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Seduta del 12/10/2000


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Audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, del ministro della sanità, professor Umberto Veronesi, sulle politiche a tutela dell'infanzia, con particolare riferimento al problema della pedofilia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento della Camera, del ministro della sanità, professor Umberto Veronesi, sulle politiche a tutela dell'infanzia, con particolare riferimento al problema della pedofilia.
Desidero innanzitutto ringraziare il ministro per la sua presenza nella nostra Commissione.
Come è noto il 13 giugno 2000 è stato approvato il piano nazionale di azione e di intervento per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva per il biennio 2000-2001, che la legge n. 451 del 1997 chiede di predisporre con cadenza biennale.
Tale piano prevede una serie di interventi legislativi, organizzativi e amministrativi diretti a migliorare la condizione di vita dei minori, ad individuare strumenti di tutela a favore di minori vittime di abusi e sfruttamento sessuale e a proteggere i minori stranieri. Tra i compiti che il piano individua a carico del Ministero della sanità, vi è l'impegno del Governo di concretizzare l'attuazione del piano sanitario nazionale soprattutto attraverso lo specifico strumento del progetto «obiettivo materno-infantile» adottato con decreto del ministro della sanità in data 24 aprile 2000, nel quale, tra l'altro, particolare attenzione viene prestata al percorso-nascita, alla pediatria di libera scelta, alla promozione della salute in età evolutiva nella comunità, ai bambini in ospedale, ai maltrattamenti, abusi e sfruttamenti sessuali sui minori.
Quanto al problema particolare della pedofilia, affrontato sotto diversi aspetti dalle cinque proposte di risoluzione presentate in questa Commissione, interessa soprattutto approfondire lo stadio di attuazione degli strumenti e degli studi medico-scientifici circa gli strumenti diretti alla prevenzione del fenomeno, al recupero e alla cura degli individui che abbiano commesso delitti legati alla pedofilia e alla pedopornografia.
Cedo subito la parola al ministro Umberto Veronesi.

UMBERTO VERONESI, Ministro della sanità. Grazie per l'invito; mi fa molto piacere essere qui con voi oggi ad affrontare un argomento molto sentito dalla popolazione, dalla vostra Commissione e da me che, prima di essere ministro, sono un medico e come tutti i medici ho a cuore la condizione di salute fisica, psichica e mentale della popolazione.
Vi è un doppio aspetto doloroso, quello dei bambini che possono essere, sono stati o sono potenzialmente esposti a rischio di aggressioni sessuali da parte dei pedofili e quello dell'ormai molto vasta compagine, quasi un esercito, di persone affette dalla psicopatologia della pedofilia. L'aspetto è


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doloroso per gli uni e per gli altri e noi dobbiamo cercare, nei limiti delle potenzialità scientifiche e degli strumenti legislativi, di correggere questo sgradevole fenomeno.
Non siamo i primi nel mondo, dove vi è una quantità di precedenti. I nostri dati danno una percentuale di pedofili presenti in Italia che varia molto, perché la pedofilia può essere solo un pensiero, un atto inespresso di desiderio, una carica sessuale sottilmente e potenzialmente deviata ma non materializzata in atti concreti, per cui è difficile dare una delimitazione precisa del numero; possiamo dire che siamo grossolanamente sull'ordine delle 10 mila, 100 mila persone che entrano nel grande gruppo dei pedofili; di questi solo una piccola parte si è macchiata di atti criminali, cioè di vere e proprie aggressioni più o meno gravi o violente. Mi pare di capire che oggi i pedofili in condizione di reclusione, o che hanno già avuto una condanna o hanno in corso un procedimento, sono nell'ordine delle poche centinaia, forse 200 da quello che siamo riusciti a capire dalle indagini. Sembra che in altri paesi i numeri siano più elevati: dispongo di dati di paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l'Olanda, la Danimarca, la Germania dai quali emerge che circa il 10 per cento dei bambini di quei paesi, prima del diciottesimo anno di età, hanno subito un attacco sessuale da parte di pedofili, più o meno intenso, all'interno o all'esterno della famiglia. Quindi, le dimensioni sono notevoli e le prospettive sono di un possibile aumento perché gli strumenti di promozione del fenomeno all'interno del gruppo dei pedofili, attraverso Internet, messaggi, film, creano, aumentano, stimolano il desiderio e la patologia. Si tratta di un problema potenzialmente importante rispetto al quale dobbiamo fare qualcosa.
Non è facile dire cosa si possa fare alla luce di due obiettivi: proteggere i ragazzi, cercare di istruirli, di accompagnarli e di non metterli nelle condizioni in cui certe cose si possano realizzare. Non è facile, perché non si può tenere un esercito di bambini sotto un controllo troppo stretto se non limitandone la libertà individuale. L'altro obiettivo è quello di cercare di identificare questa massa informe di pedofili per sottoporli ad un controllo, ad una detenzione nel caso in cui si tratti di soggetti pericolosi, o ad una cura. Queste sono le alternative.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, è facile immaginare di sottoporre a cura o a controllo i pedofili dichiarati che sono in stato di detenzione poiché hanno già realizzato il loro atto criminale. In molti paesi si tenta di controllarli o, in un'ipotesi molto benevola ma non lontana dalla realtà, di considerarli dei malati e guarirli.
Le esperienze di altri paesi sono frammentarie; dispongo di una documentazione molto vasta di circa 200 articoli scientifici sulla pedofilia e su pedofili in condizioni di detenzione, perché sono i più facili da raggiungere. In Israele è stato effettuato lo studio più importante, pubblicato lo scorso anno sul New England general medicine, per il quale sono state prese in esame alcune decine di pedofili reclusi, dando loro questa chance: rimanere in prigione oppure uscire accettando di essere curati.
Sulle cure specifiche per la pedofilia vi sono due grandi linee di pensiero: considerarla una psicopatologia ossessiva e quindi con cure psicologiche o psichiatriche cercare di rimuovere i fattori causali e ricostruire una personalità perduta nell'ombra, nel tortuoso cammino dell'aggressività sessuale, un compito questo che va condotto a termine con molte difficoltà perché togliere di mezzo gli istinti sessuali deviati non è facile. Il mondo della sessualità è difficile da controllare psicologicamente: lo vediamo in ogni espressione; è una specie di ossessione collettiva o di necessità collettiva a seconda se lo si voglia vedere dal punto di vista fisiologico o patologico che difficilmente si riesce a condizionare con cure psicologiche. L'altra linea è invece forse più facile da realizzare e consiste nel rimuovere l'aggressività, la pulsione aggressiva di tipo sessuale.
In gran parte dei pedofili, almeno in quelli più gravi in stato di detenzione, si


