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Seduta del 10/2/2000


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Audizione del ministro del commercio con l'estero, Piero Fassino, sui risultati del vertice di Seattle in materia di sfruttamento del lavoro minorile.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York, l'audizione del ministro del commercio con l'estero, Piero Fassino, sui risultati del vertice di Seattle in materia di sfruttamento del lavoro minorile.
Il ministro ha rappresentato l'Italia al vertice di Seattle e potrà fornirci, al di là di quello che è stato detto dalla stampa, la sua valutazione personale non tanto sugli aspetti commerciali trattati in quell'occasione, quanto sugli aspetti riguardanti il lavoro minorile che sembra ormai parte integrante del processo di globalizzazione dell'economia.
Ricordo che il Presidente Clinton ha parlato di un «commercio mondiale dal volto umano». Si tratta di capire se e come questa battaglia di civiltà contro il lavoro minorile sia sentita dagli Stati Uniti e dall'Europa nelle dichiarazioni e nelle


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convenzioni (ultima quella dell'OIL), che poi però devono essere ratificate e soprattutto applicate nel concreto.
Al di là dei principi dichiarati, occorre infatti vedere quali sanzioni vengano poste in essere contro chi viola le norme che vietano lo sfruttamento del lavoro minorile, un fenomeno che non può essere eliminato in tutte le realtà. Non sempre e non in tutte le parti del mondo si riesce a portare a compimento l'obbligo scolastico e far sì che il lavoro dei ragazzi sia concepito in termini di apprendistato, che serva cioè ad imparare un mestiere.
Cedo la parola al ministro Fassino.

PIERO FASSINO, Ministro del commercio con l'estero. Ringrazio la presidente Scirea per questa opportunità.
In primo luogo, vorrei sottolineare come l'aspetto del lavoro minorile sia uno di quelli più significativi all'interno di un tema più grande, quello della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, dei diritti del lavoro in ambito internazionale.
Come sapete, uno dei temi centrali della globalizzazione in relazione ad una maggiore apertura dei mercati è quello delle condizioni di lavoro, viste non soltanto sotto il profilo morale o politico, ma anche sotto quello economico. È evidente che il non rispetto delle condizioni di lavoro, oltre a violare fondamentali diritti inalienabili ed irrinunciabili per ogni cittadino, costituisce spesso il fondamento di ragioni di competitività realizzate grazie ai bassi costi di produzione ottenuti, tra l'altro, non rispettando fondamentali norme di diritto.
Il rilievo che ha assunto il tema del rispetto dei diritti del lavoro è grande ed ha un profilo morale, soprattutto quando ad essere vittime delle violazioni sono i bambini, uno politico, perché il rispetto dei diritti del lavoro fa parte degli irrinunciabili diritti che la Carta dell'ONU riconosce come fondamento di qualsiasi società giusta e democratica, ed uno economico, perché è evidente che il non rispetto dei diritti è una delle ragioni su cui si fonda spesso una maggiore competitività dei paesi che ricorrono a pratiche che li violano.
Questo tema è stato al centro della conferenza di Seattle e di tutta l'attività del dopo Seattle. È un tema particolarmente delicato perché, se in termini di principio non c'è uomo o donna al mondo e quindi non c'è governo al mondo che non riconosca la priorità del rispetto dei diritti fondamentali degli individui, a partire da quelli dell'infanzia, poi i comportamenti pratici non sono questi e quando si cerca di intervenire su comportamenti lesivi o violatori di tali diritti, l'atteggiamento politico, e anche la possibile soluzione, diventano molto complessi. In particolare, i paesi in via di sviluppo hanno sempre mantenuto una forte diffidenza nei confronti dei paesi industrializzati su questo tema, perché hanno sempre interpretato la richiesta di rispettare i diritti del lavoro come una forma di protezionismo al contrario. In altri termini, i paesi in via di sviluppo sostengono che il rispetto dei diritti viene chiesto perché nella violazione dei diritti vi è la loro competitività e che la sensibilità su tale aspetto non ha fondamenti umani, politici o morali, ma deriva dal fatto che si vuole difendere una posizione dominante sui mercati.
Ciò impone una capacità di interlocuzione e di iniziativa nei confronti dei paesi in via di sviluppo che superi questo tipo di atteggiamento e di diffidenza. L'unico modo per farlo è avere da parte dei paesi industrializzati un atteggiamento che non sia semplicemente inquisitorio, inquisitivo o rivendicativo, ma che sia di tipo cooperativo, si faccia carico del problema e aiuti questi paesi ad affrontarlo e risolverlo. In altri termini, se i paesi in via di sviluppo sono diffidenti ad affrontare questo tema perché ritengono che spesso intorno ad esso si ritrova l'unica ragione della loro competitività nei confronti dei paesi industrializzati, la soluzione è offrire loro ragioni di competitività su altri terreni che non siano la violazione dei diritti.


