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Seduta del 18/4/2000


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ALLEGATO

Resoconto stenografico dei lavori del seminario - svoltosi a Bari il 7 marzo 2000 -
sull'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti


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SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITÀ ILLECITE AD ESSO CONNESSE

L'ISTITUTO DEL COMMISSARIAMENTO PER L'EMERGENZA RIFIUTI
Seminario pubblico

BARI, 7 MARZO 2000

RESOCONTO STENOGRAFICO


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INDICE

Indirizzo di saluto:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Pisicchio Alfonso, Presidente del consiglio provinciale di Bari
Roca Michele, Assessore all'ambiente del comune di Bari

Prima sessione: Riflessioni sull'istituto del commissariamento: funzionamento ed efficacia:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Gerardini Franco, Vicepresidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Leccese Vito, Assessore all'ambiente della provincia di Bari
Limongelli Luca, Collaboratore della struttura commissariale per l'emergenza rifiuti della regione Puglia
Mazzitello Giuseppe, Prefetto di Bari e commissario delegato per l'emergenza rifiuti

Seconda sessione: Il supporto tecnico alla gestione commissariale:
Specchia Giuseppe, Vicepresidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Ferri Franca, Funzionario dell'ENEA, dipartimento ambiente
Galeone Luciano, Presidente di Tecnopolis
Ganapini Walter, Presidente dell'ANPA e presidente della commissione scientifica di supporto al commissario delegato

Terza sessione: Dibattito:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Gerardini Franco, Vicepresidente della Commissione parlamentare d'inchiesta
Colangione Angelo, Assessore all'ambiente e territorio della provincia di Foggia


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Di Santo Antonio, Docente di infrastrutture idrauliche del Politecnico di Bari e responsabile dell'area ambiente e territorio dei democratici di sinistra della provincia di Bari
Lagrasta Augusto, Esperto e consulente su questioni ambientali
Luca Antonio, Assessore all'ambiente della provincia di Lecce
Marengo Lucio, Segretario di Presidenza della Commissione parlamentare d'inchiesta
Pluchino Giovanni, Presidente della commissione ambiente della Confindustria Federpuglia
Sechi Salvatore, Coordinatore del settore rifiuti della regione
Stefàno Dario, Vicepresidente dell'associazione industriali di Lecce
Valletta Salvatore, Rappresentante dell'associazione culturale ANARRES

Indirizzo di saluto:
Vernola Marcello, Presidente della giunta provinciale di Bari

Quarta sessione: I risvolti criminali dell'emergenza:
Gorgoni Raffaele, Cronista della RAI, T3-Puglia
Di Bitonto Riccardo, Procuratore della Repubblica di Bari
Giorgio Giovanni, Sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Bari

Tavola rotonda:
Centore Eduardo, Colonnello dell'Arma dei carabinieri
Cocca Giulio, Coordinatore regionale del corpo forestale dello Stato, Puglia.
Gorgoni Raffaele, Cronista della RAI, T3-Puglia
Malvano Franco, Questore di Bari
Romito Nicola Armando, Coordinatore regionale delle capitanerie di porto, Puglia
Zito Renato, Comandante del nucleo regionale di polizia tributaria

Conclusioni:
Scalia Massimo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta


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L'ISTITUTO DEL COMMISSARIAMENTO
PER L'EMERGENZA DEI RIFIUTI
Seminario pubblico

Indirizzo di saluto

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Apriamo i nostri lavori dando la parola al presidente del consiglio provinciale di Bari, che ringrazio, anche a nome di tutta la Commissione, per una ospitalità che gli inglesi definirebbero senz'altro warm.

ALFONSO PISICCHIO, Presidente del consiglio provinciale di Bari. Onorevole presidente della Commissione parlamentare, onorevoli deputati e senatori, autorità, signore e signori! porgo a nome del consiglio provinciale di Bari e dell'amministrazione tutta il più cordiale saluto.
È proficuo e opportuno che Bari ospiti, dopo Napoli, il secondo dei seminari pubblici tesi ad approfondire il funzionamento e l'efficacia dell'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti.
Di questo bisogna essere grati alla Commissione d'inchiesta. Così come dovrà essere espressa profonda gratitudine agli esperti, ai sindaci, ai rappresentanti delle istituzioni che in questa sede faranno il punto della situazione, nel superiore interesse dell'ambiente e, quindi, della salute delle comunità amministrate.
La provincia di Bari, pur nella ristrettezza di mezzi e risorse disponibili, non si è sottratta ai suoi compiti. Consapevole delle funzioni prefigurate dal futuro ruolo di maggiore «città metropolitana» nella regione Puglia, in sintonia con gli altri livelli istituzionali, ha svolto con continuità una responsabile azione propositiva, a partire dallo spinoso problema della localizzazione degli impianti per lo smaltimento RSU previsti dal piano regionale fino al recente Workshop Parchi 2000, alle iniziative in corso per assicurare la presenza pubblica negli impianti di smaltimento RSU e, su un altro piano, al ruolo incisivo preteso nella ridefinizione in atto del sistema idrico integrato e della privatizzazione dell'acquedotto pugliese.
Bisogna tuttavia riconoscere che ciò non è bastato. Dal novembre 1994 in Puglia è in atto lo stato di emergenza socio-economico-ambientale, poi configuratasi più specificamente in emergenza acque ed emergenza rifiuti, con conseguente attribuzione di compiti e poteri straordinari al prefetto di Bari ed al presidente della giunta regionale nella qualità di commissari governativi delegati.
Neanche questa risposta tuttavia sembra avere colto nel segno se, a quasi dodici anni dalla elaborazione del piano regionale RSU (redatto nel 1988, aggiornato nel 1992, approvato con legge regionale n. 17 del 1993) e ad oltre un lustro dal ricorso all'istituto del commissariamento, si deve registrare non solo il mancato superamento


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della situazione di emergenza regionale nella gestione dei rifiuti, ma nessuno dei nuovi quattro impianti di termovalorizzazione e quindici impianti di compostaggio previsti dal piano risulta avviato a realizzazione ed, in provincia di Bari, neppure le previste discariche di bacino, con la prospettiva del riacutizzarsi a breve della situazione di crisi per quanto concerne lo smaltimento RSU.
Voglio a questo riguardo evidenziare che, come si evince da un recente rapporto della Agenzia europea dell'ambiente, la capacità residua di tutte le discariche di rifiuti in esercizio in Europa non supera in media 5-6 anni.
All'odierno dibattito, tra così autorevoli relatori e rappresentanti delle istituzioni, il compito di individuare le cause di tale situazione - in aggiunta a quelle già note legate inizialmente a sporadiche insorgenze coleriche, all'immigrazione clandestina lungo oltre 2.000 chilometri dalle nostre cose, alla limitatezza dei mezzi di contrasto della illegalità - e soprattutto i possibili rimedi.
Vorrei fornire anch'io un breve contributo in tal senso richiamando l'attenzione su un problema di cui non mi paiono adeguatamente evidenziate le implicazioni di ordine sociale, economico e legalitario. Mi riferisco alla perdurante mancanza di impianti di smaltimento rifiuti, già in passato affrontata senza successo con approccio emergenziale all'epoca della Karin B e delle cosiddette navi-veleno con il piano di emergenza nazionale per lo smaltimento rifiuti (1989).
Il principio comunitario cardine della politica ambientale, command and control, indica in estrema sintesi l'esigenza che l'istituzione pubblica si limiti a definire chiare regole (command) ed a verificarne la corretta applicazione (control, cui in particolare questa provincia attende con una propria struttura, il NOTA), lasciando alla legittima iniziativa dei soggetti interessati, pubblici, privati o misti che siano, la realizzazione dell'offerta degli impianti e dei servizi ambientali indispensabili al cittadino in regime di reale concorrenza e libero mercato.
La tendenza tutta italiana all'imminenza burocratica e alla proliferazione legislativa, scarsamente contrastata finora dai vari decreti Giannini e Bassanini, ha interposto un terzo imperativo, permit, cioè il compito (in Puglia delegato alle province con legge regionale n. 30 del 1986) di approvare gli impianti e autorizzare le attività legate alla gestione dei rifiuti, in sostituzione/sovrapposizione all'autorità locale e con modalità sconosciute nei paesi più sviluppati.
Ciò innanzitutto sottrae le già limitate risorse provinciali al fondamentale ruolo di controllo, in attesa della istituzione di ARPA e APPA. Inoltre introduce una pesante strozzatura temporale, spesso caratterizzata da verifiche tanto minuziose sul piano documentale quanto carenti su quello fattuale.
Come evidenziato, l'attesa media per conseguire l'autorizzazione di un nuovo impianto di gestione rifiuti, pur nell'ambito della pianificazione esistente, di rado risulta compatibile con le urgenze dei produttori (pubblici o privati) dei rifiuti, oggettivamente necessitati a disfarsene con ogni mezzo, oltre che con i tempi della gestione imprenditoriale e finanziaria.


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Da ciò una distorsione particolarmente grave del sistema, in cui l'autorizzazione determina una plusvalenza abnorme, spesso disgiunta dal valore economico della attività autorizzata, con conseguente lievitazione del prezzo del servizio offerto ben oltre il suo costo industriale.
Nell'oligopolio che così si crea, e si autodifende, può- rinvenirsi una delle cause della perversa spirale: pochi impianti autorizzati-alti prezzi del servizio-alti profitti-ecomafia.
Quanto possa risultare nocivo, viceversa, un approccio emergenziale al problema, anche attraverso facili suggestioni emotive, spesso strumentali, era stato denunciato da questa amministrazione provinciale già in epoca non sospetta, nel primo rapporto sullo stato dell'ambiente della provincia di Bari (tentativo di approccio sistematico alla conoscenza dello stato dell'ambiente.
Se, quindi, neanche l'istituto del commissariamento, cioè, l'adozione dei poteri straordinari per agevolare il superamento del cosiddetto «ingorgo legislativo» nel settore è risultato efficace per promuovere la realizzazione dei nuovi impianti previsti dalla pianificazione regionale, probabilmente la soluzione va cercata nello snellimento dell'impianto legislativo esistente, delle procedure e dei permessi necessari.
Una efficace indicazione al riguardo è offerta dalla semplificazione procedurale introdotta dall'articolo 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997 per le operazioni di recupero dei rifiuti, che sta dando ottime risposte anche sul piano occupazionale (nella sola provincia di Bari sono circa 250 le imprese, spesso cooperative giovanili, costituitesi a tal fine), oltre che su quegli attesi del recupero di materia ed energia, del prolungamento del ciclo di vita di beni e manufatti, del calmieramento dei prezzi ed in definitiva, per quanto rileva in questa sede, del recupero della legalità e del sommerso nel settore dei rifiuti.
Affido alla riflessione dei partecipanti a questo seminario, in particolare dei rappresentanti del legislativo, queste mie considerazioni.
Ringraziando gli intervenuti per la cortese presenza, auguro a tutti un sereno dibattito ed un proficuo lavoro.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Ringrazio il presidente Pisicchio. Il sindaco di Bari non ha potuto essere presente ed è rappresentato dall'assessore all'ambiente, Michele Roca, al quale cedo quindi subito la parola.

MICHELE ROCA, Assessore all'ambiente del comune di Bari. Desidero porgere a nome dell'amministrazione comunale di Bari il saluto ufficiale ed il ringraziamento per l'invito a questo incontro, al quale più che per intervenire veniamo per ascoltare. La materia è tale per cui siamo convinti che le indicazioni che ci possono venire dal lavoro svolto a livello locale dal commissario per l'emergenza rifiuti e a livello nazionale come punto di riferimento e di raccolta dei dati in questo settore siano significative per definire tracce importantissime per la soluzione di questo problema.
Come ha prima accennato il presidente Pisicchio, a livello territoriale il grosso problema è quello di mettere d'accordo gli enti locali


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e nella stasi generata dal mancato accordo (perché purtroppo nessun comune ama destinare un'area del proprio territorio alla raccolta specifica, alla discarica o a contenere i rifiuti di altri comuni) gioca il proliferare di situazioni anomale ed illegittime. Un'azione di forza che individuasse e definisse esattamente i criteri di intervento forse agevolerebbe la soluzione del problema.
La soluzione finale per una città come Bari - è stato detto in altri tempi da parte del comune ma anche a suo tempo da parte della provincia, della cui amministrazione ho fatto parte nella passata legislatura - era un termodistruttore. I problemi legati a questa scelta sono noti, attengono al finanziamento, alla individuazione dell'area e alla gestione complessiva della situazione. Mi auguro perciò che dalle riflessioni che potranno venire in questa sede possano derivare delle tracce significative di indirizzo, intorno alle quali procedere, con l'ausilio che ritengo fondamentale di una authority, di un commissario che dia indicazioni in proposito e non sia ovviamente slegato dal rapporto con gli enti locali che poi in materia sono sovrani. In questo senso il dialogo e la concertazione con l'ente locale, rispetto ad una scelta che deve essere sì unitaria ma anche condivisa dal territorio, può portare ad una soluzione del problema. In questo cammino, come ho detto all'inizio, un grande passo avanti si potrà fare nel combattere tutti gli aspetti di illegalità che purtroppo si annidano nel settore.
Rinnovo il saluto del comune di Bari e auguro buon lavoro a tutti i convenuti.

Prima sessione: Riflessioni sull'istituto del commissariamento: funzionamento ed efficacia:

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Credo che una piccola variazione al programma dei lavori possa essere fatta per consentire all'assessore all'ambiente della provincia di Bari, Vito Leccese, di svolgere in questa fase del seminario il suo intervento, che gli sarebbe altrimenti impedito da impegni presso l'Assemblea della Camera dei deputati.

VITO LECCESE, Assessore all'ambiente della provincia di Bari. Un grazie al presidente Scalia e alla Commissione anche per avermi consentito di intervenire ora in questa che credo sia per noi tutti una importante opportunità; opportunità che la Commissione d'inchiesta ci offre in termini di riflessione sull'istituto del commissariamento, in una regione come la nostra in cui esperienza in questo campo ne abbiamo maturata abbastanza: quasi un lustro per il ciclo dei rifiuti, un lustro e mezzo per quello delle acque.
Permettetemi una premessa, che non deve suonare come polemica ma come spunto di riflessione, momento di approfondimento per il Governo nazionale e per il Parlamento - rischio di essere autoreferenziale in questo momento - perché si possano rivedere e perfezionare le procedure dell'istituto di cui discutiamo. Ritengo che il fattore tempo non è certamente secondario nella vicenda, in quanto l'urgenza è insita nella ratio della legge n. 225 del 1992, dalla quale trae origine giuridica l'istituto del commissariamento.


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Ebbene, solo oggi, dopo quasi settanta giorni dalla delibera assunta dal Consiglio dei ministri il 29 dicembre scorso con la quale si è prorogato lo stato di emergenza, è stata finalmente emanata l'ordinanza di conferimento dei poteri in capo al commissario. Nelle scorse settimane abbiamo corso il paradosso che lo stesso status di regione in emergenza, senza il provvedimento di conferimento dei poteri, fosse origine dell'emergenza. Infatti nessuno dei diversi attori istituzionali protagonisti di questa vicenda era nelle condizioni di adottare provvedimenti senza essere ragionevolmente sfiorato dal dubbio di produrre atti illegittimi per incompetenza.
Abbiamo atteso quasi settanta giorni; certo pochi rispetto alla precedente ordinanza, per la quale abbiamo aspettato cinque mesi, troppi se consideriamo che la fase di incertezza giuridico-amministrativa crea disorientamento e facili alibi per l'inerzia delle strutture ordinarie, ma soprattutto lascia grandi, enormi spazi all' intervento giurisdizionale e purtroppo dà forza e vigore a chi per motivi diversi contesta e non gradisce l'intervento straordinario.
Questa situazione non aiuta e non favorisce chi come noi continua a sostenere che in Puglia, per fronteggiare il degrado ambientale ed in particolare la crisi nel ciclo delle acque e dei rifiuti, sussistono ancora le ragioni di un intervento eccezionale anche per evitare le pericolose infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore.
Credo sia importante aprire una riflessione - lo facciamo con questo seminario pubblico che la Commissione ha organizzato - sullo spirito della legge n. 225, sull'istituto del commissariamento e sulle norme speciali inserite nell'ordinanza. Non vorrei sbagliarmi, ma credo che lo spirito della legge n. 225 non sia quello dell'intervento di supplenza nei confronti di poteri locali inadempienti o dell'intervento sanzionatorio o surrogatorio. Se così fosse ci sono altre norme previste nella legislazione ambientale e nell'ordinamento degli enti locali perché il Governo nazionale intervenga. Detto questo, dobbiamo capire come poteri straordinari e poteri locali ordinari possono intervenire senza che questi ultimi si sentano espropriati o esautorati di competenze. Soprattutto dobbiamo capire in che modo, terminata la fase straordinaria, si possa dare continuità agli interventi e al lavoro svolto dalle strutture commissariali. Dobbiamo cioè capire quali sono gli strumenti e i mezzi a nostra disposizione per prepararci al passaggio verso il regime ordinario. Rispetto a questo problema alcune risposte le troviamo già nell'ultima ordinanza firmata dal ministro Bianco il 3 marzo scorso.
L'aver individuato nel metodo della concertazione, peraltro già avviato dal prefetto di Bari, dal prefetto Capriulo, ma anche dal precedente commissario, il presidente Distaso, ed aver previsto il coinvolgimento pieno degli enti locali, in particolar modo delle province, costituisce la risposta migliore a questa esigenza di continuità e di maggiore comunicazione e partecipazione di tutti i soggetti istituzionali nei momenti decisionali. Ma questo non è sufficiente, bisogna pensare al trasferimento del know-how, alla formazione del personale e alla dotazione di strumenti adeguati alla sfida cui noi tutti siamo chiamati, in particolar modo le amministrazioni provinciali. Noi, come provincia di Bari, stiamo cercando di


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recuperare il nostro ruolo di ente sovracomunale, non solo per le competenze che ci attribuisce il decreto legislativo «Ronchi» ma anche per le funzioni primarie che la legge n. 142 del 1990 ci affida per la elaborazione dei sistemi di gestione dei servizi di area vasta. Stiamo lavorando perché si possa raggiungere questo obiettivo, perché si possano individuare forme stringenti di cooperazione tra i comuni all'interno dei cinque bacini della provincia di Bari. Soprattutto stiamo lavorando - il prefetto di Bari lo sa - per garantire la titolarità della gestione pubblica degli impianti: previsione già presente nelle norme regionali e nel piano regionale del 1993, ma oggi completamente disattesa.
Concludo questo mio breve intervento di riflessione approfittando della presenza dell'onorevole Gerardini, il quale non è solo vicepresidente della Commissione parlamentare ma anche relatore di quel provvedimento che impropriamente viene definito come Ronchi-quater; provvedimento che parte dalla definizione di rifiuto per rivisitare a tre anni dalla emanazione il decreto legislativo n. 22.
La prima richiesta, come di solito si fa quando si incontrano Commissioni parlamentari, riguarda le risorse finanziarie. Non credo che da parte nostra ci possa essere la richiesta di maggiori trasferimenti di risorse finanziarie perché tali risorse già esistono; vi sono leggi che consentono che una parte di diversi tributi venga trasferita a favore delle province per portare avanti programmi di carattere ambientale; mi riferisco in particolare alla quota-parte spettante alle province secondo la legge n. 504 del 1992 e al tributo speciale per il deposito in discarica stabilito dalla finanziaria del 1995; queste risorse devono però avere un vincolo rigoroso di destinazione d'uso ed oggi invece questo vincolo appare ancora troppo discrezionale. Noi chiediamo che questo vincolo venga ripristinato in modo forte e rigoroso, almeno sino a quando non ci sarà il passaggio definitivo dalla tassa alla tariffa.
Un altro aspetto riguarda l'importante funzione di vigilanza e controllo attribuita alle province dal decreto legislativo «Ronchi». Nella provincia di Bari abbiamo oggi 250 frantoi oleari da controllare, 247 ditte che effettuano attività comunicata con le procedure semplificate, ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo n. 22, e quasi 60 impianti di autodemolizione autorizzati, cui si aggiungono tutti gli impianti che trattano rifiuti urbani e speciali. Abbiamo quindi la necessità di potenziare le nostre strutture dedicate al controllo. Chiediamo che agli operatori di vigilanza ambientale venga riconosciuto lo stesso status che oggi la legge n. 157 del 1990 attribuisce agli agenti per la vigilanza faunistico-venatoria. Crediamo che questa nostra richiesta possa trovare accoglimento all'interno della rivisitazione realizzata attraverso il Ronchi-quater del decreto legislativo n. 22.
Per quello che ci riguarda, come provincia, cercheremo di fare la nostra parte, non soltanto all'interno dei programmi che dovrà portare avanti il nuovo commissario. Cercheremo di dare un nostro contributo attraverso le nostre risorse ordinarie, attraverso la parte corrente del nostro bilancio. Nello schema di proposta di bilancio che abbiamo presentato in consiglio provinciale e che speriamo venga al


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più presto approvata, abbiamo previsto finanziamenti ad hoc dedicati alla realizzazione di sistemi alternativi allo stoccaggio in discarica per il trattamento dei rifiuti, abbiamo pensato alla individuazione di risorse che possano consentirci di istituire un osservatorio provinciale sui rifiuti. È ancora poco rispetto alle iniziative che dovremmo mettere in cantiere e rispetto alle iniziative che in altre province, soprattutto dell'area settentrionale del nostro paese, sono state realizzate. Come provincia - ripeto - cercheremo di fare la nostra parte non solo all'interno dei programmi del commissario ma anche attraverso le nostre strutture ordinarie.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. La ringrazio anche per le sue osservazioni puntuali; quanto alle richieste vedremo quanto potrà produrre il dibattito parlamentare.
Proseguiamo i nostri lavori con la prima relazione, che è quella del vicepresidente Geradini. Devo ancora aggiungere che in qualche modo siamo stati colti in contropiede, anche se ce lo aspettavamo perché erano passati i settanta giorni; mi riferisco alla recentissima nomina del prefetto di Bari, che infatti è qui anche nella sua nuova veste di commissario delegato all'emergenza. Sicuramente il relatore avrà fatto in tempo a incardinare nelle sue riflessioni anche questa novità.

FRANCO GERARDINI, Vicepresidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Innanzitutto un saluto a tutte le autorità civili e militari presenti. L'appuntamento di oggi è il secondo dei seminari pubblici che la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti dedica alle situazioni d'emergenza nel settore dei rifiuti e - più in particolare - all'idoneità dello strumento commissariale per affrontare queste emergenze, ai risultati raggiunti ed alle eventuali «messe a punto» degli strumenti amministrativi e tecnici. Due settimane fa abbiamo tenuto un analogo seminario a Napoli, e - seguendo quella che possiamo chiamare l'«anzianità emergenziale» - oggi concentriamo la nostra attenzione sulla situazione pugliese. È opportuno evidenziare subito alcuni elementi, anche per illustrare meglio l'andamento di questa giornata di lavori.
Questi seminari saranno alla base di un documento che la Commissione predisporrà ed invierà alle Camere per una valutazione dello strumento commissariale per affrontare le emergenze nel ciclo dei rifiuti; per questo motivo, soprattutto nelle sessioni della mattina, abbiamo voluto invitare a parlare tutti gli addetti ai lavori, cioè quanti sono impegnati, a vario titolo, nel superamento dell'emergenza, nonché coloro che debbono confrontarsi quotidianamente - dal punto di vista amministrativo e professionale - con tale situazione.
Non possiamo dimenticare in quali particolari contesti si sono determinate queste emergenze. Un anno fa a Napoli la Commissione ha organizzato un forum nazionale dedicato alla criminalità ambientale e alla lotta alle ecomafie. In quell'occasione venne evidenziato come, con l'allora imminente dichiarazione d'emergenza per la Sicilia, tutte le regioni a tradizionale presenza mafiosa si trovavano


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commissariate per l'emergenza rifiuti. Una situazione che non poteva considerarsi dovuta al caso, esistendo cioè una evidente correlazione tra azione criminale e arretratezza anche nel ciclo dei rifiuti. E allora l'altro interrogativo che dobbiamo porci è se la gestione commissariale ha consentito di arginare la presenza criminale in questo settore, e a questo tema è dedicata in particolare la sessione pomeridiana di questo seminario.
La Puglia è in stato d'emergenza per il ciclo dei rifiuti dal novembre 1994, quando furono affidati al prefetto di Bari i compiti di commissario delegato; dal giugno 1996 l'incarico di commissario delegato per l'emergenza rifiuti è stato affidato al presidente della giunta regionale; successivamente con decisione del 3 marzo, come è stato appena riferito, con l'ultima ordinanza firmata dal ministro Bianco, i compiti di commissario delegato sono stati affidati al prefetto di Bari, con un ruolo di subcommissari ai presidenti delle province. Questo è l'aggiornamento da introdurre alla relazione che, ci scusiamo, risente dell'anticipo rispetto all'ultima ordinanza del ministro.
Alla situazione di questa regione la Commissione ha dedicato una relazione territoriale - approvata nel dicembre 1998 - nella quale venivano esposte una serie di osservazioni che, alla luce anche di più recenti audizioni, non paiono superate. In particolare nella relazione si evidenziava come «gli interventi attuati non consentono di superare in maniera definitiva la fase emergenziale». E si segnalavano due elementi di difficoltà: il primo legato alla programmazione commissariale, centrata sulla termodistruzione, una scelta non del tutto in linea con la normativa nazionale e che comporta tempi lunghi nella sua fase di realizzazione; il secondo elemento riguardava un diffuso atteggiamento negativo da parte degli utenti locali ad ospitare discariche d'emergenza sul loro territorio, in virtù della cosiddetta sindrome nimby (not in my backyard).
La sintesi di questi due elementi è che non pare possibile attendere unicamente la realizzazione di impianti di termodistruzione per superare l'emergenza, ma è necessario concentrarsi sulla cosiddetta gestione integrata del ciclo, privilegiando politiche di prevenzione e politiche di selezione a monte del conferimento come la raccolta secco/umido. Ed è questo un primo punto che pongo all'attenzione dei nostri interlocutori per sapere quali passi siano stati mossi in questa direzione.
Nell'audizione svolta dal presidente Distaso lo scorso mese di ottobre in Commissione è stato annunciato che erano state avviate le procedure per la realizzazione di 13 impianti per il trattamento dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata, oltre ad un significativo incremento del numero dei comuni che hanno avviato questo servizio. Si tratta di risultati importanti, anche se è stato aggiunto che - per quanto riguarda le province di Taranto e Bari - sono solo due i comuni (Molfetta e Taranto) che conferiscono la loro frazione organica selezionata agli impianti di compostaggio esistenti.
Da qui altri due elementi sui quali la Commissione intende avere informazioni più dettagliate. Il primo riguarda l'atteggiamento degli enti locali, che paiono disattendere le ordinanze commissariali; il