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associa la psicopatologia di carattere nevrotico ossessivo ad una forte carica di aggressività puramente sessuale. Quindi la sessualità è il motore e la psicopatologia devia l'aggressività dalla direzione giusta o fisiologicamente nei binari biologici più corretti, verso una posizione anomala. Quindi, abbiamo due componenti: l'aggressività ormonale e la devianza psicologica. Lo psicologo può tentare di agire a livello della deviazione e riportare il tiro verso condizioni di normalità fisiologica; i medici, gli endocrinologi possono tentare di ridurre l'aggressività sessuale, che è una componente forte: il livello di testosterone è elevato. È stata fatta un'indagine in questo gruppo di persone sulla quantità di pulsioni che si possono misurare molto bene con analisi, interrogatori, formulari, eccetera. Si tratta delle cosiddette «fantasie», cioè gli atti di fantasia: ognuna di queste persone denuncia una media di 40-50 pulsioni settimanali. Per darvi un'idea, queste persone hanno una media - scusatemi per la delicatezza dell'argomento - di 30 masturbazioni alla settimana: questo vi dà la misura della carica sessuale che hanno dentro di sé. Allora il pensiero più ovvio che verrebbe a chiunque e vedere se diminuendo la spinta sessuale, diminuisce la spinta aggressiva e quindi anche la deviazione sull'obiettivo della pulsione sessuale deviata perde gran parte della sua importanza perché non arriva a creare il problema della scelta. Su questo tema si sono sviluppate le ricerche biologiche, farmacologiche, endocrinologiche di cui io mi sono occupato. Sono ministro della sanità e non mi devo occupare degli aspetti giuridici e neanche etici. Il mio compito è quello di rispondere ad una domanda che mi ha rivolto il ministro Turco: «pensi di riuscire a trovare una cura?». La mia risposta è dunque proprio in quella direzione. La cura che è stata prospettata e che viene abbastanza seguita in molti centri è quella di agire a livello subcerebrale, perché gli ormoni sessuali prodotti dalle ghiandole sessuali in realtà sono stimolati nella loro produzione dall'ipofisi. Quest'ultima riceve un comando dall'ipotalamo, cioè dalla parte sovrastante del cervello, che manda un segnale all'ipofisi - l'ormone LHRH - la quale scatena la libertà di produzione degli ormoni a livello testicolare. In questo meccanismo si è visto che l'azione più intelligente è di agire alla radice, a livello di messaggio tra cervello ed ipofisi; se riusciamo ad avere degli antagonisti oppure degli analoghi di questo LHRH possiamo abbassare la soglia ormonale in maniera consistente, ma anche in maniera più definitiva e completa perché il blocco nasce alla radice. Possiamo anche tentare a livelli più bassi, addirittura a livello testicolare con degli antiormoni, degli antiandrogeni, oppure a livello antipofisario, ma funziona meno perché vi sono delle vie laterali di conduzione dello stimolo.
Con questa premessa gli israeliani, che hanno compiuto lo studio più avanzato hanno presentato conclusioni interessanti: è stato seguito per un anno un gruppo di detenuti colpevoli di attacchi pedofili ed è stata registrata una remissione nel 95 per cento dei casi. La remissione è stata valutata controllando i vari parametri, i vari elementi: il numero di fantasie settimanali si è ridotto allo zero e così pure il numero di masturbazioni ed il numero di atti gravi verso gli altri. Pertanto il risultato apparentemente è stato buono, anzi ottimo.

FRANCESCA SCOPELLITI. Quando parla di fantasie, che cosa intende?

UMBERTO VERONESI, Ministro della sanità. Le fantasie sono state definite dagli psicologi come un desiderio forte che prende improvvisamente, una pulsione che scuote l'individuo il quale, se non fosse in certe condizioni o di controllo coattivo o di autocontrollo, come avviene per tutti noi di fronte ad un desiderio sessuale, potrebbe dar luogo ad un atto concreto. Tuttavia questa cura dà qualche elemento collaterale: una perdita incompleta, soprattutto dopo una certa età, dell'attività sessuale e della capacità erettile, che certamente non è gradevole; in qualche caso vi può essere un lieve


