronchi» e alle nuove normative.
Naturalmente, non mancano ritardi, né punti delicati di cui dovremo discutere nel prosieguo del dibattito. Voglio però sottolineare quanto sia stato importante riuscire a mobilitare le varie associazioni, i vari enti e le forze dell'ordine attorno ad una problematica che in Calabria resta primaria per chi voglia affrontarla da ogni posizione. Si tratta infatti di una questione urgente che nessuno può arrogarsi il compito di risolvere da solo e per la quale l'istituto del commissariamento resta ancora, per un periodo di tempo, necessario e indispensabile. Sono quindi necessarie, da subito, regole chiare perché questo lavoro possa svilupparsi. Però occorre anche una maggiore capacità di ascolto da parte delle istituzioni locali e di coloro che, vivendo sul territorio e confrontandosi quotidianamente con la problematica dei rifiuti, sono il primo interfaccia delle aspirazioni dei cittadini. Da questo punto di vista, credo che alcune questioni vadano accelerate.
Con l'ufficio del Commissario siamo riusciti a stipulare un avanzatissimo protocollo di intesa che, in qualche modo, armonizza tutti gli interventi sul territorio in materia di rifiuti. Questo protocollo di intesa, fuori dalle lungaggini burocratiche e dagli ostacoli politici, bisogna che sia tradotto subito in realtà, perché il cittadino deve vedere concretamente che le cose che enunciamo vengono poi realizzate.


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Siamo tutti coscienti del fatto che dalle discussioni che portiamo avanti su questa questione e dal modo con cui sapremo rispondere alle legittime aspirazioni dei cittadini dipendono tante cose importanti. È fondamentale rinsaldare quel filo di credibilità e di rapporto tra cittadini e istituzioni che oggi si è molto attenuato. Dobbiamo avere coscienza dell'obiettivo da raggiungere e della necessità di prestare attenzione al cammino da fare.
Credo che il dibattito di oggi sia davvero foriero di nuove sfide per tutti e di nuovi successi sul terreno della gestione dei rifiuti.

PRESIDENTE. Ringrazio l'assessore Barillà, che ci ha rivolto un saluto assai poco formale, per così dire, ma che ha riguardato il merito delle questioni che stiamo affrontando e che ci ha anche consentito di conoscere alcune notizie interessanti che rimandano alla prima relazione dei nostri lavori.

Prima sessione: Riflessioni sull'istituto del Commissariamento: funzionamento ed efficacia.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. La relazione introduttiva sarà svolta dal vicepresidente Specchia.

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Desidero innanzitutto salutare tutti i presenti e ringraziare gli illustri relatori.
Con l'appuntamento di oggi proseguono i seminari pubblici che la Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti dedica alle situazioni d'emergenza in questo settore e - più in particolare - all'idoneità dello strumento commissariale per affrontare queste emergenze. Nei mesi scorsi, come ha già ricordato il presidente Scalia, abbiamo tenuto analoghi seminari a Napoli e Bari, e - seguendo quella che possiamo chiamare l'anzianità emergenziale - oggi concentriamo la nostra attenzione sulla situazione calabrese. È opportuno evidenziare subito alcuni elementi, anche per illustrare meglio l'andamento di questa giornata di lavori: questi seminari saranno alla base di un documento che la Commissione predisporrà ed invierà alle Camere per una valutazione dello strumento commissariale per affrontare le emergenze nel ciclo dei rifiuti; per questo motivo, soprattutto nelle sessioni della mattina, abbiamo voluto invitare a parlare tutti gli 'addetti ai lavori', cioè quanti sono impegnati, a vario titolo, nel superamento dell'emergenza, nonché coloro che debbono confrontarsi - dal punto di vista amministrativo e professionale - con tale situazione quotidianamente; non possiamo però dimenticare in quali particolari contesti si sono determinate queste emergenze. Nel febbraio del 1999 a Napoli la Commissione ha organizzato un forum nazionale dedicato alla criminalità ambientale e alla lotta alle ecomafie. In quell'occasione venne evidenziato come con l'allora imminente dichiarazione d'emergenza per la Sicilia tutte le regioni a tradizionale presenza mafiosa si trovavano commissariate per l'emergenza rifiuti. Una situazione che non poteva certo considerarsi dovuta al caso, esistendo cioè una evidente correlazione tra azione criminale e arretratezza anche nel ciclo dei rifiuti. E allora l'altro interrogativo che dobbiamo porci è se la gestione commissariale ha consentito di arginare la presenza criminale in questo settore, e a questo tema è dedicata in particolare la sessione pomeridiana di questo seminario.
La Calabria è in stato d'emergenza per il ciclo dei rifiuti dal settembre 1997, un commissariamento che riguarda unicamente il settore dei rifiuti solidi urbani. Alla situazione di questa regione la Commissione ha dedicato una relazione territoriale - approvata lo scorso mese di gennaio - nella quale venivano esposte una serie di osservazioni che intendiamo confrontare oggi con i nostri interlocutori. In particolare nella relazione si evidenziava come «la dichiarazione dello stato d'emergenza è calata in una situazione di assai grave arretratezza». In questa regione,


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infatti, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta erano stati realizzati alcuni impianti di trattamento, ma senza alcuna organicità e in buona parte si trattava di impianti non funzionanti per gravi carenze progettuali. Così, gli ultimi dati disponibili relativi allo smaltimento, evidenziano un ricorso quasi esclusivo alla discarica. Tuttavia, come Commissione abbiamo avuto modo di apprendere come siano state gettate le basi per un superamento - conforme alla normativa nazionale - della «monocultura» - discarica. Dai nostri interlocutori oggi vorremmo quindi sapere qual è lo stato dell'arte relativamente all'impiantistica, se cioè su quelle basi si è cominciato a costruire qualcosa o meno. E, altro elemento determinante, qual è l'atteggiamento degli enti locali (province e comuni) rispetto all'attività dell'ufficio del commissario delegato.
Rispetto ad altre regioni in stato di emergenza, sappiamo che la Calabria ha optato per una gestione integrata del ciclo dei rifiuti, non vi è insomma l'idea che tutto si risolverà grazie ai termodistruttori: sono previsti impianti di selezione della frazione secca da quella umida ed impianti di compostaggio, con a valle gli impianti di produzione del cdr e i termodistruttori. Un modello sostanzialmente corretto, anche se resta incerto il destino dei materiali raccolti in maniera differenziata: l'impiantistica a questo dedicata anche in questa regione è insufficiente, ed il piano dell'ufficio del commissario delegato non ne fa parola. Il rischio, insomma, è che tonnellate di materiale che potrebbero essere utilmente recuperate prendano la strada della termodistruzione o, peggio, della discarica.
Come è stato già posto in risalto dalla Commissione nella sua relazione sulla Calabria, il commissariamento di questa regione pare - per fortuna - dare risposte più rapide rispetto a quanto abbiamo potuto constatare in Campania e in Puglia. Va però a questo proposito dato il giusto risalto al fatto che lo stato di emergenza della Calabria ricade tutto sotto il cosiddetto decreto Ronchi, mentre le altre due regioni che citavo prima hanno dovuto fare i conti anche con un mutato quadro normativo a livello nazionale. Così, il piano predisposto dall'ufficio del commissario nel maggio 1998 non ha dovuto essere modificato ed adeguato, come invece accaduto in Puglia e in Campania.
Senza entrare nel merito del piano commissariale - per il quale rimando alla relazione della Commissione che trovate nella cartellina - ricordavo che oggi stiamo assistendo all'avvio di alcuni degli interventi che là venivano indicati. In particolare sono stati assegnati i lavori per i sistemi integrati Calabria Nord e Calabria Sud, mentre è a uno stadio precedente l'appalto per l'impianto di valorizzazione dei rifiuti di Lamezia Terme.
Ecco quindi un altro dato sul quale invito tutti i partecipanti a questo seminario ad una riflessione: lo strumento del commissariamento è una extrema ratio, conferisce poteri straordinari per affrontare in maniera il più efficace possibile situazioni d'emergenza. Tuttavia gli interventi previsti hanno un loro avvio a due anni di distanza dall'emanazione del piano, con un ritmo quindi addirittura più lento di quanto sarebbe auspicabile per una gestione ordinaria. Lo strumento commissariale, quindi, sta dando le risposte che erano attese e - soprattutto - nei tempi sperati? È una domanda che rivolgo a tutti gli intervenuti, dai quali vorremmo anche sentire valutazioni in merito all'auspicata conclusione della fase di emergenza.
Per come la Commissione - anche avvalendosi dell'esperienza della precedente legislatura - ha seguito le vicende del commissariamento in Calabria, abbiamo sviluppato una serie di elementi di valutazione, nei quali si intrecciano aspetti sociali, amministrativi ed anche legati all'azione della criminalità organizzata. Si deve anzitutto ricordare che la situazione di partenza era contraddistinta da un ricorso esclusivo alla discarica quale forma di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, determinato anche dalla totale assenza di qualsiasi elemento di


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programmazione. Un quadro di grave arretratezza dal quale nessuno pensava fosse possibile uscire nell'arco di qualche mese, anche se il commissariamento della provincia di Milano ha comportato in pochi mesi il superamento di una situazione simile tramite una scelta di grande nettezza a favore della separazione tra le frazioni secca e umida, inviando quest'ultima alla produzione di compost. Una soluzione certo non applicabile per intero a una realtà regionale - peraltro orograficamente complicata come la Calabria - ma che, fatta ad esempio per i capoluoghi di provincia e per i centri più popolati, avrebbe probabilmente per tempo garantito una ricerca meno affannosa di siti da adibire a discarica. Avrebbe anche dato - da subito - la sensazione ai cittadini che qualcosa stava cambiando in maniera concreta. Il tutto senza tempi e costi di particolare entità, e con vantaggi anche per la salute dei terreni agricoli calabresi, oggetto di gravissimi sversamenti abusivi di rifiuti.
Certo, non vanno dimenticati gli elementi di precarietà, dovuti al ritardo con il quale sono state emanate le ordinanze di nomina dei commissari delegati: oggi è il primo giugno e, benché la proroga dello stato d'emergenza sia stata emanata lo scorso mese di dicembre, non è ancora intervenuta l'ordinanza ministeriale di commissariamento, il che pone di fatto le strutture commissariali in uno stato di impotenza che hanno aggravato ulteriormente la situazione. L'anno scorso si sono dovuti attendere cinque mesi per la nomina del commissario delegato; quest'anno la situazione appare davvero paradossale, giacché lo stato d'emergenza è stato dichiarato sino al 30 giugno. Ma è certo che verrà prorogato sino alla fine dell'anno, e la proroga si avrà senza la nomina del commissario delegato! Quando si cercano i motivi dei ritardi nel funzionamento dei commissariamenti anche questo va senz'altro messo nel conto.
La scelta del commissariamento, il conferimento di poteri eccezionali ha una sua giustificazione nella necessità di agire in maniera tempestiva ed efficace; quando queste caratteristiche, tempestività ed efficacia, subiscono appannamenti, come - sia pure in misura meno marcata rispetto alle altre regioni in stato di emergenza - in Calabria, si deve allora mettere in discussione anche lo strumento per capire meglio i punti di criticità ed evitare che si ceda all'impressione generalizzata di impotenza. Credo tuttavia si debbano distinguere attentamente i piani: da un lato l'efficacia dello strumento commissariale, dall'altro le capacità nel saperlo utilizzare. Se, insomma, il commissario delegato compie scelte sbagliate non è possibile dare la colpa allo strumento, semmai occorre una maggiore attività di vigilanza da parte di chi (il Governo) delega tali poteri. Ne ho già fatto accenni, ma voglio tornare ad insistere sul tema della raccolta differenziata, anche perché centrale in una moderna gestione dei rifiuti: gli uffici del commissariamento in Calabria hanno visto in tale formula di raccolta non già il perno di quella gestione integrata dei rifiuti che dev'essere l'obiettivo, ma un elemento accessorio, come dimostrato dall'assenza di previsione di impianti di recupero. Risultato: gli enti locali - a parte qualche caso isolato - possono recepire la raccolta differenziata come un inutile aggravio, senza significativi contributi di risorse da parte della gestione commissariale.
Altro tema di grande rilevanza riguarda le bonifiche dei siti inquinati, tema sul quale come Commissione siamo fermi a quanto ci è stato detto nell'ultima audizione dall'avvocato Reale, relativamente alla chiusura di 350 discariche sull'intero territorio regionale. Ma non era questo il dato che ha sorpreso la Commissione, bensì sapere che la metà circa di tali siti continuava ad essere utilizzata dai comuni come discarica. Torno quindi ad interrogare i nostri interlocutori sull'atteggiamento degli enti locali rispetto all'attività dell'ufficio del commissario delegato. Il dato che ho appena riferito mi pare indice di un preoccupante distacco tra i vari livelli della pubblica amministrazione, distacco che agli occhi dei cittadini può risultare quasi un invito a


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non tenere nella dovuta considerazione gli obblighi che comunque una moderna gestione dei rifiuti impone. In una situazione come quella calabrese, invitare i cittadini ad una maggiore attenzione nel loro atteggiamento quando poi gli enti locali non attuano politiche conseguenti appare davvero rischioso in termini di fiducia verso le istituzioni e verso le politiche di rispetto dell'ambiente.
Mi permetto di insistere su questo punto, ma credo sia doveroso far vedere ai cittadini che qualcosa si muove, che qualche intervento concreto viene condotto. Bonificare una porzione di territorio, restituirla alla collettività, non è solo un intervento necessario dal punto di vista ambientale ma è anche un atto dal grande valore simbolico. Un'area bonificata su cui realizzare - ad esempio - un campo di calcio farà comprendere ai cittadini quanto guadagnano da una gestione corretta del territorio su cui abitano. E magari a qualcuno verrà anche la spinta per denunciare attività di smaltimento illecito.
Dobbiamo del resto ricordare che in questi anni di commissariamento non si è affatto arrestata l'azione della criminalità organizzata che - in forme varie - continua a dimostrare un enorme interesse per il ciclo dei rifiuti. I numeri dell'attività delle forze dell'ordine per il 1999 dimostrano in maniera chiara come il territorio calabrese sia tuttora soggetto ad un'aggressione criminale molto rilevante. Ma i numeri da soli non bastano a illustrare la portata dell'azione criminale nel ciclo dei rifiuti.
Al forum sulle ecomafie svolto nel 1999 a Napoli si era denunciato come le ecomafie non si accontentino più dei semplici smaltimenti abusivi, ma ormai puntino al controllo delle società, ad aggiudicarsi gli appalti di raccolta e trasporto, ed anche a quelli per la realizzazione degli impianti di trattamento e smaltimento. Siamo quindi di fronte ad una doppia emergenza: da un lato una sostanziale arretratezza nella gestione, dall'altro il rischio che il sistema criminale pretenda di governare l'uscita dall'attuale situazione emergenziale. Da questo punto di vista è determinante l'azione e la vigilanza delle amministrazioni pubbliche. Come Commissione stiamo studiando attentamente il fenomeno, ed i dati in nostro possesso evidenziano la riorganizzazione societaria in corso, con fusioni, acquisizioni ed alleanze in fieri tese a mantenere e a perfezionare il controllo su un settore che - è bene tenerlo sempre a mente - assicura di essere sicuramente redditizio nei decenni a venire, sia dal punto di vista della gestione lecita che dell'illecito.
Non è un caso se si assiste - intorno agli smaltimenti illeciti - a fenomeni quasi paradossali: clan in guerra per quanto riguarda il traffico di stupefacenti, il contrabbando o il controllo degli appalti, sono pronti a sotterrare l'ascia di guerra e a scambiarsi favori nel ciclo dei rifiuti. Quando una zona è sovraesposta, è sufficiente assicurare ad un altro clan una parte dei guadagni e ci si sposta di qualche chilometro con la certezza di non uscire dal business. I clan calabresi, che evidenziano sempre più la loro caratteristica di mafia imprenditrice, stanno individuando nel ciclo dei rifiuti un settore economico di loro interesse, anche concedendo il loro territorio alle organizzazioni criminali campane: i territori sono confinanti, ma la Calabria è meno densamente abitata ed offre siti ideali per gli smaltimenti illeciti. Il compito delle forze dell'ordine e dell'autorità giudiziaria rischia di assomigliare quindi alle mitologiche fatiche di Sisifo, anche se non mancano, come ricordavo prima, i successi.
A questo punto vale la pena ricordare che è sempre più urgente l'introduzione nel nostro codice penale di figure di delitto contro l'ambiente, modifica attualmente in discussione presso le Commissioni ambiente e giustizia del Senato. È stato anche richiesto alla presidente della Commissione giustizia della Camera di inserire il tema del delitto ambientale nel cosiddetto «pacchetto sicurezza», ma tale richiesta non è stata accolta. Ma questa riforma da sola non può bastare se - accanto ad essa - non avremo quella


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vigilanza ed attenzione da parte delle amministrazioni pubbliche che ho richiamato poc'anzi.
Credo che le persone che abbiamo invitato qui oggi saranno in grado di fornirci tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno per una valutazione il più completa possibile della situazione. In particolare l'interrogativo che tutti ci poniamo è sapere se si può pervenire ad una valutazione per la fine dell'emergenza. Sono ormai quasi tre anni che la Calabria vive questa situazione, una durata che - alla luce di altre esperienze - era tutto sommato attesa. Ma ora è giunto il momento che - ciascuno per il suo ruolo - dia il classico «colpo d'ala», e lavori al massimo delle sue possibilità perché il ritorno alla gestione ordinaria sia il più vicina possibile. È anche questo uno degli obiettivi di questa giornata: sentire la voce di tutti per dare una valutazione complessiva e suggerimenti perché non si assista anche in Calabria alla nascita di una ordinaria straordinarietà ed anzi perché la fine dello stato d'emergenza sia molto vicina.

ITALO REALE, Sub-Commissario delegato per l'emergenza rifiuti. Cercherò di darvi il quadro dello stato dell'emergenza con una previsione realistica sui tempi d'uscita dall'emergenza stessa almeno per quanto riguarda i rifiuti.
L'emergenza in Calabria riguarda i rifiuti, le bonifiche e la depurazione delle acque. Le ordinanze si sono succedute nel tempo, in quanto tutto il settore è stato affidato all'ufficio del Commissario non con la prima ordinanza, ma con ordinanze integrative succedutesi nel tempo, man mano che la situazione si evolveva.
Una sola osservazione su una questione di carattere generale: è difficile intervenire con uno strumento d'emergenza se il complesso della struttura istituzionale e burocratica dello Stato e degli enti locali lavora con i tempi dell'ordinarietà. Già è stata sottolineata la difficoltà, in parte superata, dell'irresponsabilità con cui il mio ufficio ha affrontato il ritardo dell'emanazione delle ordinanze, nel senso che spesso abbiamo fatto finta che le ordinanze comunque fossero state emanate: quella sull'emergenza è del giugno dell'anno scorso, e quest'anno non è stata ancora emanata, nonostante il decreto per lo stato d'emergenza scada il 30 giugno. Al di là di questi ritardi, sostanzialmente addebitabili al Ministero dell'interno, vi è comunque una struttura che complessivamente reagisce male all'emergenza: sono stati stanziati 5 miliardi per piccoli interventi che avrebbero consentito la partenza di una cinquantina di depuratori questa estate, ma recupereremo circa la metà dell'intervento perché i comuni non sono stati in grado di spenderli. Quindi saremo costretti a sostituirci ad essi e ad intervenire direttamente su quei piccoli depuratori per farli entrare in funzione entro il 30 giugno o, più probabilmente, entro il 15 luglio.
Ciò per dire che vi sono difficoltà se l'interfaccia necessario di un organismo che lavora in emergenza non è in grado di reagire sui tempi con cui è necessario lavorare. Ciò nonostante che da parte dei prefetti sub-commissari vi sia stata una grande attività nel tentativo di sbloccare le situazioni che man mano si ponevano. Anzi, anche rispetto ai comuni, in qualche modo i prefetti sono stati addirittura i promotori e i coordinatori di iniziative indirizzate a risolvere l'emergenza.
Aggiungo, per riconoscere alla regione ciò che è suo, che gran parte del finanziamento dell'ordinanza è regionale, perché i primi 54 miliardi con cui è stata finanziata la prima ordinanza attenevano, sostanzialmente, a fondi indirizzati alla regione Calabria e spostati sull'ordinanza stessa. La maggior parte delle risorse che stiamo spendendo in qualche modo era regionale, impegnata su fondi CEE e sui vari programmi man mano articolati; si tratta di soldi che la regione aveva difficoltà a spendere, ma che comunque sono regionali.
Una difficoltà concreta, che ci sta provocando un problema che speriamo di risolvere con il comune di Reggio Calabria, è dovuto al fatto che sull'ordinanza sono state spostate alcune opere previste


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dal decreto per Reggio senza, però, che fossero spostati i fondi, il che ci ha posto a carico due opere che dovevano essere invece finanziate attraverso il decreto-legge. Questo ci ha provocato difficoltà e stress. Rispetto ai tre anni di commissariamento della regione Calabria, se dovessimo fare una valutazione sui tempi reali di funzionamento dell'ufficio del Commissario direi che il 50 per cento del tempo è andato perduto proprio per questa serie di problemi.
Aggiungo che la nomina dell'assessore all'ambiente come vicario normalmente delegato da parte del presidente della giunta regionale nella gestione dell'ufficio del Commissario ha provocato una serie di problemi. In qualche modo, infatti, vi è stato un rientro della politica, non nel senso di una gestione diretta da parte dell'assessore dell'ufficio del Commissario, che ha comportato una serie di problemi piuttosto gravi, una serie di difficoltà nella gestione e, soprattutto nel periodo elettorale, una serie di fermi che ha bloccato quasi completamente l'attività dell'ufficio del Commissario in Calabria.
Qual è lo stato dell'arte? Nonostante tutte queste difficoltà l'ufficio del Commissario in Calabria incassa una serie di risultati estremamente positivi: come ha già detto l'assessore Barillà, non abbiamo più discariche ex articolo 13; le discariche sono state ridotte da 354 a 50, e tutte sono sotto il controllo del Commissario, per cui sappiamo che cosa va a finirci; sono stati riattivati gli impianti di Sambatello e di Lamezia, ormai in funzione da più di un anno; è stato aggiudicato l'appalto per il raddoppio dell'impianto di Lamezia; sono in corso i lavori per il raddoppio dell'impianto tecnologico di Alli; ieri è stato consegnato l'impianto di Rossano.
Dunque, per quanto riguarda gli impianti realizzati prima dell'istituzione dell'ufficio del Commissario, alcuni sono già in funzione, mentre per altri stiamo procedendo al raddoppio. La situazione più complicata di tutte, quella dell'impianto di Rossano, è stata superata, per cui i lavori sono stati consegnati alla ditta vincitrice dell'appalto. Il ritardo più evidente riguarda le due gare per Calabria nord e per Calabria sud, ciascuno dei quali ha un termovalorizzatore, cinque impianti di compostaggio, cinque impianti di valorizzazione, cinque impianti per il cdr: l'appalto è stato aggiudicato dalla commissione di gara a giugno del 1999; dopo un lungo ritardo siamo riusciti a emanare l'atto amministrativo di aggiudicazione dell'appalto a novembre, e ora, se il Governo non tiene fede all'impegno sull'assegnazione del CIP 6 a questi due sistemi, rischiamo di restare in alto mare. Erano queste le condizioni del bando di gara, e come voi sapete i due sistemi sono totalmente finanziati dai privati tramite una concessione-contratto, per cui l'investimento viene recuperato attraverso la tariffa; ma senza i 280 miliardi presuntivi, corrispondenti al contributo CIP 6, non siamo in grado di firmare il contratto. Debbo anche sottolineare, con estrema franchezza, che per i comuni siamo passati dalle 10 lire per lo smaltimento in discarica ad un prezzo di 90-110 lire, mentre il prezzo di gara d'appalto è di 135 lire. Dunque, pensare di portarlo a 210 o a 220 lire, nel caso in cui non avessimo il CIP 6, dal mio punto di vista è socialmente insostenibile per questa regione. Non credo che sia possibile un'operazione di questo genere.
Per superare l'emergenza, quindi, o si trovano 450 miliardi da parte del pubblico, in modo da poter abbattere la tariffa dal punto di vista degli investimenti, oppure gli impianti non si realizzeranno. Avremo un'opposizione così forte da non consentirci di realizzarli. Comincio a dubitare che la nuova ordinanza sarà fatta, ma se in essa vi sarà la possibilità, per l'ufficio del Commissario, di stipulare il contratto con l'ENEL per il raggiungimento del CIP 6, credo che saremo in grado di firmare il contratto e di avviare i lavori per i sistemi d'impianto entro l'estate. Entro l'autunno siamo in grado di restituire alle province, attraverso l'individuazione degli ambiti territoriali ottimali, il sistema delle discariche controllate. Siamo in condizione di restituire agli