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secondo è invece relativo alla destinazione finale effettiva dei materiali raccolti in maniera differenziata. Sapete infatti che è un fenomeno abbastanza diffuso quello per cui i comuni organizzano la raccolta differenziata ma poi i prodotti di tale raccolta vengono smaltiti in discarica.
In una situazione come quella pugliese, infatti, invitare i cittadini ad una maggiore attenzione nel loro comportamento quando poi gli enti locali non attuano politiche conseguenti appare davvero rischioso in termini di fiducia verso le istituzioni e verso le politiche di rispetto dell'ambiente.
Parlavo di impianti in cantiere e di raccolta differenziata in aumento: devo però aggiungere che ciò accade a cinque anni dalla dichiarazione dello stato d'emergenza per il ciclo dei rifiuti in Puglia. La storia della pianificazione in Puglia è nota a chi partecipa a quest'incontro e quindi mi limiterò a ricordare come un primo piano di smaltimento predisposto dalla regione venne varato nel 1993, ma tale strumento si rivelò insufficiente e nel novembre 1994 intervenne la dichiarazione dello stato d'emergenza. La struttura commissariale varò un primo programma d'emergenza nel dicembre 1996. Tale strumento è stato poi modificato nel luglio 1997, dopo l'emanazione del decreto «Ronchi» che ha recepito le direttive comunitarie in materia e che ha di fatto mutato la filosofia della gestione dei rifiuti in Italia, assegnando priorità al recupero di materiale ed individuando nello smaltimento in discarica una formula da abbandonare. Essenzialmente con il decreto legislativo n. 22 sono stati recepiti i principi delle direttive comunitarie e quindi di una gestione del ciclo dei rifiuti che si possa definire europea.
Senza entrare nel merito del piano commissariale - per il quale rimando alla relazione della Commissione che trovate nella cartellina in distribuzione - è tuttavia evidente che solo oggi stiamo assistendo all'avvio di alcuni degli interventi che venivano indicati. Ecco quindi un altro dato sul quale invito tutti i partecipanti a questo seminario ad una riflessione: lo strumento del commissariamento è una extrema ratio, conferisce poteri straordinari per affrontare in maniera il più efficace possibile situazioni d'emergenza. Si assiste però ad un andamento degli interventi per la Puglia che è addirittura più lento di quanto sarebbe auspicabile per una gestione ordinaria. Possiamo quindi dire che lo strumento commissariale non ha sortito, per questa ragione, gli effetti sperati? È una domanda che rivolgo senza secondi fini, è chiaro, a tutti gli intervenuti (non c'è polemica nel mio intervento, che vuole solo indicare la base su cui poi fondare la nostra riflessione) dai quali vorremmo anche sentire valutazioni in merito ai motivi di un simile prolungamento dei tempi dell'emergenza. Un esame approfondito, sereno e comunque necessario dopo cinque anni.
Per come la Commissione - anche avvalendosi dell'esperienza della precedente legislatura - ha seguito le vicende del commissariamento in Puglia, abbiamo sviluppato una serie di elementi di valutazione, nei quali si intrecciano aspetti sociali, amministrativi ed anche legati all'azione della criminalità organizzata. Si deve anzitutto ricordare che la situazione di partenza era contraddistinta da un


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ricorso esclusivo alla discarica quale forma di smaltimento dei rifiuti solidi urbani; spesso queste discariche sono state autorizzate attraverso ordinanze emesse ai sensi dell'ex articolo 12 che conferisce al sindaco determinati poteri di autorizzazione delle discariche.
Un quadro comunque di grave arretratezza dal quale nessuno pensava certamente fosse possibile uscire nell'arco di qualche mese. In realtà abbiamo avuto un esempio positivo nel commissariamento della provincia di Milano, che ha comportato in pochi mesi il superamento di una situazione simile tramite una scelta di grande nettezza a favore della separazione tra le frazioni secca ed umida, inviando quest'ultima alla produzione di compost; un grande ruolo hanno avuto le scuole e le famiglie. Una soluzione certo non applicabile per intero ad una realtà regionale ma che, fatta ad esempio per i capoluoghi di provincia e per i centri più popolati, avrebbe probabilmente per tempo garantito una ricerca meno affannosa di siti da adibire a discarica. Avrebbe anche dato - da subito - la sensazione ai cittadini che qualcosa stava cambiando in maniera concreta. Il tutto senza tempi e costi di particolare entità, e con vantaggi anche per la salute dei terreni agricoli pugliesi, oggetto di gravissimi sversamenti abusivi di rifiuti, anche questi segnalati nelle diverse audizioni che abbiamo svolto in Commissione.
Tale scelta non è stata fatta (solo negli ultimi mesi, come ricordavo, si è cominciato a parlare di impianti di compostaggio) ed anzi la strada per il superamento dell'emergenza si è allungata di molto, determinando in questa maniera anche un generale senso di disillusione nei cittadini nei confronti della soluzione del problema; si è in qualche modo venuta a creare una situazione che potremmo definire di «ordinaria straordinarietà», che ha avuto come conseguenza anche l'acuirsi di conflitti sociali nelle aree della regione di volta in volta interessate dalla realizzazione delle discariche. Abbiamo avuto modo di acquisire su questi problemi una ricca casistica di articoli di giornale.
Una situazione che ha dovuto anche scontare elementi di precarietà, dovuti al ritardo con il quale in diverse occasioni sono state emanate le ordinanze di nomina dei commissari delegati: solo il 3 marzo è intervenuta la nuova ordinanza da parte del ministro Bianco. Questi ritardi nuocciono alla funzionalità e al coordinamento dei diversi livelli istituzionali, come prima veniva ricordato, per la gestione delle competenze assegnate dalle stesse ordinanze.
Negli anni passati è stata necessaria un'attesa di almeno tre mesi per l'emanazione dell'ordinanza: ritardi assolutamente incomprensibili.
Il piano di emergenza predisposto dall'ufficio del commissariamento è stato - come detto - emanato nel luglio 1997, ma quest'atto non ha contribuito a superare la situazione emergenziale, nonostante una previsione abbastanza puntuale degli interventi da realizzare. Segnalavo però in precedenza come tale piano attribuisce molta rilevanza al ruolo dei termodistruttori, invertendo di fatto quella che è la filosofia della normativa nazionale e comunitaria, che vede in questa forma di smaltimento una soluzione che viene dopo il


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recupero dei materiali. La grande attenzione dedicata invece alla termodistruzione in Puglia colloca questa opzione prima del recupero, con ciò allontanando il momento dell'uscita dall'emergenza.
Il punto però è che, a causa di tali indeterminatezze, sono passati mesi ed anni senza interventi che non fossero l'apertura di nuove discariche o l'ampliamento di quelle esistenti, in evidente contrasto con la normativa comunitaria e nazionale in materia. Anche se certamente con l'emanazione della direttiva 99/31 del Consiglio del 26 aprile 1999 in materia di discariche è stato prorogato il termine del 1o gennaio 2000 che era stato fissato dall'articolo 5 del decreto legislativo «Ronchi» per il divieto di conferimento dei rifiuti in discarica, termine recentemente prorogato dal Parlamento al 16 luglio 2001, ossia il termine massimo previsto per adeguare l'ordinamento degli Stati membri alla direttiva stessa. Questa proroga è stata necessaria considerato che la nuova direttiva comunitaria impone agli Stati membri anche un certo numero di anni per l'adeguamento delle stesse discariche: la direttiva deve essere recepita entro due anni, entro otto anni le discariche devono essere adeguate alle norme della nuova direttiva comunitaria.
Una situazione questa che ha prodotto essenzialmente due risultati, entrambi negativi: il primo è che si è alimentata la sfiducia dei cittadini, sempre meno disposti a tollerare l'insediamento di discariche sul loro territorio in assenza di interventi per una diversa gestione dei rifiuti e per la bonifica di aree colpite duramente da pratiche illegali di smaltimento; il secondo consiste nel fatto che si è accumulato un ritardo nell'organizzare una diversa gestione dei rifiuti, qualitativamente e tecnologicamente più avanzata, la cosiddetta gestione integrata del ciclo dei rifiuti.
Il tutto ha creato sfiducia ed ha contribuito a far ritenere ai cittadini che laddove si parla di rifiuti c'è senz'altro qualcosa che non va. Così, non solo è difficile aprire una discarica, ma anche un impianto di selezione o di compostaggio.
La scelta del commissariamento, il conferimento di poteri eccezionali ha una sua giustificazione nella necessità di agire in maniera tempestiva ed efficace; quando queste caratteristiche, tempestività ed efficacia, subiscono un forte appannamento, come sembra sia accaduto in questa regione, si deve allora mettere in discussione anche lo strumento per capire meglio i punti di criticità ed evitare che si ceda all'impressione generalizzata di impotenza o di scarsa incisività degli strumenti adottati. Proprio per questo vorremmo che i nostri interlocutori ci fornissero elementi utili a capire perché cinque anni non sono ancora bastati per realizzare i necessari impianti di trattamento ed evitare che la quasi totalità dei rifiuti finisca ancora in discarica e per avere in Puglia soluzioni idonee per il recupero e per la raccolta differenziata.
Su questi aspetti parlano chiaramente gli ultimi dati pubblicati dal rapporto preliminare 2000 dell'ANPA e dell'Osservatorio nazionale sui rifiuti che attesta la raccolta differenziata per l'anno 1998 al 2,75 per cento, dato che dovrebbe risultare superiore per il 1999: 4-4,5 per cento, ma il dato non è ancora ufficiale. C'è un miglioramento ma siamo


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al di sotto del 15 per cento stabilito dal decreto legislativo «Ronchi» da raggiungere entro il marzo 1999 come obiettivo della raccolta differenziata.
È dunque necessario distinguere attentamente i piani: da un lato l'efficacia dello strumento commissariale, dall'altro le capacità nel saperlo utilizzare. Se, insomma, il commissario delegato compie scelte sbagliate (come quella magari di dotarsi di un modello che sostituisce il «tutto in discarica» con quello «tutto al termodistruttore») non è possibile dare la colpa allo strumento; semmai occorre maggiore attività di vigilanza da parte di chi, in questo caso il Governo, delega tali poteri; ne ho già fatto alcuni accenni.
Ma voglio tornare ad insistere sul tema della raccolta differenziata, anche perché è centrale in una moderna gestione dei rifiuti. Gli uffici del commissariamento in Puglia hanno visto in tale formula di raccolta non già il perno di quella gestione integrata dei rifiuti che deve essere l'obiettivo, ma un elemento accessorio, un di più rispetto a quel sistema «tutto al termodistruttore» cui ho fatto riferimento prima (accade in tutto il paese di recepire la raccolta differenziata come qualcosa di aggiuntivo rispetto ad una gestione integrata del ciclo dei rifiuti, mentre deve essere al suo interno). Risultato: gli enti locali - a parte qualche caso isolato - hanno recepito la raccolta differenziata come un inutile aggravio, senza significativi contributi di risorse da parte della gestione commissariale.
È necessario per la raccolta differenziata superare una logica progettuale di tipo aggiuntivo per approdare ad una logica di integrazione; la raccolta differenziata non deve semplicemente aggiungersi al preesistente circuito di raccolta del rifiuto indifferenziato e deve risultare organizzata in modo da mettere a disposizione servizi adeguati alle esigenze delle diverse categorie di produttori di rifiuti, privilegiare raccolte domiciliari, affiancate a raccolte stradali per differenti materiali (raccolte multimateriale o raccolte combinate).
L'esempio delle province di Bari e Taranto dove i comuni (a parte due) non inviano la frazione organica agli impianti di compostaggio esistenti è - da questo punto di vista - eclatante e deprecabile. Abbiamo appreso nelle ultime audizioni svolte che finalmente l'approccio è mutato (ma su questo saranno sicuramente più dettagliai i nostri interlocutori) con gare d'appalto in corso per la realizzazione di impianti di compostaggio e misure accessorie. Dispiace però constatare che si è perso molto tempo nel cercare soluzioni che erano di difficile realizzazione oltre che non conformi al dettato della legge italiana e comunitaria. In Puglia ci sono tutte le condizioni per realizzare un compost di qualità che avrebbe senz'altro mercato in una regione a forte vocazione agricola e darebbe una sicura base di partenza anche alla raccolta multimateriale.
Voglio comunque precisare che non intendo affermare che i termodistruttori non vadano realizzati o che siano un pericolo per la salute dei cittadini (spesso si assiste ad una critica ideologica su questo aspetto). Mi attengo semplicemente a quanto dice la legge, che vede nell'incenerimento una forma di smaltimento successiva al recupero di materiale, sapendo peraltro che gli impianti di ultima


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generazione hanno - ad esempio per quanto riguarda le diossine - un impatto sull'ambiente minore delle discariche. Ma ad una popolazione come quella pugliese, che ha visto negli anni ampie parti del suo territorio - la Capitanata ed il barese - trasformarsi in luogo privilegiato di smaltimenti illeciti e che da tempo vive la situazione commissariale, questi ragionamenti possono essere avanzati contemporaneamente alla visibilità della soluzione dei problemi.
Invece la realizzazione del sistema che porta alla termodistruzione è ancora lontana dall'essere completata: lo stesso presidente Distaso ha parlato, durante l'audizione in Commissione, di una situazione di stallo non più sostenibile per quanto riguarda possibili accordi per l'utilizzo del combustibile da rifiuto (cdr) pugliese. Mentre i bandi per l'assegnazione delle gare di termodistruttori ed impianti di produzione cdr debbono ancora essere pubblicati. Ciò dimostra come sia sempre più necessario puntare su un sistema di gestione integrato. Recentemente sono stati stipulati accordi con il CONAI, che dovrebbero garantire l'interesse dei consorzi di filiera per il materiale raccolto in maniera differenziata. Si stanno insomma determinando, sia pure faticosamente, le condizioni per superare insieme ai ritardi a cui mi riferivo, la stessa emergenza.
Altro tema di grande rilevanza riguarda le bonifiche dei siti inquinati, tema sul quale come Commissione siamo fermi a quanto ci ha detto nell'ultima audizione il prefetto Mazzitello, riferendo i dati di un'indagine della Guardia di finanza nel territorio barese: è però necessario sapere se sia stato avviato il censimento dei siti e se qualche intervento di bonifica sia già in corso.
Mi permetto di insistere su questo punto, ma credo sia doveroso dimostrare ai cittadini che qualcosa si muove, che qualche intervento concreto viene condotto. Bonificare una porzione di territorio, restituirla alla collettività non è solo un intervento necessario dal punto di vista ambientale ma è anche un atto dal grande valore simbolico. Un'area bonificata su cui realizzare - ad esempio - un impianto sportivo farà comprendere ai cittadini quanto guadagnano da una gestione corretta del territorio su cui abitano. Forse a qualcuno verrà anche il coraggio ed il senso civico di denunciare attività di smaltimento illecito.
Tutto ciò perché è bene ricordare che in questi anni di commissariamento non sembra che si sia arrestata l'azione della criminalità organizzata che - in forme varie - continua a dimostrare un enorme interesse per il ciclo dei rifiuti. I numeri dell'attività delle forze dell'ordine per il 1999 a partire dall'aumento dei sequestri rispetto al 1997 del 145 per cento, dimostrano in maniera chiara come il territorio pugliese sia tuttora soggetto ad un'aggressione criminale molto rilevante. Ma i numeri da soli non bastano a illustrare la portata dell'azione criminale del ciclo dei rifiuti.
Al forum sulle ecomafie di Napoli svolto nel 1999 è stato denunciato come le ecomafie non si accontentino più dei semplici smaltimenti abusivi, ma ormai puntino al controllo delle società, ad aggiudicarsi gli appalti di raccolta e trasporto ed anche a quelli per la realizzazione degli impianti di trattamento e smaltimento. C'è stato un forte salto di qualità. Il prefetto di Bari in audizione ha spiegato


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che in Puglia esiste in questo settore un oligopolio (nei 18 bacini individuati nel 1993) molto pericoloso, e che l'unica soluzione per far decollare il nuovo è rompere questo oligopolio, con la realizzazione di consorzi pubblici a cui affidare la gestione, nei quali un giusto spazio può essere lasciato anche agli operatori privati.
È opportuno conoscere quale sia alla data odierna la situazione per quanto riguarda il quadro gestionale dei diversi ambiti e rilevare i problemi organizzativi. A ciò si aggiunge il fatto che proprio su questa regione sembrano concentrarsi ora le attenzioni di gruppi industriali di scarsa trasparenza. Siano quindi di fronte ad una doppia emergenza: da un lato una sostanziale arretratezza nella gestione, dall'altro un sistema di potere che prima è stato concausa dell'emergenza ed ora vorrebbe governare l'uscita. Da questo punto di vista è determinante l'azione e la vigilanza delle amministrazioni pubbliche. Come Commissione stiamo studiando attentamente il fenomeno, ed i dati in nostro possesso evidenziano le riorganizzazione societarie in corso, con fusioni, acquisizioni ed alleanze in fieri tese a mantenere e a perfezionare il controllo su un settore che - è bene tenerlo sempre a mente - sarà sicuramente redditizio nei decenni a venire, dal punto di vista sia della gestione lecita che di quella non legale.
Non è un caso se si assiste - intorno agli smaltimenti illeciti - a fenomeni quasi paradossali: clan in guerra per quanto riguarda il traffico di stupefacenti, il contrabbando o il controllo degli appalti, sono pronti a sotterrare l'ascia di guerra e a scambiarsi favori nel ciclo dei rifiuti. Quando una zona è sovraesposta, è sufficiente assicurare ad un altro clan una parte dei guadagni e ci si sposta di qualche chilometro con la certezza di non uscire dal business. Da questo punto di vista poi i clan pugliesi sono pronti a concedere il loro territorio anche alle organizzazioni criminali campane: i territori sono confinanti, ma la Puglia è meno densamente abitata ed offre siti ideali per gli smaltimenti illeciti.
Ritengo che sia sempre più necessario, da parte della magistratura e degli organi di polizia giudiziaria, spostare l'asse della lotta alla criminalità ambientale, all'osservazione di parametri diversi da quelli meramente giudiziari, ponendo al centro dell'attività di contrasto i controlli amministrativi, gli accertamenti fiscali e la corretta lettura dei fenomeni economici, ivi comprese le condizioni della libertà del mercato degli appalti. Il compito delle forze dell'ordine e dell'autorità giudiziaria non può e non deve assomigliare alle mitologiche fatiche di Sisifo, anche se non mancano, come ricordato prima, importanti successi.
A questo punto vale la pena ricordare che è sempre più urgente l'introduzione nel nostro codice penale, modifica attualmente in discussione presso le Commissioni ambiente e giustizia del Senato. È stato anche richiesto al presidente della Commissione giustizia della Camera di inserire tale tema di figure di delitto contro l'ambiente nel cosiddetto «pacchetto sicurezza» (l'A.C. 5925). Ma questo intervento da solo non può bastare se - accanto ad esso - non avremo una


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maggiore sensibilità da parte di tutti i cittadini e quella vigilanza ed attenzione da parte delle amministrazioni pubbliche che ho richiamato poc'anzi.
Credo che le persone che abbiamo invitato qui oggi saranno in grado di fornirci tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno per una valutazione la più completa possibile della situazione. In conclusione l'interrogativo che tutti ci poniamo è sapere se si può pervenire ad una valutazione per la fine dell'emergenza dopo cinque anni che la Puglia vive questa situazione, una durata che nessuno poteva immaginare al momento della dichiarazione dello stato d'emergenza. Si tratta adesso - ciascuno per il suo ruolo - di dare il classico «colpo d'ala», e di lavorare al massimo perché la gestione ordinaria sia una realtà più vicina possibile. È anche questo uno degli obiettivi del seminario odierno: sentire la vostra voce, le vostre opinioni, per dare una valutazione complessiva e fornire suggerimenti affinché questa «ordinaria straordinarietà» abbia fine prima possibile e restituisca alla Puglia ed alla sua gente quella splendida immagine di regione operosa ed impegnata con coraggio, in prima linea, nell'affrontare i complessi problemi della società multirazziale e della globalizzazione dei mercati, e per questo, con grande sincerità, va a voi la nostra riconoscenza e rispetto.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Ringrazio il collega Gerardini e do la parola al prefetto di Bari, dottor Mazzitello.

GIUSEPPE MAZZITELLO, Prefetto di Bari e commissario delegato per l'emergenza rifiuti. Desidero iniziare questo mio intervento ringraziando per la fiducia che con la nuova ordinanza è stata accordata alla mia persona e all'istituto che rappresento.
Porterò una testimonianza del lavoro che ho svolto per circa tre anni in qualità di commissario straordinario per il ciclo delle acque, settore sostanzialmente non molto lontano da quello trattato dalla tematica odierna, che riguarda il sistema della depurazione, gli impianti fognanti e tutto ciò che attiene alla corretta gestione del territorio. Dobbiamo capire se sia utile proseguire sulla strada del commissariamento, oppure se la situazione della Puglia in questo momento consenta il superamento della struttura straordinaria e il ritorno alla gestione ordinaria.
Concordo con l'onorevole Leccese che ha individuato nella nuova struttura non la forma classica dell'attività sostitutiva o sanzionatoria rispetto ai provvedimenti dell'amministrazione; siamo ben lontani da questa idea! L'istituto del commissariamento è nato perché si sono coagulate più situazioni, in primo luogo legate al sistema normativo istituzionale e giurisdizionale, nel senso che nel tempo si sono accumulate norme, disposizioni e procedure che hanno paralizzato l'azione amministrativa. Il commissariamento ha una prima motivazione nel superamento di una legislazione un po' confusa. Vi è l'aspetto dei poteri straordinari che consentono non solo di superare il sistema normativo ma anche, attraverso un'organizzazione snella e flessibile, di conseguire risultati in maniera più rapida, considerato


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che la rapidità in questo settore serve per abbattere quanto più possibile l'emergenza ambientale determinatasi nel 1994 per fatti collegati al colera e ad una situazione epidemiologica endemica (migliaia di casi di epatite), dovuta anche a consuetudini come il consumo di verdure crude e all'utilizzo di acque provenienti dagli sciacquoni per innaffiare i campi.
Vi è poi una terza ragione: nei momenti di crisi di qualunque tipo è necessario giungere ad un'unità di comando, ad un soggetto che abbia la capacità di incidere rapidamente sulle situazioni abnormi che si sono determinate. In questa logica ci siamo misurati con l'emergenza delle acque e, disponendo di risorse per poco meno di 900 miliardi (una cifra considerevole), innanzitutto le abbiamo accorpate, considerato che si trattava di finanziamenti non tutti provenienti dall'area governativa (fondi europei, mutui comunali, vecchi stanziamenti mai utilizzati), e abbiamo recuperato una progettazione, o meglio delle linee. Ci siamo impegnati attraverso due strutture una giuridica e una tecnica, nella riformulazione dei progetti per venire incontro alle indicazioni delle amministrazioni comunali e fino ad oggi siamo stati in grado di mettere in cantiere opere per circa 800 miliardi. Con questo avremmo sostanzialmente esaurito i compiti assegnati al commissariamento delle acque.
Il primo programma di intervento sui comuni è stato completato: sono pronti i depuratori, le reti fognanti e i collegamenti; mancano i recapiti finali delle acque e il loro riutilizzo, materia questa non affidata inizialmente alla struttura commissariale, ma aggiunta lo scorso anno proprio perché l'impianto non può entrare in funzione senza il recapito finale.
Nell'ordinanza la cui lettura mi riservo di approfondire è prevista la possibilità di operare con una moratoria di due anni rispetto alla direttiva nazionale e di non utilizzare la falda per lo scarico dei depuratori, individuando altre soluzioni. La moratoria biennale ci consente di andare non nella falda (soluzione non corretta perché comunque produce inquinamento) ma nella fascia dell'insaturo, di avviare gli impianti e di verificare se i sistemi depurativi tecnici e chimici posti in essere sono in grado di dare alle acque un coefficiente chimico di x colibatteri (non vi affliggo elencandovi le indicazioni che provengono dal ministero della sanità e che sono talmente rigide da richiedere un contemperamento rispetto alle esigenze). Come dicevo, l'ordinanza ci consente, per il sistema delle acque, di avviare gli impianti. Tutti i comuni della Puglia scrivono al commissario delle acque chiedendo di essere presi in considerazione, di intervenire e di verificare ciò che trasuda nelle spiagge dove gli scarichi degli sciacquoni provocano situazioni incresciose ed il rallentamento dell'attività turistica.
Il commissariamento - in questo concordo pienamente sulla relazione del vicepresidente - con la sua opera concreta ha dato ai cittadini la dimostrazione che il meccanismo funziona perché risponde alle loro esigenze. Ciò è testimoniato dalla crescente richiesta di intervento su tutto il territorio che - badate bene - non deriva dal fatto che i sindaci chiedono risorse. Infatti, abbiamo attualmente una classe di sindaci molto avveduta, perché con


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l'elezione diretta - la più grande riforma che riguarda gli enti locali - sono investiti direttamente del rapporto con i cittadini e non chiedono cose che non hanno aderenza con le esigenze del territorio. Essi sono interpreti di tali esigenze e chiedono alla gestione commissariale delle acque di intervenire.
Questa piccola riflessione dà contezza della rapidità degli interventi e della necessità che lo strumento commissariale sia portatore di risultati concreti e sia responsabile dell'unità di indirizzo. In materia di difesa ambientale, è necessaria una programmazione concertata da molti soggetti chiamati ad intervenire nelle singole fasi. In questo quadro l'ordinanza del 1999 ha individuato nei prefetti i soggetti ai quali affidare il potere concessorio in ordine all'ampliamento delle discariche anche speciali. Si è addivenuti a quella norma perché più volte - anche nel corso dell'audizione svolta dalla Commissione parlamentare lo scorso anno, nell'ambito nella quale ho avuto l'onore di essere ascoltato - è emerso che il sistema complessivo della raccolta dei rifiuti in Puglia presentava un'assoluta rigidità. Nella provincia di Bari vi erano cinque bacini con discariche consolidate e gruppi certamente non mafiosi ma potenti lobbies che le controllavano e che hanno impedito qualsiasi modificazione per arrivare a diversi equilibri nella gestione economica e per intervenire anche nella formazione del consenso politico. Più grande è l'organizzazione più forte è la spesa e più rilevante è il peso nella gestione della cosa pubblica (in ciò non vi è nulla di anormale o di eccezionale). Allora, insieme con i miei colleghi, ho pensato che il meccanismo per rompere questa rigidità fosse quello di rendere più partecipi gli enti locali, attraverso la formazione dei consorzi. L'ordinanza del 1999 obbligava i prefetti ad assicurare la titolarità e la gestione pubbliche e ciò è possibile attraverso il consorzio con gli enti locali che sono quelli che conferiscono la materia prima. Come diceva giustamente il vicepresidente, questo è un business di lunga durata, che non si esaurisce domani.
Ho inviato dei messaggi ai titolari del potere in materia di rifiuti ed ho chiesto loro di accontentarsi di un business minore, di diminuire il loro potere di intervento, ponendo come protagonisti gli enti locali, avendo in cambio un business più duraturo e sicuro, nell'ambito del quale loro fossero non i protagonisti primari, assoluti e spesso prevaricatori, ma i protagonisti di un sistema integrato in Puglia che si muove nelle logiche complessive degli obiettivi del Governo. La risposta dei comuni è stata per lo più positiva. Abbiamo stipulato un'intesa preliminare con il bacino più delicato e abbiamo approntato uno schema di consorzio. Insieme con l'assessore, onorevole Leccese, abbiamo anche detto che era giusto in questa configurazione istituzionale dare una posizione di riguardo al comune nel cui territorio sono allocati gli impianti per il disagio ambientale che nasce dalla loro presenza che comporta movimentazioni di mezzi e altro. Quindi, nella formulazione della società consortile, quel comune doveva avere una quota di riferimento di un certo tipo. Pensavamo di aver risolto i problemi, ma così non è stato, perché si è tentato di aggirare la chiara indicazione istituzionale istituendo società tra il comune in cui è allocata la discarica e il titolare della