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La proposta che l'Italia ha lanciato e che l'Unione ha fatto sua di abolire tutti i dazi e le tariffe applicate alle importazioni che provengono dai 48 paesi più poveri del mondo è una risposta che va in questa direzione: aprire maggiormente il mercato a condizioni di miglior favore, in modo da offrire una ragione di competitività su un terreno diverso dalla violazione dei diritti e dallo sfruttamento dei minori. Nella stessa direzione vanno le politiche di annullamento totale o parziale del debito, che l'Italia sta perseguendo (è all'esame del Parlamento un provvedimento che vede l'Italia all'avanguardia su scala mondiale); i programmi di cooperazione che aiutano questi paesi a darsi uno sviluppo economico corretto; i programmi di assistenza e di formazione. È su questo terreno che possiamo rompere il muro della diffidenza e, a quel punto, chiedere il rispetto dei diritti, mentre contestualmente aiutiamo quei paesi a crescere e a svilupparsi offrendo loro condizioni che lo consentano, senza dover ricorrere alla violazione dei diritti. Il tema va posto in questi termini.
Sarebbe del tutto sbagliata una linea di sanzioni, per esempio, mentre invece va perseguita una strategia di incentivazioni. Mentre non produrrebbe alcun effetto dire: se non rispetti il diritto del lavoro o quello dell'infanzia, ti sanziono alzando le tariffe o non facendoti rientrare sul mio mercato, perché questo produrrebbe ben poco, probabilmente soltanto conflitto, ha senso invece fare l'operazione opposta, cioè mettere sul terreno una serie di opportunità, di proposte, di risorse, di aiuti e, nel momento in cui si fa questo, chiedere a chi li utilizza, se ne avvantaggia e ne gode di rispettare i diritti. Questa è la strategia che stiamo perseguendo e che mi pare corrisponda sia a quella dell'Organizzazione mondiale del commercio sia a quella dell'Organizzazione internazionale del lavoro. Ieri ero a Ginevra dove ho incontrato sia il direttore generale dell'OMC sia il direttore generale dell'OIL, ho discusso di questi temi ed entrambi hanno sottolineato come l'unico modo per affrontare questo problema in una logica che non sia conflittuale e quindi sterile nei confronti dei paesi in via di sviluppo sia una strategia non sanzionatoria, ma di cooperazione, di incentivo, di sostegno, di aiuto e di dialogo politico.
Sul piano normativo e delle iniziative più direttamente mirate al lavoro minorile, come sapete l'Organizzazione internazionale del lavoro si è data una strumentazione per il rispetto dei diritti del lavoro costituita dalle sette convenzioni fondamentali sottoscritte in sede OIL e che sono state ratificate da un ampio numero di paesi del pianeta; parlo di ampio numero perché non tutti i paesi del mondo hanno sottoscritto queste convenzioni, anche se la stragrande maggioranza dei paesi ha assunto e ratificato le convenzioni sul rispetto dei diritti del lavoro. Tra i paesi che non le hanno sottoscritte tutte non vi sono solo paesi in via di sviluppo, ma per ragioni varie anche paesi industrializzati: la Gran Bretagna, per esempio, ha sottoscritto solo tre delle sette convenzioni, il che dimostra che la materia è molto complessa. È in corso di ratifica anche da parte italiana una ottava convenzione, relativa proprio alla proibizione delle peggiori forme di sfruttamento dell'infanzia. Si tratta di una convenzione che integra la precedente sul lavoro minorile del 1973 con una serie di elementi significativi: per esempio, nella 1973 l'età di riferimento per considerare un cittadino del mondo minore o meno era 15 anni; la nuova convenzione assume l'età di 18 anni, con tutto quello che ne consegue.
La convenzione che è in corso di ratifica da parte di molti parlamenti e le altre 7 sono state poi oggetto di una dichiarazione, sottoscritta da tutti i paesi del mondo, che si impegna al rispetto di quelle convenzioni; lo strumento non è né banale né formale perché la dichiarazione che si impegna al rispetto dei principi di quelle convenzioni è stata sottoscritta anche da paesi che non le hanno ratificate. Quindi, la dichiarazione successiva è stata una forma per riuscire ad ottenere l'impegno al rispetto dei principi della convenzione anche da parte dei paesi che