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enti locali l'insieme della raccolta attraverso le società miste che costituiremo prima dell'estate e superare l'ordinanza per l'emergenza, almeno per la parte che riguarda i rifiuti, entro quest'anno.
Diciamo che agli enti locali calabresi non deve essere consegnata una polpetta avvelenata, cioè discariche per le quali non sono partiti i lavori. Verrebbe infatti a concretizzarsi un problema che sintetizzo in questi termini: entro due anni le discariche controllate calabresi saranno esaurite; non vi sarà la possibilità legislativa di realizzarne altre, per le quali, soprattutto, non ci sono neanche i soldi. L'ufficio del Commissario, infatti, ha speso tutto ciò che aveva a disposizione ed ha investito anche i privati affinché partecipassero alla spesa; credo che la previsione di investimento da parte dei privati sia superiore ai 500 miliardi.
Se la nuova ordinanza ci metterà nella condizione di completare rapidamente questa fase, ritengo che nell'autunno di quest'anno saremo in grado di far fronte alla parte che riguarda i rifiuti. Aggiungo, stante il rapporto positivo che abbiamo sempre avuto con la Commissione, che ci ha molto aiutato in alcuni passaggi assai delicati, che per i due termovalorizzatori, che rappresentano i momenti finali del sistema di smaltimento, abbiamo scelto una tecnologia che presuppone, necessariamente, la raccolta differenziata. I nostri due termovalorizzatori non bruciano il tal quale, ma solo il CDR. Quindi, non è vero che non abbiamo messo al centro del nostro sistema la raccolta differenziata, non solo perché prevediamo di raggiungere l'obiettivo del 35 per cento (anzi, speriamo di fare anche qualcosa in più), ma perché tutto il nostro sistema, compresa la fase finale, funziona solo se bruciamo in modo differenziato. Però siamo in ritardo sulla raccolta differenziata; è difficile mettere insieme 409 comuni, ma non è pensabile commissariarli tutti e 409. I sindaci si debbono convincere che la società mista per la raccolta differenziata è qualcosa da realizzare insieme e che deve essere consorziata anche la raccolta del tal quale, perché tenere insieme due sistemi diversi, uno per la raccolta del tal quale ed uno per la raccolta differenziata, alza talmente tanto i costi della raccolta da rendere insostenibile il sistema stesso.
Questa è stata un'operazione di grande pazienza; nell'ultimo anno abbiamo avuto il piacere di incontrare ciascun sindaco calabrese non meno di cinque-sei volte, ma se io non so dove mandare il rifiuto organico e non ho gli impianti di valorizzazione, perché la gara sui due sistemi di impianto è bloccata su un fatto essenziale come l'economicità del sistema, per quanto riguarda la raccolta differenziata farò pure le società miste, ma avrò comunque il problema di come diversificare il materiale che raccolgo con questa che è una raccolta multimateriale, senza l'impianto di valorizzazione; allora o devo riconvertire tutto ad una raccolta monomateriale, ma comunque mi rimane il problema dell'organico, oppure, se non firmo il contratto per far partire due sistemi di impresa, avrò il problema serissimo di poter fare la raccolta differenziata solo in alcune precise zone della regione, che sono Catanzaro, Lamezia, Reggio Calabria dove c'è l'impianto di Sanbatello e quando funzionerà quello di Rossano; lì potrò portare solo il rifiuto organico, mentre per tutto il resto della regione non sarò in grado di far partire la raccolta differenziata.
Allora, concludendo su questo aspetto, per chiudere l'emergenza rifiuti in Calabria è essenziale firmare il contratto con le due imprese, ma per fare questo abbiamo necessità del CIP 6. Debbo altresì aggiungere che, come la Commissione d'inchiesta sa perfettamente, l'ufficio del commissario non ha fondi di gestione, istituzionalmente ha solo fondi di investimento; malgrado questo, poiché l'ufficio del commissario aveva la possibilità di stabilire la tariffa, per ogni chilo di raccolta differenziata oggi restituiamo, mi pare, venti lire ai comuni per favorire tale raccolta; non solo, abbiamo acquistato mezzi per venti miliardi per questa raccolta, che abbiamo già a disposizione e che affideremo alla parte pubblica delle


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società miste; abbiamo inoltre una opzione per altri dieci miliardi che ci consentono di coprire fino al 45 per cento il fabbisogno di mezzi.
Passo al discorso sulle bonifiche. Abbiamo individuato 782 siti da bonificare; secondo me, però, ci sono sfuggite qualche centinaio di altre microdiscariche. La maggioranza dei siti individuati è in alvei di torrente, di fiumara; quindi sono particolarmente pericolosi. La presunzione di spesa per un intervento di questo genere è sui 15 mila miliardi: fondi a disposizione al momento praticamente nessuno, se non l'individuazione di Crotone come sito di interesse nazionale. Abbiamo iniziato una sperimentazione sulla discarica di Sambatello - il presidente ci ha fatto la cortesia di partecipare alla riunione in cui lanciammo questa iniziativa - dove stiamo tentando la bonifica con gli enzimi. Sapete infatti che uno dei problemi più gravi delle bonifiche è che sostanzialmente si tira fuori la spazzatura dal sito non idoneo e la si porta in una discarica controllata, facendo così un altro buco nel terreno. Se invece questa sperimentazione andrà a buon fine, otterremo il risultato eccezionale di non dover spostare i rifiuti, con una notevole riduzione dei costi e soprattutto superando uno dei problemi politici che normalmente si accompagna a queste bonifiche e cioè la necessità a volte di spostare i rifiuti nel territorio di un altro comune, con le conseguenze che sono comprensibili. Questa sperimentazione, invece, ci apre una prospettiva concreta per risolvere il problema. A luglio avremo i primi risultati. La società che ha ottenuto il lavoro ci assicura che avremo un abbattimento del 40 per cento dei problemi di inquinamento legati alla discarica; a luglio, ripeto, sapremo esattamente se, avviato questo lavoro, saremo in grado di operare concretamente per chiudere in termini ragionevoli il capitolo delle bonifiche in Calabria oppure se dovremo andare ad una messa in sicurezza generalizzata, dove possibile, dei siti che creano maggiori problemi, rimandando la soluzione della questione alle prossime generazioni. Credo che, correttamente impostato, il problema sia in questi termini.
Per concludere, l'ufficio del commissario costituirà le società miste per far partire la raccolta differenziata prima dell'estate. Su questo abbiamo acquisito un consenso generalizzato; quindi non sarà un commissariamento, ma un sostegno ai comuni che con più attenzione hanno lavorato sulla raccolta differenziata, nell'ambito del rapporto di reciproca fiducia che abbiamo costruito con gli enti locali. Siamo pronti a superare l'emergenza rifiuti entro l'anno, ma perché questo succeda abbiamo necessità di avere rapidamente la nuova ordinanza e che in essa sia definita una volta per tutte la possibilità di avere il CIP 6, per consentirci questo e di chiudere prima dell'estate il contratto con le due associazioni di imprese che hanno vinto la gara e permetterci quindi, nei tempi che ho detto, di restituire agli enti locali calabresi la completa gestione di questa parte.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Vorrei sottolineare che la regione Calabria ci sta consegnando, per quello che potrà poi fare la Commissione, molte difficoltà perché, se non ho capito male quanto detto, a nome della regione, dal sub-commissario Reale, la parte nevralgica del sistema integrato rifiuti, cioè i termovalorizzatori con gli associati impianti di compostaggio e CDR, per un investimento di 450 miliardi, sarà in grado di partire ed avviarsi entro l'anno; il problema è che, perché questo succeda, occorre una normativa tipo CIP 6, che faccia sperare ai privati che investono di recuperare attraverso le tariffe i loro investimenti; se questa normativa o una analoga non è applicabile, tutto resta bloccato.

ITALO REALE, Sub-Commissario delegato per l'emergenza rifiuti. Perché con l'ordinanza il Governo ci ha indicato di utilizzare questo strumento.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Allora


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ho capito bene e indubbiamente, essendo per altri motivi a me abbastanza noto il meccanismo di funzionamento del CIP 6, peraltro non particolarmente glorioso per vari aspetti, intravedo grandi difficoltà perché il CIP 6 stesso aveva, per così dire, delle finestre che si protraevano nel tempo, ma non riesco a capire come si possa ancora invocarlo; credo che dovremo studiare qualche provvedimento analogo perché ho il sospetto che l'attivazione del CIP 6 sia molto problematica, indipendentemente da quello che poi è stato il bando che è stato fatto; bisognerà garantire in altro modo (così credo, ma lo verificherò) le possibilità di recupero degli investimenti da parte di coloro che li hanno fatti. Si tratta comunque di un problema la cui soluzione è molto complessa.

PRESIDENTE. Ringrazio l'avvocato Reale per la sua relazione. Passiamo ora alla terza relazione prevista in questa sessione, che è quella del procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Antonino Catanese.

ANTONIO CATANESE, Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria. Voglio innanzitutto porgere il mio saluto e ringraziamento al presidente Scalia e alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse per avermi richiesto la partecipazione a questo seminario e, soprattutto, per l'impegno, che ben conosco, profuso nell'affrontare le tante, difficili problematiche relative alla materia.
Nel nostro paese commissariamento è sinonimo di emergenza: e l'emergenza è, quasi sempre, conseguenza diretta ed ineluttabile di disattenzione protratta nel tempo, talora anche di sottovalutazione dei problemi, non di rado, e ancor peggio, di negligenza. A tutto questo la Commissione parlamentare d'inchiesta si trova da sempre a dover fare fronte, e l'intesa attività che ne scandisce i tempi dei lavori è testimonianza di quell'impegno cui prima ho fatto riferimento.
Ma la materia di cui ci occupiamo oggi non presenta i caratteri dell'emergenza soltanto sotto l'aspetto tecnico-amministrativo-operativo, che interessa l'intero territorio nazionale, nella risoluzione di tutte le problematiche afferenti al trattamento dei rifiuti, anche di quelli speciali, tossici e nocivi, e coinvolge le amministrazioni pubbliche territoriali, a qualsiasi livello. Emergenza è anche l'attenzione che la criminalità organizzata mafiosa, già da tempo, mostra verso questo settore, nell'ambito del quale sono ormai fin troppo note le attività delittuose correlate ai traffici illeciti dei rifiuti, compresi quelli radioattivi.
Voglio rileggere, signor presidente, come ho avuto modo di sottolineare anche nel corso del forum svoltosi a Napoli nel febbraio 1999, quella che ritengo un'importante presa di coscienza, forse anche la prima, sul problema rifiuti, che la sua Commissione opportunamente e adeguatamente ha evidenziato nella relazione conclusiva dell'11 marzo 1996: «L'ulteriore lavoro di ricognizione svolto in merito ai traffici abusivi di rifiuti consente di delineare con maggiore precisione la diffusione degli stessi e le connessioni con le attività della criminalità organizzata. Va sottolineato, innanzitutto, che le indagini relative a questi fenomeni interessano ormai ben tredici regioni»: (adesso il numero è anche aumentato)« Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Abruzzo, oltre quelle per così dire 'tradizionali', cioè Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia. Dalle indagini in corso si evince, inoltre, come i sodalizi criminali abbiano esteso il loro raggio di azione a tutto il territorio nazionale, mentre, di contro, l'attività giudiziaria risente ancora del ritardo con cui sono stati affrontati questi fenomeni. A fronte, infatti, di un evidente interesse delle associazioni criminali nei traffici illeciti di rifiuti, la Commissione ha registrato una insufficiente acquisizione di elementi probatori tali da determinare, nelle sedi opportune, precise responsabilità di carattere associativo-mafioso».
Da questa analisi impietosa, ma sempre più attuale, emergono i ritardi, le


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disattenzioni, le insufficienti propensioni ad una decisiva azione di recupero, idonea e sollecita, tale da fare sperare, almeno, che l'emergenza non si assommi all'emergenza, fino a rendere difficilmente risolvibili, in tempi ragionevoli, problemi vecchi e nuovi.
Oggi la gestione commissariale iniziata in Calabria a partire dall'ottobre 1997 si avvia a registrare «(...)lenti ma significativi miglioramenti(...)», come risulta dalla relazione territoriale sulla Calabria della Commissione parlamentare approvata il 19 gennaio 2000: ma residua, pur tuttavia, la constatazione che il quadro di insieme si inserisce «in un generale contesto di approssimativa applicazione della legge e di non ancora sufficiente livello di consapevolezza dei problemi del governo del territorio». Al riguardo non posso non manifestare qualche preoccupazione perché, come ha sottolineato il senatore Specchia, manca l'ordinanza ministeriale di commissariamento che renda pienamente operative le strutture commissariali. Sempre a questo riguardo vorrei dire che bisognerebbe prediligere la cultura della responsabilità perché - si badi bene - le competenze in condominio, come io sono solito chiamarle, sono esattamente il contrario della cultura della responsabilità; più competenze si danno, meno emerge la responsabilità del singolo e su questo vorrei che si ponesse una qualche attenzione.
Sono certo che la Giunta regionale del presidente Chiaravalloti saprà intraprendere, con lena e vigore, ogni iniziativa che valga ad affrontare, oltre quanto è stato già fatto, il problema della gestione del ciclo dei rifiuti su tutto il territorio della regione Calabria, non soltanto perché il problema esige interventi tecnico-operativi di salvaguardia, ma anche per contenere e scoraggiare altri interventi di ben diverso segno. A questo problema, infatti - mi pare di averlo anticipato - la moderna criminalità mafiosa già da tempo ha rivolto la sua indesiderata attenzione. Giacché, se criminalità organizzata oggi significa, più di ieri, potere economico-finanziario, la gestione dei traffici illeciti dei rifiuti di qualsivoglia natura non può non interessare le organizzazioni mafiose calabresi, perché tali traffici garantiscono flussi finanziari tali da indurre le varie consorterie della delinquenza criminale a ricompattarsi per meglio assicurarsi lo sfruttamento di tale settore, laddove esse non hanno esitato, e non esitano, a farsi la guerra per il controllo e la supremazia in altri settori (mi riferisco a quelli degli stupefacenti, delle armi, dei lavori e degli appalti pubblici). E nel settore dei trasporti ed in quello dello smaltimento illecito dei rifiuti le barriere nazionali cedono più facilmente all'azione della criminalità internazionale, perché i problemi legati a questo settore investono la collettività del pianeta Terra, più di qualsiasi altro fenomeno criminale.
Le cosiddette ecomafie sono ormai una drammatica realtà, mentre ancora, per limitarci ai fatti di casa nostra - ma dobbiamo pure preoccuparci sempre di più anche degli stessi problemi d'oltre confine - la legislazione italiana non ha compiutamente recepito la portata e la pericolosità dei reati ambientali, anche se si sta cercando, in questa materia, di colmare i ritardi di anni nell'ambito legislativo e nello sforzo della prevenzione e della repressione.
E, pur tuttavia, una cosa bisogna dire con estrema franchezza, per non incoraggiare alibi del passato ed errori di sempre. Nessuno pensi e si illuda che i fenomeni criminali legati ai traffici illeciti dei rifiuti possano essere eliminati e sconfitti per la sola via giudiziaria, ovvero mediante interventi operativi per singole zone territoriali nazionali. Già in passato sono stati commessi errori di tale natura, quando si è pensato - e i risultati insoddisfacenti sono oggi evidenti - che i grandi problemi sociali, divenuti grandi fenomeni criminali, potessero essere contrastati con la sola arma della repressione giudiziaria.
Nel già ricordato forum di Napoli ho fatto un preciso richiamo alle difficoltà operative, di indagine e probatorie, che si incontrano allorché si affronta il fenomeno criminale sul piano investigativo, per la impossibilità giuridica persino di


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configurare le ecomafie nell'ambito dei reati associativi di tipo mafioso, e non solo per la loro struttura complessa che prevede vari livelli, dal faccendiere all'alta finanza, dalle società di comodo alle complicità amministrative e politiche, nazionali e internazionali, ma soprattutto per la inadeguatezza - è bene sottolinearlo - delle norme precettive e sanzionatorie: inadeguatezza che si riflette sull'efficienza dell'indagine, perché non consente l'arresto in flagranza dei trasportatori abusivi di qualsiasi tipo di rifiuti, compresi quelli radioattivi, perché non consente la possibilità di disporre intercettazioni ambientali e l'accesso a banche dati, e perché non consente, altresì, malgrado la globalità del mercato del traffico illecito di rifiuti, il ricorso a protocolli di intesa e a trattati nel campo della collaborazione giudiziaria con paesi extraeuropei, che sono per lo più i destinatari finali dei rifiuti.
Vi è, in sostanza, un'evidente e ormai riconosciuta inadeguatezza legislativa e degli strumenti investigativi; si registra la massima difficoltà operativa del magistrato per la quasi impossibilità di accedere a tecnologie altamente sofisticate (satelliti, aerofotogrammetria, strumenti di ricerca all'infrarosso), nonché di disporre di un polizia in grado di muoversi rapidamente sul territorio nazionale e internazionale, e di un raccordo istituzionale diretto con gli organismi internazionali dell'ONU e dell'UE nell'ambito dello smaltimento dei rifiuti radioattivi.
Dell'esperienza giudiziaria maturata dal mio ufficio di procura in tale settore si occuperà più avanti, e più diffusamente, il collega Cisterna. Tralascio quindi di parlare, limitandomi a brevissimi cenni, sia dei traffici illeciti dei rifiuti che interessano la Calabria come destinazione finale, sia del sempre grave problema delle discariche abusive, sia, infine, della accertata presenza della 'ndrangheta - sarebbe meglio definirla «penetrazione» - nel settore dei rifiuti che vengono smaltiti in discariche non autorizzate, quali cave e specchi di acqua, ovvero mediante profondo interramento anche in zone agricole. E tralascio, altresì, di intrattenermi anche sui traffici che hanno interessato, come sembra, le coste calabresi , attraverso lo scarico in mare, mediante i cosiddetti «penetratori», di scorie e rifiuti radioattivi, se non, addirittura, con l'affondamento delle cosiddette navi a perdere. Voglio ricordare soltanto la vicenda della motonave Rigel affondata, in circostanze più che sospette, al largo di Capo Spartivento nel settembre 1987.
Ciò che adesso mi preme sottolineare è la necessità di non rinviare oltre la risoluzione dei problemi che la materia in esame esige. Per limitarmi all'aspetto più squisitamente giudiziario della questione non posso che richiamare raccomandazioni già fatte. Sono sempre più urgenti misure di natura normativa, operativa e di coordinamento per contrastare le ecomafie nel settore ambientale. Già il concetto stesso di «rifiuto», come «oggetto» di scarto destinato all'abbandono, ha una valenza semantica ormai superata, perché oggi i rifiuti costituiscono, al contrario, risorsa e ricchezza, e si inquadrano in una diversa prospettiva di mercato. Il riciclo dei rifiuti, cioè la possibilità della loro trasformazione e conseguente riutilizzo, che poi altro non è che la loro legalizzata destinazione finale, è già pericolosamente nelle prospettive delle organizzazioni criminali che, a tal fine, possono avvalersi di fittizie società di comodo. In questo settore, ormai, si constata quanto si è verificato per il fenomeno del riciclaggio e/o l'impiego di denaro proveniente da attività illecite da parte delle consorterie mafiose: cioè una vera e propria assistenza tecnica di agenzie criminali specializzate.
A tanta organizzazione delinquenziale non fanno riscontro, purtroppo, altrettante contromisure politico-legislative, operative, tecnologiche e di coordinamento. E se è vero che la tecnologia di cui si dispone ha ormai raggiunto livelli di avanguardia, è parimenti vero che non vi sono risorse sufficienti a disposizione delle strutture giudiziarie per farvi ricorso.


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E comunque, come è stato correttamente osservato, quando i sofisticati sistemi di telerilevamento sul territorio consentono di individuare gli illeciti sversamenti dei rifiuti nei siti abusivi, sia in superficie che sotterranei, l'evento delittuoso è già consumato e qualsiasi intervento assume il carattere della repressione, laddove, al contrario, la particolarità del problema e la pericolosità del fatto illecito esigerebbero il massimo della prevenzione. Ed allora si comprende che ogni sforzo deve essere finalizzato alla individuazione di tecniche di indagine - supportate da un sistema normativo adeguato - che consentano di «seguire» via via il percorso dei trasporti abusivi di rifiuti, una volta noto il punto di partenza di un carico illecito, la sua natura e la possibile destinazione. Se sono conosciute, infatti, le imprese che producono rifiuti, e se sono conosciuti anche i tipi di rifiuti prodotti, i controlli sulle destinazioni di questi per lo smaltimento, in senso lato, dovrebbero essere notevolmente facilitati e gli strumenti di intercettazione potrebbero meglio funzionare. In tale ottica non va ignorato un dato importante. Il ricorso dell'impresa alla organizzazione criminale per dare una destinazione ai rifiuti del suo ciclo produttivo è più vantaggiosa rispetto ai canali legali. Allora il problema diventa squisitamente politico, perché è sempre politico il dato economico che emerge allorché la criminalità si pone in «concorrenza» con le attività legali che lo Stato deve promuovere e tutelare.
Anche in questa direzione, vorrei dire soprattutto in questa direzione, la politica dei costi deve scoraggiare l'intervento delle ecomafie. Questa sarebbe prevenzione, seppure con costi non indifferenti. Ma anche la repressione ha i suoi non meno rilevanti costi. Le scelte politiche devono quindi tenere conto di ciò, perché se la prevenzione ha il suo limite fondamentale nell'elevato costo dell'intervento, la repressione ha il suo limite massimo nell'inefficacia o nella tardività - che talora è sinonimo di inutilità - della sua azione.
Come sempre, per la legalità e la sicurezza, il problema sta tutto nelle scelte che lo Stato deve assumere e sapere realizzare.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Catanese anche per aver sottolineato un punto di vista che è sempre stato della nostra Commissione d'inchiesta e che ho ritrovato con piacere nelle sue riflessioni: l'illusione che ci possa essere una via «panpenalista», così noi l'abbiamo chiamata, per risolvere il problema degli illeciti e dei reati. Il procuratore ha anche segnalato, come aveva già fatto nella sua introduzione il vicepresidente Specchia, il punto dolente di un ritardo legislativo. A questo proposito devo qui dire che a poco vale richiamare il grande impegno che già dalla precedente legislatura la Commissione d'inchiesta ha profuso perché si introducessero nuove fattispecie di delitti contro l'ambiente. Il frutto di questo nostro impegno purtroppo oggi giace ancora all'esame congiunto delle Commissioni ambiente e giustizia del Senato; anche il disegno di legge del Governo, dopo la risoluzione di un contenzioso di cui diede notizia l'allora ministro Ronchi proprio nel forum di Napoli, è ancora all'esame del Senato ed io debbo aggiungere di sentirmi personalmente sconfitto perché non credo che entro questa legislatura si riuscirà ad introdurre nel nostro codice penale quanto già previsto in quelli non solo della Francia e della Germania ma anche della «cugina» Spagna, cioè i delitti contro l'ambiente.
Inoltre - ma il fatto andrà verificato nei passaggi successivi - approfittando della discussione nelle Commissioni ambiente e lavori pubblici della Camera del provvedimento in materia di definizione di rifiuto, il cosiddetto Ronchi quater, si potrà introdurre una norma particolare per quel che riguarda la questione del traffico illecito di rifiuti pericolosi, prevedendo altresì una sanzione penale. Siamo però molto lontani, anche se questo accadrà, da quell'insieme di norme legislative alla cui esigenza faceva ora riferimento, ai fini delle indagini ma anche per


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la stessa considerazione di certi fatti come reati (quale associazione a delinquere se non c'è delitto?), il procuratore della Repubblica.

ANTONIO CATANESE, Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria. Siamo ancora a livello contravvenzionale.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Esattamente. Prima di passare all'intervento del prefetto di Catanzaro, Vincenzo Gallitto, desidero ringraziare, per la loro presenza, i consiglieri regionali Nucera, Tommasi, Chiarella, Tripodi e Amendola.