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discarica stessa, perpetuando un sistema di equilibri che noi vogliamo rompere. Il singolo comune da solo non si può sottrarre ai condizionamenti economici (dirò nella mia qualità di prefetto di Bari e di responsabile a livello regionale come in questo sistema interviene l'organizzazione delinquenziale) e spesso anche la sua dimensione risulta travolta da questa forma di unione bilaterale, che non si capisce quale significato abbia quando la materia prima è di proprietà di dieci o dodici comuni. Che senso ha che uno di essi diventi rappresentante di tutti? Ho detto, con molta tranquillità, che non avrei firmato niente ove non si fosse creato un consorzio comprendente tutti i comuni. In caso di insistenza, il comune potrebbe portare in discarica solo i suoi rifiuti, provvedendo per il resto con la creazione di nuovi strumenti di raccolta e smaltimento.
Qui si innesta il tema della nuova ordinanza, nella quale colgo due modifiche significative, la prima delle quali è il coinvolgimento delle amministrazioni provinciali, il cui vertice è individuato in qualità di subcommissario. Non è possibile intervenire su una materia come questa senza la concertazione, senza una condivisione degli obiettivi e degli strumenti che mettiamo in campo. La presenza degli enti locali (comuni, province e regione) è di vitale importanza per la creazione di un sistema nuovo e compiuto. In questa logica compirò ogni sforzo per trovare, attraverso contatti con le amministrazioni, le soluzioni necessarie.
L'ordinanza individua nel commissario il soggetto titolare, superando i ritardi. Per la verità, per le acque abbiamo continuato a lavorare in prorogatio, sperando in una norma che saldasse la gestione precedente a quella successiva. In questa materia, invece, ci siamo dovuti fermare (articoli 7 e 8), perché la competenza non derivava direttamente dall'emergenza ma era una competenza propria inserita nel sistema commissariale. Quindi, l'interpretazione giuridico-formale era nel senso che la proroga dello stato di emergenza impediva ai vecchi titolari di operare come se la norma non ci fosse. Sostanzialmente la proroga della gestione commissariale nel suo complesso impediva il ritorno all'ordinario. Però, come tutti sanno, le pressioni sul territorio sono state notevolissime, fino a richiedere un'interpretazione autentica a proposito della possibilità di concedere nuove autorizzazioni, perché il «giochetto» era troppo palese. Se avessimo accettato l'idea di un ampliamento indiscriminato delle discariche, qualunque soluzione veniva vanificata, spostando in avanti la possibilità di mandare tutto in discarica. Nella riunione che si è svolta presso la regione sotto la direzione del presidente Distaso, abbiamo concordato sull'ipotesi di trovare una soluzione che consentisse il superamento dello stato di emergenza in attesa di individuare strumenti nuovi.
Approfitto di questa occasione per ringraziare, anche a nome dei miei colleghi, il presidente Distaso per l'opera svolta e per il lavoro che abbiamo portato avanti in comune. Mi auguro che anche a me non mancherà la collaborazione della struttura commissariale.
Avendo chiuso questa valvola, si ripropone la necessità di trovare rapidamente le soluzioni indicate anche dal vicepresidente Gerardini, che nel suo intervento ha dato delle linee guida alle quali mi atterrò


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scrupolosamente, portando avanti, ad esempio, i compiti assegnati dalla nuova ordinanza, sulla quale non mi tratterrò, se non dichiarando che seguirò le soluzioni prospettate utilizzando le risorse umane e materiali indicate.
Il tema di oggi richiede anche altre considerazioni relative all'abusivismo, alla possibilità di infiltrazioni di attività della delinquenza organizzata e non, agli aspetti sanitari, dei quali qui non si è parlato non essendo il tema specifico affrontato oggi ma che comunque hanno una grande rilevanza.
Circa l'abusivismo, con il generale Esposito, nella sua responsabilità di comandante regionale della Guardia di finanza, e con il colonnello Bosco, insignito di una decorazione di alto livello sul tema ambientale, abbiamo predisposto rilevamenti aerei sul territorio e abbiamo trovato una situazione di assoluto degrado legata non alle discariche ma ad una vecchia e consolidata abitudine che purtroppo è diffusa nel Mezzogiorno per cui non si ricorre alla discarica perché costa e si utilizza il territorio. Inoltre vi è il grosso problema dei fanghi che, in alcune zone del Murgese, interessa anche 20 chilometri di territorio trasformato in una cloaca.
I rilevamenti hanno confermato le indicazioni di abusivismo, alcune fatte in maniera surrettizia.
Il vice prefetto di Lecce ci ha raccontato di terreni di vegetazione venduti per fini agricoli, nei quali si scavano buche che poi vengono riempite e ricoperte; ma c'è di più, le buche vengono scavate e ricoperte senza nemmeno incidere sul terreno di vegetazione, così non si sa nemmeno cosa ci si potrebbe trovare sotto. C'è quindi la necessità di salvaguardare il territorio da tutte le forme di abusivismo, da quelle più innocue, come lo scarico in curva o dai ponti, a quelle più pericolose che riguardano i rifiuti radioattivi, anche perché non è più operante una norma vigente in passato che vietava l'ingresso in Puglia di rifiuti provenienti da altre regioni. C'è un grande traffico di camion che trasportano droga e sigarette, figuriamoci se non è possibile che trasportino rifiuti.
La lotta al contrabbando c'entra poco con i problemi ambientali, vale la pena però di ricordarla perché proprio ieri, a 50 chilometri da Bari, sono stati trovati dei covi sotterranei in cui erano occultati 6 automezzi blindati: si trattava di un vero e proprio bunker sotterraneo che si apriva con un sistema alla James Bond. Questo dà la prova di come questi traffici assai lucrosi siano condotti da organizzazioni molto efficienti e non è detto che le organizzazioni contrabbandiere man mano che vengono incalzate con la nuova azione di indagine - per la quale ringrazio il procuratore Di Bitonto con il quale agiamo in perfetta sintonia - non si riciclino nel settore dei rifiuti; un carico di rifiuti speciali può avere infatti una valenza maggiore di dieci tonnellate di sigarette di contrabbando.
Da qui la necessità che tutti, amministrazioni locali, operatori economici, soggetti che hanno responsabilità a vario livello, siano estremamente vigili per preservare il territorio da una potenziale aggressione criminale che considera quello dei rifiuti un business importante. E non è detto che questo traffico avvenga solo nelle forme dell'abusivismo, perché può avvenire anche attraverso la


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formazione di società di copertura di cui abbiamo già esempi nel nostro territorio (ricordo il caso di un'impresa collegata ad una società Svizzera che con 60 milioni di capitale sociale pretende di fare lavori in Puglia per 500 miliardi). La lotta va quindi condotta in modo diverso rispetto al passato, non aspettando che arrivino i camion, ma intervenendo sul terreno finanziario e studiando attraverso un'attività di intelligence come stroncare questo tipo di traffici: quando avremo sul territorio una diramazione di società che, come scatole cinesi, trasferiscono i capitali in Svizzera, nessuno potrà dire di non essere stato avvertito in tempo. Se la società malavitosa esercita un'attività benemerita nel campo dei rifiuti, questa non è di per sé benemerita, perché l'accumulo di capitale malavitoso modifica sul territorio i corretti rapporti di domanda e offerta di beni di consumo, di strumenti e della stessa democrazia.
Nei giorni scorsi c'è stata una polemica sul coinvolgimento di sindaci nelle attività contrabbandiere, ma il problema non è questo: un'associazione di contrabbandieri di livello, che coinvolge nella sua economia diecimila persone, è talmente organizzata da poter condizionare già oggi l'elezione di quattro o cinque consiglieri comunali e domani potrebbe addirittura esercitare in proprio, cioè senza più delegare la rappresentanza politica. Il condizionamento quindi non avviene attraverso una collusione - alla quale io non credo - ma attraverso queste forme di pressione. Del resto, siamo in una società nella quale molti teorizzano che il denaro sia un valore in sé; io ho invece sempre sostenuto che il denaro è uno strumento per vivere, ma non può essere un valore in sé, altrimenti anche il denaro malavitoso, mafioso o proveniente dal contrabbando, sarebbe un valore.
È necessario quindi un controllo anche della società civile - e voglio richiamare tutti i sindaci a questa nuova responsabilità - insieme agli strumenti forniti dal Governo ed alla voglia di camminare di questa regione, che è una frontiera dell'Europa. Il procuratore distrettuale si è battuto affinché gli strumenti giurisdizionali in senso lato, che riconoscono questa come una regione di frontiera, siano proiettati in una dimensione internazionale, affinché non si restringano i problemi ad un angolo con l'Albania e con il Montenegro, ma si consideri che la Puglia si confronta con una porzione del mondo diversa da noi per cultura e per religione. Se in questo confronto non saremo tutti insieme - il Parlamento, le istituzioni, i responsabili locali, le forze dell'ordine e la magistratura - non riusciremo ad arginare questa situazione complessiva che parte dal degrado ambientale, si incammina verso le forme di organizzazione delinquenziale e cerca comunque di togliere al libero consenso il governo della cosa pubblica.
Mi scuso se nel mio intervento ho tralasciato qualche aspetto, ma resto a disposizione della Commissione per fornire qualsiasi ulteriore indicazione e per ricevere i consigli e le direttive che possano essere utili a questa regione e al nostro paese.


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MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione d'inchiesta. Il presidente Distaso, a causa di altri impegni, non può essere presente: interviene il dottor Limongelli.

LUCA LIMONGELLI, Collaboratore della struttura commissariale per l'emergenza rifiuti della regione Puglia. Porto il saluto del presidente Distaso, che per altri impegni di istituto non ha potuto essere presente. Mi limiterò ad illustrare succintamente le principali iniziative attivate finora ed a farne un rapido bilancio, rinviando ogni approfondimento ad un più puntuale documento aggiornato al 6 marzo - che lascio a disposizione della Commissione - che contiene un elenco dettagliato di tutti gli atti adottati.
La prima fase dell'emergenza rifiuti, dal novembre 1994 al maggio 1997, la cui gestione era stata affidata prima al prefetto di Bari, dottor Catenacci, e dal 1996 al presidente della regione, si è svolta prima dell'emanazione del «decreto Ronchi» sulla gestione dei rifiuti. Essa ha prodotto la realizzazione di un unico impianto di smaltimento rifiuti (la discarica controllata di Cerignola, che successivamente ha consentito di gestire correttamente lo smaltimento dei rifiuti dell'intera provincia di Foggia) e la definizione, nel dicembre 1996, di un primo programma di emergenza, orientato a fronteggiare nell'immediato le situazioni di crisi igienico-sanitaria esistenti sul territorio regionale attraverso la realizzazione di lotti in discarica controllata nelle aree carenti ed a creare le condizioni per favorire il recupero dei rifiuti urbani.
A seguito dell'emanazione del decreto legislativo n. 22 del 1997, l'azione del Commissario è stato orientata esclusivamente allo sviluppo della raccolta differenziata ed al recupero e al riciclaggio dei rifiuti. Con l'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri del maggio 1997, infatti, al Commissario delegato è stato assegnato il compito di adeguare il programma di emergenza ai nuovi indirizzi contenuti nel decreto per una gestione dei rifiuti orientata al recupero e al riciclaggio. Il Commissario delegato, avvalendosi da quel momento di una struttura tecnico-amministrativa impegnata a tempo pieno su tali adempimenti, dopo aver effettuato una vasta e tempestiva consultazione con le istituzioni e con le rappresentanze economiche e sociali operanti sul territorio pugliese (ci sono stati continui incontri con Federindustria, ANCI, amministrazioni provinciali, vari soggetti interessati), ha definito nel luglio 1997 un nuovo programma di emergenza sul quale ha acquisito la prescritta intesa del ministro dell'ambiente.
Le linee di indirizzo del nuovo programma, vincolate agli specifici compiti e poteri affidati al Commissario, hanno previsto lo svolgimento in primo luogo di una serie di azioni organizzative, quali accordi di programma con consorzi o associazioni di categoria per il sicuro conferimento delle frazioni di rifiuto selezionate, promozione di progetti per lavori di pubblica utilità per lo sviluppo della raccolta differenziata nei capoluoghi di provincia. Sono state avviate una serie di azioni per la strutturazione dei servizi di raccolta differenziata sul territorio; in sinergia con le risorse messe a disposizione dalla regione si è provveduto a finanziare progetti ad hoc presentati dagli enti


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locali. Sono state poi realizzate una serie di azioni infrastrutturali consistenti nella progettazione e realizzazione di centri sovracomunali per la raccolta differenziata, di linee sovracomunali per la selezione dei rifiuti indifferenziati, di linee di produzione di compost di qualità, di linee di produzione di combustibile da rifiuti (cdr) da utilizzare prioritariamente in impianti industriali già esistenti; in termini residuali era prevista anche l'eventuale realizzazione di impianti dedicati di termovalorizzazione del cdr. Accanto a questo erano previste una serie di azioni dispositive, con ordinanze che prevedevano l'attivazione della raccolta differenziata in tutti i comuni della regione Puglia e l'utilizzazione delle linee di compostaggio solo per il trattamento dei rifiuti organici selezionati a monte in fase di raccolta per assicurare la qualità del compost prodotto, e di azioni di sensibilizzazione, che hanno investito il territorio regionale a partire dalla seconda metà del 1998 e per tutto il 1999 in sinergia con la regione e le amministrazioni provinciali.
Il ragionamento posto a base della nuova programmazione di emergenza è che l'obiettivo della riduzione del ricorso alle discariche controllate e dello sviluppo delle attività di recupero e riciclaggio, per le quali la raccolta differenziata è lo strumento principale, si persegue attraverso la creazione di una rete di impianti e di accordi che garantiscano il completo flusso dei rifiuti, dalla raccolta, all'effettiva destinazione, al riutilizzo, e consentano quindi ai comuni di svolgere appieno i propri obblighi senza correre il rischio di attivare iniziative di raccolta differenziata che possano rivelarsi praticamente inutili. Si è ritenuto che non può essere compito dei singoli comuni assicurare il riutilizzo dei rifiuti, poiché è un'attività di carattere industriale, quindi vanno create intorno all'attività degli enti locali le condizioni idonee a garantire tale effettivo riutilizzo; una parte di queste garanzie devono essere assicurate dal CONAI, con il quale il Commissario delegato, tra ottobre e dicembre 1999, ha stipulato delle convenzioni passate sotto la mannaia del TAR. Ad oggi la convenzione risulta sospesa con ordinanza del TAR a seguito del ricorso di un soggetto privato.
Dopo circa due anni e mezzo di attività finalizzate all'attuazione del programma di emergenza è possibile fare un bilancio, tenendo conto delle difficoltà già richiamate dall'onorevole Leccese in ordine al ritardo nel conferimento di poteri, alle quali si aggiungono quelle legate all'effettiva disponibilità delle risorse finanziarie, assegnate solo tra la fine del '98 e l'aprile del '99. Oggi tutti i comuni sono nelle condizioni di assicurare lo smaltimento dei rifiuti urbani in impianti controllati a norma di legge, mentre fino al '98 oltre la metà dei rifiuti dell'area foggiana ha trovato smaltimento in aree non controllate in forza di ordinanze sindacali ex articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 o ex articolo 13 del «decreto Ronchi». Attualmente, inoltre, risultano aperti 17 cantieri per la realizzazione di strutture pubbliche sovracomunali finalizzate alla raccolta differenziata e alla selezione dei rifiuti indifferenziati: quattro in provincia di Bari (Molfetta, Trani, Accquaviva delle Fonti e Conversano), due in provincia di Brindisi (Brindisi e Francavilla Fontana), quattro in provincia di Lecce (Lecce, Campi Salentina,


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Melpignano e Ugento), tre in provincia di Taranto (due a Taranto e una a Castellaneta), quattro in provincia di Foggia (isole Tremiti, Deliceto, Foggia e Cerignola). Risultano inoltre in esercizio due impianti di compostaggio, a Molfetta e Taranto, nei quali, in base ad ordinanze del Commissario, sono obbligati a conferire i rifiuti i comuni dell'intera provincia di Taranto e dell'hinterland barese.
Da quando vi è stata, nell'ottobre scorso, l'audizione presso la Commissione d'inchiesta, la situazione non è mutata: in provincia di Taranto ancora oggi solo il comune di Taranto che conferisce i rifiuti organici al proprio impianto, mentre in provincia di Bari al comune di Molfetta si sono aggiunti quello di Corato e, in maniera più sporadica, il comune di Bitonto.
Risultano inoltre espletate le procedure di gara per la realizzazione di otto nuovi impianti di compostaggio: a Foggia e Gioia del Colle sono in fase di avvio, mentre gli altri sei impianti (Cerignola, Grumo Appula, Gravina in Puglia, Melpignano, Ugento e Manduria) sono sotto la mannaia dei ricorsi e delle successive ordinanze del TAR, che per il momento hanno sospeso i provvedimenti di aggiudicazione.
Come ricordava l'onorevole Gerardini, oggi nell'ottanta per cento dei comuni pugliesi si svolge la raccolta differenziata, che nel 1997 riguardava solo il 22 per cento dei comuni; i risultati sono confortanti nei capoluoghi di provincia di Bari, Lecce e Foggia, con circa il 9 per cento di raccolta differenziata senza considerare la frazione organica; quando poi Bari comincerà ad adempiere all'ordinanza per conferire la frazione organica a Molfetta, sicuramente ci sarà un ulteriore sensibile incremento. Sono confortanti i risultati anche in numerosi comuni della provincia di Lecce e in importanti comuni della provincia di Bari, come Molfetta che è al 15 per cento e Corato che è al 9 per cento. Il dato medio della raccolta differenziata in tutta la regione a novembre 1999 è del 5 per cento, siamo quindi ancora lontani dal 15 per cento fissato, per il 31 dicembre 1999, per tutti i comuni. Noi stimiamo che l'ulteriore sviluppo della raccolta differenziata potrà essere assicurato con l'entrata in esercizio dei 17 impianti cantierizzati e con la realizzazione delle 8 linee di compostaggio.
Per quanto riguarda il discorso del recupero energetico, le iniziative assunte dal commissario sono state prioritariamente quelle orientate all'utilizzazione di impianti già operanti sul territorio, per cui già dal settembre-ottobre 1998 il Commissario delegato aveva sottoposto all'attenzione del ministro dell'ambiente ipotesi di protocolli di intesa con alcuni soggetti, il principale dei quali era l'ENEL, per l'utilizzazione del cdr nella centrale di Brindisi sud, in co-combustione con il carbone. In assenza di uno sviluppo di questi accordi di programma, proposti ai sensi dell'articolo 22 del decreto Ronchi, nel dicembre 1998 il Commissario ha proposto al ministro dell'ambiente bandi di gara per la realizzazione di impianti dedicati e di impianti di produzione di cdr. Su questo è stato svolto un ulteriore approfondimento, anche con il supporto della commissione tecnico-scientifica presieduta dal professor Ganapini, che ha portato alla definizione di un'ipotesi di bozza di bando; questo è però


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avvenuto a poteri commissariali scaduti, quindi si era in attesa di avere il quadro definitivo delle competenze attribuite dall'ordinanza per poter avviare il discorso del recupero energetico.

Seconda sessione: Il supporto tecnico alla gestione commissariale.

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Il primo intervento in questa sessione, dedicata al supporto tecnico alla gestione commissariale, è di Walter Ganapini, presidente dell'ANPA, che ha dato un grande aiuto al commissario per l'emergenza rifiuti in Puglia, anche nella sua qualità di presidente della Commissione scientifica di supporto al commissario delegato stesso. Il secondo sarà di Luciano Galeone, presidente di Tecnopolis, cui seguirà l'intervento di Franca Ferri, funzionario dell'Enea, dipartimento ambiente.
Doveva essere presente anche l'assessore regionale all'ambiente e vicecommissario per l'emergenza rifiuti, Mattia Mincuzzi, che mi ha pregato di riferire - relata refero - che era venuto ma avendo appreso della nuova ordinanza che ha sostanzialmente trasferito i poteri di commissario dal presidente della giunta regionale al prefetto di Bari, non condividendo tale decisione - ed in questo senso aveva anche inviato un documento al Presidente del Consiglio, ai ministri competenti ed alla nostra Commissione - se ne è andato in segno di protesta. Prendiamo atto di questa opinione - anch'io ne ho una ma in questo momento ovviamente mi astengo dall'esporla - e andiamo avanti, dando con piacere la parola a Walter Ganapini.

WALTER GANAPINI, Presidente dell'ANPA e presidente della Commissione scientifica di supporto al commissario delegato. Sono molto grato alla Commissione per questo invito. Sono onorato di rappresentare qui l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente, che è stata chiamata, anche attraverso precedenti ordinanze, a collaborare con l'Enea allo sviluppo del lavoro commissariale, in modo specifico relativamente al tema sollevato dal prefetto Mazzitello nel suo intervento inerente alla bonifica dei siti contaminati e alle discariche abusive.
È questo un momento particolarmente importante per il sistema delle agenzie, inteso come sistema federalista, pezzo nuovo dello Stato che si occupa di controlli ambientali e di conoscenza, perché anche nella regione Puglia il presidente Distaso e il suo governo hanno istituito l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente e l'ANPA sta collaborando alla crescita di questa struttura, poiché in questo momento c'è una debolezza oggettiva dei laboratori provinciali di igiene e profilassi che si sono sin qui occupati del tema del controllo ambientale e bisogna far decollare molto rapidamente questa struttura in connessione con le eccellenze che sono ben presenti nel territorio regionale pugliese, a livello anche universitario, dei centri di ricerca e comunque della struttura pubblica.
Stiamo operando, insieme all'ARPA pugliese, in una logica di gemellaggio e di aiuto da parte delle agenzie regionali più consolidate con quelle che stanno nascendo nel Mezzogiorno, attraverso il


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gemellaggio tra l'ARPA del Piemonte e quella della Puglia. Questo significherà anche uno sbocco importante dal punto di vista occupazionale per giovani professionisti seri e capaci, perché bisogna far crescere una realtà che arrivi a circa 1.000 unità, partendo dalle 350 attuali in Puglia, secondo il parametro del valore minimo del numero degli addetti alle agenzie regionali rispetto al numero degli abitanti e alle richieste strutturali, ad esempio in campo industriale e agricolo com'è il caso della regione Puglia.
Ciò detto, ho vissuto abbastanza fortemente il coinvolgimento nell'esperienza del commissariamento in questa regione, sia in tema di acque che dei rifiuti. Si è trattato di una collaborazione con il prefetto Mazzitello, cercando di supportare la sua azione estremamente efficace nel tentare di portare a regime, per quanto riguarda la depurazione delle acque, questa regione, facendo i conti con le difficoltà intrinseche della regione stessa, a livello fisico e idrografico (problemi di recapito delle acque una volta depurate), e con il presidente Distaso ed i suoi uffici. Io condivido il giudizio del prefetto Mazzitello sulla eccellenza del lavoro fatto dalla struttura commissariale in tema di rifiuti nel tentativo di far decollare la Puglia come regione locomotiva di uscita dall'emergenza del Mezzogiorno.
Il lavoro fatto sin qui è stato già sintetizzato dal dottor Limongelli. Non c'è dubbio che lo spirito delle ordinanze è stato assolutamente rispettato da parte del commissario Distaso e della sua struttura. Intendo dire che è stato elaborato un piano di emergenza coerente con il decreto Ronchi; sono stati elaborati programmi di raccolta differenziata, oggi rafforzati anche con la gestione ed il contributo del prefetto Capriulo; è stato fatto un lavoro sistematico da parte delle strutture, per cui il bollettino ufficiale della regione Puglia ha reso pubblici i capitolati per le stazioni di nobilitazione delle frazioni di raccolta differenziata, di compostaggio; si è arrivati fino al bando qui ricordato dal dottor Limongelli per l'utilizzazione del combustibile derivato dai rifiuti, dopo aver tentato credo tutto il possibile in tema di accordi di programma fra istituzioni e vedendo quali potessero essere i coinvolgimenti legittimi, alla luce del sole, anche della necessaria cultura industriale a supporto del lavoro di uscita dall'emergenza.
La Puglia è a tutti gli effetti, a mio modo di vedere, la locomotiva potenziale. La Puglia è ricca di cultura industriale in positivo anche in questo settore. La Puglia ha dimostrato - lo dicono i numeri della crescita della raccolta differenziata nelle città capoluogo delle province pugliesi - di essere ricca anche sul versante della sensibilità dei cittadini rispetto ai temi della qualità ambientale; probabilmente è in atto e si registra anche una maturazione sul piano delle istituzioni; è del tutto evidente che la gestione commissariale ha incontrato le difficoltà tipiche di una gestione a forte valenza istituzionale ed anche politica, nel senso che è del tutto evidente che in Puglia si sono riscontrati problemi di difficoltà di interconnessione a livello di amministrazioni comunali e di coordinamento tra amministrazioni provinciali e amministrazione regionale; problemi che in una qualche maniera stavano forse anche all'origine dell'emergenza. Qualche segnale positivo c'è; l'applicazione del decreto


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legislativo n. 22 del 1997 impone di andare verso una ulteriore qualificazione dei bacini come ambiti territoriali ottimali; mi auguro che in questa fase si rafforzi ulteriormente il tema della cooperazione interistituzionale per arrivare, come in qualche modo postulava il vicepresidente Gerardini, alla gestione ordinaria di un maturo ed europeo ciclo integrato dei rifiuti a livello di questa regione.
Credo che con il prefetto Mazzitello si arriverà, per come l'ho conosciuto in questi anni, ad una accelerazione sul piano delle gare e degli impianti per riuscire a completare un circuito virtuoso messo in piedi tra mille difficoltà, realizzando gli impianti, perché è del tutto evidente che si esce dalla monodipendenza discarica tanto in quanto si infrastrutturi la regione Puglia delle necessarie opere impiantistiche e si dia vita al mercato delle materie seconde, facendo però le strutture.
Questo della realizzazione degli impianti, è un tema assai ben dimostrato nella gestione di emergenza di Milano; sta emergendo anche in quella della Campania; questo probabilmente giustifica il mantenimento di uno status di commissariamento, proprio perché le deroghe tipiche di uno stato di commissariamento debbono consentire di ottemperare alla variabile tempo. Bisogna agire tempestivamente. Bisogna stare in Europa anche su questo versante e bisogna assolutamente dotare la Puglia dei necessari impianti. Come ricordava il dottor Limongelli diversi cantieri si sono aperti e anche su quel versante occorre accelerare.
Come Commissione scientifica di supporto - io sono grato a tutti i suoi membri - abbiamo cercato in tutti i modi di aiutare lo sviluppo del circuito virtuoso, chiamando anche il capitale privato al rapporto con le istituzioni commissariali, poiché c'è bisogno di risorse, non tutte ancora disponibili. La regione Puglia ed il commissario Distaso hanno operato uno sforzo, anche sui piani operativi regionali di derivazione europea. Le risorse sono venute dallo Stato e dall'Unione europea. Il project financing è un altro strumento utile ed importante per accelerare la realizzazione di quelle infrastrutture che portino a regime il sistema Puglia. Da questo punto di vista il mio contributo alla Commissione è la sottolineatura di un passaggio che mi sembra decisivo per questa regione. Sulla utilità della sostanza organica di recupero dai rifiuti per il suolo pugliese non c'è discussione. Già nel 1994 a Pugno Chiuso ci fu un importantissimo seminario con il Politecnico di Bari sui temi della sostanza organica nel territorio pugliese, che ha sete e fame di tanta sostanza organica per le sue produzioni, per contrastare la riedificazione in atto e dunque dobbiamo dare tutto il possibile affinché il prodotto certificato degli impianti di compostaggio che si vanno a realizzare, partendo da quello di Molfetta che è operativo e dall'altro anch'esso operativo, trovi immediato sbocco nella agricoltura pugliese perché il suolo e le colture pugliesi ne hanno bisogno, anche nell'ottica della produzione di qualità, di una produzione tendenzialmente biologica, che si arricchisca sempre più di marchi e di una possibile certificazione di qualità ambientale.
A questo punto (raccolta differenziata, sviluppo in corso e ulteriore rafforzamento organico) ciò che manca, rispetto alla «logica


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Ronchi», che è europea, è dove va il combustibile. Lo ha detto il dottor Limongelli ed io lo riprendo e lo rafforzo nei confronti di tutti e dei membri della Commissione bicamerale: il nodo cruciale è l'Enel-Brindisi, che ha causato seri problemi alla gestione del commissario Distaso. Forse si è in grado a Brindisi sud di accettare tutto il combustibile derivato da rifiuti producibili in questa regione, attraverso l'impegno delle istituzioni e degli industriali pugliesi, ma in questa regione si sono mossi tutti; i gruppi tedeschi, i gruppi svedesi, quelli americani, la Pirelli e tutti gli altri. C'è stato quindi uno sforzo di collegamento fra la Puglia e le migliori proposte tecnologiche ed industriali che appunto proponevano, sui propri siti, di realizzare questi impianti di produzione combustibile.
Le Ferrovie dello Stato hanno dichiarato con assoluta chiarezza - lo ha fatto l'amministratore delegato Cimoli - di essere pronte in ogni momento a svolgere la funzione che gergalmente si dice di bridging delivery, logistica diretta di trasporto su rotaia del combustibile alla centrale, che è in grado di ricevere tutto il combustibile derivato producibile teoricamente, ricavandone anche un certo utile sul piano ambientale e della gestione economica. Mi pare dunque di dover sottolineare - non è una novità, è accaduto anche in un confronto pubblico con il dottor Tatò almeno due anni fa alla Fiera del Levante, presente il professor Distaso - la necessità, se questo è possibile nel campo delle attività e delle iniziative della Commissione - di richiamare l'Enel a svolgere il ruolo che compete ad una grande struttura, che in una logica industriale trae solo benefici da questa integrazione. Poi c'è spazio per altre mille iniziative, ma se si completa il cerchio fino ad arrivare all'utilizzo del combustibile, sostituendo i carboni di importazione e così via, a Brindisi sud si attiva di fatto il circuito industriale integrato di cui si è sempre detto. C'è spazio per ulteriori impianti, anche dedicati, di incenerimento, di recupero energetico da combustibile; naturalmente c'è un ruolo possibile ed importante dei cementifici.
Detto tutto questo, se con questa ultima fase commissariale si riesce a far decollare le strutture impiantistiche ed anche una integrazione operativa tra pubblico e privato, si generano le condizioni perché la Puglia possa cogliere al meglio il suo ruolo di locomotiva di uscita dall'emergenza e la sfida competitiva che è intrinseca alla fase attuale anche di integrazione europea; Intanto si è competitivi in quanto si hanno processi produttivi, prodotti e territori di alta qualità ambientale: un moderno ed industriale ciclo di gestione dei rifiuti è funzionale al raggiungimento di questo obiettivo anche se poi è a tutti evidente che a questo si dovranno accompagnare sforzi di innovazione fondamentali, ma su questo penso che nessuno meglio del professor Galeone di Tecnopolis o l'altro professor del Politecnico possono dare in questa regione un ulteriore contributo. Grazie.