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non l'avevano ratificata, così da cercare di affermare in tutto il mondo questi principi.
A marzo e a giugno di quest'anno, in due successive sessioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro, ci sarà il primo rapporto fatto dalla stessa sullo stato di applicazione delle convenzioni e sarà quella l'occasione per verificare anche di grado di applicazione della convenzione sul lavoro minorile.
Sul piano comunitario, l'Unione è più avanti: l'Unione europea, anche grazie all'iniziativa di alcuni paesi tra cui anche l'Italia, oltre che riconoscersi e aver assunto le sette convenzioni e la dichiarazione di principi, in una serie di sue dichiarazioni politiche e di strumenti finanziari ha riconosciuto incentivi sul terreno dell'abbattimento dei dazi e delle tariffe d'ingresso sui prodotti che vengono da paesi terzi a quei paesi che rispettano le convenzioni. Si tratta, quindi, di un meccanismo di incentivi che a quei paesi in via di sviluppo che garantiscano il rispetto di questi principi, ivi compresa la convenzione sul lavoro minorile, riconosce un sistema di vantaggi supplementari dal punto di vista tariffario o delle quote di quantità di prodotto importabile o da altri punti di vista.
Sul piano nazionale, come sapete sono in corso due iniziative: la prima è rappresentata dal disegno di legge già approvato dal Senato e in questo momento all'esame della Camera dei deputati che prevede l'istituzione di un marchio di conformità sociale per la commercializzazione dei prodotti. Si tratta di un'etichetta riconoscibile che assicuri l'acquirente che quel manufatto è stato prodotto senza che in nessuna fase della sua lavorazione si ricorresse al lavoro minorile. Questa clausola, che è politicamente molto forte e impegnativa e moralmente molto coraggiosa, non sarà di facile applicazione ed è esposta anche sul piano giuridico, in sede comunitaria e internazionale. Stiamo valutando come fare in modo che questa norma, di cui tutti apprezziamo il valore, sia poi applicabile e non resti soltanto una dichiarazione di principio che contravviene a norme di diritto comunitario o alle regole della concorrenza del WTO. In ogni caso, nel provvedimento c'è questo impegno, così come c'è un articolo che in qualche modo stabilisce una condizionalità nell'erogazione di finanziamenti pubblici ad imprese che operano sui mercati esteri all'impegno su quei mercati a non utilizzare il lavoro minorile. Anche per questa norma, che è comprensibile e politicamente condivisibile, stiamo valutando come scriverla perché, al di là della convenzione internazionale che indica l'età di 18 anni, ci sono legislazioni di singoli paesi nelle quali la soglia di età in cui si valuta se un cittadino sia minore o meno è diversa. Per esempio, vi sono legislazioni in cui si stabilisce che la maggiore età è a 14 anni, a 15, a 16 o a 18 e quindi bisogna capire come formulare una norma che poi non sia contraddetta da normative diverse dei paesi in cui avvengono gli interventi.
La seconda iniziativa sul piano interno è rappresentata da un codice di condotta, frutto di un accordo sociale tra sindacati e imprese, sull'assunzione in termini volontari da parte delle parti sociali di un impegno, sia in Italia sia sui mercati esteri, sempre nel quadro della legislazione vigente su quei mercati, a non ricorrere al lavoro minorile. Tale iniziativa è frutto di un'azione non legislativa ma sociale, come sapete; è in corso una definizione di questo accordo tra le parti sociali e l'auspicio è che si possa arrivare alla conclusione nei tempi più rapidi.
Infine, tornando al quadro internazionale principale, quello dell'OMC, su tutta la materia dei diritti del lavoro, ivi compreso il lavoro minorile, a Seattle si era giunti ad un traguardo importante, anche se poi non si è trovato un accordo né su quel punto né in generale. Mi riferisco alla costituzione di un forum, cioè di un gruppo di lavoro costituito dall'Organizzazione mondiale del commercio e dall'Organizzazione internazionale del lavoro quale sede per cominciare a discutere, coinvolgendo pienamente i paesi in via di sviluppo, come affrontare i temi della cosiddetta «clausola sociale», cioè del