VINCENZO GALLITTO, Prefetto di Catanzaro. Ringrazio innanzitutto il presidente Scalia per questo incontro e questa opportunità che giudico di grande interesse per la Calabria: infatti mettersi intorno ad un tavolo per un monitoraggio generale di carattere istituzionale che riesca a dare risposte alla Commissione parlamentare d'inchiesta perché questa possa poi portare avanti iniziative utili per superare la situazione esistente nella regione, mi sembra un fatto di grande rilevanza.
La prima parte del mio intervento sarà svolta anche nella mia qualità di commissario di Governo e come prefetto del capoluogo di regione, quindi in qualche modo responsabile di alcune situazioni di coordinamento delle quali desidero dare formalmente informazione, manifestando al tempo stesso il nostro impegno totale: i prefetti e le forze dell'ordine della regione dall'ottobre del 1997 si preoccupano non solo di collaborare con il commissario delegato, in quanto hanno anche svolto compiti di prevenzione, monitoraggio, affiancamento ed esecuzione di provvedimenti arrivati molto spesso non concordati, ma senz'altro condivisi. Questo è un sistema di lavoro che ha portato sicuramente vantaggi nel senso di aver determinato una serie di misure ritenute necessarie per superare le varie forme di emergenza a tutti note.
La seconda considerazione che desidero fare è che certamente, anche alla luce delle parole sentite, vi è stata nelle province calabresi una sorta di differenziazione di attività e di tempi forse dovuta al fatto che in alcuni posti si è avuta la fortuna di partire prima e con una serie di iniziative che hanno definito i tempi, le modalità e le procedure, nonché le cose da fare, per cui, se oggi possiamo dire che alcune parti del territorio regionale hanno registrato una velocità maggiore, questo lo si deve sicuramente alle sinergie realizzate nell'ambito delle province di cui parliamo.
Siamo prossimi al terzo anno, quasi alla scadenza della prima ordinanza che riguarda l'emergenza rifiuti, e dire che entro l'anno porteremo a termine questo nostro impegno mi sembra ragionevole. Mi sembra opportuno anche approfondire i temi di cui ha parlato il sub-commissario Reale, ma l'obiettivo, dal mio punto di vista, è senz'altro possibile e raggiungibile.
Vengo ora ad alcune considerazioni di carattere generale, riservandomi in sede di risposta o comunque nel pomeriggio le attività di informazione che riguardano i singoli monitoraggi di cui si parla. Dal terremoto di Napoli in poi, dal 1980 sono sempre stato coinvolto nelle emergenze; ho vissuto la fase della creazione dell'articolo 5 della legge n. 225, nata proprio da Napoli. Fu a Napoli che cominciammo a costruire il sistema che prevedeva la deroga alle norme, salvo il rispetto dei principi generali dell'ordinamento, che ha poi registrato nel tempo le varie evoluzioni che conosciamo.
L'istituto del commissario delegato trova le sue radici nell'esistenza di una situazione di emergenza di rilievo nazionale che richiede la messa in atto, in tempi rapidissimi, di tutte le misure occorrenti per affrontare e risolvere le situazioni che hanno dato origine alla crisi. Richiede, altresì, che sia scelta una figura istituzionale ed esperta che abbia la capacità di progettare e far eseguire tutte le attività urgenti ed indifferibili per superare le varie difficoltà. È proprio per favorire il rapido raggiungimento degli


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obiettivi che il Governo intende conseguire che viene data la possibilità di usare lo strumento dell'ordinanza in deroga.
Provvedimento derogatorio di cui, purtroppo, si fa ormai un uso quasi ordinario - lo ha rilevato anche il vicepresidente Specchia nella sua relazione -, con evidenti riflessi negativi sull'immagine, appunto «straordinaria» che l'istituto del commissario delegato deve avere.
Superare lacci, lungaggini, difficoltà burocratiche, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, dirigere in modo unitario le varie amministrazioni, condurre a termine in tempi rapidissimi le opere strutturali e le misure indispensabili per far superare l'emergenza: sono queste, a mio parere, le principali caratteristiche dell'attività del commissario delegato.
In Calabria si è reso necessario far ricorso all'emergenza di cui all'articolo 5 della legge n. 225 del 1992 per una situazione che aveva ormai raggiunto, nel campo dei rifiuti in modo specifico, livelli altissimi di rischio, livelli tali da far temere che fosse ormai quasi impossibile porre rimedio alle negligenze, agli immobilismi, alle disfunzioni palesi in tutto il territorio regionale. I drammatici dati disponibili sono contenuti in tutti i documenti ufficiali.
La soluzione di scegliere come attuatore degli interventi di emergenza lo stesso ente che avrebbe dovuto provvedervi in via ordinaria ha avuto vantaggi e svantaggi. Tra i vantaggi va annoverata indubbiamente l'opportunità di utilizzare le conoscenze, gli studi, le progettazioni esistenti; tra gli svantaggi il pericolo di «sedersi» sui problemi a guisa di una «attività» ordinaria che usa gli strumenti giuridici della straordinarietà. Di ambedue le situazioni noi abbiamo cosciente informazione nel parlare del modo con il quale l'emergenza Calabria è stata affrontata.
Sono note a tutti le varie ordinanze che, ad iniziare dalla n. 2696 del 21 ottobre 1997, hanno stabilito i vari interventi «immediati» per affrontare le situazioni di emergenza nei vari settori, prima per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e poi per la tutela delle acque.
Ad un primo momento ricco di attività progettuali, cominciato con il documento da me elaborato agli inizi del 1998 per la definizione di una strategia globale di primo intervento nella provincia di Catanzaro, in aderenza all'incarico di sub-commissario, che ha posto la prima pietra del complesso piano regionali degli interventi di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilabili, adottato nel maggio dello stesso anno, è seguito poi un periodo durante il quale sono state notevoli le pause, le attese. È altresì noto che è stato redatto nel febbraio di quest'anno un programma di intervento e di emergenza nel settore delle acque reflue che attende l'intesa del Ministero dell'ambiente. La Calabria, come tutti ormai andiamo dicendo in coro, deve guardare al suo futuro con un'attenta considerazione della migliore utilizzazione delle sue «perle», le sue risorse naturali, per il turismo. Ma perché questo obiettivo possa essere raggiunto occorre porre in atto tutte le misure necessarie affinché l'ambiente in generale sia rispettato; che le acque del mare siano pulite, che i depuratori funzionino, che i comuni siano messi in condizione di rispettare l'ambiente, che i cittadini cambino la cultura della prevenzione, che siano affrontate nel modo più coordinato ed efficiente possibile le misure per fronteggiare gli incendi boschivi, che sia assicurata la fornitura delle acque potabili, che siano riutilizzate le acque reflue, che siano rivisti i progetti di approvvigionamento idrico, eccetera.
Ovviamente, la maggior parte di queste attività costituiscono competenze ordinarie di regioni, province e comuni, mentre debbono essere ricondotte, per effetto delle ordinanze emesse, alla responsabilità del commissario delegato specialmente quelle riguardanti rifiuti (siano essi ordinari, pericolosi, eccetera), sia tutto ciò che riguarda l'uso delle acque.
L'approssimarsi della stagione estiva, con il carico dei problemi dell'insufficienza dei servizi che forniamo ai cittadini ed ai turisti, non può permettersi di


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registrare ancora una volta un disastroso sistema di funzionamento dei depuratori.
Ritengo urgentissimo provvedere a tutti gli adempimenti per l'esecuzione degli appalti già effettuati, in modo che sia scongiurato il dramma delle acque del mare inquinate, così come ritengo che debba essere dato un decisivo colpo di reni per ridare velocità e concretezza alle pianificazioni approvate ed ai progetti indispensabili per affrontare in modo coerente le varie problematiche rimaste da affrontare e risolvere.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Ringrazio il prefetto Gallitto anche per aver sottolineato con enfasi la questione delle acque, della loro depurazione e del ciclo integrato; sostanzialmente siamo già in estate e mi rendo conto della sensibilità che vi è al riguardo, che purtroppo la Commissione può recepire solo per aspetti del tutto tangenziali; come parlamentari però sicuramente ben comprendiamo il problema e quelli che al riguardo sono i compiti del Parlamento.
Il successivo intervento è quello del responsabile del settore della Polizia forestale per la Calabria, Francesco Curcio.

FRANCESCO CURCIO, Responsabile del settore della Polizia forestale per la Calabria. Signor presidente, il tema trattato in questa sessione, cioè le riflessioni sull'istituto del commissariamento, funzionamento ed efficacia, mi lascia un poco spiazzato, nel senso che l'attività del mio ufficio nel settore dei rifiuti non si è tanto soffermata sulle problematiche connesse con l'istituto del commissariamento, quanto sull'esame del binomio rifiuti-territorio, consapevole che la gestione della prima variabile (rifiuti) avrebbe avuto delle ricadute sulla seconda (territorio).
In tale ottica, quindi, come settore di Polizia forestale ed ambientale del Corpo forestale dello Stato che opera in Calabria, impegnati diuturnamente nella tutela dell'ambiente e nella salvaguardia della natura e della biodiversità, ci siamo sentiti chiamati in causa e coinvolti a pieno titolo nel tenere sotto controllo il citato binomio, certi che la cattiva gestione dei rifiuti avrebbe certamente provocato notevoli danni alle persone e guasti all'ambiente. Lo studio del fenomeno, come dirò più innanzi, ha purtroppo confermato le nostre preoccupazioni e l'analisi di alcuni dati ha dimostrato la gravità del problema in tutta la sua drammaticità.
Mi sia consentito, signor presidente, di poter però entrare nel cuore del problema per gradi, analizzando innanzitutto alcuni risvolti della legislazione in materia. L'analisi del binomio rifiuti-territorio, infatti, è partita dalla considerazione che il decreto legislativo n. 22 del 1997 ha segnato un'evoluzione nella disciplina del settore, attraverso un'importante enunciazione di principio che qualifica questo norma come legislazione ambientale in senso stretto. L'articolo 2 sancisce infatti che «i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza creare pregiudizio all'ambiente». Specifica poi in modo particolare che dovranno essere evitati rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, la fauna e la flora, senza causare inconvenienti da rumori o odori e senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse ambientale. Un principio di enunciazione generale rafforzato da diverse previsioni specifiche, quali per esempio il divieto generale di abbandono/deposito incontrollato di rifiuti e la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati.
In buona sostanza il settore dei rifiuti ha cambiato regime con l'entrata in vigore del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, successivamente modificato e integrato. I principi generali che qualificano la nuova normativa rendono chiarissime le finalità di protezione dell'ambiente e di responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo di vita dei prodotti. Il decreto infatti ha voluto responsabilizzare alla soluzione del problema dei rifiuti i soggetti economici, la pubblica amministrazione, i consumatori che sono chiamati in vario modo a cooperare per realizzare l'obiettivo di una minore produzione


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di rifiuti e di diminuire il flusso di rifiuti avviati allo smaltimento. Il tutto ovviamente nel pieno rispetto dell'ambiente.
È proprio tale ultimo aspetto che ha interessato molto l'attività del mio ufficio, anche nella consapevolezza che la pubblica amministrazione (comuni per primi) non sarebbe stata all'altezza del compito.
Il legislatore, già nel 1982, con il decreto del Presidente della Repubblica n. 915 aveva coinvolto i comuni, che, ai sensi del famigerato articolo 12, potevano avvalersi del potere di emettere ordinanze contingibili ed urgenti, in deroga alla normativa. Tale potere ha continuato a vivere anche con il «decreto Ronchi», il quale, con il disposto dell'articolo 13, ha dato la possibilità, ognuno per le rispettive competenze, al presidente della regione, a quello della provincia ed al sindaco, di poter emettere ordinanze, contingibili e urgenti, per consentire il ricorso a speciali forme di gestione dei rifiuti, garantendo però, questa volta - non era stato così con il primo decreto del Presidente della Repubblica -, un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente.
Sembrava che ci si dovesse incanalare in una giusta strada, ma forse il legislatore si era accorto che molti sindaci avevano poi aggirato l'ostacolo, per cui probabilmente voleva dargli la possibilità di riscattarsi. Ma, evidentemente, ancora una volta peccava di buonismo, ignaro che i maggiori inquinatori si sarebbero dimostrati, da lì a poco, proprio i sindaci ai quali aveva dato la possibilità di intervenire in deroga.
È noto a tutti che il ricorso alle ordinanze, vigente la pregressa disciplina, ha dato luogo ad una serie di non pochi abusi o prassi abnormi abituali, talché molti sindaci, usando e abusando del vecchio articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, hanno di fatto realizzato discariche permanenti sul proprio territorio reiterando le proprie ordinanze per anni e anni di seguito senza alcuna soluzione di continuità.
Ma neanche il subentrato articolo 13 del «decreto Ronchi» ha posto un freno a tali abusi, seppure impostato in maniera più severa, rispetto al previgente articolo 12. In tale articolo 13 viene stabilito, infatti, che il verificarsi delle situazioni di eccezionale e urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente non legittima il provvedimento del sindaco, ma devono sussistere altre condizioni preliminari. È infatti espressamente previsto che il ricorso a detta prassi non solo deve essere inevitabile, perché non si può altrimenti provvedere, ma non devono sussistere conseguenze di danno o di pericolo per la salute e per l'ambiente.
Stanti così le cose, si è cercato di verificare con accurati sopralluoghi, effettuati su tutte le discariche comunali dei 409 comuni della regione Calabria, quale fosse lo stato dell'arte, basandosi non su notizie ricevute, ma su sopralluoghi effettuati su ogni discarica. Ciò è stato fatto con una prima indagine che si è conclusa nel 1994 (in vigenza del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982) e, successivamente, con una seconda indagine espletata nel periodo giugno 1997 - maggio 1998 e, quindi, già in vigenza del subentrato «decreto Ronchi».
Risparmiandovi la elencazione dei dati riscontrati nella prima indagine, periodo in cui moltissime discariche venivano gestite dai comuni in maniera selvaggia e senza alcun provvedimento, mi sia consentito di riferire su alcuni dati più significativi riscontrati con la seconda indagine, quella appunto effettuata nel periodo giugno 1997 - maggio 1998, che, peraltro, poco si discostano dai dati rilevati nel 1994.
Nei 409 comuni della regione sono risultate attive 319 discariche comunali, delle quali nel 95 per cento gestite direttamente dalle amministrazioni comunali. I rimanenti 90 comuni, non avendo una discarica propria, utilizzavano quella dei comuni viciniori, ovvero, in molti casi, utilizzavano le cosiddette discariche d'ambito o discariche consortili.
Ecco di dati più significativi emersi, riferiti alle 319 discariche risultate attive:


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32 non erano recintate; su 269 discariche non si effettuava la cernita dei rifiuti; su 54 discariche non si effettuava la compattazione; 80 erano quelle con i rifiuti in fase di combustione; su 122 non si effettuava la disinfestazione; 241 (il 75 per cento) erano state realizzate senza un sistema di impermeabilizzazione; su 250 non si effettuava la raccolta del percolato; 64 erano quelle realizzate in territorio boscato; 2 erano quelle realizzate in territorio posto al di sopra dei 1200 metri; 35 quelle realizzate a distanza inferiore a 150 metri da acque pubbliche; 15 erano quelle realizzate in aree protette; 272 erano quelle attivate con il ricorso al potere dell'ordinanza (un dato che dà il senso della poca attenzione delle amministrazioni comunali). Delle 272 discariche in questione, 147 erano state attivate con il ricorso all'abrogato articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982 (dunque, non si erano resi conto di aver messo ordinanze sulla base di decreti che non esistevano più). Infine, la superficie coperta da rifiuti è risultata di circa 185 ettari.
A tale desolante quadro occorre aggiungere la miriade di microdiscariche disseminate sul territorio ad opera di «disinvolti» cittadini. Anche qui, evidentemente, la colpa non è solo ed esclusivamente del cittadino inquinatore, in quanto una grossa fetta di responsabilità ricade, ancora una volta, sulle spalle dell'amministrazione comunale. Infatti, una oculata ed attenta politica di gestione dei rifiuti, in attesa di far smuovere le coscienze e programmare e attuare la raccolta differenziata, avrebbe dovuto far attivare i sindaci ad indicare ai cittadini i luoghi dove depositare i rifiuti - ancorché se classificati speciali o appartenenti alla categoria dei beni durevoli - e ad indicare le eventuali modalità della loro raccolta da parte dei soggetti a ciò preposti. Si è infatti notato, laddove i comuni hanno reso edotti nel merito i propri amministrati, si sono riscontrate minori quantità di rifiuti abbandonati. Peraltro, le persone trovate a depositare abusivamente i rifiuti lungo i margini delle strade o lungo i margini dei torrenti sono sempre cittadini di comuni diversi da quello ove è stato accertato l'illecito.
A tal proposito si è anche riscontrata una notevole mancanza di volontà, da parte delle amministrazioni comunali, ad emettere ordinanze ex articolo 14 del decreto Ronchi, per la rimozione, il recupero, lo smaltimento e il ripristino dello stato dei luoghi, nei confronti di coloro che hanno abusivamente abbandonato o depositato rifiuti sul suolo e nel suolo.
Da questo quadro drammatico, alla emanazione del DPCM del 12 settembre 1997, cioè alla dichiarazione dello stato di emergenza della regione Calabria, il passo è stato breve. Detto decreto, infatti, fa riferimento ad una situazione straordinaria ed estremamente pericolosa per l'ambiente e per la salute della popolazione residente costretta a convivere in un contesto di un totale degrado, e ciò anche alla luce di quanto rappresentato dalla regione Calabria relativamente allo stato di pericolosità connesso al sistema di smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
In verità, la regione, seppur ha rappresentato con forza la grave situazione in cui versava con il problema dei rifiuti, probabilmente poco o nulla ha fatto per evitare che si arrivasse allo stato di emergenza. Poco o nulla ha soddisfatto le richieste dei sindaci che si vedevano sequestrare le proprie discariche perché realizzate abusivamente o comunque gestite in maniera tale da creare danni alla salute delle persone ed all'ambiente.
Circa il funzionamento e l'efficacia dell'istituto del commissariamento, il mio ufficio non ha particolari parametri. Di certo, con il commissariamento la situazione è andata man mano migliorando, sia perché molte discariche sono state chiuse, sia perché è stato disposto il concentramento dei rifiuti solidi urbani presso discariche consortili, sia perché si è avviato il lavoro per la bonifica dei siti (circa 800, come riferito poco fa da Reale). Qualche perplessità, però, mi sento di nutrire relativamente alla bonifica dei danni provocati in profondità dal percolato. Infatti, una cosa è intendere per


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bonifica la copertura dei siti, altra cosa è intendere la bonifica come qualcosa di più serio e di più concreto, perché in questo caso dobbiamo andare in profondità, e non sappiamo fin dove il percolato in tutti questi anni sia riuscito ad arrivare.
Una siffatta situazione, comunque, ha fatto rilevare vasti spazi di illegalità che vanno dalla mancanza dei requisiti tecnici, a gravi omissioni amministrative, a smaltimenti abusivi di rifiuti provenienti da varie regioni. Non solo: la scarsa attenzione rivolta negli anni alla risoluzione del problema dei rifiuti da parte delle figure a ciò preposte ha, verosimilmente, contribuito a far sì che la criminalità organizzata, meglio nota come ecomafia, potesse rivolgere una particolare attenzione in questo settore, scarsamente controllato ed ove l'arretratezza della pubblica amministrazione ha avuto un ruolo, in negativo, molto importante.
È dovere delle istituzioni arginare l'illegalità ambientale ad opera di una criminalità sempre più insidiosa attraverso una attenta politica di prevenzione ed una corretta gestione del territorio con strumenti normativi adeguati ed efficaci. La sicurezza ambientale - riportando un pensiero del signor Presidente della Repubblica - deve divenire uno degli obiettivi prioritari per la politica di qualificazione del territorio e di difesa della sua grande ricchezza naturale, storica e culturale considerata unica al mondo. Un importante ruolo dovrà avere anche il legislatore, novellando il codice penale con l'introduzione di nuove fattispecie di reato da collegare con le discipline ambientali. Dovrà trattarsi di un adeguamento legislativo che possa fornire alla polizia giudiziaria ed alla magistratura, ognuno per la parte di competenza, di poter meglio investigare e di poter colpire i responsabili con pene più adeguate.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Curcio anche per l'attività di controllo che traspariva dalla puntuale elencazione di una serie di situazioni irregolari.

Il seminario sospeso alle 12.10, è ripreso alle 12.30.

Seconda sessione: Il supporto tecnico alla gestione commissariale.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al dottor Basile, componente della commissione tecnico-scientifica di supporto al Commissario delegato, voglio sottolineare che lo faccio con molto piacere, in quanto nella precedente legislatura egli è stato un apprezzatissimo membro della Commissione monocamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti.

DOMENICO BASILE, Componente della commissione tecnico-scientifica di supporto al Commissario delegato. Illustrerò la struttura tecnica che supporta l'attività del Commissario delegato e, più specificamente, l'ufficio da quest'ultimo costituito per l'espletamento delle mansioni connesse con le ordinanze ministeriali che si sono via via succedute.
La struttura è composta da 55 elementi, poiché agli originali 35, previsti nella prima ordinanza, ne sono stati aggiunti altri 20 nel momento in cui sono stati ampliati i poteri, in modo tale che oltre ai rifiuti solidi urbani ci si interessasse anche di bonifiche di siti inquinati e, soprattutto, di tutela delle acque. Attualmente, la struttura vede al vertice un responsabile unico del procedimento ed è articolata su due settori (quello rifiuti e quello acque) e tre uffici (tecnico; amministrativo-contabile; legale). A sua volta, il settore rifiuti solidi urbani coordina le attività di quattro servizi (bonifiche; raccolta differenziata; speciali; rifiuti solidi urbani). Per le acque attualmente è previsto un servizio unico, poiché finora si è interessato più di una fase di programmazione che di fasi di gestione.
Specifico che con la struttura di 55 persone, che non è regionale, in quanto il Commissario ha organizzato il suo ufficio attingendo dalla pubblica amministrazione, ma non utilizzando gli uffici regionali, il Commissario si è trovato di fronte alla situazione che aveva portato all'emergenza e che il dottor Curcio ha riassunto nel suo intervento. Da allora ad oggi sono stati fatti molti passi in avanti, tant'è che


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il dottor Reale ha specificato i progressi raggiunti. Per quanto mi riguarda, anche in considerazione dell'attenzione posta dal prefetto Gallitto sul problema della depurazione, ritengo doveroso illustrare alla Commissione, al suo presidente e a tutto l'uditorio, lo stato dell'arte in ordine alla depurazione delle acque, quindi alla tutela delle nostre coste dall'inquinamento.
Abbiamo appaltato e aggiudicato tutta la questione di un sistema depurativo complesso, che prevede 350 impianti depurativi al servizio di 250 comuni; questi ultimi sono quelli che avevano o un impianto realizzato e non avviato o un impianto realizzato e avviato, ma malgestito; oppure sono quei comuni che, spontaneamente, hanno rimesso alla nostra gestione l'attività del loro impianto di depurazione. Di questi 350 depuratori, 40 sono per la provincia di Crotone, 80 per la provincia di Vibo Valenzia, 80 per la provincia di Catanzaro, 80 per la provincia di Reggio, 150 per la provincia di Cosenza. Il numero elevato per tale provincia dipende dal fatto che è dotata di più impianti di depurazione rispetto a tutte le altre provincie calabresi (sin dagli anni passati è stata operata una scelta in questa direzione nella provincia di Cosenza). Mi sembra che proprio due giorni fa siano stati consegnati gli impianti alla provincia di Crotone, per cui già da oggi è partita la nostra gestione di impianti che - ripeto - comunque non funzionavano bene; abbiamo consegnato ieri gli impianti alla provincia di Vibo; consegneremo domani gli impianti alla provincia di Catanzaro; consegneremo lunedì quelli di Reggio Calabria e martedì quelli di Cosenza. Tutto ciò per quanto riguarda il nuovo appalto per la gestione dei depuratori che funzionavano male.
Per ciò che attiene, invece, all'utilizzo delle risorse di cui l'ufficio del commissario è stato investito, i 250 miliardi sono stati sbloccati al 70 per cento, tant'è vero che sono stati avviati i sistemi relativi alla costa tirrenica-vibonese, alla Sila greca, alla comunità montana paolana e alla costa ionica-catanzarese. Purtroppo, siamo ancora in attesa di quella parte del nostro piano acque che, nella sua globalità, prevede un intervento finanziario di circa mille miliardi: una parte doveva esserci attribuita in tempi celerissimi, per lo meno questi erano gli impegni stipulati con il ministro, ma ancora non ci sono stati attribuiti i 300 miliardi dell'accordo quadro; pertanto, siamo in attesa di poter procedere a questi ulteriori interventi, che comunque sono stati già programmati e progettati, tant'è vero che costituiscono parte sostanziale ed integrante del piano acque di cui parlavo prima.
Ciò è quanto l'ufficio del Commissario ha realizzato nel settore acque. Sull'avanzamento del resto ha abbondantemente parlato il dottor Reale. Ribadisco che tutto questo è stato realizzato con un ufficio di 55 persone, non regionale, in quanto sostanzialmente composto di dipendenti della pubblica amministrazione, quindi a tutto onore della classe professionale calabrese.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Basile per la sua rapida ed efficace esposizione ed anche per aver dato qualche buona notizia.
Prima di dare la parola al dottor Regasto, ringrazio il senatore Meduri per essere presente alla nostra iniziativa.