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aumento di turgore al seno, che non è preoccupante, e, in una piccola percentuale di casi, un po' di vampate, come nella menopausa femminile. A parte il primo aspetto, si tratta di effetti collaterali non preoccupanti. A parte gli aspetti non positivi, ve ne è uno molto positivo e cioè che queste persone riacquistano una loro serenità, perché certamente il pedofilo non è un uomo felice, come tutte le persone condizionate da pulsioni interne a cui non sanno rispondere con un'attività autocritica di censura etica della propria personalità. Quando la pulsione è troppo forte, la barriera si rompe e la pulsione erompe in un atto di violenza. Con la cura si ricolloca nei limiti dell'autocontrollo tutto il fenomeno sessuale e questo dà serenità alla persona che si sentiva sempre inquieta; gran parte delle persone trattate hanno ripreso a lavorare e a condurre una vita normale, una di queste ha voluto avere un figlio (quindi la cura è stata sospesa per un paio di mesi, egli ha procreato, il bambino è nato e poi egli è tornato sotto cura). Certamente il periodo di osservazione è stato molto breve, di un anno, e non sappiamo fino a che punto, continuando questa terapia e rimettendo il cervello in una condizione di normalità, non più sottoposto agli stimoli ed alle pressioni di una pulsione sessuale intensa, riacquisti quella famosa normalità irreversibile che è necessaria per affermare che la persona è guarita. Può anche darsi che, continuando per cinque anni la cura, durante la quale i pazienti stanno bene, appena si smette ed i valori del testosterone ritornano alti, la malattia riprenda, oppure può darsi di no, e che la consuetudine, la vita di relazione con la famiglia ed i figli, la crescita e la maturazione culturale e psicologica possano invece fare piazza pulita della malattia per sempre: questo è quello che abbiamo in mente di mettere allo studio, poiché abbiamo circa 200 reclusi per questa malattia.
Esiste il problema del consenso. Come medico penso che sia necessario perché è una forma di civiltà, però i giuristi pensano che possa non essere necessario e che, quando si tratta di salute pubblica, vi possa essere un trattamento medico obbligatorio, come avviene per le vaccinazioni dei bambini. È ipotizzabile che vi sia una terapia coatta e questo, secondo i giuristi, potrebbe essere il caso; l'alternativa è quella della scelta, come avviene in Israele, cioè se si vuole uscire dal carcere è obbligatorio sottoporsi alle cure. Qui nasce il secondo aspetto, e cioè quanto la detenzione che è stata chiesta a gran voce - perché il primo pensiero che viene alla popolazione è quello di punire il colpevole - sia efficace o meno. Se infatti nella criminalità normale la punizione è un forte deterrente ed uno che è stato in prigione ci pensa bene prima di ripetere lo stesso atto che lo può condurre nuovamente in prigione, in questo caso non funziona perché la pulsione è profonda, è, appunto, come una malattia. È una pulsione profonda che paradossalmente è alimentata dallo stato di detenzione; infatti, se nella vita quotidiana il pedofilo riesce a distrarsi sul lavoro, in famiglia o con gli amici e quindi a mantenere un certo limite di autocontrollo, quando si trova solo in una prigione, tutto il giorno in ozio, la sua fantasia si evolve, la sua ossessione aumenta, il suo pensiero cavalca immagini ed inevitabilmente egli si procurerà materiale, figure, fumetti che alimenteranno questa sua posizione patologica. Pertanto è quasi sicuro che il giorno in cui lo lasceremo libero egli ricadrà: la recidività è la gravità di questa malattia o di questa condizione psicopatologica, per cui pensare di risolvere il problema con la detenzione è molto difficile. Probabilmente qualche caso potrà anche essere messo in riga da un periodo di detenzione, ma la maggior parte recidiverà. Ciò è inevitabile, è scritto, conoscendo le premesse della malattia; sarebbe come prendere uno schizofrenico e metterlo in prigione: quando egli uscirà, continuerà ad essere schizofrenico e difficilmente sarà ragionevole. Nel campo della psicopatologia la detenzione non serve, a meno di non tenere per sempre in prigione questi soggetti, ma allora si


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devono riaprire i manicomi e si deve andare in una direzione diversa da quella che ci interessa oggi.
Il problema è dunque delicato e difficile da risolvere. Quando ho detto che a mio parere tentare di curarli od obbligarli a curarsi è una via ragionevole, l'ho detto senza cattiveria; non ho mai parlato di castrazione chimica, fisica o chirurgica perché non è nella mia cultura, però una cura antiormonale che si possa dosare e diminuire lentamente consentirebbe di raggiungere una condizione di normalità senza bisogno di interventi ulteriori.
Questo è il dilemma nel quale ci troviamo oggi. Esiste presso il ministero un gruppo di lavoro coordinato dal ministro Bianco, di cui faccio parte anch'io oltre al ministro Turco e al ministro De Mauro, nonché ai ministri della giustizia e degli affari esteri. Ci siamo riuniti già una volta ed avremo presto una prossima riunione. Ci stiamo inoltre occupando del disegno di legge n. 5979, che riguarda misure contro la violenza nelle relazioni familiari ed è attualmente all'esame della Camera e stiamo cercando di raccogliere informazioni sia a livello terapeutico sia attraverso i casellari giudiziari per conoscere la popolazione totale dei pedofili ricoverati. Come ho detto all'inizio, è difficile stabilire il numero dei pedofili non ricoverati, anche se forse si potrà fare un censimento attraverso un'indagine nella popolazione.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la sua precisa e puntuale relazione e per prima vorrei rivolgergli una domanda. Lei ha affermato che innanzitutto bisogna identificare la massa di pedofili per sottoporli a delle cure: quali sono le strutture pubbliche che attualmente esistono in Italia ed alle quali può rivolgersi il pedofilo che ha intenzione di curarsi?

UMBERTO VERONESI, Ministro della sanità. In questo momento non esiste nessun programma antipedofilo a livello di sistema sanitario e quindi bisogna inventare tutto; tuttavia prima bisogna avere l'accettazione da parte del Parlamento e del Governo, perché vi è stato un acceso dibattito sulla cosiddetta castrazione chimica. Non si tratta di castrazione e vi pregherei di abbandonare questo termine che è fuorviante, perché la gente pensa che vogliamo castrare le persone, cioè privarle dei testicoli, anche se non chirurgicamente (ma non so come altro si potrebbe fare: non esiste infatti una sostanza chimica che, iniettata nell'organismo, vada a distruggere i testicoli). Quindi il termine castrazione chimica è fuorviante ed improprio ed ha suscitato un forte dibattito etico, come è giusto avvenga prima di iniziare una qualsiasi azione terapeutica.