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rispetto dei labour standards. Nell'iniziativa che stiamo assumendo per superare l'impasse di Seattle, riteniamo che questo punto che era stato acquisito anche con il consenso di molti paesi in via di sviluppo non debba andare smarrito, non si debba perdere, perché comunque è un punto che non avevamo prima e che può costituire, sia pure metodologicamente, uno strumento per cominciare ad affrontare tale questione.
Parallelamente l'Italia sta muovendosi nei confronti di alcuni paesi, segnatamente i più importanti paesi in via di sviluppo, là dove il fenomeno del lavoro minorile si presenta più evidente, per costruire insieme a loro delle proposte di intervento, sempre nell'ottica di superare la diffidenza che questi paesi hanno nell'affrontare questi temi. L'unico modo che ci sembra ragionevole e serio è proporre di essere noi e loro insieme a costruire, partendo dal problema come si pone, analizzando la sua realtà concreta con un approccio pragmatico e graduale, delle soluzioni che siamo in grado di affrontare.
Riallacciandomi ad una cosa che ha detto la presidente nella sua introduzione, vorrei portare un esempio: comunque si voglia valutare la condizione di un minore che lavora, e vi sarebbero molte considerazioni da fare, c'è un punto che tutti accettano come condivisibile, cioè che un minore ha diritto di essere istruito, che il fatto che lavori non deve pregiudicare il suo diritto ad una formazione, ad un'istruzione. Costruire ipotesi che diano concreta attuazione a questo principio rappresenta un modo pragmatico, realistico per costruire insieme a quei paesi un intervento, per intervenire su un aspetto di diritto fondamentale di un minore, per cominciare ad alleviare una condizione che può essere penosa, e così via. Il tema è di enorme delicatezza e, nell'ambito di esso, la questione fondamentale è acquisire la disponibilità dei paesi in cui questo fenomeno si produce a discuterne e ad affrontarlo. Oggi tutto questo non c'è e quindi siamo su un terreno particolarmente arretrato e, se non riusciamo più a guadagnare una posizione su questo primo punto, tutto il resto rischia di rimanere una mera dichiarazione di principio.
Questo è l'impianto che noi seguiamo, che tra l'altro mi pare corrisponda all'atteggiamento internazionale in materia; nei contatti che abbiamo avuto con i paesi in via di sviluppo cui ci siamo rivolti abbiamo riscontrato disponibilità di principio, che rappresenta già qualcosa di confortante, sulla quale naturalmente adesso vogliamo lavorare.