SAVERIO REGASTO, Presidente della commissione tecnico-scientifica di supporto al Commissario delegato. Sono presidente della commissione tecnico-scientifica da troppo poco tempo - dalla fine di febbraio - per essere autorizzato a ripercorrere i passi che la commissione ha fatto nei precedenti due anni e mezzo, che credo sia stato il periodo più difficile. Ho trovato tutto pronto e impacchettato per ciò che riguardava la pianificazione, che era uno dei problemi più seri, ed ho invece ereditato la fase della realizzazione, per ciò che riguarda i rifiuti, e la fase di pianificazione e realizzazione per ciò che riguarda le acque.
Anzitutto voglio dire che sento il dovere, non formale, di ringraziare pubblicamente Italo Reale, che mi ha preceduto nell'ufficio di presidente della commissione,


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per il lavoro, ai limiti del collasso nervoso, che è riuscito a realizzare assieme a tutti i membri della commissione stessa, nei due anni e mezzo precedenti.
La situazione è stata ampiamente illustrata - per esempio dal colonnello Curcio - per ciò che riguardava i problemi dell'emergenza della Calabria ed è stata affrontata di petto anche con l'apporto fondamentale e con lo stimolo della Commissione parlamentare, per cui oggi si cominciano a percepire i primi grandi risultati. Non nascondo che giungono all'ufficio del Commissario, al presidente e ai membri della commissione segnali, sia pur leggeri, di un rigurgito di illegalità e di illiceità, per esempio, per quanto riguarda le discariche, su qualche comportamento un po' «leggero» da parte di qualche amministrazione. D'altra parte, i comuni sono 409, e non possiamo mandare l'esercito a controllare che in ciascuno non vi sia, dopo la realizzazione del piano e dell'impiantistica, un qualche cittadino che, con eccessiva leggerezza, non ripercorra passi già fatti, infestando boschi, torrenti e zone di particolare valore naturalistico con rifiuti in molti casi pericolosi.
Ciò detto posso raccontare, brevemente, quanto ho fatto. Ho cercato di capire e, dopo il lavoro svolto da Italo Reale e dagli altri membri della commissione, ho visto che i poteri della commissione erano scarsamente definiti all'interno dell'ordinanza, visto che «la commissione coadiuva il commissario delegato nella definizione del piano ed al fine di fornire le prescrizioni tecniche per la realizzazione degli interventi medesimi ed assicurare la gestione degli impianti (...). Coadiuva il commissario per la realizzazione dei programmi nel rispetto dei tempi previsti». Mi aspettavo, per esempio, che nel decreto istitutivo della commissione, che è del ministro dell'ambiente, vi fosse una ulteriore specificazione dei compiti, non tanto e non solo per le questioni attinenti alla pianificazione, ma anche per la questione relativa alla gestione ordinaria, perché di fatto l'ufficio del Commissario in questa fase oltre alla gestione commissariale ha anche quella ordinaria del rapporto con i comuni e le province. Sono contento che Italo Reale abbia detto che stiamo lavorando insieme alla definizione di una sorta di attuazione del decreto Ronchi nella parte relativa all'affidamento ai comuni e alle province dei compiti previsti nel decreto legislativo n. 22; cosa che dobbiamo fare noi, come ufficio del Commissario, in una situazione in cui nella normalità, invece, dovrebbe essere adottata con legge regionale.
Non ho nulla da aggiungere, se non sottolineare, per rispondere ad una delle domande rivolteci stamattina dal vicepresidente Specchia, qualche situazione strana che si è creata nei rapporti con i comuni, anche con i membri della commissione e il suo presidente. Direi che in questo periodo vi sono state amplissime adesioni al progetto e al piano e all'idea che la Calabria uscisse dall'emergenza in tempi relativamente brevi. Vi sono state anche sacche di resistenza molto forti: non vorrei essere cattivo, ma non posso dimenticare, sotto campagna elettorale, la pressione di un comune e di alcuni amministratori di comune a proposito della localizzazione degli impianti (giusto per non fare nomi, Cosenza nord e comune di Bisignano), che hanno accampato più o meno presunti motivi di ordine pubblico per non volere l'impianto di termovalorizzazione. Mi sono chiesto se per costruirlo era necessario portarci la forza pubblica, considerato che per sette mesi la commissione scientifica ha passato al tappeto tutto il territorio della provincia di Cosenza per trovare un sito idoneo. E quel sito corrispondeva pienamente alle prescrizioni del «decreto Ronchi»; abbiamo cercato ogni tipo di accordo, anche di ordine economico, essendo ciò previsto; ciò nonostante i rapporti sono stati estremamente difficili.
Però quello che più mi ha incuriosito, forse per una questione anche di mestiere, è stato il modo in cui era stata strutturata l'ordinanza di commissariamento. Ho trovato molto strano, anche se una giustificazione l'ho individuata, che si commissariassero le procedure e non l'organo. In


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realtà, in Calabria - ma sembra anche in altre regioni - l'idea era di commissariare le procedure, quindi di sveltire e di eliminare tutta una serie di passaggi burocratici, di modo che l'ufficio del Commissario potesse realizzare in tempi più brevi ciò che in regime ordinario la regione non era riuscita a fare. Ho riflettuto e ho trovato una giustificazione nel fatto che la regione non è come un piccolissimo comune di una sperdutissima provincia: la regione è un ente dotato di potestà legislativa, è un ente comunque costituzionalmente garantito, per cui mi rendo conto che il rapporto non poteva essere quello del commissario prefettizio del comune sperduto di una valle bergamasca. Bisognava trovare una soluzione di compromesso, cioè quella - poi adottata nel decreto del Presidente del Consiglio - di nominare commissario il presidente della giunta regionale. Ma devo dire con grande franchezza che nel periodo in cui ho ricoperto l'ufficio di presidente inspiegabilmente ha creato qualche problema e forti ritardi la creazione dell'istituto del commissario vicario, per lo più nell'anno di scadenza di legislatura regionale: saremmo arrivati, per esempio, ad assegnare tranquillamente alle province la gestione delle discariche addirittura molto prima dell'estate; sicuramente ci arriveremo in autunno. Questo perché, come ha detto prima il collega Reale, il ritorno della politica, in particolare in un momento come quello delle consultazioni elettorali regionali, ha creato più problemi di quanti non ne abbia risolti. Il ritorno della politica ha creato ritardi, situazioni di attesa e domande. Per il futuro, visto che siamo in attesa della nuova ordinanza - speriamo che arrivi - forse la soluzione potrebbe essere quella di ripensare all'istituto del commissario vicario e di specificare e rivedere - esprimo il mio pensiero personale - i poteri della commissione scientifica. Finita la fase della pianificazione, che ruolo dovrà svolgere nella fase della realizzazione, da qui alla fine dell'anno? Credo anche che sia opportuno ricollocare il ruolo dell'ENEA, ente strumentale rispetto all'ufficio del Commissario, che svolge un ruolo particolare nella realizzazione delle bonifiche e dei primi interventi d'emergenza. Il mio invito è di tener conto di ciò che è stato fatto e dell'esperienza vissuta finora per riscrivere l'ordinanza in tempi brevi. Ritengo sia ragionevole pensare che entro la fine del 2000 la situazione dell'emergenza in Calabria, per ciò che riguarda i rifiuti in particolare, possa essere risolta. Mi sono confrontato con molti membri della commissione, e credo di poter dire che dal 1o gennaio del 2001 la Calabria potrà tornare alla gestione ordinaria.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Regasto anche per i suoi suggerimenti. Ovviamente prendiamo atto del fatto che le scelte politiche e le figure politiche creano indubbiamente problemi rispetto alle gestioni commissariali. Vedremo poi, nelle riflessioni della Commissione, come affrontare questo tema.

MICHELE MIRELLI, Componente della commissione tecnico-scientifica di supporto al Commissario delegato.
Ringrazio il presidente Scalia per averci offerto l'occasione di discutere delle attività dell'emergenza in atto in Italia.
Vorrei prendere spunto, brevemente, da una mia posizione un po' particolare, essendo stato spettatore e contemporaneamente attore di quasi tutte le emergenze, negli ultimi sei anni, succedutesi con ordinanze di protezione civile. Paradossalmente in Calabria siamo stati fortunati, arrivando quasi per ultimi, prima della Sicilia, essendo comunque partiti da una base non pianificata: in buona sostanza, gli impianti esistenti non avevano una ragion d'essere se non per l'iniziativa, o privata o totalmente pubblica adottata in passato, che aveva costituito il sistema di smaltimento e trattamento dei rifiuti. Una parte di investimenti pubblici (Cassa del Mezzogiorno, legge n. 64, eccetera) aveva prodotto una serie di impianti sul territorio che talvolta avevano dato cattivissimi risultati di esercizio, in termini sia ambientali, sia, soprattutto, gestionali.
In questa situazione, l'ufficio del Commissario e il Commissario stesso, supportato


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dalla commissione scientifica, hanno potuto operare come su un foglio di carta bianca, riuscendo a pianificare, attraverso l'emanazione del decreto legislativo, tutto ciò che era possibile nel rispetto della nuova legge e del nuovo sistema, che individuavano nel recupero e nel riciclo in modo ottimale di smaltimento dei rifiuti urbani. La strada scelta, quindi, è stata quella di pianificare in ambiti ottimali, creando ambiti territoriali possibili e gestibili sinergicamente dal punto di vista sia strategico-organizzativo, sia economico. In questo devo dire che grande supporto ci è stato dato dagli uffici del Commissario per disporre di disponibilità e professionalità e per arrivare in tempi brevissimi alla definizione del piano.
Come diceva prima Italo Reale, i due sistemi andati in appalto sono effettivamente il risultato finale di tutta la pianificazione, che attualmente è in leggero stand-by a causa del CIP 6, che pare non sia riconfermabile su questo tipo di impianti e che, quindi, non consente la sottoscrizione degli atti contrattuali da parte dell'ufficio del Commissario con i due raggruppamenti di impresa.
Vorrei anche ricordare brevemente ciò che è successo in altre regioni. In Campania abbiamo trovato una situazione molto diversa, assai più organizzata dal punto di vista territoriale, più pericolosa sotto certi aspetti e grandemente concentrata in due grandi aree, quella del napoletano-casertano e, soprattutto, quella dell'entroterra del salernitano. In Campania i problemi di trasporto, di scarsa infrastrutturazione del territorio e di inurbamento incredibile in alcune aree (praticamente più del 50 per cento della popolazione risiede nei due grossi abitati di Napoli e di Salerno) non hanno consentito di passare immediatamente a una pianificazione strategica, ma dopo tre anni di esercizio da parte del Commissario si è riusciti a mettere in piedi un sistema, per lo meno controllato, che ha cercato di mettere fuori gioco le solite consorterie che trattavano in maniera totalmente privatistica i rifiuti urbani e che soprattutto ne ha bloccato il traffico parzialmente illecito. Anche a Napoli è andato in appalto un sistema fatto più o meno come quello calabrese. Per Napoli il problema, che dovrebbe essere risolto in questi giorni, è che attualmente non riusciamo a trovare la localizzazione di uno degli impianti programmati.
Il paragone tecnologico fra i due sistemi ipotizzati, cioè fra quello calabrese e quello campano, è però a favore del primo, perché la scelta tecnologica operata nello schema generale degli impianti parte comunque dal 35 per cento di raccolta differenziata; è previsto un trattamento totale della residuale parte di rifiuti, per cui avremo impianti di selezione, trattamento delle materie prime selezionate, recupero del materiale ancora recuperabile e avviamento a recupero energetico solo di quella parte che può effettivamente diventare il cosiddetto CDR; quest'ultimo, non ancora perfettamente tabellato, anche se le norme sono recentissime, ha solo qualche problema di prove su impianti esistenti. Per gli impianti calabresi l'ipotesi di lavoro è stata quella di prendere, come base di riferimento delle emissioni, la normativa più ristretta in circolazione, sia in Europa, sia in America, per cui il calcolo sulle emissioni ha tenuto conto di valori di abbattimento molto più elevati rispetto a quelli di altre parti d'Europa. Naturalmente ciò utilizzando tecnologie note e comprovate, perché nulla in uno stato di emergenza poteva essere sperimentale; doveva trattarsi di un miglioramento dell'esistente che non comportasse niente di sperimentale; doveva trattarsi di qualcosa di innovativo per il territorio in cui ci troviamo, ma consolidato e basato su tecnologie note per le quali sia oggettivamente possibile ipotizzare sia i costi gestionali, sia quelli ambientali.
Ciò detto, vorrei sottolineare due fatti essenziali. Il primo è relativo ai leggeri ritardi di attuazione degli interventi. Avendo in passato partecipato alla stesura delle ordinanze di emergenza, devo dire che abbiamo subìto troppo il parere ondivago di alcuni uffici dei vari ministeri che si sono succeduti nella stesura delle


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ordinanze stesse, che hanno spostato alcune competenze da un lato ad un altro, da un commissario ad un subcommissario, a un vicecommissario o, parzialmente, ad una commissione intermedia che doveva definire i compiti e, qualche volta, addirittura parametri di funzionamento degli impianti.
Va poi sottolineato che alla progettazione degli impianti è venuta a mancare la legislazione tecnica. Purtroppo il «decreto Ronchi» è ancora un quadro incompiuto, mancando di tutta una serie di decreti attuativi che rendano efficace l'intero ciclo di trattamento dei rifiuti e delle acque (quest'ultimo è legato all'emissione del decreto legislativo n. 152, che ha fissato il nuovo sistema di depurazione, trattamento e riutilizzo).
I due problemi sopra evidenziati non offrono, quindi, un quadro normativo di riferimento certo, per cui sono messi in forse alcuni investimenti realizzati o i possibili investimenti resi possibili dai cittadini o dagli operatori privati. È molto forte ciò che è stato detto qui dai rappresentanti delle forze dell'ordine, dal prefetto e da chi controlla il territorio: il problema è di normativa e di quadro normativo attuativo, perché un privato che intenda esercitare un'attività di smaltimento corretta oggi si trova di fronte ad una normativa molto carente e in qualche caso addirittura contraddittoria per ciò che riguarda alcune specifiche capacità e possibilità di trattamento. Ne cito una per tutte, di qualche giorno fa: l'emanazione della normativa tecnica sull'incenerimento dei rifiuti pericolosi, dove è detto che questi ultimi non potranno più essere inceneriti negli impianti esistenti, a meno che non si tratti di cementerie nelle quali vi è possibilità di concenerimento; è detto anche che l'adeguamento di questi impianti può essere protratto fino al 2001, mentre gli impianti esistenti, anche se autorizzati a norma, non possono più esercitare l'incenerimento dei questi rifiuti dal giorno di applicazione del decreto. Dobbiamo dire chiaramente che ciò apre la strada, purtroppo, a smaltimenti illeciti, perché se non è dato nemmeno un tempo di attuazione minima a coloro che hanno impianti regolarmente autorizzati, è chiaro che l'imprenditore che produce rifiuti non smaltibili in altro modo si troverà di fronte alla chiusura degli impianti a norma di legge, per cui dovrà trovare una strada alternativa, magari ricorrendo a impianti stranieri, come accade nel 70-80 per cento dei casi, con aggravio dei costi personali dell'azienda. Dunque, ciò può purtroppo aprire la strada alla circuitazione internazionale, come è avvenuto in passato, di rifiuti altamente pericolosi o per lo meno di provenienza industriale. Questo è un fatto gravissimo. Forse è scappata la mano al legislatore, il quale ha dimenticato che, probabilmente, adeguarsi a una normativa che abbatte drasticamente certi tipi di emissione da un giorno all'altro non è possibile neanche per le automobili in circolazione.
Vorrei poi sottolineare il problema della raccolta differenziata, di cui il Commissario ha tenuto conto nei calcoli di potenzialità degli impianti e di sistema organizzato, tant'è che si è parlato, prima, delle attrezzature che stanno per essere fornite ai comuni e alle società miste con gli enti locali. Ricordo, comunque, che questo problema il Commissario non ha potuto svilupparlo in tutta la sua interezza avviando addirittura gli impianti di recupero, in quanto tali impianti sono a totale carico dei privati. Gli imballaggi primari, secondari e terziari sono comunque di competenza del CONAI, anche se i rifiuti sono raccolti dal sistema pubblico. In buona sostanza, il CONAI ha cominciato ad operare a metà del 1999, e l'ufficio del Commissario ha stipulato con esso un'apposita convenzione in cui, oltre al riconoscimento ai comuni o agli enti locali in generale che svolgono attività di raccolta degli imballaggi e di recupero degli stessi, è stato imposto di convenzionare anche gli impianti di selezione e trattamento che il Commissario andava a realizzare. Ciò significa che la filiera principale, che mette in campo una quantità di materiale valorizzato o valorizzabile, quindi da avviare al riciclo, è pubblica


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e tutto quello che è avviato al riciclo-recupero diventa un fatto di iniziativa privata. Un suggerimento: la regione ha un nuovo governo, stanno per essere fatti i nuovi piani regionali di finanziamento su fondi europei, quindi questa attività di recupero-riciclo può trovare senz'altro un grande sviluppo locale, sia per la conformazione geografica della Calabria, sia per come sono dislocate le possibilità industriali nella regione. Vi sono aree sicuramente dedicabili all'attività di riciclaggio della materia prima recuperata. La plastica, per esempio, è tra quelle che troverà pronto impiego nel recupero-riciclo; è uno dei sistemi migliori in agricoltura, in contenitori per liquidi di secondo livello o in imballaggi di altro tipo. Sicuramente non vi è convenienza al trasporto verso le industrie del nord per ottenere un prodotto finito. Attraverso i fondi strutturali europei o le leggi di spesa è possibile avviare una pianificazione industriale locale. Sotto questo aspetto, il CONAI è impegnato dall'ufficio del Commissario a trovare soluzioni locali per sviluppare l'attività di recupero-riciclo. Dunque, nel breve tempo il ciclo è possibile avviarlo, e nel breve periodo troverà senz'altro compimento. Ci auguriamo tutti di arrivare agli obiettivi che il piano si è prefissi e che la legge ci ha imposto attraverso l'ordinanza.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Mirelli anche per le segnalazioni di problemi e per alcuni suggerimenti interessanti, di cui la Commissione terrà senz'altro conto.

Terza sessione: Dibattito.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Ferrigno, prefetto di Reggio Calabria.

CARLO FERRIGNO, prefetto di Reggio Calabria. La ringrazio, Presidente, per offrirmi la possibilità di svolgere alcune riflessioni sul problema dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani che, per anni, ha costituito in questa provincia un'emergenza continua e di notevolissimo impatto anche per il mantenimento dell'ordine pubblico.
Com'è noto, in passato, avvalendosi dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, gli amministratori comunali disponevano lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani quasi esclusivamente in siti ubicati nell'ambito territoriale di competenza. Ma con la realizzazione di tale discariche si creavano, più o meno inconsciamente, delle vere e proprie bombe ecologiche, atteso che - nella quasi totalità dei casi - la procedura di smaltimento dei rifiuti e le caratteristiche dei siti in argomento contribuivano all'alterazione degli ecosistemi, con conseguente sempre maggiore inquinamento e degrado paesaggistico.
Per rimediare a tutto ciò venne poi emanato il decreto legislativo n. 22 del 1997, o «decreto Ronchi», con il quale furono dettate precise e perentorie disposizioni per il conferimento dei rifiuti in aree ben individuate e preventivamente autorizzate dall'ente regionale. Infatti, l'articolo 13 di detto decreto contraeva sensibilmente e fermamente la possibilità di fare ricorso alle ordinanze sindacali contingenti, ex articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, che spessissimo, lungi dal concretizzare situazioni temporanee e effettivamente sempre necessarie, divenivano perpetue ed inincontrollate per incuria e approssimazione o per diffuse irregolarità ed abusi.
Ciò ha provocato ripetuti interventi di controllo, specialmente da parte dei militari dell'Arma dei carabinieri e della locale sezione del nucleo operativo ecologico carabinieri del ministero dell'ambiente, che nel particolare settore dell'igiene ambientale ha competenza specifica sull'intera regione.
A tali interventi, sistematici, massicci ed incisivi, che hanno evidenziato una situazione veramente preoccupante, sono seguite le relative denuncie all'autorità giudiziaria ed il sequestro dei siti adibiti a discariche.
Ciò, nell'immediatezza, ha reso ancora più problematica la situazione, venendosi ad accentuare, in molti casi, i rischi sanitari ed ambientali, a causa dell'accumulo


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di rifiuti che non si riuscivano più a smaltire nelle poche discariche autorizzate dei comuni viciniori. Per fronteggiare, tale crisi ricordo che la Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 12 settembre 1997, ha dichiarato l'emergenza nella regione Calabria e successivamente con ordinanza del 21 ottobre 1997 si è - tra l'altro - provveduto a nominare il commissario delegato; sono cose note che è inutile ripetere.
L'ufficio del commissario ha provveduto come atto prioritario a far chiudere tutte le discariche utilizzate in modo non conforme alla normativa vigente. Sulla base, poi, di uno specifico piano, sono stati costituiti dei «bacini di utenza» o «discariche consortili», che per la provincia di Reggio Calabria hanno sede nelle seguenti località e presso cui vengono fatti convogliare i rifiuti solidi urbani di un numero variabile di comuni: Bova Marina (più 4 comuni), Casignana (più 16 comuni), Fiumara (più 10 comuni), Gioia Tauro (più 13 comuni), Laureana di Borrello (più otto comuni), Palmi (più 12 comuni), Riace, Motta San Giovanni (più 9 comuni), San Luca (più 14 comuni), Siderno (più 12 comuni) e Caulonia dove si effettua solo stoccaggio: esiste una stazione di trasferimento per il successivo smaltimento.Il piano, che prevede anche possibilità di smaltimento a carattere interprovinciale, è in fase di positiva evoluzione.
In particolare, non può non segnalarsi l'apertura dell'impianto di Sambatello che è stato finalmente attivato ed è operante già da alcuni mesi a pieno regime con forti vantaggi per l'intero territorio circostante. L'apertura di Sambatello è il segno più evidente del cambiamento determinato sul territorio dall'intervento commissariale.
In questo triennio, infatti, possiamo dire che è stato fatto tanto, ma molto resta ancora da fare, a mio giudizio, ed in primis appunto la bonifica di tutti i siti già adibiti a discariche abusive.
Costanti sono i controlli effettuati dalle forze dell'ordine e devo aggiungere che la prefettura, con l'ausilio di un tecnico dell'ufficio del commissario regionale, ha avviato un programma di monitoraggio sul territorio provinciale al fine di verificare lo stato delle discariche dismesse, nonché l'eventuale costituirsi di nuove discariche per la diffusa tendenza purtroppo a considerare il territorio e l'ambiente non come un patrimonio comune da valorizzare ma piuttosto terra di nessuno da utilizzare senza alcuno scrupolo.
Il lavoro di monitoraggio che effettua la prefettura è propedeutico all'attività dei sindaci ed anche, laddove ne ricorrano i presupposti, a quella del nucleo operativo ecologico dei carabinieri di cui non mi stancherò mai di elogiare la solerte e competente attività.
Dalle verifiche è emerso, ad oggi, che il fenomeno più difficile da combattere è quello - come prima si diceva - dell'abbandono e deposito incontrollato dei rifiuti nei posti più disparati: sacchetti (da parte dei cittadini incivili); vecchi elettrodomestici di ogni tipo, agli angoli delle vie cittadine, nei letti di torrenti, in prossimità di viadotti e a volte pure sulle spiagge (dovuto, in linea di massima, all'indifferenza, ovvero all'inesistenza di un idoneo servizio di raccolta e di trattamento da parte delle amministrazioni pubbliche); scorie di lavorazione agrumaria (il cosiddetto pastaccio), in prossimità di torrenti, fiumare, stabilimenti, eccetera. Tale fenomeno potrebbe essere frenato con la realizzazione di discariche tecnicamente definite del tipo 2A e 2B, con la raccolta dei rifiuti ingombranti, nonché con il ripristino degli argini dei corsi d'acqua che eviterebbero il transito degli automezzi e quindi l'utilizzo di quei siti come discarica, tra l'altro estremamente pericolosi anche sotto l'aspetto della protezione civile per gli effetti di tracimazione che producono in caso di piena.
Per quel che concerne gli aspetti di sicurezza pubblica non può non rilevarsi il costante e concreto pericolo, come già sottolineato dal procuratore Catanese, che la criminalità organizzata utilizzi il settore dello smaltimento rifiuti come fonte d'investimenti e d'illeciti guadagni. L'interesse della criminalità organizzata nel controllo e nella gestione del territorio in questo


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settore trova anche giustificazione nella circostanza che investendo il suo patrimonio in iniziative della specie, esiste a fronte una sostanziale assenza di rischi connessi alla natura prevalentemente contravvenzionale delle fattispecie illegali; ma l'aspetto più preoccupante è quello relativo alla progressiva penetrazione della 'ndrangheta nel settore degli appalti e sub-appalti, sia pubblici che privati, che sta passando da un mero ma efficacissimo controllo di fatto ad una diretta titolarità degli impianti attraverso imprese direttamente legate alle organizzazioni criminali.
Per tali motivi i controlli delle forze dell'ordine sono molto pressanti e l'attività è molto proficua, come risulta dai prospetti riguardanti gli ultimi due anni (dal 1998 all'aprile 2000). Citerò alcuni dati: nel periodo considerato il Corpo forestale dello Stato ha effettuato 525 interventi, di cui 69 informative di reato; 225 sono stati i verbali di contestazione per sanzioni amministrative; è stato anche effettuato ad un censimento di carcasse di autoveicoli abbandonati (ne sono stati censiti ben 248); nello stesso periodo il Comando provinciale della Guardia di finanza di Reggio Calabria ha effettuato 322 interventi; 83 sono state le persone denunziate e 25 le discariche abusive sequestrate; il NOE ha effettuato 11 controlli, mentre 195 sono state le violazioni penali accertate, 140 le persone segnalate all'autorità giudiziaria e 32 i sequestri effettuati; il Comando regionale dei Carabinieri di Reggio Calabria ha effettuato 11 controlli presso discariche; 33 sono state le discariche sequestrate, 133 le persone denunziate a piede libero e 48 gli altri interventi connessi alla stessa problematica.
Con questi dati concludo le mie riflessioni.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. La ringrazio, non solo per i dati che ci ha fornito, ma anche per aver ricordato, come aveva già fatto il procuratore Catanese, il salto di qualità di una criminalità organizzata che non si accontenta più degli smaltimenti illegali ma cerca di penetrare direttamente nel settore degli appalti e delle società ad essi interessate.