PIERO PELLICINI. La ringrazio, signor ministro, per l'interessante relazione.
Desidero rivolgerle alcune domande non sul sistema, sino ad oggi inesistente, rivolto a chi voglia farsi curare prima di commettere fatti come quelli di cui parliamo, ma sul recupero e la cura del pedofilo accertato, per evitare che vi siano altre vittime. Purtroppo questo aspetto viene affrontato senza che vi siano precedenti. Intendo dire che la Corte di cassazione ha sempre negato che la pedofilia fosse una malattia; tutti i tentativi di puntualizzare questi aspetti di devianza sono stati regolarmente respinti dalla Corte suprema la quale sosteneva che non si trattava di una malattia. Quindi, alle nostre spalle, anche come bagaglio di conoscenza giuridica, non abbiamo nulla.
Mi sono occupato di quattro processi - in due ero parte civile e in due difendevo gli imputati - e posso dire che in tre casi i condannati sono tornati a commettere fatti analoghi, più o meno gravi. È chiaro che la detenzione di per sé non serve ad eliminare il rischio che vi siano altre vittime, e neppure a tutelare il pedofilo da se stesso.
Allora, poiché ci si chiede oggi se sia lecito, possibile, giusto, intervenire coattivamente sul pedofilo, non sarebbe intanto utile porre mano ad una legislazione, non premiale, ma alternativa concreta che ponga il pedofilo di fronte ad una scelta: restare in carcere o farsi curare non solo


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dal punto di vista psicologico ma anche ormonale?
Inoltre, non sarebbe il caso che d'ora in avanti, di fronte ad un processo che riguarda un presunto pedofilo - che si dichiari colpevole o innocente non ha importanza -, durante l'istruttoria, si disponga immediatamente ad opera delle procure, una perizia per vedere di che tipo di deviazione si tratti, per poter intervenire dopo?
Concordo su tutto quello che ha detto, ma mi chiedo se sia indispensabile arrivare ad una legislazione, anche d'urgenza, che preveda l'alternativa condanna-cura, in attesa di risolvere la questione più delicata del consenso, e se nel frattempo sia comunque necessario che nei processi intervenga subito uno psichiatra, uno psicologo o comunque un perito che esamini l'imputato, per evitare che vi siano altre vittime.

ATHOS DE LUCA. Ringrazio il ministro per la sua presenza e per il contributo che sta cercando di dare in una materia molto delicata.
Dobbiamo approfondire l'esperienza israeliana e fare degli studi prima di accedere a qualunque iniziativa concreta. Nel frattempo bisogna seguire la via per rimuovere le motivazioni psicologiche che inducono a deviare quel patrimonio ormonale che, se orientato correttamente, non costituisce un allarme sociale ma può essere tutt'al più motivo di qualche battuta. Il problema nasce quando questa potenzialità è rivolta a soggetti minori.
Sicuramente la scienza deve approfondire questo aspetto per curare e correggere, così come nel disagio mentale il ricorso al farmaco deve essere fatto con prudenza e dopo che è stato esperito il tentativo di rimuovere il disagio attraverso la psicoterapia.
Nelle more di questo approfondimento, il ministero e quindi il Governo, il Parlamento e tutti noi, forse dobbiamo pensare a quest'ultimo tipo di terapia che comunque non può danneggiare, perché sottoporre queste persone ad analisi per cercare di capire la loro storia non le espone ad alcun rischio. Cominciamo così a capire quali risultati si possono avere in questa direzione.
Mi sembra di comprendere che l'esperienza scientifica di intervento ormonale è israeliana e che non ve ne siano state altre di questo tipo. Quindi è ad essa che dobbiamo fare riferimento.
Nella descrizione puntuale che ci ha fatto degli stimoli ha parlato dell'ipofisi: ma non si tratta comunque di qualcosa che parte dal cervello? Intendo dire che intervenire sul patrimonio ormonale, se non si risolve il problema psicologico, potrebbe non dare risultati. Non è comunque necessario passare attraverso la psicoterapia?
Allo stato attuale, ad esempio, non mi risulta che i 200 detenuti per pedofilia siano sottoposti ad interventi di carattere psicologico, per capire la loro storia ed aiutarli ad uscire dalla loro situazione.

ELISA POZZA TASCA. Signor ministro, penso che il suo contributo sia importantissimo. L'unico rammarico è che viene dopo un'emergenza. Noi che lavoriamo nelle istituzioni cerchiamo di correre ai ripari sempre dopo che qualcosa di grave è avvenuto, anche se devo dire che morti «eccellenti» di bambini per pedofilia ne registriamo anche nel corso dell'anno. Allora forse bisognerebbe veramente individuare un modo per studiare il tema prima che divenga dominio dell'opinione pubblica e venga travisato nei contenuti e negli obiettivi.
Desidero rivolgerle due brevi domande. Da quanto ho capito dalla sua esposizione, le esperienze di ricerca in questo campo sono recenti, per cui immagino che non esista una letteratura ampia in senso temporale.
Per quanto riguarda i numeri, lei ha parlato di 200 reclusi ma anche di 10 mila-100 mila persone che possono essere coinvolte nel problema, quindi cittadini liberi a contatto con i bambini. Tra le 10 mila e le 100 mila mi attesto su 50 mila e deduco che solo sullo 0,4 per cento possiamo fare una ricerca o incidere con una terapia. Non le sembra poco?