ELISA POZZA TASCA. Signor ministro, desidero ringraziarla non solo per la sua esposizione molto chiara e lungimirante, ma anche per il modo in cui lei sta seguendo i nostri lavori. Come ha già detto, lei è stato presente a Seattle e abbiamo potuto leggere il suo intervento su Internet.
Vorrei fare un'analisi internazionale ed una nazionale, considerato che ci misuriamo su questi due campi. Mi rendo conto dalla sua esposizione che non è stata tanto la morte di Iqbal Masih né la Global March che hanno mosso la coscienza del mondo, quanto questo importante vertice di Seattle ad aprire il problema della globalizzazione, posto in quella sede in modo chiaro, tant'è vero che gli Stati Uniti, che non hanno ancora ratificato la convenzione sui diritti dei minori (insieme con la Somalia sono gli unici a non averlo fatto), hanno velocemente ratificato la convenzione dell'OIL. Indubbiamente conta più il profitto del valore della vita umana. La competitività, i costi del lavoro, il profilo economico - indubbiamente - hanno mosso alcuni paesi in modo più rapido di quanto avrebbero fatto i diritti dei minori.
Credo che ciò che lei ha anticipato e cioè l'abolizione delle tasse, l'annullamento parziale del debito, i programmi di cooperazione sia in fieri, aspetti cioè un'applicazione reale e su di esso ci dobbiamo orientare.
L'Italia, che ha il problema dei bambini che lavorano (sono circa 300 mila), non potrebbe entro il mese di marzo (lei


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ha parlato di marzo e giugno come tappe successive in cui verrà fatto un monitoraggio sull'applicazione della convenzione) procedere alla ratifica? Ho il disegno di legge presentato dal Governo e approvato dal Senato che dovrebbe essere all'esame della Commissione competente ma non credo sia già stato inserito in calendario.

PIERO FASSINO, Ministro del commercio con l'estero. È in Commissione attività produttive.

ELISA POZZA TASCA. Invito la Commissione ad inviare una lettera di sollecito affinché il disegno di legge sia approvato al più presto. Se a marzo vogliamo presentarci al primo monitoraggio in modo dignitoso, sarebbe opportuno che l'Italia ratificasse la convenzione. Siamo sorretti dall'Unione europea che fortunatamente è sulla stessa linea operativa del nostro paese.
Per quanto riguarda il marchio di conformità e la clausola che lei ha definito coraggiosa, noi, che affrontiamo i temi del lavoro minorile, abbiamo notato che sono protetti, ad esempio, i tonni giovani, dei quali è proibita la pesca. Intendo dire che, se riusciamo a proteggere in questo modo gli animali, a maggior ragione dovremmo essere in grado di proteggere i minori.
Lei ha detto che i bambini hanno diritto all'istruzione. È vero che l'articolo 32 della Convenzione di New York lo stabilisce, ma quando un paese come gli Stati Uniti non ratifica la convenzione mentre ratifica quella sul lavoro minorile, quali margini ci sono per arrivare ad una reale attuazione dell'una e dell'altra convenzione?

ATHOS DE LUCA. Desidero ricordare che dopo aver molto riflettuto sulla legge per il marchio sociale, avevamo superato le obiezioni che anche adesso il ministro ha posto con il fatto che si tratta di un marchio volontario. La filosofia è quella di far sì che l'industria si autopromuova e si sponsorizzi, faccia propaganda a se stessa, dicendo: «Vi offro un prodotto pulito dal punto di vista non solo ecologico e della sicurezza, ma anche del lavoro». In altre parole, l'acquirente di jeans sa che quel prodotto non ha nuociuto allo sviluppo psicofisico di un bambino in India o in America Latina. Poiché oggi nella società mediatica vi sono queste sensibilità, laddove non sono riusciti gli Stati potrebbe riuscire la spinta dell'opinione pubblica, nel senso che a quel punto tutte le aziende potrebbero avere l'ambizione di dotarsi del marchio di autocertificazione sociale.
Come per tutte le conquiste democratiche e sociali, anche per questo aspetto è necessario che qualcuno si muova, faccia qualcosa; poi magari ci sarà qualcuno che contesterà: benissimo, affronteremo il contenzioso. Anche in Europa avviene che qualcuno proponga una risoluzione che poi viene contestata da altri, ma abbiamo visto che quelle migliori vanno avanti. Credo che il Parlamento farebbe bene a completare l'iter del provvedimento al suo esame e a dare un segnale concreto.
Il vertice di Seattle ha messo in evidenza che se, oltre che di commercio e di dazio, si deve discutere di diversità biologica, di eccezioni culturali, di rispetto della biodiversità, di diritti umani, bisogna trovare un equilibrio e allora su qualcosa si cede e qualcosa si ha. È evidente che i paesi più poveri sia sul tema dei diritti umani sia su quello ambientale chiedono qualcosa: se noi chiediamo al Brasile di non distruggere le foreste, il governo di quel paese vorrà qualcosa in cambio, per sopravvivere. È importante quindi che i paesi ricchi, industrializzati, che fino ad oggi si sono dati delle regole, globalizzino anche i diritti umani e cedano su altre questioni. Come diceva il ministro, se vogliamo l'emancipazione dalla schiavitù, dobbiamo dare delle contropartite ai paesi in via di sviluppo. È generosità o elemosina? No, è la politica. Se si vuole allargare agli altri, occorre coinvolgerli, bisogna dar loro le condizioni per essere alla pari, altrimenti si creano i conflitti e si fa la guerra, com'è avvenuto per la bistecca con gli Stati Uniti o per altre cose con i paesi del terzo mondo.