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Siamo noi che la ringraziamo. Ascoltiamo ora il presidente di Tecnopolis.


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LUCIANO GALEONE, Presidente di Tecnopolis. Ringrazio la Commissione per avermi dato questa opportunità e ringrazio il professor Ganapini per l'ultimo riferimento in tema di innovazione. Vorrei fare innanzitutto alcune riflessioni, salvo poi a presentare da ultimo alcuni elementi relativi alla struttura di cui in questi anni sono stato presidente.
La prima riflessione riguarda un tema che è stato fortemente preso sia nella relazione del vicepresidente Gerardini sia in quella del prefetto, cioè l'azione di controllo. Me ne libero subito con poche parole perché sono cose anche abbastanza note, ma la realizzazione di alcuni strumenti non è che sia totalmente complicata, si tratta solo di volerlo fare; è stato detto chiaramente che esiste ancora un numero imprecisato di discariche abusive e irregolari sul territorio, si è detto dell'esistenza di traffici illegali di rifiuti, della non congruenza quantitativa. Non è stato detto ma si sa - fra i dati di produzione dei rifiuti speciali, così come si possono rilevare dalle dichiarazioni MUD, e quelli relativi allo smaltimento.
Bisognerebbe migliorare il coordinamento tra i soggetti interessati (lo si dice ogni giorno) e soprattutto - a parte la volontà politica di unire Guardia di finanza, Carabinieri, Corpo forestale, eccetera, le basi informative di queste strutture sono totalmente indipendenti e invece andrebbero allineate. L'archivio MUD, le banche dati delle camere di commercio, i vari sistemi informativi delle aziende sono completamente scollegati fra loro. Non c'è alcun, se non basso, impiego e ricorso a tecnologie di controllo del territorio. Riferiva questa mattina il prefetto Mazzitello di una traversata aerea per individuare alcuni siti di questo tipo. Io credo che l'uso delle tecnologie GIS, di telerilevamento satellitare, siano ormai datate; la stessa Tecnopolis nel 1993 eseguì un progetto per il Ministero dell'ambiente, proprio per la messa a punto di metodiche, poi sperimentate nel Lazio e in una parte della Puglia, per creare le mappe delle discariche, a partire dai dati satellitari. Credo che una mappa ad esempio delle cave - la Puglia ne è piena e sono fortemente a rischio rispetto all'uso di discariche abusive - sarebbe facilmente realizzabile, se si volesse.
Allo stesso modo è oggi realizzabile l'interscambio tra i dati di banche dati differenti. Stiamo realizzando l'esperienza di unire le banche dati del catasto e comunali, garantendo così l'interscambio di dati tra le amministrazioni. È un progetto fortemente innovativo che stiamo portando avanti, finanziato dalla AIPA oltre che dai comuni e dal ministero delle finanze. Lo si potrebbe facilmente adattare alla messa a disposizione per l'interscambio di dati relativi a questa tematica, anche nello spirito di creare una banca dati che vada alla certificazione dei flussi tra recupero, riciclo e smaltimento.
Un monitoraggio di questi dati permetterebbe di evidenziare i fenomeni cui il prefetto Mazzitello faceva riferimento. Fatta questa riflessione, vorrei passare al tema dell'innovazione che prima veniva richiamato. Ho sentito con piacere, perché pensavo di essere un po' fuori tempo, tra l'altro nello spirito dell'ordinaria straordinarietà, che ormai lo spirito di guardare al sistema integrato di rifiuti, non solo al controllo ma alla incentivazione, rientra negli obiettivi primari. Il


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prefetto non ci ha letto la nuova ordinanza, ma si intuiva una nuova spinta alla concertazione, alla valorizzazione delle strutture che possono dare un contributo in questo senso.
In questo spirito una riflessione viene immediata: vogliamo realizzare la gestione integrata dei rifiuti, ma occorre considerare la dimensione di sistema che ciò realizza, i soggetti implicati in questa realtà. Lasciamo stare i cittadini, cui pure si faceva riferimento; ovviamente sono poi i clienti finali o addirittura i datori del materiale primario rispetto al sistema per cui va fatta tutta un'operazione su questo, ma al riguardo come Tecnopolis ho poco da dire. Ma il sistema vede soggetti specifici. Il primo sono le imprese che producono esse stesse rifiuti, specialmente quelli speciali. E voi sapete che almeno in Puglia questo è un tema caldo: che fine fanno questi rifiuti speciali? Il sistema delle imprese interessate alla raccolta, recupero, riciclaggio e smaltimento è, come è stato detto benissimo dal prefetto, quello delle amministrazioni pubbliche locali. Sono tre sottosistemi dell'unico di cui ci stiamo interessando.
Le piccole e medie imprese, perché queste sono le nostre realtà locali che producono gli smaltimenti, trovano difficoltà a smaltire. Nella loro struttura gestionale e culturale non entra l'innovazione relativa al bisogno ambientale che nasce dal proprio prodotto ed in taluni casi non hanno neppure una convenienza di business che le spinga in questa dimensione. Va fatta quindi tutta un'operazione rispetto al sistema delle imprese. Non se ne può fare a meno. Bisogna pensare a questo. Con una misura dell'Unione europea, che Tecnopolis ha gestito attraverso la regione, abbiamo sensibilizzato 3 mila imprese. L'obiettivo erano 800 domande ma ne sono arrivate 3 mila, 1.000 sono state finanziate. Molte di queste hanno iniziato a porsi il problema della qualità. La Puglia aveva fino a pochi anni fa la più bassa presenza di piccole e medie imprese che avessero certificazione. Con questa misura il divario è stato notevolmente ridotto.
Va fatta un'opera di sensibilizzazione e forse anche di sostegno e in parte di compartecipazione rispetto ad esempio alla certificazione ambientale, all'ISO 14.000 o all'EMAS, perché questa è una porta al bisogno di entrare nel sistema in modo attivo. In questo momento Tecnopolis sta certificando, rispetto all'EMAS e all'ISO 14.000, tredici aziende regionali, un numero molto alto se si tiene conto di che cosa sia ISO 14.000. Così come occorre pensare ad un portale web che comprenda quasi una borsa dei rifiuti. Non c'è dubbio che il nostro sistema agricolo avrebbe fortemente bisogno di conoscenze, ma come assicurarle? L'agenzia ARPA va benissimo, ma nella stessa logica vanno create alcune agenzie o vanno utilizzate le realtà presenti per la sensibilizzazione rispetto a temi di questo tipo. Un sistema informativo che metta insieme tutti i problemi ambientali specifici delle imprese penso che possa favorire il processo.
Ancora più delicato, ma più di sistema, è l'intervento o la creazione in questo caso delle imprese della filiera-rifiuti; quindi la messa a disposizione su un portale della borsa dei rifiuti; ma voglio qui riferirmi anche ad una esperienza, che ha ricordato il prefetto, rispetto ad una iniziativa di società che stanno promuovendo. Non voglio entrare nel merito, ma in parallelo come Tecnopolis stiamo


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seguendo ed abbiamo quasi finito la progettazione di massima di una zona ecoindustriale che venga a valle dell'impianto di smaltimento, che preveda una messa a dimora, una specie di parco ambientale, di ulteriori aziende che possano sul tema fare profitti. La presenza di un sistema di ricerca locale è necessaria sulla tematica e quindi è necessario dare al comune, in questo caso all'area che nasce discarica, l'idea e poi la realizzazione di un'area industriale sul tema ecologico.
Per quanto riguarda gli interventi rispetto alla pubblica amministrazione, diceva giustamente il prefetto che la sua azione era anche nella logica di creare consorzi, del coinvolgimento totale dei comuni; non se ne può fare a meno, ma se questo è vero, occorre anche una formazione mirata dei soggetti che nei vari comuni si occupano di questi temi. Esistono programmi - siamo ormai ai terzi bandi dei PAS che credo conosciate tutti; come Tecnopolis seguiamo una moltitudine di comuni - ma nessuno ha mai avuto, a partire da noi, la sensibilità di pensare a programmi di formazione per dipendenti comunali o in ogni caso degli enti locali su temi di questo tipo. Penso invece che sarebbe essenziale.
L'ultima esperienza è di pochi giorni fa: un comune di cui non faccio il nome ci ha chiesto di essere messo in certificazione ambientale, cioè tutto il comune. Il che vuol dire una analisi forte della situazione delle discariche, dei comportamenti, delle procedure. Una sensibilità di questo tipo va incoraggiata, spinta, non so se va anche finanziata. Vogliamo una modifica di sistema in un pezzo del sistema. È un'innovazione di sistema molto forte che stiamo chiedendo. Le infrastrutture sono sicuramente necessarie e non entro nel merito dei giudizi sull'opera svolta in questa direzione. Credo che con la nuova visione di commissario che emerge dalla nuova ordinanza che individua nel prefetto Mazzitello il commissario si possa pensare ad un'operazione di più largo coinvolgimento dei soggetti interessati e dell'utilizzo di ulteriori finanziamenti sulle leggi regionali e sull'Unione europea che possa fare l'innovazione del sistema.
In questo spirito concludo dicendo che questo è un tema su cui Tecnopolis lavora fortemente, innanzitutto nelle sue componenti tecnologiche; chi è di queste parti sa che essa nasce come sistema esperto di teleinformatica e su questo ha forti competenze, ma negli ultimi anni ha fortemente lavorato per l'innovazione di azienda e di sistema, dialogando con gli enti locali su temi ben definiti con le imprese, eccetera. Ho sotto mano un intervento del sottosegretario all'ambiente Calzolaio sul tema, il quale chiede appunto che siano previste forme di collaborazione con enti e strutture pubbliche di ricerca e controllo ambientale.
Ringrazio per avermi invitato e concludo dando la disponibilità di Tecnopolis, il primo parco scientifico italiano che si trova proprio qui vicino a Bari, a dare al commissario ed alla Commissione ogni possibile contributo che verrà richiesto.


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GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. La parola è a Franca Ferri, funzionario dell'Enea, dipartimento ambiente.

FRANCA FERRI, Funzionario dell'ENEA, dipartimento ambiente. Buongiorno a tutti. Sono un funzionario dell'ENEA, lavoro nella divisione tecnologie, ingegneria e servizi ambientali, coordino una task force amianto e per anni mi sono occupata di bonifiche di siti contaminati. L'intervento che ho preparato, che andrò a leggere per esigenze di tempo, riguarda il supporto tecnico dell'ENEA alle pubbliche amministrazioni ed alle gestioni commissariali per le emergenze ambientali su due temi: la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati.
Da oltre dieci anni l'ENEA è impegnato, in appoggio alle istituzioni pubbliche, in varie attività di ricerca e sviluppo sulla gestione dei rifiuti solidi urbani e industriali, che includono analisi di sistema, ricerche e sviluppo di sistemi, impianti e processi di trattamento e recupero dei rifiuti, interventi diretti sul territorio. In tempi più recenti le attività sono state estese da ordinanze ministeriali o su richiesta di amministrazioni pubbliche centrali o periferiche (regioni, province, enti locali) alla bonifica di siti ed aree compromesse da forte degrado ambientale, attraverso studio e sviluppo di tecnologie di caratterizzazione dei siti per la pianificazione degli interventi, monitoraggio ambientale, analisi di rischio, progettazione preliminare e coordinamento degli interventi di bonifica.
Il quadro di riferimento dell'attività ambientale è costituito soprattutto dagli indirizzi e dagli impegni derivanti all'Italia dalla Conferenza sullo sviluppo sostenibile di Rio de Janeiro, dal quinto programma quadro e dalle direttive dell'Unione europea. Il supporto tecnico-scientifico fornito dall'ENEA è di natura multidisciplinare (comprendendo varie competenze ambientali, tecnologiche, ingegneristiche, normative ed economiche), in linea con la legislazione vigente e nel quadro di un accordo di programma con il Ministero dell'ambiente.
Tramite la propria struttura operativa, la divisione tecnologie, ingegneria e servizi ambientali, l'ENEA ha realizzato infrastrutture del valore di oltre 30 miliardi tra cui, in particolare, 4 impianti mobili per il trattamento termico dei rifiuti, per il trattamento del percolato di discarica, per l'inertizzazione di rifiuti contenenti amianto e per la sterilizzazione di reflui infetti.
Le attività sulla gestione dei rifiuti attualmente in corso o programmate su committenza della pubblica amministrazione (soprattutto il ministero della ricerca scientifica ed il ministero dell'ambiente) o di industriali, includono la realizzazione di stazioni sperimentali per il trattamento di rifiuti solidi urbani e di rifiuti pericolosi, l'inertizzazione di rifiuti contenenti amianto, un progetto dimostrativo di trattamento di rifiuti e reflui in impianti mobili, la realizzazione di un impianto per lo smaltimento di fanghi di depurazione e di reflui industriali e civili, un progetto dimostrativo di raccolta differenziata di rifiuti solidi urbani con macchine compattatrici telecontrollate, l'analisi dei correnti sistemi di gestione


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dei rifiuti urbani e speciali, analisi e studi sul recupero e riciclo di rifiuti, compresi compost e cdr; il supporto alla pianificazione regionale della gestione dei rifiuti.
Dal 1994 l'ENEA fornisce il proprio supporto tecnico alla gestione commissariale delle regioni in emergenza. Per tale contributo la spesa per la pubblica amministrazione è stata limitata al solo rimborso delle spese straordinarie del personale impiegato che ha, a sua volta, acquisito una valida e preziosa esperienza in campo e nel settore dello sviluppo e del trasferimento di tecnologie innovative di trattamento e smaltimento dei rifiuti. In particolare nella regione Campania le attività svolte hanno incluso: la partecipazione al monitoraggio degli impianti di smaltimento dei rifiuti esistenti, con chiusura e messa in sicurezza di alcuni di essi, ed alla individuazione di siti adatti all'insediamento di nuovi impianti nella regione; la gestione diretta di due discariche a Pianura e Eboli, durante la quale sono state effettuate anche attività di progettazione e allestimento di aree da adibire allo scarico dei rifiuti e sono stati realizzati canali di drenaggio del percolato e pozzi di intercettazione di fughe di biogas (questi mandati sono stati completati nel 1996); inoltre, la cogestione di due discariche a Palma Campania e Tufino (mandati completati nel 1998), incarichi specifici per la elaborazione di proposte di risanamento ambientale correlato all'emergenza rifiuti (convenzione quadro con la regione nel 1998). Le due convenzioni che abbiamo in atto attualmente sono con la regione Campania e con la regione Calabria. Siamo coinvolti nel commissariamento, attraverso le ordinanze commissariali, in Puglia e in Sicilia, ma per il momento non abbiamo ancora attivato alcuna convenzione.
Con riferimento ad interventi di emergenza su siti contaminati, l'ENEA ha svolto ed attivato attività indirizzate al risanamento. Su richiesta della regione Puglia ha redatto il piano regionale di bonifica delle aree potenzialmente contaminate che include il censimento e la valutazione della pericolosità dei siti potenzialmente contaminati per la presenza di discariche non più attive e/o abusive di rifiuti urbani e industriali e di siti industriali dismessi, con analisi del rischio per la definizione delle priorità degli interventi di bonifica; programmazione d'interventi di risanamento sulla base di schede tecnico-progettuali elaborate per le diverse aree con il supporto di progetti di larga massima.
Su richiesta della regione Basilicata abbiamo dato il nostro supporto alla elaborazione del piano regionale di bonifica dall'amianto; alla regione Sardegna abbiamo dato il supporto tecnico alla gestione del piano di risanamento dell'area a rischio di crisi ambientale del Sulcis-Iglesiente; alla regione Campania la progettazione di interventi per la bonifica e messa in sicurezza di siti lacuali, portuali e pluviali; al ministero dell'ambiente il piano di risanamento delle aree a rischio di crisi ambientale di Brindisi e Taranto; agli enti locali la messa in sicurezza delle discariche comunali di rifiuti urbani di Benevento, Latina, Fidenza e Bollate. Alle Ferrovie dello Stato l'elaborazione delle procedure di bonifica d'amianto di materiali rotabili ferroviari. Con la regione Calabria abbiamo in corso una convenzione dal 1998, stipulata per affrontare la situazione d'emergenza


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rifiuti nell'area del torrente Novito in territorio di Locri, contaminata da rifiuti urbani e pericolosi. Le attività affidate all'ENEA riguardano soprattutto la definizione del piano generale d'intervento, la progettazione di massima ed il coordinamento degli interventi di risanamento dell'area, campagne di trattamento termico dei rifiuti utilizzando l'impianto mobile sperimentale di messa a punto, progettazione e costruzione Enea.
Nel contempo altri interventi di emergenza sono stati avviati dall'ENEA su siti contaminati a supporto delle gestioni commissariali per l'emergenza rifiuti nelle regioni Campania, Calabria e Sicilia che hanno riguardato in modo particolare la bonifica da amianto di alcuni siti minerari in Sicilia (S. Cataldo Bosco, Palo, Pasquasia, Biancavilla e Siracusa; le attività sono o avviate o in atto); il risanamento di aree inquinate in Campania riguarda (bacino idrografico del fiume Sarno, Punta Gradella) e in Calabria (discariche di Locri e Siderno, discariche di rifiuti industriali di Cassano Ionico, Cerchiara, Crotone e Fermo-Rende).
Nel prossimo futuro, l'ENEA avrà opportunità di impegno nei settori strategici nella gestione integrata dei rifiuti e nel risanamento dei siti contaminati, sia per l'esperienza maturata sul territorio, sia per le incombenti necessità ambientali. Ricordiamo in proposito gli impegni nazionali derivati dalla criticità ambientale delle 11 aree a elevato rischio di crisi ambientale e delle 12 aree ad elevata concentrazione di attività industriali finora ufficialmente censite.
Inoltre, il recepimento della direttiva comunitaria sulla prevenzione e il controllo integrato dell'inquinamento impone entro il 2004 di adeguare gli standard ambientali delle attività industriali attraverso complessi interventi di area e certamente comporterà una maggiore richiesta di analisi e controlli ambientali integrati da parte sia industriale che pubblica.
L'ordinanza emessa per fronteggiare lo stato di emergenza socio-economico-ambientale della regione Puglia prevede che il commissario si avvalga dell'ENEA oltre che per gli aspetti legati alla gestione rifiuti, anche per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica di siti inquinati. L'ENEA ha avviato nella regione una convenzione del tipo di quella avviata con altre regioni commissariate; per fornire la nostra collaborazione, abbiamo bisogno di questo strumento. La disponibilità dell'ENEA c'è comunque su tutti i fronti, come è stato dimostrato.

Terza sessione: Dibattito.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. Passiamo alla fase del dibattito alla quale possono partecipare tutti coloro che sono stati invitati al seminario, in virtù del ruolo che ricoprono.
Per iniziare do la parola al collega Marengo, segretario di Presidenza della Commissione.

LUCIO MARENGO, Segretario di Presidenza della Commissione parlamentare d'inchiesta. La dottoressa Ferri, rappresentante del


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l'ENEA, ha anticipato un'osservazione che volevo fare. La regione Puglia ha attuato il censimento dei siti contaminati ai sensi del decreto ministeriale del 16 maggio 1989. Tale censimento che, come è noto, è stato effettuato dall'ENEA ha indicato delle priorità di intervento per azioni di bonifica a breve e medio termine. Poiché ritengo, in base ad informazioni assunte, che il censimento è risultato incompleto per alcuni aspetti, vorrei un chiarimento sul seguente aspetto. La regione ha allargato il censimento alle aree industriali a rischio e ai siti in cui si effettuano trattamenti di rifiuti, ai sensi del comma 2 del decreto dell'8 novembre 1997 (Ronchi bis)? Quali bonifiche sono già state effettuate? Dove sono stati collocati i residui delle bonifiche? Quante risorse sono state dedicate agli interventi di bonifica?
Vorrei aggiungere qualcosa sull'allargamento dei poteri al prefetto di Bari, visto che l'emergenza rifiuti nella regione è un fatto drammatico. Sappiamo tutti ciò che si nasconde dietro la commercializzazione dei rifiuti, un termine questo che nessuno usa anche se esistono un vero e proprio commercio ed un arricchimento notevole, fenomeno questo che è non solo pugliese ma anche italiano e mondiale.
Conosciamo i tempi della politica e della burocrazia ed anche quelli dei grossi interessi economici. In linea di principio non sarei favorevole all'estensione delle competenze che però è necessaria perché dobbiamo raggiungere in breve tempo risultati concreti e soddisfacenti e ciò si può ottenere soltanto dando maggiori poteri al prefetto di Bari e anche ai procuratori. Sotto questo aspetto Bari è una città fortunata perché il procuratore è tutti i giorni sulla cronaca per la sua operosità e operatività sul territorio; il prefetto è in grado di mettere in pratica - e lo ha dimostrato - la responsabilità della gestione. Non dimentichiamo che Bari è stata interessata, negli anni passati, dal fenomeno del colera, problema che si presenta ogni volta che sta per giungere l'estate. Pare che quest'anno saremo immuni da tale calamità che danneggia notevolmente il turismo.
Tutti questi problemi vanno risolti anche nell'interesse delle amministrazioni comunali che non vogliono discariche nei propri territori. Il prefetto di Bari si sta sforzando di creare consorzi tra pubblico e privato. Forse questo è l'unico intervento che potrà alleggerire il peso del fenomeno che grava sulla nostra terra.
Infine, nel passato si è sparsa la voce che nel territorio pugliese dovessero essere collocate delle discariche di rifiuti radioattivi. Mi auguro che ciò non si verifichi mai perché sarebbe un'altra iattura. Si è parlato di stoccaggio di rifiuti radioattivi in profondità nella zona di Poggio Orsini, ma io spero che si pensi ad un modo per smaltirli altrove.
Quella di cui mi onoro di far parte forse è una delle poche Commissioni che operano sul territorio ed hanno un'organizzazione in grado di intervenire concretamente suggerendo al ministro le opportune modifiche o emendamenti alle leggi in fase di approvazione.


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Ringrazio il presidente Scalia per aver scelto Bari quale sede del seminario e mi auguro che da esso si traggano conclusioni che possano servire come supporto per una legislazione che per molto tempo si è mostrata carente.

ANTONIO DI SANTO, Docente di infrastrutture idrauliche del Politecnico di Bari e responsabile dell'area ambiente e territorio DS della provincia di Bari. Ho consegnato alla segreteria della Commissione un intervento scritto che intendevo leggere, ma il vicepresidente, nella sua relazione, ha illustrato molti dei punti che io stesso avrei toccato, per cui mi limiterò a fare una sintesi molto stringata.
Per quanto riguarda la prospettiva di applicazione del «decreto Ronchi» nei prossimi mesi, credo che vada dato forte impulso alla raccolta differenziata, all'ampliamento del numero di impianti di compostaggio, soprattutto alla filiera delle attività industriali connesse con il riutilizzo delle materie seconde, e alla termovalorizzzione delle materie separate raccolte.
Accanto a questo quadro strategico insito nel decreto Ronchi e nell'ordinanza di conferimento dei poteri al prefetto di Bari, dal punto di vista politico generale, credo che vada fatta una forte azione affinché vi siano una programmazione degli interventi e un'attività di prospettiva di supporto all'attività commissariale, in modo che si determinino una strategia e una soluzione che siano di conforto, supporto e poi prosecuzione dell'attività attualmente assegnata al commissario.

SALVATORE VALLETTA, Rappresentante dell'associazione culturale ANARRES. Colgo l'occasione di questo seminario interessantissimo per ricordare uno degli episodi estremamente pericolosi che riguardano i rifiuti in questa città e che coinvolge un sito ormai noto alla stampa (Fibronit di Bari) che si trova nel pieno centro cittadino, in via Caldarola, e coinvolge 100 mila metri quadrati. È stato accertato nel 1997 l'inquinamento in profondità, anche a diversi metri, di molte aree del sito: si parla di migliaia e migliaia di metri cubi di materiale contenente amianto, scarti di lavorazione del ciclo di produzione della fabbrica che ha operato nella città dal 1935 al 1985, cioè per ben cinquant'anni, producendo materiali contenenti amianto (Fibroeternit e cemento amianto). Lo stato di inquinamento è ormai accertato: si tratta a tutti gli effetti di una discarica di grosse dimensioni che insiste nel nostro centro urbano.
L'associazione ANARRES ed altre associazioni hanno scritto ai ministeri competenti (lavori pubblici, sanità, ambiente) su questo problema e si sono impegnate su questo fronte.
Desidero ricordare un episodio che noi riteniamo grave: mi riferisco all'ipotesi di finanziamento che il comune di Bari ha avanzato tramite il PRUST, una proposta di finanziamento di riqualificazione urbana che risale al luglio 1998 e che, sostanzialmente, nella logica di riqualificare il sito tende a realizzare il vero e proprio piano di lottizzazione che l'azienda Fibronit aveva presentato nel 1994. All'epoca gli enti ignoravano che il sito fosse contaminato da amianto. D'altro canto, dagli stessi elaborati del piano


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di lottizzazione non si evinceva nemmeno che il sito fosse stato interessato dalla produzione di manufatti in cemento amianto.
La preoccupazione di numerose associazioni cittadine e regionali ci porta a sollevare con forza il problema, perché se il PRUST fosse approvato ci troveremmo in una situazione in cui si utilizza del denaro pubblico per interventi privati che dovrebbe attuare l'azienda.
In particolare, vorrei sottolineare tre aspetti che riguardano l'azione su questo sito, in cui ipotesi di interventi di bonifica realizzati tramite rimozione, che riguarderebbe ingenti volumi, sarebbero estremamente pericolosi, oltre che non in linea con i principi contenuti nella normativa sull'amianto (legge n. 257 del 1992), la quale stabilisce che la rimozione in molti casi è la tecnica di bonifica più pericolosa per i siti di intervento.
Come dicevo, tre punti violano la legge: la normativa comunitaria e nazionale riguardante il pagamento del disinquinamento, la bonifica o la messa in sicurezza in base al principio «chi inquina paga», nel senso che la ditta che ha inquinato dovrebbe pagare gli interventi; il mancato avvio del procedimento di valutazione d'impatto ambientale; la mancanza di una relazione geologica sull'area, dalla quale si potrebbe evincere lo stato di inquinamento del sito.
Chiediamo che la Commissione parlamentare d'inchiesta, alla quale abbiamo già consegnato alcune note nel corso dell'audizione del gennaio 1998, possa prendere in considerazione questo grave episodio che, oltre ai rifiuti pericolosi, riguarda l'igiene sanitaria ed ambientale della città.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. La Commissione ha da tempo disposto un'indagine conoscitiva sul problema dell'amianto. Abbiamo già svolto parecchie audizioni con i responsabili di diversi settori a livello governativo e delle istituzioni preposte tecnicamente al settore. Probabilmente sarebbe utile avere l'integrazione della documentazione cui lei ha fatto riferimento e che abbiamo già utilizzato nella stesura della relazione sulla Puglia. La Commissione terrà conto di eventuali complementi di informazione nel predisporre il documento finale dell'indagine conoscitiva sull'amianto.