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TIZIANA VALPIANA. Anche io partirei, come ha fatto la collega Pozza Tasca, dalla questione dell'emergenza. La Commissione, istituita con la legge n. 451, è nata proprio per non seguire l'emergenza ma per occuparsi dell'infanzia nella sua normalità e quindi del rispetto della crescita di una nuova cultura dell'infanzia nel nostro paese. Evidentemente questa è una critica che non rivolgo a lei, signor ministro. Credo che se la avessimo chiamata prima a parlare del «progetto obiettivo materno-infantile» e di che cosa, anche dal punto di vista della sanità e del rispetto del bambino fin dal momento della nascita, possiamo fare nel nostro paese, probabilmente avremo affrontato in tempo la questione.
Però, visto che ci troviamo in questo frangente, desidero rivolgerle alcune domande nella sua qualità di ministro della sanità. Credo che sul piano umano siamo abbastanza vicini, ma sul piano politico ogni volta che l'ho incontrata ho dovuto attaccarla perché vorrei che lei parlasse come ministro della sanità e ad un ministro della sanità non chiedo la cura che avrei chiesto a un neuropsichiatra ma chiedo: che cosa fanno i consultori familiari? Che disposizioni ha dato affinché i consultori familiari nel nostro paese si occupino di questo tema? Cosa c'è sul territorio? Gli ospedali sono preparati ad evenienze di questo tipo? I pronto soccorso riconoscono i bambini violati?
Un altro aspetto importante è la mancanza della medicina scolastica nel nostro paese. Anche qui, un medico scolastico probabilmente avrebbe la capacità di riconoscere i segnali, vedere i pericoli, aiutare i bambini.
Sappiamo - almeno così ci dicono - che molte volte sono i familiari ad essere violenti dal punto di vista sessuale con il bambino, addirittura i padri o i vicini. Quindi se il 10 per cento dei bambini degli altri paesi hanno subito un attacco sessuale, credo che uno dei punti importanti sia quello di aiutare i bambini a comprendere che esiste il piacere ed esistono l'aggressione e l'aggressività. Dobbiamo capire a chi istituzionalmente deleghiamo questo aspetto se non ai genitori e che cosa facciamo nella scuola e nella sanità.
Ci è stato anche detto che molto spesso i pedofili violenti con i bambini sono adulti che a loro volta sono stati violati quando erano bambini. Allora mi chiedo: che cosa modifica questo dal punto di vista ormonale? Credo nulla; credo che si tratti di un discorso di coazione a ripetere o di scaricare aggressività represse. Anche su questo vorrei capire come ci comportiamo.
In quest'ultima vicenda, al di là della psicopatologia - come lei giustamente l'ha definita - credo si sia trattato di un mercato. Intendo dire che non so se possiamo definire pedofili tutte le 1700 persone fermate, o se le finanziarie che organizzavano il giro e riciclavano il denaro siano costituite semplicemente da delinquenti abituali che hanno trovato un business in questo mercato. Forse non è il ministro della sanità ma la commissione che avete istituito che deve occuparsene.
Ho letto sui giornali che fra queste 1700 persone vi sono delle donne: mi scoppia il cervello perché non riesco a capire come una donna possa godere della sofferenza di un bambino. Vorrei che lei ci chiarisse questo aspetto.

GIOVANNI CARUANO. Desidero innanzitutto ringraziare il ministro per le sue considerazioni e per la descrizione di un problema drammatico.
Nel settore endocrinologico vi sono varianti notevolissime dal punto di vista del dosaggio ormonale e della classificazione delle devianze. Vorrei sapere dal ministro quanti sono i casi studiati, se vi siano dati significativi e quanti studi vi siano, al fine di avere informazioni aggiuntive, poiché questa ipotesi è oggettivamente liberatoria per tutti. Se vi fosse un'interpretazione puramente fisica, organicista, che mette in secondo piano i problemi legati al vissuto, all'ambiente, a questa psicopatologia ossessiva che caratterizza quei comportamenti, io sarei contentissimo, se mi è permessa l'espressione. Per questo chiedo ulteriori dati. Siamo in


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grado di capire meglio se è veramente così, oppure siamo in una fase iniziale?
Queste considerazioni mi rimandano a tentativi che sono stati compiuti negli Stati Uniti per cercare di capire come mai i serial killer si comportano in quel modo. La mia perplessità di medico, signor ministro, è che se noi prendiamo una popolazione omogenea, per esempio dieci odontoiatri o dieci medici, e facciamo una serie di esami biologici, ematochimici, ormonali e così via, in quelle persone troveremo un comune denominatore. Probabilmente tutti insieme avranno le prostaglandine ad un livello più alto o più basso. Questo metodo è garantito da un numero di casi così alto da metterci al riparo da interpretazioni sbagliate? Questa interpretazione, almeno per me, è liberatoria, perché ci consentirebbe di risolvere molti problemi: potremmo infatti porre questi individui di fronte alla scelta se curarsi o rimanere in carcere. Secondo lei questa interpretazione mette in secondo piano quella legata al vissuto, all'ambiente ed alla psicologia di questi individui? Chiedo al ministro un approfondimento in proposito.

MARIA BURANI PROCACCINI. Signor ministro, la ringrazio per le spiegazioni che ci ha fornito e che si aggiungono a tutte le altre che ci stanno consentendo di vedere più chiaramente il problema. Vorrei porle anch'io alcune domande. La prima è come si possa arrivare dai 200 individui che sono in carcere ai 10 mila - prendo il dato più basso - di cui lei ha parlato: non è forse il caso di fare un lavoro anche attraverso i medici di famiglia, oppure un lavoro combinato con i ministri dell'interno e di grazia e giustizia al fine di sensibilizzare la locale stazione di polizia od il locale nucleo dei carabinieri per cui, se viene segnalato un caso, anche superficiale, possa essere preso in conto, non di una persecuzione bensì di un'analisi, per arrivare ad uno di quei 10 mila o 100 mila, che magari sono solo potenziali e che magari non usciranno mai allo scoperto ma che, di fronte ad una pulsione particolarmente forte, possono dar luogo al delitto?
Le chiedo dunque un modus operandi preciso per arrivare a quei famosi 10 mila e vedere come operare su questi senza essere repressivi, ma neppure avere quella famosa benda davanti agli occhi che poi ci togliamo in lacrime quando abbiamo il bambino abusato o addirittura ucciso. Ho avuto modo di leggere una relazione molto interessante, che si sposa perfettamente con quello che lei ha detto prima, svolta dal professor Cantelmi, presidente dell'Associazione degli psichiatri e psicologi cattolici, il quale divideva i pedofili in due gruppi: quelli sadici, che sono irrecuperabili e sui quali si dovrebbe intervenire o attraverso la costrizione o, in maniera alternativa, attraverso la cura chimica finalizzata ad abbassare il tasso di testosterone, quindi la pulsione dal punto di vista del suo formarsi. Le pongo una domanda, che forse sarebbe più giusto porre al ministro Fassino: credo che non si possa dire alternativamente cura o carcere perché, di fronte ad un omicidio, un periodo di carcere con cura e poi, casomai, soltanto la cura, sia necessario per quel senso di giustizia che non è vendetta bensì una richiesta naturale da parte delle famiglie delle vittime o della stessa opinione pubblica. Ripeto, non si può equiparare il caso di un bambino semplicemente abusato, che comunque si porterà per tutta la vita l'abuso sulla sua personalità, e quello di un bambino addirittura ucciso.
Nel secondo gruppo di cui si parlava in quel congresso di neuropsichiatria potrebbero rientrare i 10 mila pedofili cui è stato fatto cenno, dei quali già molti sono in cura: ecco dove potrebbe intervenire il medico di famiglia con una segnalazione, o chiunque abbia sentore di dover dare il suo aiuto. So che vi sono casi di recessioni, che sono stati studiati, in un periodo di 5, 6 o 7 anni. In ogni caso la persona che è in cura dovrebbe andare a fare un lavoro che comunque non lo metta a contatto diretto con i bambini, come nel caso di un maestro, di un


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istruttore di ginnastica o di un sacerdote: tutti devono assumersi questa responsabilità e forse anche da voi dovrebbero partire delle linee di condotta, che non possono essere lasciate alla semplice coscienza di chi ha il potere di operare.