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La nostra industria e le multinazionali, se vogliono dare un contributo lungimirante alla causa dei diritti umani, anziché correre a delocalizzare le industrie o a sfruttare esse stesse il lavoro minorile in quei paesi per essere competitive, dovrebbero contribuire, insieme con le istituzioni e lo Stato, a darsi delle regole e investire a loro volta in questo settore. Invece accade che si dica: «Se in India sfruttano una manodopera minorile per fare tappeti o jeans, io installo una fabbrichetta in India»; ma a quel punto il bollino lo potrà mettere un altro.
Un aspetto importante del vertice di Seattle ha riguardato il fatto che nei parametri della globalizzazione i diritti umani, le eccezioni culturali e le biodiversità hanno assunto un'importanza tale da costringere ad un coinvolgimento di tutti i paesi, anche quelli più poveri, perché senza il coinvolgimento la globalizzazione si configura come un grande conflitto mondiale che affamerà alcuni popoli e ne arricchirà altri, con risultati sicuramente negativi.

ANTONIO MICHELE MONTAGNINO. Ringrazio il ministro per quanto ci ha comunicato. Quello che è emerso dalla sua relazione rappresenta una parte dei problemi del sud del mondo, rispetto ai quali credo sia efficace un'azione di affermazione di diritti e di legalità affidata al convincimento, alla consapevolezza, agli incentivi. Però vorrei che rispetto a questa azione sicuramente proficua ed efficace - e non faccio una battaglia di retroguardia - fosse definito un orizzonte temporale entro il quale questi paesi debbano mettersi in regola, per non incorrere in sanzioni, che a quel punto sarebbero ineludibili.
Un'altra questione riguarda l'Italia. Quanta credibilità può avere un paese in cui ancora esistono larghe fasce di sfruttamento del lavoro minorile, una piaga che non si riesce ancora ad estirpare soprattutto nel sud?

PIERO FASSINO, Ministro del commercio con l'estero. Condivido le osservazioni dell'onorevole Pozza Tasca e del senatore De Luca. È evidente che dobbiamo porci l'obiettivo non soltanto di evocare il problema e darci degli strumenti concreti di intervento - è quello che stiamo cercando di fare -, ma anche di costruire le condizioni per un'iniziativa che nelle sedi multilaterali, come il WTO e l'Unione europea, e sul piano bilaterale dei rapporti tra l'Italia e i paesi in cui il fenomeno si produce, sia capace di incidere sul fenomeno stesso, determinando una riduzione dello sfruttamento minorile e, al tempo stesso, l'affermazione di fondamentali diritti, tanto più quando si tratta di quelli dei bambini. Ci stiamo battendo, attraverso azioni concrete, per incoraggiare questi paesi a non eludere il problema o a non lasciarlo nelle condizioni attuali.
Proprio per questo non è realistico fare riferimento ad un termine temporale entro il quale un paese o si mette in regola o subisce delle sanzioni. Quel paese chiederà che entro lo stesso limite temporale venga aperto il mercato. Mettere il problema sul terreno delle sanzioni significa renderlo irresolubile, anche perché, posto in questi termini, esso suscita subito un rifiuto psicologico. Inoltre, adottando il sistema delle sanzioni, ci porremmo in una logica di conflitto e di guerre commerciali che non produrrebbe alcun risultato. Capisco bene che lei, senatore Montagnino, intende con questo porre in essere uno stimolo, un pungolo, però attenzione: la linea della sanzione rischia di essere controproducente. Non è giusta o sbagliata in sé, ma il problema è quello di individuare la sua utilità e attualmente non ne ha, perché non consente di discutere. Invece, una linea di incentivi può produrre di più. Naturalmente il discorso che faccio va collegato a ciò che succede, perché è evidente che, di fronte a forme brutali di sfruttamento di bambini con meno di dieci anni, il problema va posto in modo chiaro e preciso, persino minacciando sanzioni, perché la violazione è così aberrante che non c'è ragione economica che la giustifichi. Su questo siamo d'accordo. La complessità del tema del