GIOVANNI PLUCHINO, Presidente della commissione ambiente della Confindustria Federpuglia. Desidero fare delle brevissime considerazioni sulla struttura commissariale, o per lo meno sui suoi obiettivi, atteso che riguarda un'emergenza socio-economico-ambientale. Però nella gestione commissariale non abbiamo visto molta gestione economica. Abbiamo tentato di avviare accordi di programma e di mettere a disposizione la nostra struttura e il nostro sistema industriale, ma abbiamo scoperto che, di fatto, venivamo visti non come operatori economico-industriali ma come finanziatori a copertura di fondi che non si riusciva diversamente a trovare. Quindi, se da un lato cercavamo di dare un nostro contributo al mercato dei rifiuti, così come riteniamo che debba essere, dall'altro vedevamo verticalizzare sul sistema pubblico anche la distribuzione di impianti a tecnologia avanzata che devono seguire principi di carattere


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economico e non una programmazione che non si riesce a capire quali principi segua.
Ci siamo trovati di fronte a due anime: quella regionale (volevamo capire quali ne fossero i compiti) e quella del commissario che forse solo incidentalmente faceva capo alla regione. I nostri referenti chi erano?
Lo scollamento emerge in maniera eclatante quando si vanno a vedere alcuni dati che probabilmente sfuggono. Il sistema regione gestisce degli appalti per lo smaltimento dei rifiuti (si vedano le ASL); ma è mai possibile che non si riesca a scrivere un capitolato speciale unico per tutta la regione? È possibile che ogni provveditore di ogni singola ASL debba inventare un capitolato, lasciando le porte aperte al sistema dell'illecito? Un sistema questo duplice che comprende gli illeciti commessi da alcune imprese, ancorché criminali, e da imprese di cartello (bisogna chiedersi se le gare vengano gestite come devono esserlo). Vi sono quindi una disorganizzazione e un sistema di illeciti contro le imprese che, non facendo parte di un cartello, sono penalizzate.
Di spunti ce ne sarebbero tantissimi e mi auguro che il nuovo commissario si ponga problemi di mercato, perché la questione dal nostro punto di vista deve essere affrontata su basi economiche.
Per quanto riguarda il sistema Puglia delle imprese, come si è pensato di farlo partecipare allo sviluppo economico di un settore che - lo ribadisco - è industriale? Altre soluzioni non esistono.
Voglio evidenziare lo scollamento che vi è fra le due anime commissariale e regionale (ufficio rifiuti). Come è possibile, per esempio, che si continui a non far nulla per la gestione delle gare, quando si parla dell'affidamento al prezzo «più basso» e non a quello «economicamente più vantaggioso»? Esiste la capacità da parte del commissario o della regione di stendere il capitolato di oneri e di valutare la congruità delle offerte? Cominciamo ad intervenire su questo versante, nel quale dovremmo coinvolgere maggiormente il mondo imprenditoriale.
Da queste brevissime considerazioni emergono le nostre perplessità sulle attività svolte dalla struttura commissariale che non è nata l'anno scorso.

SALVATORE SECHI, Coordinatore del settore rifiuti della regione. Intervengo per dare una risposta all'onorevole Marengo.
Dal punto di vista politico non voglio entrare nel merito dell'ordinanza che, tra l'altro, ufficialmente la regione ancora non conosce. Abbiamo appreso questa mattina che è stata emanata il 3 marzo ma al nostro ufficio non è ancora pervenuta.
La regione ha considerato la gestione commissariale in tutte le fasi che l'hanno caratterizzata - dal 1994 al 1996, nella persona del prefetto di Bari, dal 1996 ad oggi, nella persona del presidente della giunta regionale, e da oggi in poi, nella persona del prefetto di Bari - non già come un'espropriazione di funzioni e compiti della regione ma come un intervento per aiutare l'attuazione delle scelte di programmazione che la regione ha compiuto negli anni passati e che tuttora sono in via di aggiornamento e modificazione perché devono


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adeguarsi all'evoluzione normativa di cui questa mattina si è parlato. Quindi la regione ha continuato a svolgere il proprio compito mai ritenendo che la funzione del commissario fosse di ostacolo alla programmazione regionale, tant'è vero che la struttura ha collaborato, fin dalla prima fase del regime commissariale, con il prefetto di Bari, poi integrando la propria azione con quella del presidente della giunta. Quest'integrazione ha riguardato non soltanto l'azione e il programma ma anche la finanza.
Circa le bonifiche, sappiamo che l'ultima ordinanza ministeriale ha attribuito al commissario anche compiti in materia di definizione degli interventi in ragione dell'obiettivo della bonifica e del risanamento del territorio. La regione ha lavorato con l'ENEA e ha predisposto un piano per i siti contaminati ai sensi della legge n. 441 del 1987 che non aveva grandi pretese (le risorse erano abbastanza esigue) di caratterizzazione tecnica delle singole situazioni, ma aveva l'obiettivo della conoscenza delle zone del territorio interessate dal potenziale inquinamento con l'indicazione approssimativa degli indici di rischio che dava un ordine di priorità degli interventi.
Il consiglio comunale ha approvato il documento e lo ha formalizzato come piano, anche se impropriamente si può chiamare «piano» visto che la situazione di inquinamento del territorio difficilmente si può fotografare con un atto, poiché è in continua evoluzione. Il piano regionale è stato utilizzato per indirizzare gli interventi finanziari sulla base delle risorse che la regione ha avuto a disposizione prevalentemente nell'ambito del programma operativo plurifondo 1994-1999, interventi finanziati in parte dalla Comunità europea, in parte dallo Stato, in parte con risorse regionali e, in qualche caso, con risorse messe a disposizione dal piano triennale ambiente e anche dal programma comunitario Envireg. Complessivamente, ad oggi, seguendo le priorità indicate nel piano regionale elaborato dall'ENEA e approvato dal consiglio regionale, abbiamo potuto utilizzare (molti interventi sono già conclusi e altri sono in corso) circa 21 miliardi per interventi di bonifica e risanamento ambientale di aree del territorio indagate dall'ENEA e indicate come connotate da un maggiore rischio.
Sicuramente nel prossimo programma operativo plurifondo (Agenda 2000) la regione darà ulteriore spazio ad interventi di questo tipo.
Non c'è dubbio che la questione della bonifica e del risanamento ambientale ha un'interconnessione evidente e necessaria col problema dei rifiuti, perché se non siamo in grado di darci un sistema compiuto integrato capace di coprire in termini quantitativi, oltre che qualitativi, il fabbisogno relativo alla produzione dei rifiuti, cioè se nel territorio nazionale il sistema di gestione dei rifiuti ha una capacità di gran lunga al di sotto della produzione, diamo per acquisito che gran parte di tali rifiuti vadano ad inquinare il territorio. Questo vale per la nostra regione e per il territorio nazionale, tanto più che i rifiuti, purtroppo, non hanno confini. I rifiuti urbani ricadono nella competenza obbligatoria dei comuni per cui si tratterà di governare un sistema di consorzi che la regione non è riuscita ad avviare perché forse non aveva poteri sufficienti e non ha trovato le sinergie indispensabili. Non c'è dubbio che alla competenza che l'ordinamento


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attribuisce alle autonomie locali non corrisponde un sistema integrato che necessariamente supera i confini del singolo comune. Questo è un nodo che rappresentiamo alla Commissione e che, a mio giudizio, ha caratterizzato in maniera negativa l'azione di attuazione del piano regionale che, pur vecchio, conteneva in nuce gli obiettivi del «decreto Ronchi», dal compostaggio alla termovalorizzazione, alla raccolta differenziata, alla prevenzione. L'attuazione di tale strumento ha scontato delle difficoltà, e noi abbiamo letto il commissariamento come un aiuto a superarle. Perché in sei anni di commissariamento non si è potuto raggiungere quell'obiettivo che noi speravamo che poteri più forti ed incisivi ci consentissero di raggiungere? A questa domanda probabilmente daremo risposte diverse. Io sento di dover sottolineare un motivo importante: gli strumenti delle ordinanze che hanno definito e disciplinato i poteri commissariali hanno indicato un percorso che, pur virtuoso, era soltanto parzialmente utile al conseguimento dell'obiettivo generale.
Noi oggi abbiamo una raccolta differenziata del 4 per cento, ma io sarei contentissimo se potessi giurare che quel 4 per cento finisce al recupero, ma purtroppo non sono in grado di farlo. Allora qual è il problema? Creare un mercato del recupero? L'obiettivo è quello di fare raccolta differenziata o quello di sottrarre il rifiuto alla discarica? O invece ci accontentiamo di raggiungere il 50 per cento di raccolta differenziata, senza preoccuparci di quanto va a finire in discarica?
Ho letto, signor presidente, il rapporto dell'ANPA e ho visto che le discariche in Lombardia sono tre volte quelle che abbiamo noi, però si fa molta raccolta differenziata. Ho il sospetto che molta parte di questa raccolta non sia destinata a seguire percorsi virtuosi di recupero effettivo. Però, come dicevo, i rifiuti non hanno confine: quelli urbani sono di privativa pubblica e di privativa comunale e su questo non possiamo agire; invece, i rifiuti speciali viaggiano per l'intero territorio nazionale e, secondo l'ordinamento che applichiamo, anche attraverso i transfrontalieri.
La regione Puglia applica un regolamento della Comunità europea, la quale tra l'altro ha richiamato molte volte i paesi membri al principio della libera circolazione dei rifiuti, come delle merci e noi non siamo in grado di assicurare che il rifiuto prodotto in Puglia, il rifiuto speciale, sia gestito fino alla fine del suo ciclo nel territorio regionale, ma soprattutto non siamo in condizione di stabilire o di verificare o comunque di governare un sistema di flussi di rifiuti da fuori regione e l'esperienza ci dice che questo flusso molte volte segue i percorsi dell'illecito.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. La ringrazio anche per avere cercato una risposta a domande che erano presenti nella relazione introduttiva.
Per ciò che riguarda la raccolta differenziata, sia nella relazione introduttiva sia in un intervento che ho fatto recentemente al convegno internazionale promosso dal ministero dell'ambiente, è emerso che la raccolta differenziata non è un obiettivo in sé ma uno strumento per recuperare i materiali e far diventare il rifiuto una risorsa.


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Essa è un passaggio importante e fondamentale che richiede anche la cosiddetta education, ma serve a recuperare materiali, altrimenti rischiamo di fare come la Germania che è stata la prima della classe nella raccolta differenziata e poi, come ha potuto verificare questa Commissione d'inchiesta, ha migliaia di tonnellate di materiale secco separato allocate in capannoni in Piemonte e in altre regioni d'Italia, come in altre nazioni europee. Il punto è estremamente chiaro: la raccolta differenziata va perseguita perché è un passaggio fondamentale per poter recuperare materiali.

ANGELO COLANGIONE, Assessore all'ambiente e territorio della provincia di Foggia. Ringrazio la Commissione per l'opportunità che ci offre questa mattina.
Il «decreto Ronchi» è stato certo un passaggio importante, una condizione essenziale per impostare una politica dei rifiuti innovativa, basata sull'assunzione generale di responsabilità da parte dei diversi soggetti coinvolti a vario titolo e capace di favorire la riduzione e la produzione di rifiuti, la crescita delle raccolte differenziate, lo sviluppo di una moderna industria del riciclaggio. La giornata nazionale di sabato 26 febbraio, promossa dal ministero dell'ambiente e dal CONAI, dedicata all'Italia che ricicla, ha detto molte cose. Innanzitutto che le attese stentano a trasformarsi in realtà: gli obiettivi minimi della raccolta differenziata sono lontani da quanto sancito dal decreto Ronchi; permane una gran confusione sul problema del recupero energetico, che è una delle condizioni di partenza per cui l'assessorato all'ambiente dell'amministrazione provinciale di Foggia ha deciso di dotarsi di una agenzia per l'energia e l'ambiente, cofinanziata al 47 per cento da parte dell'Unione europea.
Mancano inoltre dati realistici sul settore dei rifiuti industriali. Finora tutta la attenzione è stata concentrata sui rifiuti urbani, anche se il problema di quelli industriali ha numeri maggiori e soprattutto presenta un più alto tasso di pericolosità, contando su pochissimi impianti idonei per lo smaltimento. Intanto la normale amministrazione dei rifiuti è drammatica, con discariche che si esauriscono ben prima del tempo previsto; la gestione dei rifiuti continua ancora ad essere sinonimo di degrado ambientale, di rischio sanitario, di arretratezza tecnologica e, nei casi peggiori, di illegalità.
Per come sono concepite, almeno sulla base dell'esperienza maturata nella provincia di Foggia, le ordinanze di commissariamento non sembrano in grado di accompagnare il ritorno alla legalità e all'ordinaria amministrazione e, a detta di molti esperti, rischiano di consegnare le regioni meridionali (con la Puglia sono commissariate anche la Campania, la Sicilia e la Calabria) ad una emergenza rifiuti infinita. Il commissariamento avrebbe dovuto condurre all'attuazione del piano regionale imposto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, ma a tutt'oggi quel piano non è stato completamente attuato. Per parlare della realtà che come assessore provinciale all'ambiente mi trovo ad amministrare, devo segnalare che il bacino Foggia 1 è privo di una discarica di riferimento; la localizzazione dell'impianto nel comune di Carpino ha provocato


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quasi una sollevazione popolare; i tempi lunghi e l'alternarsi di diverse amministrazioni hanno cambiato le carte in tavola e la discarica non è stata realizzata. Come immediata conseguenza, alle altre discariche funzionanti nel territorio (quelle della città capoluogo, di Cerignola e di Manfredonia) si sono esaurite prima del previsto, avendo dovuto fronteggiare le richieste sempre più pressanti di troppi comuni con un aggravio di costi enorme per le casse di alcune amministrazioni comunali, che devono sobbarcarsi considerevoli costi di trasporto per conferire i rifiuti in discariche distanti decine e decine di chilometri.
Anche per un'altra area del nostro territorio provinciale, quella del sud Appennino, solo da poco tempo è giunto finalmente il progetto relativo alla realizzazione di una discarica a Lucera. È stato lo stesso commissario Distaso, nel corso di un'audizione presso la Commissione parlamentare d'inchiesta, a dichiarare che l'azione commissariale ha consentito almeno lo smaltimento in condizioni di sicurezza dei rifiuti prodotti dai comuni della Puglia, elemento questo che non ha sollevato la nostra regione da una situazione di assoluta precarietà.
A mio giudizio, ben poco si è fatto per uscire dall'emergenza e per creare condizioni che possano facilitare il ritorno all'ordinaria amministrazione. Nel caso dell'amministrazione provinciale di Foggia i rapporti con le strutture tecniche del commissariato sono stati continui e, in qualche caso, proficui. L'ultimo accordo, al quale facevo riferimento poc'anzi, per la realizzazione di piazzole di stoccaggio in otto distinti centri della Capitanata, oltre al finanziamento regionale ha potuto usufruire di un ulteriore stanziamento da parte del commissario, grazie al quale i comuni potranno dotarsi di queste strutture praticamente a costo zero. Ma qualche risultato positivo non attenua il giudizio complessivo: non mi sembra che si possano registrare risultati confortanti sul versante dell'abusivismo.
Il vero punto debole, però, concerne i rapporti con gli enti locali. Il dialogo ed il coordinamento fra i commissari ed i soggetti tenuti alla pianificazione, alla realizzazione e alla gestione degli interventi - in primo luogo enti locali e parti sociali - deve essere continuo e costante. I soggetti direttamente coinvolti da questa problematica tentano di riportare la gestione dei rifiuti, anche se in regime straordinario, sul territorio, ma l'amministrazione centrale non asseconda questo tentativo. Le ordinanze relative ai commissariamenti dovevano indicare tempi certi per rientrare nella gestione ordinaria ed avrebbero dovuto individuare il percorso più giusto, oltre a svolgere un ruolo di garanzia nel coordinamento degli interventi e nell'assegnazione dei finanziamenti previsti. La pianificazione, però, va lasciata agli enti locali, che andrebbero anche coinvolti nella realizzazione e nella gestione degli impianti. Scarsa chiarezza si è registrata anche riguardo a responsabilità, poteri e competenze di ciascuno dei soggetti coinvolti, per evitare inutili sovrapposizioni di ruoli e questo ha condotto ad un ulteriore decelerazione dell'intero sistema.
Nella fase di definizione degli indirizzi, il metodo della concertazione fra organi istituzionali e forze sociali ed imprenditoriali deve


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essere espressamente previsto, mi pare invece molto evidente una netta tendenza all'accentramento dei poteri nella struttura del commissariato per tutte le decisioni di indirizzo, pianificazione, definizione dei costi di gestione, scelta delle tecnologie, individuazione degli impianti. Una impostazione centralistica che soffoca e mortifica in primo luogo i comuni, ma anche gli altri enti locali. L'importanza politica in sede locale del problema dei rifiuti non deve essere negata, così come le amministrazioni comunali non possono essere considerate solo interpreti di sentimenti egoistici delle rispettive popolazioni, che inevitabilmente puntano a siti di smaltimento il più possibile distanti ed a tariffe basse.
Detto in altri termini, l'Europa - dal momento che il «decreto Ronchi» nacque proprio dall'esigenza di recepire tre distinte direttive comunitarie - è ancora piuttosto distante e non mi pare che i commissariamenti abbiano facilitato le cose: leggi, decreti e misure di emergenza hanno anzi accresciuto una certa tendenza alla confusione. La modernizzazione e la trasformazione del sistema di gestione dei rifiuti impone una riduzione di pericolosità dei rifiuti prodotti, il riutilizzo per allungare il ciclo di vita, il riciclo di materia e il recupero di energia: un multi-obiettivo europeo, che necessita della collaborazione attiva e fattiva di tutti i municipi.
In altri termini, ritengo che l'istituto del commissariamento si stia sempre più configurando come un organismo di gestione ordinaria o dell'ordinario. Se proprio lo si ritiene utile e necessario, sarebbe auspicabile una più incisiva attività rivolta a normalizzare e legalizzare le situazioni esistenti, al fine di dare un impulso risolutivo che faccia quanto meno intravedere un ritorno alla gestione ordinaria, da tutti, credo, auspicata.
L'ordinanza di cui si è parlato - che ancora non conosciamo in tutti i suoi aspetti - trasferisce poteri alle province e ai prefetti, quindi decentra sul territorio; l'auspicio è che gli enti locali, in primo luogo le amministrazioni provinciali, in prospettiva, nel momento in cui si tornerà alla gestione ordinaria, si vedano attribuiti i compiti che loro competono.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione d'inchiesta. La ringrazio anche per avere puntato i riflettori sulla questione dei rifiuti speciali, su cui la Commissione si sta dando molto da fare con esiti che spero saranno utili per il nostro paese.

DARIO STEFÀNO, Vicepresidente dell'associazione industriali di Lecce. Sono delegato a parlare in questa sede anche a nome della FISE-Assoambiente, cioè l'associazione nazionale che raggruppa le imprese private del settore. Anch'io avevo preparato un intervento scritto, che ritengo però in parte superato dagli interventi già ascoltati.
La considerazione dalla quale voglio partire è che sono passati sei anni ed i risultati ottenuti dalla gestione commissariale, per ammissione della stessa struttura, mi sembra siano stati di corto respiro. Proverei a formulare un'ipotesi secondo la quale il potere ordinario della regione Puglia, ovvero la struttura dell'assessorato, con gli stessi


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poteri di deroga attribuiti in questi anni al commissario sarebbe stata efficace più o meno allo stesso modo. In verità, è paradossale che l'emergenza abbia colpito la regione Puglia che, come ha detto il dottor Sechi poco fa, è stata una delle prime a dotarsi di un piano regionale, a mio parere apprezzabile dal punto di vista tecnico, che aveva due elementi di debolezza: la mancata localizzazione degli impianti e un'endemica carenza di risorse, che non ne hanno consentito l'attuazione.
La nostra organizzazione vede che il meccanismo delle reiterazioni ha portato sempre più nella direzione e di estraniare dal settore le imprese private; questo è avvenuto in passato per quanto riguarda gli impianti e con la nuova ordinanza si estende anche ai servizi, laddove per ogni bacino si prevede il ricorso ad una azienda pubblica o ad un'unica società mista da costituirsi in deroga ad ogni procedura di evidenza pubblica. Noi riteniamo invece che le imprese private siano state quelle che hanno consentito la sopravvivenza del settore; se esistono presenze poco lecite, vanno smascherate e punite, ma non possiamo assistere ad una criminalizzazione dell'intero settore su tutto il territorio regionale.
Come categoria chiederemo immediatamente un incontro con il nuovo commissario, il prefetto Mazzitello, che conosciamo per la sua sensibilità su questi temi. La struttura commissariale non ha prodotto risultati e noi avevamo più volte fatto istanza di essere partecipi all'attuazione degli interventi attraverso accordi di programma chiari e attraverso il ricorso a canali finanziari del settore privato, ma le nostre richieste non sono state prese in considerazione; ci ripresenteremo con gli stessi intendimenti, muovendo però da un dato di partenza.
Il vicepresidente Gerardini ha fatto molte domande alle quali vorrei contribuire a dare risposta. La raccolta differenziata in Puglia ha avuto un andamento così lento perché non ci sono gli impianti necessari; paradossalmente, una azienda che riesca ad elevare i rendimenti al 20 per cento entra in una situazione di criticità perché non c'è un sistema industriale in grado di trattare il materiale proveniente dalla raccolta differenziata. Non c'è quindi un percorso logico attraverso il quale uscire dall'emergenza che determini anche caratteristiche che consentano di restare fuori dall'emergenza. Considerato che non ci sono gli impianti, è paradossale concentrarsi su obiettivi percentuali di raccolta differenziata, che tra l'altro riguardano il materiale meno presente nella nostra regione, cioè il secco. Ora lo sforzo è stato compiuto, gli impianti sono in corso di realizzazione e speriamo entrino presto in funzione. Vorrei però rivolgere una sollecitazione. Proprio le situazioni di emergenza richiederebbero una responsabile valorizzazione di tutte le risorse disponibili sul territorio, anche di quelle private.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. La drammatica carenza di impianti caratterizza tutta l'Italia, non soltanto le regioni del sud e questo è uno degli elementi che rende problematico conseguire gli obiettivi prefissati, però, sia pure con molto ritardo siamo passati alla stagione in cui gli impianti


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da alcune parti sono stati realizzati, in altre si stanno avviando, altrove sono almeno in fase di progettazione. Un altro aspetto positivo è rappresentato dall'avvio dell'attività del CONAI che prima era solo sulla carta mentre ormai da quasi un anno è diventato un'associazione con oltre un milione 400 mila imprese ed è in grado di avviare al recupero, secondo diverse filiere, il materiale che viene raccolto in modo differenziato.

ANTONIO LUCA, Assessore all'ambiente della provincia di Lecce. La circostanza offertaci da questo seminario voluto dalla Commissione parlamentare di inchiesta ci consente di fare il punto a livello locale dell'attività e dell'istituto del commissariamento, dovuto alla situazione di emergenza ambientale che ha interessato e interessa l'intero territorio regionale pugliese, dichiarata già dal novembre 1994 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alle situazioni a rischio dei sistemi depurativi delle acque reflue e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Inizialmente e sino a tutto il 1995 il prefetto di Bari ha ricoperto il ruolo di commissario con poteri straordinari per ambedue i settori, mentre dal giugno 1996 la delega per l'emergenza rifiuti è stata affidata al presidente della regione. La situazione di emergenza in materia di rifiuti urbani in Puglia si è determinata nonostante la vigenza di uno specifico piano regionale adottato nel giugno 1993 insieme alla relativa normativa di attuazione (legge regionale n. 17 del 1993) che prevede, secondo un modello di pianificazione localizzativa ormai superato, la realizzazione di un sistema integrato di smaltimento e recupero. La provincia di Lecce è stata suddivisa dal piano regionale in 3 bacini di utenza e per ciascun bacino il piano ha definito il fabbisogno di smaltimento in termini impiantistici ed il successivo intervento di un commissario ad acta, nominato dalla regione, ha consentito di localizzare territorialmente i diversi impianti. Il bacino di Lecce 1 è costituito da 27 comuni con una popolazione di circa 336 mila abitanti; del bacino di Lecce 2 fanno parte 46 comuni con circa 280 mila abitanti; il bacino di Lecce 3 è costituito da 24 comuni con circa 185 mila abitanti.
Le previsioni di piano comportano certamente condizionamenti per il territorio in cui sono stati localizzati gli impianti, quasi mai serenamente accettati dalle popolazioni interessate, e la sua attuazione è stata fortemente contrastata ed ostacolata. Sul territorio regionale si è determinata una sostanziale paralisi di ogni iniziativa utile a risolvere i problemi connessi allo smaltimento dei rifiuti attraverso una corretta organizzazione dei servizi, non si è costituito alcun consorzio di comuni appartenenti a bacini di utenza definiti, non si è realizzato alcun nuovo impianto a tecnologia complessa, i servizi di raccolta differenziata, pure obbligatori per legge e previsti dal piano, sono stati attivati in misura minima. Di fatto lo smaltimento dei rifiuti urbani è stato ed è tuttora assicurato dai soli impianti di discarica, per lo più preesistenti al piano e sorti in massima parte per iniziativa privata. Nella provincia di Lecce sono


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oggi in esercizio quattro delle cinque discariche controllate per rifiuti solidi urbani previste dal piano (tre delle quali realizzate prima della sua adozione) ed una è attualmente in costruzione.
Al commissario delegato-presidente della regione è stato affidato in particolare il compito di predisporre un piano di interventi di emergenza nel settore della gestione dei rifiuti, adeguato alle disposizioni contenute nel decreto Ronchi nel frattempo emanato. Il programma commissariale è stato adottato nel luglio del 1997 ed in sostanza conferma i bacini di utenza in cui il piano regionale ha suddiviso le province e le sue indicazioni infrastrutturali, prevedendo, accanto agli impianti già individuati e localizzati, la realizzazione di centri di raccolta, prima lavorazione e stoccaggio di materiali provenienti dalla raccolta differenziata e di centri di selezione del rifiuto tal quale per il recupero di materiali da destinare alla produzione di combustibile alternativo insieme alla realizzazione di tali linee.
Per la provincia di Lecce sono stati previsti quattro centri di raccolta nei comuni di Lecce, Campi, Melpignano e Ugento (per questi ultimi tre sono in corso i lavori di costruzione); impianti di selezione del rifiuto tal quale in testa agli impianti di discariche esistenti in ciascuno dei tre bacini di utenza; un centro per la produzione di combustibile da rifiuti nel comune di Lecce.
Accanto alle azioni infrastrutturali il programma di emergenza del commissario individua in una serie di azioni dispositive interventi organizzativi utili a fronteggiare l'emergenza. Sono state in particolare emanate numerose ordinanze che avrebbero dovuto dare impulso all'attivazione delle raccolte differenziate comunali ma che, almeno nella nostra provincia, non hanno sortito l'effetto sperato. Le ordinanze hanno fissato alcuni obiettivi quantitativi di raccolta dei singoli materiali in rapporto al totale dei rifiuti prodotti ed i comuni devono raggiungere le scadenze temporali indicate, peraltro più ravvicinate di quelle complessive stabilite dallo stesso «decreto Ronchi». L'azione programmata dal commissario ha però coinvolto solo marginalmente gli enti locali, in particolare le province, che sono state interessate quasi esclusivamente per attività di supporto e controllo, mentre il «decreto Ronchi» assegna ai comuni e, in particolare, alle province funzioni che sono in molti casi conferme di precedenti attribuzioni, in altri delle vere e proprie novità.
Una di queste è sicuramente l'introduzione dello strumento dei cosiddetti ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani che, fatte salve eventuali disposizioni regionali, coincidono con il territorio provinciale. Alla provincia il decreto legislativo n. 22 del 1997 affida il compito di garantire in ciascun ambito ottimale la gestione unitaria delle attività relative ai rifiuti, predisponendo appositi piani, e soprattutto di disciplinare, entro 12 mesi dalla sua entrata in vigore, le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali che ricadano negli ambiti ottimali e nei subambiti. Le scelte che la provincia può operare sulla base delle indicazioni del decreto (articolo 23) si riducono sostanzialmente agli accordi tra amministrazioni, di cui all'articolo 15 della legge n. 241 del 1990, e convenzioni ex articolo 24 della legge n. 142 del 1990.