SILVIO CANGEMI, Assessore all'ambiente della provincia di Reggio Calabria. Ringrazio innanzitutto il presidente Scalia e la Commissione d'inchiesta per questa opportunità di incontro con gli amministratori calabresi, che ci consente di per riflettere insieme sull'istituto del commissariamento e sulla situazione reale della raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, e porgo il saluto dell'amministrazione provinciale a tutti gli intervenuti.
Io non sono fra quelli che fanno i salti di gioia per i commissariamenti e le leggi speciali; non mi sono mai piaciuti, come penso a tutti quelli che sono in questa sala; voglio però dire subito che sarebbe un suicidio chiudere la gestione commissariale per la parte relativa ai rifiuti in assenza di certezze in ordine al quadro normativo regionale, cioè in assenza di una legge regionale precisa che recepisca il «decreto Ronchi» e detti regole chiare, delegando competenze e responsabilità altrettanto chiare agli enti locali territoriali, alle province come ai comuni. Allo stesso modo sarebbe un suicidio farlo in assenza di certezze in ordine alle risorse disponibili per gli stessi enti locali, a cominciare dalle province, rispetto ai bisogni ed alle esigenze che pure ci sono di andare a completare gli interventi necessari per realizzare un sistema di raccolta, gestione e smaltimento dei rifiuti solidi urbani unito ad una nuova struttura per la raccolta differenziata.
A mio giudizio è necessaria una fase intermedia, all'interno della quale definire un passaggio progressivo e razionale delle competenze ai comuni ed alle province; quanto meno queste ultime debbono avere garantite le quote di cofinanziamento necessarie per attivare i fondi strutturali che in questa stessa direzione sono stati individuati nel piano operativo regionale presentato dalla Calabria all'Unione europea per il periodo 2000-2006. In questa fase è necessario introdurre elementi di novità rispetto all'ordinanza originaria di


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commissariamento, consentendo ad esempio di associare all'istituto del commissario una figura di sub-commissario rappresentato dai presidenti delle province o da loro delegati; ciò proprio al fine di consentire che questa fase di passaggio sia più concertata rispetto a rotture e chiusure traumatiche che oggi non sarebbero sopportabili dalle amministrazioni.
Completamente diverso è il commissariamento per ciò che riguarda le acque: consegnati gli impianti per cui sono stati fatti gli appalti, bisogna chiudere il commissariamento perché il suo mantenimento impedisce o potrebbe seriamente compromettere il completamento della applicazione della legge n. 36 del 1994, la cosiddetta legge Galli. Gli ambiti territoriali ottimali in Calabria sono stati istituiti; province come la nostra hanno già avviato (sarà pubblicato nei prossimi giorni sulla Gazzetta Ufficiale) il bando per la formazione della segreteria tecnica dell'ambito territoriale ottimale n. 5 di Reggio Calabria e contiamo, nell'arco di 14 mesi, di essere in grado di mandare in gara il sistema unico ed integrato della gestione delle acque della provincia. Mantenere il commissariamento potrebbe significare mantenere situazioni di conflitto rispetto alle competenze che, per ciò che riguarda il sistema delle acque, la legge Galli detta con chiarezza e precisione, con molta più precisione rispetto al decreto legislativo n. 22 del 1997.
Ciò detto, però, voglio essere chiaro: l'ordinanza di commissariamento della regione Calabria rispetto ai rifiuti solidi urbani ha rappresentato lo spartiacque tra un prima ed un dopo nella raccolta e gestione dei rifiuti in questo territorio. La situazione della nostra provincia prima della nomina del commissario presentava caratteri di forte preoccupazione, di sostanziale anarchia circa la determinazione dei luoghi da adibire a discarica, di proliferazione incontrollata di discariche abusive, di gravi difficoltà anche giudiziarie per i sindaci che si trovavano nella impossibilità, anche materiale, di realizzare discariche con le caratteristiche di sicurezza e rispetto ambientale dettate dalle norme vigenti.
Per dare un quadro quantitativo e definire la drammaticità della situazione che avevamo all'epoca, basterà ricordare che alla data del 31 marzo 1998, cioè a pochi mesi dall'insediamento del Commissario straordinario, nella provincia di Reggio Calabria vi erano 60 comuni dotati di discarica provvisoria, ai sensi dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 o dell'articolo 13 del decreto legislativo 22 del 1997, mentre 26 comuni scaricavano presso le discariche provvisorie di altri comuni; 3 soli comuni disponevano di discariche autorizzate dalla regione, 3 comuni smaltivano in condizioni di totale abusivismo e 4 avevano la discarica sequestrata dall'autorità giudiziaria; per un comune in provincia di Reggio, infine, non si sapeva che fine facessero i rifiuti. Questo il quadro a quella data. Il piano del Commissario ha previsto per la nostra provincia la chiusura di tutte le discariche provvisorie aperte ai sensi dei citati articoli 12 e 13 e l'attivazione di 13-14 (la questione è controversa) discariche consortili autorizzate. Qui sta una prima svolta: si passa da 118 discariche abusive o no, operanti sul territorio alla data del 31 marzo 1998, a 13 siti tutti autorizzati ed in qualche modo rispondenti ai requisiti minimi di sicurezza e di controllabilità (era questo uno degli obiettivi fondamentali posti al commissario).
Alla data del 31 dicembre 1999, però, delle 14 discariche previste dal Commissario solo 10 erano in funzione, mentre sul territorio sono state individuate e chiuse ben 111 discariche, i cui siti sono oggi da bonificare. L'attività di chiusura delle discariche disseminate sul territorio e l'accorpamento del conferimento a discarica per aree più o meno omogenee ha determinato un duplice effetto positivo, ha reso cioè più verificabile, più controllabile il flusso dei rifiuti verso le discariche e di conseguenza più verificabile anche la loro qualità; ha consentito una più facile individuazione e contabilizzazione delle


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quantità reali di produzione di rifiuti in ciascun comune. Oggi sembra possibile raggiungere un primo importante obiettivo posto dal decreto legislativo: rendere intelligibile un settore su cui si sono addensati per anni le nubi di interessi poco confessabili.
La nuova organizzazione ha però comportato - bisogna dirlo - alcuni inconvenienti non di poco conto. Con la chiusura delle discariche i comuni sono stati costretti a sobbarcarsi di costi di trasferimento dei rifiuti che prima non avevano perché scaricavano nell'ambito del territorio urbano. La nuova situazione unita all'introduzione della tariffa per il conferimento in discarica ha avuto un notevole effetto sui bilanci comunali e di conseguenza sulla tassa per lo smaltimento degli RSU pagata dai cittadini. A questo va aggiunto il forte impatto ambientale determinato dalla circolazione sul territorio di camion carichi di rifiuti che in alcuni casi debbono coprire, secondo il piano redatto dal commissario, distanze di 30-40 chilometri per raggiungere le discariche consortili.
Il piano di riduzione delle discariche e di dimensionamento delle discariche necessarie a garantire lo smaltimento è stato però redatto dal commissario partendo da due condizioni fondamentali. La prima è che stata avviata la raccolta differenziata, la quale avrebbe raggiunto il 10 per cento dei rifiuti totali prodotti entro il giugno 1998 ed il 35 per cento entro il giugno del 2000. Questo era uno dei presupposti iniziali su cui fu costruito il piano. Tutto ciò avrebbe significato che delle 254 mila tonnellate di rifiuti/anno prodotte dalla provincia di Reggio Calabria ben 25 mila sarebbero state differenziate e quindi sottratte alle discariche entro il giugno 1998, mentre a giugno di quest'anno la provincia avrebbe dovuto differenziare ben 89 mila tonnellate di rifiuti. Secondo questi calcoli sarebbero bastate quindi per l'anno in corso discariche sufficienti a smaltire 165 mila tonnellate di rifiuti, a fronte delle 254 mila prodotte. Questi erano i dati di partenza, gli assunti da cui partiva il piano.
La seconda condizione è che, oltre all'attivazione della raccolta differenziata, sarebbero stati completati e messi in funzione alcuni impianti di preselezione dei rifiuti e di produzione del compost, un impianto di produzione di CDR ed un impianto di termovalorizzazione con produzione di energia elettrica ubicato nell'area industriale di Gioia Tauro. Purtroppo alla data odierna nessuna delle due condizioni su cui si reggeva il piano si è realizzata o è stata completata. La raccolta differenziata non è partita e gli impianti previsti non sono stati attivati, se non quello di Sanbatello più volte ricordato nella discussione.
La situazione pone un duplice ordine di problemi agli amministratori locali, alla regione ed al Commissario. Il primo è che la non riduzione dei rifiuti per effetto della non attivazione della raccolta differenziata impone una urgente revisione in aumento del fabbisogno di discariche e quindi la necessità di ampliare quelle esistenti o di autorizzarne di nuove con la sopportazione di costi notevoli sia economici sia ambientali per la regione. Il secondo è che, in assenza di impianti tecnologici in grado di effettuare la selezione ed il trattamento dei rifiuti predifferenziati, diventa sempre più difficile costruire un sistema organico e completo di gestione della raccolta differenziata, poiché manca un anello importante della filiera in questo comparto, cioè l'anello finale, quello che consente di tradurre in termini economici e quindi in copertura dei costi l'attività della raccolta differenziata.
Ho ritenuto utile tracciare il quadro delle condizioni di partenza entro cui va incastrata l'attività della raccolta differenziata in questo caso e di smaltimento complessivo dei rifiuti nella provincia affinché si possa meglio comprendere il grado delle difficoltà che sono di fronte agli amministratori ed ai cittadini nel percorso di costruzione di una nuova civiltà di gestione dei rifiuti in questa parte del territorio nazionale.
Il decreto legislativo 22 del 1997, oltre a definire i caratteri della raccolta differenziata,


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individua anche i valori minimi che tale raccolta dovrà avere per ogni ambito territoriale ottimale. Tali valori sono per la verità più ragionevoli di quelli individuati a suo tempo dal piano per le discariche predisposto dal commissario. Per ciò che riguarda la differenziata, abbiamo un 15 per cento entro giugno 1999, un 25 per cento entro febbraio 2001 ed un 35 per cento entro febbraio 2003. Si tratta comunque di valori molto alti se si pensa che per il 1999 la media nazionale della raccolta differenziata si è assestata intorno al 7,5 per cento, con una differenza molto marcata tra le aree geografiche del paese: a nord si è registrata una media del 12 per cento, al centro la media si è assestata sul 5,6 per cento, mentre al sud la percentuale non va oltre l'1,1 per cento, con il primato negativo della Calabria e della Sicilia che registrano valori molto inferiori all'unità.
In particolare nella provincia di Reggio la situazione è gravissima. Siamo sostanzialmente all'anno zero. Lo dico con profondo dolore essendo io assessore all'ambiente di questa provincia. Al 31 dicembre 1999 dei 97 comuni della provincia solo 35 risultano aver istituito il servizio della raccolta differenziata con l'installazione delle campane, di questi 16 nella piana di Gioia Tauro, 10 nella zona ionica e 9 nell'area dello stretto, compreso il comune di Reggio Calabria, che a tutt'oggi riesce a raccogliere solo il vetro. Dei 35 comuni che hanno già deliberato in direzione della differenziata, solo 28 risultano convenzionati con aziende autorizzate allo smaltimento ed effettuano uno svuotamento più o meno regolare delle campane. Le frazioni merceologiche differenziate sono esclusivamente la carta, la plastica ed il vetro. Altre frazioni, come l'alluminio, presentano valori di raccolta differenziata insignificanti nel senso che non sono neppure quantificabili. Per quanto riguarda la tipologia del rifiuto differenziato, facendo una media degli ultimi 3 anni, le quantità in peso che si riesce a recuperare ad oggi nella provincia di Reggio Calabria sono ogni anno circa 120 chilogrammi di alluminio, quelli dichiarati, circa 37 mila tonnellate di carta, circa 9 mila chilogrammi di plastica e circa 178 mila chilogrammi di vetro. Questi i dati ricavabili dai documenti formali relativi al territorio della provincia. A questi vanno aggiunti quelli relativi allo smaltimento dei rifiuti speciali conferiti dalle aziende autorizzate; abbiamo in particolare una media di 700 chilogrammi annui di medicine scadute (un'inezia davvero rispetto a quello che avviene nel territorio della provincia in termini di conferimento), circa 380 chilogrammi di pile scariche e 13 chilogrammi di siringhe monouso restituite. Per ciò che riguarda i materiali ferrosi, ad esempio, nessun dato esiste per gli anni scorsi poiché questo servizio è stato lasciato alla libera attività di raccoglitori per necessità su tutto il territorio.
Come si può notare, il punto di partenza della provincia rispetto agli obiettivi posti dal citato decreto legislativo 22 e quindi rispetto all'applicabilità del piano strutturato dal commissario, è assolutamente preoccupante. Per quanto riguarda questi aspetti, ad un anno dall'approvazione del piano per la raccolta differenziata, scontiamo in provincia di Reggio Calabria, ma ritengo più complessivamente sul territorio regionale, un notevolissimo ritardo. È giusto sottolineare che purtroppo l'ordinanza di commissariamento della regione ha tagliato fuori le province da questa importante fase di organizzazione del servizio sul territorio. C'è da dire comunque che un ritardo forte si è accumulato anche per lentezze degli enti locali, soprattutto nella fase di avvio dei consorzi d'ambito previsti per la raccolta differenziata. Molti comuni della provincia non hanno ancora deliberato sul consorziamento e trova grandi difficoltà la definizione di eventuali società miste pubbico-privato, attraverso le quali garantire il servizio, così come non ha preso avvio la costituzione di apposite aziende cooperative tra lavoratori socialmente utili e lavoratori di pubblica utilità cui affidare il servizio di raccolta differenziata, soprattutto


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quello porta a porta, così come il commissario suggerisce nel piano della raccolta differenziata.
Credo infine che ci sia ancora un grande lavoro da fare sotto il profilo culturale. Ritengo occorra agire rapidamente per costruire dal basso una cultura della raccolta differenziata, del riuso e riciclaggio dei rifiuti, agendo in modo scientifico e costante sulla sensibilità ambientale, soprattutto delle nuove generazioni che in questi anni è enormemente cresciuta. In questa direzione è importante saper dare e far conoscere ai cittadini i vantaggi ambientali, sanitari ed economici che derivano da una corretta raccolta differenziata.
In conclusione, possiamo affermare che è in atto una rivoluzione del settore, una rivoluzione che può introdurre cambiamenti di grande portata, ma come tutte le rivoluzioni, anche questa purtroppo ritarda a raggiungere il Mezzogiorno. Il dibattito su questo è aperto, come dimostra la discussione di questa mattina; sta a noi adesso avviare azioni concrete (alcune sono già iniziate), dire la nostra e dare il nostro contributo. Grazie per l'attenzione.

MASSIMO SCALIA. La ringrazio, in particolare per il quadro esauriente che ha tracciato, nonché per gli elementi critici che ha introdotto. Al riguardo debbo dire che una stagione di nuove discariche non solo è in contrasto con gli ordinamenti vigenti a livello nazionale ed europeo ma francamente non è neppure auspicabile e spero che abbia successo la scommessa in corso nella regione Calabria di riuscire entro il 2000 ad uscire dal tunnel.

ALDO ALESSIO, Sindaco di Gioia Tauro. Desidero innanzitutto ringraziare il presidente Scalia e la Commissione per questo convegno a Reggio Calabria, che è una occasione importante per intervenire e rappresentare le esperienze delle nostre città.
Chi vi parla è sindaco di Gioia Tauro, una città in cui in alcuni punti critici fino a qualche anno fa bisognava intervenire con la ruspa o la motopala per togliere i rifiuti; una città che anche a livello culturale esprimeva la pratica del lancio del sacchetto della spazzatura anche dal terzo piano.
In questa città profondamente degradata ci siamo dovuti confrontare su due terreni: uno strettamente culturale, di come impostare un modello culturale per migliorare la qualità della vita dei cittadini, ed uno di carattere organizzativo. Quando ho ricevuto il mandato di sindaco ho trovato un sistema praticamente non esistente, perché quello di quattro netturbini senza una scopa per spazzare la città non poteva essere il modello da imitare; la tentazione di privatizzare il servizio era quindi forte. Ebbene, io allora decisi di non privatizzare e di gestire direttamente, con tutte le difficoltà del caso, il sistema. Ora non voglio rifare tutta la storia, ma proprio oggi 1o giugno parte a Gioia Tauro il sistema della raccolta differenziata; ci siamo riorganizzati, abbiamo comprato moderni compattatori a caricamento laterale, innovativi, con robot e computer, che ci consentono anche un uso ottimale del personale dipendente comunale. Oggi, dicevo, parte la differenziata, anche se da qualche mese abbiamo vissuto l'esperienza della raccolta del cartone; si tratta di circa 12 quintali al mese, un piccolo obiettivo rispetto alle potenzialità che la città esprime.
Il secondo terreno di cui dicevo è quello organizzativo e noi gradualmente ci stiamo organizzando. Io sono dell'opinione che, ad esempio, se non ci fosse stato il commissariamento, saremmo sicuramente rimasti molto indietro; ciò anche se lo stesso commissariamento ha registrato e registra dei ritardi. Anche il mio progetto per il settore della nettezza urbana, per esempio, potrà incontrare problemi se l'impianto di termovalorizzazione non sarà realizzato entro i tempi dovuti; infatti la programmazione è stata fatta in un certo modo anche in funzione del termovalizzatore che si deve realizzare a Gioia Tauro; il commissario regionale deve dire come e quando si realizzerà


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questo che è un insediamento necessario. Noi abbiamo dato la nostra disponibilità perché fosse allocato nel territorio; altrimenti salta qualsiasi piano regionale, comprensoriale, provinciale o comunale che sia. La discarica di Gioia Tauro, dove accedono altri 13 Comuni, ad esempio, non potrà durare in eterno. Bisogna chiudere le discariche e per farlo dobbiamo avere delle alternative. Il termovalorizzatore va in questa direzione; la raccolta differenziata è importante e bisogna creare le condizioni perché il massimo dei rifiuti venga differenziato; una parte comunque deve essere portata altrove. Registro un ritardo al riguardo, ma devo aggiungere che ho un giudizio positivo della gestione commissariale calabrese, sia nei tecnici (c'è tra di voi l'ingegnere Basile) sia nei politici come Italo Reale, che ci ha dato ampia possibilità di confronto politico o tecnico, e con gli uffici che ci hanno aiutato moltissimo.
Io credo che il settore dei rifiuti sia oggi una ricchezza per il paese e la criminalità lo ha capito moltissimo tempo prima rispetto a tanti amministratori. Certo, il progetto della criminalità non ha niente a che vedere con quello istituzionale degli amministratori, ma è importante riuscire ad impostare bene il sistema di raccolta, dal punto di vista organizzativo, così come hanno fatto in tante parti del paese. Ho visitato, ad esempio, il termodistruttore di Brescia dove viene portato il cosiddetto tal-quale, così come esce dalle nostre famiglie, e con quello hanno riscaldato, attraverso il teleriscaldamento, un'intera città, con un risparmio di energia e la possibilità di rendere davvero positivo un settore che fino a qualche tempo fa era considerato solo negativo. Queste cose si possono fare anche in Calabria, il problema si può affrontare dal basso e Gioia Tauro sta dimostrando che questo è possibile, abbiamo però bisogno della sponda istituzionale, dobbiamo cioè stare dentro un progetto regionale sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Ho voluto fare questo ragionamento per dire che ci siamo attrezzati e stiamo continuando a farlo per andare avanti, abbiamo però bisogno che il piano regionale per l'emergenza rifiuti venga completato e concretizzato in tutti i suoi aspetti; altrimenti, se si ferma un punto dell'ingranaggio, il rischio è che anche le nostre strategie risultino alla fine perdenti.
Questo per quanto riguarda l'aspetto organizzativo. L'altro aspetto che desidero affrontare molto rapidamente è di natura culturale. L'istituto del commissariamento deve confrontarsi a livello culturale su come insieme si possa riuscire a far cambiare la cultura e la mentalità dei nostri cittadini amministrati. In questo un grande contributo credo possa venire dalle scuole. La mia proposta, quindi, è di spenderci di più, attraverso le scuole, per crescere insieme e creare ricchezza dai rifiuti solidi urbani.

FILIPPO ITALIANO, Assessore all'ambiente del comune di Rosarno. Desidero anch'io ringraziare il presidente della Commissione per questo seminario pubblico al quale porto il saluto dell'amministrazione comunale di Rosarno e di altri 10 comuni che fanno parte di un progetto avviato circa 4 anni fa; un progetto di lavori di pubblica utilità, che prevedeva appunto il cosiddetto porta a porta, la raccolta differenziata. Il progetto è stato approvato dalla Commissione regionale per l'impiego ma, ve lo dico in premessa, è stato solo un sussidio per i giovani; e vi spiego anche perché. Perché ad oggi il progetto è stato riconfermato, vi è stata una proroga, abbiamo firmato la convenzione con la regione Calabria, ma non abbiamo i soldi per mandare avanti il progetto stesso, o meglio i fondi erano stati stanziati, non ricordo ora con quale delibera, circa 5-6 anni fa, anche del CIPE, ma poi sono rimasti lì; e poi ci lamentiamo perché i fondi vengono stornati!
Questi fondi servivano per iniziare un'attività di educazione alle famiglie su che cosa sia la raccolta differenziata e sull'importanza della raccolta differenziata porta a porta. Nel progetto, con cui


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abbiamo avviato circa 60 giovani, quello di Rosarno è il comune capofila ed ha coordinato l'avvio del progetto stesso. I 60 giovani sono ancora presso i comuni; abbiamo potuto fare solo la prima parte, quella per la quale non necessitavano i soldi, cioè andare nelle scuole ed educare i bambini. Vi rendete però conto tutti di come poi alla fine si risulti poco credibili quando si inizia una fase dicendo ai bambini che presto gli stessi giovani che andranno a colloquiare con loro in materia di rifiuti passeranno presso le loro famiglie per ritirare i vari sacchetti (giallo, rosso e nero) che dovranno essere lasciati fuori della porta di casa; i ragazzi li preleveranno e li porteranno negli appositi raccoglitori. Tutto ciò serve ad educare il bambino e noi sappiamo come da questa attività di educazione del bambino o del ragazzo si riesca poi ad educare anche la famiglia; il progetto era importante; vi partecipano due laureati e 4 o 5 diplomati, oltre ad una serie di operai; non avevamo bisogno di tanti soldi, si trattava di circa 300 milioni necessari all'acquisto di un piccolo furgone, delle tute e dei sacchetti; non chiedevamo tantissimo ed io in qualità di coordinatore del progetto ho inviato lettere a tutti (credo di averne inviata una alla Commissione parlamentare) per sollecitare l'invio dei soldi necessari per non rischiare di risultare poi poco credibili. Possiamo infatti fare mille o un milione di conferenze, ma se poi non si riesce a concretizzare ciò che abbiamo elaborato, non siamo più credibili.
L'idea, però, è servita a farci riflettere sull'importanza di consorziarci. Abbiamo iniziato tre anni fa ed ora gli undici comuni iniziali ne stanno coinvolgendo tanti altri che fanno parte del sotto-ambito dell'ambito cinque della provincia di Reggio Calabria; abbiamo preparato uno statuto e lo abbiamo portato al vaglio dei consigli comunali; su 35-36 comuni, 20 hanno già aderito per iniziare la raccolta differenziata. Voglio essere il più franco possibile: vogliamo evitare i campanili ed i municipi, ma vogliamo creare ricchezza perché i nostri territori hanno bisogno di occupazione; nel momento in cui, dicevo, avremo raccolto almeno 20-25 comuni, andremo davanti ad un notaio a costituire una società per azioni e poi con un bando ad evidenza pubblica procederemo. Nella convenzione che abbiamo firmato con la regione Calabria vi può anche essere un intervento di Italia lavoro per aiutare i 60 giovani lavoratori di pubblica utilità, ad entrare con una parte di capitale nel capitale privato.
Questa la testimonianza concreta che vi porto: a Rosarno avevamo una discarica di 44 ettari, ai sensi dell'articolo 13; l'abbiamo chiusa, abbiamo chiesto dei fondi per bonificare quella discarica, avevamo indicato anche delle collocazioni a chi di competenza, ma ancora aspettiamo una risposta. A questo punto è inutile parlare, chiediamo al presidente di aiutarci nel ragionamento concreto per le soluzioni che possiamo dare. Rosarno si trova appena a 10 chilometri da Gioia Tauro; non vi dico quale era la situazione della raccolta dei rifiuti che anche noi abbiamo trovato quando abbiamo assunto l'onere ed anche l'onore di amministrare quella cittadina. Rispetto a Gioia Tauro abbiamo anche fatto l'esperienza del privato; quando siamo arrivati, infatti, avevamo pochissimi netturbini ed abbiamo quindi scelto di privatizzare, perché all'epoca si diceva che si potevano così avere risultati migliori rispetto alla gestione pubblica. Eppure lo stiamo cacciando in malo modo il privato che gestisce il servizio, perché non ha fatto altro che sottopagare i propri dipendenti e gestire malissimo la raccolta a Rosarno. Con i lavoratori di pubblica utilità di cui dicevo ci stiamo organizzando per gestire direttamente, di nuovo in economia, il servizio; vorremmo però ragionare sul piano delle economie di scala. Non vogliamo lavorare da soli perché sappiamo che, dal punto di vista economico, l'intuizione della creazione di un sottoambito e di ambiti è giusta perché ci consente, sempre in relazione al «decreto Ronchi» ed alla tassa, quando questa sarà concretizzata,


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di dare un servizio al cittadino ad un costo accettabile. Sappiamo infatti che tutto sarà parametrato al servizio.
Per questo chiediamo al presidente, così come all'ingegner Basile, di aiutarci in questa riflessione e nella creazione di questa società, a spingerci e sollecitarci, stando vicino a noi in questa riflessione per creare la società che serva alla raccolta differenziata e che dovrà poi servire ad un ragionamento più ampio sulla raccolta dei rifiuti urbani.
Concludo auspicando che questo mio intervento possa servire a concretizzare quanto stiamo elaborando e vorremmo fare.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta. La ringrazio in particolare per la testimonianza che ci ha portato e per la fiducia che ripone nella Commissione, che spero non resti delusa.