DINO SCANTAMBURLO. Spostando l'attenzione sulle vittime delle azioni di pedofilia, e quindi sui bambini che vengono coinvolti, qual è il tipo di danno - grave, consistente o permanente - che viene provocato nella sfera psichica e sessuale della personalità in formazione del minore? Di conseguenza, qual è il tipo di terapia più adatto sul piano psicologico e socio-sanitario? State esaminando anche questo aspetto ed eventualmente, assieme agli altri ministri interessati, pensate di dare delle indicazioni agli enti ed alle istituzioni che dovranno affrontare questo aspetto?

CARLA CASTELLANI. Ringrazio il signor ministro per la chiarezza dell'esposizione e soprattutto per l'approccio medico-umanistico con il quale ha voluto farci capire di più in ordine al problema della pedofilia. Accanto al pedofilo va anche rivolta la debita attenzione al problema dell'infanzia, perché questa malattia ha forti ricadute e danni per l'infanzia. Vorrei dunque chiedere al ministro se, come ha sostenuto e come emerge dagli studi che ha documentato, i pedofili dichiarati vanno ricollocati in un ambito patologico, sia essa una psicopatologia ossessiva oppure ormonale, addirittura con prevalenza della parte ormonale che poi stimola un certo tipo di comportamento, allora come si può spiegare che molto spesso il violentatore è stato a sua volta un violentato?
Inoltre, se è vero che la detenzione non risolve il problema e che è noto a tutti che il violentatore che esce dal carcere ripete quasi sempre quel tipo di reato, allora se anche la terapia viene rifiutata o se, addirittura obbligata, non viene eseguita, possiamo pensare noi di mantenere a contatto con i minori - come affermava la collega Burani Procaccini - un insegnante od un allenatore sportivo? Come può cautelarsi la società ai fini del rispetto dell'infanzia?

GIUSEPPE MAGGIORE. Signor ministro, ho molto apprezzato la sua relazione, ma soprattutto la decisione e la pacatezza con cui affronta il problema, che è molto grave e composito. Condivido altresì la sua attenzione all'eventualità che questo can can possa stimolare od invogliare qualche perverso ad agire nelle percentuali che lei ha enunciato. Anch'io sono dell'avviso che bisognerebbe privilegiare, nell'ambito della discussione generale, degli adempimenti e delle previsioni, la vittima, cioè il bambino, perché il danno che si arreca a quest'ultimo è spesso inguaribile. Diversamente la figura del pedofilo, come lei ha ampiamente illustrato, ha una caratteristica di difficile o comunque improbabile recupero. Per quanto riguarda i bambini, oltre alle informazioni ed alla vigilanza in ambito scolastico o in altri ambienti, quali sono i mezzi utili per prevenire questo fenomeno?

ANTONIO GUIDI. Giudico positivo l'incontro odierno su un argomento così complesso perché consente di sciogliere qualche dubbio e di avanzare qualche proposta. Al ministro, che personalmente stimo molto, chiederò risposte non tanto da collega a collega, bensì di tipo istituzionale. Come neuropsichiatra infantile vivo in maniera estremamente drammatica e problematica due realtà: i danni che subiscono i minori, che sono i danni comuni a tutti i tipi di violenza sessuale, da quella familiare a quella, purtroppo sempre più diffusa, non familiare e quindi condivido l'istituzione di centri che non possono lenire totalmente il danno bensì soltanto ridurlo. Sono necessari servizi dove il bambino ed eventualmente la famiglia, se il danno è eterofamiliare, possa essere sottoposto a giuste terapie finalizzate a ridurre l'io fragile che il danno dell'abuso crea. Non nascondiamoci dietro un dito: qualcosa va fatta. È un'emergenza di mass media, ma chi


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opera nel settore sa che esiste da anni. Mi sono permesso di denunciarla anni fa e mi hanno detto che ero pazzo ed oggi se ne parla come di una realtà nuova. Questo capita a tutti.
Ciò che mi colpisce molto è che diamo risposte in parte omogenee per l'infanzia, mentre per il danneggiante vi è un'eterogeneità enorme. Quelle che il ministro ha giustamente definito come affetti da una psicopatologia sono la punta di un iceberg e per essi forse la psicoterapia può essere utile, ma all'interno dell'iceberg, il cui gelo colpisce tutti, il vizio, la perversione, le abitudini, gli abusi sono di tipo straordinariamente diverso: l'incesto, ad esempio, è completamente diverso dal charter dell'amore. Migliaia di persone, che persino noi conosciamo, si sono recate in Medio Oriente attraverso un'agenzia che proponeva in maniera abbastanza esplicita la bambina o il bambino prostituti di otto anni (più sono piccoli e più si paga), e non fanno parte di coloro che hanno problemi di testosterone, ma rientrano in un costume del paese che sfrutta l'infanzia, prima lontano, oggi vicino a noi, con un deprecabile aggancio tra delinquenza organizzata e sfruttamento dei bambini. È evidente che rivolgo questa domanda non al ministro della sanità, ma ai colleghi del Governo.
Sicuramente vi è un'enorme opera di disinformazione che fa molto male a chi deve agire, anche a livello locale. E qui rivendico il ruolo delle regioni, delle province, dei comuni, delle asl, della scuola.
Credo che occorra chiarire che il danno prodotto ai minori è gravissimo e non è emendabile con tanto amore. Il ministro Turco che stimo da anni non può dirci che ci vuole più amore: lo sappiamo tutti. Ma ci vuole più rispetto che amore, soprattutto se l'amore sessuale è pervertito.
Ripeto che mentre per l'infanzia occorrono centri di consulenza, accoglienza ed aiuto, bisogna far capire agli adulti che non c'è un pedofilo e basta, che la pedofilia, come tante malattie (ci sono migliaia di diversi tumori o di diversi handicap), ha numerose tipologie, dalla psicopatologia più acuta che forse conosciamo meglio al vizio, all'abuso. Chiariamo questo punto, perché bisogna modulare terapie ed interventi differenti. Se per colui che è malato una terapia non coercitiva può ridurre il problema, per la persona che usa il bambino per vizio (non vi è solo il problema fallico, perché vi sono perversioni di qualunque tipo, da quelle sadiche a quelle con l'utilizzo di oggetti) la questione è diversa. Non facciamo di tutta l'erba un fascio, perché rischiamo da un lato di semplificare la soluzione (terapia e basta) e dall'altro di criminalizzare una carezza fatta in un giardino.
Non certo al ministro che è stato sempre chiaro, ma ai colleghi chiedo un'opera di informazione, di proposta di servizi che sia veramente coerente con una realtà estremamente complessa e non facilmente riconducibile ad una semplificazione che procura danno a tutti, soprattutto ai nostri figli.