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La provincia di Lecce si è attivata predisponendo ed approvando il piano per l'organizzazione della raccolta differenziata in conformità alla legge ed ha tentato di definire forme unitarie di gestione dei rifiuti a partire dai servizi di raccolta differenziata in ciascuno dei bacini di utenza in cui il territorio provinciale è stato suddiviso dal piano regionale, ricorrendo allo strumento delle convenzioni tra enti indicato dal citato articolo 24 della legge 142. In questo caso, però, il decreto legislativo n. 22 non indica alcun elemento del quale la provincia può disporre per indurre i comuni ad attuare il sistema integrato di gestione previsto. Il decreto assegna ai comuni sei mesi di tempo dall'individuazione di ciascun ambito per approntare l'organizzazione - o la riorganizzazione - dei servizi sulla base delle scelte operate dalla provincia.
L'azione della provincia di Lecce, è scarsamente supportata da strumenti legislativi più stringenti e dagli interventi commissariali; ha scontato il freno di numerose resistenze soprattutto da parte dei comuni e dell'attuale sistema privato di gestione. In questi giorni, anche se con l'adesione di soli 16 comuni, si stanno concludendo le operazioni di gara di affidamento dei servizi con l'impegno di procedere a breve, d'intesa con i soggetti pubblici e privati interessati, ad un aggiornamento del piano allo scopo soprattutto di eliminare l'eccessiva frammentazione delle gestioni che non consente servizi economici ed efficienti.
Dai dati disponibili, ricavati dalle comunicazioni inviate da comuni e gestori privati, emerge un quadro complessivo non molto confortante. I rifiuti solidi urbani prodotti a tutto settembre 1999 in provincia di Lecce sono pari a 285.100 tonnellate, corrispondenti ad una produzione giornaliera per abitante di 1,3 kg, con un incremento rispetto all'anno precedente del 4,86 per cento. Sul totale dei rifiuti prodotti, 269.740 tonnellate, pari al 94,9 per cento, sono stati smaltiti in discarica e 14.566 tonnellate, pari al 5,1 per cento, sono stati raccolti in maniera differenziata in una percentuale che si riduce al 4,3 per cento, corrispondente a 12.353 tonnellate se non si considerano i rifiuti ingombranti. L'incremento della raccolta differenziata rispetto ad 1998 è stato dell'1,5 per cento. Se si scende nel dettaglio dei singoli comuni e si raffrontano i dati con gli obiettivi quantitativi di raccolta stabiliti dalle ordinanze del commissario delegato, solo 13 su un totale di 97 hanno raggiunto la percentuale complessiva fissata inizialmente al 10,1 per cento e sono ancora meno quelli per i quali si sono verificate percentuali nei limiti per singolo materiale (vetro, plastica, carta, metalli). Su 97 comuni della provincia, 34 effettuano il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani in modo improprio, 53 mediante affidamento a terzi e 12 in una forma mista; 43 sono inoltre i comuni in cui il soggetto che svolge la raccolta indifferenziata è diverso da quello che gestisce la raccolta differenziata. Nel 1999, infine, 13 comuni continuano a smaltire i propri rifiuti urbani in impianti diversi da quelli a servizio del proprio bacino di utenza.
Ma il dato forse più sconcertante è quello relativo ai costi sostenuti dai comuni per i servizi effettuati, che variano da un minimo di circa 40 mila lire per abitante all'anno fino ad un massimo


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di 250 mila lire annue a carico di ciascun cittadino. Queste differenze non si possono giustificare solo con una pretesa diversa qualità del servizio ma, verosimilmente, sono causate da una gestione ben lontana dalla professionalità che ora la proroga del termine per l'entrata in vigore della tariffa rifiuti, stabilita nella recente legge finanziaria e fortemente voluta dai comuni, continuerà a coprire. L'introduzione della tariffa rifiuti, che sancisce sostanzialmente il principio della copertura dei costi attraverso il gettito tariffario, costituisce infatti un modello in cui gli enti locali, in forza della titolarità del servizio, hanno un ruolo di garanti dell'efficienza delle prestazioni rese dalle imprese incaricate delle attività operative di gestione e dell'equità del relativo corrispettivo. Con il rinvio si è sicuramente persa un'occasione per favorire il decollo di un sistema gestionale che, rimuovendo l'ostacolo della polverizzazione su base municipale dei servizi, obbligasse di fatto a forme di cooperazione tra enti di un determinato ambito territoriale.
Alla fine dello scorso dicembre, il termine dell'attuale commissariamento della gestione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani in Puglia è stato ulteriormente prorogato; il ricorso al regime commissariale, nonostante il lavoro e l'impegno dedicati, non ha creato le condizioni per un superamento dell'emergenza e non si riesce ancora ad individuare un percorso preciso e tempi certi per uscirne. La durata del commissariamento ha trasformato questo istituto di Governo dell'emergenza in uno strumento ordinario di gestione, che ha di fatto esautorato e deresponsabilizzato il Governo regionale e gli enti locali.
In questi anni il legislatore ha delineato un sistema di gestione dei rifiuti coerente con l'esperienza e le norme europee ed ha avviato un profondo, anche se lento, processo riformatore, che coinvolge direttamente regioni, province e comuni. Il modello che emerge dalla gestione commissariale è contraddittorio e ha, nei fatti, distorto gli indirizzi della riforma; si caratterizza, inoltre, per essere parcellizzato su impianti discariche per lo più esistenti e su raccolte differenziate parziali e frammentarie. Le stesse competenze commissariali tendono a moltiplicarsi tra commissari e subcommissari, presidenti delle giunte regionali, prefetti, assessori regionali, comitati scientifici e consulenze tecniche, determinando a volte seri conflitti e incomprensioni; non vi è coerenza tra competenze, azioni proprie della gestione emergenziale e costruzione delle condizioni per una gestione ordinaria dei servizi.
La proroga della dichiarazione di emergenza ambientale può essere l'occasione per operare i necessari cambiamenti di rotta. I poteri e le funzioni del commissario debbono essere delimitati, definiti, non parcellizzati e coerenti con gli istituti, gli indirizzi e le competenze delineate dal «decreto Ronchi»; le ordinanze devono indicare puntualmente le attività non riconducibili allo stato di emergenza, che vanno totalmente svolte a carico delle autorità competenti secondo la legge e le opportune norme di incentivo e di disincentivo che possono favorire l'impegno delle amministrazioni locali; i prefetti non devono essere indicati come commissari alle discariche, ma la loro funzione nell'ambito dell'emergenza deve essere


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concentrata sull'attività di controllo e di coordinamento delle azioni dei diversi soggetti istituzionali, soprattutto a livello locale; il commissario, nel caso di ritardi della regione, dovrà avere il mandato preciso di predisporre o adeguare il piano regionale entro tempi certi e verificabili, facendo partecipare ed esprimere le istituzioni regionali, provinciali e comunali; i presidenti delle province ed i sindaci vanno pienamente coinvolti nella gestione dei rifiuti in applicazione del decreto Ronchi; dovranno realizzarsi gli ambiti territoriali o i subambiti ex articolo 23. L'ambito ottimale, individuato nella provincia o nei subambiti, deve essere assunto nelle ordinanze indicando specifiche funzioni delle amministrazioni provinciali anche nel superamento dell'emergenza; si ritiene indispensabile prevedere le modalità e le forme di aggregazione, anche obbligatorie, tra comuni. La costituzione di società miste pubblico-privato deve essere attentamente verificata per evitare forme poco trasparenti di affidamento della gestione dei servizi o esclusioni a priori di competenze e capacità imprenditoriali, consolidando e non rimuovendo le distorsioni presenti. Il nuovo istituto commissariale dovrà caratterizzarsi soprattutto per essere garante della concertazione tra i diversi livelli delle istituzioni locali e tra queste e le forze sociali ed imprenditoriali, nonché di un sollecito ritorno a strumenti ordinari di gestione che consentano ai soggetti pubblici e privati interessati di riappropriarsi del ruolo che la nuova disciplina gli attribuisce.
Ho dato solo una sommaria lettura dell'ordinanza: vedo qualche novità, ma non credo sia sufficiente perché ritengo si debba passare ad una gestione ordinaria anche per quanto riguarda la tutela delle acque. Ritengo, in conclusione, che l'istituto del commissariamento debba essere superato e che si debbano restituire i poteri alle istituzioni democraticamente elette, quelle più vicine alle esigenze del territorio e ai bisogni dei cittadini. Per questo ovviamente è necessario che l'emergenza sia superata, ma non sono convinto che sia possibile farlo - lo ripeto - lontano dal territorio e dai bisogni dei cittadini.

AUGUSTO LAGRASTA, Esperto e consulente su questioni ambientali. Fino ad alcuni mesi fa ho lavorato in una società privata di servizi ambientali per i comuni: vorrei quindi portare il punto di vista degli utilizzatori, cioè gli attori primi del problema di cui siamo discutendo, in particolare per quanto riguarda l'aspetto della raccolta differenziata. Mi sembra infatti che sia rimasto in ombra un anello fondamentale, che è quello della ripercussione delle scelte che si compiono a livello degli enti locali e, quindi, dei singoli cittadini.
L'articolo 49 del «decreto Ronchi», che istituisce la tariffa, stabilisce il principio che per attivare dei comportamenti virtuosi da un punto di vista ambientale c'è bisogno di dare incentivazioni, tant'è che nell'articolazione delle tariffe devono essere previsti sgravi per la partecipazione dei cittadini alla raccolta differenziata. A mio parere non è stato considerato abbastanza che nella realtà si invitano i cittadini a compiere una azione che va in senso contrario rispetto agli incentivi.


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In Puglia partiamo da una situazione in cui il costo generale di tutta l'attività di smaltimento dei rifiuti urbani è bassissimo, in particolare se confrontato con la situazione del nord; mi risulta infatti che già negli anni scorsi in Lombardia - una delle regioni citata come esempio di virtuosismo ambientale - lo smaltimento dei rifiuti costava anche 300-350 lire al chilo quando da noi costava solo 50 lire. A mio parere il decreto-legge è stato impostato tenendo conto della situazione che rispecchia quella presente in Lombardia, nel senso che nelle 350 lire al chilo c'è tutto lo spazio economico per organizzare attività di raccolta differenziata che di per sé sono molto più complesse; è ovvio, infatti, che raccogliere i rifiuti tutti insieme in un unica soluzione è molto più economico che farlo in maniera selezionata. Questo non vuol dire che il principio non sia giusto, perché la raccolta differenziata è un valore ambientale a cui dobbiamo tendere, credo però che nelle programmazioni che si stanno avviando questo risvolto debba essere ben chiaro; a mio parere la regione potrebbe intervenire per ristabilire la situazione attraverso lo strumento del tributo ambientale, che potrebbe esser utilizzato in maniera molto più incisiva. Innanzitutto esso deve essere portato ad un livello tale per cui lo smaltimento in discarica sia effettivamente disincentivato, bisogna inoltre conoscere i meccanismi che operano nell'ambito dei comuni affinché questo sia effettivo.
Per la mia attività conosco una serie di comuni i cui appalti alle ditte che forniscono servizi è comprensivo anche del costo dello smaltimento, per cui il comune scarica sul concessionario tutti costi ulteriori: è evidente che in questo modo non sarà mai disincentivato a smaltire in discarica i suoi rifiuti. Si tratta allora da un lato di aumentare questo tributo, dall'altro di fare in modo che esso sia pagato da chi deve essere disincentivato e che gli introiti siano utilizzati per intero per incentivare la raccolta differenziata, per esempio sostenendo il prezzo delle materie recuperate attraverso questa via. Ci sarebbero molte altre cose da dire, ma per ragioni di tempo mi fermo qui.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione di inchiesta. Do la parola per una brevissima replica al vicepresidente Gerardini.

FRANCO GERARDINI, Vicepresidente della Commissione di inchiesta. Se abbiamo fatto molte domande è perché la Commissione ha la necessità di ritornare a Roma sapendo che cosa dire al ministro per quanto riguarda eventuali aggiustamenti dell'ordinanza commissariale o al Parlamento per quanto riguarda eventuali modifiche della legislazione in materia di gestione dei rifiuti.
La richiesta da parte degli amministratori locali di tornare ad uno stato di ordinarietà della gestione del ciclo dei rifiuti è senz'altro legittima, bisogna però ricordare che se siamo ad una gestione commissariale è perché c'è una patologia in questa regione dovuta al fatto che proprio gli enti locali non hanno avuto la cultura della responsabilità in questo settore, perché avrebbero dovuto costruire piattaforme per la raccolta differenziata o discariche secondo le regole di legge, mentre si è privilegiato altro. La cultura della


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responsabilità investe anche le imprese nel momento in cui non hanno internalizzato i costi ambientali delle attività di produzione. Oggi hanno bisogno di crescere entrambi, sia il sistema delle imprese private sia quello degli enti pubblici. Bisogna guardare questa nuova normativa come opportunità per entrambi ed in questo senso dobbiamo fare tutti gli sforzi possibili.
Riallacciandomi all'ultimo intervento, vorrei osservare che è vero che si pone anche un problema di risorse, ma a questo proposito credo ci siano due importanti novità. Da un lato si deve cogliere l'occasione dei fondi strutturali dell'Unione europea, anche per trovare in quell'ambito delle finalizzazioni ambientali corpose; dall'altro voglio ricordare che sono stati proprio i comuni a chiedere il rinvio dell'entrata in vigore del sistema tariffario, perché la tariffa impone un impatto economico sull'utenza abbastanza elevato. L'attuale tassa per lo smaltimento, infatti, copre appena il 70 per cento dei costi complessivi della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, mentre la tariffa impone la copertura globale dei costi, da qui l'esosità dell'entrata in vigore del nuovo regime. Si tratta di implementare gradualmente i criteri di tariffazione di questo servizio di gestione dei rifiuti e anche di questo si sta discutendo nell'ambito delle modifiche del «decreto Ronchi», per aiutare il sistema pubblico e quello delle imprese ad entrare gradualmente in un obiettivo di aziendalizzazione del servizio.
Per quanto riguarda il mercato dei materiali recuperati, è vero che ci sono stati dei problemi, però la logica del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 era quella dello smaltimento, mentre quella del «decreto Ronchi» è la logica della gestione. Il consorzio nazionale degli imballaggi proprio nel corso dell'ultima manifestazione, « Italia ricicla », ha affermato con chiarezza che il sistema industriale è in grado di assorbire e trattare tutto il materiale proveniente da raccolta differenziata, quindi è sorto un problema di interconnessione delle varie strutture esistenti sul territorio. Ricordo che il CONAI ha un milione e quattrocentomila iscritti e rappresenta proprio la categoria degli industriali.
Con la modifica al «decreto Ronchi» stiamo introducendo anche l'istituzione delle borse telematiche per i materiali che provengono da raccolta differenziata, proprio per creare un mercato dei materiali recuperati da avviare al riciclaggio. Tutta questa serie di iniziative credo aiuterà un po' tutti ad uscire dall'emergenza in tempi più brevi e fornirà maggiori strumenti anche di carattere legislativo agli operatori per meglio stare sul mercato, come giustamente si chiede, anche nell'ambito dei citati ATO, per i quali deve essere sempre garantito un giusto rapporto tra pubblico e privato.

Il Seminario, sospeso alle ore 13.45, riprende alle ore 14.45.

Indirizzo di saluto.

MARCELLO VERNOLA, Presidente della Giunta provinciale di Bari. Desidero innanzitutto ringraziare la Commissione parlamentare d'inchiesta per aver voluto organizzare questo seminario presso la


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sede della nostra amministrazione provinciale in un momento estremamente delicato per la vita della nostra comunità provinciale e regionale.
Rivesto da qualche mese anche il ruolo di presidente dell'Unione province pugliesi ed in quella sede, con gli altri colleghi presidente, stiamo da tempo seguendo e dibattendo il tema dell'emergenza rifiuti. Abbiamo seguito con estrema attenzione lo svolgersi della gestione commissariale; non vi nascondo che le amministrazioni provinciali puntano al superamento, nei tempi più brevi possibili, della fase dell'emergenza. I ritardi che sono stati accumulati sono notevoli ed hanno purtroppo visto le amministrazioni provinciali, per assurdo, in una posizione di terzietà rispetto all'attuazione del «decreto Ronchi» e quindi rispetto al superamento dello stato d'emergenza. Soprattutto la vecchia ordinanza sull'emergenza rifiuti prevedeva, per assurdo, un ruolo molto equivoco per le amministrazioni provinciali. Parlava di collaborazione con l'organo commissariale. La provincia era richiamata più volte nelle funzioni di collaborazione con l'organo commissariale.
Questa collaborazione si è poi tradotta sostanzialmente in mere comunicazioni di rito dall'organo commissariale alle amministrazioni provinciali. Di tanto in tanto ricevevamo, per conoscenza, la comunicazione delle convocazioni che faceva l'organo commissariale, altre volte venivamo invitati al tavolo per dare un contributo di idee. Quindi una collaborazione che di fatto non ha agevolato, né consentito alle amministrazioni provinciali l'opportunità, attraverso la fase dell'emergenza, di attrezzarsi per il ritorno alla gestione ordinaria. Non nascondiamoci che abbiamo amministrazioni provinciali scarsamente attrezzate in termini di risorse umane e know how per la gestione del «decreto Ronchi»; ancora peggio siamo per quanto riguarda le amministrazioni comunali. Il ruolo delle amministrazioni provinciali dovrebbe essere, alla luce delle funzioni attribuiteci dalla legge n. 265, quello di promuovere e coordinare lo sviluppo economico e sociale del territorio e quindi assistere le amministrazioni comunali e andare oltre i poteri autorizzatori conferiti alle amministrazioni provinciali nelle fase di gestione ordinaria.
Ovviamente abbiamo fatto delle prime sperimentazioni; voglio ricordare in proposito i lavori di bonifica, con fondi POP, che la nostra amministrazione provinciale ha cofinanziato, per la bonifica di due siti inquinati, quello di Trani (la progettazione è stata eseguita direttamente dalla provincia e le opere sono state eseguite avvalendoci dell'azienda municipalizzata di Trani) per 2,5 miliardi circa e quello di Barletta, un intervento di circa 3 miliardi sulla ex discarica comunale (anche in quel caso la progettazione è stata fatta da noi e l'esecuzione delle opere è stata affidata al comune).
Il tema della bonifica dei siti inquinati è al centro della nostra attenzione. Nel bilancio di previsione per il 2000, in sede di approvazione proprio in questi giorni, abbiamo previsto la costituzione di un ufficio bonifica dei siti inquinati, soprattutto per perseguire l'obiettivo della certificazione delle bonifiche avvenute su siti inquinati, in attuazione del decreto legislativo n. 22 del 1997, e


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inoltre un censimento di tutti i siti inquinati, ai sensi dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915, cercando di verificare la situazione delle discariche autorizzate con ordinanza dei sindaci e non controllate, per fronteggiare l'emergenza ambientale.
Sul nostro territorio provinciale si è realizzata in particolare un'ottima collaborazione con il prefetto di Bari che aveva il compito di assicurare la titolarità e la gestione pubblica delle discariche per il superamento dell'emergenza. Insieme con il prefetto abbiamo promosso tavoli di confronto con tutti i comuni ricadenti nei cinque bacini della nostra provincia. Abbiamo lavorato alla possibilità di costituzione di cinque consorzi intercomunali di bacino che potessero non solo assicurare la titolarità pubblica, la gestione pubblica delle discariche d'emergenza, ma anche organizzarsi per l'attuazione piena del ciclo integrato dei rifiuti, per l'attuazione piena del decreto «Ronchi». Abbiamo trovato notevolissime difficoltà per le resistenze di campanile dei singoli comuni.
Dieci comuni da mettere insieme c'erano, ma le difficoltà erano oggettive, perché si scontrava, da un lato, l'esigenza dei comuni che storicamente avevano ospitato delle discariche di vedersi riconosciuto il danno ambientale, il disagio ambientale subito negli anni e quello che ancora si preparavano a subire, e, dall'altro, l'esigenza dei comuni che si preparavano ad ospitare impianti per la raccolta differenziata, impianti singoli rispetto ai quali rischiavano di perdere la titolarità diretta in sede di organizzazione del consorzio o della società mista.
Di qui, dicevo, guerre di campanile fatte in buona fede perché nel nostro territorio non esistono ancora esperienza di cooperazione tra i comuni nella gestione di servizi pubblici locali. Basti ricordare che nella nostra regione nel settore dell'acqua siamo ancora senza l'autorità di ambito; la regione Puglia ha approvato la legge di costituzione dell'autorità di ambito e a distanza di sei anni dalla legge Galli non è stato ancora approvato lo schema di convenzione per la costituzione dell'autorità di ambito; così anche nei rifiuti; nessuna opportunità di cooperazione, come nel gas o nel trasporto pubblico; nelle nostre autonomie locali siamo lontani dalla cultura della cooperazione fra enti locali e devo dire ahimè che siamo anche molto lontani dalla sperimentazione operativa della sinergia fra pubblico e privato nelle cosiddette società miste. Un dato per tutti: sono sorte alcune di queste società ma nella maggior parte dei casi sono rimaste a capitale interamente pubblico; in alcuni casi, dove il privato è entrato, sono in corso indagini penali da parte della magistratura, in altri casi sono rimaste «imballate» a causa dei ricorsi che i privati soci o quelli che non sono riusciti a diventare soci hanno attivato. Quasi sempre si tratta di società miste promosse da un singolo ente locale; non troviamo mai società miste operanti su iniziativa di più enti locali. Questo in tutti i campi, in tutti i servizi pubblici locali.
Questa riflessione, quindi, è necessaria ed essa va fatta con una certa attenzione. Leggevo il testo della nuova ordinanza del ministro dell'interno che prevede la costituzione di una società mista per ogni ambito, promossa dalla provincia. Mi auguro sia questa la soluzione, perché è probabile che facendo un'unica società mista per ogni provincia si riescano a rompere le logiche di campanile. Pensate


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quanto siamo lontani, addirittura culturalmente, dalla possibilità di promuovere società miste a prevalente capitale privato, quelle disciplinate dall'articolo 12 dalla legge n. 498 del 1992 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 533 del 1996, cioè quelle società miste in cui l'ente locale promotore individua con gare il socio privato e riesce ad esercitare il controllo pur detenendo soltanto il 20 per cento del capitale sociale. Le poche esperienze tentate nel territorio pugliese sono finite tutte drammaticamente a vuoto. E cioè innegabile il dato che il prefetto di Bari ha in più sedi sottolineato: la forza economica degli imprenditori privati che operano nel settore delle public utilities è schiacciante rispetto alla capacità di autodeterminazione delle piccole autonomie locali.
Rispetto a tale situazione, la cooperazione fra enti locali, promossa e coordinata dalle province, è l'unica soluzione che ci consente di attuare il ciclo integrato dei rifiuti rompendo gli schemi preordinati da poteri economici legittimi, ma che hanno interesse a consolidare ciò che già hanno e non a misurarsi sul mercato con nuova imprenditoria, cosa che invece va auspicata perché la stessa ordinanza del ministro dell'interno possa essere un'opportunità, perché attorno ad una esperienza di cooperazione di più enti locali nel quadro di un unico ambito ottimale per la gestione dei rifiuti, è chiaro che a fronte di un'unica e grande società mista l'indotto che ne matura è notevole; può nascere nuova imprenditoria nel settore e quindi nuova occupazione. L'attuazione piena del «decreto Ronchi» produce nuova imprenditoria; parliamo di nuovi comparti produttivi che vanno a sposarsi con una logica di tutela e valorizzazione dell'ambiente che è in atto nella nostra regione; penso soprattutto alle circa 30 aree protette che stiamo per varare sul nostro territorio regionale; soltanto nella provincia di Bari ne stiamo progettando 6, oltre al parco dell'Alta Murgia; aree protette su cui dovranno poi nascere società di gestione e quindi un sistema di ecoindustria, ecoimprenditoria teso a valorizzare al massimo l'ambiente ai fini dello sviluppo economico e sociale.
Il monitoraggio è oggettivamente essenziale. L'azione di controllo deve essere svolta in termini di massimo impegno. In quasi tutte le province operano nuclei di tutela ambientale, anche se molto spesso scarsamente attrezzati. Pensate che nella nostra provincia ho rilevato un nucleo di tutela ambientale con non oltre una dozzina di elementi. Invece il controllo del territorio ai fini della tutela ambientale è estremamente prezioso e proprio per questo stiamo promuovendo la realizzazione nella nostra provincia - ma l'iniziativa sta veicolando anche nelle altre amministrazioni provinciali - di un corpo unico di guardie provinciali, attraverso la fusione dei tre nuclei che abbiamo attualmente (guardie venatorie, guardie ittico-ambientali e nucelo di tutela ambientale), che ci possa consentire, in piena sinergia con l'arma dei carabinieri e la questura, attraverso il coordinamento del prefetto nel comitato provinciale nell'ordine pubblico e della sicurezza, un continuo e costante presidio del territorio provinciale per arginare innanzitutto il fenomeno delle discariche abusive. Penso soprattutto alle discariche degli inerti che sono estremamente diffuse nel nostro territorio pieno di cave (il Parco dell'Alta Murgia serve


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anche a limitare questo fenomeno), ma anche all'altro pericolosissimo fenomeno, arginato grazie all'ordinanza del ministro dell'interno, dell'importazione sul nostro territorio regionale di rifiuti extra regione, autorizzati e non, perché è innegabile che il fenomeno continua.
A questo fine la nascita del corpo delle guardie provinciali, che eserciti un controllo attraverso la rete stradale provinciale, in collegamento funzionale con il corpo dei vigili urbani dei singoli comuni ricadenti sul territorio provinciale, in piena sinergia anche ai fini del pronto intervento con le forze dell'ordine, può essere una soluzione che ci consente di lavorare insieme per arginare questi fenomeni di ecomafia, perché tali sono, di abusivismo nell'esercizio di discariche non autorizzate o di importazione non autorizzata di rifiuti extra regionali, molto spesso rifiuti tossico-nocivi, come dimostrano i rinvenimenti sempre più frequenti.
Ringrazio nuovamente la Commissione e auguro un buon prosieguo dei lavori.

Quarta sessione: I risvolti criminali dell'emergenza.