GIACOMO SACCOMANNO, Presidente dei centri di azione giuridica di Legambiente della Calabria e componente dell'ufficio di presidenza nazionale. Ringrazio il presidente e la Commissione per l'opportunità offerta alla città di Reggio Calabria di discutere su un tema importante quale quello dei rifiuti e dell'ambiente. Ritengo che la possibilità di intervenire concretamente sul territorio debba seguire una serie di passaggi fondamentali. Questo perché ogni progetto, ogni momento di evoluzione, ha le sue fasi. Io mi interesso di ambiente da oltre 20 anni, ho fatto battaglie per la centrale a carbone, ho scritto diversi libri e monografie, mi sono interessato dei problemi dei rifiuti tossici nucleari che hanno invaso, per lo meno così sembrerebbe, alcuni siti della Calabria ed anche i nostri mari; oggi ho ascoltato tanti lamenti ed anche molte considerazioni positive. Non sono d'accordo, anche se ritengo che in alcuni momenti siano necessari, sulla gestione dei commissariamenti. Ritengo che siano momenti particolari e che quindi vi debba essere il commissariamento, ma la gestione deve avvenire attraverso gli organi ordinari.
Quali potrebbero essere allora le linee fondamentali per il passaggio dall'attuale situazione ad una in qualche modo migliorativa? Ritengo che il problema principale sia la prevenzione. Abbiamo necessità che si intervenga prima e non dopo che il problema si è manifestato. Allora per quanto riguarda la prevenzione è indispensabile che vi sia idonea informazione, cioè i cittadini devono sapere e conoscere; perché possa cambiare la cultura ed attivarsi in modo organico la prevenzione, punto indispensabile è l'informazione. Un secondo punto essenziale, rientrante sempre nella prevenzione, è l'educazione scolastica. Ritengo che non vi possa essere alcun cambiamento nel nostro modo di pensare se non partiamo dall'educazione scolastica; dobbiamo cominciare dalle scuole elementari per far entrare nella mentalità dei nostri figli l'idea che l'ambiente è qualcosa di importante e che occorre rispettare determinate regole. Da questo punto di vista ritengo vi debba essere un forte intervento nelle scuole. Un altro punto, che rientra sempre nella prevenzione, sono leggi chiare. Abbiamo bisogno di una legislazione chiara, perché non possiamo continuamente rivedere le normative che si applicano, magari trovando a volte controsensi o forti contrapposizioni. Il cittadino e tutti gli operatori, dinanzi a questa situazione, non solo non riescono a raccapezzarsi, ma hanno anche alibi per andare contro la legge.
Sempre a proposito di prevenzione, vi è la necessità di dare risposte concrete e immediate ai cittadini oltre a quella del controllo, visto che non potremo mai avere un ritorno concreto nella mentalità della popolazione se non controlliamo seriamente l'applicazione delle leggi e il territorio. Termino sottolineando l'importanza di far sì che la sanzione sia immediata ed efficace, altrimenti tutto ciò che scriviamo come normativa non servirà a nulla. Se le sanzioni si applicano a distanza di anni, considerato che nel campo ambientale la maggioranza dei reati sono contravvenzionali, per cui si prescrivono, significa non comminarne alcuna.


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Per quanto è a mia conoscenza, la gravità della situazione dei rifiuti in Calabria è veramente a livelli altissimi. Mi riferisco non ai rifiuti nelle città e nei paesi, ma al traffico dei rifiuti che ha aggredito la regione Calabria perché il territorio non è controllato dallo Stato ma, nella maggior parte dei casi, dalla mafia. Ciò ha consentito e consente ai soggetti malavitosi di operare in diversi campi e, soprattutto, in quello dei rifiuti, che assicura loro guadagni enormi a fronte di pene quasi inesistenti. Da questo punto di vista, credo che migliore affare non possa esserci, visto che con piccoli investimenti hanno ritorni enormi senza pagare niente.
Dunque, va bene il piano rifiuti, ma è indispensabile il controllo del territorio. Se ciò che è emerso parzialmente dalle indagini dovesse essere vero, dovremmo constatare che non ci troviamo di fronte ad una emergenza, ma ad un disastro annunziato. Ci troviamo in una situazione veramente difficile.

ORTENZIO LONGO, Assessore all'ambiente del comune di Cosenza. Direi che la gestione dei rifiuti non è né banale né semplice, trattandosi, infatti, di uno dei problemi più seri che la società contemporanea deve affrontare. L'emergenza rifiuti, che talvolta mette in gioco anche la credibilità delle istituzioni, in Italia sta assumendo connotati sempre più preoccupanti. Nel passato vi è stato un quadro legislativo carente, rigido, a volte scoordinato, altre contraddittorio all'interno del quale era difficile orientarsi.
Nella nostra regione, il problema rifiuti non nasce da un evento naturale e imprevedibile ma da colpevoli inerzie dei poteri pubblici, che per anni ha prodotto danni e profondi guasti al territorio e all'ambiente. A fronte del suo sviluppo crescente, dovuto soprattutto a modelli comportamentali modificati rispetto al passato, cioè consumismo e introduzione di materiali diversi, il problema rifiuti è stato per lunghi anni esorcizzato e, nonostante la presenza di leggi che disciplinavano la materia, la regione non ha mai provveduto a farvi fronte in termini di pianificazione. Da qui l'esigenza del Commissario.
Credo che quest'ultimo abbia svolto il suo ruolo, a volte bene, altre in modo tale che ci ha portato anche a qualche discussione (dirò poi su che cosa). Ricordo che molti anni fa i sindaci, dovendo fronteggiare l'invasione dei rifiuti senza alcuno strumento, facevano ricorso ai prefetti, invocando i poteri straordinari per superare quelli ordinari che costituivano un ostacolo. I primi cittadini si sono trovati bersaglio dell'indignazione popolare, per cui hanno implorato l'intervento del Governo per recuperare un minimo di fiducia nelle istituzioni. Ora le leggi ci aiutano a superare l'inerzia, e credo che il «decreto Ronchi» sia un buon decreto, anche se qualche critica gli va mossa. Anche la legge n. 142 credo che abbia sollecitato i comuni a prendere iniziative.
A Cosenza abbiamo creato una società mista, perché gestivamo i rifiuti in economia. Il nostro piano di gestione è stato approvato dal consiglio comunale. Eravamo, quindi, in una fase di partenza, ma il ricorso della ditta al TAR ci porta a rinviare ciò che avevamo già iniziato. E i tempi di attesa saranno lunghi, considerati quelli della giustizia: la prima udienza è stata fatta ad aprile, ma poiché quel giorno vi era lo sciopero degli avvocati, è stata rinviata addirittura al 7 dicembre.
Circa le iniziative portate avanti dal Commissario, avrei qualche critica da fare, del resto già rivolta in passato, in quanto due termodistruttori in Calabria a mio avviso sono molti. Non sappiamo, infatti, quanti rifiuti produciamo, e se andiamo incontro al «decreto Ronchi» è certo che quelli che produciamo oggi saranno di più rispetto a quelli del passato. A Gioia Tauro la scelta è stata fatta con il consenso delle popolazioni, mentre lo stesso non è avvenuto per la Calabria del nord: sono stati scelti dei siti a proposito dei quali le popolazioni si sono sempre ribellate.
Dicevo che non sono molto d'accordo sui due termodistruttori, perché o si sceglie la raccolta differenziata tout court


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o il recupero energetico, e in quest'ultimo caso si può pensare anche ad altro: vi è un cementificio, vi sono le centrali ENEL, per cui non vedo perché si debbano, come prevede il piano regionale, investire 280 miliardi per costruire un termodistruttore che nessuno vuole.

ANGELO BARILLÀ, Assessore regionale all'industria ed attività produttive del comune di Reggio Calabria. Vorrei segnalare alla Commissione d'inchiesta una situazione esemplare e inquietante che vede protagonisti il comune e il Commissario.
Precedentemente, per conto proprio il comune di Reggio Calabria aveva messo in campo una programmazione nel settore dei rifiuti. Ciò significa che tramite Urban aveva avuto assegnati 2 miliardi per la realizzazione di un impianto per la lavorazione delle parti secche provenienti dalla raccolta differenziata; il decreto per Reggio metteva a disposizione 9 miliardi e 600 milioni; vi era un progetto per il recupero delle frazioni secche; erano stati assegnati 2 miliardi 800 milioni e, infine, vi era un investimento di altri 2 miliardi per la realizzazione di un impianto per il trattamento degli inerti residui di lavorazione. Quindi, vi era una somma ingente di denaro che il comune si era procurato grazie anche a combinazioni felici. Ebbene, evidentemente questi progetti non risultavano congrui fra loro, per cui abbiamo provveduto, al tavolo dei ministeri, a Roma, ad armonizzarli al fine di renderli compatibili tra loro. Poi è intervenuto il piano dei rifiuti e si è posto il problema di rapportarci con i tecnici del commissariamento; trattandosi di persone disponibilissime, abbiamo fatto un lavoro di cesello per armonizzare il tutto, per renderlo sinergico. Essendovi il Commissario, a lui venivano trasferite le funzioni del ministero e dello Stato centrale, per cui veniva attuato, con qualche incidente di percorso, un puro spostamento di poteri e di soldi. Il 13 dicembre 1999 vi fu l'aggiudicazione della gara del sistema integrato Calabria sud più volte richiamato, ma, piccolo grande problema, non si tenne assolutamente conto del programma e degli impianti previsti dal comune di Reggio Calabria, per cui furono programmati impianti fotocopia (un impianto veniva addirittura collocato nello stesso sito dove volevamo far sorgere il moderno centro industriale di trattamento dei rifiuti, dove era l'impianto Urban).
Che vi fosse un'informazione pertinente sul programma dell'amministrazione comunale è un fatto evidente, perché le schede tecniche sono state formalmente trasmesse al Commissario e perché il 13 ottobre fu assicurata, attraverso una lettera a firma dell'ingegnere Basile, la disponibilità dei fondi. Cercando di capire come risolvere il problema, si prende atto dell'assicurazione che la parte dell'impianto del secco sarebbe stata stralciata dall'appalto generale per consentire lo sviluppo del progetto. Ribadito più volte ciò nelle riunioni, si pensa di arrivare addirittura ad un protocollo di intesa, perché tra un anno e mezzo Reggio Calabria sarebbe in grado di partire, anche se resta il limite di non aver fatto la società mista con gli altri comuni.
Il protocollo d'intesa, proposto dall'ufficio del Commissario e modificato con il lavoro sinergico di tutti, era un punto di approdo elevatissimo, un esempio per l'Italia, perché uno dei punti essenziali contemplato è che sarebbero stati impegnati i lavoratori socialmente utili e quelli con priorità che sono a carico del comune. I mezzi sarebbero stati messi subito a disposizione, per cui si sarebbe potuto partire con la raccolta differenziata. In giunta comunale fu approvata la delibera del protocollo.
Tutto era fatto, ma essendo cambiato lo scenario - si tratta solo di una coincidenza che non voglio caricare di significati politici - adesso sembra che niente vada più avanti. Vi sono lavoratori che, dopo la formazione con un corso avanzatissimo del Cispel, dovrebbero occuparsi della gestione di questi impianti modernissimi. Noi abbiamo già approvato i progetti e, per quanto ci riguarda, li abbiamo già trasmessi al Commissario per la definitiva approvazione e convalida. Cosa si è inceppato? Perché non vanno


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avanti? Siamo di fronte a uno di quei casi in cui le cose si possono fare subito, ma non si fanno!
Vi saranno senz'altro questioni complesse legate all'aggiudicazione dei bandi e delle gare. Per carità, niente di irregolare: sono convinto che si tratti di normali difficoltà, ma non vorrei che queste cose andassero a seconda degli orientamenti politici. L'ufficio del commissariamento deve avere una sua autonomia rispetto alla politica. Vi segnalo questo fatto perché l'esasperazione dei lavoratori si ripercuote anzitutto sul comune. Non vorrei che anche in questo caso si ripetesse la vicenda della pubblicizzazione della raccolta differenziata: due anni e mezzo fa i muri della Calabria furono tappezzati di manifesti e tutti vennero in comune a chiedere dove erano i contenitori; rispondemmo che era solo una campagna preparatoria. Ma quest'ultima è durata due anni e la raccolta differenziata ancora non c'è.
Noi siamo pronti, ma qui forse c'è qualcosa da rivedere. Chiedo quindi il vostro intervento e la vostra attenzione.

PRESIDENTE. I cahiers de doleances sono sempre molto nutriti. La Commissione cerca di dare delle risposte, ma difficilmente può intervenire su aspetti che sono eminentemente amministrativi. Circa l'esigenza, poi, di dare interlocutori certi, per esempio, e che vi sia la proroga dell'ordinanza di commissariamento, la Commissione potrà intervenire senz'altro, perché, come già sottolineava il senatore Specchia nella sua relazione, abbiamo superato ogni ragionevolezza nel protrarre i tempi di attesa per la proroga del commissariamento.

Quarta sessione: I risvolti criminali dell'emergenza.

PRESIDENTE. Porta ora al seminario il saluto del presidente del consiglio regionale, il consigliere Pilieci.

FRANCO PILIECI, Consigliere regionale, segretario di presidenza regionale. Sono una recluta del consiglio regionale della Calabria ed è nella qualità di segretario di presidenza che intervengo a questo seminario sull'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti. Ragioni di carattere personale hanno infatti impedito la presenza del presidente del consiglio, onorevole Caligiuri e del vicepresidente, onorevole Rizzo, a nome dei quali rivolgo un saluto ed un augurio per un confronto proficuo e sereno su un tema così importante ed attuale.
Questa giornata di riflessione sull'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti richiama immediatamente nella nostra regione alcuni aspetti che meritano profonda attenzione. I problemi connessi allo smaltimento dei rifiuti sono tali e tanti da coinvolgere l'impegno di molti settori dell'amministrazione regionale. È dunque necessario l'impegno e l'interessamento di tutti per trovare risposte e soluzioni al settore.
Dietro lo smaltimento dei rifiuti nella attuale società di sviluppo postindustriale, infatti, sono coinvolti molti interessi di vitale importanza per il futuro della nostra società. Non è casuale che molte organizzazioni criminali hanno proprio nel settore dei rifiuti il loro reale centro di interesse. Per far fronte con fermezza a tali problemi è necessaria una forte risposta che deve e può venire solo dalla politica. Ciò rende urgente riconsiderare l'esperienza dell'emergenza e del commissariamento che trovava e trova una sua logica solo quando la politica è lontana dai problemi. Troppe volte la Calabria, anche per l'assenza della politica, ha subito l'istituto del commissariamento con risultati non sempre positivi in settori strategici per lo sviluppo della regione. Un consiglio regionale autorevole deve saper rispondere con leggi chiare ed efficaci a questi problemi che forse non sono neppure portati sufficientemente all'attenzione della popolazione. Non è infatti meno importante una attività di sensibilizzazione fra la gente su questo fenomeno per educare a quella cultura del rispetto dell'ambiente di cui la Calabria oggi ha bisogno. Oggi il vero segnale che i calabresi


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si attendono dagli organi di governo della Calabria è la fine di ogni idea di emergenza e di eccezionalità per far sì che la politica possa riprendere il suo corso naturale e dia risposte vere ai problemi della regione.
Auguro a tutti gli intervenuti buon lavoro, sperando che anche il settore dei rifiuti, dopo il 30 giugno possa riprendere il suo corso naturale liberandosi dai lacci dell'emergenza così che la politica possa dare anche in questo settore le sue risposte. Grazie.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Cisterna, Sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.

ALBERTO CISTERNA, Sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Ringrazio lei per l'invito, signor presidente, e gli ascoltatori per la pazienza che vorranno usarmi.
Nella breve comunicazione che mi accingo ad esporre, darò una serie di indicazioni sullo stato delle principali investigazioni che il nostro ufficio ha svolto nella materia di pertinenza di questo seminario. Cercherò anche di indicare alcune linee e prospettive di investigazione che mi paiono particolarmente meritevoli di un certo esame, anche se su alcuni punti ritengo necessario che si formi un consenso tra gli operatori del diritto, perché le opzioni investigative sono molte e attorno ad esse le scelte devono orientarsi per privilegiare una strada anziché un'altra.
Poiché ve lo ha già accennato stamattina il procuratore Catanese, mi limito a ricordare che anche la relazione della Commissione del gennaio 2000 (il doc. XXIII, n. 38) si sofferma sull'ipotesi investigativa seguita prima dalla procura circondariale di Reggio Calabria, poi dalla procura distrettuale sulla materia del traffico illecito dei rifiuti. Conclusa quell'esperienza investigativa, che a mio avviso ha dato risultati importanti soprattutto per quanto concerne la collaborazione con enti pubblici, in primo luogo con l'ANPA, che è stata di grande ausilio anche per conoscere e sperimentare metodologie di indagine ovviamente estranee agli uffici di procura, va sottolineato che di un interesse della 'ndrangheta al settore dello smaltimento dei rifiuti si parla da tanti anni. Di questo ho cercato le tracce e una, abbastanza remota, riguarda l'indagine svolta dalla procura di Genova, poi dalla DDA di Genova in ordine ad infiltrazioni mafiose nel ponente ligure (vicenda molto nota agli operatori locali, in quanto di essa si è discusso in processi di grande importanza). Passando a tempi più recenti, senz'altro non è rimasto senza eco negli operatori della procura distrettuale di Reggio Calabria l'arresto operato dalla DDA di Catania, di tale Russo, latitante in Roma, da parte dei carabinieri del ROS, in compagnia di appartenenti alla cosca Libbri, in quanto coinvolto in prima persona nel traffico di barre di plutonio provenienti dai paesi dell'est e commerciate illecitamente da appartenenti alla criminalità siciliana e calabrese.
La presenza di Russo in quell'indagine merita una ulteriore sottolineatura per delineare il tipo «ideale» di uomo di 'ndrangheta coinvolto in queste vicende. Negli anni '70-'80 Russo era il primo contribuente della Calabria, in quanto gestiva una grossa industria che si occupava della lavorazione e distribuzione di medicinali; a seguito della fine di un sistema di distribuzione e aggiornamento dei prontuari, che presso il ministero delle finanze in qualche modo faceva forse capo a Poggiolini, si trovò in grandi difficoltà economiche; venne tratto in arresto per un traffico di valuta (si trattava di 3 milioni di dollari immessi sul mercato milanese e intercettati dal nucleo di polizia tributaria della Finanza) e fu poi coinvolto nella vicenda di cui ho parlato sopra. Mi piace rifarmi a questo episodio, perché è dalla concretezza di ciò che accade che si può trarre esperienza per le linee di investigazione che cerchiamo di seguire in vicende come questa.
Sui giornali locali è stata resa nota l'esecuzione di una serie di intercettazioni


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ambientali nel corso della quali, nell'ambito di indagini che hanno portato alla cattura di elementi di primo piano della cosca Molè-Piromalli, vengono intercettate comunicazioni tra soggetti di primo piano delle consorterie della piana di Gioia Tauro, che tra loro commentavano il differimento di un'operazione di installazione, in questa località, di una discarica abusiva di rifiuti tossici nocivi e radioattivi; commentavano questa procedura mutuando negativamente, da ciò che era accaduto in altri contesti, l'avvenuto arresto di Pacini Battaglia. Il dato di una certa importanza, riscontrato da dichiarazioni anteriori dei collaboratori di giustizia che di questa vicenda avevano parlato, attiene al fatto che, transitando nel porto di Gioia Tauro navi che arrivano da tutto il mondo, faccendieri non calabresi, ma in stretto contatto con elementi della 'ndrangheta, avevano pensato di dar corso a questo insediamento illecito giocando su più piani. Quello di maggiore interesse vedeva il consorziarsi di alcune imprese dedite, formalmente, al recupero di rifiuti solidi, in particolare al recupero di rifiuti che approdavano al porto di Gioia Tauro. Ciò in virtù del fatto che durante le operazioni di sbarco e imbarco si procede alle pulizie di bordo e si recuperano gli oli esausti, per cui vi è un'attività di trattamento e recupero di questo tipo di rifiuti che già aveva visto la presenza di imprese senz'altro ricollegate a soggetti mafiosi, alcuni dei quali già condannati. In qualche modo, quindi, avevamo avuto l'impressione che su questa movimentazione economica di un certo rilievo si fossero innestati affari illeciti, cioè forme di smaltimento, di recupero e di smistamento di rifiuti nel territorio di Gioia Tauro.
Di grande interesse sono state anche le indagini relative alle tre discariche principali del comune di Reggio Calabria, cioè Pietrastorta, Sambatello, Longhi-Bovetto. In tutti e tre i siti e per tutte e tre queste vicende vi sono state pesanti infiltrazioni mafiose, non declamate, accertate nell'ambito di procedimenti penali. Per la vicenda di Longhi-Bovetto risulta, addirittura, che 19 delle 50 offerte di gara pervenute e che hanno determinato l'aggiudicazione della gara, avendo spostato la media ponderale di aggiudicazione, erano fasulle, in quanto provenivano da imprese inesistenti. Ciò ha fatto sì che la gara fosse aggiudicata, ma nel momento in cui il comune ha restituito la documentazione alle imprese che non si erano aggiudicate l'appalto, quest'ultima è tornata al mittente in quanto i destinatari erano sconosciuti. La circostanza che poi l'appalto sia stato aggiudicato ad un'impresa siciliana indagata per reati di mafia, nell'ambito di altri procedimenti penali della DDA di Palermo, traccia uno scenario che ci fa capire come le vie di queste collaborazioni siano sovrapposte, sovrapponibili, multiple, per cui è difficile riuscire ad arrivare all'accertamento di fatti, in quanto i soggetti si muovono in ambiti territoriali che non sono i nostri. Si può quindi immaginare quale sforzo si debba fare per svolgere investigazioni su certi soggetti. In Sicilia, per esempio, lo smantellamento del servizio centrale operativo della polizia di Stato ha comportato dei problemi imponendo lo smantellamento sul territorio degli operatori di polizia e una delega ad altri corpi che prima, invece, non era prevista, dal momento che i componenti del servizio centrale operativo potevano muoversi su tutto il territorio nazionale per seguire indagini ad ampio raggio senza far riferimento alle polizie locali presenti sul territorio.
Lo scenario del problema è quindi attuale e desta, in qualche modo, un'ulteriore soglia d'allarme. In intercettazioni operate dal ROS, anch'esse pubbliche, risulta, per esempio, che la famosa proposta Prodi sulla rottamazione delle città, cioè sul recupero e risanamento delle situazioni più degradate nelle città del sud, era operazione di cui l'ufficio inquirente sapeva prima che venisse resa pubblica, poiché già oggetto di trattative tra faccendieri che, dovendo pensare a come speculare sulle risorse pubbliche destinate al sud, in un commento tra loro davano notizia di quella proposta che, essendo sicuramente redditizia, imponeva la creazione di imprese che potessero partecipare