PIERA CAPITELLI. Probabilmente non riuscirò a formulare una domanda molto precisa, ma desidero fare qualche sintetica osservazione.
Credo che l'emergenza collegata strettamente al tema di Internet abbia fatto scoprire un fenomeno che è stato per anni socialmente sottovalutato. Ritengo che oggi sia davvero un'emergenza in quanto è fortemente connesso al tema della rete.
Al di là dell'urgenza (approfondiremo la questione della rete in un altro momento), credo che occorra stare molto attenti - e qui esprimo un'opinione politica - a non farci prendere dalla smania di avere legislazioni d'urgenza. Ritengo sia stato un'ottima iniziativa quella di istituire un gruppo di lavoro a livello di ministri e di esperti per vedere quali decisioni rapide sia possibile assumere ed eventualmente per elaborare una nuova legislazione, non d'urgenza. Vi è il pericolo di ricevere troppe sollecitazioni dall'opinione pubblica che pure ha visto bene e reclama la tutela dei minori.
Per mantenerci sul versante scientifico, sottoscrivo completamente l'intervento del


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collega Guidi che ha ben evidenziato il problema del doppio canale della pedofilia, il versante di tipo psicopatologico e quello dei comportamenti di abuso. Ritengo che siano fortemente da esplorare entrambi, mentre credo che sia già stato esplorato il versante della vittima. Si è anche cercato di abbozzare, forse con scarso successo, soluzioni per prevenire questi fenomeni. Tuttavia, la discussione di oggi è particolarmente interessante e non mi scandalizza il fatto che l'attenzione si incentri sul pedofilo, sul quale si è detto troppo poco all'opinione pubblica.
Per quanto riguarda le soluzioni, il ministro ci ha prospettato ipotesi estremamente interessanti che vanno ulteriormente valutate e che comunque non coprono tutta la casistica di cui si è parlato.
Mi pare però che vi sia qualche difficoltà nel far accedere alla terapia psicologica rispetto alla quale nella nostra società vi è un trasporto decisamente maggiore rispetto a tutti gli altri tipi di terapia. Il cittadino comune, di fronte ad una psicopatologia, tra terapia farmacologia e terapia analitica o psicologica tende a scegliere la seconda, perché va alle radici del male. Quale possibilità effettiva vi è di far accettare questo tipo di terapia al pedofilo? Vedo qualche difficoltà in questo senso.
A mio avviso, la strada non più facile ma più praticabile è quella dell'alternativa tra carcere e cura e ritengo che debba essere esplorata.

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi che sono intervenuti e cedo la parola al ministro Veronesi.

UMBERTO VERONESI, Ministro della sanità. Ringrazio coloro che sono intervenuti in questo interessante dibattito. Temo però di non poter dare a tutti risposte esaurienti, perché, come voi avete detto ed io ho anticipato, si tratta di un settore male esplorabile e difficile da connotare; il pedofilo non ha una sua identità precisa. Come ha detto giustamente Guidi vi è un complesso di insiemi comportamentali: siamo tutti un po' sani e un po' malati a livello mentale. Non è una novità. È difficile tracciare un punto preciso: può esservi anche un'epidemia culturale deviata che si diffonde. I pedofili, infatti, fanno parte di un gruppo: si chiama parafilia questo insieme di comportamenti deviati quali la pedofilia, i sadismi ed altri elementi di vario tipo che si combinano e che rendono la materia difficile. Abbiamo parlato di una popolazione presunta di 10 mila, 50 mila o 100 mila, ma non conosciamo tutti questi soggetti. Parlando di prevenzione qualcuno ha detto che bisognerebbe cercare di evitare che i potenziali pedofili si trasformino in pedofili reali e realizzino il loro pensiero in atti concreti. Il problema è che non sappiamo chi siano, come avviene in molte patologie: i serial killer sono persone rispettabilissime nella vita quotidiana, bravissimi padri di famiglia. Probabilmente la tendenza pedofila si nasconde anche dietro una persona assolutamente normale nei comportamenti, ma che poi magari acquista il biglietto d'aereo per liberarsi delle sue ossessioni. Qui sta la difficoltà a fare una vera prevenzione. Quindi, prevenire la malattia è quasi impossibile, se non in quella piccola frazione di casi dei pedofili accertati. Così però non si previene il fenomeno, che è anche un problema culturale, di diffusione dell'informazione e di esplosione del sesso in una società fluente che, avendo risolto il problema della fame, delle guerre, della sopravvivenza, si diffonde in aspetti secondari che diventano importanti in una cultura in cui si deformano i valori etici fondamentali.
Sulla prevenzione, che è stata uno degli elementi portanti della discussione, non ho risposte, come non ne ho o ne ho di molto vaghe su cosa si può fare. C'è stata una domanda molto precisa in proposito: cosa fa il ministro della sanità, che misure ha preso rispetto ai consultori famigliari, agli ospedali, agli ambulatori. Non abbiamo ancora preso misure. I consultori possono essere uno strumento valido perché hanno una rete diffusa, ma che messaggio diamo, cosa proponiamo? Non abbiamo le idee chiare. Devo confessare