RAFFAELE GORGONI, Cronista della RAI, T3-Puglia. La quarta sessione riguarda i risvolti criminali dell'emergenza. Sappiamo tutti che la Puglia, non da oggi ma da almeno un quindicennio, è diventata una zona in cui il fenomeno mafioso ha mostrato una forte pervasività, soprattutto in alcune aree in cui il controllo mafioso del territorio è stato forte ed in cui lo Stato non ha ancora ripreso completamente il suo controllo, il suo dominio.
Faccio il giornalista e ho visto come in questi ultimissimi giorni abbiamo tutti dato peso ad un evento come quello del contrabbando di sigarette, anche per il drammatico episodio che ha visto la morte di due finanzieri. Immagino però che tutti noi sappiamo che si è trattato di una sovraesposizione mediatica occasionale di un fenomeno che invece viene vissuto in buona parte di questa regione da moltissimi anni e che forse è una delle attestazioni di come il territorio possa finire nelle mani di organizzazioni criminali e mafiose. Penso anche alle mappe territoriali della mafia pugliese con vaste plaghe dell'entroterra brindisino, del nord della provincia di Lecce, di alcune aree del foggiano, dove effettivamente il controllo mafioso del territorio è estremamente pesante. Penso anche alla ripresa molto forte del fenomeno estorsivo in buona parte delle aree salentine. Tutto questo naturalmente significa anche complicità offerte o imposte, omertà offerte e imposte. Pensate soltanto, nel caso del contrabbando di sigarette, a quanto sia labile il limite tra il contadino che è costretto ad ospitare nel suo terreno i depositi delle sigarette e quello che compartecipa agli utili di questa impresa; tracciare questi confini è sempre molto difficile.
Perdita di controllo di parte di un territorio che, come diceva prima il presidente Vernola, è assai complesso ed articolato fatto di zone pianeggianti e di fondi rustici in cui è possibile non solo nascondere le sigarette, ma scaricare qualsiasi cosa. Le cronache sono state piene di vicende di questo genere, mentre più di rado si è


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riusciti a ricostruire i percorsi che hanno portato dalla condizione di cosca criminale a fenomeni di riciclaggio, fenomeni di riutilizzo imprenditoriale di proventi mafiosi. Questo è stato possibile solo in parte anche perché una serie di eventi giudiziari, l'azione di contrasto ed anche proprio una geopolitica delle mafie hanno poi in qualche modo marginalizzato e in parte buttato fuori, almeno dai grandi traffici di eroina, cocaina e altre droghe pesanti, la mafia pugliese, mentre è rimasto il grande bubbone del contrabbando delle sigarette.
I primi due interventi di questo pomeriggio saranno quelli di Riccardo Di Bitonto, procuratore della Repubblica di Bari, e di Giovanni Giorgio, sostituto procuratore presso la direzione distrettuale di antimafia di Bari, entrambi - mi piace ricordarlo - magistrati in una procura che tra le prime si è dovuta porre un compito abbastanza insolito, quello di occuparsi molto anche di diritto internazionale nel senso che improvvisamente si è trovata a scoprire che la sua giurisdizione non de jure ma de facto travalicava il canale di Otranto, l'Adriatico ed aveva bisogno di interloquire con altre magistrature, altre istituzioni, altri Stati addirittura. Questo dato mi pare particolarmente significativo perché indica chiaramente il livello di complessità, di articolazione che la magistratura e le forze dell'ordine debbono affrontare in questo contesto.
Iniziamo dunque il confronto con l'intervento del sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Bari, Giovanni Giorgio.

GIOVANNI GIORGIO, Sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Bari. Ringrazio innanzitutto la Commissione per l'invito rivoltomi a partecipare a quest'incontro. Nel mio intervento, nella qualità che è stata specificata da Gorgoni, intendo rapidamente informarvi sulla situazione esistente nel distretto della Corte d'appello di Bari, che comprende i circondari di Bari, Trani e Foggia a proposito dei reati ambientali ascrivibili ad esponenti della criminalità organizzata.
Nel distretto di Bari un collaboratore di giustizia ha ammesso di avere alla fine degli anni Ottanta proceduto allo smaltimento di rifiuti speciali mediante interramento abusivo a seguito di accordo raggiunto con esponenti della criminalità organizzata napoletana. Le propalazioni del pentito hanno trovato un obiettivo riscontro esterno in quanto sono stati rinvenuti i rifiuti illecitamente smaltiti. Il collaboratore in questione, per la cronaca Salvatore Anacondia, puntualizzò che non ritenne di persistere in questa attività, e quindi allo smaltimento abusivo di rifiuti di origine industriale che pure gli era stato proposto, poiché a suo parere non gli fu prospettata un'adeguata convenienza economica. La competente procura di Trani ha poi disposto il rinvio a giudizio dei responsabili dell'abusivo e per la verità unico smaltimento accertato nel caso di specie ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1992.
Di recente invece si è potuto accertare che un'organizzazione albanese, qui difendo l'accenno fatto prima da Gorgoni purtroppo, specializzata nel traffico di eroina dall'Albania alla Puglia, si è servita strumentalmente della esportazione di materie prime seconde o di


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scarti produttivi, non ha importanza individuare l'esatta definizione (si trattava di filati) in partenza dalla Puglia per l'Albania a beneficio dei propri traffici. Il sistema era ingegnoso ed è stato scoperto dopo meticolose indagini effettuate dalla direzione investigativa antimafia di Bari; in sostanza, a Durazzo, a mezzo traghetto venivano periodicamente spediti rimorchi vuoti con la giustificazione che gli stessi avrebbero dovuto poi essere rispediti in Albania pieni di filati o di altre merci sempre a mezzo traghetto. In realtà all'interno della carrozzeria del rimorchio erano abilmente occultati notevoli quantitativi di eroina che venivano estratti da un esperto che veniva appositamente dall'Albania in Italia con aereo per non destare sospetti. La droga una volta estratta veniva avviata allo smercio sull'intero territorio nazionale. Lo svuotamento veniva effettuato presso un autoparco della zona industriale di Bari, ove il rimorchio veniva ogni volta appositamente trasportato da autisti che a loro volta venivano appositamente dall'Albania con il traghetto, ma ovviamente effettuando viaggi distinti da quelli dei mezzi.
È stato anche possibile accertare che nel viaggio di ritorno di questi rimorchi i filati avevano la funzione di copertura in senso fisico rispetto alla spedizione nel Paese delle Aquile di autovetture di grossa cilindrata, Mercedes per la precisione, nascoste abilmente sotto uno strato di filati; alla fine delle indagini è stato possibile scoprire, in occasione di uno di questi trasporti, 38 chili di eroina appena estratti dai lungheroni del rimorchio.
L'ingegnoso sistema di trasporto è agevolato anche da fatto che sino a due anni fa tendenzialmente presso gli uffici della dogana non si ispezionavano con accuratezza rimorchi provenienti dall'Albania del tutto vuoti, a differenza di quanto accade oggi. Allora l'attenzione si soffermava sui camion pieni, che si presumeva potessero occultare carichi di natura illecita. La vicenda credo costituisca eloquente testimonianza della sofisticata ingegnosità della criminalità organizzata albanese.
Rimane aperto il problema della propensione alla commissione di reati contro il patrimonio - ricettazione e riciclaggio di automezzi di provenienza furtiva - dei gestori degli impianti di autodemolizione, più di una volta per la verità con fedine penali non proprio limpide. Questo fenomeno è particolarmente inquietante nella zona di Cerignola, dove pluripregiudicati gravati da significative pendenze giudiziarie continuano a gestire impianti indisturbati, approfittando anche della notoria lentezza della macchina giudiziaria, con grave pregiudizio, credo, della credibilità delle istituzioni in un contesto di fatto di sostanziale deregulation amministrativa. Non si segnalano invece significative contiguità tra gestori di impianti di autodemolizione ed esercenti l'attività di contrabbando di tabacco lavorato estero.
Quanto alle prospettive dell'azione giudiziaria, la recente riforma in tema di giudice unico, con la soppressione della procura circondariale e l'istituzione conseguente di un unico ufficio della Procura, può tornare utile per un'adeguata repressione dei reati ambientali eventualmente posti in essere da esponenti della criminalità organizzata. Infatti la circolazione delle informazioni all'interno


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di un unico ufficio requirente per di più se organizzato in pool specializzati per materia dovrebbe ora essere più facile. In sostanza l'ufficio della direzione distrettuale antimafia potrebbe ora trovare un raccordo operativo più facile con i pubblici ministeri addetti alla trattazione dei reati ambientali. Questi ultimi infatti, a differenza di quanto accadeva nel passato, prima della riforma, non sono o non saranno come accade tuttora a Bari più dislocati in ufficio, quello della procura circondariale anche fisicamente diverso, la qualcosa portava ad una negativa separatezza degli interventi dei due uffici scollegati fra loro, come giustamente osservò il procuratore Di Bitonto nel corso del Forum svoltosi a Napoli 26 febbraio dell'anno scorso sempre organizzato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo di rifiuti. Al momento per la verità la riforma è in fase di rodaggio, in prospettiva però le cose dovrebbero migliorare o quantomeno occorre impegnarsi tutti al fine di garantire l'efficienza dell'azione repressiva penale fondamentale per dare credibilità alle pubbliche istituzioni delle regioni meridionali.
Grazie dell'attenzione.

RAFFAELE GORGONI, Cronista della RAI, T3-Puglia. Grazie al dottor Giorgio, il quale ha citato il caso di uno forse dei più importanti collaboratori di giustizia della mafia che abbia avuto la Puglia, Salvatore Anacondia, che riferiva di uno specifico episodio. Ora nel dare la parola al dottor Di Bitonto vorrei porgli una domanda: noi cronisti non abbiamo avuto la sensazione che, per esempio, organizzazioni come la Sacra corona unita avessero avuto il tempo di crescere fino al punto da formarsi come imprese e uscire in qualche modo da una condizione di clandestinità verso una dimensione tale da consentirgli di entrare in un business peraltro a bassa intensità di capitale per addetto come quello dei rifiuti. È un'impressione da cronista o c'è della sostanza in questo?

RICCARDO DI BITONTO, Procuratore della Repubblica di Bari. Prima di rispondere alla sua domanda, desidero innanzitutto ringraziare il presidente Scalia e la Commissione per l'attenzione prestata a queste problematiche. Il 26 febbraio sono stato a Napoli dove ho potuto constatare il successo dell'iniziativa parlamentare. In quell'occasione mi sono trovato in una situazione abbastanza delicata perché dovevo parlare della Puglia e di un tema del quale non siamo in grado di stabilire i netti contorni e che si lega certamente alla criminalità organizzata.
La criminalità organizzata nella società contemporanea richiede un salto di qualità ed un'attenzione culturale a cui i soggetti istituzionali, compresi i magistrati, non sono ancora abituati. Tale criminalità, qualunque siano l'oggetto (sigarette, rifiuti, sostanze stupefacenti, armi, immigrazione, trasporto di vite umane) e la nazionalità ha un minimo comune denominatore: l'attenzione ai flussi finanziari. La delinquenza organizzata che oggi spaventa i paesi europei è quella specificamente chiamata «criminalità economica». E il trasporto dei rifiuti è un business, è un flusso finanziario. Il contrabbando di sigarette ci spaventa non per le sigarette ma per i


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flussi finanziari che partono dal Montenegro, attraversano la Grecia, toccano la Puglia e finiscono in Inghilterra. Proprio ieri, per il contrabbando di sigarette, i più alti esponenti della dogana americana e della polizia europea sono venuti a Bari non certo per fare la lotta alle multinazionali del tabacco per le conseguenze deleterie del fumo sulla salute umana come accade negli Stati Uniti, ma per questa preoccupazione esasperata sui flussi finanziari che sono straripanti e destabilizzanti.
Vi sono paesi democratici (vedi il Montenegro o l'Albania) destabilizzati da questa delinquenza organizzata. Il nostro paese nel dirigere i flussi finanziari verso l'Albania e il Montenegro per stabilizzarli democraticamente e mantenerli nell'alveo dei paesi occidentali, dimentica che se tali flussi non sono controllati provocano un ritorno impietoso e grottesco, nel senso che servono a finanziare la delinquenza organizzata, a renderla ancora più aggressiva e straripante.
Mi piace leggere la parte della relazione del vicepresidente Gerardini che riguarda la delinquenza organizzata. Forse io non sarei riuscito ad esprimere in maniera così sintetica e incisiva il concetto della cultura di ciascuno di noi, nel senso che il problema è ormai assorbito nel circolo sanguigno del Parlamento, dei cittadini e, spero, del Governo. Mentre sono tranquillo sul fatto che le istituzioni parlamentari rispondano a questa esigenza improcrastinabile, non lo sono sul fatto che riusciamo a cogliere la stessa sensibilità nelle istituzioni governative.
La storia della «Puglia a rischio» non l'abbiamo inventata noi, tanto che una legge del 1991 istituisce le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti in Puglia e in Campania, e dichiara che queste regioni sono a rischio criminale. Dal 1991 ad oggi abbiamo continuato ad impegnare i nostri flussi finanziari ma non ci si è resi conto che il problema precipuo è la verifica.
Come dicevo, sono rimasto veramente impressionato dalle parole del vicepresidente riferite alle attività imprenditoriali poco raccomandabili che si stanno riversando in Puglia e nelle regioni del Mezzogiorno. Egli afferma che «Non è un caso se si assiste - intorno agli smaltimenti illeciti - a fenomeni quasi paradossali: clan in guerra, per quanto riguarda il traffico di stupefacenti, il contrabbando o il controllo degli appalti, sono pronti a sotterrare l'ascia di guerra e a scambiarsi favori nel ciclo dei rifiuti. Quando una zona è sovraesposta, è sufficiente assicurare ad un altro clan una parte dei guadagni e ci si sposta di qualche chilometro con la certezza di non uscire dal business». Questa è una radiografia precisa.
Stamane ho sentito anche il prefetto Mazzitelli, persona più esperta di chi vi parla e che è anche coordinatore dei prefetti pugliesi per quanto si riferisce alla sicurezza e all'ordine pubblico. Abbiamo quindi un termometro e un osservatorio della situazione generale pugliese quanto mai accorto. Egli, quando ha parlato di oligopolio e ha ritenuto di poter scrivere una pagina d'intesa per cercare di risolvere un problema che ancora oggi non è risolubile, ha affermato che nella situazione attuale vi sono grosse occasioni. Non abbiamo


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strumenti giudiziari tali da poterle evidenziare ed in proposito chiedo al presidente, se lo riterrà opportuno, di disporre l'audizione dei procuratori distrettuali delle regioni del Mezzogiorno.
Oggi parlo in chiave generale, nell'ambito di un incontro pubblico; diversamente io e gli altri colleghi che si interessano di delinquenza organizzata nel Mezzogiorno forse potremmo essere più precisi e porre all'attenzione della Commissione parlamentare problemi che coordinati tra di loro sarebbero utili per la relazione finale che sarà predisposta. Dico questo perché il problema è politico e non ci sono strutture giudiziarie o forze di polizia, per quanto capaci e pronte a scendere in campo, in grado di affrontarlo. Ripeto: si tratta di un problema politico che investe il nostro paese e i paesi europei.
Se vi sono istituzioni parlamentari similari negli altri paesi, sarebbe utile far loro capire la storia dei rifiuti, almeno di quelli che possono impunemente percorrere in nome della libera circolazione (trattato di Schengen) tutti i paesi europei. Nessuno pretende di porre dei limiti, ma certamente qualcosa bisogna fare.
Il mio ufficio, dal 1997, ai fini di una lotta più efficace contro la delinquenza organizzata, ha sostenuto che fosse necessario l'accesso delle strutture giudiziarie al SIS (sistema informatico Schengen). In Europa, è consentito ai ministri dell'interno e alle forze di polizia da loro dipendenti l'accesso a tale sistema, ma non lo è alla Guardia di finanza, all'Arma dei carabinieri, alla magistratura. Questa è una scelta politica che non si addebita al Governo italiano e risale a molti anni addietro, cioè a quando abbiamo cominciato a pensare al trattato di Schengen.
Il presidente Scalia, in una precedente occasione, ha parlato delle navi che scompaiono e che, oltre alla truffa alle assicurazioni, possono portare con sé i rifiuti e ha sottolineato i risultati di talune indagini giudiziarie e la necessità di un intervento statuale. È vero che il pubblico ministero può richiedere dati alla polizia di Stato, ma è anche vero che la lettura attuale e immediata è fatta soltanto dall'organo giudiziario.
In questi ultimi anni non soltanto il mio ufficio si è rivolto al Comitato di controllo sull'attuazione e il funzionamento della convenzione di Schengen e all'onorevole Evangelisti, ma lo ha fatto anche la Commissione parlamentare antimafia e il Consiglio superiore che è sceso in campo per sostenere la necessità di tale accesso. La lotta ai traffici illeciti internazionali (vedi i rifiuti) si può portare avanti solo attraverso una risposta tecnologica adeguata ai tempi.
Il nostro paese non è ancora riuscito a creare e a coordinare gli organi di polizia che hanno competenze così estese che destreggiarsi nella legislazione tumultuante e a singhiozzo è particolarmente difficile. Sono necessarie capacità di resistenza e fede nello Stato e nella democrazia, perché non abbiamo un coordinamento. Come diceva il collega Giorgio, con il giudice unico abbiamo ottenuto l'unificazione degli uffici giudiziari. La procura distrettuale di Bari che comprende i tribunali di Bari, Trani, Foggia e Lucera è competente per quasi due terzi del territorio della regione per cui una certa unità d'intervento sarà possibile. Però, non abbiamo ancora risolto il problema principe della professionalità, nel senso che


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abbiamo bisogno di personale tecnico, di mezzi e di investimenti. Dobbiamo investire, fare tutto il possibile e trovare tutte le risposte. Negli Stati Uniti, ai flussi finanziari illeciti si risponde in modo adeguato attraverso il controllo fiscale. Dobbiamo renderci conto che possiamo raggiungere le società fantasma e i prestanome attraverso un controllo finanziario esasperato e una Guardia di finanza sempre più agguerrita.
Sono presidente di una commissione tributaria e non ho mai visto fare un accertamento su una società che si interessa di rifiuti, nonostante la possibilità di truffa che si incontra ad ogni angolo di strada.
Le procure distrettuali e la procura nazionale antimafia dispongono di sistemi informatici avanzatissimi, all'avanguardia in Europa. In particolare a Bari la direzione distrettuale ha strumentazioni che non possiedono né la Polizia, né i Carabinieri né la Guardia di finanza che raccoglie tutti i dati dei fascicoli processuali riferiti alla delinquenza organizzata. Se questi dati fossero inseriti in quelle strutture, saremmo in grado di mettere un punto fermo su qualunque nave, treno o autotreno.
Da questo punto di vista, il Parlamento dovrebbe provocare l'interesse sulla tematica. Nessuno pretende di far apparire il mondo come se fosse fatto di delinquenza organizzata, però dobbiamo comprendere che quello che oggi veramente scuote la stabilità di un paese è la criminalità economica e ciò significa reati associativi, che debbono essere perseguiti.
La Commissione, quando ascolterà i procuratori distrettuali, comprenderà il risultato che si può ottenere con un'attività di coordinamento e si renderà conto dello spessore del fenomeno. È mirabile l'attenzione della Commissione parlamentare ed è straordinario l'impegno degli organi di polizia; i prefetti ce la mettono tutta e cercano di risolvere le problematiche a livello dei dissidi profondi del sistema, perché è difficile conciliare il pubblico con il privato. Occorre fare una scelta, anche se non definitiva. Diversamente, in questa conflittualità permanente, scenderanno in campo i giudici amministrativi e si ripeteranno le tensioni di cui si è parlato tra comuni e imprenditori privati che a volte sono in grado di influire addirittura sul consenso politico.
Signor presidente, la situazione è veramente difficile e rappresenta un problema nazionale. Una settimana fa mi sono rivolto al ministro dell'interno e ho fatto la seguente considerazione: «Il contrabbando non è più un problema della provincia di Brindisi, non è più un problema della regione Puglia, ma è diventato un problema nazionale. Vuole riunire il comitato per la sicurezza e l'ordine pubblico? E mi vuol far capire che i soggetti governativi considerano il contrabbando non soltanto un episodio giudiziario ma soprattutto un problema di sicurezza nazionale?».
Per quanto riguarda i rifiuti, quando avremo verificato lo spessore del fenomeno, se non mettiamo d'accordo i vertici delle polizie e il ministro dell'interno... Presidente Scalia, onorevole Commissione, chi dirige i fili di un paese democratico è sempre il ministro dell'interno, per cui occorre sensibilizzarlo in direzione di una cultura ancora lontana.


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Si parla dei magistrati, ed io devo dire che sono presuntuosi, però conoscono la realtà da un osservatorio molto più attuale, colgono l'esperienza dei Carabinieri, della Guardia di finanza, della Polizia di Stato, sentono i prefetti, hanno un osservatorio ampio ed affidabile. E qui viene un mio modesto suggerimento: la Commissione dovrebbe studiare tutte le formule per quantificare il fenomeno, per far capire che si tratta di un grosso fenomeno politico e che le strutture giudiziarie da sole non potranno risolverlo. Anche questo è un settore che riguarda la criminalità organizzata che può occuparsi di contrabbando, di sostanze stupefacenti, di trasporto dei rifiuti.

RAFFAELE GORGONI, Cronista della RAI T-3 Puglia. Ringrazio il procuratore di Bitonto per il suo intervento tutt'altro che formale e particolarmente sentito che ci ha indicato lo spessore e la rilevanza del fenomeno criminale. Il mio ringraziamento è sincero anche perché il suo intervento deriva dall'esperienza maturata sul campo, forse uno dei più difficili in una delle poche procure costrette ad avere una proiezione internazionale.

Tavola rotonda.

RAFFAELE GORGONI, Cronista della RAI T-3 Puglia. Passiamo ora ad una serie di interventi di ufficiali di polizia giudiziaria e delle forze dell'ordine impegnati direttamente sul territorio. Do la parola al colonnello Centore dell'Arma dei carabinieri impegnato non da oggi in questo contesto particolarmente difficile, considerato che l'Arma per la sua struttura svolge un controllo capillare del territorio.

EDUARDO CENTORE, Colonnello dell'Arma dei carabinieri. Innanzitutto esprimo un saluto da parte del comandante della regione Carabinieri Puglia che qui rappresento.
Sulla complessa e affascinante materia della tutela dell'ambiente l'Arma dei carabinieri dà un importante contributo per la prevenzione e la repressione degli abusi, spendendo, con ragionata consapevolezza, non poche risorse della sua linea territoriale, ma anche impegnando un suo reparto settoriale di punta, il nucleo operativo ecologico.
Il fenomeno, oltre ad essersi manifestato con un tentativo di penetrazione da parte della criminalità organizzata nel 1996, racchiude le situazioni di corruzione diffusa, di imperizia, di mancanza di scrupoli e a volte di mancato controllo, che spesso invogliano chi è proiettato ad acquisire facili guadagni con la violazione delle regole. In sintesi, si tratta di una realtà complessa nella quale organizzazioni anche mafiose, talune società specializzate, imprenditori spregiudicati, amministratori locali a volte disinvolti operano autonomamente o in concorso provocando questo dissesto del territorio, con danno talvolta irreparabile.
L'esame dei dati statistici conferma come l'inquinamento nelle sue varie forme rappresenti una realtà anche in Puglia, nonostante l'attenzione crescente mostrata non solo dalle pubbliche autorità, ma anche dalla normativa conseguentemente introdotta e dall'accresciuta sensibilità dell'opinione pubblica.


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Dai numeri più significativi relativi agli accertamenti svolti dall'Arma nell'anno testé trascorso, si evince un trend in crescita per quanto riguarda le violazioni accertate che sono passate dalle 573 del 1998 alle 744 nel 1999, sulla scorta di quasi tremila ispezioni eseguite. Le persone denunciate nel 1999 sono state 583 con 42 sequestri effettuati per un valore complessivo di quasi 140 miliardi.
Non mi soffermo oltre sui dati che delineano una minaccia in grado di destare preoccupazione. Però credo che sia anche il caso di richiamare l'attenzione su un altro pericolo che forse, per certi versi, è da ritenere più dannoso perché più radicato e subdolamente sottile rispetto alla minaccia rappresentata da qualche organizzazione criminosa. Mi riferisco a ciò che ogni giorno furbescamente e incoscientemente uno, cento, mille soggetti pongono in essere sul territorio, con comportamenti magari dettati da piccole logiche economiche o di comodo, oppure dall'incuranza per la natura e per il prossimo, o da una gretta maleducazione, che comunque continuano a produrre inquinamento nelle nostre piazze, nel nostro mare, nelle nostre campagne. Uno, cento, mille piccoli inquinamenti che quasi sempre sfuggono alla repressione, ma che alla fine si sommano e diventano un'ulteriore minaccia.
Passando all'azione di contrasto, vorrei ricordare che abbiamo sentito dal presidente della provincia fare riferimento alle guardie provinciali. L'Italia è stata fra i primi in Europa ad avvertire la necessità di creare degli organismi specializzati per il contrasto al crimine ambientale e ha affidato all'Arma dei carabinieri la costituzione di un reparto a competenza esclusiva. Con la legge istitutiva del ministero dell'ambiente del 1986 ha preso vita il nostro reparto che prende il nome dall'attività specifica che svolge «nucleo operativo ecologico», posto alle dipendenze funzionali dello stesso ministro. Esso ha compiti di vigilanza, di repressione e di prevenzione delle violazioni. Il nucleo nel tempo ha visto aumentare la sua presenza nel territorio con sezioni in quasi tutte le regioni: l'ultima nata è quella della Basilicata che ha consentito anche alla sezione della Puglia di vedere sgravato il suo carico operativo a vantaggio di un maggiore convogliamento delle sue energie sul territorio. Essa opera in sinergia con l'Arma territoriale e ha sensori distribuiti in tutto il territorio, che le consentono non solo una visione unitaria ma anche la possibilità di intervenire con una rilevante connotazione di capillarità.

RAFFAELE GORGONI, Cronista della RAI T-3 Puglia. Ringrazio il colonnello Centore per il suo intervento.
Torniamo un momento su ciò che diceva il procuratore Di Bitonto: controllo del territorio da una parte e controllo fiscale e amministrativo dall'altra. È con noi il colonnello Renato Zito della Guardia di finanza. È inutile ricordare che fare il finanziere in questa regione forse è una delle esperienze più pesanti, nel senso che non è come farlo in Umbria o in Toscana, perché qui si combatte ogni giorno una battaglia nella quale a volte si muore o si rimane feriti, uno degli scontri più diretti che un corpo dello Stato sta sostenendo negli ultimi anni. Nello stesso tempo però la Guardia di finanza ha in mano


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un'altra chiave, quella cioè di un controllo che si fa in un'altra sede, affidato non al blindato ma al computer.

RENATO ZITO, Comandante del nucleo regionale di polizia tributaria. Porto il saluto del comandante regionale, generale Esposito, che doveva intervenire a questo convegno ma è stato trattenuto a Roma per altri impegni di servizio.
Ho predisposto una relazione per dare conto dell'attività che svolge globalmente la Guardia di finanza in questo settore. Però sono stato chiamato in causa dal procuratore Di Bitonto, il quale, nella sua veste di presidente di commissione tributaria, ha asserito che mai gli è capitato di doversi occupare di un accertamento fiscale operato nei confronti di società del settore dell'ecologia. In realtà, proprio lo scorso anno, il comando generale, nel recepire una direttiva del ministro delle finanze, il quale a sua volta aveva recepito un suggerimento del Secit, ha imposto a tutti i comandi operanti in Italia di inserire nella programmazione delle attività di verifica soggetti che operassero in determinati settori (imprese di smaltimento e trasporto rifiuti, movimento terra), o che fossero sospettati di appartenere ad organizzazioni di carattere mafioso, che avessero precedenti specifici per contrabbando, o che fossero stati riconosciuti colpevoli di reati contro la pubblica amministrazione. In questo contesto il nucleo regionale di polizia tributaria di Bari ed altri reparti della Puglia hanno inserito delle imprese operanti in questo settore. Quindi, è probabile che fra qualche anno nel contenzioso ci sarà qualcosa che ha a che fare con questo tipo di imprese. Questa è una prima attività che volevo sottolineare.
Ovviamente questo criterio direttivo è stato anche richiamato per la programmazione per il 2000 e quindi altre imprese quest'anno saranno soggette al controllo fiscale, che implica anche - se ritenuto opportuno - il controllo dei flussi finanziari, con accesso ai conti bancari. Come voi sapete, tale accesso può avvenire imboccando due strade: quella dell'autorità giudiziaria, qualora nel corso della verifica vengano accertate delle fattispecie di rilevanza penale, oppure seguendo il binario dell'autorizzazione del comandante regionale.
Un altro ritardo che in Italia stiamo scontando riguarda la famosa anagrafe dei conti, per cui se vogliamo effettuare un accertamento nei confronti di un soggetto e vogliamo estendere questa attività in ambito nazionale, dobbiamo scrivere a tutte le banche operanti sul territorio, attendere le risposte e, una volta individuati i conti, passarne l'acquisizione e innescare la procedura che prevede il contraddittorio con il contribuente e quant'altro.
Detto questo, passo ad evidenziare un altro aspetto che ha riguardato l'attività del mio reparto, il nucleo di polizia tributaria: mi riferisco all'attività svolta su richiesta della Corte dei conti, altro riferimento fatto dal procuratore distrettuale, dottor Di Bitonto.
In questi ultimi tempi il nucleo regionale ha ricevuto diverse attivazioni aventi oggetto diverso. L'indagine ha sempre riguardato società aggiudicatarie di appalti nel settore del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti. In un caso si trattava di accertare la quantità smaltita giornalmente dall'impresa, dal momento che erano stati


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segnalati degli abnormi incrementi di quantità a fronte di una popolazione stabile. Mentre invece in un altro caso l'indagine ha riguardato il complesso dell'efficienza del servizio di smaltimento rifiuti, quindi la verifica del personale impiegato nell'attività, il controllo sulla regolarità dell'esecuzione dell'appalto e l'acquisizione di altre notizie rilevanti. La mia esperienza è che negli ultimi tempi la Corte di conti, per i profili di danno erariale, comincia ad interessare la Guardia di finanza. Presso il mio reparto c'è una sezione che si occupa esclusivamente di indagini a richiesta dell'organo regionale.
La Guardia di finanza, come è a tutti noto, svolge la sua attività anche avvalendosi di un dispositivo aeronavale molto complesso e attrezzato; soprattutto la componente aerea consente di effettuare sorvoli sul mare e sul territorio in modo da rilevare situazioni di abusivismo che poi vengono segnalate agli organismi competenti. Eventualmente in un prossimo intervento potrei riepilogare i risultati conseguiti nella regione Puglia negli ultimi anni.