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alle gare. La precostituzione delle imprese alla gara è un elemento che, come tutti possiamo intuire, rende molto complessa l'attività investigativa, perché preesistendo l'impresa viene già meno uno dei fattori di anomalia indice di irregolarità, spesso considerati nelle indagini in tema di appalti pubblici, cioè la costituzione di imprese ad hoc che dalla mattina alla sera mettono in piedi una qualche attività, sfruttando la quale partecipano alla gara, aggiudicandosela.
Devo dire, se lo si vuole approfondire, che il sistema si presta molto a questo tipo di inquinamenti. In un'indagine di un certo rilievo, che ha riguardato appalti nella città di Reggio Calabria, si è appreso che l'iscrizione all'albo dei costruttori, che abbiamo sempre ritenuto certificare la serietà dell'impresa, la durevolezza nel tempo e la sua serietà, in realtà può essere benissimo acquisita da imprese che operano nel nord d'Italia e che cedendo un ramo d'azienda, per esempio, cedono anche l'iscrizione all'albo. Accade quindi che imprese costituite da soggetti mafiosi e operanti da pochi giorni abbiano classi di iscrizione all'albo dei costruttori elevate, per cui riescono ad aggirare il sistema di partecipazione alla gara accreditandosi, tramite l'iscrizione all'albo, come imprese credibili operanti da tempo. Il marchingegno prevede che il direttore tecnico resti lo stesso, tant'è che so di direttori tecnici che mai hanno messo piede a Reggio Calabria e che però, formalmente, risultavano direttori tecnici di imprese che si sono aggiudicati questi appalti.
Il sistema, quindi, esige una serie di complicità e di disponibilità, nonché di una certa raffinatezza strategica. Come creare un argine a tutto ciò? Prima il procuratore Catanese ha ricordato in dettaglio le difficoltà che si connettono al regime normativo in atto ed io ho elencato tutti i reati previsti in materia di inquinamento, di smaltimento abusivo di rifiuti e di imballaggio degli stessi. Peraltro è bene sottolineare che si tratta di normative di mera attuazione di direttive comunitarie, in quanto il legislatore italiano non è stato mai particolarmente generoso di interventi sulla materia, avendo sempre dovuto dare esecuzione a direttive e regolamenti comunitari. È questo che lo ha indotto di volta il volta a dare sistemazione alla materia. Tornando alla normativa e alle difficoltà ad essa connesse, ricordo che il regolamento CEE fondamentale, quello del 1993, reca in sé la classificazione della nozione di traffico illecito; si afferma, infatti, che costituisce traffico illecito qualunque spedizione di rifiuti effettuata senza la notifica e in presenza di alcuni requisiti. In Italia il legislatore ha dato attuazione al regolamento a sua volta sanzionando questo tipo di condotta e prevedendolo come reato contravvenzionale, quindi punito con l'ammenda e con l'arresto; dunque, neanche suscettibile di rientrare in un programma criminoso ai sensi degli articoli 416 e 416-bis, perché sappiamo tutti che affinché ci sia associazione per delinquere è necessario che essa sia finalizzata alla produzione di delitti; essendo queste contravvenzioni, è a monte privata di effetto o di qualunque intervento.
Torniamo alla nozione di traffico illecito. Di per sé la nozione di traffico richiama un problema di continuità, perché affinché vi sia il reato e sia integrato è necessario che l'azione delittuosa si dilati nel tempo. Nel traffico di sostanze stupefacenti i tempi di indagine consentiti dalla legge sono per fortuna più lunghi di quelli ordinari, perché il legislatore ha previsto un termine pari a due anni, complessivamente, e che tale termine - non so quanto compatibilmente con il nuovo articolo 111 della Costituzione - sia prorogato dal giudice senza che l'indagato ne sappia alcunché. Ciò rende segreta l'indagine per due anni, ammesso che non venga dichiarato incostituzionale, come credo potrà capitare di qui a poco. Invece, in tema di reati cosiddetti ordinari, i termini sono ridotti a un anno e mezzo e alla scadenza dei tre semestri è necessario avvisare l'indagato del fatto che si sta procedendo nei suoi confronti. Ciò vuol dire che dopo sei mesi l'indagine è portata alla diretta conoscenza


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dell'indagato o degli indagati. Far conciliare un'indagine su un traffico con la durata di sei mesi è dato che ognuno coglie essere assolutamente incompatibile: i tempi di approntamento di un'indagine e di esecuzione di un'indagine di questo tipo sono tali da risultare assolutamente incompatibili con la durata prevista dalla legge. Stando alle operazioni di questo tipo che abbiamo portato avanti, i tempi sono estremamente dilatati: la preparazione dell'attività delinquenziale porta via mesi, se non un anno o un anno e mezzo, perché bisogna prepararsi talvolta ancor prima della gara d'appalto. Ricordo addirittura intercettazioni per appalti in cui si sono stabiliti prima i requisiti, e accordandosi di individuare il requisito si è fatto il bando in maniera tale che nei requisiti dello stesso rientrassero solo due o tre imprese vicine o contigue a chi predisponeva il bando stesso. Ciò in un sistema che guardato ex post è perfettamente legale: il bando può prevedere, infatti, che le imprese debbano avere 15 anni di esperienza, ma in quel settore sono al massimo due o tre le imprese che hanno tale requisito, per cui la selezione sul mercato viene automaticamente operata, in quanto tutte le altre imprese sono fuorigioco.
Dico questo perché è bene che si sappia che dall'altra parte il fenomeno viene recepito, ma che l'incompatibilità dei tempi lunghi vanifica le indagini. Su questo bisogna essere chiari. L'esigenza delle forze di polizia non è quella dell'operatore di polizia, che affianca il magistrato e che non è persona che preme sulle indagini per un risultato. L'organizzazione delle forze di polizia è incompatibile con indagini protratte nel tempo. Se si eccettua in caso di NOE, cioè di un organismo esplicitamente deputato a quel tipo di investigazioni, per ogni altro corpo di polizia l'indagine è sì importante e interessante, ma così dilatata nel tempo che crea problemi di uomini, di continuità della loro presenza, di mezzi, di emergenze.
È difficile parlare di ecologia in Calabria, una terra dove vi sono omicidi e sequestri di persona. Siccome è difficile tutelare la vita umana, capisco che è anche difficile tutelare la vita della collettività nel suo riflesso ambientale. Quindi è necessario uno sforzo doppio, soprattutto da parte di chi, come me, proviene da una direzione distrettuale e pertanto si occupa di reati di una certa gravità.
Sfogliando tra gli atti normativi che mi sembravano pertinenti, ho rinvenuto la legge regionale n. 20 del 3 agosto 1999. Non ne ho sentito parlare - forse sono stato disattento - nonostante sia quella che istituisce l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente. Si tratta di una normativa di grande livello e all'articolo 21 non ho potuto non cogliere come con grande lungimiranza il legislatore regionale abbia previsto la costituzione di un comitato di coordinamento, presso l'assessorato all'ambiente, avente fine di prevenzione. Di tale comitato devono far parte l'agenzia con i suoi rappresentanti, il nucleo operativo ecologico dei carabinieri, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di finanza. Credo che questa sia la sede privilegiata in cui l'operatore del diritto possa ricevere delle segnalazioni su delitti in itinere che non impongano, in un clima purtroppo di omertà, alla procura e agli inquirenti di svolgere le indagini con grande anticipo. Una segnalazione vuol dire che un comitato che esercita una vigilanza ed opera una segnalazione tempestiva fa guadagnare all'attività investigativa mesi di indagini, perché nel momento in cui la segnalazione viene fatta l'attività criminosa è già ad un certo punto. Dunque, i 18 mesi o l'anno potrebbero essere sufficienti, non c'è bisogno di coltivare la notizia di reato e portarla a compimento: si riceve già un prodotto in qualche modo definito soprattutto alla presenza qualificatissima della polizia giudiziaria, che individua le fattispecie che ritiene più di interesse; se poi tutto questo sistema lo si inquadra nella banca dati prevista dall'articolo 7 e nell'ambito di altri provvedimenti di collegamento, di informazione e di prevenzione, ecco realizzarsi un lavoro sinergico, una risposta


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successivamente penale, cioè un intervento ex post rispetto al fatto e al suo sorgere, quanto meno nella sua connotazione di apprezzabilità penale.

PRESIDENTE. Il mio ringraziamento al dottor Cisterna è molto sentito, perché le cose che ci ha detto hanno confermato con concretezza, purtroppo, che il discorso sull'ecomafia, sugli illeciti e sulla penetrazione della criminalità organizzata in questo settore non è di maniera, in quanto incide su gangli fondamentali dell'economia del paese, in particolare nelle regioni più a rischio. Abbiamo avuto esempi molto concreti di come le cose che ci preoccupano e di cui parliamo non sono «alzoguardismo»: al di là delle chiacchiere, infatti, vi sono fatti concreti che ci preoccupano molto, ma che per fortuna trovano magistrati bravi come il dottor Cisterna e forze addette al contrasto - qui ne vedo molte - in grado di poter intervenire.

Tavola rotonda:

PAOLO POLLICHIENI, Cronista della Gazzetta del Sud. Dopo aver letto gli atti dei seminari tenutisi a Napoli e a Bari, vorrei parlare del tentativo, da parte delle organizzazioni criminali radicate nel nostro territorio, di controllare l'affare del 2000, cioè il settore del trattamento dei rifiuti, sia normali, sia speciali.
È dall'inizio degli anni '80 che la 'ndrangheta calabrese ha scoperto il business dei rifiuti. Nelle indagini sulla massoneria deviata, avviate dall'allora procuratore di Palmi, Agostino Cordova, si trovavano tracce, anche molto esplicite, di questo interesse. Vi era il giro grosso, quello che all'ombra di logge massoniche deviate e coperte, pianificava l'interramento dei rifiuti radioattivi, e vi era il giro locale, che si occupava di gestire al meglio le nuove normative sul trattamento e sulla raccolta dei rifiuti speciali ed ospedalieri, che interferiva imponendo siti alle amministrazioni comunali anche nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Prima di procedere credo sia bene tener presente il radicamento sul territorio delle organizzazioni criminali calabresi. Per le cosche della 'ndrangheta il territorio è al centro di tutto, delle faide, delle contese, delle strutture organizzative e dei riti. Il ferreo e assoluto controllo del territorio è - potremmo dire - lo scopo societario della criminalità mafiosa calabrese; un controllo spavaldo ed aperto che necessita anche della notorietà, cioè si deve ben sapere, sul territorio, chi aderisce alle organizzazioni criminali e chi comanda; gli affiliati alle cosche, almeno nei loro vertici, sono tutt'altro che ignoti e sconosciuti a chi vive sul territorio. È proprio qui il potere criminale nell'esplicitare il suo volto, pur stando al riparo dei rigori della legge.
Attorno al controllo del territorio ed alle forme di sfruttamento dello stesso, le cosche della 'ndrangheta hanno assunto e variato nel tempo una serie di strategie, a seconda degli obiettivi criminali che intendevano raggiungere. Così abbiamo avuto la stagione dei sequestri di persona: il territorio aspromontano era stato appositamente desertificato; rapine ai cacciatori e aggressioni ai cercatori di funghi; intimidazioni persino ai campi scout. Tutto ciò aveva creato un controllo e una libertà dagli intrusi nel territorio aspromontano. Poi l'infiltrazione di operai forestali, che in troppi casi erano obbedienti alle cosche ed in molti casi addirittura riproducevano, all'interno dei cantieri, le stesse gerarchie mafiose dei locali di 'ndrangheta di alcuni paesi. Poi abbiamo avuto - e per molti versi continua ancora oggi - la stagione delle piantagioni di droga: interi latifondi di proprietà demaniale avviati alla coltivazione intensiva della canapa indiana. Infine, la stagione delle discariche abusive e il tentativo di destinare parte del territorio a zona di smaltimento clandestino di rifiuti tossici.
Insomma, la risorsa territorio piegata al controllo del crimine organizzato ed indirizzata verso un utilizzo illegale. Questo è quanto accade ancora oggi su due distinti filoni che, nella loro proiezione investigativa e giudiziaria, hanno assunto


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da tempo un andamento purtroppo carsico, nel senso che compaiono e scompaiono, ma non si riesce ad arrivare ad una visione finale del fenomeno.
Il primo di questi due filoni operativi riguarda il territorio interno, il secondo l'ambiente marino. Prima che si assumesse coscienza e cognizione in questo nuovo campo di interessi criminali, si era portati a ritenere che la questione delle discariche comunali fosse un fatto di mera tutela ambientale (anche le prime leggi sulla materia venivano lette in quest'ottica). Si è scoperto ben presto, invece, che 7 discariche su 10 (ovviamente parlo della realtà calabrese) erano proprietà di privati graditi alle cosche, se non direttamente ad esse affiliati; 10 discariche su 10 venivano gestite da imprese private e non da personale delle amministrazioni comunali. In tal modo si poteva ottenere intanto una lucrosa attività finanziata dagli enti locali e sganciata da ogni controllo tecnico, poi la possibilità di utilizzare alcuni di questi siti anche per smaltire rifiuti speciali e tossici, come venne accertato nel corso di alcuni sopralluoghi.
Inutile dire che il controllo periodico delle discariche da parte della criminalità mafiosa evitava anche ogni contrasto fra i privati e le pubbliche amministrazioni. Nessuno protestava per quella allegra gestione e nessuno denunciava, sapendo chi c'era ad operare dentro quelle discariche, per l'eventuale sconfinamento dei rifiuti con l'occupazione di suoli privati. Proprio Reggio e Pietrastorta sono state una eloquente testimonianza di questo.
Fin quando erano due famiglie a gestire quella discarica nessun comitato civico è intervenuto per denunciare alcunché; solo quando la nuova amministrazione comunale mandò a casa quelle famiglie e fece una gara regolare, vinta evidentemente da un'impresa trasparente, non spalleggiata da poteri forti o occulti, vennero fuori i comitati e le denunce. A Locri si arrivò a definire interrata una discarica insistente su suolo della famiglia mafiosa dei Carrozza alta ormai 52 metri, servita da rampe di risalita appositamente realizzate per i camion del comune.
Il secondo filone è quello dello smaltimento di rifiuti nucleari in mare, ma su questo mi limito solo ad alcuni accenni di cronaca perché molto di più e con maggiore cognizione ci ha già detto il dottor Cisterna, magistrato che anche in questa direzione ha speso notevoli energie (di questo intendo dargliene pubblicamente atto). Era seguendo alcuni uomini dell'alta finanza, che si ritiene abbiano notevole ruolo nel riciclaggio dei narcodollari prodotti dal controllo del traffico della droga, settore ormai largamente in mano ai calabresi, che si agganciavano figure e personaggi interessati ad un geniale sistema di smaltimento clandestino di rifiuti nucleari; si noleggiavano autentiche carrette del mare, che poi colavano a picco in zone ben precise del Tirreno e dello Jonio in modo da rendere difficile una eventuale opera di recupero. Il vantaggio era doppio: oltre ai denari incassati per lo smaltimento dei rifiuti, c'erano quelli sborsati dai Loyds per l'assicurazione sulle navi inabissate.
Negli anni novanta cresce l'attenzione per le problematiche ambientali e paradossalmente, crescendo l'attenzione, aumentano anche le attenzioni e gli appetiti della malavita organizzata e più specificatamente le attenzioni di quel mai smaltito grumo di interessi politico-affaristico-mafiosi individuato in più inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, ma mai definitivamente vinto. In sostanza, la tutela dell'ambiente diventa un affare e cosche ed affaristi si scatenano nel tentativo di condizionare ogni scelta nel settore ed ogni intervento delle pubbliche amministrazioni. Nel migliore dei casi questo attacco alla diligenza ha prodotto un assoluto immobilismo: per tutti gli anni novanta nessuna scelta operativa da parte della regione, blocco della legislazione regionale, tentativo di imporre il più ferreo controllo alle nomine politiche e burocratiche nel settore dell'ambiente.


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Nella scorsa legislatura abbiamo avuto anche il caso di un assessore regionale al quale verrà imposta dai poteri forti la scelta del capo-segreteria, che poi sarà arrestato per corruzione. Scopriamo però che ancora oggi attorno alle politiche dell'ambiente c'è scontro nella nuova maggioranza appena eletta, tant'è che alla fine la contesissima delega all'ambiente - negli anni settanta era la delega ai lavori pubblici - è stata, con una forte presa di iniziativa di cui va dato atto, trattenuta dal presidente del nuovo governo regionale, il presidente Chiaravalloti. Mentre tace la politica nelle sedi istituzionali, parlano (e come) mafiosi ed affaristi abbracciati in questo nuovo impegno criminale; sentiremo in diretta alcune delle strategie criminali che intendono dispiegare forti di collusioni potenti dentro il mondo della politica regionale e nazionale; le sentiremo grazie alle microspie che i Carabinieri, su input della procura distrettuale reggina, hanno piazzato nelle macchine e nei covi delle famiglie di Gioia Tauro, i Piromalli, i Molè, ma anche gli imprenditori ed i professionisti che ne rappresentano l'interfaccia «pulita»; ci dicono di licenze che la regione dovrebbe rilasciare loro, di assessori compiacenti e di senatori che garantiscono per loro. Non sentiremo in diretta solo i loro progetti criminali, sentiremo anche il loro vomitevole cinismo e la loro predisposizione alla barbarie assoluta. In una di queste registrazioni parlano di un impianto - vi faceva riferimento anche il dottor Cisterna - per smaltire rifiuti tossici e nocivi da costruire a Gioia Tauro; parlano di buttare a mare quanto non potranno smaltire regolarmente. Dice uno dei compari: «Basta essere furbi, aspettare un giorno di mare forte, e chi vuoi che se ne accorga?» È talmente cinico che l'altro interlocutore sembra quasi osservare che la cosa gli pare troppo spregiudicata, tanto da dire: «E il mare?» Quel mare che - diciamo noi - è specchio di ricordi classici, il mare di Ulisse, il mare dei Ciclopi, il mare che dovrebbe dare risposte forti all'industria del turismo calabrese. Risponde il boss: «Ma sai che ce ne fottiamo del mare, pensa ai soldi che il mare andiamo a trovarcelo da un'altra parte».
Quattro giorni dopo, presidente, la pubblicazione di queste intercettazioni ambientali sul mio giornale, la Gazzetta del Sud - intercettazioni che ovviamente tutti gli altri si sono ben guardati dal riprendere - il consiglio regionale della Calabria trovava la forza di superare vecchie e tenaci resistenze per richiamare in aula la legge proposta dal consigliere Luigi De Paola che vieta il trattamento in Calabria di qualsiasi tipo di rifiuto non prodotto sul territorio della regione. La legge passò con voti unanimi il 16 gennaio. Scopriamo solo oggi, grazie all'appuntamento di questo seminario, che quella legge è stata bocciata dal Governo che ne ha disposto il rinvio al consiglio regionale per un nuovo esame. Nel frattempo il consigliere De Paola non è stato rieletto. Grazie.

EMILIO BORGHINI, Comandante della regione dei Carabinieri, Calabria. Giunti a questo punto del dibattito, quando cioè il problema in discussione è stato già sostanzialmente sviscerato dai vari interventi svolti, c'è il rischio di ripetere i concetti; ciò nonostante l'occasione è troppo ghiotta per rinunciarvi.
Mi limiterò a due considerazioni, molto brevi, richiamando però l'attenzione anche su qualcosa che è stato già trattato. Vorrei partire da una riflessione sul fenomeno in generale e chiedere poi, ma forse ce lo dobbiamo chiedere tutti insieme, quale sia l'atteggiamento dell'Arma dei carabinieri nei confronti del problema.
Come è stato già detto questa mattina, noi arriviamo per ultimi nell'affrontare il problema dello smaltimento dei rifiuti. I carabinieri e la polizia giudiziaria in genere arrivano dopo, quando il guaio è stato già fatto, il danno è stato già arrecato alla collettività e tutto quello che può fare l'apparato repressivo è interrompere, evitare che il danno prosegua, per esempio con lo strumento del sequestro, anche se poi l'esperienza ci ha insegnato quanto sia difficile gestire un sequestro.


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Che cos'altro si può fare? Si possono assicurare alla giustizia i responsabili, riferendo all'autorità giudiziaria sulle ipotesi di manchevolezza ed indicando coloro i quali sono venuti meno alle norme, ma anche questa è una medicina poco efficace. Il problema, come è stato centrato questa mattina, è a monte, cioè nelle mani di coloro che debbono organizzare.
Noi cominciammo ad affrontare le problematiche dell'ambiente circa trent'anni fa con atteggiamenti repressivi; all'epoca si incominciò con quelli che i giornalisti definirono poi i pretori d'assalto; andavamo a fare dei controlli e scoprivamo che era normalissimo buttare tutto nei fiumi, che però portavano tutto a mare; tutto finiva così. Gli imprenditori, anche nelle regioni del nord, ai quali contestavamo questi atteggiamenti, qualche volta ci guardavano sbalorditi, qualche volta ci chiedevano consiglio su come regolarsi. Poi c'è stata una presa di coscienza, una evoluzione, una produzione normativa, anche con qualche problema nell'applicazione, quando ad esempio si rinviava alle regioni il compito di localizzare le discariche, quando si favoriva addirittura non dico il litigio fra comuni ma comunque una minore possibilità di colloquio fra un comune e l'altro; la norma è stata poi modificata ed integrata, recependo, come ricordava il dottor Cisterna, le indicazioni della Comunità europea.
Le norme - è stato già detto - non offrono grandi strumenti operativi; siamo in ambito contravvenzionale. Per quanto riguarda la tutela dell'ambiente, l'intervento immediato praticamente è blando; non è che si voglia risolvere i problemi con la fucilazione dei responsabili, ma qualche volta se lo strumento è troppo blando anche l'intervento delle forze dell'ordine viene in parte vanificato. Oltre alla pena che è blanda, la conseguenza immediata è che l'attività di indagine incontra notevoli limiti. È stata già ricordata la difficoltà di ricorrere ad intercettazioni e quella di privare della libertà personale chi venga colto in flagranza, ma c'è anche la difficoltà per quanto riguarda l'ordinanza di custodia cautelare da parte del GIP; non è con la repressione che possiamo risolvere questo problema; bisogna risolverlo a monte. Io credo che la strada intrapresa sia quella giusta. Si sente una presa di coscienza anche in questa regione; anche se ci è stato detto che c'erano solo i manifesti per la raccolta differenziata e non c'era la relativa organizzazione, però anche il solo fatto di apporre dei manifesti è, secondo me, un passo avanti. Mi capita di girare per tutta la Calabria, anche nelle lande più desolate e nei paesini di montagna più sperduti, qualcuno forse non lo conosce neppure chi è nato in questa terra, e mi è già capitato di cogliere in qualche paesino una certa predisposizione per la raccolta differenziata. Tutto questo è estremamente positivo perché vuol dire che arriviamo, anche se un poco in ritardo rispetto ad altre, certamente non per colpa di alcuno; tutti sapete che a Milano la raccolta è differenziata addirittura a secondo dei giorni della settimana (due giorni sono dedicati alla carta, due alle pile, e così via).
L'atteggiamento della nostra istituzione nei confronti di questo problema è di estrema attenzione, sia per l'importanza che riveste per tutti i cittadini la tutela dell'ambiente, sia per il rischio, purtroppo ormai non è più soltanto tale, ma una realtà dimostrata, di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nei processi di smaltimento dei rifiuti. L'Arma dei carabinieri avvertì questa esigenza trenta anni fa, ci ha pensato dieci anni fa e venti anni fa ha istituito un reparto che oggi è stato più volte citato. Devo anzi ringraziare tutti quanti hanno avuto parole di elogio per l'operato del NOE, un reparto specializzato, istituito ad hoc, con competenza esclusiva; si occupa solo di questi problemi anche se poi in realtà, non è colpa nostra, ma non siamo ancora riusciti a coordinarci (e quindi tutti i teorici del coordinamento potranno lamentarsi di questo fatto), anche con il NAS facciamo tutela dell'ambiente; per esempio quando si parla di smaltimento di rifiuti ospedalieri. C'è un'area di sovrapposizione fra i


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due reparti. Il reparto comunque si è dimostrato immediatamente una scelta valida e contestualmente una scelta insufficiente perché mano a mano che in periferia ci accorgevamo (sia al nord che al sud; mi è capitato di svolgere servizio a diverse latitudini) dell'esistenza di questo reparto, ne chiedevamo l'intervento, per cui ad un certo punto si è dovuta dare una risposta, il tutto naturalmente a costo zero, senza cioè incrementare la spesa pubblica; si è dovuta dare una risposta, anzi due, la prima è stata la creazione di sezioni del NOE in periferia, in particolare per consentire al personale di colloquiare direttamente con il pubblico ministero che dirige le indagini, altrimenti si verificava che il PM di Locri, ad esempio, colloquiasse con un maresciallo che svolgeva il suo servizio a Roma. A me è capitato a Venezia di fare un'indagine con il NOE di Roma e ricordo che in procura ogni volta era una disperazione perché bisognava andare a cercare il personale specializzato ed armonizzare le esigenze di diverse procure. La scelta quindi di creare sezioni distaccate è stata il primo passo per porre a disposizione dell'autorità giudiziaria direttamente ufficiali di polizia giudiziaria specializzati.
Il secondo provvedimento di risposta è stato di carattere addestrativo, fondamentale in una materia così difficile, per cui sono stati fatti dei corsi per addestrare il personale che opera nei singoli nuclei operativi dei capoluoghi di provincia, in maniera tale che ci sia un referente.
Per quanto riguarda le difficoltà operative, a parte quella a cui accennavo prima per la tutela delle leggi sull'ambiente, essa sorge nel momento in cui c'è un'infiltrazione della criminalità organizzata. L'infiltrazione purtroppo c'è, è stata dimostrata. Soltanto i carabinieri nella provincia di Reggio Calabria hanno scoperti due casi piuttosto significativi. L'esperienza però ci insegna qualcosa. Che Cosa potremmo fare per camminare tutti nella stessa direzione, per evitare sul piano preventivo l'infiltrazione della criminalità organizzata? Dovremmo chiederci qual è il momento in cui scatta per il crimine organizzato l'interesse a questo tipo di attività. Credo che uno dei momenti più significativi sia quello in cui i costi dell'attività si dilatano. Quando questo succede c'è facilità di guadagni illeciti e l'interesse della criminalità aumenta. I costi si dilatano non appena si parla di trasporto. Appena si prende la decisione di trasportare i rifiuti solidi urbani per portarli in una discarica sita a venti-trenta chilometri di distanza i costi si dilatano in maniera esponenziale, anche perché ci possono essere implicazioni con il problema del peso e della esatta valenza del carico; non voglio annoiarvi con statistiche, che comunque sono disponibili, ma abbiamo addirittura dimostrato che è sufficiente un viaggio di trenta chilometri; c'è stato un processo molto interessante in Sicilia in cui si è dimostrato che un viaggio da Messina a Milazzo ha comportato il raddoppio delle spese. Quindi credo che se gli amministratori, cui fanno capo queste responsabilità, volessero dare una mano alla polizia giudiziaria che arriva per ultima ed ha difficoltà a risolvere i casi per quelle obiettive difficoltà di indagine di cui è stato già ampiamente detto anche da parte di magistrati, uno dei risultati da conseguire dovrebbe essere la limitazione delle esigenze di trasporto.