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che stiamo studiando e qualcosa verrà fuori, ma al momento siamo sostanzialmente impotenti, se non nei confronti del gruppo di pedofili accertati.
I consultori familiari dovrebbero entrare nella grande area della prevenzione, ma confesso con molta sincerità ed onestà intellettuale che non ho in mente posizioni precise da prendere nei riguardi delle strutture sanitarie del paese.
Qualcosa, invece, si può fare nell'ambito dei pedofili più gravi. Vi sono però anche quelli gravi che l'hanno fatta franca perché sono sfuggiti alle maglie della polizia. Forse si possono individuare delle aree ad alto rischio e forse la rete Internet, se esplorata con grande attenzione, può dare qualche risultato. Sono state fermate 1.700 persone: non so cosa si potrà fare nei loro confronti, ma almeno abbiamo un obiettivo dimensionalmente più elevato rispetto al piccolo gruppo dei pedofili più gravi. Può darsi che si riescano a trovare i gruppi ad alto rischio di pedofilia attiva e non soltanto potenziale su cui cominciare ad operare in termini educativi o di attenzione particolare, ma siamo ancora molto lontani.
Invece si potrebbe ricorrere a un provvedimento semplicissimo, composto da due o tre articoli, che ponga il pedofilo accertato di fronte alla condizione di essere curato se vuole raggiungere la libertà. Si tratta di un tema facile da affrontare e risolvere, anche se non ci mette al riparo dai guai potenziali del futuro, ma è già un segnale di attenzione.
Il senatore De Luca ha chiesto che cosa si intenda fare subito poiché è facile fare grandi programmi strategici. Da quanto ho capito i 200 soggetti detenuti sono già sottoposti a psicoterapia, però non esiste ancora un programma organico; devo confessare che siamo ancora ai primi passi di una formulazione di un progetto di interventi. Capisco anch'io, come ha detto De Luca, che bisogna intervenire subito perché la questione della cura è ancora in uno stadio primordiale ed occorrerà una rilevanza scientifica e statistica - e qui mi riallaccio a quanto ha affermato il senatore Caruano - poiché non abbiamo grandi evidenze ed i numeri sono ancora piccoli. Esistono moltissime pubblicazioni, almeno 200, ma la casistica è ancora molto ristretta; nel caso dello studio di Israele, che è il più importante in materia, si trattava di soli 50 pazienti.
Siamo dunque agli albori del nostro processo e dobbiamo muoverci con la cautela di chi non ha dati assolutamente sicuri; tuttavia la strada è aperta, i dati finora raccolti sono interessanti e credo che si debba agire sui due fronti. Certamente su quello della psicoterapia perché è accertato che si tratti di una malattia mentale, anche se ciò non è accettato dal punto di vista giuridico: capisco questo orientamento perché, trattandosi di una devianza sessuale, se il giurista li classifica come malati finisce poi col giustificare qualsiasi atto sessuale anomalo, qualsiasi aggressione sotto questa pulsione. Personalmente, in qualità di medico, sono più portato a considerare la condizione patologica come preminente: sono due ottiche inevitabilmente diverse, che tuttavia possono coincidere nella soluzione finale. È giusto quindi che siano presenti in questo gruppo il ministro della giustizia ed il ministro della sanità, che hanno due ottiche diverse ma entrambe destinate a trovare soluzioni utili per proteggere la collettività.
E il fatto che queste persone nel 31 per cento dei casi, secondo i dati raccolti, abbiano subìto una violenza nell'età infantile accentua molto la condizione di psicopatologia vera e propria; certamente hanno subìto un danno psichico, che li ha portati, attraverso meccanismi misteriosi, a rivalersi su altri soggetti, in una forma mista di amore esagerato, patologico e deviato, ma non di aggressione. Spesso si inserisce poi un altro aspetto più complicato e cioè che quando si arriva all'atto di criminalità più grave, cioè all'uccisione del bambino, si tratta di un'uccisione che non è solo sadica: nella maggior parte dei casi il bambino viene ucciso dal pedofilo per paura di essere scoperto. Si toglie, cioè, di mezzo un testimone e questo è un effetto secondario, non è un desiderio genuino di commettere un omicidio, come potrebbe


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essere nel sadismo, bensì è una forma di autodifesa: nel momento in cui il pedofilo si sente perso perché il bambino urla e minaccia di raccontare il fatto, elimina un testimone. Questo non avveniva duemila anni fa quando la pedofilia era accettata come costume, mentre il fatto che ora esiste una barriera morale, e quindi la paura di perdere la stima da parte dell'ambiente circostante, spinge il pedofilo ad un raptus di follia. Il meccanismo è dunque molto complesso e contorto ed implica molte variabili: non vi è soltanto una forte alterazione endocrina, ma probabilmente questa è accentuata da una perdita di autocritica e di autocensura, che invece è tipica delle personalità formate e complete che hanno una concezione della socialità molto evoluta.
Sono dispiaciuto di non potervi dare una risposta concreta e chiara. Mi sono limitato ad esporre gli aspetti problematici del tema ed immagino che potremo incontrarci di nuovo al fine di formulare proposte più costruttive.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la chiarezza della sua esposizione ed anche per l'umiltà con la quale ha dovuto ammettere che fino ad oggi si è fatto poco, ma che l'impegno del suo ministero e del Governo nel suo complesso sarà profondo. Lo ringrazio altresì per le risposte che ha dato ai commissari ed anche per le proposte che ci ha offerto riguardo al recupero ed alle cure nei confronti degli individui che hanno commesso dei delitti legati alla pedofilia.
Colgo l'occasione per impegnare il ministro a ritornare in questa Commissione, visto che dovremo affrontare insieme il progetto obiettivo materno infantile, che egli ha lanciato il 24 aprile scorso e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.15.

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