RAFFAELE GORGONI, Cronista della RAI T-3 Puglia. Il nuovo questore di Bari, dottor Franco Malvano, è giunto in questa città con un'esperienza siciliana, calabrese e campana. Mi ha colpito ciò che si è detto a proposito del fatto che in Campania si è giunti addirittura a scortare i camion della nettezza urbana. Sembra un compito drammatico per le forze dell'ordine ed io mi chiedo perché si sia arrivati a tanto.

FRANCO MALVANO, Questore di Bari. Ringrazio la Commissione per avermi dato questa occasione per farmi conoscere.
Nel mio intervento farò riferimento alla situazione attuale in Puglia relativamente alle eventuali infiltrazioni mafiose nel settore della gestione dei rifiuti.
Non credo che vi sia un sistematico controllo del territorio da parte della criminalità organizzata pugliese, né un impegno intenso su tutte le attività connesse con la gestione dei rifiuti, o quantomeno non in maniera così eclatante come si verifica in altre parti d'Italia.
Ho avuto esperienze di impatto forte con le organizzazioni mafiose, in particolare in Campania, a Napoli. Ricordo due episodi, il primo riguarda attentati ai danni degli automezzi che operavano la raccolta dei rifiuti solidi urbani perché un'impresa non aveva pagato la tangente alla camorra locale: vi sono stati spari contro gli automezzi; gli autisti sono stati fatti scendere e picchiati a sangue e sono state portate via le chiavi dei mezzi.
L'altro episodio l'ho vissuto più o meno sulla mia pelle. Tra le mie esperienze c'è quella di commissario prefettizio straordinario presso il comune di Marano, il cui consiglio comunale era stato sciolto per associazione mafiosa e la cui amministrazione comunale, in maniera molto disinvolta, aveva concesso l'appalto per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti ad un'impresa mafiosa. In quel caso conclusi il mio mandato con l'arresto di 54 persone, tra cui gli imprenditori che operavano smaltimento sulla base all'inizio di un contratto scritto irregolare e via via con autorizzazioni date verbalmente dagli amministratori e dal sindaco.


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Qui non mi sembra vi siano preoccupazioni di questo tipo (che erano fortissime in Campania e anche in Calabria, dove ho fatto il questore per sei anni, e in Sicilia dove ho operato negli anni '70): ciononostante conviene porre attenzione a questa problematica. È necessario svolgere un'attività investigativa intensa in collaborazione con la magistratura, a disposizione della quale pongo me stesso e la struttura che gerarchicamente dipende da me, ed in sintonia con le altre forze dell'ordine occorre esercitare un controllo del territorio teso a individuare il traffico dei mezzi che portano i rifiuti ed un controllo più assiduo presso le discariche. Sono attività sistematicamente svolte da altri organi, come il nucleo operativo ecologico dei carabinieri e la guardia di finanza, ma anche la polizia di Stato può dare il suo contributo.
Concludo portando un'altra esperienza a proposito di criminalità economica. In Calabria la mia attività ha portato al sequestro alle cosche mafiose di circa 1.300 miliardi in tre anni; anche questo è un aspetto che occorre approfondire; è opportuno quindi organizzare un ufficio che sia in grado di individuare le cosche mafiose e colpirle nei patrimoni, perché un intervento su questo terreno è molto più deflagrante che non l'arresto di persone che poi, usufruendo dei tanti rimedi che la legge consente, in poco tempo possono tornare in libertà.
In tema di collaborazione credo che anche questo corpo di polizia provinciale, di cui parlava il presidente Vernola, possa essere utile: qualunque occhio e qualunque divisa disposta a stare sulla strada ad annotare fatti situazioni può essere utile se c'è un impegno comune ad affrontare e risolvere il problema.

RAFFAELE GORGONI, Cronista della RAI T-3 Puglia. Al presidente Scalia, che è venuto in Puglia molte volte, non sarà sfuggito il fatto che in questa regione si parla molto di turismo, questo fa parte della ritualità del discorso politico pugliese, ma l'impressione del cronista è che questo discorso è tanto conclamato, ma di fatto vi sia una sostanziale ritrosia ad adottare politiche turistiche vere; nelle more però serpeggiano l'abusivismo, la deturpazione delle coste e via dicendo. In sostanza, il turismo non è mai stato considerato un investimento reale, che si fonda sulla tutela dell'ambiente e non sulla costruzione di seconde case sulle coste. La Puglia ha 800 chilometri di coste, sulle quali veglia all'ammiraglio Romiti, che è il coordinatore regionale delle Capitanerie di porto; su di esse si scaricano buona parte dei rifiuti e anche la stragrande maggioranza dei pozzi neri abusivi realizzati nei villaggi e delle seconde case abusive costruite lungo la costa; le spalle dell'ammiraglio Romiti sono larghissime, ma il compito è ingrato, considerato anche che sulle capitanerie di porto gravita una parte del fenomeno, non irrilevante alle nostre latitudini, dell'immigrazione clandestina e del soccorso in mare di un'umanità disperata e dolente che si riversa sulle nostre coste attraverso il canale d'Otranto.

NICOLA ARMANDO ROMITO, Coordinatore regionale delle Capitanerie di porto, Puglia. Colgo l'occasione per parlare dell'inquinamento


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tellurico che ha un effetto in mare a causa degli sversamenti dei pozzi neri o dei prodotti che le varie ditte, incaricate dai privati di pulire i pozzi neri, notte tempo scaricano dalle autobotti. La lotta che andiamo conducendo nei porti non è una novità, nasce da una sensibilità ecologica che viene da lontano perché il legislatore nel 1942 (quando fu promulgato il codice della navigazione) affidò a noi la difesa ad oltranza del mare, arrivando a vietare di gettare in mare qualsiasi materiale inerte. Con la legge sulla pesca, poi, il legislatore ha inventato una norma molto pesante, ottima dal mio punto di vista come deterrente: il divieto di gettare in mare qualsiasi sostanza estranea alla composizione naturale delle acque. Questo significa il divieto di gettare direttamente in mare perfino l'acqua proveniente dagli acquedotti in quanto contenente cloro.
La direzione marittima, di cui rispondo temporaneamente non ha attribuzioni rispetto alla funzione di prevenzione e accertamento, perché questa spetta alle singole capitanerie di porto, parlerò quindi della mia Capitaneria di porto nella quale, grazie alla sensibilità dei giovani ufficiali, abbiamo condotto un monitoraggio di tutti gli scarichi, quelli abusivi e quelli autorizzati dalla provincia. Abbiamo condotto anche indagini aeree utilizzando la rilevazione della temperatura in due o tre punti abbiamo verificato una particolare fotosensibilità; abbiamo verificato che non vi era inquinamento tranne in un caso, in relazione al quale è in corso un ulteriore accertamento.
L'incontro di oggi si è soffermato soprattutto sulle discariche in terra e sui rifiuti urbani e speciali, ma l'interesse delle organizzazioni malavitose o dei grossi gruppi da qualche parte deve pur andare; non vorrei pensare alla mortadella che veniva esportata e poi buttata in mare né ad esportazioni nei paesi dell'Africa, ma abbiamo rapporti con paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di concludere affari e non vorrei vi fossero traffici illeciti in quella direzione. Per questo è opportuno svolgere le indagini anche riguardo al mare. Oggi i rifiuti non vengono trasportati come tali, ma hanno la configurazione di merci pericolose, quindi hanno un trattamento amministrativo: bisogna richiedere una determinata autorizzazione, che viene concessa se la nave è abilitata a trattare questi tipo di merci. In questo caso l'unico fatto rilevante potrebbe esser certificato falso, ma qualsiasi autorità di polizia giudiziaria può verificare la rispondenza dell'autorizzazione rilasciata dalla Capitaneria di porto ed intervenire; andrebbe però monitorato il traffico di merci pericolose per vedere se vi sia rispondenza tra la produzione e l'esportazione. Questa mattina qualcuno ha osservato che non vi è corrispondenza tra il prodotto e lo smaltito: quello che manca andrà via mare, sarà esportato in altri paesi, o sarà gettato in mare?
Un altro aspetto da verificare è dove finiscano i rifiuti prodotti dalle navi. Vi sono norme che regolano lo smaltimento dei rifiuti prodotti a bordo, ma in realtà essi non possono essere trasportati nelle discariche cittadine. Nel nostro porto, data la brevità dei viaggi, il fenomeno non è allarmante (i rifiuti prodotti entro le ventiquattro ore e che non siano scaricati in altro porto devono essere conferiti a ditte autorizzate locali, le quali dovrebbero rivolgersi a discariche


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autorizzate), mi chiedo comunque se sia mai stato condotto un accertamento riguardo. Il problema è più rilevante per i grandi porti nei quali vi è un enorme afflusso di persone e che credo non siano organizzati ma operino sulla base di norme transitorie e disposizioni provvisorie.
Noi ci muoviamo sempre in fase preventiva, quasi mai in fase repressiva, anche perché le repressioni previste dal codice sono pressoché risibili ed insignificanti, si tratta di ammende che arrivano al massimo a 400 mila lire. Quando ero un giovane ufficiale pieno di sacro furore e andavo contravvenzionando tutti gli abusivismi relativi al demanio marittimo, facevo tutte le mattine una contravvenzione ad un determinato albergatore. Allora la sanzione massima era di 80 mila lire e quell'albergatore, che stava costruendo un albergo di 12 piani, mi disse di andare tranquillamente avanti che lui tanto non si impressionava. È opportuno allora che le sanzioni corrispondano davvero al danno ambientale.
Qualcuno ha sottolineato la necessità di avere dei dati; tutte le capitanerie di porto convogliano al centro, in un sistema informatico centralizzato, tutti dati relativi al traffico marittimo di merci pericolose, compresi gli eventuali rifiuti. Ricorderete il caso della Karen-B, che di certo non è passata nei porti piccoli non controllati, ma in quelli dove traffici sono intensi, perché questi ultimi richiedono una superficialità di indagini in fase di accertamento repressivo non si può bloccare un traghetto creando problemi ai turisti in quanto sarebbe controproducente rispetto all'ottica di incentivazione del turismo. Pertanto auspico che vi sia una richiesta di questi dati ai comandi delle capitanerie, perché non vi è alcuna segretezza e questi dati sono a disposizione di tutti gli organi di polizia; in secondo luogo chiedo che si definisca un trattamento specifico per le merci rifiuti.
Ricordo che nel 1990 - ero a Taranto - assunsi un provvedimento di polizia sanitaria contingentata, che in realtà non rientrava nei compiti, perché gli effetti si riversavano in mare. A Taranto allora era vietato utilizzare determinati prodotti residui di alto forno, in particolare la loppa, perché secondo la norma allora vigente dalle grosse concentrazioni di questo materiale emanava radioattività; ebbene il «polo polisettoriali», le aree su cui insiste la Belleli, è fatto interamente di loppa. Io nel 1990 adottai un provvedimento sospensivo che vietava di scaricare e utilizzare la loppa per costruire banchine, in attesa che le autorità competenti, ancora da individuare, chiarissero la situazione (le abbiamo individuate finalmente nel 1996, poi è intervenuto il «decreto Ronchi»); ebbi consenso solo dalle associazioni ambientaliste e dalla provincia di Taranto, mentre ebbi freddezza da tutte le altre istituzioni. Posso però assicurare che da allora, forse perché è cresciuta la sensibilità, nonostante l'utilizzo della loppa sia stato autorizzato, essa non è più stata utilizzata per costruire banchine neanche a Taranto.
Mi è stato riferito che è stata presentata una proposta di legge che propone di istituire un nuovo titolo VI-bis nel Libro II del codice penale per introdurre un'esatta configurazione del reato ambientale che mi auguro il Parlamento porti avanti sollecitamente. Noi concediamo l'autorizzazione all'imbarco e siamo organo di polizia


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giudiziaria ( la sentenza n.1872 del 1991 della Cassazione ha chiarito che non esistono esclusività); perché non prevedere che al comma 1 dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 271 del 1989, insieme al Corpo forestale dello Stato, per i reati di settore, non sia inserito anche il Corpo delle Capitanerie di porto? Siamo disseminati ovunque sul territorio come i carabinieri e la guardia di finanza e conosciamo il fenomeno fin dall'inizio; finalmente da un anno, benché la legge lo prevedesse fin dal 1986, siamo l'unico altro organo insieme al nucleo operativo ecologico dei carabinieri che ha un nucleo attivo presso il Ministero dell'ambiente, che corrisponde con la periferia. Grazie alla legge sulla pesca, inoltre, abbiamo competenza per gli accertamenti anche in alta montagna e ci interessiamo propri problemi ambientali.

RAFFAELE GORGONI, Cronista della RAI T-3 Puglia. Ultimo, ma solo in ordine di intervento, il dottor Giulio Cocca, coordinatore regionale del Corpo forestale dello Stato in Puglia, un corpo al quale almeno i giornalisti che si occupano di ambiente sono molto grati, perché è solo con i mezzi e la guida di questi uomini che si riescono a conoscere zone pressoché irraggiungibili del territorio, come alcune parti del Gargano. È capitato a me e ad altri colleghi di avere a che fare con un corpo un po' appartato, in un certo senso periferico, che ha una straordinaria conoscenza del territorio, dalla flora e alla fauna, ed anche una straordinaria capacità di raccontarlo, cosa che non è molto frequente.

GIULIO COCCA, Coordinatore regionale del Corpo forestale dello Stato, Puglia. Mi sento molto onorato di rappresentare in questa sede il Corpo forestale dello Stato per questo ringrazio il presidente ed i componenti della Commissione parlamentare di inchiesta nonché il dottor Gorgoni per le parole che ha voluto usare nei nostri confronti.
Prima di entrare nel vivo del tema, voglio brevemente soffermarmi su alcune considerazioni che il dottor Gorgoni ha svolto nella sua introduzione circa la peculiarità del servizio che il Corpo forestale dello Stato presta quotidianamente. Siamo una delle cinque forze di polizia e siamo articolati sul territorio in maniera molto capillare, quasi come i carabinieri, abbiamo però un personale molto ridotto anche perché la materia di cui ci occupiamo non ha una valenza così vasta; questo però non significa che il nostro compito non sia importante.
Siamo un'istituzione preposta al presidio ed alla salvaguardia del territorio e svolgiamo il nostro compito al di fuori delle cinte urbane; fino a qualche tempo fa, poi le nostre competenze sono state allargate, adempivamo esclusivamente alle necessità discendenti dalla legge n. 3267 del 1923 sul vincolo idro-geologico e dalle leggi sulle bellezze naturali. Il nostro lavoro ci porta soprattutto nelle campagne e particolarmente nelle aree marginali del territorio, dove ordinariamente nessuna delle forze di polizia presta servizio, così è molto frequente da parte nostra imbatterci in reati contro l'ambiente e soprattutto nell'abbandono di rifiuti. Il quotidiano deturpamento del territorio nel tempo può determinare condizioni estremamente gravi per la salute e per la conservazione del territorio stesso; per arginare


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in parte questa devastazione il legislatore ha cominciato prima a creare piccole riserve, cioè aree a particolare valenza ambientale e di grande pregio territoriale che potevano essere perdute per sempre al godimento dell'uomo, da proteggere in maniera strenua dalle azioni devastanti; il passaggio successivo è stato molto facile e leggi recenti hanno destinato a parco aree molto vaste del nostro territorio. In questo modo si determina un'attività di difesa dell'ambiente molto efficace: le nostre attività sono indirizzate particolarmente a difendere queste aree territoriali, ma anche la parte restante del territorio è interessata dalla nostra attività quotidiana.
La questione dei rifiuti, come sottolineava molto chiaramente il procuratore Di Bitonto, è un grande business verso cui la criminalità organizzata si indirizza perché consente di avere un rendimento massimo con una spesa minima; questo commercio di rifiuti però, se pure in alcuni casi non è particolarmente rischioso, il più delle volte comporta gravi pericoli per la salute dell'uomo, pertanto va combattuto in maniera strenua. In Basilicata, per esempio, dove ho svolto la mia attività per molti anni, ho potuto verificare che nel corso dell'attività estrattiva per i pozzi petroliferi venivano estratti fanghi fortemente radioattivi che poi, invece di essere neutralizzati per evitare il propagarsi di onde radioattive, venivano rimessi nei pozzi; analogamente, molti rifiuti che possono essere portatori di malattie ed epidemie non vengono adeguatamente degradati perché questa operazione costa moltissimo. Per contrastare questo fenomeno è necessaria una grande collaborazione da parte di tutti cittadini, delle forze dell'ordine e delle istituzioni, ma purtroppo mentre con alcuni istituti è possibile avere rapporti tali da facilitare l'attività di contrasto, con altri e soprattutto con i cittadini spesso non ci sono rapporti di grande collaborazione, cosicché la lotta a queste organizzazioni criminali diventa più difficile.
Per questi gruppi malavitosi è facile passare dal commercio clandestino dei rifiuti, fortemente vantaggioso dal punto di vista economico, ad investimenti in altre attività nelle quali riciclare il denaro ricavato, tra queste vi è la cementificazione delle coste; ci è capitato spesso - recentemente a Polignano a Mare - di sequestrare, per evitare un ulteriore deturpamento dell'ambiente, interi rioni o complessi turistici costruiti abusivamente.
Valutando i dati statistici dell'attività del Corpo forestale dello Stato possiamo constatare che negli ultimi sei-sette anni c'è stata un'escalation di interventi nei confronti di questi tipi di reato, che in passato erano piuttosto limitati. Occorre pertanto avviare una azione di contrasto più efficace, costituire un pool ed un centro di osservazione più incisivo e territorialmente più efficace affinché questi tipi di reati possano essere messi maggiormente in evidenza.

RAFFAELE GORGONI, Cronista della RAI T-3 Puglia. Passo la parola al presidente Scalia per le conclusioni.

Conclusioni.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione di inchiesta. Le conclusioni vere e proprie in realtà le trarrà la Commissione di


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inchiesta dopo che avremo svolto gli altri seminari pubblici in Calabria ed in Sicilia ed avremo esaminato tutta la documentazione che abbiamo a disposizione. Questo seminario di Bari è stato molto partecipato e credo abbia confermato la convinzione della Commissione dell'utilità di questo tipo d'iniziativa perché il livello di informazione che in questo modo si viene a coagulare è sicuramente molto elevato; essa rappresenta inoltre un'ottima occasione per fare il punto della situazione da parte di tutti gli addetti ai lavori.
Questa mattina sono state espresse molte critiche all'istituto del commissariamento e anche alcune osservazioni puntuali sul senso da dare a questo istituto che mi sembrano interessanti. Voglio ricordare - lo diceva già il collega Gerardini - che se si è arrivati al commissariamento ha un po' un valore postumo rivendicare l'autonomia e la responsabilità degli amministratori locali, perché l'emergenza nasce anche dal fatto che per molti motivi queste amministrazioni non sono state in grado di fare fronte in modo ordinario, con l'applicazione delle leggi e delle disposizioni in vigore, ad una gestione corretta del ciclo dei rifiuti. È anche vero che eravamo in un generale quadro di arretratezza che si compendiava nell'inesistenza di impianti in grado di recuperare ed utilizzare il rifiuto raccolto separatamente; a questo proposito abbiamo avuto una storia lunga e dolorosa che ha visto la formazione del CONAI, che peraltro solo nell'ultimo anno è diventato effettivamente operativo, e che ci rimanda ad un'interconnessione ancora tutta da realizzare. Senz'altro quindi, le difficoltà incontrate dalle amministrazioni nella gestione corretta dei rifiuti sono state rilevanti, ma penso vi sia stata anche una grave sottovalutazione del problema. Questo vale sia per le amministrazioni sia per il sistema delle imprese, che con troppo ritardo ha visto nel cosiddetto sistema integrato di gestione dei rifiuti un'occasione economica da gestire in modo del tutto lecito; questo ha lasciato spazi molto ampi all'illecito ed alla penetrazione della criminalità organizzata ed ha determinato una situazione di mercato profondamente distorta. I pochi imprenditori che operano in maniera corretta si trovano infatti danneggiati dall'esistenza di imprenditori disinvolti quando non direttamente attori di azioni criminali o in collusione con la delinquenza organizzata.
Da questo punto di vista è risuonata anche oggi l'esigenza di avere sanzioni adeguate che consentano non solo una deterrenza preventiva, ma anche il ricorso a strumenti di indagine che viceversa non possono essere attivati per reati colpiti con sanzioni amministrative di poche centinaia di migliaia di lire. La Commissione ha profuso il massimo impegno in questa battaglia parlamentare e già nella precedente legislatura è stata ispiratrice di un punto di vista che ha trovato attenzione in questa legislatura anche da parte del Governo; oggi la partita è in mano al Parlamento ma si registrano dei ritardi. Ho cercato in extremis di agganciare questo tema al «pacchetto sicurezza» (l'A.C. 5925), che forse dovrebbe avere una concezione più estensiva di quella che ha generato il complesso di norme oggi in discussione in Parlamento, presentando degli emendamenti che recepiscono il testo licenziato in Commissione; ho però il forte sospetto che questi emendamenti, in virtù di un'interpretazione


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parlamentare molto stringente, verranno considerati inammissibili. È vero che i provvedimenti in materia sono in discussione al Senato presso le Commissioni riunite ambiente e giustizia, ma è anche vero che se aspettiamo l'iter parlamentare ordinario, è forte la preoccupazione che i delitti contro l'ambiente non vengano inseriti nel codice penale in questa legislatura. Conosco bene l'impegno che tutti voi avete profuso in questa direzione, ma la risposta purtroppo non è adeguata: sono un parlamentare e in quest'occasione devo essere autocritico nei confronti dell'istituzione cui appartengo.
In questa giornata sono emersi molti stimoli e molti suggerimenti. Innanzitutto pregherei i colonnelli Zito e Centore di lasciare a disposizione della Commissione le loro relazioni scritte, in modo che i dati in esse contenuti risultino in un atto pubblico. Ringrazio in particolare il procuratore Di Bitonto per essere stato, insieme al prefetto Mazzitello, un «militante» di questo nostro incontro.
La valenza generale e non locale di alcuni fenomeni criminosi, si tratti del contrabbando, del traffico clandestino di armi o del traffico illecito di rifiuti, è la questione che abbiamo cercato di rappresentare al Parlamento e al Governo; qualche passo avanti credo sia stato fatto; ricordo inoltre che, mantenendo fede a quanto avevamo detto nel forum sull'ecomafia svoltosi un anno fa a Napoli, proprio fra qualche giorno sarà in discussione nella Commissione d'inchiesta una bozza di documento che contiene un'analisi delle società operanti nel settore; forse esse non costituiranno un cartello e forse non saranno legate alla criminalità organizzata, ma in fatto di trasparenza la presenza di un mercato sotto il controllo di pochi rappresenta un fenomeno di grave arretratezza che giustifica e consente ampi margini di azione e di illegalità.
Il nostro sforzo sarà comunque quello di continuare a produrre documenti che descrivano la situazione per poter poi intervenire e in questo ragionamento relativo alle ecomafie, alla presenza della criminalità organizzata e alle possibili connessioni, procederemo tenendo ben accesi i riflettori su tutti gli aspetti economici e fiscali.
Il colonnello Zito prima ricordava un'indicazione proveniente dal Secit, che molto probabilmente deriva da un collegamento che abbiamo avuto con questo organismo per cercare di realizzare una sinergia positiva e focalizzare l'azione di controllo fiscale sulle aziende del settore rifiuti, una sinergia resa positiva anche dalla presenza di nostri consulenti che operano in stretto collegamento con il Secit.
Quanto al suggerimento del procuratore Di Bitonto di un'audizione dei procuratori distrettuali che abbiano indagini in corso, lo accogliamo molto volentieri - naturalmente non potrà trattarsi di un'audizione pubblica - anche perché intratteniamo un rapporto costante con tutti i magistrati impegnati in questo settore. La preghiamo anzi di segnalarci le procure che hanno sotto mano i casi più significativi e che siano ad una fase del procedimento giudiziario tale da consentire di avere idee più precise.
È stato poi posto il problema dell'accesso dei magistrati al sistema informatico di Schengen. Valuteremo la questione con il presidente del Comitato parlamentare di controllo, ma ho la sensazione che sia


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necessario modificare la Convenzione e questo è un problema che supera i confini italiani. È comunque un'indicazione di lavoro che possiamo dare al Parlamento e al Governo, anche perché è paradossale che queste informazioni possano essere accessibili alle forze di polizia giudiziaria ma non alla magistratura.
Accogliamo con interesse la segnalazione relativa ai rifiuti prodotti dalle navi, in relazione alla quale valuteremo come si può intervenire; ricordo invece che alcuni problemi cardinali che riguardano il traffico di rifiuti attraverso i valichi di frontiera, ed in particolare le frontiere naturali rappresentate dai porti e dalle coste, sono da molto tempo oggetto di attenzione da parte nostra. A tal fine abbiamo stretto da tempo rapporti con le autorità portuali e marittime proprio perché tra le mille incombenze che spettano loro vi è quella dei possibili controlli sui traffici di materiali pericolosi in generale e di rifiuti pericolosi in particolare; sappiamo bene, però, che ci sono distonie che non aiutano: i codici doganali, per esempio, sono diversi da quelli europei per quanto riguarda la classificazione dei materiali. Già da un paio d'anni comunque, partendo dai casi della Sicilia, della Sardegna, che non hanno sul loro territorio discariche autorizzate per rifiuti pericolosi (quindi dovrebbero portarli sul continente) abbiamo condotto un'indagine presso le capitanerie di porto, dalla quale sono emerse solo poche migliaia di tonnellate di rifiuti sulle oltre 350 mila prodotte; inoltre, a sancire questo interesse e proprio per avere il massimo di collaborazione, pochi giorni fa il rappresentante delle capitanerie di porto presso il Ministero dell'ambiente è stato nominato consulente della Commissione.
Vi è il forte sospetto che in questi casi il territorio ed il mare siano le destinazioni - illegali e criminali dal punto di vista degli effetti ambientali e sanitari - preferite per questo tipo di rifiuti, perché è facile sversarli nottetempo dappertutto. Questo determina danni incalcolabili ed obbliga a quelle bonifiche alle quali giustamente anche oggi è stato dedicato uno spazio rilevante perché, oltre a far funzionare il sistema integrato dei rifiuti, danno ai cittadini la certezza che lo Stato esiste e laddove sono stati arrecati danni anche gravi è in grado di intervenire per tentare il ripristino delle aree danneggiate.
Non credo che dobbiamo andare oggi a conclusioni formali, che spetteranno alla Commissione e saranno contenute in un apposito documento che verrà dibattuto alla fine di questa serie di incontri. Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato per i loro suggerimenti e per averci dato informazioni che saranno senz'altro utili al Paese.

Il seminario termina alle 17,15.

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