PAOLO POLLICHIENI, Cronista della Gazzetta del Sud. Grazie al generale Borghini. Passiamo ora al punto di vista della Guardia di finanza, attraverso l'intervento del generale Angelo Cardile, comandante della regione della Guardia di finanza, Calabria.

ANGELO CARDILE, Comandante della regione della Guardia di finanza, Calabria. Il mio intervento sarà necessariamente ristretto dal fatto che è inutile che vi parli di quanto la Guardia di finanza ha fatto fino ad oggi, in quanto ciò è stato già ampiamente descritto in precedenti interventi e comunque di dominio pubblico. Nè posso ancora parlarvi di ciò che stiamo facendo perché coperto da doveroso segreto di indagine. Non mi resta quindi che illustrarvi brevissimamente, per non tediarvi


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troppo, come la Guardia di finanza si pone nella lotta all'ecomafia, cioè a quel legame certamente non virtuoso che unisce l'inquinamento ambientale ai grandi capitali mafiosi. Questo atteggiamento varia a seconda che si tratti di lottare contro soggetti non identificati o irregolari, abusivi ovvero che si tratti di operare nei confronti di soggetti che non sempre possiamo definire regolari ma che possiamo inquadrare come regolarmente costituiti.
Per quanto attiene alla prima attività, la Guardia di finanza della Calabria opera con tutti i suoi terminali sul territorio e sul mare per individuare, censire e colpire le discariche abusive. A terra operiamo con il personale addetto al controllo del territorio, in mare abbiamo personale specialmente addestrato e dotato di particolari mezzi per l'individuazione delle fonti principali di inquinamento; per quanto riguarda il controllo dall'alto, abbiamo apparecchi ad ala fissa appositamente equipaggiati con apparecchi fotosensibili, termosensibili che consentono di individuare le discariche anche se sepolte sotto parecchi metri di terra. Di recente abbiamo anche fatto, con un ATR così equipaggiato, alcune strisciate lungo le coste tirreniche della Calabria con sorprendenti risultati, il cui esito verrà al più presto riportato alla magistratura. Ci ripromettiamo di sviluppare questo tipo di attività anche nelle parti montane e sulle coste ioniche non appena avremo nuova disponibilità dell'aereomobile.
Per quanto attiene al secondo aspetto, cioè i soggetti che regolarmente costituiti effettuano la raccolta, il trasporto e il deposito dei materiali di rifuso, è innanzitutto necessario distinguere due tipi di attività di individuazione e di analisi: una dei sistemi attraverso i quali l'imprenditore risparmia illecitamente sul fisco; una dei sistemi attraverso i quali la Guardia di finanza cerca di ricondurre i soggetti giuridici alle persone fisiche che hanno il capitale e la potestà decisionale. Desidero precisare che il settore dello smaltimento dei rifiuti è stato dal comando generale e dagli organismi centrali evidenziato come settore a grave rischio di infiltrazione. Per questo motivo, i reparti della Calabria, unitamente agli uffici finanziari e al personale del Secit a ciò preposto, hanno effettuato un censimento completo dei soggetti che variamente interpretano questo tipo di attività, dalla raccolta dei rifiuti, al trasporto ed al deposito non solo dei rifiuti solidi, ma anche del materiale di risulta, eccetera. Abbiamo fatto questo censimento ed ora ci riproponiamo, dopo uno studio approfondito sulle metodologie di conservazione e stoccaggio di questi prodotti, di effettuare i conseguenti interventi volti a monitorare i soggetti e ad individuare eventuali pecche degli stessi.
Pur tuttavia ritengo che la parte più interessante di questa nostra attività sia quella riconducibile alla necessità di soggettivizzare le persone giuridiche che spesso nascondono le compartecipazioni, gli inserimenti, gli interessi di tipo mafioso. Questo per ovvi motivi; innanzitutto perché l'individuazione dei soggetti è indispensabile per evitare che la morte del soggetto giuridico venga seguita, novella araba fenice, dalla resurrezione dello stesso soggetto sotto altro nominativo o egida; in secondo luogo (secondo in ordine di descrizione ma non certo di importanza), per far sì che la Guardia di finanza sia in grado di fornire al magistrato un buon castello probatorio basandosi sul più penetrante e pesante sistema sanzionatorio datoci dalla legge antimafia rispetto al sistema sanzionatorio che abbiamo visto essere piuttosto fragile ed inconsistente dato dal sistema normativo antinquinamento. È del tutto evidente che è diverso colpire i responsabili di inquinamento ambientale quando li si riconosce collegati variamente con la criminalità organizzata rispetto al colpirli soltanto per l'inquinamento.

PAOLO POLLICHIENI, Cronista della Gazzetta del Sud. Ci avviamo alla fine della tavola rotonda con l'intervento del questore di Reggio Calabria Rocco Marazzita.

ROCCO MAZZARITA, Questore di Reggio Calabria. Non vi è dubbio che il


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problema sia stato ormai trattato negli interventi svolti in tutte le sue sfaccettature, per cui riesce davvero difficile trovare punti di approfondimento senza rischiare di annoiare l'uditorio. Sono comunque qui per sottolineare come le forze di polizia, la polizia di Stato, così come le altre forze di polizia collaborano e partecipano attivamente per contrastare il fenomeno, collaborando anche con la magistratura attraverso le indagini. Non voglio certo entrare nelle indagini svolte in loco, anche perché sono state già abbondantemente illustrate nel corso dei vari interventi, per cui mi limiterò a sottolineare come, secondo me, sia necessario scuotere la coscienza dei cittadini e spesso anche degli amministratori per operare nel campo della prevenzione. Proprio perché la polizia di Stato è dovuta intervenire molte volte in situazioni di ordine pubblico differenti dal semplice contrasto, perché intere borgate, interi paesi, spesso con a capo gli amministratori comunali, sono insorti proprio nel momento in cui si doveva stabilire il luogo dove realizzare una discarica, iniziare la costruzione o reperire il terreno per una discarica da realizzare. Ciò dimostra che non c'è ancora una coscienza vera e propria nei cittadini in questo senso e ciò rende ancora più difficile il lavoro delle forze di polizia e degli amministratori che dovrebbero pensare anche alla soluzione di questo problema.
Ho avuto già modo di parlare con l'onorevole Scalia a Latina, dove ero questore e dove abbiamo scoperto discariche veramente molto pericolose ed anche in quella occasione sottolineiamo come fosse importante la sensibilizzazione al problema, per cercare di portarlo all'attenzione dei giovani e, più in generale, della cittadinanza in maniera più forte, ma anche delle stesse forze dell'ordine. Sono profondamente convinto che anche le forze dell'ordine non abbiano ancora una vera e propria coscienza diretta in questo senso. È vero che molto è stato fatto, ma molto si potrebbe ancora fare nel settore.
Limitandomi sempre al campo generale, e a considerazioni che possano risultare utili, senza ripetere quanto già è stato detto, dirò quindi che il semplice smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ove su più fronti si va registrando una proliferazione di discariche abusive, crea quotidianamente una serie di problematiche di tipo ambientale, igieniche ed anche di ordine pubblico.
Considerato a parte lo stato di malumore e di comprensibile insofferenza di quanti sono costretti a sopportare la presenza di centri abusivi di smaltimento di rifiuti urbani ai margini dei propri centri abitati. Le indagini ed i controlli effettuati nel tempo dalle forze dell'ordine e dalla magistratura hanno consentito di evidenziare che anche in tale settore la criminalità organizzata, sfruttando a pieno le proprie capacità di controllo del territorio, riesce a trarre un utile economico rilevante.
Il numero non sufficiente di discariche autorizzate e di centri di smaltimento favorisce, di fatto, le illecite attività nel settore.
Non vi è dubbio, poi, che lo smaltimento illegale dei rifiuti tossici, provenienti dalla produzione industriale, nonché di scorie radioattive, rappresenta oggi un colossale affare a livello mondiale e, come tale, non può mai essere oggetto di interesse per la criminalità organizzata.
Proprio riguardo a quest'ultimo settore, una particolare attenzione deve necessariamente essere dedicata alla 'ndrangheta calabrese, che dopo aver stretto importantissimi legami con trafficanti di narcotici europei, sudamericani e mediorientali, oggi è tra le organizzazioni mafiose maggiormente accreditate nel panorama mondiale, anche per via delle evidenti ramificazioni che negli anni i calabresi sono riusciti a concretizzare nel nord d'Italia, in Europa, negli Stati Uniti, nel Canada ed in Australia.
Già la Commissione parlamentare antimafia nella XI legislatura aveva avuto modo di denunciare che la 'ndrangheta


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era fortemente interessata allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, tossici e nocivi.
Per quel che riguarda il semplice smaltimento dei rifiuti solidi urbani, infatti, i bassi costi di gestione e di manutenzione degli impianti abusivi garantiscono cospicui guadagni, anche in relazione alla obiettiva necessità di tale servizio ed alla carenza di discariche autorizzate.
In ordine allo smaltimento di rifiuti tossici e, soprattutto, di natura radioattiva, il giro d'affari annuo calcolato è di migliaia di miliardi, a tutto appannaggio di faccendieri nazionali ed internazionali in grado di stringere contatti con chiunque sia in grado di assicurare il necessario appoggio logistico all'attività di trasporto e dispersione dei relativi carichi provenienti dai paesi industrializzati.
Le attività investigative condotte sino a questo momento dalla magistratura e dalle forze di polizia hanno consentito, infatti, di verificare positivamente quanto si intravedeva già verso la fine degli anni '80, che, cioè, l'attività di smaltimento di scorie, di carattere industriale ed anche radioattivo, queste ultime provenienti, soprattutto, dallo smantellamento delle centrali nucleari europee messe in disuso per raggiunto termine di operatività, era in procinto di divenire il più lucroso affare che la criminalità organizzata intendeva praticare su vasta scala.
Ed è proprio su tale campo che si ritiene doveroso ed imprescindibile operare la più tenace opera di contrasto, attesa la drammatica pericolosità che è insita nel fenomeno, soprattutto per quel che riguarda l'aspetto della tutela dell'ambiente di vita della collettività.
Come per tutte le fenomenologie criminali, anche il settore in argomento si ritiene attaccabile sia sul versante della repressione che su quello della prevenzione.
Sotto l'aspetto repressivo è confortante il dato rappresentato dal comune interessamento al drammatico problema da parte di numerose componenti istituzionali, oltre a quelle normalmente rappresentate dalla magistratura e dagli organi di polizia giudiziaria.
Particolarmente efficace sembra essere l'attività delle organizzazioni ambientalistiche, a cui tutta la collettività deve essere grata per la delicatezza dei temi che costoro da decenni tentano di tutelare nell'interesse comune, così come particolarmente sentito è il problema da parte di tutti gli organi di informazione, che quotidianamente fanno si che la lotta all'illecito deturpamento ed avvelenamento del territorio sia sempre viva ed entri nella coscienza dei cittadini.
Da parte delle forze di polizia e delle autorità marittime ed aeronautiche su tale settore, più che su ogni altro, sarebbe auspicabile la piena ed incondizionata collaborazione al fine di realizzare un controllo totalmente coordinato della rete viaria stradale, ferroviaria e delle rotte navali, così da intensificare gli sforzi diretti all'individuazione dei carichi di morte indirizzati sul territorio nazionale.
Contemporaneamente, si ritiene necessario, proprio per far fronte alle esigenze di carattere repressivo, monitorare costantemente nel tempo i dati relativi alla produzione industriale nazionale ed al censimento delle discariche autorizzate, idonee allo smaltimento legale di prodotti tossici, anche al fine di creare un deterrente contro chiunque voglia dirottarli verso centri di smaltimento non autorizzati.
Se è vero che chi produce un'arma è sottoposto ad oneri di carattere legislativo e di polizia per quel che riguarda la successiva immissione sul mercato del prodotto finito, proprio perché ritenuto pericoloso per l'incolumità pubblica, così oggi deve necessariamente essere per chi, operando nel settore industriale, produce scorie nocive e deve poi farsi carico del relativo smaltimento.
Si potrebbe pensare, cioè, alla creazione di una sorta di «circuito» che, partendo dalla produzione industriale, attraverso una ben individuata serie di vettori autorizzati, si chiuda presso gli idonei centri di smaltimento, circuito interamente


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sottoposto ad una serie di controlli, anche di natura incrociata, da parte dell'autorità statali.
Qualunque sia il costo in termini di restrizioni legislative, burocratizzazione amministrativa e di risorse umane ed economiche da impegnare in attività di tal genere, si ritiene che esso sia di gran lunga inferiore al danno, ben difficilmente quantificabile in termini soltanto squisitamente economici, rappresentato dalla proliferazione delle attività criminali di smaltimento illegale di rifiuti tossici nell'ambiente.
È utile ricordare, infatti, quanti e quali siano stati gli sforzi compiuti dalla comunità internazionale, quando si toccò con mano il problema, ancor prima dell'illecito arricchimento delle organizzazioni criminali, del devastante effetto delle tossicodipendenze tra i cittadini.
Ben difficilmente oggi si è in grado di quantificare l'impegno economico sostenuto dagli Stati che hanno deciso di farsi carico, con strutture, uomini e mezzi, della lotta al narcotraffico, senza contare la perdita di vite umane di quanti, appartenenti alle forze dell'ordine ed alla magistratura, hanno pagato il massimo prezzo per il proprio impegno personale, vittime di quel sistema illegale che dagli stupefacenti ha tratto, continua a trarre, e non intende assolutamente cedere, un immenso potere economico.
Anche la creazione di strutture investigative ad hoc costituite con la partecipazione di specialisti provenienti da tutte le forze di polizia, potrebbe arrecare un contributo maggiormente qualificato alla lotta al fenomeno, specialmente se coordinate da magistrati e da pool di magistrati anch'essi esclusivamente impegnati nello specifico settore.
Sotto l'impulso di organismi investigativi di tal genere potrebbero nascere tecniche di indagine maggiormente incisive, a cui potrebbero poi attingere tutti gli ulteriori organismi di polizia giudiziaria capillarmente distribuiti sul territorio, tanto da poter costituire anch'essi valido e qualificato supporto all'opera specialistica di contrasto.
Nulla dovrebbe essere lasciato al caso e nulla dovrebbe essere intentato pur di incidere validamente nella lotta ad un fenomeno criminale che deve necessariamente essere inquadrato tra quei reati contro l'incolumità pubblica, e nell'ambito di essi, certamente tra i più gravi.
Conferma più eloquente a tale assunto è rappresentata dalla istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, la cui opera, in termini di raccolta di informazioni, di analisi e di proposta legislativa, è senz'altro particolarmente apprezzabile nell'ambito di un settore soltanto ancora marginalmente toccato dalla legislazione penale ed, ancor meno, da quella più tipicamente antimafia.
Se sul versante repressivo tanto si sta già facendo e tanto potrebbe anche farsi in tempi relativamente brevi, quel che più preoccupa, invece, è l'aspetto del problema sotto il profilo più prevalentemente preventivo.
Ben difficilmente in questo caso, campagne di sensibilizzazione o interventi di natura politica e sociale possono incidere sul fenomeno dello smaltimento illecito di prodotti nocivi. La ricerca di sempre più moderne tecnologie, ad alta qualità e basso costo di produzione, comporta nella stragrande maggioranza dei casi l'utilizzo di materie sempre più lontane da quelle naturali, sempre più basate su composizioni chimiche e, quindi, su un sempre più alto tasso di nocività. Analogamente, gli aumenti dei costi del petrolio fanno ritenere improbabile una non proliferazione delle 500 centrali nucleari oggi in funzione in ambito mondiale. In buona sostanza, i prodotti tossici e le scorie radioattive sono una realtà con cui si dovrà necessariamente convivere ed il cui tasso di crescita non potrà subire limitazioni di sorta. Da ciò, conseguentemente, vi sarà sempre più necessità di smaltire scorie e sempre più il miraggio per le nuove organizzazioni criminali di ingentissimi profitti economici. Atteso ciò, non sarà certo l'individuazione e la condanna a pena detentiva di qualcuno dei responsabili


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a poter frenare l'espansione di un settore illecito di così grande potenzialità economica per la mafia.
È evidente, quindi, che soltanto la creazione di un numero più che sufficiente alla domanda di impianti idonei per lo smaltimento dei rifiuti tossici, dislocati a congrua distanza da tutti gli insediamenti industriali, può far sì che lo smaltimento stesso possa avvenire a costi minimi per i produttori, tanto da far venire meno l'interessamento di costoro al mercato illecito.

PAOLO POLLICHIENI, Cronista della Gazzetta del Sud. Non essendovi altre richieste di intervento, nel ringraziare tutti per il contributo recato, debbo fare una precisazione. Michelangelo Tripodi, che era firmatario, insieme a De Paola della legge regionale di cui prima ho parlato (De Paola era il relatore sul provvedimento; in questo senso correggo quanto prima ho detto) fa presente, con un biglietto, di considerare le osservazioni del Governo a quel provvedimento «pretestuose ed ingiustificate»; aggiunge che vi è l'impegno a richiamare in Aula quanto prima il provvedimento perché possa essere approvato nuovamente, nella speranza che questa volta abbia migliore fortuna.

Conclusioni.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Nell'invito, in effetti, è indicato il punto delle conclusioni, come è consueto in ogni seminario o convegno pubblico. In realtà, come spiego sempre, le conclusioni le trarrà la Commissione d'inchiesta, dopo altre iniziative analoghe a questa, dopo le audizioni, dopo l'assimilazione e la metabolizzazione dei documenti che abbiamo a disposizione, con un documento che esaminerà ed approverà per il Parlamento e che indirizzerà anche al Governo.
Oggi mi limito a poche considerazioni. La prima, che credo riguardi anche i convenuti, è che ci troviamo d'accordo nella valutazione di grande utilità che hanno incontri come questo. Tale utilità si misura, ovviamente, sulla ricchezza dei contributi offerti, sulle critiche avanzate, siano esse positive o negative, sulla messa in evidenza dei problemi, sui suggerimenti, sulle proposte, sui tentativi di soluzione e sull'informazione. Alla terza tappa del nostro itinerario, dopo i seminari di Napoli e di Bari, anche a Reggio Calabria credo che ci troviamo davanti ad un insieme di osservazioni e dati senz'altro di grande interesse, di grande utilità non solo per i lavori della Commissione ma per ciò che essa potrà poi proporre, spero, nell'interesse del paese, della regione Calabria e dei suoi abitanti.
Per quanto riguarda la riunione di oggi, diciamo che la qualità del seminario possiamo in qualche modo garantircela programmando interventi in cui i più autorevoli esponenti dei diversi settori siano in grado di darci l'up-to-date della situazione. È però di conforto anche il fatto che se al seminario di Napoli abbiamo avuto 100 registrazioni e a quello di Bari 120, oggi ne abbiamo avute 160, senza contare quelli che non si registrano e che pure vengono ed ascoltano. Mi sembra che anche questo dato quantitativo dimostri non solo l'utilità di questi incontri ma, nel caso calabrese, una partecipazione ed un interesse che giudico un ottimo segnale che ci fa ben sperare tutti quanti. D'altra parte, mi sembra che i riflettori siano accesi su due questioni entrambe importanti: la prima, che ho sentito in molti interventi e che è nelle indagini della magistratura, è il prendere consapevolezza piena di ciò che già denunciavamo oltre un anno fa al forum sulle ecomafie a Napoli, cioè il salto di qualità che queste ultime hanno fatto. Dal Far West che ha percorso l'Italia nel decennio 1982-1992, in cui i rifiuti si buttavano un po' ovunque, purtroppo soprattutto in molte regioni meridionali, si è passati ad una situazione in cui la criminalità organizzata non si accontenta di raccogliere e di smaltire illegalmente: sappiamo infatti - lo abbiamo sentito anche oggi - che sta cercando di entrare nel business dei rifiuti non dalla porta di


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servizio, non con la mitica frase del primo pentito di camorra «la monnezza è come l'oro», ma con quella capacità con cui la malavita organizzata è riuscita ad invadere i settori del narcotraffico, delle armi e dell'usura utilizzando gli strumenti più aggiornati, cioè le gare d'appalto e le scatole cinesi della società.
Mi sembra quindi molto importante, vista oggi la presenza molto significativa di forze dell'ordine e della magistratura, che vi sia questa consapevolezza piena: il fatto che non si assista più allo sversamento lungo le autostrade o al seppellimento, in qualche grotta dell'Aspromonte, di rifiuti, magari anche pericolosi, non significa che sia smesso questo tipo di attività; purtroppo, infatti, accanto ad esso il business è cresciuto, per cui la criminalità organizzata si comporta come storicamente ha sempre fatto in tutti gli altri settori. La criminalità organizzata ha fatto un salto di qualità e noi dobbiamo essere in grado di farne uno analogo mettendo in campo tutti gli strumenti capaci di fronteggiare questa nuova situazione.
L'altra consapevolezza, che mi sembra molto diffusa, anche negli interventi che ho ascoltato finora, è che quando si parla di commissariamento si pensa sempre all'emergenza per i rifiuti solidi urbani, cioè quelli che creano più immagine e più preoccupazione per gli amministratori, almeno come fatto immediato. Ma in una situazione come quella del nostro paese, in cui la recente indagine dell'ANPA ci dice che a fronte dei 28 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani vi sono oltre 60 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, al cui interno vi sono quelli pericolosi, tra cui quelli tossico-nocivi, è del tutto chiaro che rischiamo di perdere la battaglia per arrivare ad un sistema integrato che affronti il ciclo dei rifiuti se non siamo più che consapevoli del fatto che la parte più difficile da affrontare è proprio quella dei rifiuti speciali e, segnatamente, quella dei rifiuti pericolosi.
A me sembra che in Calabria, purtroppo anche per vicende che hanno interessato le procure della Repubblica, questa consapevolezza e questo allarme sui rifiuti pericolosi, su quelli tossico-nocivi e su quelli radioattivi siano presenti da molto tempo ed abbiano quindi messo allerta la magistratura e le forze predisposte al contrasto. Qui si è parlato molto del ripristino della normalità e della necessità di evitare che il commissariamento diventi, da fatto straordinario, fatto ordinario, ma il problema è che anche l'amministrazione, sia a livello locale, sia, soprattutto, a livello regionale, disponga di una programmazione, di risorse, di energie, di uomini, di presidi tecnologici e di controlli per far sì che la partita dei rifiuti speciali entri a pieno campo nel novero delle politiche regionali. In proposito notiamo, un po' dappertutto, una sottovalutazione. Forse perché un'enfasi troppo alta è stata posta sulla questione dell'emergenza per i rifiuti solidi urbani. Non vorremmo che ciò, in qualche modo, non consentisse la necessaria attenzione e l'efficace operatività indispensabili per gestire tutta la partita dei rifiuti speciali.
Sono queste le brevi considerazioni che ho voluto proporre come saluto di commiato.
Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato, così nutritamente e intensamente, a questo seminario pubblico sull'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti.

Il seminario termina alle 17.15.

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