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lavoro minorile non sta tanto nello sfruttamento dei bambini, perché è così palese che si tratta di un fatto aberrante che si riesce a trovare un accordo anche con i paesi in via di sviluppo; il problema diventa più complicato quando il lavoro minorile riguarda una fascia di giovani che si approssimano alla maggiore età: il vero grande problema è come intervenire per garantire i diritti dei minori che hanno 14, 15, 16 anni, perché è lì che si concentra il fenomeno di massa ed è anche il terreno più complicato perché i vari paesi hanno normative diverse sul modo di considerare l'età in cui scatta la maggiore età, perché ci dicono che noi nell'800 lo abbiamo fatto ed abbiamo in questo modo costruito il nostro sviluppo e adesso non vogliamo che lo costruiscano loro. Può sembrare un argomento banale, ma lo usano tutti, tutti ricordano Oliver Twist o David Copperfield. È quello il punto molto delicato e complicato su cui bisogna intervenire: vorrei che non vi fosse nessun equivoco, dico questo non per indurre prudenza, io non sono prudente per niente su questi temi, ma perché dobbiamo agire e agire con grande determinazione. Per esperienza, visto che sono diversi anni che discuto di questi temi con i governanti dei paesi in via di sviluppo, so che il problema principale è fare accettare il tema e, per conseguire tale risultato, dobbiamo vincere un muro di diffidenze e di pregiudizi nei nostri confronti. Quindi, il terreno è più quello dell'incentivazione, dell'azione positiva, della cooperazione, del sostegno e a quel punto, dando delle preferenze tariffarie, aprendo il proprio mercato all'importazione di un numero più ampio di prodotti alimentari, in cambio si può pretendere il rispetto delle convenzioni internazionali e dei diritti in esse sanciti. Quello dell'incentivazione mi pare essere il terreno più proficuo, tenuto conto che anch'esso non è però facilmente percorribile.
Dal punto di vista legislativo condivido ciò che è stato detto e spero che i provvedimenti che attualmente sono all'esame del Parlamento italiano vadano in porto rapidamente: mi riferisco sia alla ratifica della convenzione sia al provvedimento sul lavoro minorile. Ciò perché è evidente che, nel momento in cui vogliamo affrontare seriamente questo problema sul piano internazionale, non possiamo accettare che nel quinto paese industriale del mondo, in Italia, esso sia ancora irrisolto. In questo senso vi è un dovere morale prima ancora che politico o di legge dell'Italia, delle sue imprese, della sua società, della sua organizzazione sociale di rispettare e tutelare pienamente i diritti dell'infanzia. Mi pare che questo sia anche il senso dell'iniziativa che il ministro Livia Turco ha messo in piedi con il piano d'azione.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la sua precisa esposizione ed anche per averci fatto comprendere quanto grande sia lo sforzo che il nostro paese sta sostenendo per arrivare ad una soluzione di questioni così importanti come quelle riguardanti i diritti dei cittadini a livello mondiale, in particolare quelli dei minori.

La seduta termina alle 15,30.

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